Come nasce la Città dello Stato Vaticano?

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Caterina63
00venerdì 5 dicembre 2008 17:43
Da Enzo Romeo (Tg2) un prezioso libro per conoscere meglio il Vaticano

di Giacomo Galeazzi vaticanista de La Stampa

CITTA’ DEL VATICANO

Si dice che certe passioni nascano per contrappasso. Da secoli tutto ciò che ruota attorno al Vaticano è seguito con tale curiosità e circondato da un’aura di mistero così coinvolgente che centinaia di libri, persino i più lontani dai temi ecclesiastici, hanno nel titolo il colle romano che della Chiesa cattolica è il simbolo e la casa. In una surreale nemesi, persino l’ateo per antonomasia, André Gide, battezzò «I sotterranei del Vaticano» la sua satira irriverente e provocatoria pubblicata nel 1914, l’anno stesso in cui prendeva il via l'immane massacro di tutta una generazione. Una commedia degli inganni che coinvolge una banda di truffatori tra Francia e Italia, maestri del raggiro e del travestimento, dei piccoli borghesi cattolici convinti di dover accorrere dalla provincia francese a liberare il Papa, a Roma, dalla presunta e terribile prigionia in cui lo costringerebbe la Massoneria nei «sotterranei del Vaticano»; scienziati ferocemente atei e positivisti, bensì di facilissima e altrettanto fanatica conversione alla fede; scrittori che della fede sono i portavoce, ma sono mossi dalle peggiori delle vanità e lui, Lafcadio, il figlio segreto e ribelle di tanta ipocrita società borghese. Si fa presto a dire Vaticano, dunque.

Enzo Romeo, caporedattore Esteri e autorevole vaticanista del TG2, ha appena scritto con stile giornalistico (spigliato e ricco di humor) una "visita guidata", pubblicata dalla casa editrice "Ancora", su tutto quello che si vorrebbe sapere su quel minuscolo spiccio di Roma grande meno di mezzo chilometro quadrato in cui si trova il cuore di una fede condivisa da due miliardi di persone. In 157 agili pagine, Romeo descrive la Curia romana, ossia la macchina complessa e affascinante costruita nei secoli per aiutare il Papa a governare la Chiesa. Un libro prezioso, dunque, per svelarci com'è fatto e come funziona lo Stato più piccolo e prestigioso del mondo. Attraverso un riuscito mix di storia, curiosità e notizie pratiche, il lettore è condotto nei meandri degli uffici e degli organismi che assistono e collaborano con il Vicario di Cristo. Una fotografia che inizia ad irradiare luce a cominciare dal colonnato del Bernini che scorre ai lati di Piazza San Pietro e forma due enormi braccia che si allargano ad accogliere il mondo. Insomma, l'immagine architettonica più adatta a rappresentare la Chiesa e il luogo che ne è sua sede: il Vaticano. Da lì a Piazza San Pietro il passo è breve.

Può contenere 50.000 persone ed è l'emblema di uno Stato le cui dimensioni corrispondono a quelle di un campo da golf. Eppure il Vaticano è un punto di riferimento per le diplomazie dell'intero pianeta. Non esiste al mondo un complesso di edifici che uguagli il Vaticano per interesse ed importanza storica e artistica. Un insieme di costruzioni che, compresi i cortili, si estendono per 55.000 metri quadrati. Le sale, le cappelle e le camere sono oltre 1.400 e la convenzione dell'Aia protegge il territorio della Santa Sede, considerato "Patrimonio culturale". Non può essere sorvolato dagli aerei o spiato dai satelliti, anche se poi, in pratica, basta collegarsi ad un semplice sito internet per avere l'immagine satellitare dettagliata di ogni angolo degli 0,44 kmq. La sede di Pietro e dei suoi successori (che da duemila anni custodiscono il mandato apostolico e lo tramandano) si staglia sul colle che in epoca etrusca e nella Roma antica era il luogo in cui avvenivano i vaticini. Da qui il nome Vaticano. Alle pendici del colle avvenne il martirio di Pietro, il pescatore di Cafarnao che Gesù scelse come guida per il primo gruppo dei suoi apostoli. All'interno della Basilica di San Pietro si viene avvolti dalla maestosità delle tre navate. La chiave di tutto o, se si vuole, le chiavi del Regno (Matteo 16,19) si trovano sotto il Vaticano. Nel 64 d.C., in quelli che erano gli horti dell'imperatore, Nerone fa strage di cristiani che sceglie come capri espiatori per l'incendio di Roma, di cui egli stesso era sospettato. Tre anni dopo viene condotto al martirio e crocifisso a testa in giù il primo vescovo di Roma, Pietro.

La tradizione canonica della Chiesa identifica il luogo della crocifissione sul Gianicolo, dove oggi sorge la Chiesa di San Pietro in Montorio. Il suo corpo è sepolto dove ora c'è l'altare centrale della Basilica vaticana, cioè appena fuori dagli horti neroniani. Pietro fu messo a morte su denuncia di altri cristiani e dunque assaporò su se stesso e nella maniera più tragica il gusto amaro del tradimento, come era avvenuto per il suo Maestro, abbandonato mentre saliva al Golgota. Dunque, Pietro che rinnega, Pietro che viene tradito. Pietro che fugge dalla croce, Pietro che accetta la croce. In epoca classica il "Vaticanum" era zona extraurbana. Roma terminava al di là del Tevere, nella piana di Campo Marzio, e dove oggi si trova la Città del Vaticano c'erano giardini e aree sepolcrali. La Chiesa ha dovuto lottare nel corso dei secoli per garantirsi la necessaria autonomia, cioè il rispetto della libertà religiosa e di culto. Lo Stato Pontificio, che ha segnato l'epoca del potere temporale dei Papi, serviva in teoria a preservare l'indipendenza della Chiesa, indispensabile perché la religione non divenisse vassalla di re, imperatori e condottieri.

Il Papa è, in certo senso, l'ultimo monarca assoluto che esiste al mondo. Egli è il "Sovrano" della Città del Vaticano, oltreché vescovo di Roma, vicario di Gesù Cristo, successore del principe degli apostoli, sommo Pontefice della Chiesa universale, primate d'Italia, arcivescovo e metropolita della provincia romana (che corrisponde al Lazio) e servo dei servi di Dio. «Lo stato della Città del Vaticano, la cui legge fondamentale fu emanata da Pio XI nel 1929 e modificata da Giovanni Paolo II nel 2000 - precisa Romeo - è un'infrastruttura territoriale e materiale della Santa Sede, espressione giuridica del governo centrale della Chiesa. Quindi, una sorta di Stato patrimoniale, dove non esiste la proprietà privata e tutti gli immobili sono di proprietà della Santa Sede».

La popolazione è di circa 1.000 abitanti, metà dei quali sono cittadini vaticani. La cittadinanza spetta ai Cardinali residenti in Vaticano e a Roma, ai residenti stabili in Vaticano per ragioni di carica, dignità o impiego (solo per la durata della carica) e a coloro cui sia concesso dal Pontefice, come coniugi e figli di cittadini vaticani. Si dibatte ancora sulla natura giuridica dello Stato Vaticano. Formalmente si tratta di uno stato teocratico, ovvero governato esclusivamente da un apparato ecclesiastico; in pratica, però, non c'è un popolo da assoggettare né una politica da imporre. Lo Stato Vaticano è nato esclusivamente per consentire alla Santa Sede di svolgere il suo compito spirituale e pastorale. Nel trattato del Laterano, cioè la conciliazione tra Santa Sede e Italia dell'11 febbraio 1929, è specificato che lo Stato Vaticano (che esiste per il Papa e non viceversa, quindi la sede romana è là dov'è il Papa, che ha l'eredità del primato di Pietro) rimarrà sempre estraneo ai conflitti temporali delle nazioni e ai congressi relativi, a meno che non venga chiamato in causa per questioni di pace e morali dalle stesse parti. E, difatti, il Vaticano, attraverso la Santa Sede che ne è il governo, partecipa ai numerosi organismi internazionali con propri rappresentanti e ha rapporti diplomatici con quasi tutti i Paesi. E' membro dell'organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) ed è osservatore permanente alle Nazioni Unite. Per circa mille anni, dall'epoca di Costantino all'esilio avignonese del 1309, la residenza dei Pontefici non fu il Vaticano ma il Laterano.

La Basilica di San Giovanni in Laterano rimane ancora oggi la Cattedrale del Vescovo di Roma e lì risiede e ha i suoi uffici il Vicario del Papa per la Diocesi romana. Fu Gregorio XI, al rientro a Roma da Avignone nel 1377, a decidere di insediarsi definitivamente con la sua corte sul colle vaticano, il modesto borgo attorno alla Basilica di San Pietro che offriva un riparo sicuro ai Pontefici durante le turbolenze del Medioevo. In base al trattato del Laterano, godono di extraterritorialità, oltre alla Basilica di San Pietro e all'area compresa all'interno della Città del Vaticano, anche le basiliche di San Giovanni in Laterano, di Santa Maria Maggiore e di San Paolo fuori le mura. E inoltre i palazzi della Cancelleria, di Propaganda Fide, del Sant'Uffizio, del Vicariato, l'ospedale pediatrico del Bambino Gesù ed il Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo, con la Villa Cybo e la Villa Barberini. Se il Papa è paragonabile ad un monarca assoluto, tuttavia la sua elezione avviene con il più singolare e rigido sistema elettorale che si conosca. Il Conclave. Il termine deriva dal latino "cum clave" (sotto chiave). Una clausura forzata nata per evitare che i Cardinali tergiversassero nell'elezione del Pontefice e lasciassero per troppo tempo vacante la sede apostolica. Ai Cardinali spetta il titolo di "Eminenza", dal latino "minere", cioè sovrastare. Dunque una persona che eccelle, che "sovrasta" gli altri. A parte il ruolo che gli spetta durante la sede vacante e al momento del Conclave, il collegio dei Cardinali ha la funzione di coadiuvare il Papa nel governo della Chiesa. Un compito ormai quasi virtuale, perché reso difficile dalle distanze e dalle molteplicità di impegni di molti Cardinali, spesso titolari di diocesi lontane da Roma. Di fatto, quindi, a coadiuvare il Papa è l'insieme dei dicasteri e degli organismi che costituiscono la Curia romana.

Il nome nell'antichità indicava la partizione della popolazione di Roma, ma nel medioevo assunse il significato di "corte". Una struttura complessa, più volte rimodellata dai Pontefici nei secoli per renderla più adatta alla missione universale della Chiesa. Nel 1965 Paolo VI istituì il Sinodo permanente dei vescovi per mantenere vivo lo spirito del Concilio. Nelle assemblee sinodali del collegio episcopale, convocate di volta in volta dal Pontefice (si dividono in generale, ordinaria, straordinaria e speciale), i vescovi hanno il compito di aiutare il Papa nel governo della Chiesa universale attraverso i loro consigli e suggerimenti. Il Sinodo ha esclusivamente un ruolo consultivo. "Fatto salvo il primato petrino - spiega Enzo Romeo -, oggi si discute molto di "sinodalità" e di comunione ecclesiale, cioè di come armonizzare la partecipazione dei vescovi alle decisioni della Chiesa con la struttura curiale del governo della Santa Sede, che risulta inevitabilmente verticistico. La soluzione è la "comunione gerarchica", ossia la ricerca del comune sentire del popolo di Dio, nel rispetto però dei ruoli, delle competenze e dei carismi di ciascuno".

La Curia romana è formata dalla Segreteria di Stato, da nove Congregazioni, tre Tribunali, undici Pontifici Consigli (di cui uno accorpato) e sette Pontificie Commissioni. Il Prefetto o il Presidente, i membri, il segretario, i Consultori e altri incaricati sono nominati dal Papa e durano in carica cinque anni. Fanno eccezione gli organismi governati da legge propria: Rota, Camera Apostolica, Collegio dei Protonotari Apostolici di Numero, e la Segreteria di Stato.

Il coordinamento e lo scambio di informazioni tra i vari organismi è garantito dal lavoro delle commissioni miste e le riunioni periodiche dei capi dicastero che esaminano, sotto la presidenza del Papa, le questioni più importanti. Le Congregazioni hanno tutte giuridicamente lo stesso peso. Eventuali conflitti di competenza tra esse vengono giudicati dalla Segnatura Apostolica, che è il tribunale supremo del Vaticano. Il potere esecutivo è esercitato dal Governatorato, articolato in direzioni e uffici centrali e con a capo un presidente (di norma un Cardinale), coadiuvato dal segretario generale e da un vice. Il Governatorato è la "macchina" dello Stato Vaticano: ha un bilancio annuo di 200 milioni di Euro.

Caterina63
00giovedì 22 gennaio 2009 15:49
Stato della Città del Vaticano
Portale Istituzionale
http://www.vaticanstate.va/IT/homepage.htm



L'11 febbraio 1929, con la firma dei Patti Lateranensi, nasceva lo Stato della Città del Vaticano.

Alcune particolari celebrazioni, dal titolo: "Un piccolo territorio per una grande missione", sottolineano l'80° anniversario dell'evento.

« Quel tanto di territorio che basti come supporto alla sovranità; quel tanto di territorio senza del quale questa non potrebbe sussistere, perché non avrebbe dove poggiare ... Il Sommo Pontefice proprio non ha se non quel tanto di territorio materiale che è indispensabile per l'esercizio di un potere spirituale affidato a uomini in beneficio di uomini » (Pio XI)


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Caterina63
00lunedì 2 febbraio 2009 11:06

11 febbraio Un nuovo anniversario



1. La ricorrenza della firma dei Patti lateranensi, avvenuta settantasette anni or sono, si colora questa volta della memoria forte e riconoscente del Santo Padre Giovanni Paolo II, che nel corso dell'anno ormai tramontato ha lasciato la città terrena.
Una memoria innanzitutto "forte", di cui è visibile traccia in monumenti sparsi in località di tutte le regioni italiane, più volte visitate con instancabile zelo apostolico dal Vescovo di Roma e Primate d'Italia, nel corso del lunghissimo pontificato; ma soprattutto una memoria rintracciabile nei segni profondi, originali, inconfondibili rimasti nella vita, nella cultura, nella sensibilità, nella spiritualità del popolo italiano, avendo saputo incarnare e far rifiorire, Lui polacco, la nobile e ricca tradizione del cristianesimo di questo Paese, forgiata da santi quali Francesco e Chiara, Caterina da Siena e Filippo Neri.

E poi una memoria riconoscente per questo pastore venuto da lontano, che tanto ha amato l'Italia e gli italiani e tanto ne è stato ricambiato. Lo hanno eloquentemente dimostrato le moltitudini silenziose, commosse ed oranti che in occasione del Suo decesso si sono volute recare, spesso anche con notevoli sacrifici, a porgere l'ultimo saluto alle sue spoglie mortali. È una riconoscenza che si radica nel ricordo della sollecitudine di Giovanni Paolo II per il Paese, espressa anche in eventi di significativo spessore: dal monito ai mafiosi lanciato da Agrigento il 9 maggio 1993, alla "grande preghiera per l'Italia" indetta il 10 gennaio 1994, alla visita, unica nel suo genere, al cuore della vita democratica, il Parlamento italiano, avvenuta il 14 novembre 2002.

2. In tale contesto, e con specifico riferimento alla ricorrenza che si vuole onorare, non si può fare a meno di ricordare che sotto il Suo pontificato giunse a maturazione il processo di revisione del Concordato del Laterano e che Egli volle la conclusione dell'Accordo firmato il 18 febbraio 1984. Come noto, questo fu teso ad armonizzare le disposizioni del 1929 agli insegnamenti del Concilio Vaticano II ed ai principi della Costituzione italiana, segnando il passaggio ad una nuova fase dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia, caratterizzata da un rinnovato e più forte impegno alla collaborazione "per la promozione dell'uomo e il bene del Paese", nel rispetto della reciproca indipendenza e sovranità.
Giovanni Paolo II, che veniva da un'esperienza personale in un contesto politico nel quale dignità della persona, libertà religiosa e libertas Ecclesiae, sana collaborazione fra le due autorità, erano apparse per tanto tempo beni irraggiungibili, colse con chiarezza il positivo impulso che in tal senso derivava dalla revisione del Concordato lateranense.

Non a caso nel discorso pronunciato il 3 giugno 1985, all'atto dello scambio degli strumenti di ratifica dell'Accordo, notava come "strumento di concordia e collaborazione, il Concordato si situa ora in una società caratterizzata dalla libera competizione delle idee e dalla pluralistica articolazione delle diverse componenti sociali: esso può e deve costituire un fattore di promozione e di crescita, favorendo la profonda unità di ideali e di sentimenti, per la quale tutti gli italiani si sentono fratelli in una stessa Patria". Ed aggiungeva che nell'esercizio della sua diaconia per l'uomo "la Chiesa intende operare nel pieno rispetto dell'autonomia dell'ordine politico e della sovranità dello Stato. Parimenti, essa è attenta alla salvaguardia della libertà di tutti, condizione indispensabile alla costruzione di un mondo degno dell'uomo, che solo nella libertà può ricercare con pienezza la verità e aderirvi sinceramente, trovandovi motivo ed ispirazione per l'impegno solidale ed unitario al bene comune".

L'Accordo, se contribuì a mettere in luce l'infondatezza di antiche e tornanti tesi circa l'inutilità delle pattuizioni concordatarie con le democrazie, si pose immediatamente come paradigma dei Concordati postconciliari, evidenziando i due principi supremi che sono chiamati a presiedere alle relazioni fra Chiesa e comunità politica: quello della distinzione di ambiti e quello della collaborazione. Una collaborazione motivata dal fatto che, come bene ha precisato il Vaticano II nella costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, entrambe, cioè la Chiesa e la comunità politica, "anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane" (n. 76).

3. È qui che si radica la nozione di una sana laicità dello Stato, cioè di una laicità autentica, che è bene condiviso dalla Chiesa non meno che dalla comunità politica. Come ha detto con estrema chiarezza Benedetto XVI nel discorso pronunciato il 24 giugno 2005, in occasione della visita nel Palazzo del Quirinale al Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi, "legittima è dunque una sana laicità dello Stato in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo le norme loro proprie, senza tuttavia escludere quei riferimenti etici che trovano il loro fondamento ultimo nella religione", aggiungendo che "l'autonomia della sfera temporale non esclude un'intima armonia con le esigenze superiori e complesse derivanti da una visione integrale dell'uomo e del suo eterno destino".

In questa prospettiva la Chiesa, pur svolgendo nel rigoroso rispetto dell'ordine proprio dello Stato la missione che è sua, vale a dire l'annuncio della Buona Novella, contribuisce alla crescita della stessa società civile. Perché, come annotava nella stessa occasione Benedetto XVI, "quando il suo messaggio viene accolto, la comunità civile si fa anche più responsabile, più attenta alle esigenze del bene comune, e più solidale con le persone povere, abbandonate ed emarginate", sicché non a caso "scorrendo la storia italiana, si resta impressionati dalle innumerevoli opere di carità a cui la Chiesa, con grandi sacrifici, ha dato vita per il sollievo di ogni genere di sofferenza".

4. Il Concordato italiano in vigore è dunque, al tempo stesso, espressione di sana laicità e strumento che contribuisce a garantire la sana laicità dello Stato.
Innanzitutto perché, in quanto accordo bilaterale, presuppone in maniera imprescindibile e chiara la distinzione tra Stato e Chiesa, che è base di una corretta idea di laicità, e con la sua vigenza continua a postulare nel tempo tale distinzione.
In secondo luogo perché esprime propriamente l'attitudine laica di uno Stato. Che non è quella di ignorare o addirittura contrastare il fenomeno religioso, sulla base di una insussistente contrapposizione tra ragione e fede, tra scienza e credenza, che conduce ad una degenerazione ideologica dello Stato qualificabile come laicismo; ma è quella di considerare il fenomeno religioso come una grandezza di segno positivo che attraversa il corpo sociale, meritevole di tutela, che pertanto lo Stato non ignora né tanto meno combatte, ma garantisce e favorisce, nella consapevolezza della propria incompetenza in materia e, quindi, nel rispetto dell'ordine proprio della Chiesa.

In terzo luogo perché, in quanto actio finium regundorum tra Stato e Chiesa, diviene strumento di consensuale individuazione dei confini che distinguono, nella concretezza della realtà storica, l'ordine dell'uno e l'ordine dell'altra, consentendo un'attuazione pratica e non prevaricatrice del principio, di origine evangelica, della distinzione necessaria tra di loro.

Infine perché diventa, nel pieno rispetto di tutti, strumento efficace per una regolamentazione delle modalità di esercizio del diritto di libertà religiosa dei cattolici, nel contesto della consapevolezza propria di ogni democrazia avanzata, secondo cui compito dello Stato non è solo quello di riconoscere tale libertà come diritto individuale e collettivo, ma anche di rimuovere - nella corretta visione di un'eguaglianza intesa anche in senso sostanziale - gli ostacoli di vario genere che possono, in concreto, impedire o limitare l'esercizio del diritto stesso. Da questo punto di vista alcune recenti sortite che vorrebbero riproporre sul tappeto la questione concordataria appaiono, oltre che antistoriche, in rotta di collisione con la Costituzione della Repubblica italiana

5. Per finire non si può non menzionare anche il Trattato del Laterano, con cui si pose fine all'annosa Questione romana, che aveva dilacerato gli animi di una generazione di italiani. Esso fa parte, come il Concordato, del sistema dei Patti, anzi costituisce il presupposto che ha reso possibile il Concordato, che ne è quindi il logico e necessario complemento.
Il Trattato è chiamato ad assicurare l'assoluta e visibile garanzia dell'indipendenza della Santa Sede nell'esercizio della sua missione universale. È un interesse, questo dell'indipendenza, proprio della Sede Apostolica e dell'intera cattolicità, ma condiviso dallo stesso Stato italiano, il quale, in tutte le sue componenti, è impegnato a tutelare i Patti Lateranensi, come inscindibili strumenti di reciproca libertà e di operosa collaborazione, con obbligo internazionalmente assunto e costituzionalmente confermato.

L'odierna ricorrenza non riveste dunque solo il senso, pure apprezzabile, della memoria di un passato ormai lontano, segnato dall'importante evento della ritrovata pace religiosa in Italia; ma anche quello, attuale e propositivo, di ravvivare la consapevolezza delle ragioni profonde di una collaborazione.


(©L'Osservatore Romano - 11 Febbraio 2006)

Foto sotto: San Pietro prima dei Patti Lateranensi i quali permisero dopo di aprire la strada dedicandola alla Via della RICONCILIAZIONE fra Stato e Chiesa:

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Il Concordato del 1984
La Costituzione italiana prevede, nell'art. 7, la possibilità di giungere a modifiche consensuali degli accordi.
L'Insegnamento della Religione Cattolica nella scuola.


Così dal novembre 1968, con la commissione ministeriale presieduta dall'on. Guido Gonella inizia un lungo iter che porta, attraverso l'elaborazione di ben nove testi, alla firma inaspettata del «Nuovo Concordato» (l'Accordo di revisione del Concordato Lateranense con l'annesso Protocollo addizionale), il 18 febbraio 1984, tra il presidente del Consiglio Bettino Craxi e il segretario di Stato, card. Agostino Casaroli. Centrale per l'Insegnamento della Religione Cattolica è l'art. 9.2, che recita:

Legge n. 121 del 25 marzo 1985, Art. 9.2:
«La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado.
Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento.
All'atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione».

Sono almeno quattro le novità di questo testo, che segna una svolta sostanziale e dà un volto ben preciso alla religione nella scuola, il cui oggetto è «Insegnamento della Religione Cattolica».

La prima novità riguarda le motivazioni invocate per giustificare la presenza dell'Insegnamento della Religione Cattolica nella scuola: pedagogica e storico-sociale.

La seconda consiste nell'estensione dell'Insegnamento della Religione Cattolica a tutti i gradi di scuola non universitari (compresa quindi la materna).

La terza si riferisce alla gestione bilaterale di tale insegnamento. Lo Stato non lo delega alla Chiesa, ma si fa carico dell'Insegnamento della Religione Cattolica come di ogni altra disciplina e lo condivide responsabilmente, per la sua peculiarità, con essa.

La quarta indica il profilo dell'Insegnamento della Religione Cattolica, che si qualifica per le seguenti caratteristiche:
- è un insegnamento che accetta le finalità della scuola;
- è un insegnamento materialmente confessionale, svolto secondo la dottrina della Chiesa e questo garantisce l'autenticità, l'oggettività, la serietà della proposta;
- è un insegnamento offerto a tutti ma non imposto a nessuno, quindi facoltativo e rispettoso della libertà di coscienza degli alunni e delle famiglie.
- È la formula italiana dell'insegnamento scolastico della religione, che la distingue da altre tradizioni e contesti.

Il Protocollo addizionale prevedeva l'Intesa fra Ministero della Pubblica Istruzione e la Conferenza Episcopale Italiana, siglata il 14 dicembre 1985 e modificata il 13 giugno 1990; essa sviluppa quattro aspetti:

- i programmi di Insegnamento della Religione Cattolica;
- le modalità di organizzazione dell'Insegnamento della Religione Cattolica;
- i criteri nella scelta dei libri di testo;
- i profili di qualificazione professionale degli insegnanti di religione.

Tra il mese di giugno del 1986 e quello di luglio del 1987 vengono pubblicati i programmi ministeriali di Insegnamento della Religione Cattolica per tutti e quattro i livelli di scuola (materna, elementare, media, secondaria superiore).

Negli anni successivi il dibattito sull'Insegnamento della Religione Cattolica non si arresta; nella sua gestione sorgono spesso nuovi problemi che vengono affrontati con circolari ministeriali applicative, risoluzioni parlamentari e talvolta sentenze della Corte Costituzionale. Vi sono però dei punti ormai acquisiti.

È riconosciuto che l'Insegnamento della Religione Cattolica resta materia curricolare per quanti se ne avvalgono.
È pacifico che l'Insegnamento della Religione Cattolica è disciplina scolastica e i docenti di religione sono operatori nella scuola e della scuola a pieno titolo.
È acquisito che la scelta dell'Insegnamento della Religione Cattolica non deve dar luogo ad alcuna forma di discriminazione: nella formazione delle classi, nella durata dell'orario scolastico giornaliero, nella collocazione dell'Insegnamento della Religione Cattolica nel quadro dell'orario delle lezioni.
È consuetudine che la scuola offra ai non avvalentesi dell'Insegnamento della Religione Cattolica quattro «alternative».
Anche se rimangono alcune questioni aperte (la realizzazione effettiva delle attività alternative, la difficoltà di definire un organico stabile di docenti nella scuola primaria, lo stato giuridico degli insegnanti di religione), l'Insegnante di Religione riesce ad operare nella scuola in modo complessivamente sereno e costruttivo, svolgendo un servizio culturale ed educativo a favore delle nuove generazioni.

http://www.bologna.chiesacattolica.it/irc/...o/storia/04.php






Monsignor D’Ascenzi ricorda il convegno sul Concordato che si tenne ad Arezzo nell’85
Un aiuto a superare pregiudizi reciproci


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Giovanni D’Ascenzi


Quando il 18 febbraio 1984 fu reso pubblico il testo dell’Accordo di revisione del Concordato stipulato dall’Italia e dalla Santa Sede, rimasi favorevolmente sorpreso dall’attenzione con cui fu accolto dalle componenti politiche, culturali e sociali dell’ambiente aretino, sicché aderii subito all’invito di partecipare all’iniziativa di un convegno a più voci su questo argomento.

Non ero ignaro della presenza in Arezzo di una classe politico-culturale che guardava alla Chiesa con persistente diffidenza, residuo di una visione laicista ancora tenacemente radicata. Non potevo dimenticare la risposta del sindaco di Arezzo all’invito di partecipare alla cerimonia del mio ingresso nella Cattedrale aretina l’11 giugno 1983: «Piuttosto la invito io, prima che entri in Cattedrale, a incontrare il Consiglio comunale nella sede del Comune». Naturalmente risposi declinando l’invito. Altra persistente diffidenza era diffusa nei ceti popolari per il sistema mezzadrile con il quale era gestito il patrimonio, assai consistente, dei benefici ecclesiastici.

La Chiesa di Arezzo, guidata dall’amatissimo vescovo Emmanuele Mignone, era stata a fianco della popolazione durante il passaggio delle truppe tedesche durante la Seconda guerra mondiale. Nel complesso circa trenta sacerdoti avevano donato la vita per proteggere la popolazione delle città e dei villaggi della Valdichiana, del Valdarno, del Pratomagno, del Casentino, del sacro Monte della Verna, di Camaldoli, della Valtiberina, del Chianti. Lo stesso vescovo aveva accolto i senzatetto nel Palazzo vescovile. Più volte era intervenuto con il comando militare tedesco per tutelare la vita di persone in prigione; ma purtroppo con scarsi risultati.

Al primo invito a promuovere un convegno di studio sul nuovo Concordato fecero seguito ripetuti scambi di idee relativamente ai contenuti, alla scelta dei relatori e delle istituzioni e delle persone da invitare. Nel porgere il saluto ai partecipanti al convegno potei dire tra l’altro queste parole: «Debbo confessare che il cammino intercorso tra persone di estrazione diversa, come si suol dire, ha fatto scoprire e alimentare un sincero spirito di amicizia».

In verità un convegno di studio sull’Accordo di revisione del Concordato presentava non poche difficoltà, sia per le polemiche che il Concordato sottoscritto l’11 febbraio 1929 aveva suscitato, sia per il dibattito in sede di Costituente per la formulazione dell’articolo 7 della Costituzione: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale».

L’ambito del convegno di studio fu indicato nel tema: “Concordato 1984: premesse e prospettive”. Si svolse ad Arezzo dal 24 al 26 gennaio 1985. Parteciparono come relatori Pietro Scoppola (con la relazione “Il Concordato del 1929. Profilo storico”); Ombretta Fumagalli Carulli (“I Patti del Laterano: il dibattito parlamentare e le reazioni del Paese”); Carlo Cardia (“Principi costituzionali e Concordato tra Stato e Chiesa cattolica”); Orazio Niceforo (“I cattolici e la scuola: la tentazione integralistica”); Ugo De Siervo (“Scuola pubblica e scuola privata”); Luciano Pazzaglia (“L’insegnamento della religione nella scuola di Stato”); Giulio Andreotti (“Il Concordato di Villa Madama del 1984 e le sue prospettive”); Attilio Nicora (“Le novità del Concordato circa gli enti e i beni ecclesiastici e circa il trattamento economico del clero”); Bruno Benigni (“Assistenza sociale e volontariato. Stato, regioni ed enti locali”); Gennaro Acquaviva e io stesso.

Scorrendo le pagine degli atti pubblicati a cura dell’editrice Quattroventi di Urbino, dopo il telegramma a firma del segretario di Stato cardinale Agostino Casaroli che, nel trasmettere la benedizione del Santo Padre, esprimeva compiacimento, auspicio e interesse a conoscere i risultati del dibattito, segue un ampio ma interessante saluto rivolto ai convegnisti dal sindaco di Arezzo, professor Aldo Ducci, aderente al Partito socialista italiano e noto per il suo passato anticlericale.

Ducci esprimeva il ringraziamento dell’Amministrazione comunale e suo personale per l’iniziativa del convegno sul Concordato del 1984, che affrontava il tema dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia, spesso nel passato tempestosi e accompagnati da pregiudizi reciproci che rendevano difficile il dialogo. Ducci, pur dichiarando la fede religiosa della sua famiglia di origine, non negava di essere stato coinvolto da quel clima anticlericale; tuttavia riconosceva che l’Accordo di revisione del Concordato, stipulato il 18 febbraio 1984, aveva avuto ampio consenso nelle delibere del Parlamento; e riconosceva ancora che un grande contributo al superamento o all’attenuazione del reciproco rifiuto fu favorito dal comportamento generoso dei cattolici nella lotta partigiana, dall’eroismo del clero e in particolare del vescovo Mignone.

Inoltre disse: «Il Concilio è stato un fatto di importanza veramente storica non solo per i credenti, ma anche per i non credenti che hanno visto in esso la dimostrazione di una possibilità di dialogo e di confronto basati sul reciproco rispetto. Per questi motivi Giovanni Battista Roncalli, il grande Papa del Concilio, rappresenta un punto di riferimento morale anche per i laici. Papa Giovanni, con la sua visione fiduciosa dei rapporti possibili e positivi fra genti diverse, fra mondi qualche volta opposti, fra tradizioni culturali e religiose storicamente ostili, ha indicato la possibilità di individuare denominatori comuni ed elementi unificanti tali da consentire la collaborazione e il rispetto nell’affermazione del valore supremo della pace come condizione di ogni avanzamento umano».

Dopo quello del sindaco ci fu il mio saluto in cui spiegai come avevo dato immediata e serena adesione alla proposta rivoltami di promuovere insieme alle componenti laiche della città di Arezzo un convegno di studio sul nuovo Concordato: «Chiesa e istituzioni civili vivono e operano nella stessa società. Talvolta vivono accanto, ma non si conoscono a fondo; forse il convegno potrà giovare perché si realizzi una convivenza aperta a una “collaborazione reciproca per la promozione dell’uomo e il bene del Paese” come opportunamente afferma nell’articolo 1 il testo concordatario».

Aggiunsi: «Questo convegno non potrà compiere miracoli; ci aiuterà tuttavia a guardarci in faccia con lealtà; fors’anche ci aiuterà a gettare dietro le spalle pregiudizi e sospetti, che hanno radici più o meno recenti. C’è un domani da costruire insieme fin da oggi: sia nel piccolo mondo di Arezzo che ci interpella non solo con la presenza dei drogati, degli handicappati, degli anziani, della disoccupazione giovanile, ma anche per la crescita di una coscienza sociale e civile; sia nel mondo più vasto di tutta l’umanità, che ci è sempre meno estraneo. È un mondo che ci interpella e ci stimola ad una partecipazione attiva e cosciente per la soluzione dei problemi della pace, della fame, della libertà per tutti i popoli, di rapporti internazionali improntati al rispetto reciproco.

Un mondo in cui tante frontiere culturali vengono giornalmente ridotte, ma dove ancora lento appare il cammino per il superamento degli egoismi. La Chiesa con il suo messaggio universale di giustizia, di pace e di amore può dare il suo contributo per affratellare realmente uomini e popoli».

http://www.30giorni.it/it/articolo.asp?id=3748




Caterina63
00lunedì 2 febbraio 2009 11:09
Concordato: modifica 1984

Legge 25 marzo 1985, n. 121: Ratifica ed esecuzione dell’accordo con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modifiche al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede

Il Presidente della Repubblica é autorizzato a ratificare l’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.

Piena ed intera esecuzione é data all'accordo con protocollo addizionale di cui all'art. precedente a decorrere dalla sua entrata in vigore in conformità all'art. 13, n. 1, dell'accordo stesso.

ACCORDO
La Santa Sede e la Repubblica italiana
tenuto conto del processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli ultimi decenni e degli sviluppi promossi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II;


avendo presenti, da parte della Repubblica italiana, i principi sanciti dalla sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede, le dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e i rapporti fra la Chiesa e la comunità politica, nonché la nuova codificazione del diritto canonico;


considerato inoltre che, in forza del secondo comma dell'art. 7 Cost. della Repubblica italiana, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti lateranensi, i quali per altro possono essere modificati di comune accordo dalle due Parti senza che ciò richieda procedimenti di revisione costituzionale.

Hanno riconosciuto l’opportunità di addivenire alle seguenti modificazioni consensuali del Concordato lateranense:

1.La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene del Paese.

2.La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare é assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica.

3.È ugualmente assicurata la reciproca libertà di comunicazione e di corrispondenza fra la Santa Sede, la Conferenza Episcopale Italiana, le conferenze Episcopali regionali, i Vescovi, il clero e i fedeli, così come la libertà di pubblicazione e diffusione degli atti e documenti relativi alla missione della Chiesa.

4.È garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

5.La Repubblica italiana riconosce il particolare significato che Roma sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità.

6.La circoscrizione delle diocesi e delle parrocchie é liberamente determinata dall'autorità ecclesiastica. La Santa Sede si impegna a non includere alcuna parte del territorio italiano in una diocesi la cui sede vescovile si trovi nel territorio di altro Stato.

7.La nomina dei titolari di uffici ecclesiastici é liberamente effettuata dall'autorità ecclesiastica. Quest'ultima da comunicazione alle competenti autorità civili della nomina degli Arcivescovi e Vescovi diocesani, dei coadiutori, degli Abati e Prelati con giurisdizione territoriale, così come dei parroci e dei titolari degli altri uffici ecclesiastici rilevanti per l'ordinamento dello Stato.

8.Salvo che per la diocesi di Roma e per quelle suburbicarie, non saranno nominati agli uffici di cui al presente articolo ecclesiastici che non siano cittadini italiani.

9.I sacerdoti, i diaconi ed i religiosi che hanno emesso i voti hanno facoltà di ottenere, a loro richiesta, di essere esonerati dal servizio militare oppure assegnati al servizio civile sostitutivo.

10.In caso di mobilitazione generale gli ecclesiastici non assegnati alla cura d'anime sono chiamati ad esercitare il ministero religioso fra le truppe, oppure, subordinatamente, assegnati ai servizi sanitari.

11.Gli studenti di teologia, quelli degli ultimi due anni di propedeutica alla teologia ed i novizi degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica possono usufruire degli stessi rinvii dal servizio militare accordati agli studenti delle università italiane.

12.Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero.

13.Gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità ecclesiastica.

14.Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all'autorità ecclesiastica.

15.L'autorità civile terrà conto delle esigenze religiose delle popolazioni, fatte presenti dalla competente autorità ecclesiastica, per quanto concerne la costruzione di nuovi edifici di culto cattolico e delle pertinenti opere parrocchiali.

16.La Repubblica italiana riconosce come giorni festivi tutte le domeniche e le altre festività religiose determinate d'intesa tra le parti.

17.La Repubblica italiana, richiamandosi al principio enunciato dall'art. 20 Cost., riafferma che il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di una associazione o istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.

18.Ferma restando la personalità giuridica degli enti ecclesiastici che ne sono attualmente provvisti, la Repubblica italiana, su domanda dell’autorità ecclesiastica o con il suo assenso, continuerà a riconoscere la personalità giuridica degli enti ecclesiastici aventi sede in Italia, eretti o approvati secondo le norme del diritto canonico, i quali abbiano finalità di religione o di culto. Analogamente si procederà per il riconoscimento agli effetti civili di ogni mutamento sostanziale degli enti medesimi.

19.Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione. Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime.

20.Gli edifici aperti al culto, le pubblicazioni di atti, le affissioni all’interno o all'ingresso degli edifici di culto o ecclesiastici, e le collette effettuate nei predetti edifici, continueranno ad essere soggetti al regime vigente.

21.L'amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici é soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico. Gli acquisti di questi enti sono però soggetti anche ai controlli previsti dalle leggi italiane per gli acquisti delle persone giuridiche.

22.All'atto della firma del presente Accordo, le Parti istituiscono una Commissione paritetica per la formulazione delle norme da sottoporre alla loro approvazione per la disciplina di tutta la materia degli enti e beni ecclesiastici e per la revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano e degli interventi del medesimo nella gestione patrimoniale degli enti ecclesiastici. In via transitoria e fino all'entrata in vigore della nuova disciplina restano applicabili gli art. 17, comma terzo, 18, 27, 29 e 30 del precedente testo concordatario.

23.Sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico, a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione, il parroco o il suo delegato spiegherà ai contraenti gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti ed i doveri dei coniugi, e redigerà quindi, in doppio originale, l’atto di matrimonio, nel quale potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile.

24.
La Santa Sede prende atto che la trascrizione non potrà avere luogo:
a- quando gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa l’età richiesta per la celebrazione;
b- quando sussiste fra gli sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile
.

25.La trascrizione é tuttavia ammessa quando, secondo la legge civile, l’azione di nullità o di annullamento non potrebbe essere più proposta.

26.La richiesta di trascrizione é fatta, per iscritto, dal parroco del luogo dove il matrimonio é stato celebrato, non oltre i cinque giorni dalla celebrazione. L'ufficiale dello stato civile, ove sussistano le condizioni per la trascrizione, l’effettua entro ventiquattro ore dal ricevimento dell’atto e ne dà notizia al parroco. Il matrimonio ha effetti civili dal momento della celebrazione, anche se l’ufficiale dello Stato civile, per qualsiasi ragione, abbia effettuato la trascrizione oltre il termine prescritto. La trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l’opposizione dell'altro, sempre che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi.

27.Le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo, sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della Corte d'appello competente, quando questa accerti:
a- che il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa in quanto matrimonio celebrato in conformità del presente articolo;
b- che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici é stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell'ordinamento italiano;
c- che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere. La Corte d'appello potrà, nella sentenza intesa a rendere esecutiva una sentenza canonica, statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia.


28.Nell'accedere al presente regolamento della materia matrimoniale la Santa Sede sente l’esigenza di riaffermare il valore immutato della dottrina cattolica sul matrimonio e la sollecitudine della Chiesa per la dignità ed i valori della famiglia, fondamento della società.

29.La Repubblica italiana, in conformità al principio della libertà della scuola e dell'insegnamento e nei termini previsti dalla propria Costituzione, garantisce alla Chiesa cattolica il diritto di istituire liberamente scuole di ogni ordine e grado ed istituti di educazione. A tali scuole che ottengono la parità é assicurata piena libertà, ed ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole dello Stato e negli altri enti territoriali, anche per quanto concerne l’esame di Stato.

30.La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, é garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. All’atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto su richiesta dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione.

31.Gli istituti universitari, i seminari, le accademie, i collegi e gli altri istituti per ecclesiastici e religiosi o per la formazione nelle discipline ecclesiastiche, istituiti secondo il diritto canonico, continueranno a dipendere unicamente dall'autorità ecclesiastica.

32.I titoli accademici in teologia e nelle altre discipline ecclesiastiche, determinate d'accordo tra le Parti, conferiti dalle Facoltà approvate dalla Santa Sede, sono riconosciuti dallo Stato. Sono parimenti riconosciuti i diplomi conseguiti nelle Scuole vaticane di paleografia, diplomatica e archivistica e biblioteconomia.

33.Le nomine dei docenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e dei dipendenti istituti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo religioso, della competente autorità ecclesiastica.

34.La Repubblica italiana assicura che l’appartenenza alle Forze armate, alla polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negli istituti di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell'esercizio della libertà religiosa o nell'adempimento delle pratiche di culto dei cattolici.

35.L'assistenza spirituale ai medesimi é assicurata da ecclesiastici nominati dalle autorità italiane competenti su designazione dell'autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l’organico e le modalità stabiliti d'intesa fra tali autorità.

36.La Santa Sede e la Repubblica italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico. Al fine di armonizzare l’applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d'interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche. La conservazione e la consultazione degli archivi d'interesse storico e delle biblioteche dei medesimi enti e istituzioni saranno favorite e agevolate sulla base di intese tra i competenti organi delle due Parti.

37.La Santa Sede conserva la disponibilità delle catacombe cristiane esistenti nel suolo di Roma e nelle altre parti del territorio italiano con l’onere conseguente della custodia, della manutenzione e della conservazione, rinunciando alla disponibilità delle altre catacombe. Con l’osservanza delle leggi dello Stato e fatti salvi gli eventuali diritti di terzi, la Santa Sede può procedere agli scavi occorrenti ed al trasferimento delle sacre reliquie.

38.Le disposizioni precedenti costituiscono modificazioni del Concordato lateranense accettate dalle due Parti, ed entreranno in vigore alla data dello scambio degli strumenti di ratifica. Salvo quanto previsto dall'art. 7, n. 6, le disposizioni del Concordato stesso non riprodotte nel presente testo sono abrogate.

39.Ulteriori materie per le quali si manifesti l’esigenza di collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato potranno essere regolate sia con nuovi accordi tra le due Parti sia con intese tra le competenti autorità dello Stato e la Conferenza Episcopale Italiana.

40.Se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata.

Roma, diciotto febbraio millenovecentottantaquattro

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PROTOCOLLO ADDIZIONALE

Al momento della firma dell'Accordo che apporta modificazioni al Concordato lateranense la Santa Sede e la Repubblica italiana, desiderose di assicurare con opportune precisazioni la migliore applicazione dei Patti lateranensi e delle convenute modificazioni, e di evitare ogni difficoltà di interpretazione, dichiarano di comune intesa:


1. In relazione all'art. 1.


Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano.


2. In relazione all'art. 4.


Con riferimento al n. 2,

a- si considerano in cura d'anime gli ordinari, i parroci, i vicari parrocchiali, i rettori di chiese aperte al culto ed i sacerdoti stabilmente addetti ai servizi di assistenza spirituale di cui all'art. 11.

b- La Repubblica italiana assicura che l’autorità giudiziaria darà comunicazione all'autorità ecclesiastica competente per territorio dei procedimenti penali promossi a carico di ecclesiastici.

c- La Santa Sede prende occasione dalla modificazione del Concordato lateranense per dichiararsi d'accordo, senza pregiudizio dell'ordinamento canonico, con L’interpretazione che lo Stato dà dell'art. 23, comma secondo, del Trattato Lateranense, secondo la quale gli effetti civili delle sentenze e dei provvedimenti emanati da autorità ecclesiastiche, previsti da tale disposizione, vanno intesi in armonia con i diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini italiani.

3. In relazione all'art. 7.


a- La Repubblica italiana assicura che resterà escluso l’obbligo per gli enti ecclesiastici di procedere alla conversione di beni immobili, salvo accordi presi di volta in volta tra le competenti autorità governative ed ecclesiastiche, qualora ricorrano particolari ragioni.

b- La Commissione paritetica, di cui al n. 6, dovrà terminare i suoi lavori entro e non oltre sei mesi dalla firma del presente Accordo.

4. In relazione all'art. 8.


a- Ai fini dell'applicazione del n. 1, lett. b) si intendono come impedimenti inderogabili della legge civile:

1- l’essere uno dei contraenti interdetto per infermità di mente;
2- la sussistenza tra gli sposi di altro matrimonio valido agli effetti civili;
3- gli impedimenti derivanti da delitto o da affinità in linea retta.

b- Con riferimento al n. 2, ai fini dell'applicazione degli artt. 796 e 797 del codice italiano di procedura civile, si dovrà tener conto della specificità dell'ordinamento canonico dal quale é regolato il vincolo matrimoniale, che in esso ha avuto origine.
In particolare:
1- si dovrà tener conto che i richiami fatti dalla legge italiana alla legge del luogo in cui si é svolto il giudizio si intendono fatti al diritto canonico;
2- si considera sentenza passata in giudicato la sentenza che sia divenuta esecutiva secondo il diritto canonico;
3- si intende che in ogni caso non si procederà al riesame del merito.

c- Le disposizioni del n. 2 si applicano anche ai matrimoni celebrati prima dell'entrata in vigore del presente Accordo, in conformità alle norme dell'art. 34 del Concordato lateranense e della l. 27 maggio 1929, n. 847, per i quali non sia stato iniziato il procedimento dinanzi all'autorità giudiziaria civile, previsto dalle norme stesse.

5. In relazione all'art. 9.

a- L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole indicate al n. 2 é impartito - in conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni - da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica, nominati, d'intesa con essa, dall'autorità scolastica. Nelle scuole materne ed elementari detto insegnamento può essere impartito dall'insegnante di classe, riconosciuto idoneo dall'autorità ecclesiastica, che sia disposto a svolgerlo.

b- Con successiva intesa tra le competenti autorità scolastiche e la Conferenza Episcopale Italiana verranno determinati:
1.i programmi dell'insegnamento della religione cattolica per i diversi ordini e gradi delle scuole pubbliche;
2.le modalità di organizzazione di tale insegnamento, anche in relazione alla collocazione nel quadro degli orari delle lezioni;
3.i criteri per la scelta dei libri di testo;
4.i profili della qualificazione professionale degli insegnanti.

c- Le disposizioni di tale articolo non pregiudicano il regime vigente nelle Regioni di confine nelle quali la materia e disciplinata da norme particolari.

6. In relazione all'art. 10.

La Repubblica italiana, nell'interpretazione del n. 3 - che non innova l’art. 38 del Concordato dell'11 febbraio 1929 - si atterrà alla sentenza 195/1972 della Corte costituzionale relativa al medesimo articolo.


7. In relazione all'art. 13, n. 1.


Le Parti procederanno ad opportune consultazioni per l’attuazione, nel rispettivo ordine, delle disposizioni del presente Accordo. Il presente Protocollo addizionale fa parte integrante dell'Accordo che apporta modificazioni al Concordato lateranense contestualmente firmato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana.


Roma, diciotto febbraio millenovecentottantaquattro.

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Caterina63
00lunedì 2 febbraio 2009 11:12
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Patti Lateranensi

Denominazione sotto cui è noto il trattato stipulato (11. 2. 1929) tra il governo italiano e la Santa Sede.

L'annessione al Regno d'Italia dei territori appartenenti allo Stato Pontificio, culminata nella presa di Roma
(20. 9. 1870), aveva aperto un lungo periodo di dissidio tra il papato e il governo italiano.

All'indomani dell'occupazione di Roma lo Stato volle regolare i rapporti con la Chiesa per mezzo della cosiddetta legge delle guarentigie (13. 5. 1871), con la quale si assicurava al pontefice il libero esercizio delle sue funzioni di capo della Chiesa cattolica, riconoscendogli prerogative sovrane, tra le quali il diritto di legazione attiva e passiva, e assegnandogli una cospicua dotazione annua.

La legge delle guarentigie costituiva tuttavia un atto unilaterale del governo italiano, e papa Pio IX rifiutò di accettarla, non riconoscendo la situazione di fatto creatasi dopo l'occupazione della capitale da parte delle truppe italiane.

Si aprì così, tra Chiesa e Stato, un periodo di forti tensioni, che avrebbe largamente influenzato la vita politica del Regno d'Italia, creando una difficile situazione nazionale e internazionale. Agli atteggiamenti anticlericali di alcune forze politiche del paese si contrapponeva l'irrigidimento delle gerarchie ecclesiastiche, culminato nella formula “né eletti né elettori”, con la quale si proibiva ai cattolici di prendere parte alla vita politica.

Alcuni tentativi di comporre il dissidio tra Chiesa e Stato, messi in atto durante il pontificato di Leone XIII (1878-1903), non ebbero successo, malgrado le molte speranze suscitate.

La situazione subì un mutamento solo verso la fine dell'Ottocento.

Durante il governo di G. Giolitti iniziò infatti un progressivo riavvicinamento tra le due parti, determinato, fra l'altro, dalla comune preoccupazione di fronte alle affermazioni elettorali socialiste. Con il patto concordato da V.O. Gentiloni (1913) i cattolici diedero il loro voto ai candidati liberali, che avevano aderito ad alcuni punti programmatici (libertà della scuola, opposizione al divorzio ecc.). Il processo di distensione continuò dopo la prima guerra mondiale con l'abrogazione ufficiale del non expedit e la revoca (1920) delle disposizioni vaticane relative alle visite dei capi di Stato cattolici a Roma.

Si era giunti ormai alle soglie della conciliazione. Un primo progetto di soluzione concordataria fu trattato in forma ufficiosa tra il presidente del Consiglio V.E. Orlando e monsignor B. Cerretti, in margine alla conferenza di Versailles (28.6.1919). Tali trattative fallirono però per la caduta del gabinetto Orlando e soprattutto per la ferma opposizione del re Vittorio Emanuele III, fedele alla vecchia formula separatista.

Dopo l'avvento del regime fascista, una lettera di papa Pio XI al segretario di Stato cardinale P. Gasparri manifestò (1926), sia pure in forma implicita, la disponibilità del pontefice ad aprire trattative per risolvere l'annosa questione.

Le trattative, condotte dall'avvocato F. Pacelli per il Vaticano e da B. Mussolini e A. Rocco per il Governo italiano, portarono, attraverso l'elaborazione di vari schemi, al testo definitivo del 1929.

Gli accordi del Laterano, firmati da B. Mussolini e da P. Gasparri (11.2.1929) e quindi ratificati con una apposita legge (27.5.1929, n. 810), consistono di due protocolli:

- un trattato con annessa una convenzione finanziaria e
- un concordato.


Il trattato (in ventisette articoli e una premessa, cui seguono quattro allegati) riconosce la necessità, “per assicurare
alla Santa Sede l'assoluta e visibile indipendenza”, di costituire un territorio autonomo sul quale il pontefice possa esercitare la sua piena sovranità. Veniva così creato lo Stato della Città del Vaticano. Si confermava inoltre
l'articolo 1 dello Statuto albertino, in virtù del quale “la religione cattolica, apostolica e romana” era considerata
la sola religione dello Stato.

La persona del papa era dichiarata sacra e inviolabile, particolari privilegi venivano concessi alle persone residenti nella Città del Vaticano, e il patrimonio immobiliare della Santa Sede (di cui veniva fornito un elenco dettagliato) godeva di numerose esenzioni specie dal punto di vista tributario. La convenzione finanziaria liquidava le pendenze economiche fra le due parti mediante un cospicuo versamento da parte del governo italiano e la cessione di una congrua quantità di titoli azionari quale indennizzo dei danni subiti dalla Santa Sede con l'annessione degli Stati ex pontifici all'Italia e la conseguente liquidazione di gran parte dell'asse patrimoniale ecclesiastico.

Il concordato (quarantacinque articoli e una premessa), destinato a regolare i rapporti tra la Chiesa e lo Stato,
assicura alla Chiesa la libertà nell'esercizio del potere spirituale, garantendo alcuni privilegi agli ecclesiastici (esonero dalla leva militare, speciale trattamento penale ecc.); riconosce gli effetti civili del matrimonio religioso e delle
sentenze di nullità dei tribunali ecclesiastici; assicura infine l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali
di ogni ordine e grado, come pure l'assistenza spirituale alle forze armate e agli ospedali.

La stipulazione dei patti lateranensi venne accolta favorevolmente da larga parte dell'opinione pubblica italiana e straniera. Chiari dissensi furono però manifestati da gruppi liberali
(celebre l'intervento di B. Croce durante la discussione in Senato) e dai cattolici antifascisti S. Jacini, L. Sturzo).

I patti lateranensi vennero ratificati nel maggio 1929, dopo un momento di ulteriore tensione fra le parti, dovuto in particolare alla divergente interpretazione di B. Mussolini e di Pio XI sull'effettiva portata delle norme concordatarie. La conciliazione tra Chiesa e Stato fu accolta e confermata dalla Costituzione repubblicana del 1947 che all'art. VII dichiara: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai patti lateranensi».

Le trattative, in corso dal 1969 fra il Vaticano e il Governo italiano per una revisione e un adattamento del concordato, sono arrivate il 18.2.1984 dopo numerosi tentativi di revisione a partire dal 1976.

Il nuovo concordato, che cerca di salvaguardare la libertà religiosa e la libertà della Chiesa cattolica, oltre ad aver
reso facoltativo l'insegnamento della religione cattolica, ha abolito la congrua al clero.

Testo tratto dal CD-Rom Enciclopedia Bompiani © 1995 R.C.S. Libri e Grandi Opere S.p.a.



LE LEGGI DEI
PATTI LATERANENSI


L. 27/5/1929 n° 810 Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi al Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e I'Italia, l'11 febbraio 1929.
[Pubblicata nel Suppl. ord. Gazz. Uff. 5 giugno 1929, n. 130].

L. 27/5/1929 n° 847 Disposizioni per l'applicazione del Concordato dell'11 febbraio 1929
fra la Santa Sede e l'Italia, nella parte relativa al matrimonio.
[Pubblicata nella Gazz. Uff 8 giugno 1929, n. 133.

L. 27/5/1929 n° 848 Disposizioni sugli enti ecclesiastici e sulle amministrazioni civili dei patrimoni destinati a fini di culto.
[Pubblicata nella Gazz. Uff. 8 giugno 1929, n. 133.

L. 25/3/1985 n° 121 Ratifica ed esecuzione dell'Accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.
[Pubblicata nel Suppl. ord. Gazz. Uff. 10 aprile 1985, n. 85].

L. 20/5/1985 n° 206 Ratifica ed esecuzione del protocollo, firmato a Roma il 15 novembre 1984, che approva le norme per la disciplina della materia degli enti e beni ecclesiastici formulate dalla commissione paritetica istituita dall'articolo 7, n. 6, dell'accordo, con protocollo addizionale, dei 18 febbraio 1984 che ha apportato modificazioni al concordato lateranense del 1929 tra lo Stato italiano e la Santa Sede.
[Pubblicata nel Suppl. ord. Gazz. Uff. 27 maggio 1985, n. 123].
L. 20/5/1985 n° 222 Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastíci in Italia
e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi.
[Pubblicata nel Suppl. ord. Gazz. Uff. 3 giugno 1985, n. 129].

PATTI LATERANENSI
I COLLOQUI - LE TRATTATIVE - LA FIRMA

PREMESSA:


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Le trattative che sfociarono nei Patti Lateranensi tra Italia e Vaticano siglati in data 11 febbraio 1929 erano durate trenta mesi. I primi contatti furono infatti avviati nell'agosto 1926, con tutta la cautela dei preliminari ufficiosi, ma con una buona disposizione di Mussolini a definire il discorso conciliatore.
In precedenza - prima, durante e dopo la guerra- si erano registrate alcune speranze, ma vennero subito vanificate.
Una accesa discussione si registrò nel 1921, quando la "questione romana" fu riaperta dalla stampa romana (dal Messaggero). Intervennero quasi tutti i giornali italiani, ed anche quelli stranieri. Tutti gli interventi dettero luogo a vivaci discussioni intorno alle relazioni tra lo Stato italiano e la S. Sede.


Solo a partire dalla metà degli Anni Venti riprende con decisione da entrambe le parti, ma i protagonisti delle trattative segrete nella Roma ignara e indifferente non sono - come si potrebbe ritenere - il Pontefice e il Re, e neppure il cardinale Sostituto e Mussolini firmatari poi degli accordi, bensì due tenaci funzionari che in questi trenta mesi mostrano di possedere equilibrio e pazienza in dosi sovrumane. Sono l'avvocato nobile Francesco Pacelli in rappresentanza vaticana e il consigliere di Stato professore Domenico Barone delegato italiano.
II nobile Francesco Pacelli appartiene ad una famiglia che gode fiducia da sempre nella città leonina. Suo padre Filippo ha esercitato a lungo le funzioni di avvocato concistoriale; suo fratello Eugenio - futuro PIO XII - lavora negli ambienti curiali fin dall'ordinazione sacerdotale ed ha concluso da poco un concordato con la Baviera (1925), mentre sta trattando analoghi patti con la Prussia e con il Baden (ne siglerà poi un altro nel '33 con la Germania).

Francesco Pacelli nato a Roma nel 1874 viene considerato un esperto di diritto delle acque pubbliche, prima della trattativa concordataria. Per la sua opera otterrà poi il titolo di marchese, e più tardi la famiglia può fregiarsi dell'investitura principesca vaticana.
Il professore Domenico Barone è un funzionario che si è messo in evidenza più volte per la serietà e la capacità. Proviene da una modesta famiglia di Napoli, dove nasce nel 1879, ma sin dal 1902 vince il concorso di magistratura e nel 1919 entra nel Consiglio di Stato. Con il Fascismo diventa membro della cosiddetta Commissione dei Diciotto (creata per studiare alcune riforme costituzionali, tra cui l'inserimento delle corporazioni nel Parlamento) e cura la principale relazione sui «Rapporti tra potere esecutivo e potere legale». Al momento dell'incarico per i contatti conciliatori, su incarico del ministro Alfredo Rocco, sta studiando la revisione dei codici. Non riesce a vedere maturare i frutti del suo mastodontico lavoro di preparazione perché la morte lo raggiunge a soli 49 anni, a poco più di un mese dalla conclusione della trattativa.
Mussolini fin dal 1925 (ma anche fin dal 1921) ha mostrato alcuni segni di benevolenza verso la Chiesa (tra cui, apprezzata, la riammissione del Crocifisso nelle aule scolastiche) e a sua volta il Pontefice non ha mancato occasioni per pronunciarsi in modo distensivo verso l'Italia.

Nel il 1927, i colloqui si arenarono. Punto d'attrito fu la questione giovanile, già affiorata con la nascita dell'Opera Nazionale Balilla e riacutizzata con lo scioglimento dei gruppi sportivi e degli esploratori cattolici (Scouts). I Fascisti dissero chiaro e tondo che erano disposti a riconoscere l'Azione Cattolica Giovanile (forte di 200.00 iscritti) quale associazione di fatto, ma di non poter ammettere la concorrenza degli scouts ai Balilla.
Il contrasto coinvolse la stampa, che ignorando le delicate trattative per la "Questione romana", si buttò (come nel 1921) a capofitto nello scambiare con i giornali cattolici frecciate e articoli polemici.
A calmare le acque di questi attriti (e forse molti non capirono) giunse un "foglio d'ordini" del PNF (il n. 37 diramato il 20 ottobre); dichiarava che "nessun nodo vi fu mai nella storia che non sia stato sciolto o dalla forza o dalla pazienza o dalla saggezza".

Questa mossa arrivò a chi doveva arrivare, al di là del Tevere, per tranquillizzare le acque. Ma servì a Mussolini anche per chiudere la bocca a Giovanni Gentile che sul Corriere della Sera del 30 settembre aveva espresso il proprio laicismo con un articolo piuttosto duro: "La verità è che la famosa conciliazione, tanto vagheggiata da Cavour e da Crispi e dopo, è utopia; e se, come notava il Manzoni, ci sono utopie belle e utopie brutte, questa della conciliazione non è da mettersi tra le prime". Poi il filosofo rincarò la dose: "La conciliazione giuridica sarebbe sì la fine di un dissidio ma sarebbe pure il principio di nuovi dissidi e nuove lotte sullo stesso terreno su cui oggi si svolgono non sempre cordialmente i rapporti tra la Chiesa e gli Stati fuori d'Italia...Nessuna amicizia più travagliata di quella degli amici che hanno qualcosa da dividere!".

Seguirono con un fitto calendario altri incontri, nella massima segretezza, come leggeremo nel discorso alla Camera di Mussolini. Fin quando si giunse alla fatidica data del 11 febbraio del 1929.

"Lunedì prossimo, 11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, avrà luogo la firma dei patti che sanciranno la Conciliazione fra la Chiesa e lo Stato italiano dopo quasi settant'anni di « guerra fredda ».
Questa fu la clamorosa notizia che cominciò a circolare la sera del 7 febbraio 1929; che raggiunse le redazioni dei giornali, ma né il Vaticano né il Governo italiano la confermò. Ed infatti, Mussolini che era stato informato della notizia mise il veto alla pubblicazione. Ci fu perfino una smentita il giorno 8, ma il 10 la notizia era nuovamente nelle redazioni, confermando che il giorno dopo sarebbe avvenuto lo storico evento.
(Si seppe poi in seguito che era stato il cardinale Gasparri ad inviare queste notizie)
Molti corsero in Vaticano perchè si confermasse la notizia, e vollero perfino vedere se c'erano preparativi nella sala dei Papi. Nulla. Giornalisti di tutte le testate e quasi centomila romani stazionarono il giorno 11 a Piazza S. Pietro; ma fino a mezzogiorno non accadde nulla; poi arrivò la notizia.

Infatti, la firma dei patti era avvenuta regolarmente, ma nel palazzo di San Giovanni in Laterano. Presenti nessun giornalista. E tuttavia probabile che il segreto sia stato voluto soprattutto da Mussolini per la ragione che, fino all'ultimo momento, le trattative rischiarono spesso di essere interrotte. Mentre la scelta del luogo è possibile supporre sia stata dal Vaticano dettata da motivi storico-religiosi: il palazzo Laterano, infatti, è quello più legato, fra tutti gli edifici romani, alla storia della Chiesa. Lì ci furono onorate le prime cerimonie sotto l'imperatore Costantino; lì i primi riti ufficiali; lì vennero celebrati alcuni Concilii ecumenici di fondamentale importanza, tra i quali quello del 1215, che stabilì il primato del pontefice romano. E lì, per un millennio, ebbe la sua sede il papato. Furono forse anche ragioni polemiche a suggerire la scelta: nella basilica del Laterano sulle mura del complesso erano ancora visibili i segni delle cannonate sparate dagli italiani nel 1870, in occasione della presa di Roma.

Furono così molto pochi i privilegiati testimoni dello storico avvenimento.
Mussolini vi giunse alle 11 precise. Ad attenderlo trovò monsignor Ercole, l'avvocato Francesco Pacelli e monsignor Borgoncini Duca, il primo nunzio apostolico presso il Quirinale.
Mussolini apparve un po' agitato e imbarazzato; sa che la componente anticlericale, in seno al partito fascista è forte, e sa pure che il suo passato contraddice il solenne atto che ora si accinge a compiere.
Con lui c'è il ministro della Giustizia Alfredo Rocco (che ha seguito le trattative dal punto di vista giuridico in veste di consigliere segreto del capo del governo), il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Francesco Giunta, e il sottosegretario agli Esteri, Dino Grandi
Il cardinale segretario di Stato Gasparri li attende in cima alle scale, attorniato da uno stuolo di monsignori. Indossa una tonaca rossa; Mussolini si china nel saluto e il cardinale accoglie il capo del governo con queste parole: «Eccellenza, alla vigilia dell'anniversario dell'incoronazione del Santo Padre e ai primi vespri della Madonna di Lourdes, le do' il benvenuto nella casa parrocchiale del Papa ».

Mussolini, non essendo preparato ad un saluto di tal genere, non sa che cosa rispondere, sono tutti imbarazzati, tranne gli ecclesiastici che si muovono nei saloni soddisfatti e a loro agio. Mussolini nel vedere lo splendore del palazzo ammira la grandiosità dell'edificio e chiede: « È magnifico. Chi ha avuto l'idea di fare la firma in questo palazzo? ». Nessuno risponde ma l'avvocato Pacelli si china per rivendicarne il merito. Dunque è stato lui a suggerire l'idea a Pio XI, che proprio in quella stessa Basilica è stato consacrato sacerdote nel lontano 20 dicembre 1879.

Nella « Sala dei Papi» o « del Concistoro » è stato preparato un gran tavolo coperto da un tappeto. Al centro del tavolo siedono Gasparri e Mussolini. Alla destra del cardinale prendono posto monsignor Borgoncini Duca, monsignor Pizzardo e l'avvocato Pacelli; alla sinistra di Mussolini il ministro Rocco e poi Giunta e Grandi. Davanti a Gasparri ed a Mussolini i tecnici dell'Istituto LUCE hanno piazzato una macchina da presa. Appena la vede, Mussolini si volta verso Alessandro Sardi, responsabile del « LUCE » e gli dice: « Prima di pubblicare devi farmi vedere... L'avvenimento è troppo importante!».
Prima di cominciare la cerimonia, mentre già le delegazioni sono in piedi intorno al tavolo, il cardinale Gasparri invita Mussolini ad appartarsi con lui. Tutti si guardano con apprensione, chiedendosi se non ci sia qualche ripensamento all'ultimo minuto, ma presto vedono Mussolini assentire sorridendo e il cardinale che lo ringrazia.

Prima viene firmato il Trattato, quindi il Concordato, poi gli allegati e le mappe predisposte sul tavolo. Alla fine Mussolini prende la parola parlando di fossati colmati e di incomprensioni risolte. Anche Gasparri pronuncia poche parole commosse: per lui, come per il Duce, quel giorno segna il coronamento di un lungo sogno. Intanto il capo dell'ufficio stampa dal portone del palazzo esce ad annuncia a due giornalisti presenti che avevano fiutato l'evento e alla folla che nel frattempo è aumentata, l'avvenuta firma dei Patti Lateranensi.
A mezzogiorno è tutto finito. Andandosene, dopo i saluti, Mussolini ordina di diramare la notizia della Conciliazione alla Stefani: ha già disposto che i giornali escano in edizione straordinaria, ovviamente fa lui i titoli, e cosa deve essere messo in risalto (vedi sopra la prima pagina del giornale).

Poi si allontana in macchina. Nello stesso tempo in piazza San Pietro la folla, diventata più numerosa, ha appreso la notizia quasi subito dall'Osservatore romano, che è stato il primo giornale ad uscire in edizione straordinaria. Il cardinale Gasparri aveva dato le opportune istruzioni. Aspettavano in tipografia solo l'avvenuta firma per andare in macchina. Gli altri quotidiani della capitale, invece, escono soltanto nel pomeriggio, giacché sono obbligati a riportare il comunicato della Stefani, con un ampio riassunto del Trattato e del Concordato. Che riportiamo in una sintesi.

"Il Trattato, premesso che le due parti contraenti « hanno riconosciuto la convenienza di eliminare ogni ragione di dissidio fra loro esistente », si apre riaffermando «il principio consacrato nell'articolo 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, per il quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato ». Riconosce « alla Santa Sede la piena proprietà e l'esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano, com'è attualmente costituito », creando così la Città del Vaticano, dichiara che nella medesima non potrà « esplicarsi alcuna ingerenza da parte del governo italiano e che non vi sarà altra autorità che quella della Santa Sede ». La piazza San Pietro, pur facendo parte del territorio della Città del Vaticano, continuerà ad essere normalmente aperta al pubblico e soggetta ai poteri della polizia delle autorità italiane. I confini della Città del Vaticano vengono indicati in una pianta allegata".

"Un altro articolo del Trattato stabilisce che lo Stato italiano provvederà a tutti i servizi pubblici nella Città del Vaticano, compresa una stazione ferroviaria, nonché « al collegamento, direttamente anche con gli altri Stati, dei servizi telegrafici, telefonici, radiotelegrafici, radiotelefonici e postali ». Vengono contemplati altresì ulteriori « accordi tra la Santa Sede e lo Stato italiano per la circolazione nel territorio di quest'ultimo dei veicoli terrestri e degli aeromobili della Città del Vaticano ». Inoltre si precisa che le persone aventi stabile residenza nella Città del Vaticano, sono soggette alla sovranità della Santa Sede. Vengono altresì fissate le franchigie di cui godranno, pur non risiedendo in detta città, « i dignitari della Chiesa, le persone appartenenti alla corte pontificia » e « i funzionari di ruolo dichiarati dalla Santa Sede indispensabili », come pure vengono stabilite le immunità territoriali delle basiliche patriarcali e di alcuni edifici situati fuori della Città del Vaticano, sedi di congregazioni nonché di uffici della amministrazione vaticana. «L'Italia riconosce alla Santa Sede il diritto di legazione attivo e passivo secondo le regole generali del diritto internazionale». «Le altre parti contraenti si impegnano a stabilire tra loro normali rapporti diplomatici, mediante accreditamento di un ambasciatore italiano presso la Santa Sede e di un Nunzio pontificio presso l'Italia, il quale sarà il decano del corpo diplomatico ai termini del diritto consuetudinario riconosciuto dal Congresso di Vienna con atto del 9 giugno 1815 ».

" Viene inoltre stabilito che: « I tesori d'arte e di scienza esistenti nella Città del Vaticano e nel Palazzo Lateranense rimarranno visibili agli studiosi ed ai visitatori ». Un altro articolo del Trattato precisa che: « A richiesta della Santa Sede e per delegazione che potrà essere data nei singoli casi o in modo permanente, l'Italia provvederà nel suo territorio alla punizione dei delitti che venissero commessi nella Città del Vaticano ». Oltre a ciò: « La Santa Sede consegnerà allo Stato italiano le persone che si fossero rifugiate nella Città del Vaticano, imputati di atti, commessi nel territorio italiano, che siano ritenuti delittuosi dalle leggi di ambedue gli Stati ».
"Si dichiara anche che la Santa Sede « vuole rimanere e rimarrà estranea alle competizioni temporali fra gli altri Stati ed ai congressi internazionali indetti per tale oggetto, a meno che le parti contendenti facciano concorde appello alla sua missione di pace, riservandosi in ogni caso di far valere la sua potestà morale e spirituale. In conseguenza di ciò la Città del Vaticano sarà sempre ed in ogni caso considerata territorio neutrale ed inviolabile ».

"Segue una dichiarazione finale:

« La Santa Sede ritiene che con gli accordi, i quali sono oggi sottoscritti, le viene assicurato adeguatamente quanto le occorre per provvedere con la dovuta libertà ed indipendenza al governo pastorale della diocesi di Roma e della Chiesa cattolica in Italia e nel mondo; dichiara definitivamente ed irrevocabilmente compiuta e quindi eliminata la questione romana e riconosce il Regno d'Italia sotto la dinastia di Casa Savoia con Roma capitale dello Stato italiano. Alla sua volta l'Italia riconosce lo Stato della Città del Vaticano sotto la sovranità del Sommo Pontefice. È abrogata la legge 13 maggio 1871 n. 214 e qualunque altra disposizione contraria al presente Trattato ». I punti essenziali dei 45 articoli del Concordato vengono così riassunti dall'agenzia Stefani:
« Anzitutto una dichiarazione per cui in considerazione del carattere sacro di Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico, il governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa essere in contrasto con detto carattere.
"Seguono alcune clausole concernenti il libero esercizio del ministero pastorale da parte degli ordinari e degli altri membri del clero, i giorni festivi stabiliti dalla Chiesa e riconosciuti dallo Stato, il funzionamento dell'assistenza spirituale presso le Forze Armate dello Stato, come pure la revisione della circoscrizione delle diocesi, allo scopo di renderla possibilmente corrispondente a quella delle province dello Stato.

"La nuova disciplina del matrimonio religioso
" Viene quindi stabilita la procedura per la nomina degli arcivescovi e dei vescovi in conformità con i più recenti concordati stipulati dalla Santa Sede con altri Stati, nonché il giuramento dei vescovi secondo la formula del concordato con la Polonia.

"Seguono alcuni importanti articoli, coi quali si riforma la legislazione ecclesiastica italiana in armonia col Trattato riconoscendo tra l'altro la personalità giuridica delle congregazioni religiose e la libera gestione dei beni della Chiesa, salvo le vigenti disposizioni delle leggi civili concernenti gli acquisti dei corpi morali. Di particolare importanza è l'articolo che concerne il matrimonio, secondo il quale "lo Stato italiano, volendo ridonare all'istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili. Le pubblicazioni del matrimonio come sopra saranno effettuate, oltre che nella Chiesa parrocchiale, anche nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione il parroco spiegherà ai coniugi gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi, e redigerà l'atto di matrimonio, del quale entro cinque giorni trasmetterà copia integrale al Comune affinché venga trascritto nei registri dello Stato Civile.

"Le cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici. I provvedimenti e le sentenze relative quando siano divenute definitive, saranno portate al supremo tribunale della Segnatura il quale controllerà che siano state rispettate le norme del diritto canonico relative alla competenza del giudice, alla citazione ed alla legittima rappresentanza o contumacia delle parti. I detti provvedimenti e sentenze definitive coi relativi decreti del supremo tribunale della Segnatura saranno trasmessi alla corte d'appello dello Stato competente per territorio, la quale, con ordinanze emesse in camera di consiglio li renderà esecutivi agli effetti civili ed ordinerà che siano annotati nei registri dello Stato civile a margine dell'atto di matrimonio. Quanto alle cause di separazione personale, la Santa Sede consente che siano giudicate dall'autorità giudiziaria civile».
"Secondo altre disposizioni l'Italia consente che l'insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un altro sviluppo ulteriore nelle scuole medie, secondo programmi da stabilire d'accordo fra la Santa Sede e lo Stato.

"Notevole anche la clausola, secondo la quale lo Stato riconosce le organizzazioni dipendenti dall'Azione Cattolica Italiana, in quanto esse, siccome la Santa Sede ha disposto, svolgono la loro attività al di fuori di ogni partito politico e sotto la immediata dipendenza della gerarchia della Chiesa per la diffusione ed attuazione dei principi cattolici. Verso la fine del Concordato è stabilito che, se in avvenire sorgesse qualche difficoltà sull'interpretazione del medesimo, la Santa Sede e l'Italia procederanno di comune intelligenza ad una amichevole soluzione.


"Secondo la convenzione finanziaria l'Italia si obbliga a versare e la Santa Sede dichiara di accettare, a definitiva sistemazione dei suoi rapporti finanziari con l'Italia, in dipendenza degli avvenimenti del 1870, la somma di lire italiane 750 milioni ed a consegnare tanto consolidato italiano 5% al portatore del valore nominale di italiane lire 1 miliardo, somma che in valoreè, nel suo complesso, di molto inferiore a quella che tutt'oggi lo Stato avrebbe dovuto sborsare alla Santa Sede, solo in esecuzione dell'impegno assunto con. la legge 13 maggio 1871. Tanto il Trattato quanto il Concordato e la convenzione finanziaria non oltre quattro mesi dalla firma saranno sottoposti alla ratifica del Sommo Pontefice e del Re d'Italia ed entreranno in vigore all'atto dello scambio delle ratifiche ».

Non è certo corretto, dal punto di vista storico, cercare nel tripudio della stampa italiana ormai asservita al regime, l'eco genuina che l'annuncio suscita. Comunque bisogna rilevare che quando Mussolini e la sua delegazione lasciano il Laterano, la piccola folla presente nella piazza, li accoglie con un applauso e con grida di evviva. Mentre l'Osservatore romano è ancora in macchina, Pio XI annuncia ai parroci di Roma che i Patti sono stati firmati. Durante l'udienza un monsignore ha sussurrato poche parole al Santo Padre per informarlo che l'accordo è stato firmato e Papa Ratti ha immediatamente intrattenuto i presenti con un discorso che costituisce la primissima valutazione autorevole dell'accordo.
La città è elettrizzata anche grazie alla attenta propaganda del regime, e delle parrocchie. Mentre gli strilloni diffondono le edizioni straordinarie per le vie del centro, alle finestre appaiono le bandiere tricolori. Vengono issati anche i vessilli papali bianco-gialli, che dal 1870 non si vedevano più. La prima bandiera papale è esposta su palazzo Colonna, un'altra pende dalle finestre del palazzo Massimo, il maggiore istituto religioso, tante in Borgo Pio, Castel Sant'Angelo e San Pietro. Un corteo si forma spontaneamente e si dirige verso il Quirinale, dove aspetta che il Re si affacci al balcone. In tutta la vicenda, il ruolo del sovrano è stato secondario. Mussolini si è limitato a tenerlo doverosamente informato della trattativa, ed egli ha letto con la consueta pignoleria tutti i rapporti, controllando perfino negli archivi di Casa Savoia, a Torino, certi precedenti. Ha temuto che lo Stato cedesse troppo, specialmente dal punto di vista territoriale, ma alla fine si è convinto.

Anticlericale accanito, è stato probabilmente l'ultimo a cogliere la portata politica della Conciliazione, così come non era riuscito a capire quella dell'emergere dei partiti di massa. Più tardi confiderà: « Ho compiuto un volo in dirigibile su Roma ed ho visto la zona del Vaticano. È proprio poca cosa. Villa Savoia mi sembra più vasta ».
Oltre il plaudente corteo di cittadini per le vie di Roma, un avvenimento degno di nota, è il ricevimento in serata, a palazzo Colonna. Il principe Colonna è Assistente al Soglio Pontificio, la più alta carica laica della corte papale; la sua famiglia appartiene all'aristocrazia nera, quella che ostinatamente è rimasta fedele all'antico ordinamento che il legittimo sovrano di Roma è il Papa. I saloni del palazzo, che nei secoli è stato testimone di tante vicende storiche, sono rimasti chiusi, per una sessantina d'anni a chi si è compromesso con gli « usurpatori ».

A sera il palazzo è illuminato a giorno e sul portone i valletti in costume settecentesco accolgono gli ospiti. Arriva il cardinale Gasparri e tutto il Sacro Collegio, si può dire, si dà convegno nei saloni di palazzo Colonna. Intervengono al ricevimento anche il governatore di Roma Francesco Boncompagni, alcuni gerarchi fascisti e soprattutto, i rampolli dell'aristocrazia nera che, in tutti questi decenni, ha ostentatamente evitato la vita di società. Antiche inimicizie sembrano superate e vecchi screzi paiono dimenticati. « L'uscita dei cardinali (abbandonarono il ricevimento quasi tutti contemporaneamente) assunse un tono spettacolare », scrive un testimone. « Passarono fra le dame inginocchiate, fiancheggiati da numerosi valletti di Casa Colonna incipriati, solenni nelle lussuose livree settecentesche, recanti in mano torce accese, secondo il cerimoniale secolare della corte Pontificia. Sembrava un corteo commemorativo ». E lo era infatti: un'epoca si era chiusa per sempre.

A palazzo Colonna assente era Mussolini. Lui è corso a casa a visionare la pellicola che gli operatori dell'Istituto LUCE hanno girato la mattina durante la cerimonia, e sviluppata in tutta fretta. Guarda con curiosità quelle immagini e - lui che è un giornalista - sa come ricavarne una buona pubblicità distribuendo il film in tutto il mondo.
Quando torna a casa è soddisfatto, felice, orgoglioso, consapevole di avere raggiunto un risultato importante e difficile. L'indomani Mussolini riceve molti telegrammi. Provengono da tutta l'Italia ed anche da tutto il mondo. Tra questi c'è perfino il telegramma di un certo Konrad Adenauer, borgomastro di Colonia, un cattolico che nel dopoguerra contribuirà poi al ristabilimento della democrazia in Germania. Il generale consenso sembra convincere il Re dell'importanza politica dei Patti Lateranensi. Per questo convoca Mussolini a villa Savoia per dimostrargli tangibilmente la propria gratitudine. Pensa di insignirlo con un titolo nobiliare. Ma Mussolini rifiuta: il Duce non può essere che il Duce, non il Conte Mussolini.

Enorme la contentezza tra i cattolici. Ma non vi partecipano tutti. Ci sono quelli che furono sinceramente attaccati al partito di don Sturzo, che pensarono -visto il clamoroso risultato quando scesero in campo- che esso sarebbe assurto in pochi anni a partito di governo, che credettero nella conciliazione della democrazia e del cattolicesimo, e non sanno rassegnarsi alla sconfitta. Forse il dolore è ancora più cocente in alcuni cattolici di fervido convincimento e di rigorosa pratica, ma rimasti fuori dalle organizzazioni, dalla stessa Azione cattolica, e quindi meno piegati all'abito disciplinare ed all'ossequio verso le decisioni pontificie.

Tra i cattolici amareggiati c'è in primo luogo, don Luigi Sturzo che in esilio a Londra, segue con angoscia gli avvenimenti italiani. Il prete siciliano che è stato tra i fondatori del Partito Popolare, una delle menti più lucide del cattolicesimo italiano impegnato nella vita politica, si sente disarmato e abbandonato; non ha altro mezzo per far conoscere le proprie idee che alcuni giornali di nessun valore, pubblicati solo all'estero. E qui, come nelle lettere inviate ai pochi amici rimasti, esprime la propria amarezza scegliendo con cura le parole, combattuto tra la consapevolezza dell'effettivo significato politico della decisione papale e la volontà di restare fedele alla Chiesa. E poi, Alcide De Gasperi, l'uomo che ha raccolto l'eredità di don Sturzo alla guida del Partito Popolare, che ha condotto insieme con gli altri esponenti democratici l'estenuante anche se vana battaglia dell'Aventino, che è stato dichiarato decaduto dal mandato parlamentare dal regime fascista, e volendo lasciare l'Italia, ha passato sedici mesi in carcere accusato di « tentato espatrio clandestino». Ora è costretto a rimanere a Roma per consentire alla polizia fascista di sorvegliarlo. Lavora come traduttore del tedesco e ciò gli consente a malapena di vivere. Per De Gasperi, come giustamente nota Arturo Carlo Jemolo, "la Conciliazione è un gravissimo errore politico (della Santa Sede) ed una nuova sconfessione del Partito Popolare e dei suoi postulati democratici".

L'11 febbraio 1929 e i giorni successivi, De Gasperi assiste alla processione incessante del popolo verso San Pietro e il suo cuore è pieno d'amarezza: si sente più solo che mai. « Contenti i clerico-papalini », - scrive a un amico, - « contenti i fascisti, contenti i massoni. Mussolini è trionfante ». Oscillando tra amarezza ed obbedienza, De Gasperi medita con dolore. « È troppo tempo che i precetti della dignità vengono trascurati. Insegnare a stare in ginocchio va bene, ma l'educazione clericale dovrebbe anche apprendere a stare in piedi». Anche senza Mussolini, di queste amarezze De Gasperi ne proverà poi ancora: negli anni della ricostruzione democratica e della Repubblica, impegnandosi in un dignitoso braccio di ferro (con Pio XII e LUIGI GEDDA ) per salvaguardare l'autonomia del partito DC dalla Santa Sede.

Ma quanti erano in questo 1929, in Italia, i cattolici come don Sturzo o De Gasperi? Risponde Arturo Carlo Jemolo: « Si tratta di esigue minoranze; la grande maggioranza dei cattolici (parliamo dei cattolici per aderenza alla Chiesa anche sul piano politico, non per il solo fatto del battesimo e del ricorso ai sacramenti) è lieta degli Accordi. A prescindere dall'ostentato entusiasmo dei cattolici non compromessi irrimediabilmente con il fascismo, ma rimasti fino allora in un'attitudine di freddezza, che colgono l'occasione per inserirsi, sta la reale gioia di coloro per i quali pure la traccia di quel dissenso pesava, non solo per il piccolo numero d'imbarazzi e di situazioni equivoche che ancora poteva loro procurare, ma perché in effetto ai loro occhi una bandiera non benedetta dal Papa era una bandiera che cedeva in dignità alle altre. In molti di questi v'è, forse inconscia, la vecchia tenace idea storica di una posizione peculiare dell'Italia, di un suo legame intimo con la Santa Sede: che le impone obblighi particolari, ma le dà anche aspettative e benefici non comuni. Gli Accordi lateranensi debbono ai loro occhi valere a riannodare sotto questo riguardo una tradizione millenaria».

Caterina63
00lunedì 2 febbraio 2009 11:13
L'importanza storica dei Patti Lateranensi

Ed è in questa luce, che il fatto storico deve essere interpretato per capire appieno il suo valore politico. Per Mussolini i Patti Lateranensi costituiscono lo strumento per assicurarsi un successo difficilmente equiparabile. D'altra parte molti altri statisti avevano tentato di raggiungere un analogo risultato, proprio perché, come lui, avevano compreso l'importanza della pacificazione tra Stato e Chiesa come mezzo per inserire le masse cattoliche, a pieno diritto, nella vita politica del Paese.
Ma per valutare in pieno il successo del fascismo è necessario ripercorrere il tormentato itinerario dei rapporti tra Stato e Chiesa e della difficile trattativa.

(Nel lungo discorso alla Camera (che leggeremo più avanti in tre capitoli),
Mussolini ripercorrerà tutto questo tormentato itinerario).

È certo che all'interno del movimento risorgimentale, dove è possibile riscontrare i primi sintomi della frattura tra i due poteri, le tendenze anticattoliche di molti si erano confuse con le tendenze di quanti, per lo più cattolici praticanti, si proponevano esclusivamente fini politici o di rinnovamento religioso e morale nell'ambito dell'ortodossia cattolica. D'altra parte non è giusto dimenticare, come si fece quando la questione romana divenne rovente, che sul potere temporale dei papi per tutto l'arco del XIX secolo il dibattito restò aperto senza trovare una soluzione. Lo studioso britannico Anthony Rhodes ha messo bene in luce questo aspetto della questione, ricordando alcuni momenti del dibattito.
Il 5 gennaio 1849 Palmerston scrisse all'inviato speciale inglese presso il Vaticano queste osservazioni che riflettevano il pensiero del governo di Londra: « È chiaramente desiderabile che una personalità la quale, nella sua veste spirituale, possiede tanta influenza sulla maggior parte dei Paesi europei, si trovi in una posizione indipendente tale da non poter essere impiegata, quale strumento politico, da alcun Paese europeo a svantaggio di altre potenze. Da questo solo punto di vista è desiderabile che il Papa rimanga sovrano del suo Stato ».

In quegli stessi mesi, mentre il Papa si trovava esule a Gaeta ed a Roma i mazziniani avevano proclamato la repubblica dichiarando decaduto il potere temporale, una commissione politica francese (vi erano rappresentati tutti i partiti politici) giunse ad una conclusione analoga al governo di Londra dichiarando che per il bene universale l'indipendenza del Papa era indispensabile, « né vi erano altre forme di indipendenza che la sovranità ».

Tutto questo aiuta a comprendere perché la repubblica romana mancò di appoggi internazionali e dovette soccombere in conseguenza dell'intervento francese. Ed aiuta a capire anche perché le autorità piemontesi cercarono di temporeggiare quando si trattò di affrontare il nodo della sovranità pontificia. I liberali piemontesi, come Massimo D'Azeglio, avevano perseguito una politica antiecclesiastica opponendosi decisamente alle ingerenze clericali e ai privilegi che risalivano al Medio Evo. Ed era stata proprio tale politica a far diminuire, in Piemonte come nel resto dell'Italia ed anche all'estero, il consenso di molti cattolici per il moto risorgimentale.

Cavour, con la formula - « libera Chiesa in libero Stato » - tentò di superare questo dissidio e di ottenere l'adesione degli antipapali europei, specialmente inglesi, per attuare un regime liberale in Italia. La sua strategia e la sua formula vinsero: l'egemonia piemontese trionfò e portò all'unità nazionale, ma i cattolici parvero esclusi dal tripudio generale.
Ricordiamoci che l'Italia conquistò Roma con un'operazione militare, approfittando di una felice congiuntura internazionale (la guerra franco-prussiana) che privò il pontefice dell'appoggio di Napoleone III. Ma il dissidio tra lo Stato unitario e la Chiesa si approfondì e divenne incolmabile. Pio IX si chiuse per protesta nei palazzi apostolici ed invitò i cattolici italiani a non partecipare alla vita politica del Paese.
Del resto i piemontesi avevano tolto al Papa la maggior parte dei suoi possedimenti (le Marche, l'Umbria e il Lazio) e intendevano togliergli anche Roma.


Il governo italiano, poi conquistò Roma e deliberò una « legge delle guarentigie » (ossia delle garanzie) per «compensare» il Papa della perdita subita. La legge riconosceva al Papa una posizione privilegiata nello Stato italiano ma, tuttavia, al di là delle questioni di ordine giuridico che imponeva (se il Papa l'avesse accettata sarebbe stato costretto a riconoscere lo Stato italiano e quindi ad approvare la conquista di Roma e la conseguente fine del potere temporale), costituiva una iniziativa unilaterale ed era assolutamente impensabile che potesse essere accettata dalla Santa Sede.

La questione romana restò dunque aperta benché la legge delle guarentigie, approvata il 13 maggio 1871, venisse dichiarata dal consiglio di Stato « legge fondamentale » nel 1878. Mai accettata dalla Santa Sede, la legge restò in vigore fino al 1929, fino cioè alla Conciliazione. Non accettandola, il Papa si assicurò la possibilità di non riconoscersi mai soggetto allo Stato italiano. Anzi, nel 1874, invitando i cattolici italiani ad astenersi dalle elezioni politiche, Pio IX mobilitò i fedeli per protestare contro la condizione imposta alla Santa Sede: l'opposizione cattolica era diventata sempre più rigorosa, tant'è vero che l'astensionismo fu sempre sostenuto dall'« Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici », che sorse nel 1875 proprio per coordinare e dirigere le associazioni religiose intransigenti e la stampa cattolica.

L'amarezza di De Gasperi... (è lui stesso a scrivere)

"La reazione dei cattolici ex popolari alla Conciliazione fu negativa. Non sfuggiva a loro che la soluzione della questione romana rinsaldava il regime fascista ormai del tutto liberticida e comprometteva il mondo cattolico (e la Chiesa stessa) con un governo antidemocratico. L'amarezza di questi cattolici traspare dalla lettera di Alcide De Gasperi all'amico don Simone Weber del 12 febbraio 1929:

"... Il pericolo piuttosto è nella politica concordataria. Ne verrà una compromissione della Chiesa come in Spagna con de Rivera, o peggio! Io spero che le esperienze di Pio IX col liberalismo freneranno al giusto certi entusiasmi di fronte al fascismo, in modo che il popolo distingua fra cattolicesimo e fascismo: certo che ora l'esperienza appena comincia. Quando si pensa che le trattative lusinghevoli duravano dal '26 e che nel frattempo il Papa ebbe delle botte assai energiche, bisogna ritenere che ancora più nell'avvenire userà della sua libertà perché le idee non si confondano.

È vero in questo momento soffia una cert'aria di romanticismo medioevale che consola. Nei giorni scorsi, in Vaticano, si parlava addirittura del diritto d'investitura che il Papa avrebbe esercitato in confronto del Re d'Italia (per chiudere giuridicamente la questione dei territori) e poiché s'erano smossi certi temi ove sono registrati i secoli - come noi registriamo i giorni nel taccuino dell'anno - i fulgori più fantastici ricomparivano entro le storiche vetrate; e certo il Duce vede la grande impresa oltre che dal punto di vista realista della politica di prestigio anche in un certo nembo romantico che lo cinge della spada di Goffredo e lo corona della tiara di Carlo Magno; e certo questa sera al palazzo Colonna, riaprendo i famosi battenti, qualcuno crederà di riaprire le porte di secoli in cui s'intrecciarono lo scettro e il pastorale. Ma la realtà del sec. XX non tarderà a farsi sentire, le grandi masse ricompariranno dietro allo scenario. Auguriamoci che gli uomini di Chiesa non le perdano mai di vista, perché esse sono la realtà di oggi e di domani. Io lo credo e lo spero, e per questo, lieto che la Chiesa si sia liberata - trionfando sugli altri e su se stessa - della questione romana, non ho paura di riconoscere anche il valore della politica mussoliniana, valore oggettivo; per il resto è giudice Iddio... ».

Alcide De Gasperi

(Dal volume: ALCIDE DE GASPERI, Lettere sul Concordato, Ed. Morcelliana, Brescia 1970).
http://www.digtec.com/pattilateranensi.htm

Caterina63
00mercoledì 11 febbraio 2009 14:08
Ottant'anni fa i Patti Lateranensi

Una firma per l'Italia pensando al mondo



di Romeo Astorri
Università Cattolica del Sacro Cuore

La ricorrenza dell'ottantesimo anniversario della firma dei Patti Lateranensi, che quest'anno coincide con il venticinquesimo anniversario degli accordi di Villa Madama, rappresenta, almeno a mio avviso, un'occasione per una riflessione che, uscendo dalla logica della mera celebrazione, possa essere uno spunto per una qualche osservazione su ciò che essi sono stati a livello dei rapporti tra Stato e Chiesa nell'Italia che si avvia a festeggiare i centocinquanta anni della sua unità, ma anche per cogliere il contesto, che non può essere meramente italiano, nel quale sono stati firmati.
 

Gli accordi del 1929 hanno rappresentato per molti anni un segno di contraddizione per la storiografia e per la dottrina giuridica italiana. La cultura italiana, storica e giuridica, o almeno larga parte di essa, ha considerato i Patti come la cifra interpretativa del pontificato di Pio XI, e li ha visti come il momento culminante della liquidazione, in nome del rapporto col governo Mussolini, dell'esperienza del cattolicesimo politico italiano. Ricordo ancora la sensazione provata, partecipando ad un convegno su Pio XI, organizzato dall'École française di Roma, a cavallo degli anni Novanta nel quale, per i relatori italiani, Papa Ratti era il Papa dei Patti, e quindi un Pontefice definito storicamente dal rapporto privilegiato con un regime autoritario; per quelli francesi, al contrario, era il Pontefice della condanna dell'Action Française, e quindi della ferma denuncia di possibili derive autoritarie e integriste del cattolicesimo. Credo che l'acquisizione di nuova documentazione storiografica e la riflessione della dottrina in tema di rapporti della Chiesa con gli Stati permettano di uscire da quella aporia e offrire la base di una lettura più convincente, ma soprattutto meno italiana dei Patti stessi.

Credo che una tale lettura si possa costruire lungo tre linee di riflessione, la prima riguarda la Questione romana, la seconda, il contesto di politica ecclesiastica più generale nella quale va collocato anche il Concordato lateranense, la terza, la loro connotazione più tipicamente italiana cercando di dar ragione del giudizio secondo il quale i Patti sono uno degli eventi che segna la storia dell'Italia post-unitaria e non un fatto legato alle contingenze storiche del momento.

Secondo alcuni osservatori la Questione romana aveva già trovato una sua prospettiva di soluzione durante la prima guerra mondiale. Alcuni documenti conosciuti solo recentemente rafforzano la tesi di chi ha qualificato il periodo tra la guerra di Libia e la firma dei Patti come gli anni della conciliazione silenziosa. Il primo è costituito dall'elaborazione da parte della Segreteria di Stato di una bozza di Trattato tra Italia e Santa Sede riguardante la creazione di uno Stato vaticano, discusso in una Plenaria della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari il 17 marzo 1917, nel pieno del conflitto mondiale; l'altro è dato dalle due annotazioni presenti nel diario del barone Carlo Monti, direttore generale degli Affari del culto, che fu negli anni del pontificato di Benedetto xv "nunzio e ministro nello stesso tempo" per i rapporti tra la Santa Sede e il Governo italiano. Il 7 dicembre 1918 egli riferisce di una conversazione con il cardinal Pietro Gasparri, il quale avrebbe osservato che "il Vaticano (...) noi non facciamo questione di un po' di territorio, più o meno, purché la Santa Sede sia libera, non solo nella sostanza, ma anche nell'apparenza". E, annotando nello stesso diario le parole di Vittorio Emanuele Orlando, quando gli riferì della conversazione con il segretario di Stato, annota non solo che questi si era dichiarato disponibile a trovare una soluzione dopo l'avvio delle trattative di pace a Parigi, ma anche che, a suo avviso, sarebbe stato "un accordo che sarà il più grande avvenimento del secolo, per quanto esso non faccia che sanzionare una intesa che in questi quattro anni ha dato risultati soddisfacenti". Anche se i colloqui svoltisi a Parigi tra monsignor Bonaventura Cerretti e lo stesso Orlando non ebbero seguito, le sintetiche opinioni annotate dal Monti mostrano quanto la vicenda della guerra abbia influito sul mutamento del clima, se non della natura dei rapporti tra Italia e Santa Sede e abbia accelerato la soluzione della questione.

Il Trattato del Laterano rappresenta dunque il riconoscimento formale di una situazione che era andata maturando già durante il pontificato di Benedetto xv, di cui l'iniziativa di Pio XI e Mussolini rappresentò solo il momento finale.
A questo proposito credo debbano essere avanzate due altre osservazioni, la prima è che, sul piano dottrinale, la scuola canonistica romana, già sul finire del secolo XIC, aveva prospettato l'ipotesi, e tra i sostenitori ci fu anche il futuro cardinal Pietro Gasparri nelle sue Institutiones iuris publici, che il potere temporale appartenesse non all'esse ma al bene esse della Chiesa stessa; la seconda è il fatto che, malgrado qualche incomprensione e malinteso anche grave, la legge delle Guarentigie aveva permesso alla Santa Sede di mantenere, durante gli anni della guerra, la sua attività soprattutto di legazione attiva e che, sul piano internazionale, salvo qualche impuntatura dell'Italia che, come fece nel Patto di Londra, chiedeva l'introduzione di una clausola secondo la quale la Santa Sede non potesse partecipare ai congressi internazionali, nessuno, e lo confermava la vicenda stessa della guerra mondiale, metteva in discussione la soggettività giuridica a livello internazionale della Santa Sede stessa.

Alla luce di quanto si è osservato risulta comprensibile il motivo per cui, in questi ottanta anni, nessuno abbia mai posto seriamente in discussione il Trattato, nemmeno nel delicato passaggio intervenuto alla fine del secondo conflitto mondiale. La questione dell'internazionalizzazione dei Patti, emersa al momento della firma ed evocata da monsignor Giovanni Battista Montini alla fine del secondo conflitto mondiale, come possibile richiesta della Santa Sede, la sopravvivenza dell'articolo 1 e dell'articolo 23 e le difficoltà derivanti dalla loro potenziale incoerenza con il nuovo assetto democratico dello Stato non hanno mai posto realmente in discussione l'esistenza del Trattato. E le questioni legate ai due articoli sopra citati sono state risolte in sede di revisione del Concordato. Anche l'articolo 24 sulla neutralità della Santa Sede nelle questioni temporali fra gli altri Stati ha superato le temperie derivanti dal maggiore interventismo della Santa Sede nelle vicende internazionali e in particolare con il ruolo assunto alla Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa e con la sua attività in ordine alla elaborazione del testo del vii principio relativo ai diritti umani e alla libertà religiosa.
 
Il secondo ordine di riflessioni prende in esame direttamente la questione concordataria. Va da subito precisato che fu la Santa Sede a chiedere al governo italiano di concludere, assieme al Trattato che avrebbe posto fine alla Questione romana, un Concordato, rompendo così con la scelta separatista fatta dall'Italia liberale. A mio giudizio, il Concordato del 1929 va perciò collocato nel contesto della politica concordataria del primo dopoguerra che, avviata durante il pontificato di Benedetto XV, trovò la sua attuazione durante il papato del suo successore. Le scelte vaticane degli anni immediatamente successivi alla fine della prima guerra mondiale non furono lineari. Ci fu un primissimo periodo nel quale la politica vaticana sembra inizialmente orientata verso l'accettazione di una "buona separazione". E questo sulla scia delle riflessioni del canonista Gasparri, che, secondo Carlo Fantappié, aveva proposto nelle Institutiones già citate due aspetti innovativi, un concetto di diritto canonico funzionale all'azione pastorale della Chiesa e un cambiamento di tono nelle relazioni tra Stato e Chiesa che sarà alla base del riconoscimento dell'autonomia dell'ordinamento degli Stati e che porterà ad una revisione del giudizio negativo sulla separazione in quanto tale, ma anche sulla base delle riflessioni dell'allora monsignor Eugenio Pacelli sulla natura dei concordati.


In questa direzione va il giudizio positivo, o comunque non negativo, espresso dal nunzio a Monaco, monsignor Pacelli, sugli articoli riguardanti la religione presenti nella costituzione di Weimar, che poneva fine al principio della religione di Stato e adottava quello che Ulrich Stutz, il maggior canonista tedesco del tempo, definirà separatismo non completo o zoppicante. Una scelta che fu condivisa dal Gasparri, ma alla quale si opposero alcuni canonisti curiali, come il gesuita Benedetto Ojetti, e che fu fortemente contestata anche da alcuni canonisti tedeschi, come Joseph Hollweck, il quale scrisse a Pacelli che i numerosi canonici che sedevano in Parlamento avevano venduto la Chiesa in cambio di ben remunerate cattedre di teologia nelle università.

I mutamenti che intervennero in quel biennio portarono a verificare la possibilità concreta di aprire trattative concordatarie con vari Stati, la maggior parte delle quali si concluderanno, come si è detto, negli anni di Pio XI. Una scelta che riprendeva una storia, che sembrava definitivamente conclusa con la denuncia da parte della Francia del concordato napoleonico.

Il modello assunto dai concordati tra le due guerre, che rimarrà immutato sino agli accordi spagnoli del 1976-79 e all'accordo di Villa Madama del 1984 è quello del Concordato completo, vale a dire di un accordo che, almeno nelle intenzioni deve regolare tutte le res mixtae, superando il modello del secolo precedente che si limitava a disciplinare alcune questioni specifiche, soprattutto le nomine.
Il Concordato lateranense, a differenza del Trattato, non si presenta quindi come una scelta collegata unicamente alle vicende italiane, ma deve essere visto, pur senza annullarne la specificità, nel contesto della politica vaticana nel dopoguerra.

Sotto questo profilo vanno quindi considerate le materie contenute nel Concordato lateranense. La nuova regolazione delle nomine agli uffici, ricondotte tutte al principio codiciale della libera nomina dell'autorità ecclesiastica pontificia o episcopale che fosse, la fine della placitazione regia sostituita dalla clausola politica, la disciplina concordataria della materia dell'insegnamento religioso, la regolazione concordataria dell'insegnamento universitario della teologia o delle università cattoliche, la disciplina del finanziamento alla Chiesa cattolica e dei criteri per la definizione delle circoscrizioni diocesane, il riconoscimento degli effetti civili al matrimonio religioso si ritrovano in molti dei concordati firmati tra le due guerre, sia precedenti il 1929 sia successivi.

Certamente la regolazione dei vari istituti è funzionale alla situazione della Chiesa nei vari Stati, ma credo si possa constatare l'esistenza di un intento comune del legislatore canonico, quello di definire una legislazione canonica particolare che riguardasse l'intero Stato, o meglio tutta la Chiesa del Paese con il quale si era arrivati a firmare il Concordato. E questo vale nel caso dei concordati con i Paesi dell'Europa centrale dove certamente prevale l'idea del superamento del particolarismo giuridico e di determinare un nuovo diritto particolare più coerente con la nuova codificazione del 1917.

Nel caso del Concordato lateranense va però rimarcato il fatto che esso segna la nascita della Chiesa italiana; si tratta infatti della prima legge canonica particolare che concerne la Chiesa italiana, visto che, durante il pontificato di Leone xiii, proprio per evitare la possibilità di una riunione dell'episcopato a livello nazionale, le varie diocesi erano state suddivise in regioni ecclesiastiche ed erano state create le conferenze episcopali regionali, paradossalmente. Il ritardo, rispetto ad altre Nazioni, della nascita della conferenza episcopale deriva certamente, oltre che dalle difficoltà connesse al numero dei vescovi, anche dalla scelta operata da Leone xiii.

Un'ultima serie di brevi osservazioni va fatta in ordine alle condizioni politiche nel quale fu condotta la trattativa. La dottrina ecclesiasticistica, ma di questo troviamo scarse tracce negli autori tedeschi che hanno studiato il fenomeno concordatario, ha visto nell'accordo italiano, il modello di un concordato con i Paesi autoritari, nel quale si realizzava uno scambio tra confessionalizzazione offerta dallo Stato (oltre all'Italia, Portogallo e Spagna) e legittimazione politica data dalla Chiesa. Qualcuno ha anche individuato esaminando le bozze di due trattative concordatarie con la Francia e con la Spagna repubblicana, due tipologie di accordi concordatari, una alla quale appartiene il Concordato del Laterano, con i regimi autoritari, l'altra con i Paesi democratici.

Senza entrare nel merito degli istituti che giustificano questa analisi, e pur ritenendo che certamente, nel caso dell'Italia, il Concordato ha portato ad un'accelerazione del processo di confessionalizzazione già in atto dal primo dopoguerra, credo che questo fenomeno non possa, se non per taluni elementi specifici, essere collegato al carattere autoritario del regime fascista. Credo piuttosto che dipenda, soprattutto per i Paesi belligeranti, dal fenomeno che porta, immediatamente dopo la guerra, i cattolici intransigenti, ad uscire, secondo l'espressione suggestiva, anche se discutibile di Altermatt, dal ghetto nel quale erano stati confinati (o si erano, secondo alcuni, confinati) durante l'età del liberalismo. La Conciliazione, sotto tale profilo, non è soltanto un fenomeno italiano.

La consapevolezza di essere parte di una Nazione, e non un corpo estraneo, in quanto legati ad un potere sopranazionale, maturata nelle esperienze dei movimenti del cattolicesimo sociale e acquisita nelle trincee della prima guerra mondiale, porta a rafforzare la volontà degli uni di "ridare Dio alla patria" e determina il consenso di una classe politica, conscia della nuova situazione di uno Stato nel quale sono diventati protagonisti i partiti di massa. Certamente gli anni tra il 1926 e il 1929 nei quali fu condotta la trattativa furono anche quelli del definitivo affermarsi del regime fascista e la conclusione dei Patti non poté che consolidare tale processo. Va anche rilevato che la componente antimoderna presente nella cultura cattolica e in quella fascista hanno dato un'interpretazione dell'accordo nella quale sono stati sottolineati in modo particolare gli aspetti di rottura rispetto alla tradizione politica liberale.
Aldilà della contingenza di alcune delle scelte normative contenute nelle disposizioni concordatarie del 1929, va rilevato, a conferma di quanto osservato, come un giurista liberale come Arturo Carlo Jemolo nell'Italia repubblicana, e siamo già alla fine degli anni Sessanta, abbia pensato, al processo di revisione del Concordato lateranense come l'eliminazione delle "foglie secche".

A mio avviso, la continuità dello strumento concordatario poggia su questa conciliazione, che non viene meno anche oggi, quando esso non è più prevalentemente guardato come un collegamento tra due ordinamenti secondo la lettura univoca della dottrina di quegli anni, ma, anche attraverso il riconoscimento del ruolo delle religioni nello spazio pubblico, in quanto momento di espressione della libertà religiosa di tutti, come dimostrano i testi non solo dell'accordo di Villa Madama, ma di tutti i concordati più recenti. E l'augurio è che, anche questa presenza possa scongiurare il ripetersi di ciò che ha portato al pesante giudizio di Jemolo sull'età giolittiana, nella quale, sostiene lo studioso, la crisi di ideali portava a constatare la presenza di uno smarrimento che "con tratti ancora più confusi, con espressioni più volgari lo ritroveremmo, se potessimo indagarlo, in tutta la classe colta dell'Italia del tempo; tra coloro che sono rimasti fermi alla fede tradizionale, e gli altri che non hanno più alcun assillo religioso, e come hanno abbandonato le pratiche della religione, così hanno espulso dalla loro mente, con i problemi del divino, tutti quelli che non abbiano un contenuto pratico immediato".




(©L'Osservatore Romano - 11 febbraio 2009)
Caterina63
00mercoledì 2 settembre 2009 19:08
Costantino e la fondazione della basilica Vaticana

Quando San Pietro era ancora
una collina da spianare


di Timothy Verdon

Tra i segni di potere nel mondo romano, particolare importanza avevano le maestose costruzioni che lo Stato mise a disposizione dei cittadini. Ancor oggi, tra i resti di città d'epoca imperiale dall'Africa alla Germania, i grandiosi complessi civili e religiosi in cui si svolgeva la vita pubblica dell'impero ci colpiscono; tra gli esempi della stessa urbe ricordiamo la basilica Ulpia fatta costruire da Traiano nei primi anni del II secolo, con cinque navate suddivise da colonnati. Nella sua pianta, nelle dimensioni e nella generica ricchezza degli arredi era quasi il prototipo delle colossali basiliche cristiane erette dai successori di Traiano a partire dal IV secolo.
 
La più grande di queste era l'aula cimiteriale iniziata dall'imperatore Costantino tra il 319-324 sul sito della tomba di san Pietro. Un affresco cinquecentesco raffigurante l'interno della basilica sottolinea la vastità dello spazio e la nuova focalizzazione, diversa dall'impianto delle basiliche civili, sull'area absidale contenente l'altare per la celebrazione eucaristica. Ma l'originaria funzione della basilica non era in primo luogo liturgica bensì onorifica, e nell'area absidale doveva dominare il Trofeo di Gaio, rinchiuso da Costantino in uno splendido involucro marmoreo e ricoperto da un ciborio. Questa sistemazione trionfale esplicitava il senso della basilica stessa, costruita su una piattaforma sopra il cimitero e su parte del Circo di Nerone.

La piattaforma era l'elemento più stupefacente dell'impresa e ne segnala chiaramente l'importanza. Sebbene Costantino fosse imperatore e pontefice massimo, tecnicamente al di sopra delle leggi riguardanti le aree sacre, anche per lui la manomissione e l'interramento di un'intera necropoli non potevano che essere un'operazione rischiosa sul piano politico e sociale, atta a provocare il risentimento dei ceti dirigenti ancora pagani. L'inviolabilità dei sepolcri era infatti un principio assoluto del mondo antico.
Sul piano tecnico, poi, la cosa fu estremamente difficile. Sul terreno digradante da nord verso sud, Costantino voleva far emergere il Trofeo di Gaio al punto centrale del pavimento di una basilica larga, al transetto, 90 metri! Tale volontà imperiale, presumibilmente in costante colloquio con l'allora capo della comunità cristiana di Roma, il vescovo Silvestro (314-335), obbligava a titanici lavori di livellamento del colle con sbancamenti verso nord, dove il terreno era troppo alto, e con l'innalzamento di una piattaforma verso sud, dove il terreno scendeva.

L'operazione ricordava le epiche imprese dei Cesari di altri tempi:  di Traiano, per esempio, il quale aveva fatto rimuovere un promontorio alto 100 metri - la sella che un tempo collegava il Palatino col Quirinale - per creare l'area dove sorge la basilica Ulpia. Nel caso di San Pietro la piattaforma, destinata a ospitare altre strutture oltre alla basilica, doveva avere una superficie di 240 per più di 90 metri!

Le campagne di scavi tra il 1949 e il 1957 hanno messo in luce l'imponenza di questa vasta piattaforma, le cui fondazioni raggiungono uno spessore di due metri e mezzo, scendendo fino a 11,50 metri di profondità sul versante meridionale prima di congiungersi col declivio del colle.

Gli scavi hanno anche rivelato l'apparente rapidità con cui i lavori vennero eseguiti:  gli strati di malta tra i mattoni, come in altre costruzioni paleocristiane, sono piuttosto alti, suggerendo una certa fretta. È infatti probabile che sia Costantino che la comunità cristiana abbiano chiesto agli architetti di portare a termine il progetto in tempi relativamente brevi, e forse l'edificio era strutturalmente ultimato intorno al 329, anche se la documentata interruzione del culto pagano al vicino tempio di Cibele dal 319 fino al 350 induce a pensare che l'intera zona sia rimasta un cantiere aperto per molti anni ancora, probabilmente al servizio dei lavori di decorazione.

La basilica eretta dagli architetti di Costantino era una chiesa a cinque navate, di cui quella centrale molto più alta delle laterali. Era preceduta da un portico d'ingresso, a est, e completata a ovest da un'abside separata dalle navate da un transetto. Le dimensioni erano impressionanti:  la facciata era larga circa 64 metri, e il portico profondo oltre 12! Le navate erano lunghe 90 metri e quella centrale larga 23,50 con un'altezza di 32,50 metri, mentre le navatelle laterali avevano altezze, rispettivamente, di 18 e 14,80 metri.

Il transetto, più basso della navata centrale, era separato da essa da un arco trionfale sorretto da colonne colossali, e terminava a nord e a sud con esedre similmente introdotte da grandi colonne; su capitelli corinzi, le due teorie di colonne della navata centrale sorreggevano una trabeazione orizzontale, mentre le altre due, tra le navatelle laterali, sostenevano arcate; molti dei fusti di marmo pario, mischio e granito - e forse anche i capitelli - erano di riutilizzo.

Undici finestre per lato al livello inferiore, fino a otto per lato nella parte alta della navata maggiore, altre finestre ancora nel transetto e cinque nell'abside riempivano di luce questo spazio immenso e solenne; la pavimentazione in grandi lastre di marmo bianco simili a quelle del portico e del sagrato estendeva all'interno la luminosità dell'esterno; e il soffitto a lacunari dorati raccoglieva la luce riflessa dal pavimento.
Al punto culminante, poi - all'imbocco dell'abside e al centro, in linea con la porta principale - c'era il Trofeo, e sotto il Trofeo la tomba terragna. Tutto infatti era stato concepito per condurre precisamente qui:  anche l'allineamento della basilica, dall'est verso l'ovest, era in funzione dell'arrivo del pellegrino al modesto appezzamento nei pressi del Circo di Nerone dove Pietro era stato sepolto.

Ma, nonostante i calcoli degli ingegneri imperiali, la quota del pavimento era leggermente sfalsata e il Trofeo risultò interrato di 35-40 centimetri; il resto del piccolo monumento, emergente di poco meno di tre metri venne poi rinchiuso in un casamento marmoreo aperto verso la navata centrale per lasciar intravedere il Trofeo.
 
E, come sappiamo da un reliquiario eburneo del IV-V secolo conservato al Museo archeologico di Venezia, intorno alla nuova "Memoria" vennero sistemati quattro colonne vitinee - due davanti e due dietro - a sostegno delle stanghe di una tettoia aperta; queste, con altre due colonne vitinee agli angoli dell'abside, sorreggevano una continua trabeazione, con l'effetto di recintare interamente l'abside e la Memoria, mentre stoffe pregiate sospese dalla trave tra gli angoli dell'abside e il ciborio centrale focalizzavano ancora l'attenzione sulla Memoria, delimitando una sorta di area presbiteriale dietro di essa. Sopra il presbiterio, il catino dell'abside fu ricoperto di fogli d'oro.

Sembra non esserci stato un altare permanente in questa parte della basilica, anche se possiamo immaginare che in alcune occasioni venisse allestito un altare ligneo davanti alla Memoria; forse c'erano altari invece nelle esedre del transetto. Ma la funzione principale dell'edificio, come già detto, era commemorativa, non liturgica, e tutta la basilica aveva il carattere di un titanico martirium a soddisfazione dell'esigenza cristiana di "fare memoria" di un eroico testimone della fede della comunità. Non a caso, l'area davanti al Trofeo e alla tomba verrebbe in seguito denominata la "Confessione", in allusione alla testimonianza di Pietro, "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". I cristiani del IV secolo vennero a San Pietro per pregare alla tomba dell'Apostolo e per attingere alla sua fede; vennero anche per commemorare i loro morti - sepolti sotto il pavimento e in mausoleo lungo le mura - con pranzi funebri; una lettera di Paolino da Nola ricorda il sontuoso banchetto celebratovi dal senatore Pammachio nel 396 per onorare la moglie defunta:  così numerosi furono gli invitati che riempirono sia la basilica che il portico e l'antistante campus (Epistola, 13).

Oltre allo splendore dell'edificio stesso, Costantino dotò la basilica Vaticana di ornamenti principeschi e di ricchezze calcolate a garantirne sia l'ulteriore abbellimento che la manutenzione ordinaria. Il reliquiario eburneo con l'immagine del presbiterio fa vedere, appeso alle curve stanghe incrociate del ciborio, un candelabro in forma di corona che dobbiamo supporre di oro o argento, e il Liber Pontificalis parla di una croce d'oro puro del peso di 150 libbre che l'imperatore, insieme alla madre sant'Elena, avevano donato; dice anche che Costantino fece rivestire la tomba dell'Apostolo con lastre di bronzo.

Il dono poi di vaste proprietà in Italia, Sicilia, Sardegna e nell'Africa settentrionale nonché - dopo la vittoria sui rivoltosi delle province orientali riportata nel 324 - in Egitto, Siria e Cilicia, fruttò alla Chiesa romana introiti annui di 25.000 solidi d'oro, di cui 3.700 per la sola basilica Vaticana:  una cifra globale assai elevata, calcolata da Richard Krautheimer nel 1980 come 160 milioni di dollari all'anno, di cui ben 25 per San Pietro. L'intenzione di Costantino era, chiaramente, di assicurare alla Chiesa e ai suoi principali luoghi di rappresentanza e di culto una magnificenza "imperiale", anche in segno di gratitudine:  sull'arco di trionfo tra la navata e il transetto, oltre alla decorazione musiva, l'imperatore fece apporre una dichiarazione del suo riconoscimento per la vittoria ottenuta nel 312, Quod duce te mundus surrexit / in astra triumphans / hanc Constantinus victor tibi condidit aulam ("Poiché sotto la tua guida [o Cristo? O Pietro?] il mondo è risorto trionfante fino alle stelle, il vittorioso Costantino ti ha allestito quest'aula").


(©L'Osservatore Romano - 3 settembre 2009)
Caterina63
00giovedì 3 dicembre 2009 22:20
Chiesa e Stato in Italia dalla Grande Guerra alla revisione del concordato (1914-1984) in un volume di Roberto Pertici

La lezione del dialogo



Presentato il 3 dicembre presso il Senato della Repubblica italiana il volume di Roberto Pertici Chiesa e Stato in Italia dalla Grande Guerra al nuovo Concordato (1914-1984), (Bologna, il Mulino, 2009, pagine 896, euro 55). Pubblichiamo stralci del discorso del cardinale segretario di Stato e uno degli interventi.



di Tarcisio Bertone

Due sovranità - quella della Repubblica italiana e quella del Sommo Pontefice, Capo visibile della Chiesa cattolica - convivono oggi in maniera pacifica e, anzi, hanno fra loro intensi rapporti di collaborazione. Tutto ciò è stato però raggiunto dopo un cammino non facile, partendo da posizioni che sembravano antitetiche e perciò irriconciliabili, che il Santo Padre così sintetizzava: "Da una parte, l'Italia anelava a comporsi in uno Stato unitario e, dall'altra, la Santa Sede era preoccupata di conservare la propria indipendenza a garanzia della propria missione universale" (Discorso per la visita ufficiale al Quirinale, 4 ottobre 2008).

Per alcuni decenni si è protratto questo contrasto, che non è stato solo fra due parti distinte, ma che ha costituito motivo di interiore lacerazione, soprattutto per tanti cattolici italiani, come tali amanti sinceri della loro Patria, ma non meno fedeli al vicario di Cristo. È di qui, da quello che in questo volume si definisce il "prologo risorgimentale", che prende le mosse il volume, per accompagnarci a ripercorrere quel cammino che parte dalla soluzione della Questione romana con i Patti lateranensi del 1929.

Essi furono un punto d'arrivo, ma allo stesso tempo affermarono quel principio regolatore delle relazioni Chiesa-Stato che ha poi trovato nuova e più completa formulazione nell'articolo 7 della Costituzione italiana e, a livello bilaterale, nell'Accordo del 1984 di modifica del Concordato lateranense. E non si può qui dimenticare anche l'altro apporto decisivo, che è venuto dall'insegnamento del concilio Vaticano ii sui rapporti fra la Chiesa e la comunità civile, soprattutto nella Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo e nella Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa. Non a caso il citato Accordo del 1984 fa esplicito riferimento, nelle sue premesse, alla Costituzione italiana e al concilio Vaticano ii.

Ma la peculiarità del volume che viene presentato sta nel fatto che esso affronta il tema del rapporto Chiesa-Stato, nei settant'anni che vanno dalla prima guerra mondiale all'Accordo di Villa Madama, da una prospettiva particolare e di grande rilevanza. Vengono infatti ripercorsi i grandi dibattiti del Parlamento e dell'Assemblea Costituente in occasione della ratifica dei Patti lateranensi e dell'Accordo del 1984 e dell'approvazione dell'articolo 7 della Carta Costituzionale. Il volume in sé, dopo l'ampia analisi del professor Pertici, riporta solo alcuni documenti; tuttavia, grazie agli sviluppi della tecnica, l'allegato cd-rom mette a disposizione una mole ingente e di grande interesse di riferimenti, che altrimenti avrebbe richiesto vari volumi.

Dunque, grazie a quest'opera ci accostiamo anche al Parlamento e alle sue funzioni. A me interessa rilevare, non tanto l'essenziale funzione legislativa che questo organo svolge, ma mettere in luce, soprattutto, come ogni Parlamento, e in questo caso il Parlamento italiano, sia luogo di incontro e di dibattito fra persone e posizioni filosofico-culturali diverse.

Infatti, se esaminiamo gli interventi dei parlamentari a proposito di queste tre grandi tappe del rapporto fra la Chiesa e lo Stato in Italia, cogliamo come in essi si esprima - per dirlo con le espressioni usate dal presidente Schifani - "la pluralità di orientamenti politici, culturali e religiosi" della società italiana. Mi riferisco, in particolare, ai tre grandi filoni di pensiero che hanno dato e ancora danno l'impronta alla vita politica dell'Italia: quello liberale, quello socialista e quello cattolico.

A loro volta, queste posizioni vengono esposte e difese nei dibattiti parlamentari da uomini e donne, che sono stati in molti casi i grandi protagonisti della vita della società e, talvolta, anche della Chiesa in Italia nei passati decenni. Senza volerli ricordare tutti, non posso però tacere il fatto che per alcuni di essi - è il caso di Alcide De Gasperi e di Giorgio La Pira - sono state avviate le cause di canonizzazione, a riprova che l'impegno politico è anche per un cristiano, come disse Paolo VI, un modo arduo e complesso di vivere la carità (cfr. Esortazione Apostolica Octogesima adveniens, n. 46).

Attraverso gli atti parlamentari relativi al dibattito che precedette l'approvazione della nuova Costituzione repubblicana o la ratifica dell'Accordo di modifica del Concordato lateranense, sapientemente commentati e inquadrati da quest'opera, si assiste al confronto fra uomini e posizioni di pensiero fra loro diverse e, in alcuni punti, antitetiche. Ciò che colpisce è come si sia trovato un consenso, che non è un compromesso al ribasso, ma che, in ultima analisi, esprime "il riconoscimento della dimensione sociale e pubblica del fatto religioso" (Discorso del presidente Giorgio Napolitano al Santo Padre, 4 ottobre 2008) e, quindi, della profonda identità del popolo italiano. E questo non necessariamente a partire da una condivisione di fede, ma in forza di un corretto apprezzamento del ruolo del cattolicesimo nella plurisecolare vicenda storica della nostra penisola e dell'Europa.

Ma questo non può essere soltanto un motivo di compiacimento per la saggezza umana e politica dei protagonisti di quelle vicende parlamentari, bensì deve diventare un'indicazione di metodo, tuttora valida. Anche oggi, nella società e in Parlamento sono presenti posizioni di pensiero fra loro diverse e, non di rado, configgenti; anche oggi si pongono grandi sfide, che il Santo Padre Benedetto XVI vede "rappresentate dalle guerre e dal terrorismo, dalla fame e dalla sete, dalla estrema povertà di tanti esseri umani, da alcune terribili epidemie, ma anche dalla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e dalla promozione della famiglia, fondata sul matrimonio e prima responsabile dell'educazione" (Discorso di Benedetto XVI al presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, 20 novembre 2006).

E allora mi chiedo: quando si tratta di affrontare questioni legate alla presenza pubblica della religione e della Chiesa e, più ancora, quando si discutono delicati temi di carattere etico, che toccano la persona, la sua dignità, il suo legame essenziale alla famiglia, la sua fragilità, all'alba e al tramonto dell'esistenza terrena o davanti alle insidie della violenza e della povertà, non può giovare il ritornare alla lezione che ci viene dalle vicende riproposte nelle pagine di questo volume?

Si tratta, cioè, di percorrere quella che il presidente Schifani, con felice espressione, denomina "la via del patriottismo costituzionale". Si potrebbe dire che bisogna operare guidati dalla ragione umana, che accomuna tutte le persone di buona volontà, credenti e non credenti, secondo le regole della convivenza democratica.



(©L'Osservatore Romano - 4 dicembre 2009)

Caterina63
00giovedì 3 dicembre 2009 22:25
Nuovi studi su un problema vecchio



di Gianpaolo Romanato

Una felice iniziativa dell'Archivio storico del Senato e un'intelligente, amplissima ricerca di Roberto Pertici sono riusciti a conseguire il non facile risultato di fornirci un libro nuovo su un problema vecchio. Vecchio addirittura più dell'Italia unita, se è vero che la Questione romana iniziò con l'allocuzione di Pio IX del 29 aprile 1848, quella del non possumus alla guerra federale all'Austria.
Su questo tema, sul quale si sono cimentati nell'arco di un secolo e mezzo i migliori uomini di cultura italiani, si sono svolti in Parlamento dibattiti memorabili per respiro storico, acume giuridico, tensione morale, sicuramente tra i più alti di tutta la nostra storia parlamentare.

Il filo conduttore dello studio di Pertici sono appunto questi interventi, sintetizzati nel volume e riportati per intero nel cd allegato al libro: dal discorso al Senato di Croce del 1929, l'unico discorso di opposizione ai Patti del Laterano, con il celebre inciso sul primato della coscienza rispetto al potere, a quello di Mussolini, con la ben nota invettiva sugli "imboscati della storia", riferita appunto al filosofo napoletano.

E il dibattito che si svolse alla Costituente, quando si arrivò a discutere quello che sarebbe diventato l'articolo 7, non fu da meno. Vanno ricordati almeno gli interventi di Calamandrei e Orlando, che smontarono con logica stringente tutta la costruzione giuridica che aveva presieduto alla formulazione dell'articolo; quello di Giuseppe Dossetti, che rimontò quella formulazione con argomentazioni non meno severe e conseguenti; e poi i due grandi discorsi di De Gasperi e Togliatti, che scavalcarono il livello del diritto, posero il problema dei rapporti Stato-Chiesa sul piano loro proprio, quello politico, e dimostrarono che la politica, su un tema tanto arduo, era assolutamente sovrana, portatrice di diritti che venivano prima del diritto.
Ciò che in fondo era già avvenuto nel 1871, quando furono varate le Guarentigie, un'acrobazia dal punto di vista strettamente formale, ma anche un monumento di saggezza, secondo la ben nota definizione crociana.

Questa meticolosa ricerca di Pertici è molto chiara nell'indicazione del problema che rese sempre ardua la Questione romana, prima e dopo i Patti lateranensi. Lo scoglio non era la rivendicazione del potere temporale, una rivendicazione che perdette ogni importanza con il tramonto del pontificato di Leone XIII, scomparso nel 1903. Lo scoglio era dato dall'autocomprensione che la Santa Sede ebbe sempre di se stessa come "ordinamento giuridico originario", per usare il linguaggio tecnico di Dossetti, o come soggetto internazionale sovrano, per dirla più chiaramente, oppure, per usare un'espressione più immediata e più direttamente percepibile, di essere uno Stato fra Stati. L'autore ci ricorda che Pio xi accettò di ridurre al minimo la pretesa territoriale, accontentandosi di un territorio in miniatura, simbolico, soltanto quando ebbe la garanzia del riconoscimento della statualità.

Questa autocomprensione della Chiesa romana non era basata, quindi, sull'idea del potere temporale ma sulla storia e la funzione dell'istituzione ecclesiastica, sulla natura del diritto canonico, sul consenso internazionale che l'aveva sempre accompagnata. Un consenso che - lo dimostrò a suo tempo un giurista insospettabile come Federico Cammeo, un israelita che poi sarà vittima delle leggi razziali - non venne meno neppure dopo il 20 settembre, dal momento che numerosi Stati mantennero la loro rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede anche nel periodo compreso fra il 1870 e il 1929, cioè nel sessantennio in cui la sede pontificia aveva perduto il requisito principale della statualità, cioè il territorio.

Non a caso Pio X, cioè il Pontefice che lasciò cadere ogni nostalgia per il potere temporale, eletto nel 1903, varò il progetto del Codex Iuris Canonici, entrato poi in vigore nel 1917. Solo un'istituzione pienamente cosciente della propria personalità sovrana, della propria autonomia giuridica, starei per dire della propria forza politica e morale, poteva dotarsi di un codice di leggi del tutto analogo a quello degli Stati postrivoluzionari proprio negli anni in cui la sua statualità, dal punto di vista formale, era diventata incerta e problematica.

Ciò che importava era dunque la statualità come forma politica, non come dimensione territoriale di potere. Tale esigenza divenne urgente e indilazionabile quando fu eletto al papato Achille Ratti, nel 1922, che prenderà il nome di Pio XI. Erano passati tre anni dalla fine della guerra e si stava rivelando tutta la fragilità dei trattati di pace sottoscritti a Parigi, soprattutto nell'est europeo dove il crollo dei tre imperi - asburgico, tedesco e zarista - aveva scavato un baratro territoriale e politico di cui per molte ragioni stiamo ancora scontando le conseguenze. Nell'area immensa che andava dal Mar Baltico al Mar Nero si tentò di far nascere l'embrione di una nuova Europa, con la costituzione di molti nuovi Paesi (Finlandia, Lettonia, Estonia, Lituania, Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Austria, Jugoslavia), nessuno dei quali era mai esistito prima con i confini stabiliti allora, e con il rifacimento territoriale della Romania, che raddoppiò il proprio territorio.

Ma il dopoguerra stava dimostrando che gli equilibri geopolitici non si costruiscono a tavolino, creando, componendo o scomponendo entità statuali ipotetiche. E infatti la Santa Sede guardò con particolare attenzione a questa nuova Europa, dalle fondamenta incerte e precarie, nella quale si intrecciavano il cattolicesimo (di rito latino e orientale), l'ortodossia e le Chiese riformate, preoccupata dalla nascita di due problemi nuovi e imprevisti: il nazionalismo politico fondato su basi confessionali e la tendenza emergente nei nuovi regimi a impadronirsi della tradizione asburgica della Chiesa di Stato.

Perché ricordo tutto questo? Perché Achille Ratti trascorse tre anni nella polveriera orientale, proprio alla vigilia dell'elezione papale, e li trascorse in quello che era verosimilmente l'occhio del ciclone della nuova Europa postbellica, cioè in Polonia, un Paese stretto fra l'aggressione della Russia bolscevica, la precarietà dei nuovi confini e i plebisciti per le regioni contese. In Polonia Ratti fu visitatore e poi nunzio apostolico dal 1918 al 1921. Tre anni drammatici, durante i quali rischiò addirittura l'espulsione dal Paese, perché accusato dai tedeschi di essere filopolacco e dai polacchi di essere filotedesco.

Quando fu eletto Papa, pochi mesi dopo il suo rientro in Italia, era perciò fermamente convinto che proprio la condizione di fragilità diplomatica e politica in cui si trovava la Santa Sede, già ampiamente emersa negli anni tragici della guerra, rendesse problematico il rapporto della Chiesa con il nuovo ordinamento politico del continente, che oltre tutto stava dovunque scivolando verso regimi autoritari. La politica concordataria, che ritenne l'unica idonea a fronteggiare la situazione, avrebbe avuto successo - tanto nei confronti dei Governi quanto nei confronti degli episcopati nazionali, tutt'altro che ben disposti verso l'autorità romana - solo se la Santa Sede fosse stata garantita da una condizione di piena autonomia che, riconoscendone il ruolo e il rango sul piano internazionale, la legittimasse come interlocutore alla pari con i vari Governi.

Per conseguire questo obiettivo era assolutamente indispensabile recuperare una qualche forma di sovranità territoriale, sia pure minima, sia pure simbolica, ma tale da reinsediare il papato nel consesso delle nazioni come soggetto di diritto internazionale autonomo e pienamente sovrano. Di qui il suo irrigidimento in tutta la lunga, sfibrante trattativa che precedette la sottoscrizione dei patti, sottoscrizione che divenne possibile - come ci dice Pertici - soltanto quando Mussolini accettò la dizione "Stato della Città del Vaticano", dizione che compare per la prima volta nella bozza del 31 gennaio 1929, undici giorni prima della sottoscrizione definitiva.
Anche in questo decisivo frangente, dunque, per comprendere le ragioni vaticane è buona norma tener conto del contesto internazionale più che di quello italiano.

Un'istituzione che deve tutelare i propri legittimi interessi nei cinque continenti va considerata in un'ottica globale e non secondo angolature parziali. Per questo motivo sono d'accordo con l'autore quando afferma che i Patti lateranensi non dimostrano l'affinità innata della Chiesa con il fascismo, come sostiene una diffusa storiografia, ma soltanto la fedeltà della Chiesa a se stessa e alla sua natura, la sua capacità, di approfittare di ogni occasione e di ogni interlocutore per conseguire il risultato voluto.

Per venire poi al periodo costituente, la rigidezza con cui la Santa Sede difese l'idea della costituzionalizzazione dei Patti del 1929, in taluni casi imponendo la propria strategia ai parlamentari democristiani, derivava dalla stessa preoccupazione: cioè dal timore che nelle incertezze del dopoguerra si potesse rimettere in discussione il risultato conseguito allora.

Un'ultima considerazione. Ciò che stupisce, in questa secolare vicenda, è la capacità della Chiesa di rinascere quasi dalle sue ceneri. Pochi, dopo il disastro del 1870, che interruppe addirittura un concilio, sarebbero stati disposti a scommettere su un luminoso futuro della Santa Sede. E invece, già durante la prima guerra mondiale troviamo un papato capace di parlare alle nazioni con il linguaggio del futuro: penso alla Nota alle potenze belligeranti di Benedetto XV dell'agosto 1917. Mentre nel secondo dopoguerra assistiamo addirittura a una stagione di trionfo ecclesiastico senza precedenti, una stagione durante la quale - come scrive Pertici in una pagina da leggere, mi sembra in filigrana - "l'elemento confessionale ebbe una visibilità quale non aveva mai avuta nella precedente storia italiana". Una visibilità, aggiungo io, sicuramente eccessiva.

E infatti, a chi sapesse guardare lontano era chiaro che quella che trionfava in Italia negli anni Cinquanta era l'istituzione più che la convinzione di fede, già prossima, quest'ultima, a indebolirsi sotto i colpi dell'avanzante secolarizzazione.

In questa lunga storia, nella quale pure non mancarono asprezze, risentimenti ed eccessi, da una parte e dall'altra, non venne mai meno, però, la volontà di giungere ad accordi capaci di accontentare, sul filo della politica prima ancora che del diritto, l'uno e l'altro dei contendenti. Non venne meno dopo il 20 settembre quando si vararono le Guarentigie, non venne meno nel 1929 quando si produssero i Patti del Laterano, non venne meno alla Costituente quando i due grandi partiti popolari, il cattolico e il comunista, si accordarono per la formulazione dell'articolo 7, non venne meno negli anni del centro-sinistra e in quelli successivi, quando si stava producendo la grande trasformazione della società italiana e si giunse al completo rifacimento delle norme concordatarie, completate dalle intese con le altre confessioni religiose.

Risolvere il problema della convivenza di due poteri indipendenti in una medesima città - l'unica città al mondo che è sede di due Stati, di due Governi, dove ciascun Paese è presente con due distinte rappresentanze diplomatiche - non è stato facile nel passato e non lo sarà, verosimilmente, neppure nel futuro. Ma il metodo del dialogo, su cui insiste il presidente del Senato nell'introduzione al libro, come ha risolto le difficoltà nel passato, così potrà risolverle anche nel futuro.



(©L'Osservatore Romano - 4 dicembre 2009)

Caterina63
00giovedì 21 gennaio 2010 19:01
La peculiare natura dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia

Roma e i suoi significati


di Giuseppe Dalla Torre

"Siamo in un momento in cui noi costituenti della Repubblica italiana dobbiamo votare nell'interesse della Nazione e nell'interesse della Repubblica. Dobbiamo votare in modo che sia fatto appello al mondo libero degli Stati, al mondo che anche io so e dico che ci guarda. Il mondo che ci guarda si preoccupa che qui si crei una Costituzione di uomini liberi; il grande mondo cattolico si preoccupa che qui la Repubblica nasca in pace e in amicizia col Pontefice romano". Così Alcide De Gasperi, che pur aveva a suo tempo mosso critiche alla stipula dei Patti Lateranensi, il 25 marzo 1947, nel suo primo e unico intervento in Assemblea Costituente a favore dell'articolo 7 della Costituzione in fase di elaborazione.

Nelle espressioni stringate e prive d'ogni retorica dell'uomo politico democristiano si coglie, tra le altre, la lucida percezione della peculiarità dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia, data da una dimensione al tempo stesso nazionale e internazionale.

I rapporti con la Chiesa cattolica sono, per ogni Stato, una "questione nazionale", per il semplicissimo fatto che la Chiesa si incarna in Chiese particolari, che vivono nel territorio di ciascuno Stato e operano a vantaggio di soggetti che si trovano su quel dato territorio e sono destinatari dei comandi del relativo ordinamento.

Nel caso italiano peraltro tale questione nazionale assume un rilievo e dei connotati del tutto diversi per il fatto che in Italia, e solo in Italia, essa si pone sotto un duplice profilo:  alla disciplina, secondo quanto avviene altrove, della porzione di popolo di Dio che è in Italia, si aggiunge la disciplina - e questo è invece un unicum - dei rapporti con la Santa Sede, cioè con l'ufficio del Pontefice, che è vescovo di Roma ma che ha la responsabilità del governo della Chiesa universale.

C'è, dunque, una "questione" tutta italiana e solo italiana dei rapporti tra Chiesa e Stato:  in ragione - come dice l'articolo 2 dell'accordo di revisione del Concordato del 1984 - del "particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità"; ma anche in ragione del fatto che la Santa Sede è colta, nel concerto delle potenze statuali, come una "potenza morale" la cui esistenza non può essere da loro ignorata.

A ben vedere, però, la peculiarità della situazione italiana non è data solo dal fatto dello sdoppiamento di piani sui quali si pone il problema dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato, vale a dire la disciplina giuridica della Chiesa che è in Italia e la disciplina giuridica della condizione della Santa Sede; essa è data anche dal fatto che la condizione giuridica riservata alla Santa Sede non è una questione esclusivamente interna allo Stato italiano, ma è una questione di intuibile e ben nota rilevanza internazionale. In qualche modo paradossalmente la "questione" dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia è, per dir così, una "questione nazionale" anche e proprio perché riveste una dimensione che trascende i confini del Paese.

Come bene mostra un volume di Roberto Pertici presentato nei giorni scorsi al Senato - Chiesa e Stato in Italia. Dalla Grande Guerra al nuovo Concordato (1914-1984) (Bologna, il Mulino, 2009, pagine 896, euro 55) - questa "nazionalità" della questione, o se si vuole la volontà politica di trovare una soluzione nazionale ai peculiari problemi internazionali posti dalla presenza della Santa Sede in Italia, fu un dato lucidamente avvertito già all'indomani del 20 settembre 1870 dai politici liberali, che cercarono conseguentemente una soluzione con la legge delle Guarentigie del 1871.

Così come la necessità di una soluzione nazionale, quindi raggiunta per autonoma determinazione dello Stato e non per imposizione straniera, fu l'elemento ispiratore sia dei tentativi di conciliazione degli ultimi governi liberali, in particolare dei rapporti tra Vittorio Emanuele Orlando e monsignor Bonaventura Cerretti a Parigi nel 1919, sia della composizione escogitata con i Patti Lateranensi da un fascismo ben consapevole del carattere nazionale ma al tempo stesso internazionale della questione, e determinato a non farsene espropriare la soluzione.

In definitiva anche la soluzione costituzionale delineata nel 1946-47, e sfociata nell'articolo 7, è riprova della continuità di una linea di politica ecclesiastica diretta a far sì che, pur rivestendo una innegabile rilevanza internazionale, la questione dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica dovesse essere risolta per iniziativa propriamente italiana. Lo fa capire il passo, sopra citato, di De Gasperi; lo dimostrano diversi interventi, sia della maggioranza che della opposizione, in sede di Assemblea Costituente.

Bisogna riconoscere che a tale linea di politica ecclesiastica seguita con indubbia costanza dal 1870 al 1948, nonostante le differenti soluzioni prospettate o raggiunte nei diversi momenti storici da distinte posizioni politiche, ha risposto, quasi specularmente, una analoga linea di politica ecclesiastica della Santa Sede. Basti pensare alle dichiarazioni autorizzate fatte dal presidente dell'Unione popolare, nel 1913, a conclusione della viii Settimana sociale dei cattolici italiani, in cui si auspicava tra l'altro la soluzione della Questione romana "per costituzionale volontà del Paese, da parte dello Stato, senza che la sua civile sovranità ne sia compromessa"; concetto poi ripreso ufficialmente, due anni dopo, dal segretario di Stato di Benedetto xv, il cardinale Pietro Gasparri.

Ma si pensi anche all'atteggiamento tenuto dalla Santa Sede nel non lasciarsi sedurre, durante i difficili anni della prima guerra mondiale, da proposte tese a espropriare l'Italia di una questione propriamente sua come il piano Mulert-Eners, per la internazionalizzazione della Questione romana, o il progetto di Mattia Erzberger, per la ricostituzione di uno Stato della Chiesa.

Lo stesso atteggiamento fu tenuto dalla Santa Sede alla fine del secondo conflitto mondiale, quando con l'articolo 15 del Trattato di pace del 1947 e l'articolo XI del Trattato di amicizia, commercio e navigazione tra Italia e Stati Uniti del 1948, furono imposte all'Italia precise garanzie in materia di libertà religiosa.
Giova ricordare al riguardo le preoccupazioni che, negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra, agitavano ambienti politici italiani non solo per l'emergere, nel mondo politico americano e irlandese, di generici orientamenti diretti a una internazionalizzazione delle garanzie da assicurarsi alla Santa Sede; ma soprattutto in relazione a più precisi e corposi progetti, come quello presentato dal neoambasciatore di Francia presso la Santa Sede Jacques Maritain al ministro degli Esteri del suo governo, Bidault, prevedente sia un eventuale allargamento territoriale dello Stato della Città del Vaticano, sia anche, e innanzitutto, la sostituzione del Trattato Lateranense con uno Statut vraiment international che garantisse gli interessi della comunità internazionale a una "disitalianizzazione" della questione della libertà e indipendenza della Santa Sede.

Se è pensabile che la Santa Sede si possa essere allora riferita a tali orientamenti di esponenti delle potenze vincitrici - diretti a una internazionalizzazione della questione della propria indipendenza - per premere sull'Italia ai fini di una recezione in Costituzione dei Patti Lateranensi, è certo tuttavia che non era questo l'obbiettivo politico cui mirava. Anche questa volta, infatti, la Santa Sede non intese far espropriare all'Italia una questione propriamente italiana e spinse di nuovo per quella soluzione nazionale, che fu raggiunta con l'inserimento in Costituzione dei Patti Lateranensi.

Dunque con l'approvazione, col voto significativo del Partito comunista, dell'articolo 7 della Costituzione, contenente il riconoscimento della sovranità della Chiesa nel proprio ordine e il richiamo ai Patti Lateranensi, l'Italia confermava di voler continuare a risolvere con un atto di sovrana deliberazione le peculiarità dei suoi rapporti con la Chiesa cattolica, che pure hanno una intrinseca rilevanza internazionale. Di qui il significato politico della larghissima maggioranza con cui l'articolo 7 venne approvato; larghissima maggioranza che di nuovo tornò, oltre trent'anni dopo, con l'approvazione parlamentare dell'Accordo di Villa Madama del 1984, con cui si apportarono modifiche al Concordato del Laterano.

Ma quell'ampio consenso sull'articolo 7, col suo disposto riguardante la duplice prospettiva delle relazioni dello Stato con la Chiesa, manifestava al tempo stesso consapevolezza e condivisione della inseparabilità della duplice questione soggiacente:  come aveva detto Pio XI quasi all'indomani dell'11 febbraio 1929, Trattato e Concordato simul stabunt, simul cadent.


(©L'Osservatore Romano - 22 gennaio 2010)

Caterina63
00giovedì 24 marzo 2011 19:34
Dallo Stato pontificio alla Città del Vaticano

Lo sgabello del papato


Pubblichiamo la prima e l'ultima parte dell'intervento sul tema "Dallo Stato pontificio alla Città del Vaticano" dell'arcivescovo - che dal 23 marzo è nunzio apostolico in Indonesia - al colloquio storico tenutosi il 19 febbraio scorso nell'Aula vecchia del Sinodo, nell'ambito delle celebrazioni per il quarantennale dell'Associazione Santi Pietro e Paolo.

di ANTONIO GUIDO FILIPAZZI

Il tema "Dallo Stato pontificio alla Città del Vaticano" può essere declinato considerando il tema della sovranità territoriale della Santa Sede, che appunto fino al 1870 si esprimeva nello Stato pontificio come ora nello Stato della Città del Vaticano.

Gli Stati Pontifici nascono nel secolo VIII a partire dal patrimonio di San Pietro, cioè dall'insieme di territori donati al Romano Pontefice, e assumono nel corso dei secoli sempre di più una fisionomia statuale. Tali territori sono percepiti come il presidio sicuro dell'autonomia e della libertà del Papato, che soprattutto nel secondo millennio aveva ben vivo il ricordo di Avignone, cioè il timore di ritornare in qualche momento a essere il "cappellano" di una corte regia. Quindi la sovranità territoriale, all'interno della Chiesa fino al secolo XIX, non viene sostanzialmente messa in discussione, ma è anzi difesa. Possiamo considerare il manifestarsi della sovranità territoriale del Papa durante tre distinte fasi, che vanno, rispettivamente, dalla fondazione della Guardia Palatina (comprendendo però già i decenni precedenti) fino alla data fatidica del 1870, una seconda fase che va dal 1870 al 1929, e una terza fase che, a cominciare dalle trattative dei Patti Lateranensi, arriva a oggi.

Quando il 6 agosto 1926 Francesco Pacelli fu autorizzato da Pio XI a iniziare le conversazioni con il consigliere Domenico Barone, il Pontefice gli affidò il mandato con la clausola del riconoscimento da parte delle altre nazioni della sovranità assoluta del Papa sul territorio che gli sarebbe stato assegnato. Chiedeva cioè un territorio separato da quello italiano e una vera sovranità territoriale, non ritenendo sufficiente un'area di proprietà della Santa Sede e sottratta alla giurisdizione dello Stato italiano (extraterritoriale). Di fatto, meno di tre anni dopo, il Trattato Lateranense recepiva questa esigenza imprescindibile: "L'Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano, com'è attualmente costituito, con tutte le sue pertinenze e dotazioni, creandosi per tal modo la Città del Vaticano" (articolo 3).

Si trattava, inoltre, di stabilire l'entità del territorio soggetto alla sovranità del Pontefice. Agli inizi delle trattative si ipotizzò di incorporare nel futuro stato Villa Doria-Pamphilj (anche se subito molti dei cardinali consultati in merito fecero presente di ritenere sufficiente un territorio il più ridotto possibile; si temevano infatti le difficoltà nel dover amministrare un'area più ampia e con una popolazione consistente). A quest'ipotesi nel gennaio 1928 il consigliere Barone rispose, offrendo la sola sovranità sul Vaticano e l'extraterritorialità per Villa Doria-Pamphilj. Così Pio XI ritenne preferibile restringersi al solo territorio di quella che nella bozza di Trattato del 2 dicembre 1928 era denominata "Città del Vaticano". Anzi, il 10 febbraio 1929, alla vigilia della firma dei Patti, il Papa decise di escludere dal territorio del nascente Stato il Palazzo del Sant'Uffizio, l'Oratorio di San Pietro, il Museo Petriano e le altre adiacenze, per i quali fu previsto il godimento "delle immunità riconosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici di Stati esteri" (articolo 15 del Trattato del Laterano).

Non si può non convenire con Carlo Alberto Biggini, quando afferma che Pio XI mostrò sulla questione del territorio del suo nuovo Stato "una nobile arrendevolezza" (Storia inedita della Conciliazione). Ciò era motivato dal desiderio sia di "calmare e far cadere tutti gli allarmi e rendere addirittura ingiuste, assolutamente irragionevoli, tutte le recriminazioni fatte o da farsi in nome di una, stavamo per dire, superstizione di integrità territoriale del Paese" (sono noti i timori di Vittorio Emanuele III di cessioni consistenti di territorio al Papa), sia di ottenere, oltre alla piena libertà della Santa Sede, anche una regolazione delle "condizioni religiose in Italia, per sì lunga stagione manomesse, sovvertite, devastate in una successione di Governi settari od ubbidienti e ligi ai nemici della Chiesa" (Discorso di Pio XI ai quaresimalisti, 11 febbraio 1929).

Veniva così creato uno Stato di dimensioni molto ridotte. Come affermò lo stesso Pio XI, "volevamo mostrare in un modo perentorio che nessuna cupidità terrena muove il Vicario di Gesù Cristo, ma soltanto la coscienza di ciò che non è possibile non chiedere; perché una qualche sovranità territoriale è condizione universalmente riconosciuta indispensabile ad ogni vera sovranità giurisdizionale: dunque almeno quel tanto di territorio che basti come supporto della sovranità stessa".

Lo Stato della Città del Vaticano, per la sua conformazione territoriale, è uno Stato-enclave, cioè completamente circondato dal territorio italiano e per molti versi non viabile senza l'impegno internazionalmente assunto dall'Italia di garantirgli tutta una serie di servizi necessari alla sua esistenza e attività (al riguardo basta leggere l'articolo 6 del Trattato Lateranense, secondo il quale l'Italia deve provvedere alla Città del Vaticano un'adeguata dotazione di acque, la comunicazione con le ferrovie dello Stato italiano e il collegamento dei servizi telegrafici, telefonici, radiotelegrafici, radiotelefonici e postali nella Città del Vaticano con l'Italia e con l'estero).

Quanto alle dimensioni ridotte del nuovo Stato, esse vengono in qualche modo compensate dalle garanzie personali e reali che il Trattato Lateranense riconosce alla Santa Sede. Quest'ultima può così disporre di varie aree in Roma nelle quali collocare la sede dei suoi organismi senza mettere in pericolo l'indipendenza della sua azione di governo della Chiesa universale.

Attualmente si sta delineando un quadro in parte nuovo rispetto a quello sancito dal Trattato del 1929. Infatti, il processo d'integrazione europea ha fatto sì che quando si varcano i confini dello Stato della Città del Vaticano, ci si trova non più solo in Italia, ma si entra anche nel territorio dell'Unione europea. E ciò comporta una rimodulazione di quei rapporti che garantiscono la vita e l'attività dello Stato della Città del Vaticano. Basti ricordare, ad esempio, che il 17 dicembre 2009 è stata sottoscritta una Convenzione monetaria non più con l'Italia, ma tra lo Stato della Città del Vaticano e l'Unione europea. Si è quindi in qualche modo aperta una fase nuova, per certi versi non ancora del tutto definita nelle sue caratteristiche, per la sovranità della Santa Sede e anche per la sua sovranità territoriale, cioè per lo Stato vaticano.
 
Nel 1962 - riprendendo un'espressione usata da Papa Ratti nel 1929 a proposito del territorio riconosciuto al Pontefice ("quel tanto di territorio che basti come supporto della sovranità stessa; quel tanto di territorio, senza del quale questa non potrebbe sussistere, perché non avrebbe dove poggiare") - l'allora cardinale Giovanni Battista Montini, in un discorso pronunciato alla vigilia dell'apertura del concilio Vaticano II (10 ottobre 1962), distingueva "la secolare istituzione pontificia" e lo "sgabello terreno sul quale appoggiava da tanti secoli i suoi piedi". Si tratta di un'immagine molto significativa, perché esprime bene i rapporti che intercorrono fra la Santa Sede con quella sovranità territoriale, che pur ridotta, talvolta delicata nel suo esercizio, è tuttavia finora il presidio sicuro della libertà della missione affidata da Cristo al Successore di Pietro.



(©L'Osservatore Romano 25 marzo 2011)



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