Cosa si intende per Magistero e per Tradizione?

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Caterina63
00mercoledì 26 novembre 2008 14:09
Amici...leggendo la parola MAGISTERO E TRADIZIONE.....pensavo a questo messaggio ricevuto proprio ieri dal sito:
www.lucisullest.it

Ve lo offriamo di cuore come meditazione.....invitandovi ad entrare nel collegamento posizionato al termine per leggerlo integralmente...
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I cattolici, coerenti con gli insegnamenti della Chiesa, vogliono il vero progresso, non vogliono un ritorno al Medioevo, ma camminare avanti verso il trionfo del Cuore Immacolato di Maria, profetizzato dalla Madonna a Fatima.

Ricordiamo qui - come elemento utile per un dialogo costruttivo e chiarificatore con quelli che hanno un concetto sbagliato di Tradizione e nello stesso clima di maturità democratica – l’insegnamento del Papa Pio XII sull’argomento.

Dall’opera “Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana”, Plinio Corrêa de Oliveira (*):
L’apprezzare una tradizione è oggi virtù rarissima: da un lato perché l'ansia di novità, il disprezzo del passato sono stati d'animo resi molto frequenti dalla Rivoluzione (1); dall'altro perché i difensori della tradizione l'intendono a volte in maniera completamente falsa.

La tradizione non è un mero valore storico né un semplice tema per variazioni tipico di un romanticismo nostalgico; essa è un valore che va inteso non in modo esclusivamente archeologico, ma come fattore indispensabile per la vita contemporanea.

La parola tradizione, dice il Pontefice [Pio XII], «suona sgradita a molti orecchi; essa spiace a buon diritto, quando è pronunciata da certe labbra. Alcuni la comprendono male; altri ne fanno il cartellino menzognero del loro egoismo inattivo. In tale drammatico dissenso ed equivoco, non poche voci invidiose, spesso ostili e di cattiva fede, più spesso ancora ignoranti o ingannate, vi interrogano e vi domandano senza riguardo: A che cosa servite voi? Per rispondere loro, conviene prima intendersi sul vero senso e valore di questa tradizione, di cui voi volete essere principalmente i rappresentanti.

«Molti animi, anche sinceri, s'immaginano e credono che la tradizione non sia altro che il ricordo, il pallido vestigio di un passato che non è più, che non può più tornare, che tutt'al più viene con venerazione, con riconoscenza se vi piace, relegato e conservato in un museo che pochi amatori o amici visitano. Se in ciò consistesse e a ciò si riducesse la tradizione, e se importasse il rifiuto o il disprezzo del cammino verso l'avvenire, si avrebbe ragione di negarle rispetto e onore, e sarebbero da riguardare con compassione i sognatori del passato, ritardatari in faccia al presente e al futuro, e con maggior severità coloro, che, mossi da intenzione meno rispettabile e pura, altro non sono che i disertori dei doveri dell'ora che volge così luttuosa.

«Ma la tradizione è cosa motto diversa dal semplice attaccamento ad un passato scomparso; è tutto l'opposto di una reazione che diffida di ogni sano progresso. Il suo stesso vocabolo etimologicamente è sinonimo di cammino e di avanzamento. Sinonimia, non identità. Mentre infatti il progresso indica soltanto il fatto del cammino in avanti passo innanzi passo, cercando con lo sguardo un incerto avvenire; la tradizione dice pure un cammino in avanti, ma un cammino continuo, che si svolge in pari tempo tranquillo e vivace, secondo le leggi della vita, sfuggendo all'angosciosa alternativa: 'Si jeunesse savait, si vieillesse pouvait!' [Se la gioventù sapesse, se la vecchiaia potesse]; simile a quel Signore di Turenne, di cui fu detto: 'Ha avuto nella sua gioventù tutta la prudenza di un'età avanzata, e nell'età avanzata tutto il vigore della gioventù' (Fléchier, Oraison funèbre, 1676).

In forza della tradizione, la gioventù, illuminata e guidata dall'esperienza degli anziani, si avanza di un passo più sicuro, e la vecchiaia trasmette e consegna fiduciosa l'aratro a mani più vigorose che proseguono il solco cominciato. Come indica col suo nome, la tradizione è il dono che passa di generazione in generazione, la fiaccola che il corridore ad ogni cambio pone in mano e affida all'altro corridore, senza che la corsa si arresti o si rallenti. Tradizione e progresso s'integrano a vicenda con tanta armonia, che, come la tradizione senza il progresso contraddirebbe a se stessa, così il progresso senza la tradizione sarebbe una impresa temeraria, un salto nel buio.

«No, non si tratta di risalire la corrente, di indietreggiare verso forme di vita e di azione di età tramontate, bensì, prendendo e seguendo il meglio del passato, di avanzare incontro all'avvenire con vigore di immutata giovinezza» (2).

Note:

(1) Il termine «Rivoluzione» è qui impiegato nel senso attribuitogli nel mio saggio «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione». Esso designa un processo iniziato nel secolo XV tendente a distruggere la Civiltà cristiana e stabilire un ordinamento diametralmente opposto. Fasi di questo processo sono state la pseudo-Riforma protestante, la Rivoluzione francese e il Comunismo nelle sue molteplici varianti e nella sua sottile metamorfosi del nostro tempo.

(2) Allocuzione al Patriziato ed alla Nobiltà Romana 1944.
(*) Cfr. op. cit., Parte I, Cap. V, 3, “b”, Marzorati Editore, 1993, pp. 70-71 – per consultare il testo integrale dell’opera:
www.intratext.com/X/ITA0372.HTM .


[SM=g27985]
Caterina63
00venerdì 13 febbraio 2009 14:58
Thumbs up "In Dominico Agro" Enc.Clemente PP. XIII del 1761 (Catechesi)

INCREDIBILE LA SUA ATTUALITA'......


"IN DOMINICO AGRO"
Lettera Enciclica di Sua Santità
CLEMENTE PP. XIII


Ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi.

Il Papa Clemente XIII. Venerabili Fratelli, Salute e Apostolica Benedizione.


1. Nel coltivare il campo del Signore, cui per divina provvidenza siamo preposti, nulla richiede sì vigile cura e perseverante attività quanto la custodia del buon seme gettato, cioè della dottrina cattolica affidata da Cristo Gesù agli Apostoli ed a noi consegnata. Se questa viene trascurata a causa di pigra oziosità o inerte accidia, mentre gli operai dormono il nemico del genere umano vi semina sopra zizzania; motivo per cui avviene che al tempo della mietitura, invece di trovare ciò che si deve riporre nei granai, si trova ciò che deve essere bruciato dalle fiamme.

A difendere la fede una volta consegnata ai Santi, Ci spinge ardentemente il beatissimo Paolo, il quale scrive a Timoteo che custodisca il buon deposito (2Tm 1,14), perché sovrastano tempi pericolosi dal momento che si trovano nella Chiesa uomini cattivi, e seduttori, per opera dei quali l’insidioso tentatore cerca di inficiare le menti incaute con questi errori, che sono nemici della verità evangelica.


2. In verità se (come spesso accade) nella Chiesa di Dio cercano di farsi strada idee tendenziose le quali, pur contrastanti tra di loro, in questo solo collimano, nel minacciare in qualche modo la purezza della fede cattolica, allora davvero è molto difficile, nel cautelarci tra l’uno e l’altro nemico, calibrare talmente il nostro discorso da sembrare di aver voltato le spalle a nessuno di loro, ma invece di aver evitato e condannato egualmente l’uno e l’altro nemico di Cristo. Talvolta avviene che facilmente una diabolica falsità, con una certa sembianza di vero, si ricopra di menzogne colorate, mentre l’efficacia delle sentenze viene corrotta da brevissima aggiunta o da mutamento, sì che la testimonianza che portava salvezza, talora con sottile passaggio porta alla morte.


3. Perciò da questi sentieri sdrucciolevoli e angusti, sui quali difficilmente puoi camminare od entrare senza caduta, sono da tenere lontani i fedeli e specialmente coloro che hanno ingegno più rozzo e più semplice: le pecore non si devono guidare ai pascoli attraverso vie impraticabili, né si devono proporre loro talune singolari opinioni, anche di Dottori cattolici; ma deve essere loro insegnata la parte certissima della verità cattolica, la totalità della dottrina, la tradizionale, quella sulla quale c’è consenso.

Inoltre, non potendo il volgo salire il monte (Es 19,12) sul quale è scesa la gloria del Signore, e poiché nel tentativo di violare i confini per contemplarla perirebbe, i Dottori devono fissare al popolo i limiti di un circuito, in modo che il discorso non vada oltre quelle cose che sono necessarie o almeno molto utili alla salvezza, ed i fedeli obbediscano al suggerimento dell’Apostolo: "Non voler conoscere più di quanto è necessario, ma conoscere a sufficienza" (Rm 12,3).


4. I Romani Pontefici Nostri Predecessori, conoscendo perfettamente ciò, posero tutto il loro impegno per stroncare non solo con la spada dell’anatema i germi velenosi degli errori fin dal loro nascere, ma anche per amputare certe idee effervescenti che, magari per eccesso, impedissero nel popolo cristiano un più generoso frutto di fede, o potessero nuocere agli animi dei fedeli per un’eccessiva vicinanza all’errore.
Perciò, dopo che il Concilio di Trento condannò quelle eresie che avevano cercato allora di offuscare lo splendore della Chiesa, e riportò la cattolica verità in più chiara luce, avendo in certo modo allontanato la nebbia degli errori; i medesimi Nostri Predecessori, avendo compreso che quel sacro Convegno della Chiesa universale aveva adoperato sì prudente saggezza e tanta discrezione nell’astenersi dal riprovare opinioni fondate sull’autorità dei Dottori della Chiesa; secondo il pensiero del medesimo sacro Concilio vollero dar mano ad un’altra opera che comprendesse tutta la dottrina sulla quale era opportuno che i fedeli fossero istruiti, e che fosse assolutamente lontana da qualsiasi errore.

Divulgarono, stampato, un libro intitolato Catechismo Romano, e per questo meritano doppia lode. Infatti in esso riposero la dottrina che è comune nella Chiesa ed è lontana da qualsiasi pericolo; e proposero con eloquenti parole di farla conoscere al popolo, obbedendo così al precetto di Cristo Signore, che ordinò agli apostoli di divulgare nella luce (Mt 10,27) ciò che egli avesse detto nelle tenebre, e ciò che avevano udito in un orecchio lo predicassero sopra i tetti, fedeli alla Chiesa sposa, conforme all’espressione: "Dimmi dove riposi nel meriggio" (Ct 1,6).

Dove infatti non sia meriggio, e quindi la luce non sia così chiara che apertamente si conosca la verità, facilmente al suo posto si recepisce la falsità a causa di un certa verosimiglianza, che nell’oscurità difficilmente si discerne dal vero. Sapevano infatti che c’erano stati precedentemente, e ci sarebbero stati nel futuro, coloro che potevano invitare i pascenti e promettere più abbondanti pascoli di sapienza e di scienza: verso questi, molti sarebbero accorsi, perché le acque furtive sono più dolci ed il pane nascosto è più soave (Pr 9,17).

Perché dunque la Chiesa sedotta non vagasse al seguito di greggi di complici, vagabondi essi stessi, privi di alcuna certezza di verità, sempre discenti (2Tm 3,7) e non mai giunti ad una scienza di verità, proposero fosse chiaramente ed in forma trasparente spiegato e consegnato al popolo cristiano soltanto quello che fosse necessario e sommamente utile per la salvezza.


5. In verità l’amore di novità danneggiò questo libro preparato con non indifferente fatica e zelo, approvato dal consenso comune e ricevuto con le massime lodi in questi tempi dalle mani dei Pastori: furono esaltati altri Catechismi in nessun modo paragonabili col Romano. Ne derivarono due danni: nello stesso insegnamento fu quasi tolto quel consenso, e fu offerto ai pusilli d’animo un certo scandalo, al punto che non sembrava loro di trovarsi sulla stessa faccia della terra (Gen 11,1) e con un linguaggio unico; il secondo, poi, che dai diversi modi d’insegnare la verità cattolica sorsero delle contese; dalla emulazione, mentre uno si dice seguace di Apollo, un altro di Cefa, un altro di Paolo, nacquero divisioni di animi e grandi dissidi.

Riteniamo che niente sia più dannoso nel diminuire la gloria di Dio che la crudezza di tali dissensi, niente più rovinoso per impedire di cogliere i frutti che giustamente i fedeli potrebbero ottenere dalla disciplina cristiana. Infine, per allontanare dalla Chiesa questo doppio malanno, ritenemmo opportuno ritornare colà donde alcuni, con poco prudente consiglio, guidati dalla superbia, vantandosi di essere i più saggi nella Chiesa, avevano appunto allontanato il popolo fedele. Ritenemmo opportuno offrire di nuovo ai Pastori d’anime il medesimo Catechismo Romano,in modo che le menti dei fedeli siano distolte il più possibile, anche ora, dalle nuove idee non suffragate da consenso o da tradizione, e siano corroborate in quella che fu la fede cattolica e nella dottrina della Chiesa, che è colonna di verità (1Tm 3,15).

Affinché fosse più facile avere il libro, emendato dai difetti che aveva contratto per colpa dei lavori, decidemmo che fosse nuovamente stampato con somma diligenza nell’alma città di Roma, sull’esempio di quello che il Nostro Predecessore San Pio V divulgò con decreto del Concilio di Trento; il testo che per ordine del medesimo San Pio fu tradotto in lingua volgare e stampato, ben presto parimenti sarà di nuovo edito per ordine Nostro.


6. Dunque è vostro dovere, Venerabili Fratelli, fare in modo che nel presente difficilissimo tempo della Cristianità questo libro sia ricevuto dai fedeli quale sussidio molto opportuno, offerto per cura e diligenza Nostra, per rimuovere gl’inganni di false opinioni e propagandare e rafforzare la vera e santa dottrina. Pertanto, Venerabili Fratelli, vi raccomandiamo questo libro, quasi norma di fede Cattolica e di cristiana disciplina perché, anche nel modo di riportare la dottrina, vi appare il consenso di tutti i Romani Pontefici: vi esortiamo ardentemente nel Signore perché diate ordine che sia adoperato da tutti coloro che hanno cura delle anime nell’insegnare la verità Cattolica ai popoli, affinché siano conservate l’unità di erudizione, la carità e la concordia degli animi. È compito vostro provvedere alla tranquillità di tutti: questi sono i doveri del Vescovo: il quale perciò deve avere gli occhi attenti perché qualcuno agendo superbamente per la propria gloria, non procuri scismi, dopo aver rotto la compagine dell’unità.


7. Questi libri non porteranno certamente alcun frutto utile, o ben poco, se coloro che devono presentarli e spiegarli agli ascoltatori saranno scarsamente idonei all’insegnamento. Pertanto importa assai che per questo compito d’insegnare la dottrina cristiana al popolo scegliate degli uomini non solo provvisti di scienza delle cose sacre, ma molto più di umiltà e di zelo per la santificazione delle anime, e ardenti di carità. Infatti, tutta la disciplina cristiana consiste non nell’abbondante eloquio, non nell’astuzia del disputare, non nell’appetito di lode e di gloria, ma nella vera e volontaria umiltà.

Vi sono infatti taluni che una scienza maggiore innalza, ma disgiunge dalla comunità degli altri; e quanto più sanno, tanto più mancano della virtù della concordia: essi sono ammoniti dalla sapienza stessa, dalla parola di Dio: "Abbiatesale in voi (Mc 9,49) e abbiate pace tra noi": così infatti è da ritenersi il sale della sapienza, affinché da esso l’amore del prossimo sia custodito, e le debolezze siano temperate.

Se essi sono animati dallo zelo della sapienza e sono distolti dalla cura del prossimo ed orientati verso le discordie, essi hanno un sale senza pace, non dono di virtù, ma motivo di dannazione; quanto più sanno, tanto peggio peccano. Li condanna veramente la sentenza di Giacomo apostolo con quelle parole: "Se avete una rivalità amara, e nei vostri cuori albergano contese, non vantatevi di essere mendaci verso la verità: codesta sapienza non viene dall’alto, ma è terrena, animale, diabolica" (Gc 3,14): dove infatti ci sono invidia e contesa, colà si trovano incostanza e ogni opera cattiva. Ma la sapienza che viene dall’alto è anzitutto pudica, quindi pacifica, modesta, docile, consenziente nel bene, piena di misericordia e di frutti buoni, non ipercritica, senza emulazione.


8. Mentre dunque preghiamo Dio con umiltà di cuore e animo afflitto, perché conceda indulgenza alla nostra diligenza ed agli sforzi del nostro operare, e larghezza di misericordia, affinché il dissenso non turbi il popolo fedele, e affinché nel vincolo della pace e nella carità di spirito conosciamo tutti, lodiamo e glorifichiamo un solo Dio e il Signore Nostro Gesù Cristo, salutiamo Voi, Venerabili Fratelli, nel bacio santo; a Voi tutti, e parimenti a tutti i fedeli delle vostre Chiese, con grande affetto impartiamo l’Apostolica Benedizione.


Dato a Castel Gandolfo, il 14 giugno 1761, nell’anno terzo del Nostro Pontificato.
CLEMENTE PP. XIII
Caterina63
00venerdì 13 febbraio 2009 15:01
Lightbulb 1742 PP. Benedetto XIV "Etsi Minime" sulla Catechesi

INCREDIBILE L'ATTUALITA DI QUESTA ENCICLICA....SE SOLTANTO L'APPLICASSIMO TUTTI SIA LAICI CHE RELIGIOSI, SI RISPARMIEREBBERO ALLA CHIESA MOLTE SOFFERENZE....se avete a cuore la Verità, leggetela e meditatela e fatela conoscere...

ETSI MINIME
Lettera Enciclica di Sua Santità Benedetto PP. XIV
Ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi.

Il Papa Benedetto XIV. Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.


Seppure non nutriamo alcun dubbio che tutti coloro a cui è stata affidata la cura delle anime e Voi soprattutto, Venerabili Fratelli, elevati all’ufficio dell’Apostolato e costituiti da Dio nella dignità prelatizia, rivolgiate la vostra prima preoccupazione a che il popolo cristiano, nutrito in modo salutare con i rudimenti della Fede al pascolo della celeste dottrina, sia felicemente indirizzato sulla via dei precetti del Signore, dietro voi che portate alta la fiaccola, non possiamo tuttavia esimerci dall’incitarvi, con le esortazioni della Nostra autorità e del Nostro paterno amore, a promuovere con più forte sollecitudine l’opera così sacrosanta e salutare della Dottrina Cristiana, eliminando gli ostacoli che avversano la salute delle anime.


1. Ma poiché ci rivolgiamo a persone che conoscono la legge ed esortiamo gli accorti Vescovi delle Chiese, a cui non fanno difetto né la pietà né le risorse dei Sacri Scritti, riteniamo superfluo ribadire con molteplici argomenti che non è sufficiente, per raggiungere la celeste felicità, credere in modo confuso ed indistinto i Misteri rivelati da Dio e insegnati dalla Chiesa Cattolica.

Questa celeste dottrina trasmessa da Dio, e che viene accolta con l’ascolto, deve essere ricevuta dalla voce di un maestro legittimo e fedele, in modo tale che ne vengano spiegate singolarmente le verità basilari e siano proposte ai fedeli come verità da credere, alcune per necessità di mezzo e altre per necessità di precetto.

Anche se affermiamo che si viene giustificati per mezzo della Fede, essendo questa principio e fondamento della salvezza per poter giungere alfine alla bramata futura Città, è parimenti chiaro che la sola Fede non è sufficiente. Occorre conoscere la strada e mantenersi costantemente su di essa, cioè i precetti di Dio e della Chiesa, le virtù da coltivare e i vizi da evitare con cura.


2. Essendo tutto ciò racchiuso nei primi rudimenti della Fede Cattolica o, come si suol dire, nella Dottrina Cristiana, è compito specifico dei Vescovi che questa venga illustrata in tutte le Diocesi e in ogni luogo in modo chiaro e metodico, né possono, senza tacito biasimo della coscienza, trascurarla; debbono anzi consacrare a questo lavoro, sommamente necessario, tutta la cura e la diligenza.

Non pensiamo che questo incarico sia assegnato al Vescovo in modo a tal punto esclusivo da pretendere la sua continua presenza all’insegnamento della Dottrina Cristiana, per interrogare di persona i bambini e illustrare i Misteri della Fede che professiamo. Sappiamo bene che l’onere del servizio apostolico incide pesantemente sull’impegno della cura pastorale. Abbiamo capito a fondo, quando reggevamo prima la Chiesa di Ancona e poi quella di Bologna, come il Presule, che vuole adempiere compiutamente il proprio lavoro, sia agitato da infinite e difformi preoccupazioni, come flutti.

Assolverà questo incarico il Vescovo che, anche in tempo diverso da quello della Visita Pastorale, sarà qualche volta presente dove viene trasmessa la sana dottrina al cristiano, interrogherà ragazzi e fanciulle sulle cose ascoltate e illustrerà con le sue parole i Misteri della nostra Religione. Un impegno del Pastore che risulterà grandemente utile al gregge a lui affidato, e il suo esempio stimolerà gli altri a coltivare con tutte le forze la vigna del Signore degli eserciti.


3. Questo modo di occuparsi della Chiesa fu definito quasi una legge, non solo dagli antichi ma anche dai più recenti Presuli iscritti nell’albo dei Beati, come Carlo Borromeo, Francesco di Sales, Turibio e Alessandro Sauli. Alcuni di essi (come attestano gli scritti), trovandosi impegnati e ostacolati da compiti più gravi, non potendo assolverlo di persona, destinavano a questo loro grave dovere un Vicario scelto fra i Canonici o tra i Sacerdoti perché, fattosi carico di questo ministero pastorale, educasse gli adolescenti, con le verità basilari della Fede, ai doveri della Religione.


4. Importantissimo dunque e sommamente utile alla crescita spirituale delle anime sarà l’esempio del Vescovo, se, come abbiamo detto sopra, lo assolverà in tutte le parrocchie, in ogni tempo e specialmente mentre percorrerà la Diocesi.

Ma come ognuno può immaginare, non possono soccorrerlo forze bastanti. Pertanto, per raggiungere l’intento, è necessario che con la massima diligenza procuri che, in coloro che ha scelto come suoi Vicari in una fatica così lodevole e così meritoria, non venga meno lo zelo e la sollecitudine.


5. Due anzitutto sono gli obblighi che dal Concilio Tridentino sono imposti a chi ha cura delle anime. Il primo comporta che nei giorni festivi tengano il sermone sulle cose divine; il secondo che istruiscano, con i rudimenti della Fede, i bambini e chiunque ignori la Legge Divina.

Se nei giorni stabiliti i parroci svolgeranno la doverosa omelia, che non assordi le orecchie con suasive parole di umana sapienza, ma con parole adatte alla capacità degli ascoltatori infonda lo Spirito nel loro cuore; se annunzieranno un Mistero, specie nel tempo in cui la Chiesa lo ricorda, seminando ciò che è di incitamento alla virtù e di ricusazione dei vizi, soprattutto dei più gravi che con più disdoro infieriscono nel popolo; se in questi stessi giorni nutriranno, come bambini appena nati, i fanciulli con il latte della Dottrina, interrogando or l’uno or l’altro, sciogliendo i dubbi e le incertezze; se infine, con l’Apostolo, si dedicheranno alla lettura, all’esortazione e alla dottrina, perché il credente diventi perfetto e istruito in ogni buona opera, è lecito credere che il risultato risponda alle attese e possa sorgere agevolmente un popolo gradito a Dio e operatore di bene.


6. È pure ampiamente dimostrato dall’esperienza che la fatica del solo parroco non è sufficiente, non potendo uno solo insegnare a tutti, dove il numero la vince sulla disponibilità dell’insegnante. Tuttavia non sarà mai privo degli opportuni rimedi il Vescovo che si dedicherà con tutto il cuore e tutto lo zelo al bene della Chiesa che gli è stata affidata. Potrà infatti fare ricorso a chi si accosta alla Tonsura, a chi si avvia alla dignità del Sacerdozio salendo i gradini degli Ordini Minori e Maggiori, a chi, infine. Il Vescovo ricorderà loro, con autorevoli e dure parole (e alle parole rispondano i fatti), che non acconsentirà mai alla Tonsura, raggiunta la debita età, o al conferimento degli Ordini Minori, ma soprattutto di quelli Maggiori, di chi abbia trascurato di assicurare la propria disponibilità ai parroci per insegnare la Dottrina Cristiana.

Distribuisca dunque tutti questi chierici nelle singole parrocchie della sua Città e della Diocesi, assegnandone pure alcuni a determinate Chiese. Faccia inoltre sapere, garantendone la promessa, che nel conferimento delle parrocchie e degli altri benefici a norma di diritto, avranno peso ed importanza lo zelo e la diligenza impegnati dai chierici in questo lavoro; in questo modo sarà per sé evidente che il compito di insegnare non è stato assegnato al solo responsabile della Diocesi, ma che molti devono esservi disponibili, perché tutti insieme concorrano a dar compimento al suo incarico.


7. A tutto questo è da aggiungere che, con le Sacre Costituzioni Apostoliche, e soprattutto con la settima di Leone X Nostro predecessore di felice memoria, sono state date opportune disposizioni perché, sia i maestri di scuola insegnando ai propri alunni, sia le pie donne alle ragazze (sotto il pressante incalzare del Vescovo), li nutrano e li rafforzino con la sana e pura dottrina, quasi cibo vitale.

È anche assodato come lo stesso Vescovo possa e debba raccomandare con grande fermezza ai sacri oratori perché, durante il sermone, immettano negli orecchi e negli animi dei genitori l’importanza di ammaestrare con le verità della nostra Religione i propri figli; se non saranno all’altezza del compito, sarà necessario che i figli vengano portati in Chiesa dove sono illustrati i Precetti della Legge Divina.

In molti luoghi (e dove non esistevi sia introdotta) ha preso pure piede la pia e lodevole consuetudine di dare una mano al parroco, teso a realizzare questo compito, ad opera di laici, sia uomini che donne, che, premurandosi di offrire il loro servizio per l’insegnamento cristiano, ascoltano i fanciulli e le ragazze che recitano a memoria il Padre Nostro, la Salutazione Angelica, il Simbolo degli Apostoli e tutte le altre preghiere.

In altre località sono state costituite Congregazioni con lo scopo di insegnare la Dottrina Cristiana, la cui istituzione è colmata, a buon diritto, di meritate lodi da Pio V di santa memoria nella sua Costituzione che inizia: "Ex debito", ed esorta a propagarle con ogni premura in tutte le Diocesi.

Tutte queste realtà indirizzate allo stesso scopo, se saranno attentamente valorizzate, daranno a tutti la consapevole certezza che, pur essendo esiguo il numero degli operai dove abbondante è la messe, non mancherà chi spezzerà il pane ai bambini che lo implorano.


8. È anche risaputo che non solo i fanciulli e coloro che si trovano in età più matura giacciono nell’ignoranza delle cose divine, ma anche gli uomini e gli stessi anziani risultano assai ignari della salutare dottrina, perché mai l’appresero, o avendola imparata in tempi lontani la smemoratezza la cancellò gradatamente. Pure a questo male potrà riparare la provvida diligenza dei Vescovi, se i loro cooperatori si imporranno di impiegare con cura i rimedi approntati.


9. Si riporti il discorso a quelli che si trovano nella prima infanzia: molti chiedono di essere ammessi alla Sacra Eucaristia e alla Confermazione. Pochi, per la verità, non ostentano questa decisa volontà, quasi fosse un irresistibile desiderio. Ammonisca dunque il Vescovo i parroci ed ordini loro con vigore che non ammettano al Sacramento dell’Eucaristia e non consegnino la cosiddetta Scheda della Confermazione a chi non conosce i fondamenti della Fede e della Dottrina e il valore e la forza del Sacramento. In questo modo sembra si possa ben provvedere alla prima infanzia.


10. Se invece parliamo degli adolescenti, poiché ciascuno riceve da Dio il proprio dono, è ben noto dall’esperienza che alcuni si avviano sulla strada della vita ecclesiastica, altri su quella della vita secolare.

Dei primi già ci siamo occupati quando abbiamo parlato di coloro che desiderano essere ammessi agli Ordini Sacri. Sembra possa essere aggiunta una sola cosa: sarebbe opportuno e di grande utilità che, a quanti si presentano per l’esame, il Presule chiedesse in primo luogo l’essenza racchiusa nella scienza del cristiano. Infatti l’esperienza, maestra di verità, ha reso evidente che alcuni di essi, pur adorni di un elegante e puro linguaggio latino e abbondantemente istruiti nella molteplicità delle scienze e buoni conoscitori di tutto ciò che riguarda gli Ordini, interrogati sulla Dottrina Cristiana, risposero in maniera insoddisfacente e per nulla pertinente.


11. Se poi rivolgiamo la Nostra attenzione a chi passa la vita nel mondo, risulta evidente che la maggior parte di essi si indirizza al matrimonio. Veramente non potranno essere congiunti con il matrimonio se il parroco, com’è suo dovere, avrà scoperto, ponendo precise domande, che l’uomo e la donna ignorano ciò che è necessario alla salvezza.

Difficilmente il Vescovo potrà lasciare spazio a così grande e funesta ignoranza; richiami i pastori di anime al loro compito e, nel caso non vi ottemperassero, punisca la loro negligenza.


12. Tutti gli uomini, di ogni età e condizione sociale, sono soliti nettare le sozzure dell’anima con il Sacramento della Penitenza. Il Vescovo farà dunque in modo che il Sacerdote, che accoglie le Confessioni, tenga come certo e immutabile che non è valida l’assoluzione sacramentale impartita a chi non conosce ciò che è indispensabile per necessità di mezzo e che gli uomini non possono essere riconciliati con Dio con questo Sacramento se prima, scossa la caligine dell’ignoranza, non saranno condotti alla conoscenza della Fede.

Sappia anche il Confessore che deve essere rimandata ad altro tempo l’assoluzione di chi, per sua colpa, non conosce ciò che è indispensabile per necessità di precetto. In questo caso il penitente può anche essere assolto, qualora si riconosca colpevole di questa sua non insuperabile ignoranza, ne chieda perdono a Dio e prometta sinceramente al Confessore di darsi da fare per apprendere, con l’aiuto di Dio, anche ciò che è necessario per necessità di precetto.


13. Se dunque i Pastori si proporranno questo metodo di formazione del popolo cristiano, se penseranno che i loro consigli, le fatiche e gli intenti dovranno essere ricondotti al metodo proposto, è lecito sperare che il gregge, con la Fede e con le opere, potrà progredire nel tempo a tal punto da essere trasformato in abitazione di Dio nello Spirito Santo.

Ma poiché si tratta di una cosa di somma importanza e nessun’altra è stata istituita più utile alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime, nessuno deve meravigliarsi se vengono continuamente interposti numerosissimi ostacoli.


14. A voltesi trovano dislocate nella campagna piccole ed umili Chiese, alcune vicine, altre assai lontane dalla Parrocchiale, dove, nei giorni festivi, si dirigono i padri di famiglia con i loro figli per ascoltare il Sacerdote mentre celebra i Sacri Misteri. Questo comporta che non siano quasi mai presenti nella loro Parrocchia e non possano ascoltare alcuna parola sui Misteri della Fede, sui Precetti e sui Sacramenti.

A questo male deve provvedere il Vescovo con tutto il peso della sua autorità. Per prima cosa, in ordine alle piccole Chiese vicine alla Parrocchiale, con una precisa legge deve impedire che vi sia celebrata Messa prima che il Parroco abbia a sua volta celebrato, abbia tenuto il sermone e abbia provveduto ai rimanenti impegni del suo ufficio.

In questo modo la Chiesa parrocchiale sarà frequentata da una moltitudine di fedeli che vi accorrerà. Per quanto riguarda invece le piccole Chiese situate lontano dalla Parrocchiale, risultando assai difficile, per la distanza dei luoghi, che i parrocchiani, scartata la Chiesa più vicina, possano affrontare un lungo ed aspro cammino, specie durante l’inverno quando i fiumi straripano, per raggiungere la Parrocchiale e qui assistere agli Uffici divini, il Vescovo decreti, con l’aggiunta di gravi pene, che i Sacerdoti addetti a quelle Chiese trasmettano al popolo i punti fondamentali della Dottrina Cristiana e illustrino la Legge Divina.

Tuttavia il parroco deve essere ammonito perché non si fidi troppo dell’operato altrui, ma si renda conto di persona di come stiano le cose quando si richiederà che ai bambini siano amministrati i Sacramenti dell’Eucaristia e della Confermazione e altri chiederanno il Sacramento del Matrimonio.


15. Anche le città presentano specifici inconvenienti. Accade spesso infatti che in certe Chiese, specialmente di Regolari, vengano celebrate festività con rito solenne e grande concorso di popolo. Per questo, se nella Chiesa parrocchiale si tiene il catechismo al mattino presto o subito dopo il pranzo, nessuno o ben pochi saranno i presenti e accamperanno come scusa l’orario fissato. Se non verranno scelte ore più comode alla popolazione, è confermato dall’esperienza che il popolo accorrerà alla Chiesa dove viene solennizzato il giorno festivo e, attratto dall’apparato liturgico, diserterà la Dottrina Cristiana non senza grave danno dell’anima.

Poiché non è possibile fissare al riguardo una norma sicura e generale, vogliamo che questo compito sia lasciato al solerte Antistite della Chiesa, il quale, tenendo conto della natura del luogo, delle circostanze e delle persone, e soppesata la portata dell’insieme dei fatti, trovi il modo di comporre la celebrazione del giorno festivo con la Dottrina Cristiana, perché una non sia di inciampo all’altra.

Se i Regolari e gli Ordini esenti si opporranno e, sebbene ammoniti dai Vescovi, si sentiranno autorizzati a compromettere lo svolgimento della Dottrina Cristiana, offriamo agli Ordinari dei luoghi la Nostra autorità che abbraccia gli Esenti, e non mancheranno alla sollecitudine Apostolica altri mezzi per evitare che le Chiese parrocchiali siano defraudate della dovuta considerazione.


16. Potrebbe risultare sommamente vantaggioso per l’educazione del popolo cristiano scegliere dei visitatori, alcuni dei quali girando per la città e altri percorrendo la Diocesi, facciano accurate indagini su ogni cosa per permettere che il Vescovo, informato sui meriti di ciascun Pastore, possa decretare premi o punizioni.


17. Seguendo le orme di Papa Clemente VIII e degli altri nostri predecessori, esortiamo nel Signore e raccomandiamo con forza che, nel trasmettere la Dottrina Cristiana, sia impiegato il libretto scritto dal Cardinal Bellarmino per mandato dello stesso Clemente. Esaminato attentamente nell’apposita Congregazione a ciò deputata ed approvato, dallo stesso Papa Clemente fu ordinato che venisse pubblicato, con il validissimo intento che tutti in seguito si attenessero allo stesso e unico metodo di insegnare e di apprendere la Dottrina Cristiana.

Niente vi è di più auspicabile di questa uniformità, niente di più opportuno e di più utile per impedire che nella molteplice varietà dei catechismi possano furtivamente introdursi degli errori. Se in qualche luogo si rendesse necessario, per specifiche esigenze del posto, di servirsi di un altro opuscolo, occorrerà prestare grande attenzione che non contenga e non vi si insinui niente di discordante dalla Verità cattolica. Occorre anche prestare attenzione che i dogmi della Fede vi siano spiegati in modo semplice e chiaro, con l’aggiunta di parti necessarie eventualmente omesse e l’eliminazione del superfluo.

Un conciso e univoco metodo di insegnamento risulta solitamente di grande utilità per una più semplice interrogazione, quando si esaminano i progressi dei bambini.


18. Questo libretto deve anche contenere gli Atti di Fede, di Speranza e di Carità, sicuramente composti in modo retto e competente. Se ciò non corrispondesse al vero, una volta perfezionati, siano stampati in forma corretta. Questi Atti trovano più conveniente essere divulgati piuttosto con contenute che con abbondanti parole, purché per mezzo loro si riveli tutta la forza e la natura della virtù.

Poiché per chi professa la Religione cristiana sono sommamente necessarie l’abitudine e la pratica di proferire spesso questi Atti, affinché il loro uso non sia contenuto in limiti angusti e non sia ristretto da qualcuno ad un modesto numero per ogni anno, il Vescovo, preoccupato della propria non meno che dell’altrui salvezza, emani provvide disposizioni perché nelle parrocchie della città e della diocesi i rettori di anime, subito dopo la celebrazione della Messa festiva, inginocchiati davanti all’altare, recitino con voce chiara ed intelligibile i ricordati Atti delle virtù, cercando di precedere il popolo che dovrà ripetere le parole da loro pronunziate.

In questo modo i fedeli, senza quasi accorgersene, li impareranno a memoria e prenderanno l’abitudine di attendere a questa pia pratica non solo in quelli festivi, ma anche nei giorni rimanenti.


19. Queste salutari indicazioni di ammaestrare il gregge che abbiamo voluto farvi conoscere, Venerabili Fratelli, per mezzo di questa Nostra Lettera Apostolica, possono essere riconosciute da ciascuno di voi come conformi ai Nostri moniti pastorali, già dati alle stampe quando, con paterno amore, circondavamo di cure la Chiesa bolognese, nostra sposa.

Indicazioni desunte peraltro dalle Costituzioni Pontificie, riconosciute valide dalla testimonianza e dall’esempio di rinomati Vescovi.

Poiché sappiamo per esperienza che ne deriverà una grandissima utilità, Vi esortiamo e Vi incitiamo con tutto l’ardore possibile e Vi scongiuriamo, per le Viscere di misericordia del Nostro Dio, di attendere con deciso e fermo animo, in forza del compito affidato al vostro Ministero pastorale, all’attuazione di quanto premesso, considerando attentamente che tutta la fatica, l’impegno e l’attenzione profusi a questo scopo, saranno ricompensati da Dio, datore di ogni bene.

Vi impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione.


Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 7 febbraio 1742, nel secondo anno del nostro Pontificato.
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