Da RS interessanti rivelazioni del card. Antonelli sulla Riforma Liturgica

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Caterina63
00mercoledì 25 febbraio 2009 11:07
Sorriso su Rinascimento Sacro si rende noto  un libro in cui il card. Antonelli ha raccolto, sotto forma di diario, i lavori sulla Riforma liturgica del Concilio denunciandone, nel 1998, dieci anni fa....le INCOMPETENZE e la gravità [SM=g1740730]

cliccate qui


vi si lgge:

Queste cose le dice il card. Antonelli nei suoi diari:

«Mi dispiace del come è stata cambiata la Commissione: un raggruppamento di persone, molte incompetenti… Discussioni molto affrettate. Discussioni a base di impressioni: votazioni caotiche. … La Commissione o il Consilium è composto di 42 membri: ieri sera eravamo 13, neanche un terzo.» (pp. 228-229).

«…Ma lo spirito non mi piace. C’è uno spirito di critica e di insofferenza verso la S. Sede che non può condurre a buon termine. E poi tutto uno studio di razionalità nella liturgia e nessuna preoccupazione per la vera pietà. Temo che un giorno si debba dire di tutta questa riforma… accepit liturgia recessit devotio. Vorrei sbagliarmi.» (p. 234)

[sulla formula dell’Ordinazione] «Non metto in dubbio che i periti abbiano studiato a fondo la tradizione… Ho l’impressione però che il corpo giudicante, che in questo caso erano i 35 Padri del Consilium presenti, non fossero all’altezza. C’è poi un elemento negativo: la fretta di andare avanti quia tempus urget.» (p. 237)

«… in una adunanza di detto Consilium… (19/4/67) …Paolo VI vi intervenne personalmente… si disse amareggiato, perché si facevano esperimenti capricciosi nella Liturgia e piú addolorato ancora di certe tendenze verso una desacralizzazione della Liturgia. Però ha riconfermato la sua fiducia al Consilium. E non si accorge il Papa che tutti i guai vengono dal come sono state impostate le cose…» (pp. 237-238)
«1. confusione. Nessuno ha piú il senso sacro e vincolante della legge liturgica. … 4. negli studi di piú vasta scala continua il lavoro di desacralizzazione, e che ora chiamano secolarizzazione; … 6. la grande crisi perciò è la crisi della dottrina tradizionale e del magistero.» (pp. 242-243)


 Scioccato

è importante comprendere ciò che è accaduto....e sostenere immediatamente la Riforma di Benedetto XVI abbandonando ogni forma di CREATIVITA' INIZIATA DAI LAICI IN TEMA LITURGICO...ed ogni creatività taciuta e permessa da non pochi Vescovi....

 Occhi al cielo

a seguire il testo integrale dell'articolo[SM=g1740722]

Caterina63
00mercoledì 25 febbraio 2009 11:09

In un libro rivivono le osservazioni del Cardinal Antonelli

Il R. P. Nicola Giampietro, ha pubblicato per i tipi del Centro Studi S. Anselmo, Roma, 1998, un considerevole escursus sugli sviluppi della riforma liturgica moderna, incentrato sulla figura del card. F. Antonelli: Il Card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970.


Mons. F. Antonelli, divenuto cardinale nel 1973, è stato uno degli artefici della riforma liturgica post-conciliare. Sulla base della sua esperienza, maturata anche come membro della Pontificia Commissione per la riforma liturgica (1948-1960) venne nominato Segretario della Commissione Conciliare della S. Liturgia, del Concilio Vaticano II, e dal 1964 fu membro del Consilium ad exsequandam Constitutionem de S. Liturgia, lo strumento col quale mons. A. Bugnini e S. S. Paolo VI ridussero la S. Liturgia della Chiesa allo stato confusionale in cui si trova oggi.

Il card. Antonelli fu uno strenuo sostenitore dell’attuale riforma, convinto com’era della necessità pastorale di accostare la liturgia alle esigenze dell’uomo moderno. Egli fu uno dei tanti che si convinsero della bontà di invertire il rapporto tra preghiera della Chiesa e fedeli: cosí che doveva essere la Chiesa ad adottare le mutate “sensibilità” dell’uomo moderno, e non piú il fedele a seguire gli ortodossi precetti della Chiesa. Nonostante ciò, il card. rimaneva un attento studioso della storia della S. Liturgia, tanto da rimanere turbato e anche fortemente scosso dalla piega che prese la nuova riforma dopo il Concilio.

L’Autore ha potuto consultare i diari del card., conservati fino a poco tempo fa nell’Archivio de La Verna, e tramite essi ci ha fornito la conferma formale di quanto si continua a sostenere da parte tradizionalista: i lavori di studio e di elaborazione che hanno condotto alla stesura dei nuovi libri liturgici, comunque approvati da Paolo VI, sono stati eseguiti da degli incompetenti, degli arruffoni, degli ignoranti in campo liturgico e teologico, dei personaggi a tutto interessati tranne che al bene della S. Liturgia e dei fedeli.

Queste cose le dice il card. Antonelli nei suoi diari:
«Mi dispiace del come è stata cambiata la Commissione: un raggruppamento di persone, molte incompetenti… Discussioni molto affrettate. Discussioni a base di impressioni: votazioni caotiche. … La Commissione o il Consilium è composto di 42 membri: ieri sera eravamo 13, neanche un terzo.» (pp. 228-229).

«…Ma lo spirito non mi piace. C’è uno spirito di critica e di insofferenza verso la S. Sede che non può condurre a buon termine. E poi tutto uno studio di razionalità nella liturgia e nessuna preoccupazione per la vera pietà. Temo che un giorno si debba dire di tutta questa riforma… accepit liturgia recessit devotio. Vorrei sbagliarmi.» (p. 234)

[sulla formula dell’Ordinazione] «Non metto in dubbio che i periti abbiano studiato a fondo la tradizione… Ho l’impressione però che il corpo giudicante, che in questo caso erano i 35 Padri del Consilium presenti, non fossero all’altezza. C’è poi un elemento negativo: la fretta di andare avanti quia tempus urget.» (p. 237)

«… in una adunanza di detto Consilium… (19/4/67) …Paolo VI vi intervenne personalmente… si disse amareggiato, perché si facevano esperimenti capricciosi nella Liturgia e piú addolorato ancora di certe tendenze verso una desacralizzazione della Liturgia. Però ha riconfermato la sua fiducia al Consilium. E non si accorge il Papa che tutti i guai vengono dal come sono state impostate le cose…» (pp. 237-238)

«1. confusione. Nessuno ha piú il senso sacro e vincolante della legge liturgica. … 4. negli studi di piú vasta scala continua il lavoro di desacralizzazione, e che ora chiamano secolarizzazione; … 6. la grande crisi perciò è la crisi della dottrina tradizionale e del magistero.» (pp. 242-243)

«5. nel Consilium ci sono pochi Vescovi che abbiano una preparazione liturgica specifica, pochissimi che siano veri teologi. La carenza piú acuta in tutto il Consilium è quella dei teologi. Si direbbe che siano stati esclusi.» (p. 257)

«Quello che però è triste […] è un dato di fondo, un atteggiamento mentale, una posizione prestabilita, e cioè che molti di coloro che hanno influsso nella riforma, […], ed altri, non hanno alcun amore, alcuna venerazione per ciò che ci è stato tramandato. Hanno in partenza disistima contro tutto ciò che c’è attualmente. Una mentalità negativa ingiusta e dannosa. Purtroppo anche il Papa Paolo VI è un po’ da quella parte. Avranno tutti le migliori intenzioni, ma con questa mentalità sono portati a demolire non a restaurare.» (p. 258)

«Potrei dire molte cose di questo uomo [mons. A. Bugnini]. Devo aggiungere che è stato sempre sostenuto da Paolo VI. Non vorrei sbagliarmi, ma la lacuna piú notevole in P. Bugnini è la mancanza di formazione e di sensibilità teologica. … Ho l’impressione che si sia concesso molto, soprattutto in materia di sacramenti, alla mentalità protestante.» (p. 264).

È la prima volta che vengono divulgate informazioni di questo genere: riconducibili ad un prelato di parte modernista che ha concorso alla definizione della riforma da una posizione autorevole.

E forse sarà l’ultima volta, poiché, dopo la pubblicazione di questo libro, qualcuno ha provveduto a fare sparire tutto il materiale in archivio riguardante la riforma stessa. Pare, addirittura, che l’occultamento del materiale, che dovrebbe ora trovarsi negli archivi segreti del Vaticano, sia stato realizzato all’insaputa di tutti, perfino dei responsabili della Congregazione per il Culto Divino che ne aveva la custodia. Che sia stato il Diavolo travestito da prete?!

[NICOLA GIANPIETRO O. F. M. Cap., Il Card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970, Studia Anselmiana, Roma, 1998, pp. 416, £ 70.000]


Fonte Una Vox

[SM=g1740733]



Caterina63
00martedì 3 marzo 2009 16:24

“Dispiace lo spirito che è troppo innovatore": l'eccezionale introspettiva del Consilium di chi v'entrò da segretario della Sacrosanctum Concilium.

Vi presentiamo un altro anticipo del documento sulla riforma liturgica di cui abbiamo parlato giorni fa a proposito dell'intervista di Ranjith. Un documento incredibile, sia per l'autorevolezza sia per la testimonianza diretta dei fatti. Il Cardinal Antonelli fu protagonista indiscusso del rinnovamento liturgico fin dai tempi di Pio XII, fu segretario della costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia e poi membro del Consilium per la sua esecuzione. Ma non fu tenero coi risultati.




BREVE BIOGRAFIA
Il Cardinale Giuseppe Ferdinando Antonelli nacque il 14 luglio 1896. Il 25 luglio 1914, a 18 anni, veste l’abito francescano. Il 25 luglio 1922 diventa sacerdote. Pressol’Antonianum, fu professore di Storia ecclesiastica antica e di Archeologia. Fu professore di Liturgia presso l’Istituto Internazionale dei Padri Carmelitani Scalzi e all’Apostolicum. Il 22 febbraio 1930 viene nominato Consultore della Sacra Congregazione dei Riti per la sezione storica, di cui, nel 1935 diviene Relatore Generale. Nel 1948 fu nominato membro della Pontificia Commissione per la riforma liturgica, compito che assolse fino al 1960. Durante il Concilio Vaticano II fu Perito e Segretario della Commissione Conciliare della Sacra Liturgia (con nomina il 4 ottobre 1962): la commissione che preparò lo schema della Sacrosanctun Concilium da presentare ai Padri conciliari. Il 27 febbraio 1964, fu nominato Membro del “Consilium ad exequendam Constitutionem de S. Liturgia”. Il 26 gennaio 1965 venne nominato Segretario della Sacra Congregazione dei Riti. Risultano molti suoi scritti de “re liturgia”, come anche due manuali di Liturgia preparati dall’Antonelli per gli allievi. Si tratta di una figura non solo di alto profilo e di grande competenza liturgica, ma anche di grande comunione con la Chiesa: fu nominato Vescovo il 21 febbraio 1966 e ordinato dallo stesso Papa Paolo VI il 19 marzo successivo. Sette anni più tardi, sempre Papa Paolo VI, sotto il cui pontificato è avvenuta la riforma liturgica, nel Concistoro del 5 marzo 1973, lo creava Cardinale.

Il libro di Nicola Giampietro sul “Card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970” (pubblicato dal Pontificio Ateneo S. Anselmo, con la prefazione di Aimé Georges Martimort) è uno strumento prezioso per avere, dall’interno, informazioni chiare e sicure su come si è sviluppata la riforma liturgica grazie alla splendida figura di questo Cardinale che aveva una grande competenza liturgica, era molto stimato da Papa Paolo VI e partecipò in prima persona sia ai lavori per la stesura della Sacrosanctum Concilium, sia ai lavori del su indicato Consilium che aveva il compito di applicare la riforma.


CHE COS’È IL “CONSILIUM”
“Tutte le riforme si attuano per Decreto, così la Costituzione Liturgica del Concilio è stata seguita dall’Istruzione “Inter Oecumenici” che indica le norme pratiche di attuazione” (op. cit., p. 223). Il 25 gennaio 1964, Papa Paolo VI con il Motu proprio “Sacram Liturgiam” istituiva una Commissione che aveva il compito principale di attuare nel modo migliore le prescrizioni presenti nella Sacrosanctun Concilium.

Il nuovo organismo detto “Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia", era composto anzitutto dai Cardinali Giacomo Lercaro (presidente), Paolo Giobbe e Arcadio Larraona; il segretario era il P. Annibale Bugnini. C’erano poi 200 consultori tra cui 6 protestanti: il dr. Georges, il canonico Jasper, il dr. Shepard, il dr. Konneth, il dr. Smith e fr. Max Thurian i quali per esplicita testimonianza din Mons. W.W. Baum (oggi cardinale) non furono semplici osservatori ma ebbero un ruolo attivo nella creazione della nuova messa (cfr. intervista al Detroit News del 27/06/1967).

Delle prime adunanze di questo Consilium si parla nel diario dell’Antonelli e si deduce che egli prese parte attiva al momento progettuale e decisionale” (op. cit., p. 225). Si ritiene di dover nominare dei consultori: “Non saranno pochi. Più ancora i Consiliari che dovranno esaminare gli schemi. I nomi dei Consultori non saranno pubblicati.

/…/
1^ ADUNANZA
Al termine della prima adunanza l’Antonelli annota: “Non sono entusiasta dei lavori. Mi dispiace del come è stata cambiata la Commissione: un raggruppamento di persone, molte incompetenti, più ancora avanzata nelle linee della novità. Discussioni molto affrettate. Discussioni a base di impressioni: votazioni caotiche. Ciò che più mi dispiace è che i Promemoria espositivi e i relativi quesiti sono sempre su una linea avanzata e spesso in forma suggestiva. Direzione debole. Spiacevole il fatto che si riaccende sempre la questione dell’art. 36 § 4. Mons. Wagner era inquieto. Mi dispiace che questioni, forse non tanto gravi in sé, ma gravide di conseguenze, vengano discusse e risolte da un organo che funziona così. La Commissione o il Consilium è composto di 42 membri” (op. cit., pp. 228-229).

2^ ADUNANZA
“I rilievi dell’Antonelli rivelano il clima nel quale si lavorava. Si viene a sapere che non c’erano solo discussioni su determinati problemi, ma che si facevano anche degli esperimenti liturgici veri e propri”(op. cit., p. 230). /…/

3^ ADUNANZA
“Dispiace lo spirito che è troppo innovatore. Dispiace il tono delle discussioni troppo sbrigativo e tumultuario talvolta. Dispiace che il Presidente non abbia fatto parlare, domandando a ciascuno il parere”(op. cit., p. 230).

5^ ADUNANZA
“Si proponeva di togliere il Confiteor dalla S. Messa. Dopo un intervento dell’Antonelli si decide che ci deve essere un atto penitenziale nella Messa e all’inizio. Si discute sul Kyrie e Gloria, sulla Liturgia Verbi e sull’offertorio. “Mi dicono che per l’offertorio è stato rilevato come il passo dei Proverbi 9, 1-2, sia cosa artificiale. Ma questo è proprio il sistema deprecato di Durando de Mende, di prendere cioè dei passi della Scrittura solo perché vi ricorre la parola di un rito. Nella Sapienza, i vini e i cibi sono i consigli e la dottrina che derivano dalla Sapienza, che cosa ha da vedere con l’Eucaristia? /…/ A conclusione della quinta sessione l’Antonelli esprime un giudizio preoccupato: “Lo spirito non mi piace. C’è un spirito di critica e di insofferenza verso la S. Sede che non può condurre a buon termine. E poi tutto uno studio di razionalità nella liturgia e nessuna preoccupazione per la vera pietà. Temo che un giorno si debba dire di tutta questa riforma quello che fu detto della riforma degli inni al tempo di Urbano III: “accepit latinitas recessit pietas”; e qui “accepit liturgia recessit devotio”. Vorrei ingannarmi” (op. cit., pp. 233-234).

6^ ADUNANZA
“Nelle ordinazioni si decide, con poca maggioranza, che i concelebranti impongano solo le mani (la materia) senza dire la formula (la forma). A mio modo di vedere la questione è grave e non si può permettere quanto è stato proposto da Dom Botte” (op. cit., pp. 234-236).

7^ ADUNANZA
“A questa Sessione, per la prima volta, hanno partecipato osservatori delegati di chiese protestanti. /…/ In merito all’ordinazione sacerdotale l’Antonelli osserva con sorpresa che, nell’allocuzione del Vescovo agli ordinandi, che è nuova, tra gli uffici del sacerdote non è citato il suo impegno principale: offrire il sacrificio eucaristico. Osserva che anche l’espressione usata dal Vescovo subito dopo per indicare agli ordinandi cosa devono fare “è una formula vaga e non si può accettare. Bisogna ammettere chiaramente che il sacerdote ha il preciso ufficio di offrire il sacrificio eucaristico”. Dopo un altro incontro di studio il Padre Antonelli annota: “Ho l’impressione che il corpo giudicante, che in questo caso erano i 35 Padri del Consilium presenti, non fossero all’altezza. C’è poi un elemento negativo: la fretta di andare avanti con urgenza” (op. cit., pp. 236-237).

8^ ADUNANZA
“Nell’adunanza del 19 aprile 1967, Paolo VI intervenne personalmente e parlando del cammino in corso dell’attuazione della riforma liturgica, Paolo VI si disse amareggiato, perché si facevano esperimenti capricciosi nella Liturgia e più addolorato ancora di certe tendenze verso una desacralizzazione della Liturgia. Però ha riconfermato la sua fiducia al Consilium. E non si accorge il Papa che tutti i guai vengono dal come sono state impostate le cose in questa riforma del Consilium”. /…/ È pessimo il sistema delle discussioni: a) gli schemi spesso vengono prima della discussione. Qualche volta, e in cose gravissime, come quella delle nuove anafore, è stato
distribuito uno schema la sera, per discuterlo l’indomani. b) Il Card. Lercaro non è l’uomo per dirigere una discussione. Il P. Bugnini ha solo un interesse: andare avanti e finire. c) Peggiore il sistema delle votazioni. Ordinariamente si fanno per alzata di mano, ma nessuno conta chi l’alza e chi no, e nessuno dice tanti approvano e tanti no. Una vera vergogna. Non si sa quale maggioranza sia necessaria, se dei due terzi o quella assoluta. Altra mancanza grave è quella che manca un verbale delle adunanze. /…/ Viene deciso di rivedere la struttura e l’ordinamento del “Consilium”. /…/ Ecco cosa – tra l’altro - l’Antonelli scrive al Papa: “a) è molto diffusa, in gran parte del clero e dei fedeli, una notevole inquietudine per queste continue mutazioni. b) Questo stato di instabilità /…/ favorisce gli arbitri e abbassa sempre più il rispetto sacro delle leggi liturgiche. c) Gli esperimenti è necessario che siano pochi, limitati nel tempo e riservati a pochissimi ambienti qualificati, con persone responsabili. Esperimenti in vasta scala e la larghezza, forse con la quale sono stati permessi, ha fatto sì che non pochi sacerdoti, un pò dovunque, si ritengano autorizzati a tentare le cose più stravaganti, con il pretesto che si fanno ad experimentum. d) È cosa nuova che un organo della S. Sede prepari da sé il suo statuto e lo approvi e che il Papa soltanto lo confermi. e) Nella nomina dei componenti il Consilium, compresi i Cardinali, come dei suoi Consultori e dei suoi organismi, per i quattro quinti la scelta è fatta dallo stesso Consiglio di Presidenza e al Papa spetta solo la conferma (è chiaro che se vuole può non confermare, ma in pratica è la scelta che determina). Il Papa così può scegliere direttamente e nominare solo una quinta parte, compresi, ripeto, i Cardinali. Questo sistema non ha precedenti nella storia, perché anche dopo Trento e il Vaticano I, terminato il Concilio, fu la Santa Sede che tornò ad avere piena autonomia” (op. cit., pp. 237-242).

RILIEVI FINALI SUL “CONSILIUM”
“In uno scritto relativo a tutto il 1967, Mons. Antonelli espone le sue impressioni sulla situazione interna ed esterna al “Consilium”: 1) Confusione. Nessuno ha più il senso sacro e vincolante della legge liturgica. I cambiamenti continui, imprecisi e qualche volta meno logici, e il deprecabile sistema, secondo me, degli esperimenti, hanno rotto le dighe e tutti, più o meno, agiscono ad arbitrio; 2) c’è stanchezza. Si è stanchi delle continue riforme e si desidera da tutti di arrivare ad un punto fermo; 3) negli studi di più vasta scala continua il lavoro di desacralizzazione e che ora chiamano secolarizzazione; 4) da qui si vede che la questione liturgica /…/ si inserisce però a sua volta in una problematica molto più vasta, e in fondo dottrinale; 5) la grande crisi perciò è la crisi della dottrina tradizionale e del magistero” (op. cit.,
pp. 242-243). “l’Antonelli fa emergere il suo disappunto per le varie prese di posizione nei confronti della riforma liturgica perché pone la liturgia a fondamento della formazione cristiana e quindi si aspettava che la riforma liturgica venisse applicata seriamente con una certa calma e ponderato equilibrio” (op. cit., p. 247).


LA VERA RIFORMA DEL CONCILIO?
Nei suoi appunti l’Antonelli ci aiuta a vedere quali erano i punti sui quali i Padri si basarono per stilare la Costituzione liturgica. Dopo averne fatto l’elenco dettagliato egli, nei suoi appunti, sottolinea in rosso il problema della lingua volgare, quasi a significare l’importanza dell’argomento e i contrasti che ha generato. “Si tratta di due valori in conflitto. Il latino è certamente la lingua della liturgia latina da circa 1600 anni; è un segno e coefficiente anche di unità; è anche tutela della dottrina, non tanto per l’indole della lingua quanto perché si tratta ormai di una lingua che non è più soggetta a mutazioni; molti testi d’incomparabile bellezza non potranno mai avere nella traduzione la stessa efficacia; al latino finalmente è legato un patrimonio preziosissimo, quello melodico, gregoriano, polifonico. Dall’altra parte è fuori di dubbio che se vogliamo riportare i fedeli, tutti i fedeli, ad una partecipazione diretta, cosciente e attiva, bisogna rivolgersi a loro nella lingua che essi parlano. La Costituzione ha scelto l’unica soluzione possibile in tali casi: la soluzione del compromesso: per certe parti, come il Canone, resta il latino; per le altre, quelle soprattutto che più direttamente si rivolgono al popolo, con le letture, la restauranda “oratio fidelium”, si introduca il volgare” (op. cit., p. 206).


DOVEROSA INFORMAZIONE

Enciclopedia Wikipedia: “Annibale Bugnini (14/6/1912- 3/7/1982) dal 1948 al 1960 fu segretario della Commissione per la riforma generale della Liturgia istituita da Papa Pio XII.. Dal 1964 fu segretario della Commissione liturgica istituita da Papa Paolo VI per l’applicazione della riforma conciliare. Dal 1969 al 1975 fu segretario della Congregazione per il Culto Divino. Fu nominato vescovo il 6/1/1972. Egli fu sostenuto dal Pontefice nell’attività di promozione della riforma liturgica fino al 1975, malgrado le forti opposizioni e i pesanti attacchi personali nei suoi confronti. Alcuni settori cattolici lo accusarono di essere un massone e di volere distruggere la Chiesa con la sua riforma. Tali accuse furono così gravi da spingere lo stesso “Osservatore Romano” ad una smentita il 10 ottobre 1976. Tuttavia Bugnini figura nella lista di Mino Pecorelli con la data di iniziazione 23 aprile 1963, il numero di codice 1365/75 e il nome di codice BUAN. Il 4 gennaio 1976, inaspettatamente, nonostante fosse il padre della riforma liturgica, fu inviato quale pronunzio apostolico in Iran. Il titolo ricevuto, in verità, rappresentava un artificio per mascherare la circostanza che il Bugnini era sostanzialmente allontanato da Roma, senza alcun apparente motivo. Nel suo libro, “La Riforma liturgica”, egli stesso ammette che la sua caduta in disgrazia fu dovuta a questa accusa, cioè “al credito che godettero a Roma le voci della sua presunta affiliazione” (A. Bugnini, La riforma liturgica, 1948-1975, CLV – Ed. Liturgiche, Roma, 1983, pp. 13 e 279). Il Papa aveva voluto la riforma liturgica, ma non era più disponibile ad accettare una creatività liturgica permanente e istituzionalizzata. Significative le parole del canonico Andrea Rose, consultore del “Consilium ad exequendam: “Mons. Aimé Georges Martimort non era molto d’accordo con Bugnini. Egli lo criticava tutte le volte che era assente. Mi diceva: “Questo Bugnini fa ciò che vuole!”. Bugnini ha scritto interi libri per giustificare la sua riforma … Quando arrivai a Roma e andai a salutare Martimort, egli mi raccontò tutte le manovre che Bugnini aveva messo in atto per far passare tutto quello che voleva” (Nouvelles Certitudes, XI, Luglio-Settembre 2002). “Vi è ormai un’ampia “documentazione delle sue sbianchettature sulle deliberazioni dei Padri in Commissione o dei tradimenti del testo originale nelle traduzioni dal latino” (Pietro Siffi, La Messa di San Pio V, Marietti I Rombi, settembre 2007, p. 21).


Fonte Fede e Cultura. Photo Slinky2000 2008, (CC) some rights reserved.

Caterina63
00mercoledì 4 marzo 2009 10:38

"Gli adattamenti erano necessari, ma s'è gettato tutto alle ortiche": parla il il Canonico che ne aveva per tutti.

Un liturgista che visse a fianco di Antonelli i giorni del Consilium, parole al vetriolo per chi gestì la faccenda. Da Bugnini a Lefebvre, in quest'intervista il canonico Rose non risparmia giudizi a nessuno.


Nos contemplan.


Canonico titolare della cattedra di Namur (Belgio), Andrea Rose fu teologo e liturgista. Nei suoi numerosi scritti trattò dell’Ufficio Divino e delle letture bibliche, approfondendo in due libri il significato dei Salmi (Psaumes et prière chrétienne, Bruges 1965; Les Psaumes, voix du Christ et voix de l’Eglise, Paris 1981). In essi egli sosteneva che l’Antico Testamento dovesse essere interpretato alla luce del Nuovo Testamento e degli scritti dei Padri della Chiesa.

Andrea Rose è stato consultore nel "Consilium ad exequendam constitutionem de sacra liturgia", l’organo preposto all’applicazione della costituzione conciliare sulla liturgia (Sacrosanctum Concilium), il cui segretario era Mons. Annibale Bugnini. Quando a questo Consilium subentrò la Congregazione per il Culto Divino, il canonico Rose venne chiamato a farne parte come consultore.

Egli collaborò alla revisione dei libri liturgici per l’Ufficio Divino, nonchè alla definizione delle nuove letture bibliche, delle nuove orazioni e dei nuovi prefazi della Messa. Non si riconobbe mai nelle posizioni "tradizionaliste", quindi le sue osservazioni non possono essere considerate come dettate da una visione particolare.

[...]

Fonte Una Vox.

***


di Stephane Wailliez

Come consultore del Consilium, voi avete fatto parte dei Coetus (gruppi di lavoro) n° 3, 4, 6, 11,18 bis e 21 bis. Quando si leggono le memorie di mons. Bugnini si ha l’impressione che si trattasse di una macchina molto complessa. Vi erano quasi trenta gruppi di lavoro.
Si, era una macchina molto complessa.

Ma allora, qual era la forza motrice che stava dietro a tutto questo?
Era Bugnini.

Di Bugnini si è parlato molto, ma dovevano pur esserci altre correnti, altre tendenze, nel Consilium. O questi vi regnava davvero come maestro indiscusso?

Ciò che so, è che mons. Martimort non era molto d’accordo con lui. Egli lo criticava tutte volte che era assente. Mi diceva: : "Questo Bugnini fa ciò che vuole!". Un giorno mi ha detto: : "Sapete, Bugnini ha fatto una buona scuola media". Era questo il giudizio di Martimort su Bugnini. All’inizio credevo che esagerasse, ma poi mi sono reso conto che aveva ragione. Bugnini non aveva alcuna profondità di pensiero. Fu una cosa grave designare per un posto simile una persona che era come una banderuola. Ma si rende conto? La cura della liturgia lasciata a un pover’uomo come quello, un superficiale…


Le ho chiesto di Bugnini perché, per altro verso, si conosce anche il ruolo svolto da Paolo VI, che seguiva personalmente l’andamento delle cose.
È vero. Ma Bugnini era sempre dal Papa, per informarlo. Un giorno, era all’inizio, quando i problemi non erano ancora così gravi, ero in piazza San Pietro col Padre Dumas. Abbiamo incontrato Bugnini, che ci ha indicato le finestre dell’appartamento di Paolo VI, dicendo: " … pregate, pregate perché ci sia conservato questo Papa ! ". E questo perché egli manovrava Paolo VI. Andava da lui per fargli rapporto, ma gli raccontava le cose come piaceva a lui. Poi ritornava, dicendo: : " Il Santo Padre desidera così, il Santo Padre desidera cosà ". Ma era lui che, sottobanco

Si è detto che mons. Bugnini fosse massone. Pensa che sia vero?
Ovviamente, bisognerebbe avere delle prove.


Pensa che potesse averne la statura?
No, no. L’ho detto prima: non aveva alcuna profondità di pensiero.


Nessuna profondità…
In seguito ha scritto interi libri per giustificare la sua riforma… Quando arrivai a Roma e andai a salutare Martimort, egli mi raccontò tutte le manovre che Bugnini aveva messo in atto per far passare tutto quello che voleva. Il Padre Martimort era un’altra cosa. Aveva ben altra cultura. E criticava il modo di fare di Bugnini.


Quando si esamina la nuova Liturgia delle Ore, a cui lei ha lavorato, si resta colpiti dalle molteplici possibilità di scelta. Si possono scegliere Salmi diversi da quelli indicati, altri Inni, si possono tralasciare le Antifone, aggiungere momenti di silenzio, altre letture, ecc. Il tutto : "per delle giuste ragioni pastorali", il che significa che si può fare come si vuole. Come ha reagito quando è stato proposto questo rituale a scelta?
Nei libri, noi abbiamo messo solo ciò che era ufficiale. Ma poi si è aggiunto " vel alios cantus, vel alios psalmos " ecc., chi fosse stato contrario sarebbe stato trattato da integralista.


Ma questa estrema flessibilità non pone dei problemi ecclesiologici?
Certamente. Se ognuno può farsi un suo rituale, si tratterà ancora della preghiera ufficiale della Chiesa? È sicuramente l’ecclesialità ad essere messa in pericolo con questo nuovo rituale.


Nei diversi Coetus dei quali ha fatto parte, vi erano delle lotte a proposito di queste molteplici possibilità di scelta?
Si. E Martimort era abbastanza contrario. Ma Bugnini, che sovrintendeva tutto, era a favore.

Per quanto riguarda le letture della Messa, lei ha fatto parte del Coetus n° 4. Si trattava di arricchire i cicli di letture. Che ne pensa della riforma che è stata realizzata su questo punto?
È evidente che non si poteva ricalcare ciò che si faceva prima. Voglio dire, per esempio: durante le Ottave si ripeteva per otto giorni la stessa Messa, e le stesse letture. Non andava bene. Ma quello che si è fatto, a questo proposito, avrebbe potuto essere fatto in maniera più intelligente. Per esempio: io mi dolgo del fatto che sono state soppresse le Quattro Tempora. Ed era proprio in quel momento che vi erano da 3 a 5 letture prima del Vangelo. Ma si è pensato bene di abolire proprio le Quattro Tempora! Per di più, quei giorni sono qualcosa di molto antico, ed avevano conservato l’originario carattere settimanale della liturgia: mercoledì, venerdì e la grande vigilia della Domenica. Si è gettato tutto alle ortiche.

E in tutto questo che ne è stato del ritorno alla tradizione principale?
Evidentemente vi è dell’incoerenza. Certuni, nel Consilium, volevano il ritorno alla tradizione principale quando faceva loro comodo. Francamente, che si potessero effettuare delle piccole riforme, d’accordo, ma ciò che si è fatto è stato decisamente radicale.


A proposito di questi cicli di letture nella Messa, mons. Gamber ha detto: " questa nuova organizzazione delle letture è stata chiaramente elaborata da degli esegeti non da liturgisti ". Visto che lei ha fatto parte di questi gruppi di lavoro, che ne pensa?
Gli esegeti comandavano. E anche gli ebraicizzanti. Ma i primi cristiani hanno usato le versioni greche dei testi. Essi non si preoccuparono delle " verità ebraiche ". E abbiamo dovuto riscoprirle noi, nel XX secolo? … Lei parla di tradizione principale! E qual è il senso della pastorale quando gli esegeti la vincono sui liturgisti? In effetti, Bugnini, insieme a costoro, voleva trasformare la prima parte della Messa in un corso di esegesi.


Per quanto riguarda l’Ordinario della Messa, lei non ha fatto parte del gruppo di lavoro relativo, ma pensa che anche qui si possa parlare di cambiamenti radicali?
Certo. Coloro che si sono occupati della Messa sono stati ancora più radicali di quanto lo fummo noi nell’Ufficio Divino. Basta vedere come è stato quasi eliminato l’Offertorio. Dom Capelle non voleva alcun Offertorio. " Si parla come se il sacrificio fosse già compiuto. Si rischia di credere che tutto è stato già fatto ", diceva. Non si rendeva conto che tutte le liturgie contengono una anticipazione come quella, Ci si pone già nella prospettiva del compimento.

Non si tratta della mancanza di una prospettiva finalista?
Si, e allora si è finito col sopprimere tutto, tutto quello che era preghiera nell’Offertorio, perché, si diceva, non si tratta ancora del sacrificio. Ma, insomma, qui siamo di fronte a delle posizioni molto razionaliste! Una mentalità da scolaresca!


Nella sua esperienza pastorale ha notato che i fedeli avessero creduto che le oblate fossero già state consacrate? Vale a dire: ha constatato la concretizzazione dei pericoli sottolineati da dom Capelle?
Ma no, ma no. Mai! E poi, basta guardare come si svolgono i riti orientali. Là è la stessa cosa. E sarebbe interessante comparare tutte queste cose.


Un altro punto importante del nuovo Ordinario della Messa è la sparizione del Canone Romano. Esso è ancora presente, più o meno, nella prima Preghiera Eucaristica, ma si tratta della sola preghiera, quindi formalmente non è più il Canone.
Si, vi è stata la soppressione dell’Offertorio ma anche la moltiplicazione delle preghiere eucaristiche, come dice lei. Guardiamo la seconda Preghiera Eucaristica, essa è stata completamente manipolata. E poi, se ne volevamo molte di più. È per questo che io dissi di no, e fui messo alla porta. È tutta una storia.


Vi è anche la questione delle traduzioni per i paesi di lingua francese, sulla quale lei si è espresso molte volte.
Si, è un problema enorme. Il Padre Gy non vuole che se ne parli. Si è trattata dell’occasione per ficcarci dentro tutto ciò che volevano.


Nelle sue memorie, mons. Bugnini spiega che quando non riusciva ad ottenere questa o quella formulazione nel testo ufficiale in latino, diceva: " l’aggiusteremo nelle traduzioni ". Ha avuto modo di sentirlo anche lei?
Ma certo! Lo dicevano a Roma. Dom Dumas ha lavorato in questo senso. Egli era molto progressista. E anche lui diceva: " lo aggiusteremo nelle traduzioni ". Si è molto spinto per la libertà delle traduzioni e si è andati molto a fondo in questa direzione.


Nella traduzione francese ufficiale del Credo si trova l’espressione "della stessa natura del Padre" al posto del "consubstantialem". Non siamo al limite dell’arianesimo?
Certo, evidentemente.


In Francia, si sono avute delle epiche controversie nelle chiese, al momento delle Messe, per la questione della " stessa natura ".
Si, lo so, ma i vescovi approvano questa versione. Essi approvano questa cosa e non vogliono cambiarla. In effetti, non sono loro che l’hanno prodotta, ma la commissione, e loro non vogliono sconfessare la commissione.


Si è parlato molto degli osservatori protestanti, e molto si è scritto su questo argomento. Ciò che mi interessa sono i fatti. Lei ha visto questi osservatori nel corso delle sessioni?
Sicuramente. Essi vi si trovavano, messi da un lato, su un piccolo tavolo. Non parlavano. Che poi parlassero con le persone di sfuggita è evidente. Non potevano non parlare. E dal momento che non prendevano mai la parola in pubblico, hanno avuto una influenza reale su certe cose? Occorrerebbero elementi concreti per rispondere.


Io ponevo semplicemente la questione della loro presenza, in un primo tempo. Detto questo, in un articolo di Notitiae, n° 23, e in una testimonianza di Jasper, un osservatore anglicano, si parla del fatto che gli osservatori non partecipassero al momento delle riunioni, ma che tenessero in maniera sistematica delle discussioni con i relatori, i presidenti dei gruppi.

Non lo si sapeva. Essi uscivano insieme, ma questo non veniva annunciato ufficialmente. La cosa era un po’ inevitabile! Ma noi non fummo mai informati. Ciò che è quanto meno curioso è il fatto che non vi fosse alcun ortodosso… Costoro non avevano fiducia fin dall’inizio, conoscendo il carattere rivoluzionario di molti cattolici. E la cosa non piaceva loro. In fondo, sapevano bene come stavano le cose.


Lei ha detto che mons. Bugnini era un manipolatore. Può essere più preciso?
Ero malvisto da lui perché non facevo tutto quello che voleva e non accettavo tutta la sua creatività.


Lei è stato allontanato perché si è rifiutato di approvare il permesso per le Conferenze Episcopali di comporre le proprie preghiere eucaristiche. Ne ha appena accennato. La rottura si è determinata quindi sulla questione della creatività?
Si. Io feci un rapporto contrario e questo ebbe come conseguenza il rigetto di tale permesso. Allora Bugnini pensò: " quest’uomo è pericoloso ".


A proposito della creatività, si tratta di una pratica che c’è sempre stata, soprattutto nel dominio dell’arte. Gli stili dell’arte sacra si sono sempre evoluti nel corso del tempo.
Io non sono contro la creatività per principio. Ma essa deve fondarsi su una tradizione. Quanto questo non accade, diventa non si sa bene che cosa.


Lei ha fatto parte del gruppo 18 bis, che si è occupato delle Orazioni del Messale. Dom Hala, di Solesmes, spiega in Habeamus Gratiam, che nelle Collette " si è usati altri vocaboli per delle ragioni pastorali ", e come esempio cita il fatto che " le parole diabolus e diabolicus sono totalmente sparite dal nuovo Messale ".
Non si credeva più nel Diavolo. Almeno alcuni. Ma le teste pensanti si sono dati da fare perché non si facessero notare molto questi cambiamenti. Queste soppressioni non sono state indicate come criteri di revisione. Ma chiaramente certuni nel Consilium non credevano più nel Diavolo.


Quando si parla del Consilium, si pensa sempre ai consultori, agli esperti: il Padre Gy, Mons. Martimort, dom Botte, don Vagaggini, Jungmann… e si dimenticano quasi i membri veri e proprii, i vescovi, che erano i soli ad avere diritto di voto. Come spiega questo fatto?
I vescovi che sedevano nel Consilium non avevano niente di clamoroso. Due mi hanno lasciato un certo ricordo: Mons. Isnard, di Nuova Friburgo (Brasile) e Mons. Jenny, di Cambrai. Gli esperti erano molto competenti, essi sì. Ed erano quelli che facevano il lavoro.


Tra i vescovi membri del Consilium vi era il celebre Mons. Boudon, Presidente della Commissione Liturgica della Conferenza Episcopale francese. Era un incompetente?
Mi ricordo che egli era là, ma non ha lasciato un ricordo indelebile. Il Padre Gy lo menava come voleva. L’intelletto agente di Mons. Boudon era Padre Gy.


A partire dal 1971-72, apparve chiaro che Paolo VI cominciava a rendersi conto che certe cose non andavano bene.
Bisognava essere ciechi… Fu per questo che lo stesso Bugnini finì per essere allontanato, e molto brutalmente. Ma tutto quello che egli aveva fatto di male non venne toccato. Non si osò ritornare su ciò che era stato promulgato.


Sembra proprio che si delinei un movimento in questo senso. Si parla sempre più di " liberalizzazione del messale tridentino ", e adesso è la volta del Card. Sodano, Segretario di Stato, che si riallaccia all’idea di una riforma della riforma.
Molto bene. Occorre uscire da questa situazione prima possibile. Bisogna rivedere tutto questo. Ma si troveranno le persone competenti? Occorre evitare che si designino delle persone come quelle che hanno prodotto la catastrofe che conosciamo.

Occorre invitare tutte le parti attorno ad un tavolo?
Tutte le persone serie, desiderose di lavorare per la Chiesa.


Quando si parla della liturgia tradizionale, si pensa evidentemente a Mons. Lefebvre e alla Fraternità San Pio X, da lui fondata. Occorre invitare anche la Fraternità?
Ma certo. Occorre parlare con queste persone. Esse talvolta hanno delle vedute fisse, e non comprendono sempre che fossero necessari degli adattamenti, soprattutto per quanto riguarda le letture della Messa o del Breviario. Ma bisogna parlare con loro. Non si può ascoltare chiunque, soprattutto i protestanti, e non invitare alla discussione la gente di mons. Lefebvre. Per contro, anche loro devono prendere l’iniziativa di andare a trovare quelli che hanno il senso della tradizione, anche se non sempre sono d’accordo con loro. Devono fare lo sforzo di uscire dal loro guscio, bisogna mettere i problemi sul tavolo, onestamente.

Fonte Courrier de Rome, Giugno 2004.


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