Dietrich von Hildebrand, l'"Essenza dell'amore" e "La trasformazione in Cristo"

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Caterina63
00giovedì 27 maggio 2010 18:25
Dietrich von Hildebrand, l'"Essenza dell'amore" e "La trasformazione in Cristo"

Ma non si vive di solo sale



Dal 27 al 29 maggio alla Pontificia Università della Santa Croce si svolge il convegno "The Christian Personalism of Dietrich von Hildebrand. Exploring his Philosophy of Love" organizzato dal Dietrich von Hildebrand Legacy Project. Pubblichiamo il testo di una delle relazioni.

di Cristiana Dobner

L'Essenza dell'amore versus La trasformazione in Cristo. Richiamiamo così due opere del grande fenomenologo realista Dietrich von Hildebrand (1889-1977), il cui segno nella storia del pensiero e nella storia della relazione della persona con Dio deve ancora essere scoperto nella sua piena originalità e compattezza e riproposto, quale garanzia dell'identità cristiana, del vertice dell'Amore e dell'amore nella comunione silenziosa del cristiano con la grandezza e la debolezza, con la gloria e la sofferenza di Dio. Specie in un mondo irreligioso e ormai del tutto secolare quale il nostro.

L'elemento essenziale si palesa all'istante:  non si tratta solo di un lascito esclusivamente scrittorio ma, di più e meglio, di un lascito testimoniale di una persona pensante che ha avuto il coraggio di vivere, da filosofo, per la gloria di Dio; di una persona che ha osato, con l'acribia professionale di un pensatore rigoroso, affrontare l'irruzione di Dio nella storia e nella persona.
 
Ed è questo il focus esaltante di un'esistenza pensante e di una svolta con impegno teoretico nella solidità di un impianto indiscutibile e, simultaneamente, il suo temperante cromatico.
Non abbiamo commesso un errore cronologico invertendo i titoli e i dati situativi:  è risaputo infatti che Essenza dell'amore - l'opus magnum - è stata stampata nel 1971, nella piena maturità filosofica dell'autore e costituisce la summa della sua riflessione, mentre La trasformazione in Cristo risale al periodo in cui, fuggito agli artigli del nazismo, von Hildebrand viveva a Vienna in situazioni precarie, come scrive la moglie Alice:  "Malgrado le tensioni distruttive pesassero su di lui durante questo periodo, von Hildebrand fece in modo di scrivere una delle sue opere più enduring, La trasformazione in Cristo, un'esplorazione del radicale cambiamento che avviene in una persona attraverso la grazia", opera in cui "il tono sereno inganna sulle circostanze ansiose in cui fu composto".

Furono pubblicate infatti in Svizzera, con lo pseudonimo Peter Ott, le conferenze che von Hildebrand tenne nel monastero di San Francesco a Firenze nelle estati 1936-1937, grazie all'iniziativa di un gruppo di stretti amici tedeschi che sovvenzionò il suo viaggio in Italia e affittò San Francesco, tanto era stata avvertita la sua mancanza dopo la fuga da Monaco.
L'inversione quindi cronologica è del tutto intenzionale perché intendiamo evidenziarne la cerchiatura qualitativa e filosofica e indicare come l'amore, nella sua struttura intima di dono (Gabe), e di donazione (Zuwendung), sia fonte di felicità, frutto di libertà, alimento dell'affettività, vertice della moralità, perché "nell'amore apriamo le braccia della nostra anima per abbracciare l'anima dell'amato", e come tutta la sua articolazione si fondi sulla trasformazione (Umgestaltung)cui peraltro tende in continua dinamica e osmosi.

Nella grande amicizia, ricca di "affinità elettive" con il nunzio a Berlino Eugenio Pacelli emersero queste correnti sotterranee che avrebbero poi preso corpo; sottolinea infatti Alice von Hildebrand che "egli voleva gettare luce sulla trasformazione della vita umana e dei valori umani attraverso la "santa invasione" del soprannaturale nell'esistenza terrena dell'uomo. Egli sempre pose l'amore al centro della sua vita, considerando nulla - carriera, professione, ricerca - più importante dell'amore e del matrimonio".

Von Hildebrand ha sperimentato, in tempo reale, quanto André Glucksmann ha espresso, a posteriori, a chiare lettere ne L'11 ° comandamento:  "Hitler si scaglia contro un sentimento più generale, non ignorato da alcune civiltà:  l'àidos greco, il pudore che fa arrossire e segnala gli atti da non commettere. Il registro dei gesti malfamati varia secondo le latitudini, ma non la convinzione che esiste l'indegno e che a volte si abbia ragione di indignarsi. Dietro ogni "Tu devi" c'è un "Non devi". E dietro il "Non devi" non c'è qualche celeste Castigamatti, ma lo spettacolo assillante delle cose inumane. Ciò che Hitler voleva eliminare non era Dio, che egli rimuove, ricolloca, sostituisce, bensì i nostri occhi, aperti sull'inumano. Così è divenuto inumano". Von Hildebrand aveva gli occhi aperti e, ben prima che la maggioranza se ne avvedesse, aveva colto il senso distruttivo di quanto con il nazionalsocialismo stava avvenendo nella storia dell'umanità, e non volle allinearsi con l'inumano, ma volle esplicitamente e provocatoriamente essere umano  e  perciò  difforme  dalla  deriva allora corrente. Per questo però poté intuire l'assoluto della rivelazione di Dio in Cristo e la vera natura dell'uomo.

L'èthos quindi e l'èthos soprannaturale, nuovo qualitativamente nella sua essenza, e nei suoi cardini principali espresso in Essenza dell'amore conosce una duplice dinamica perché promana e insieme è in movimento:  promana cronologicamente dall'opera La trasformazione in Cristo; e muove verso l'opera La trasformazione in Cristo, poiché non si tratta solo di pensieri articolati e distinti, ma dell'opera stessa dello Spirito nella persona. Un coagulo vivo di vis centrifuga e centripeta, un atteggiamento profondo di fondazione della persona, con uno stile molto controllato e cesellato in cui s'intravvede un modus sculpendi, retaggio del figlio d'arte, che, togliendo dalla pietra della natura, approda alla trascendenza di Dio e a quella pietra viva che è Cristo, con cui l'autore propone una riflessione personale, profonda, non una trattazione limitata del problema ad modum unius.

Non è in atto un mutamento di prospettiva, bensì la considerazione dello sviluppo e della fioritura di tale dinamica nelle sue componenti nella sfera dello spirito, divenute strutturanti, passando dai principi metafisici a uno statuto paradigmatico di vita, perché ormai "effetto - scrive in La trasformazione in Cristo - della vita soprannaturale nell'èthos della persona, ossia nel formarsi in noi di quella vita che è illuminata dal volto dell'uomo nuovo in Cristo". Non è l'uomo la meta, ma la spinta oltre l'uomo, verso Cristo e in Cristo verso la Trinità, confutando completamente il gott ist tot. Es lebt der Übermensch.

L'essenziale di un pensiero filosofico è come il rovescio silenzioso degli enunciati che lo esprimono, il non-detto essenziale in questo caso è l'esercizio della libertà in cui la persona si conosce, l'esercizio della filosofia, intesa nella modalità di von Hildebrand, nella sfida audacissima di servirsi e di utilizzare tutta la strumentazione, propria e ben tarata, di chi di "mestiere" pensa, riflette e conosce la storia del pensiero, in quell'autonomia quale progressiva conquista dell'agire umano, ma che si radica, simultaneamente, in una fede profonda che costituisce l'oltre ma che, soprattutto, incontra l'Oltre. Una vita in cui il senso è diventato scelta e tutto è permeato dal dono dell'essere come pienezza di senso, quale amore che pervade la struttura del dono nel dono libero della inesauribile divina Bontà.

Scatta quindi nell'irruzione di Dio nella persona, la dinamica alterocentrica nella sua intenzionalità e orientamento alla persona stessa, resa capace di cercare il bene di chi ama, quale slancio, consapevole e oggettivo, al di fuori della propria immanenza, del proprio egoismo:  "La dedizione a Cristo presuppone la volontà di lasciarci da Lui completamente trasformare, non opponendo ostacolo alcuno alle modifiche che occorreranno nella nostra natura" (La trasformazione in Cristo).
 
La diversa, ma simile postura di Teresa di Gesù e Giovanni della Croce, in un von Hildebrand impregnato di francescanesimo, nella somiglianza, differenza, superamento, continuità/discontinuità, conduce a riflessioni feconde che pongono in rilievo l'originalità del suo pensiero in alcuni aspetti fondanti la persona e il suo èthos. La persona come fulcro della relazione con Dio nella risposta di amore, nel valore non solo morale, etico, ma nella Gesamtschönheit, la bellezza complessiva della persona che può rispondere affettivamente, cioè con il cuore, ad un'altra Persona. Perché "ci sono due dimensioni della donazione di sé. La prima è di natura puramente affettiva. Ha il carattere di un dono che non ci possiamo dare volendolo, che è una pura voce del cuore. La seconda è il sanzionamento della presa di posizione donativa, affettiva dell'amore. Solo quando si hanno entrambe, la donazione di sé raggiunge il suo carattere pieno". E noi siamo creati per l'amore di Dio.

Vi è poi la comune insistenza sull'orazione quale antitesi radicale di ogni ansia di attività e il trasferimento nell'attività periferica, perché "la relazione personale a Cristo che sta al centro della propria vita, il rapporto intimo con Cristo, costituisce una trasfigurazione qualitativa della vita privata". E ancora:  il perire personale per divenire e la costruzione del mondo morale per cui è necessario un rinnegamento di fronte a quanto è impossibile annullare. Dietrich von Hildebrand tratteggia chiaramente la valenza di questo perire personale che, di primo acchito, sembra essere duplice, mentre è soltanto accentuato in modo diverso:  il primo aspetto è quello di voler diventare un uomo nuovo in Cristo, l'essere conquistati, "eliminando inesorabilmente tutto ciò che non può sussistere al cospetto di Lui che viene a essere superato in questa vita nuova nel Cristo (...) come un dono letificante"; il secondo, ma pur sempre complementare, il perdersi di noi stessi che si incontra nella mistica:  "La morte interiore che Giovanni della Croce descrive nella "Notte oscura" va assai più oltre di quello che abbiamo considerato come "il morire a noi stessi" nel procedimento della trasformazione in Cristo. È un "morire dell'anima" - che si può paragonare con l'esperienza di chi precipita d'un tratto nel buio più profondo - e questo morire avviene affinché possiamo risuscitare in Cristo completamente rinnovati". Il contatto con Cristo è immediato, senza diaframmi.

In lui poi troviamo l'amore come risposta e le conseguenti forme tipiche dell'atteggiamento mentale contemplativo, con il vivo senso dell'uomo peccatore e spirituale:  "Sì, infatti dobbiamo imparare ad amare veramente e questo richiede di vivere nella profondità, di riservare alla contemplazione il suo vero posto nella vita, il ritornare sempre di nuovo a un reale confronto con Dio". La creazione quindi di un'altra logica, di una passione profonda, che se è cognizione è soprattutto nuova relazione che dona pace e sicurezza, anche nelle traversie peggiori. Infine l'aver attraversato, nel senso sanjuanista e teresiano del Hay que pasar, la notte oscura della storia, in un cammino doloroso, senza arrendersi alle circostanze, senza considerarle un destino ineluttabile, senza smarrire il senso della vita e dei valori, non restando nell'oscurità essendone avvinti ma trovando proprio nelle tenebre la vera Luce.

La "trasformazione" (Umgestaltung), quindi come valore esistenziale ed evento di grazia nell'attiva partecipazione all'opera di risanamento nella vigilia del terzo millennio. Perché, come afferma lo stesso von Hildebrand in Essenza dell'amore:  "Noi siamo creati per l'amore di Dio perché a Dio è dovuto questo amore e non perché attraverso questo amore dobbiamo trovare noi stessi. Siamo creati per quest'amore, perché esso rende gloria a Dio attraverso il suo valore. Che noi con ciò giungiamo al nostro autentico essere, è un di più e un dono sovrabbondante", solo nell'amore infatti la persona umana si desta alla sua piena esistenza personale, solo nell'amore attualizza la pienezza della sua essenza.

I mistici di von Hildebrand perciò non sono i mistici Musil che vogliono vivere di "solo sale", ma del sale sapienziale dell'Amore e della fedeltà nell'Amore e all'Amore nelle parole versate sulla carta.


(©L'Osservatore Romano - 28 maggio 2010)
Caterina63
00giovedì 27 maggio 2010 18:26
A tu per tu con la moglie Alice

Un filosofo serio
lo riconosci dalla gioia


di Lodovica Maria Zanet
Università Cattolica del Sacro Cuore

Correva l'anno 2004 e negli Stati Uniti nasceva il Dietrich von Hildebrand Legacy Project:  un centro di studio e di ricerca che avesse la finalità prima di far conoscere la straordinaria figura di quello che a detta di molti - oggi - sarebbe "il maggior filosofo cattolico del Novecento".
 
L'idea viene al figlio di uno degli studenti americani di Hildebrand, John Henry Crosby. Questi riesce, giovanissimo, a raccogliere il consenso di alcuni grandi studiosi di fama mondiale. Con l'idea di portarli a un confronto con la proposta speculativa di questo singolare filosofo, tedesco di famiglia, fiorentino di nascita, austriaco per adozione nei difficilissimi anni del regime nazionalsocialista di cui fu primissimo oppositore in Europa; quindi prima svizzero, poi francese e infine americano, al termine di una lunga quanto dolorosa peregrinazione per un'Europa in crisi, nella quale la libertà di pensiero era allo stesso tempo un bisogno vitale e un traguardo reso sempre più difficile dalle circostanze storiche.

Dietrich von Hildebrand uomo del suo tempo è riuscito per prima cosa a saldare una personalissima ricerca di verità e la concretizzazione di questa verità nella vita:  nel cuore, centro della persona dal quale si originano le decisioni che "fanno" una vita; e nel quale anche la verità diventa verità tangibile, "sentita" e "vissuta" ben prima che professata attraverso un gioco di concetti tanto forse erudito quanto in realtà sterile.

Come John Henry Crosby ha detto al termine di una serrata intervista, il Legacy Project non si vuole limitare a raccontare chi sia Dietrich von Hildebrand, o a ottenere un esplicito assenso alla sua filosofia. Vuole, all'opposto, risvegliare nell'interlocutore la prontezza di una presa di posizione personale:  di una presa di posizione efficace nella sola misura in cui libera. Per John H. Crosby la verità ha una sua forza trasfigurante a patto che sia "vera":  testimoniata nei fatti, e vissuta nella consapevolezza di un'intelligenza non certo sminuita, ma illuminata e perfezionata dal decisivo contributo della fede.

Testimone del tutto unica di questa riflessione esistenziale attestata da Von Hildebrand è la moglie Alice:  nessuno come lei avrebbe potuto raccontare, partendo dalla concretezza di una vita condivisa, chi Dietrich sia stato e quale impatto la sua filosofia oggi possa avere su ciascun uomo pensante del nostro tempo.

Dietrich von Hildebrand persona del suo tempo e maestro per l'oggi?

Sì. Tuttavia non si può comprendere chi sia Dietrich von Hildebrand, mio marito, senza ripercorrere, almeno per tappe, i momenti cardine della sua vita. Una vita che inizia a Firenze, nella casa paterna dove Dietrich viene al mondo nell'autunno del 1889:  una "dimora perfetta" - l'ex convento francescano dedicato a San Francesco di Paola - acquistato dal padre di Dietrich e trasformato in dimora di famiglia. I von Hildebrand sono una famiglia circondata dalla bellezza:  dal culto per la bellezza artistica in tutte le sue possibili forme.

Bellezza artistica, bellezza dell'anima? Quale impatto ha avuto questa bellezza sull'animo di Dietrich?

La famiglia di Dietrich viveva di un "raffinato paganesimo". Una casa di non-praticanti. Nessuno - salvo il giovane von Hildebrand che arriva però dopo cinque sorelle ed è quindi considerato il piccolo di famiglia - è religious minded. Un episodio tra tutti lo illustra in modo meraviglioso.

Vale a dire?

La conversazione che ebbe con una delle sorelle maggiori all'età di quattordici anni. I due giovani prendono posizione in modo radicalmente diverso circa il senso del mondo e della vita. Per la sorella tutto è relativo:  parlare di una verità come "della" verità non ha senso. Agli occhi di Dietrich questo relativismo assume i tratti di una provocatoria inconsistenza. Si inizia a delineare la sua anima credente, che si tradurrà a distanza di alcuni anni nella conversione al cattolicesimo.

Che cosa significa credere? Come si può attestare nei fatti la propria fede?

Credere significa per prima cosa credere che Dio esiste. E che Gesù Cristo è perfetto Dio e perfetto uomo. Vuol dire radicarsi nella tradizione e nel magistero della Chiesa. E vivere quanto creduto e proclamato. Da questo punto di vista, l'incontro di von Hildebrand con l'amico Max Scheler è determinante. Scheler è sì credente, ma la sua vita è spesso lontana dalla Chiesa.

Una coerenza che in von Hildebrand parrebbe invece brillare.

Sì. Anche e soprattutto nei momenti in cui per mantenersi fedele al magistero della Chiesa gli è stato necessario prendere le distanze dal proprio modo di pensare. In questi casi la risposta è sempre stata esemplare:  un gioioso passo indietro rispetto alla propria soggettiva opinione.

Dietrich filosofo cattolico, che pare oggi dimenticato. Le ragioni?

Ha dovuto più volte ripartire da zero. Attivo oppositore dei totalitarismi novecenteschi, ha peregrinato attraverso moltissimi Paesi. Ogni volta, i suoi manoscritti e i suoi appunti andavano persi. Ricostruiva dalla povertà più totale. Non si è mai imposto come "grande nome"; si è invece reso presente attraverso il vivo di alcuni incontri. Ha sempre iniziato a incidere sul contesto in cui si trovava:  studenti, colleghi, amici. Lasciando un segno e portandone molti alla conversione.

Si direbbe che in Dietrich verità e amore procedano in una inscindibile unità.

Veritas et amor si co-appartengono. Se la verità resta astratto gioco di concetti è sterile. La verità deve diventare vita.

Cuore "centro della persona"?

Sì. Nel rispetto però di una ben precisa gerarchia di valori e di beni. Non tutto sta sullo stesso piano:  alcune cose - si pensi al comandamento nuovo dell'amore - ne precedono altre. Alcune seguono. Altre ancora devono essere rifiutate in modo esplicito.

Un motto per concludere? Un lascito che diventi mandato?

Joy in faith, la gioia nella fede e della fede. Il cristiano si riconosce dalla gioia. Una cosa che non ha certo impedito a Dietrich von Hildebrand di essere pensatore serio e rigoroso:  un filosofo al cento per cento.



(©L'Osservatore Romano - 28 maggio 2010)
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