Domenica 14 marzo 2010 Benedetto XVI visita la comunità Luterana di Roma: La Parola di Dio nel dialogo

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00sabato 13 marzo 2010 19:08
Domenica 14 marzo la visita di Benedetto XVI alla comunità evangelica luterana di Roma

La Parola di Dio terreno comune per il dialogo


La Parola di Dio è il terreno comune sul quale si innesta il dialogo ecumenico. È proprio intorno alla mensa della Parola che si svolge la visita di Benedetto XVI alla comunità evangelica luterana di Roma, nel pomeriggio di domenica 14 marzo. Il Papa partecipa al culto nella Christuskirche di via Sicilia, pronunciando un'omelia sui versetti 20-26 del capitolo dodicesimo del Vangelo di Giovanni, mentre il pastore Jens-Martin Kruse predica sui versetti 3-7 del primo capitolo della seconda Lettera di san Paolo ai Corinzi.

L'incontro si svolge nel giorno in cui la Chiesa cattolica e la comunità luterana celebrano la liturgia della domenica Laetare. Nel periodo della Quaresima, questa domenica è pervasa dalla letizia, perché nel cammino verso Gerusalemme si intravede la gioia che raggiungerà la sua pienezza nella mattina di Pasqua. Il nome deriva dalle prime parole dell'antifona d'ingresso in latino:  Laetare cum Hierusalem, et exultate in ea, omnes qui diligitis eam. Lo svolgimento del culto si inserisce in questa atmosfera di gioia.

Il Papa viene accolto al suo arrivo dal pastore Kruse e dagli otto membri del consiglio. Fa il suo ingresso processionalmente nella chiesa, raggiunge l'altare della celebrazione, accompagnato dal canto Jubilate Deo di Wolfgang Amadeus Mozart, e ascolta il breve saluto della presidente della comunità Doris Esch.

Seguono l'inno Liebster Jesu, wir sind hier, il salmo 84, il Kyrie eleison e il saluto liturgico da parte del pastore. Dopo la lettura del brano della seconda Lettera di san Paolo ai Corinzi, Kruse tiene l'omelia, al termine della quale il coro intona Befiehl du deine Wege di Johann Sebastian Bach. Dopo la proclamazione del Vangelo di Giovanni, Benedetto XVI pronuncia l'omelia.

Il coro poi intona Verleih uns Frieden gnädiglich di Felix Mendelssohn Bartholdy. Il Papa invita l'assemblea alla professione del Credo niceno-costantinopolitano.

Vengono lette le preghiere dei fedeli, al termine delle quali il Pontefice guida la recita del Padre Nostro e impartisce la benedizione finale.

In questo incontro ecumenico, il Pontefice è accompagnato dai cardinali William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, Agostino Vallini, vicario di sua Santità per la diocesi di Roma.

Da parte luterana sono presenti, tra gli altri, il decano in Italia pastore Holger Milkau e il pastore Michael Riedel-Schneider, responsabile della comunità evangelica tedesca per l'Europa del sud.

Non è la prima volta che Benedetto XVI visita il tempio luterano. Il 19 ottobre 1998, quando era cardinale e prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, vi si recò per partecipare a un dibattito ecumenico sul tema "Prospettive personali. Esperienze, posizioni ed aspettative ecumeniche" con il vescovo luterano di Berlino Wolfgang Huber.

L'invito al Vescovo di Roma da parte della comunità luterana risale al 2008 e nacque dal desiderio di ricordare il XXV anniversario della storica visita che Giovanni Paolo ii compì l'11 dicembre 1983 alla Christuskirche di via Sicilia, in occasione dei cinquecento anni della nascita di Martin Lutero. È stata la prima volta che un Papa ha predicato in un luogo di culto luterano dall'inizio della Riforma.

Le origini della comunità luterana di Roma risalgono all'autunno del 1817. Le prime celebrazioni liturgiche si svolsero nel palazzo della legazione prussiana sul Campidoglio. A poco a poco, si formò una piccola comunità di lingua tedesca, composta soprattutto da artisti che si ritrovavano nel Caffè Greco. I legati prussiani a Roma fecero richiesta al re Federico Guglielmo iii di Prussia di inviare un pastore evangelico.

Il primo pastore giunse nel 1819. Da quell'anno si celebrò il culto protestante nella città eterna. Tra il 1911 e il 1915, per volere di Guglielmo ii, venne costruita su un terreno intorno ai giardini di Villa Ludovisi la Christuskirche, secondo il progetto dell'architetto Schwechten. La chiesa venne inaugurata il 5 novembre 1922. L'edificio ha tre campanili, il più alto dei quali ha tre campane fuse nel 1914, dette "di Lutero" perché riproducono il suono originale delle campane della cappella palatina di Wittenberg distrutte nel corso della prima guerra mondiale. Dal 1992 la comunità evangelica luterana di Roma, che attualmente conta circa 350 fedeli, celebra nella Christuskirche la liturgia della domenica e delle grandi festività.

(nicola gori)


(©L'Osservatore Romano - 14 marzo 2010)
Caterina63
00sabato 13 marzo 2010 19:12
Di tutta questa notizia forse è bene che chi è responsabile DELLA COSTRUZIONE DELLE CHIESE impari qualcosa.... Occhi al cielo



La facciata della Chiesa è dominata dal grande portale, con arco poggiante su colonne, su cui sovrastano tre statue, quella di Cristo, al centro, e dei santi Pietro e Paolo ai suoi lati; affiancano la facciata due campanili, mentre un terzo campanile, più alto dei precedenti, si erge dietro la chiesa.

Dall'atrio con volta a botte si accede all'aula della chiesa. Essa è divisa in tre navate da grandi pilastri quadrangolari. Mentre sulle due navate laterali si trovano i matronei, sull'atrio c'è la cantoria con grande organo novecentesco. Nell'abside si trova l'altare in marmo ed il pulpito con altorilievi. Sul catino absidale Cristo in trono con in mano la Legge.

 Imbarazzato mentre l'abside  sta letteralmente scomparendo dalle nuove chiese in costruzione....ci fa piacere constatare che almeno in questo, una certa frangia luterana, è rimasta sicuramente più fedele di noi fedele alle radici CATTOLICHE....

Caterina63
00domenica 14 marzo 2010 19:16
 Sorriso la diretta è appena terminata e devo dire che le cose sono state fatte davvero con molta discrezione e senza confusione...

Il Santo Padre è entrato con la mozzetta rossa e la stola di Pio IX....
Accolto da un brano di Mozart da far impallidire davvero il modo da stadio con il quale si accoglie il Vescovo di Roma nelle comunità cattoliche...

Il rispetto PER L'ALTARE mi ha davvero rapita.... NESSUN LAICO si è mai avvicinato all'altare, essi andavano a leggere dal lambone la Scrittura, all'altare si è avvicinato solo il Pastore e il Papa alla fine per la benedizione e segnalo che tutti, pastore e fedeli SI SONO FATTI IL SEGNO DELLA CROCE....
lo sottolineo perchè il protestantesimo moderno Pentecostale lo ha abolito....

I Salmi sono stati cantati, uno lo conosciamo pure perchè lo cantiamo allo stesso modo anche noi...
Faccio notare l'amorevole CURA dell'altare e del Crocefisso sopra di esso....

L'omelia il Papa l'ha fatta dal pulpito...
aveva il foglio ma ha preferito evidentemente all'ultimo parlare a braccio....immagino che ci vorranno giorni per avere il testo integrale...

Il Papa ha parlato in tedesco....ma da qualche commento ascoltato, egli avrebbe sottolineato l'importanza di cercare strade e modi per andare incontro all'unità che è dono di Gesù Cristo....

Oserei dire un incontro davvero che è una VISITA AMICHEVOLE  ma al tempo stesso l'apprensione di un Pastore che va a cercare la pecorella smarrita....infatti è una piccola comunità di 300 persone...se pensiamo che le nostre parrocchie (la mia qui per esempio) contano dai mille, ai duemila, ai 5mila fedeli, possiamo davvero comprendere la SOLLECITUDINE DEL PASTORE che "lascia le 99 pecore per andare alla ricerca di quella sperduta"... Occhiolino
questa è l'impressione che ho avuto....

Tutto bello si, ma si sentiva  E SI AVVERTIVA UN VUOTO: IL TABERNACOLO ASSENTE....


Ecco due serie di immagini che sono riuscita a catturare durante la diretta:






Caterina63
00domenica 14 marzo 2010 21:39
Ecco una prima stesura del discorso del Papa preso dal BlogRaffaella:


PAPA A CHIESA LUTERANA: L'ECUMENISMO NON SI E' FERMATO

(AGI) - CdV, 14 mar.

(di Salvatore Izzo)

"Non possiamo bere dallo stesso unico calice, non possiamo stare insieme intorno all'altare. Questo ci deve rendere tristi, perchè è una situazione peccaminosa, ma l'unità non può essere fatta dagli uomini: dobbiamo affidarci al Signore perchè lui solo può darci l'unità".

Dunque "preghiamo insieme che il Signore ci dia l'unità e così aiuti il mondo affinchè il mondo creda".

Con queste parole Benedetto XVI ha concluso la sua omelia nella chiesa luterana di via Firenze a Roma. "Ci sono tanti elementi di unità: oggi ascoltiamo la stessa parola di Dio, guardiamo tutti insieme all'unico Cristo", con "la speranza che questa unità possa essere sempre più profonda. Ma dobbiamo vedere anche - ha spiegato - che abbiamo distrutto noi la nostra unita', abbiamo diviso l'unico cammino in tanti cammini. Se siamo qui oggi e' perche' ascoltiamo la stessa parola di Dio, rendendo testimonianza dell'unico Cristo. Ci rende tristi sapere che questa divisione e' il risultato di una situazione peccaminosa ma dobbiamo anche sapere che l'unita' e' un dono che ci puo' essere dato solo da Dio".


E se "la nostra testimonianza viene oscurata dalla divisione" e "non dovremmo litigare ma cercare di essere piu' uniti", non e' vero - per Papa Ratzinger - che l'ecumenismo si e' fermato: non e' cosi'".


La visita e' iniziata alle 17,30 con il prolungato applauso che ha accolto il Pontefice al suo ingresso nella "Christus kirche", e subito la presidente della Comunita', Doris Esch, ha ricordato il gesto di amicizia compiuto in questo stesso edificio da Giovanni Paolo II 27 anni fa in occasione del quinto centenario della nascita di Lutero: "si tratto' - ha sottolineato - della prima visita di un Papa ad una chiesa luterana dal tempo della Riforma".
"Quella visita - ha detto - non l'abbiamo dimenticata. Santita', oggi si senta a casa sua". "Per noi - ha fatto eco il pastore Jens-Martin Kruse - e' veramente un giorno della gioia. Siamo veramente contenti per questo evento e con grande gioia accogliamo il Papa".


Benedetto XVI, ha ricordato, "conosce abbastanza bene la nostra chiesa e la nostra comunita', cosi' come la nostra teologia luterana e la nostra spiritualita'. Viene in una chiesa che conosce bene. Per noi lui e' il vescovo di Roma e gli abbiamo rivolto questo invito gia' nel 2008. Il fatto che abbia accettato di pregare con noi ribadisce i rapporti cordiali con la Chiesa Cattolica", ha rilevato il pastore che ha tenuto in particolate a ricordare l'amicizia con i Focolari, la Comunita' di Sant'Egidio, i benedettini di San Paolo fuori le Mura e i connazionali del Collegio germanico e della comunita' di cattolici tedeschi che si ritrovano a
Santa Maria dell'Anima, cioe' i gruppi cattolici presenti oggi all'incontro. "Se noi ci rapportiamo cosi', gli uni verso gli altri: se nel dolore, siamo qui gli uni per gli altri e condividiamo insieme e celebriamo la gioia nella fede, allora - ha concluso il pastore con un velato accenno alla vicenda degli abusi sessuali che in Germania coinvolge anche la chiesa protestante - questo sara' un passo fondamentale per rendere visibile ed efficace l'unita' di cui viviamo".

Dal bel pulpito di marmo della Christus kirche - con sulle spalle la stola rosa dell'odierna domenica 'in laetare' sopra la mozzetta rossa bordata di ermellino bianco - il Pontefice ha evocato da parte sua l'immagine evangelica del chicco di grano che muore da' frutti. "Una persona che ama la sua vita la perdera' ma quello che prende la croce e segue Gesu' avra' la vita eterna", ha spiegato. "Questo discorso - ha aggiunto il Papa teologo parlando a braccio in tedesco - non ci piace: ci domandiamo se dobbiamo odiare la nostra vita. In realta' possiamo e dobbiamo essere pieni di graatitudine per quello che Dio ci da': se il Signore ci dice che dobbiamo odiare in qualche modo la nostra vita, vuole farci capire che la mia vita non e' solo per me, se la voglio solo per me non la trovo ma la perdo. La vita non e' ricevere ma darsi.
Se non ci diamo all'altro non possiamo ricevere".

"Il Signore - ha sottolineato Papa Ratzinger - dice: chi vuole essere nella mia sequela deve servire. Questo darsi e' lo stesso che amare, e' lo stesso che seguirlo con la Croce. Siamo noi stessi solo quando ci diamo agli altri, Questo cammino del chicco di grano e' il cammino dell'amore e della salvezzaa, il perdersi nel cammino del donarsi e' la 'sequela Christi'". "Gesu' - ha concluso il Papa teologo - e' davvero il cammino, la verita' e la vita. E qui e' gia' contenuto il concetto del noi: questo cammino al suo seguito solo possiamo farlo insieme. Essere cristiano non si puo' vivere e realizzare senza la comunita'".
Benedetto XVI ha donato alla chiesa luterana di Roma un mosaico che riproduce il "Cristo Benedicente" delle Grotte Vaticane: e' l'immagine che - nei pressi della sepoltura di San Pietro - sovrasta il piccolo altare detto dei palli perche' vengono poggiate su di esso le stole di lana bianca con croci nere che il Pontefice consegna ogni 29 giugno ai nuovi arcivescovi metropoliti.
In risposta, il pastore Kruse ha regalato a Papa Ratzinger una riproduzione della conca battesimale in bronzo con l'iscrizione della formula liturgica.
Prima di lasciare la "la Christus kirche", il Papa - che era accompagnato dal segretario di Stato Tarcisio Bertone e dai cardinali Agostino Vallini, vicario di Roma, e Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l'unita' dei cristiani - ha infine salutato in sacrestia alcuni membri emeriti della comunita' luterana di Roma e ha partecipato a un piccolo rinfresco offerto dal pastore nella sua abitazione.

Benedetto XVI luterani

Benedetto XVI dai luterani

Benedetto XVI dai Luterani

Benedetto XVI dai Luterani


Caterina63
00martedì 16 marzo 2010 15:08
 Ghigno Ho piacere del commento del Blog Messainlatino perchè stiamo sulla stessa lunghezza d'onda:


Guardate la foto. Non solo un pergamo, o pulpito, degno di questo nome (ma la cosa ancora si spiega, data l'importanza della predicazione per quell'eresia). Perfino un altare 'come si deve': orientato, croce al centro, candelabri. Che non serve sostanzialmente a nulla, in assenza di sacerdozio, di sacrificio, di messa. Non c'è naturalmente il tabernacolo, mancando la transustanziazione. Ma almeno quell'altare si lascia guardare, ispira riverenza, a differenza degli assi da stiro postconciliari.
Per poter salire su un pulpito il Papa, ormai, deve andare dai luterani: i cattolici non glielo consentirebbero. Nostalgie costantiniane, urlerebbero. E dai luterani c'è andato appunto domenica scorsa. Ecumenismo oblige, e non staremo quindi a discutere dell'opportunità di un tale gesto. Notiamo nondimeno che il Papa ha profittato dell'occasione per puntualizzare, con la massima cortesia e rispetto, che siamo lontani dal poter "bere allo stesso calice e riunirsi insieme allo stesso altare": una condanna chiara e ferma della pratica dell'intercomunione, tanto diffusa specie nei paesi germanici. Discutiamo di teologia, recitiamo salmi e preghiere, ma stiamo dunque alla larga dal sincretismo indifferentista. Ecco un breve resoconto dell'omelia del Papa (in tedesco) nel tempio luterano:




L'ecumenismo ha fatto passi in avanti negli ultimi anni, ma non sono state superate le colpevoli divisioni che impediscono a cattolici e luterani di bere dallo stesso calice e di riunirsi insieme intorno allo stesso altare. Il Papa lo ha riconosciuto con franchezza parlando alla comunità luterana di Roma durante la visita compiuta domenica 14 marzo alla Christuskirche. Una situazione di peccato l'ha definita Benedetto XVI, ricordando tuttavia che l'unità non è un'opera che può essere realizzata soltanto grazie agli sforzi umani. Occorre affidarsi al Signore - ha raccomandato - pregando insieme, meditando la stessa Parola di Dio, ascoltandosi reciprocamente, guardando tutti verso l'unico orizzonte di Cristo. In Gesù, infatti, la vita diventa un dono per gli altri: è questa - ha sottolineato il Pontefice - la legge fondamentale dell'amore. Un aspetto al quale il Papa aveva già dedicato l'Angelus della mattina in piazza San Pietro. Parlando della parabola del "figlio prodigo" Benedetto XVI aveva assicurato che "Dio non viene mai meno alla sua fedeltà e, anche se noi ci allontaniamo e ci perdiamo, continua a seguirci col suo amore, perdonando i nostri errori e parlando interiormente alla nostra coscienza per richiamarci a sé". L'esperienza della misericordia - ha evidenziato - supera ogni atteggiamento di "ribellione" o di "obbedienza infantile". Solo "sperimentando il perdono, riconoscendosi amati di un amore gratuito, più grande della nostra miseria, ma anche della nostra giustizia - ha affermato - entriamo finalmente in un rapporto veramente filiale e libero con Dio".


Fonte: L'Osservatore romano 15-16 marzo 2010

Caterina63
00mercoledì 17 marzo 2010 18:54
Il testo integrale dell'omelia di Benedetto XVI durante la celebrazione di domenica 14 marzo con la comunità luterana di Roma

L'urgenza della preghiera per l'unità



"Oggi ascoltiamo molte lamentele sul fatto che l'ecumenismo sarebbe giunto a un punto di stallo; tuttavia penso che dovremmo anzitutto essere grati che vi sia già tanta unità". Lo ha detto il Papa nell'omelia pronunciata a braccio nel pomeriggio di domenica 14 marzo, durante la visita alla comunità luterana di Roma.

Liebe Schwestern und Brüder!
Von Herzen möchte ich der ganzen Gemeinde, ihren Verantwortlichen, besonders Herrn Pfarrer Kruse danken, daß Sie mich eingeladen haben, mit Ihnen zusammen Laetare zu feiern, den Tag, an dem die Hoffnung das Bestimmende ist, die auf das Licht hin schaut, das von der Auferstehung Christi her mitten in die Dunkelheiten unseres Alltags, in die ungelösten Fragen unseres Lebens hereinfällt. Sie, lieber Herr Pfarrer Kruse, haben uns die Botschaft der Hoffnung vom heiligen Paulus her ausgelegt. Das Evangelium aus Johannes 12, das ich versuchen darf auszulegen, ist auch ein Evangelium der Hoffnung und zugleich ein Evangelium vom Kreuz. Beides gehört zusammen:  Weil es vom Kreuz ist, spricht es von der Hoffnung, und weil es Hoffnung schenkt, muß es vom Kreuz reden.
Johannes erzählt uns, daß Jesus nach Jerusalem hinaufgestiegen war, um das Pascha zu feiern, und sagt dann:  "Es waren auch einige Griechen da, die gekommen waren, um beim Fest anzubeten." Es waren sicher Menschen aus der Gruppe der sogenannten phoboumenoi ton Theon, der Gottesfürchtigen, die über den Polytheismus ihrer Welt hinaus auf der Suche waren nach dem wirklichen Gott, der wahrhaft Gott ist, nach dem einen Gott, dem die ganze Welt gehört und der der Gott aller Menschen ist. Und sie hatten diesen Gott, nach dem sie fragten und suchten, nach dem im Stillen jeder Mensch ausschaut, in der Bibel Israels gefunden, dort den Gott erkannt, der die Welt geschaffen hat. Er ist der Gott aller Menschen und hat sich zugleich ein konkretes Volk und einen Ort erwählt, um von dort aus unter uns gegenwärtig zu sein. Es sind Gottsuchende, und sie sind nach Jerusalem gekommen, um den einen Gott anzubeten, um dessen Geheimnis sie irgendwie wissen. Der Evangelist erzählt uns des weiteren, daß diese Menschen von Jesus hören, zu Philippus, dem Apostel aus dem halb griechisch sprechenden Betsaida, kommen und sagen:  "Wir möchten Jesus sehen." Ihre Sehnsucht, Gott zu erkennen, drängt sie dazu, Jesus sehen zu wollen, von ihm her Gott näher kennenzulernen. "Wir möchten Jesus sehen":  ein Wort, das auch uns berührt, denn wir alle möchten ihn immer mehr wirklich sehen und erkennen. Ich denke, diese Griechen gehen uns in doppelter Weise an:  Auf der einen Seite ist ihre Situation auch die unsere, auch wir sind Pilgernde mit der Frage nach Gott, auf der Suche nach Gott. Und auch wir möchten Jesus näher kennenlernen, ihn wirklich sehen. Aber zugleich gilt, daß wir wie Philippus und Andreas Freunde Jesu sein sollten, die ihn kennen und die anderen den Weg zu ihm öffnen können. Und darum, denke ich, sollten wir in dieser Stunde beten:  Herr, hilf uns, Menschen unterwegs zu dir zu sein. Herr schenke uns, daß wir dich mehr sehen dürfen. Hilf uns, deine Freunde zu sein, die anderen Menschen die Tür zu dir hin auftun. Ob es zu einer Begegnung Jesu mit diesen Griechen gekommen ist, erzählt uns der heilige Johannes nicht. Die Antwort Jesu, die er uns berichtet, greift weit über den Augenblick hinaus. Es ist eine doppelte Antwort:  Er spricht von der Herrlichkeit Jesu, die nun beginne. "Die Stunde ist gekommen, daß der Menschensohn verherrlicht wird" (V. 23). Der Herr verdeutlicht dieses Wort von der Herrlichkeit mit dem Gleichnis vom Weizenkorn:  "Amen, amen, ich sage euch:  Wenn das Weizenkorn nicht in die Erde fällt und stirbt, bleibt es allein. Wenn es aber stirbt, bringt es reiche Frucht" (V. 24). Das Weizenkorn muß in der Tat sterben, in der Erde gleichsam aufgebrochen werden, damit es die Kräfte der Erde in sich hineinziehen und so zu Halm und zu Frucht werden kann. Beim Herrn ist dies ein Gleichnis für sein eigenes Geheimnis. Es selber ist das von Gott gekommene Weizenkorn, das göttliche Weizenkorn, das sich in diese Erde hineinfallen läßt, das sich aufreißen, aufbrechen läßt im Tode und gerade dadurch offen wird und so in die Weite der Welt hinein Frucht bringen kann. Nun geht es nicht mehr nur um eine Begegnung mit diesem oder jenem Menschen für einen Augenblick. Nun, als der Auferstandene ist er neu und überschreitet die Grenze von Orten und Zeiten. Nun kommt er wirklich zu den Griechen. Nun zeigt er sich ihnen und spricht mit ihnen, und sie sprechen mit ihm, und so erwächst Glaube, wächst die Kirche aus allen Völkern, die Gemeinschaft des auferstandenen Jesus Christus, die sein lebendiger Leib wird, Frucht des Weizenkorns. Wir dürfen in diesem Gleichnis auch das Geheimnis der Eucharistie angedeutet finden:  Er, der das Weizenkorn ist, fällt in die Erde hinein und stirbt. Und so entsteht die heilige Brotvermehrung der Eucharistie, in der er Brot wird für die Menschen aller Zeiten und aller Orte.
Was hier der Herr über sich selber mitteilt in diesem christologischen Gleichnis, das wendet er dann in zwei weiteren Sprüchen auf uns an, indem er sagt:  "Wer sein Leben liebt, verliert es; wer aber sein Leben in dieser Welt haßt, wird es bewahren bis ins ewige Leben" (V. 25). Wenn wir das hören, gefällt es uns nicht, glaube ich, im ersten Augenblick. Wir möchten zum Herrn sagen:  Was sagst du denn da, Herr? Sollen wir unser Leben, uns selbst hassen? Ist nicht unser Leben eine Gabe Gottes? Sind wir nicht nach deinem Ebenbild geschaffen? Sollen wir nicht dankbar und froh sein, daß du uns das Leben geschenkt hast? Aber das Wort Jesu hat eine andere Bedeutung. Selbstverständlich hat uns der Herr das Leben gegeben, damit wir dankbar sind. Dankbarkeit und Freude sind Grundhaltungen der christlichen Existenz. Ja, wir dürfen froh sein, weil wir wissen:  Dieses mein Leben ist von Gott. Es ist nicht sinnloser Zufall. Ich bin gewollt und ich bin geliebt. Wenn Jesus sagt, ihr sollt euer eigenes Leben hassen, meint er etwas ganz anderes. Er denkt hier an zwei Grundhaltungen. Die eine ist die, daß ich mein Leben für mich haben möchte, daß ich mein Leben gleichsam als meinen Besitz, mich selbst als meinen Besitz betrachte. Daß ich das Leben, das es gibt, möglichst ausschöpfen möchte, um viel gelebt zu haben, für mich selbst zu leben. Wer dies tut, wer in sich hineinlebt und auf sich schaut und nur sich will, der findet sich nicht, der verliert sich. Gerade umgekehrt ist es:  Leben nicht nehmen, sondern geben. Das sagt uns der Herr. Und nicht, indem wir das Leben uns nehmen, empfangen wir es, sondern indem wir es geben, indem wir uns überschreiten, indem wir nicht umschauen nach uns selbst, sondern in der Demut der Liebe uns dem anderen zueignen, unser Leben an ihn und an die anderen übergeben. So werden wir reich im Weggehen von uns selbst, im Freiwerden von uns selbst. Im Schenken des Lebens und nicht im Nehmen empfangen wir wirklich Leben.
Der Herr fährt dann fort und sagt uns in einem zweiten Spruch:  "Wenn einer mir dienen will, folge er mir nach; und wo ich bin, dort wird auch mein Diener sein. Wenn einer mir dient, wird der Vater ihn ehren" (V. 26). Dieses Sich-Geben, das in Wirklichkeit einfach das Wesen der Liebe ist, ist mit dem Kreuz identisch. Denn Kreuz ist nichts anderes als eben dieses Grundgesetz des gestorbenen Weizenkorns, dieses Grundgesetz der Liebe:  daß wir nur im Schenken unserer selbst wir selbst werden. Aber nun fügt der Herr hinzu, daß dieses Sich-Schenken, dieses Annehmen des Kreuzes, dieses Weggehen von uns selber, ein Mitgehen mit ihm ist, daß wir ihm nachgehend und ihm nachfolgend diesen Weg des Weizenkorns, den Weg der Liebe finden, der zunächst ein Weg der Drangsal und der Mühe scheint, doch gerade so der Weg der Erlösung ist. Zum Weg des Kreuzes, der der Weg der Liebe ist, des Sich-Verlierens und Schenkens, gehört die Nachfolge, das Mitgehen mit ihm, der selbst der Weg ist und die Wahrheit und das Leben. In diesem Begriff der Nachfolge ist zugleich eingeschlossen, daß sie im Wir geschieht, daß nicht jeder seinen Christus, seinen Jesus hat, daß wir ihm nur nachfolgen können, wenn wir miteinander mit ihm gehen, indem wir uns in dieses Wir hineingeben und mit ihm zusammen seine schenkende Liebe erlernen. Nachfolge geschieht im Wir. Zum Christsein gehört das Wir-Sein in der Gemeinschaft seiner Jünger. Und da steht die Frage der Ökumene in uns auf:  die Trauer darüber, daß wir dieses Wir zerrissen haben, daß wir doch den einen Weg in mehrere Wege zerteilen, und so das Zeugnis verdunkelt wird, das wir damit geben sollten, und die Liebe selbst nicht ihre volle Gestalt finden kann. Was sollen wir dazu sagen? Wir hören heute viele Klagen, die Ökumene sei zum Stillstand gekommen, Vorwürfe gegenseitig; ich denke aber, zu allererst sollten wir doch dankbar werden, daß es soviel Einheit gibt. Es ist doch schön, daß wir heute, an Laetare, hier miteinander beten, miteinander die gleichen Lieder singen, miteinander das gleiche Wort Gottes anhören, es miteinander auszulegen und zu verstehen suchen dürfen, daß wir auf den einen Christus hinschauen, den wir sehen und dem wir gehören wollen, und daß wir so doch Zeugnis davon geben, daß er der Eine ist, der uns alle gerufen hat und dem wir im Tiefsten alle zugehören. Ich glaube, wir sollten vor der Welt vor allem dies sichtbar machen:  nicht allerlei Zank und Streit, sondern die Freude und die Dankbarkeit dafür, daß der Herr uns dies schenkt und daß es wirkliche Einheit gibt, die immer tiefer werden kann und die immer mehr auch zum Zeugnis für das Wort Christi, für den Weg Christi werden soll in dieser Welt. Natürlich dürfen wir uns damit nicht zufrieden geben, auch wenn wir voller Dankbarkeit sein sollen für diese Gemeinsamkeit. Daß wir dennoch in wesentlichen Dingen, in der Feier der heiligen Eucharistie nicht den gleichen Kelch trinken können, nicht am gleichen Altar stehen, muß uns mit der Trauer erfüllen, daß wir Schuld auf uns laden, daß wir das Zeugnis verdunkeln; es muß uns innerlich unruhig machen, auf dem Weg zu mehr Einheit zu sein in dem Wissen, daß zuletzt nur er sie schenken kann, denn eine Einheit, die wir selbst aushandeln würden, wäre menschengemacht und so brüchig, wie alles, was Menschen machen. Wir geben uns ihm, suchen ihn immer mehr zu kennen und zu lieben, ihn zu sehen, und überlassen ihm, daß er uns damit wirklich ganz zur Einheit führt, um die wir in dieser Stunde in aller Dringlichkeit zu ihm beten.
Liebe Freunde, noch einmal möchte ich Ihnen danken für die Einladung, die Sie mir hierher geschenkt haben, danken für die Herzlichkeit, mit der Sie mich empfangen haben - auch für Ihre Worte, liebe Frau Dr. Esch; danken, daß wir miteinander beten und singen durften. Beten wir füreinander, beten wir miteinander, daß der Herr uns Einheit schenke und daß er der Welt hilft, daß sie glaube. Amen.

Questa è una nostra traduzione italiana del discorso del Pontefice.

Care Sorelle e cari Fratelli,

desidero ringraziare di cuore tutta la comunità, i vostri responsabili, in particolare il parroco Kruse, per avermi invitato a celebrare con voi questa domenica Laetare, questo giorno in cui l'elemento determinante è la speranza, che guarda alla luce che dalla resurrezione di Cristo irrompe nelle tenebre della nostra quotidianità, nelle questioni irrisolte della nostra vita. Ella, caro parroco Kruse, ci ha esposto il messaggio di speranza di san Paolo.

Il Vangelo, dal dodicesimo capitolo di Giovanni, che io vorrei cercare di spiegare, è anche un Vangelo della speranza e, nello stesso tempo, è un Vangelo della Croce. Queste due dimensioni vanno insieme:  poiché il Vangelo si riferisce alla Croce, parla della speranza, e poiché dona speranza, deve parlare della Croce.

Giovanni ci narra che Gesù era salito a Gerusalemme per celebrare la Pasqua e poi dice:  "C'erano anche alcuni greci che erano saliti per il culto". Erano sicuramente uomini del gruppo dei cosiddetti phoboumenoi ton Theon, i "timorati di Dio", che, al di là del politeismo del loro mondo, erano alla ricerca del Dio autentico che è veramente Dio, alla ricerca dell'unico Dio, al quale appartiene il mondo intero e che è il Dio di tutti gli uomini.
E avevano trovato quel Dio, che chiedevano e cercavano, al quale ogni uomo anela in silenzio, nella Bibbia di Israele, riconoscendovi quel Dio che ha creato il mondo. Egli è il Dio di tutti gli uomini e, allo stesso tempo, ha scelto un popolo concreto e un luogo per essere da lì presente tra noi.

Sono cercatori di Dio, e sono venuti a Gerusalemme per adorare l'unico Dio, per sapere qualcosa del suo mistero. Inoltre, l'evangelista ci narra che queste persone sentono parlare di Gesù, vanno da Filippo, l'apostolo proveniente da Betsaida, in cui per metà si parlava in greco, e dicono:  "Vogliamo vedere Gesù". Il loro desiderio di conoscere Dio li spinge a voler vedere Gesù e attraverso di lui conoscere più da vicino Dio.
 
"Vogliamo vedere Gesù":  un'espressione che ci commuove, poiché noi tutti vorremmo sempre più veramente vederlo e conoscerlo.

Penso che quei greci ci interessano per due motivi:  da una parte, la loro situazione è anche la nostra, anche noi siamo pellegrini con la domanda su Dio, alla ricerca di Dio. E anche noi vorremmo conoscere Gesù più da vicino, vederlo veramente.

Tuttavia è anche vero che, come Filippo e Andrea, dovremmo essere amici di Gesù, amici che lo conoscono e possono aprire agli altri il cammino che porta a lui. E perciò penso che in quest'ora dovremmo pregare così:  Signore, aiutaci a essere uomini in cammino verso di te. Signore, donaci di poterti vedere sempre di più. Aiutaci a essere tuoi amici, che aprono agli altri la porta verso di te.

Se ciò portò effettivamente ad un incontro fra Gesù e quei greci, san Giovanni non lo narra.
La risposta di Gesù, che egli ci riferisce, va molto al di là di quel momento contingente. Si tratta di una doppia risposta:  parla della glorificazione di Gesù che ora iniziava:  "È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato" (Gv 12, 23). Il Signore spiega questo concetto della glorificazione con la parabola del chicco di grano:  "In verità, in verità io vi dico:  se il chicco di grano caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto" (v. 24).

In effetti, il chicco di grano deve morire, in certo qual modo spezzarsi nel terreno, per assorbire in sé le forze della terra e così divenire stelo e frutto. Per quanto riguarda il Signore, questa è la parabola del suo proprio mistero. Egli stesso è il chicco di grano venuto da Dio, il chicco di grano divino, che si lascia cadere sulla terra, che si lascia spezzare, rompere nella morte e, proprio attraverso questo, si apre e può così portare frutto nella vastità del mondo. Non si tratta più solo di un incontro con questa o quella persona per un momento.

Ora, in quanto risorto, è "nuovo" e oltrepassa i limiti spaziali e temporali. Adesso raggiunge veramente i greci. Ora si mostra a loro e parla con loro, ed essi parlano con lui e in tal modo nasce la fede, cresce la Chiesa a partire da tutti i popoli, la comunità di Gesù Cristo risorto, che diventerà il suo corpo vivo, frutto del chicco di grano.

In questa parabola possiamo trovare anche un riferimento al mistero dell'Eucaristia:  Egli, che è il chicco di grano, cade nella terra e muore.
Così nasce la santa moltiplicazione del pane dell'Eucaristia, nella quale egli diviene pane per gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

Ciò, che qui, in questa parabola cristologica, il Signore dice di sé, lo applica a noi in due altri versetti:  "Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna" (v. 25).

Penso che quando ascoltiamo ciò, in un primo momento, non ci piace. Vorremmo dire al Signore:  Ma cosa ci stai dicendo, Signore? Dobbiamo odiare la nostra vita, noi stessi? La nostra vita non è forse un dono di Dio? Non siamo stati creati a tua immagine? Non dovremmo essere grati e lieti perché ci hai donato la vita?
Ma la parola di Gesù ha un altro significato.
 
Naturalmente il Signore ci ha donato la vita, e di questo siamo grati. Gratitudine e gioia sono atteggiamenti fondamentali dell'esistenza cristiana. Sì, possiamo essere lieti perché sappiamo che questa mia vita è da Dio. Non è un caso privo di senso. Io sono voluto e sono amato. Quando Gesù dice che dovremmo odiare la nostra propria vita, intende dire tutt'altro. Pensa qui a due atteggiamenti fondamentali. Uno è quello per cui io vorrei tenere per me la mia vita, per cui considero la mia vita come mia proprietà, considero me stesso come mia proprietà, per cui vorrei sfruttare il più possibile questa vita presente, così da aver vissuto molto vivendo per me stesso. Chi lo fa, chi vive per se stesso e considera e vuole solo se stesso, non si trova, si perde. È proprio il contrario:  non prendere la vita, ma darla. Questo ci dice il Signore.

E non è che prendendo la vita per noi, noi la riceviamo, ma è donandola, andando oltre noi stessi, non guardando a noi, ma dandosi all'altro nell'umiltà dell'amore, donando la nostra vita a lui e agli altri. Così diveniamo ricchi allontanandoci da noi stessi, liberandoci da noi stessi. Donando la vita, e non prendendola, riceviamo veramente vita.

Il Signore prosegue e afferma, in un secondo versetto:  "Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà" (v. 26). Questo donarsi, che in realtà è l'essenza dell'amore, è identico alla Croce. Infatti, la Croce non è altro che questa legge fondamentale del chicco di grano morto, la legge fondamentale dell'amore:  che noi diveniamo noi stessi solo quando ci doniamo. Ma il Signore aggiunge che questo donarsi, questo accettare la Croce, questo allontanarsi da sé, è un andare con lui, in quanto noi, andando dietro a lui e seguendo la via del chicco di grano, troviamo la via dell'amore, che subito sembra una via di tribolazione e di fatica, ma proprio per questo è la via della salvezza.
 
Della via della Croce, che è la via dell'amore, del perdersi e del donarsi, fa parte la sequela, l'andare con lui, che è, Egli stesso, la via, la verità e la vita. Questo concetto include anche il fatto che questa sequela si realizza nel "noi", che nessuno di noi ha il proprio Cristo, il proprio Gesù, che lo possiamo seguire soltanto se camminiamo tutti insieme con lui, entrando in questo "noi" e imparando con lui il suo amore che dona.

La sequela si realizza in questo "noi". Fa parte dell'essere cristiani l'"essere noi" nella comunità dei suoi discepoli. E questo ci pone la questione dell'ecumenismo: 
la tristezza per aver spezzato questo "noi", per aver suddiviso l'unica via in tante vie, e così viene offuscata la testimonianza che dovremmo dare in tal modo, e l'amore non può trovare la sua piena espressione.

Che cosa dovremmo dire al riguardo? Oggi ascoltiamo molte lamentele sul fatto che l'ecumenismo sarebbe giunto a un punto di stallo, accuse vicendevoli; tuttavia penso che dovremmo anzitutto essere grati che vi sia già tanta unità. È bello che oggi, domenica Laetare, noi possiamo pregare insieme, intonare gli stessi inni, ascoltare la stessa parola di Dio, insieme spiegarla e cercare di capirla;
che noi guardiamo all'unico Cristo che vediamo e al quale vogliamo appartenere, e che, in questo modo, già rendiamo testimonianza che Egli è l'Unico, colui che ci ha chiamati tutti e al quale, nel più profondo, noi tutti apparteniamo.

Credo che dovremmo mostrare al mondo soprattutto questo:  non liti e conflitti di ogni sorta, ma gioia e gratitudine per il fatto che il Signore ci dona questo e perché esiste una reale unità, che può diventare sempre più profonda e che deve divenire sempre più una testimonianza della parola di Cristo, della via di Cristo in questo mondo.

Naturalmente non ci dobbiamo accontentare di ciò, anche se dobbiamo essere pieni di gratitudine per questa comunanza. Tuttavia, il fatto che in cose essenziali, nella celebrazione della santa Eucaristia non possiamo bere allo stesso calice, non possiamo stare intorno allo stesso altare, ci deve riempire di tristezza perché portiamo questa colpa, perché offuschiamo questa testimonianza.

Ci deve rendere interiormente inquieti, nel cammino verso una maggiore unità, nella consapevolezza che, in fondo, solo il Signore può donarcela perché un'unità concordata da noi sarebbe opera umana e quindi fragile, come tutto ciò che gli uomini realizzano. Noi ci doniamo a lui, cerchiamo sempre più di conoscerlo e di amarlo, di vederlo, e lasciamo a lui che ci conduca così, veramente, all'unità piena, per la quale lo preghiamo con ogni urgenza in questo momento.

Cari amici, ancora una volta desidero ringraziarvi per questo invito, che mi avete rivolto, per la cordialità, con la quale mi avete accolto - anche per le sue parole, gentile signora Esch. Ringraziamo per aver potuto pregare e cantare insieme. Preghiamo gli uni per gli altri, preghiamo insieme affinché il Signore ci doni l'unità e aiuti il mondo affinché creda. Amen.


(©L'Osservatore Romano - 18 marzo 2010)
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 03:15.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com