Don Matteo 7 e LA TALARE (stupendo episodio!)

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Caterina63
00venerdì 27 novembre 2009 09:54
[SM=g1740722] l'amico forumista musicus ha commentato quanto segue su Oriensforum:


Cari amici,

questa sera ho visto la puntata finale dell'ultima serie del noto sceneggiato di Raiuno "Don Matteo": mi siano consentite alcune riflessioni. Naturalmente è impossibile che un parroco faccia anche il detective; ma intendo - come si dice - "spezzare una lancia" a favore di questa serie viste la sua bontà e positività rispetto a certi esempi di televisione (reality, talk show con annesse zuffe, etc...) e soprattutto in favore di Don Matteo stesso.

Nell'ultimo episodio, infatti, il nostro sacerdote, ingiustamente accusato di aver violato il segreto confessionale al fine di mandare in prigione un colpevole, viene sospeso a divinis dal Vescovo e si apre nei suoi confronti un processo canonico che potrebbe portarlo alla scomunica.

Particolarmente toccante è stata per me la scena in cui, mentre la perpetua Natalina toglie la corona del Rosario dalle mani del piccolo Agostino, ormai addormentato, e mentre il Maresciallo Cecchini guarda seduto sul letto una fotografia che ritrae lui e l'amico sacerdote, Don Matteo si toglie la talare e la ripone in un armadio che viene chiuso lentamente, sembrerebbe al fine di guardare la talare il più possibile. Altrettanto suggestiva la successiva scena in cui il nostro sacerdote riapre l'armadio e indossa di nuovo la sua veste, dopo che gli era stato consentito celebrare di nuovo i sacramenti una volta accertata la sua estraneità al fatto inizialmente contestatogli.

A riprova del suo attaccamento alla talare sta anche il fatto che quella che doveva essere la vittima di un'aggressione aveva in realtà escogitato un piano per farlo sospendere a divinis proprio per togliergli una delle cose che gli erano più care: la sua tonaca.

Cordialmente,
Musicus Philologus   

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[SM=g1740717] [SM=g1740720]


Sorriso caro Musicus.... mi collego ora con l'intento di scrivere anch'io questo episodio e....con gioia leggo che tu ci hai pensato.... Occhiolino

Mi unisco pertanto alla tua brillante descrizione di questa puntata...

Io ho visto la puntata con mia figlia, e tutte e due ci siamo detti anche meravigliati, oltre che contenti, che tutto il finale si è concentrato su questo amore per la TALARE....e così l'episodio stesso che, come ha spiegato musicus, si concetra su questa veste definendola appunto L' AMORE...la "cosa" più cara per il sacerdote...

E bello anche quel rosario fra le mani di Agostino, preso da Natalina fra le lacrime e poi riposto nuovamente nella mano del bambino con il pensiero rivolto al Sacerdote calunniato...mentre depone l'abito dopo, tra la'ltro, aver pregato nella sua camera sull'inginocchiatoio davanti al Crocifisso... Sorriso

Si, davvero questa volta voglio complimentarmi con gli autori della serie...per questa degna conclusione di don Matteo 7 ...al di la di ogni fiction, la serie si è conclusa con un messaggio davvero UNICO e molto cattolico... mi sono veramente commossa a tal punto che ho avuto il desiderio di prendere il Rosario e pregare per tutti i sacerdoti...

 Occhiolino

[SM=g1740722] [SM=g1740721]



Caterina63
00venerdì 27 novembre 2009 09:59
[SM=g1740733] ricordandoci che siamo nell':
ANNO SACERDOTALE 2009-2010

ricordiamo queste riflessioni:
Sacerdoti....rimettete l'ABITO perchè l'occhio vuole la sua parte!

Alla mia veste nera

di Mons. F. Olgiati


O cara veste nera, da alcune settimane tutti parlano di te. Nel volume su L'attività della Santa Sede nel 1958 era detto: "Attese le varie richieste pervenute circa l'abito talare, è stata iniziata una vasta indagine sulla questione della forma dell'abito ecclesiastico, ed è stata concessa agli ordinari diocesani (cioè ai Vescovi) qualche facoltà di dispensa, in casi particolari, ferma sempre restando la regola di usare la veste talare nell'esercizio della potestà di ordine e di giurisdizione".

Queste poche righe hanno dato origine a mille discussioni, anche sulla stampa nostra. E le fantasie hanno galoppato.

Alcuni si sono appellati alla storia, dal secolo V ai Concili Lateranense IV (213) e Viennese (1312), che agli ecclesiastici imposero un abito diverso dal comune, da Sisto V a Pio IX.

Altri hanno fatto ricorso alla moda dei paesi tedeschi ed anglosassoni, che concedono ai sacerdoti l'abito cosidetto alla "clergyman", pur imponendo la "talare", come esige il Codice di Diritto canonico, nelle funzioni sacerdotali.

Altri hanno rievocato i tempi della Rivoluzione francese, quando anche in Paesi latini - come oggi nelle terre comuniste - il clero, a causa della persecuzione, non si distingueva affatto per i suoi abiti dai laici.

Altri, infine, hanno osservato che "la veste talare, oltre ad essere fastidiosa d'estate e ingombrante sempre, diventa un ridicolo intralcio ed anche un reale pericolo quando, proprio per ragioni del suo ministero, il prete deve usare la bicicletta e la motoreta", mezzi diventati, ormai, indispensabili per chi è in cura d'anime. Nè è da omettersi, hanno aggiunto, "la tendenza del clero non ad isolarsi in una torre d'avorio, ma ad accostarsi il più possibile alla vita del popolo cristiano affidato alle sue cure, a dividerne le sofferenze e le contrarietà".

Cara mia veste nera, pur sapendo che non si tratta di una questione sostanziale, ma solo d'una materia disciplinare di esclusiva competenza dell'autorità ecclesiastica, io non ho potuto fare a meno di guardarti e di meditarti.

Sono vecchio e ti voglio bene.

Tu mi perdonerai se io non mi interesso degli argomenti accennati. Non voglio discuterli. Solo voglio dire a te una parola. Ti porto da tanti decenni. Quando ero fanciullo e, prima degli undici anni, entrai in Seminario, si usava indossarti fin dalla prima ginnasiale e tenerti anche nelle vacanze. Ricordi, mia cara veste nera, il giorno della mia vestizione? Ti aveva preparata la mia santa mamma, povera ed inesperta, aiutata da una vecchia sarta volenterosa. Assisteva al rito e pianse quando il vecchio Prevosto me ne rivestì e asperse. Con la benedizione del Parroco e con le lacrime materne uscii dalla chiesa. Com'ero felice, o mia cara veste nera! Potevo io concepire un tesoro più grande e più prezioso di te? Lo fosti sempre durante i miei dodici anni di Seminario e in seguito per tutta la mia vita.

In Seminario subito mi hanno insegnato a baciarti, quando alla sera mi spogliavo per andare al riposo. Quanti baci e di che cuore!

O veste nera della mia prima Messa e di tante Messe celebrate e di tanti azioni sacerdotali compiute! O veste nera, che accanto al letto dei morenti avevi un significato ed un tuo singolare linguaggio! O veste nera, che non mi hai mai costretto ad isolarmi in una torre d'avorio, pur ricordandomi in ogni occasione il mio sacerdozio, anche nel fervore di dispute accese e nelle battaglie per la difesa della verità, in congressi, in associazioni, nelle scuole!

Tu hai conosciuto talvolta, soprattutto in alcuni tempi, l'insulto villano del teppista; ma quanto in quei momenti sono stato fiero di te e ti ho amato!

T'ho riguardata sempre come una bandiera...bandiera nera, sì. Simbolo di morte. ma non potevo vergognarmi, perchè mi simboleggiavi il Crocifisso, che, appunto perchè tale, è risurrezione e vita.

Ora che sono al tramonto, sentendo discorrere di te, ho capito sempre più e sempre meglio che ti amo tanto.

Non so se ti modificheranno, se ti sostituiranno, se ti cambieranno. Avranno le loro ragioni. Anzi, se scoppiasse una persecuzione, ti strapperebbero da me. Non importa. Persino in questo caso tu saresti nel mio cuore. E vi rimarrai per sempre.

Quando tra breve chiuderò gli occhi, voglio che tu scenda con me nella tomba. Rivestito di te, avvolto nelle tue pieghe, dormirò più tranquillo il sonno della morte. Più non potrò darti il bacio del mio affetto. Il mio cuore più non batterà. Ma se qualcuno potesse leggere nelle sue fibre più profonde, troverebbe scolpita una parola di amore e di fierezza per te, o cara e dilettissima veste nera...

Maggio 1959



[SM=g1740738]

Caterina63
00martedì 25 maggio 2010 18:03
I sacerdoti e l'immaginario cinematografico

Preti di celluloide


di Emilio Ranzato

È insospettabilmente consistente la quantità di film in cui si presenta la figura dei sacerdoti. Chi si ricordava, per esempio, che figure di preti attraversano praticamente tutta la produzione di Federico Fellini? O che personaggi legati alla Chiesa sono presenti in film come Amici miei di Mario Monicelli (1975) o Sedotta e abbandonata di Pietro Germi (1964)? O ancora che anche Alberto Sordi aveva vestito l'abito talare (in Nell'anno del Signore di Luigi Magni, 1969, ma anche nel dimenticato Anastasia mio fratello ovvero il presunto capo dell'anonima assassini di Steno, 1973)? Questa inaspettata constatazione - che si può verificare visitando la mostra in Vaticano di cui si dà notizia a fianco - ribadisce la rilevanza della figura del prete non solo nell'immaginario cinematografico, ma nell'intera cultura italiana.

In tal senso, i mezzi espressivi del mezzo fotografico in questa occasione arricchiscono quelli della settima arte, assumendo addirittura un carattere rivelatore. La forza figurativa delle immagini cristallizzata dalle istantanee, infatti, dimostra come anche in scene secondarie, o che difficilmente si ricordavano, la figura del prete non è mai adottata casualmente, e finisce anzi per avere una centralità di significato all'interno dell'inquadratura. Il che dimostra inoltre come anche registi non cattolici si pongano nei confronti di questa figura figura con un atteggiamento tutt'altro che indifferente, e riconoscendo a essa se non un effettivo ruolo pastorale, quanto meno una grande rilevanza simbolica, carica di significati sociologici, storici, psicanalitici.

Tutti aspetti testimoniati da un corpus che, oltre a essere numeroso, copre un amplissimo arco di tempo, coinvolgendo ogni fase del cinema italiano.

L'intento di affrontare l'argomento senza orpelli sterilmente celebrativi, si riflette nel libro di Dario Edoardo Viganò, presidente della Fondazione Ente dello spettacolo, Il prete di celluloide (Assisi, Cittadella Editrice, 2010, pagine 170, euro 9,50), che si occupa proprio della figura del sacerdote nel cinema italiano e internazionale. Il saggio affronta con il taglio di una lucida analisi anche film critici nei confronti del mondo cattolico come L'ora di religione di Marco Bellocchio. E proprio alcune interviste presenti nel libro dimostrano come l'incontro - e a volte lo scontro - con la religione e con il clero, ha comunque sempre costituito un momento cruciale nell'iter creativo ed esistenziale dei registi che hanno affrontato il tema.

Per il resto quello di monsignor Viganò costituisce un esaustivo ancorché sintetico excursus nella filmografia italiana e internazionale, che prende le mosse da alcune declinazioni ricorrenti della figura del sacerdote sul grande e sul piccolo schermo, come il missionario eroico, il prete-detective, il predicatore logorroico e bacchettone. Nella prima categoria rientrano soprattutto le produzioni televisive, riguardanti figure realmente esistite - Don Milani. Il priore di Barbiana (Andrea e Antonio Frazzi, 2007), Don Bosco (Lodovico Gasparini, 2004), Don Gnocchi. L'angelo dei bambini (Cinzia Th. Torrini, 2004) - e non, come quella di Massimo Dapporto in Un prete tra noi (Giorgio Capitani e Lodovico Gasparini, 1997-1999), storia di un prete che abbandona una promettente carriera di studioso per sporcarsi le mani con problematiche sociali come quelle che riguardano la vita all'interno di un carcere.

Prendendo in considerazione la figura del prete-detective, invece, non si può non parlare dell'ormai lunghissima serie televisiva di Don Matteo, in cui la figura del sacerdote, alle prese con improbabili indagini quotidiane, per la verità viene quasi del tutto spogliata del suo ruolo pastorale. Mantenendo però, a contrasto con i "rivali" carabinieri, e quindi con lo Stato, una familiare dimensione di alterità. Proverbiali figure di preti logorroici e bacchettoni, infine, sono proprio quelle presenti in alcuni film di Verdone, come Un sacco bello (1980) e Viaggi di nozze (1995).

Lo stesso Verdone durante il discorso d'introduzione alla mostra ha sottolineato come per il suo ultimo film, al di là di risvolti umoristici comunque presenti, si sia accostato alla figura del sacerdote con intenti del tutto diversi rispetto al passato, ovvero con l'intenzione di mostrare un personaggio sfaccettato e persino problematico, senza rinunciare quindi a toccare con sensibilità - ma anche con un certo timore, come ha ricordato lui stesso - aspetti come la tentazione di celibato e la crisi di fede.

Per immaginare quale tragitto personale può aver percorso Verdone in questi trent'anni, d'altronde, basterebbe recuperare la memorabile scena di Un sacco bello in cui don Alfio incontra il "figlio dei fiori" Ruggero su esortazione del padre di quest'ultimo, interpretato dall'indimenticato caratterista Mario Brega. Incapace di interpretare i bisogni e le difficoltà del giovane, don Alfio si alza sfinito dal divano ed esclama col suo malcelato accento ciociaro:  "Cari ragazzi, se lo volete capire lo capite, se non lo volete capi' allora sapete che vi dico? Che io m'alzo e mi vado a lava' le mani, come quando Pilato si lavò le mani di fronte a..." salvo poi interrompersi alla ricerca disperata di un suggerimento. "A nostro Signore, (...) manco le basi del mestiere te ricordi!" finisce per lui il comunista Brega.

Oppure quella di Viaggi di nozze in cui il prete che celebra un matrimonio, sempre impersonato dallo stesso Verdone con un look esageratamente francescano, si dilunga, con dovizia di particolari inutili, in preghiere all'indirizzo di ogni più lontano parente degli sposi, compresi "il piccolo Severiano  e  Giada,  quest'ultima ricoverata  al  reparto  intensivo  del Gemelli".


Il cardinale Bagnasco don Camillo e il missionario di Verdone


Cinema e preti rappresentano un connubio singolare eppure capace di "comunicare bei valori" grazie al "linguaggio cinematografico che muove dritto al cuore delle persone". Lo ha sottolineato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, che ha inaugurato assieme a Carlo Verdone la mostra "Preti al cinema. I sacerdoti e l'immaginario cinematografico", realizzata dalla Fondazione Ente dello Spettacolo in collaborazione con l'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e con la Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia.

Un percorso fotografico, allestito nell'atrio dell'aula Nervi in Vaticano, che va dall'Aldo Fabrizi di Roma citta aperta al missionario interpretato proprio da Verdone nel suo ultimo film, Io, loro e Lara, passando dal Totò di Uccellacci e uccellini al Nanni Moretti de La Messa è finita, dal Fernandel di Don Camillo al Walter Matthau del Piccolo Diavolo, fino al Luca Zingaretti interprete del prete assassinato dalla mafia don Pino Puglisi. Parlando di Verdone, Bagnasco ha ricordato che "nei suoi trent'anni di carriera ha affrontato in più di un'occasione la figura del sacerdote, sottolineandone a volte difetti e debolezze, con rappresentazioni spesso caricaturali, ma sempre cariche di singolari spunti di riflessione, che solo il linguaggio della commedia a volte riesce a dare. Ultimamente, poi, a riprova anche di un lungo percorso artistico maturato, ha proposto un'interessante e inedita figura del missionario da cui traspare passione per il suo ministero nonostante le complesse e difficili situazioni nelle quali vive".

Tra i preti cinematografici che più gli sono cari, Bagnasco ha ricordato don Camillo "per la sua fede schietta e semplice, radicata e popolare, con un'umanità profonda" e dall'altra il prete di Diario di un curato di campagna, di Robert Bresson, tratto dall'omonimo romanzo di Georges Bernanos che, ha detto, "mostra momenti della sua vita come le tappe di una Via Crucis:  dal rifiuto da parte della comunità dei fedeli, alla caduta nel fango, al nutrirsi di pane raffermo e vino riscaldato unico cibo possibile per lui malato di cancro e che diviene icona del suo configurarsi a Cristo".





 


(©L'Osservatore Romano - 26 maggio 2010)

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