EUSEBIO DI CESAREA: La Storia Ecclesiastica ( libri da 1 a 5 )

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°Teofilo°
00venerdì 31 luglio 2009 17:08
brani sulla fede nella divinità di Cristo

EUSEBIO DI CESAREA nella sua opera "STORIA ECCLESIASTICA", nel suo primo libro, riporta la professione di fede della Chiesa sulla DIVINITA’ DI CRISTO.



2. RIASSUNTO SOMMARIO RIGUARDANTE LA PREESISTENZA E LA DIVINITÀ DEL SALVATORE E SIGNORE NOSTRO, IL CRISTO DI DIO

1. La natura del Verbo è duplice: una è paragonabile alla testa del corpo, per la quale è ritenuto Dio, l'altra ai piedi, per la quale è divenuto uomo come noi, assumendo la nostra natura passibile per condurci alla salvezza. La mia esposizione degli avvenimenti che seguiranno potrà essere completa solo se ne racconterò lo svolgimento a partire dalle cose più importanti ed essenziali; cosi facendo dimostrerò anche l'antichità e l'essenza divina del Cristianesimo a coloro che lo ritengono una religione nuova e straniera, apparsa solo di recente.

2. Non c'è nessun discorso che sia di per sé in grado di esporre la nascita, il valore, l'essenza e la natura di Cristo, come anche lo Spirito Santo dice nelle profezie: Chi mai narrerà la sua nascita?

Nessuno infatti conosce il Padre se non il Figlio, e nessuno il Figlio adeguatamente se non il Padre che lo ha generato

3. E chi potrebbe rettamente conoscere, se non il Padre, la luce che esisteva prima della creazione del mondo, la Sapienza intellettiva e sostanziale preesistente ai secoli, e il Dio Verbo, che vive ed è in principio presso il Padre?

'Is53,8 ^f Mt 11,27

8 Per il concetto di economia cf supra, n 5 Con il termine teologia si intende affermare la pura divinità di Cristo (cf Ongene, Contro Celso, 6, 18, 7, 41, Commento a Giovanni, II, 34, 205)



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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 17/01/2004 10.45

Questi è la prima ed unica progenie di Dio anteriore alla creazione delle cose visibili ed invisibili, il capo supremo dell'esercito spirituale ed immortale che è in cielo d, il messaggero del grande disegno, il ministro dell'ineffabile volontà del Padre, il creatore dell'universo insieme con il Padre, la seconda causa di tutte le cose dopo il Padre, il figlio vero ed unigenito di Dio, Signore di tutte le creature, Dio e rè, che ha ricevuto dal Padre la signoria ed il potere per la sua stessa divinità, potenza ed onore, come su di lui le Scritture mistiche e divine affermano: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; ogni cosa fu per mezzo di lui; senza di lui niente fu e.

4. Anche il grande Mosè, il più antico fra tutti i profeti 9, quando, per ispirazione dello Spirito divino, descrive l'essenza e l'ordinamento del cosmo, insegna che l'ordinatore e creatore dell'universo non ha affidato ad altri se non al Cristo, il suo Verbo divino e suo primogenito, la creazione degli esseri inferiori. E, conversando con lui sulla creazione dell'uomo, dice: Disse infatti Dio: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianzà" f.

5. Un altro profeta conferma questa verità, dicendo nei Salmi; Egli parlò e furono generati; Egli ordinò, e furono creati ^. Egli presenta il Padre e creatore come un capo supremo che ordina con cenno regale, e il Verbo divino, secondo dopo di lui, come ministro degli ordini del Padre, non diversamente da quanto noi sosteniamo.

6. Tutti coloro che si dice si siano distinti sin dalla creazione del primo uomo per giustizia e valore di divinità, Mosè cioè, il grande servo di Dio, e i suoi seguaci, e davanti a loro per primi Abramo e i suoi figli e quanti giusti e profeti sono apparsi dopo di loro, hanno conosciuto il Verbo con l'immaginazione dei puri occhi della mente e lo hanno, per questo, venerato in modo conveniente al figlio di Dio.

7. Egli si assise fra tutti costoro quale maestro della conoscenza del Padre per la venerazione che aveva verso di lui. La Sacra Scrittura dice che il Signore Dio apparve come un comune mortale ad Abramo, seduto presso la quercia di Mambre h; costui, sebbene vedesse con gli occhi davanti a sé un uomo, si inginocchiò subito, adorandolo come dìo. e supplicandolo come Signore, e gli confessò di non ignorare chi egli fosse, rivolgendogli queste testuali parole; Signore, che giudichi tutta la terra, non amministrerai la giustizia ora? '.

8. Se infatti non è possibile affermare che l'ingenerata ed immutabile sostanza di Dio onnipotente ha assunto la forma umana ingannando gli occhi di coloro che lo hanno visto in tal sembianza con la parvenza di un essere mortale, e che la Scrittura non espone simili cose secondo verità, chi altri potrebbe essere chiamato Dio e Signore che giudica tutta la terra, che fa il giudizio, che è apparso in forma umana se non il Verbo, la sola creatura di Dio preesistente al mondo? Ma ciò non sarebbe possibile se non fosse lecito definirlo la causa prima del mondo. Su di lui anche nei Salmi si dice: Ha inviato il suo Verbo, li ha sanati e li ha salvati dai loro peccati '.

9. E poi Mosè lo chiama con molta chiarezza secondo Signore dopo il Padre dicendo: 11 Signore ha fatto piovere dal Signore zolfo e fuoco su Sodoma e Gomorra k. Ed egli viene definito Dio dalla Sacra Scrittura quando, apparso in fattezze umane anche a Giacobbe, si rivolge a lui dicendo: Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele sarà il tuo nome, perché hai combattuto con Dio\; e allora Giacobbe diede a quel luogo il nome di "Apparizione di Dio" dicendo Ho visto Dio faccia a faccia, e la mia anima è stata salvata "

^f. Gv 1, 9-10. d Cf. Gs5, 14 g Sai 33, 9; cf. Sai 148, 5.

^v 1, 1-3. f Gn 1,26.

9 II termine non è qui usato in senso specifico, ma designa ogni scrittore dell'Antico Testamento in quanto profeta della venuta di Cristo.

h Cf. Gn 18. ' Gn 32, 29.

Gn 18, 25.

Sai 107, 20. k Gn 19, 24.

10. Non è lecito pensare che le teofanie su esposte siano di angeli inferiori o di ministri di Dio: infatti, quando qualcuno di questi si manifesta agli uomini, la Scrittura, narrando il fatto, non lo definisce ne Dio ne Signore, ma Angelo, come è facile provare da innumerevoli testimonianze.

11. Anche Giosuè, il successore di Mosè, pur non avendolo visto se non in figura e aspetto umani, lo chiama capo supremo dell'esercito del Signore, nel senso che egli guida gli angeli celesti, gli arcangeli e le potenze che sono al di là del mondo, e nel senso che è potenza e saggezza del Padre, ed ha ricevuto in affidamento il secondo posto nel regno e nel comando del mondo.

12. Egli pertanto ha scritto: E avvenne che Giosuè, quando si trovava a Gerico, alzato lo sguardo, vide un uomo ritto davanti a sé con una spada sguainata in mano, Giosuè, avvicinatesi, gli chiese "Sei dei nostri o un nemico?", ed egli rispose "lo sono il capo supremo dell'esercito del Signore" E Giosuè, prostratesi con la faccia per terra, abbassato lo sguardo, gli disse "Signore, che cosa comandi al tuo servo^", e il capo supremo del Signore gli rispose "Sciogli i calzari dai tuoi piedi, perché il luogo in cui ti trovi è sacro" n.

13 Avrai appreso da queste parole che egli non è diverso da colui che ha parlato anche a Mosè: a lui infatti la Scrittura fa riferimento usando le stesse parole: Quando vide che egli si avvicinava per vederlo, il Signore lo chiamò dal cespuglio dicendo "Mosè, Mosè", ed egli rispose "Che c’è? ", ed il Signore "Non avvicinarti oltre, sciogli prima il calzare dai tuoi piedi, poiché il luogo in cui ti trovi è terra sacra". Poi continua dicendo "lo sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe" °.

m Gn 32, 31 " Gs 5, 13-15 ° Es 3, 4-6

14. Che esista una sostanza anteriore al mondo e sussistente, che ubbidisce ai comandi del Padre e dìo dell'universo per creare tutte le cose viventi, chiamata Verbo di Dio e Sapienza 10, è possibile apprenderlo, oltre che dalle prove già apportate, anche dalla Sapienza in persona, che con chiarezza rivela di sé queste cose per bocca di Salomone: lo, la Sapienza, ho portato nella mia tenda il consiglio, il mio nome è conoscenza e intelligenza, grazie a me i rè regnano e i giudici amministrano la giustizia, per opera mia i grandi menano vanto e i tiranni governano sulla terra p. 15. A queste parole aggiunge: II Signore mi ha creato principio delle sue vie per le sue opere, prima del tempo mi ha generato, in principio, prima di creare la terra, prima di far scaturire le fonti delle acque, prima di far sorgere le montagne, prima di tutte le colline mi ha generato, quando preparava il cielo io ero con lui, e quando poneva fonti stabili sotto il cielo, io ero lì con lui. Ero là dove egli gioiva ogni giorno, e mi rallegravo davanti a lui in ogni momento, quando era felice di avere creato il mondo q. 16. SÌ è così detto brevemente che il Verbo divino è preesistente al mondo ed è apparso ad alcuni, anche se non a tutti.

17. Perché il suo insegnamento non è stato annunciato, come ai nostri tempi, anche in quelli antichi a tutti gli uomini e a tutti i popoli, lo si potrebbe spiegare così u. La vita degli uomini antichi non era affatto nelle condizioni di accogliere l'insegnamento saggissimo e virtuoso di Cristo. 18. In principio infatti, subito dopo aver vissuto la prima vita fra i beati, il primo uomo, per non aver rispettato il volere divino, è precipitato in questa vita mortale ed effìmera, ottenendo così questa terra maledetta in cambio della felicità divina di un tempo.

p Prv 8, 12, 15, 16 q Prv 8, 22 25, 27,28, 30

10 L'identificazione tra Cristo e la Sapienza è attestata già in 1 Cor 1, 24 e ripresa da Giustino, Dialogo con Tnfone, 61, 1

11 Eusebio riprende qui un'antica questione, sollevata già sul finire del II secolo da Celso nel Discorso sulla verita .

La soluzione qui da lui data è in parte presente già in Ongene, Contro Celso, 5, 15

Coloro che, dopo di lui, hanno popolato la terra fino ai nostri giorni, tranne uno o due, si sono mostrati peggiori, conducendo una vita da bestie, indegna di essere vissuta. 19. Non pensavano infatti nè ad organizzarsi in città, ne a darsi una costituzione, ne alle arti, ne alle scienze; non conoscevano neppure di nome le leggi, la giustizia, la virtù e la filosofia, ma vivevano da nomadi e abitavano in luoghi solitari come animali selvaggi e fiere crudeli, distruggendo così, per eccesso di volontaria malvagità, le facoltà razionali ricevute dalla natura, l'intelligenza e i dolci semi dell'anima umana. Si abbandonavano a ogni azione empia: si uccidevano e si rovinavano l'un l'altro, si nutrivano di carne umana, osavano muovere guerra a Dio e apprezzavano le gigantomachie tanto in auge presso tutti i popoli (pensavano infatti di opporre la terra al cielo); e infine, per una follia del pensiero sconvolto, si preparavano persino a combattere contro il rè dell'universo. 20. Contro costoro che conducevano un tal genere di vita, come su un bosco selvaggio esteso su tutta la terra, Dio, dispensatore di tutte le cose, scatenò cataclismi, incendi, frequenti carestie, pestilenze e guerre, e scagliò fulmini dall'alto del cielo, debellando e mettendo fine con dure punizioni a quella terribile e irrefrenabile malattia delle anime. 21. E fu allora che, quando il torpore, effetto della malvagità, si era ormai riversato in abbondanza su quasi tutti gli uomini, portando, come una terribile ubriachezza, scompiglio e tenebra nelle loro anime, la Sapienza, prima progenie e prima creatura di Dio, e lo stesso Verbo preesistente, per eccesso di amore verso gli uomini, si manifestarono agli esseri inferiori, ora con apparizioni di angeli, ora apparendo essi stessi in forma umana - non era infatti loro possibile in altro modo - come potenza salvifica di Dio, solo a uno o a due degli uomini di un tempo cari a Dio. 22. E vedendo che quella moltitudine di uomini, nei quali germogliarono, per loro tramite, i semi della fede, e quell'intero popolo della terra, ricolmo di fede in Dio, discendente dagli antichi Ebrei, erano ancora attaccati all'antico modo di vita, per mezzo del profeta Mosè diede loro immagini e simboli di un sabato mistico, e introdusse la pratica della circoncisione e altri precetti spirituali, ma non rivelò apertamente i misteri. 23. E, divulgato presso gli Ebrei l'insegnamento divino e diffuso poi fra tutti gli uomini come aroma profumato, ormai, in conseguenza di ciò, alti pensieri si diffondevano in molti popoli e in ogni angolo della terra per merito dei legislatori e dei filosofi, che con la loro opera mutarono in benevolenza la selvaggia e irrazionale ferinità di un tempo, sì da instaurare una pace profonda e un'amicizia reciproca. Solo allora a tutti gli uomini e a tutti i popoli della terra, che ormai godevano di questi benefici ed erano divenuti amici per avere accolto la conoscenza del Padre, egli stesso, il maestro delle virtù, il ministro del Padre in tutte le opere buone, il Verbo divino e celeste di Dio si manifestò in un corpo umano, in nulla differente, riguardo all'essenza, dalla nostra natura. Ciò è avvenuto al principio dell'impero romano, e accadde perché egli facesse e patisse quanto era stato predetto dalle profezie, secondo le quali il facitore di opere miracolose sarebbe venuto fra gli uomini, avrebbe partecipato insieme della natura umana e divina, si sarebbe mostrato a tutti i popoli quale maestro della saggezza del Padre, avrebbe avuto una nascita miracolosa, avrebbe professato una nuova dottrina e compiuto azioni miracolose, sarebbe morto nel modo che conosciamo, sarebbe risuscitato dai morti e, infine, sarebbe ritornato in cielo. 24. Il profeta Daniele, che vide il suo regno per ispirazione dello Spirito divino, così ha profetizzato, descrivendo la visione di Dio in termini umani: Osservavo, dice, finché furono posti i troni e si sedette l'antico dei giorni La sua veste era bianca come la neve, i capelli del capo come bianca lana, il suo trono era una fiamma di fuoco, le ruote fuoco ardente, un fiume di fuoco scorreva davanti a lui, mille migliaia 56 lo servivano e miriadi di mirìadi erano al suo cospetto. Il tribunale si sedette e alcuni libri furono aperti r. 25. Poi aggiunge: Guardavo, ed ecco sulle nuvole del cielo venire un essere simile al figlio dell'uomo, che giunse fino all'Antico e fu portato al suo cospetto; a lui fu affidato il comando, l'onore e il regno, e tutti i popoli, tribù e lingue lo serviranno. Il suo potere è eterno, e non avrà mai fine, e il suo regno non andrà mai in rovina s. 26. Queste parole non possono chiaramente essere riferite a nessun altro se non al nostro Salvatore, il Dio Verbo che era in principio presso Dio, chiamato figlio dell'uomo in virtù della sua incarnazione. 27. Ma poiché nei miei commentari ho già raccolto le profezie riguardanti il nostro Salvatore Gesù Cristo 12, ed ho ancora più dichiaratamente trattato in altri le teorie qui esposte su di lui, mi riterrò soddisfatto di quanto detto finora.

^n 7, 9-10. ^Dnl, 13-14.

12 II riferimento è alle Egloghe prò/etiche, che costituivano i libri VI-IX della perduta Introduzione generale elementare, composta intorno al 310 a fini apologetici e rivolta soprattutto a coloro che volevano conoscere i contenuti fondamentali della fede. In essa l'autore esamina i passi dell'Antico Testamento profetizzanti la venuta di Cristo, soffermandosi in modo particolare sul significato delle teofanie. I libri presi in esame sono quelli del Genesi


3. IL NOME DI gesù E QUELLO STESSO DI CRISTO SONO STATI CONOSCIUTI E ONORATI DAI PROFETI DIVINI SIN DALL'ORIGINE DEI TEMPI

1. Ormai è giunto il momento di dimostrare che lo stesso nome di Gesù e quello di Cristo erano stati già onorati dai profeti antichi cari a dìo. 2. Lo stesso Mosè, che ha conosciuto per primo il nome illustre e massimamente venerabile di Cristo, ha dato figure, simboli e immagini misteriose delle realtà celesti, seguendo la voce che gli gridava; Guarda, farai ogni cosa secondo il modello mostrato a tè sul monte r. E per magnificare il sommo sacerdote di Dio, come era possibile ad un uomo, gli diede il nome di Cristo u; a questa dignità del sommo sacerdozio, che egli considerava di gran lunga superiore ad ogni onore umano, aggiunse, in segno di onore e gloria, il nome di Cristo, che riteneva pertanto un appellativo divino. 3. Mosè previde, per ispirazione dello Spirito Santo, il nome di Gesù, ignoto agli uomini prima che egli ne venisse a conoscenza, e lo rese degno di una distinzione privilegiata, attribuendolo soltanto a colui che, secondo il modello e il simbolo, sapeva che avrebbe ereditato il comando supremo dopo la sua morte 1-1. 4. Dunque egli diede come dono onorifico al suo successore (che prima era chiamato col nome di Ause, dategli dai suoi genitori) il nome di Gesù, molto più prezioso di ogni corona regale, poiché anche questo Gesù, figlio di Naue, portava in sé l'immagine del nostro Salvatore, di colui che ha ereditato e compiuto il culto simbolico iniziato da Mosè, principio della vera e purissima religione. 5. Così Mosè designò col nome del nostro Salvatore Gesù Cristo, in segno di grandissimo onore, i due uomini che si distinguevano, a suo avviso, per fama di virtù presso tutto il popolo, il sommo sacerdote cioè e colui che, alla sua morte, avrebbe ereditato il potere. 6. I profeti posteriori a Mosè preannunciarono con chiarezza il nome di Cristo, predicendo la futura congiura dei Giudei contro di lui e il grande numero di popoli che egli avrebbe chiamato a sé. Dice Geremia: II soffio delle nostre narici, Cristo Signore, è sfato preso nella rete dei nostri peccati. Di lui abbiamo detto: "ideila sua ombra vivremo fra i popoli" u; e Davide, perplesso sul senso delle seguenti parole: Perché i popoli ebbero paura e le genti meditarono cose vane? Erano presenti i rè della terra e i potenti si riunirono nello stesso luogo per complottare contro il Signore e lo stesso Cristov, aggiunge sulla stessa persona del Cristo: II Signore mi ha detto: "Tu sei mio figlio, oggi io ti ho generato. Chiedimi qualunque cosa: ti darò popoli in eredità e la tua proprietà si estenderà fino ai confini della terra" w.

^25,40.

13 Christós, "unto", traduce il termine ebraico masioh, con cui gli Ebrei designavano colui che diviene ministro di Dio tramite l'unzione con olio sacro (cf. Lattanzio, Istitutioni divine, IV, 1, 6).

14 Vale a dire Giosuè.

7. Non solo coloro che erano insigniti del sommo sacerdozio tramite l'unzione simbolica con l'olio consacrato erano designati presso gli Ebrei col nome di Cristo in segno di onore, ma anche Ì rè che erano unti dai profeti con lo Spirito divino e divenivano immagini di Cristo, in quanto portavano nella loro stessa persona i segni dell'essenza regale e dominatrice del solo e vero Cristo, il Verbo divino che regna su tutte le cose. 8. Sappiamo già che alcuni di quegli stessi profeti, in virtù dell'unzione, sono divenuti simbolicamente Cristi, così da essere tutti in comunione con il vero Cristo, il Verbo divino e celeste, che è il solo sommo sacerdote per eccellenza, il solo rè dell'universo e il solo sommo profeta tra i profeti del Padre. 9. Prova ne è il fatto che nessuno di coloro che in antico erano stati unti simbolicamente, siano essi sacerdoti, rè o profeti, ha acquistato tanta potenza di virtù divina quanta il Salvatore e Signore nostro Gesù, il solo e vero Cristo. 10. Nessuno di quelli, sebbene illustri presso i contemporanei per dignità e onore a motivo della lunghissima serie d'antenati, designò mai i loro sudditi col nome di cristiani, che si chiamano così per avere ricevuto il nome dal Cristo. Nessuno di loro poi ha ricevuto un onore divino dai suoi sudditi, e neanche dopo la loro morte vigeva una disposizione d'animo tale da far essere pronti a dare la propria vita per colui che si onorava; per nessuno di loro avvenne un così grande movimento di tutti i popoli della terra, poiché in questi la potenza del simbolo non era capace di operare tanto quanto l'affermazione della verità rivelata dal nostro Salvatore. 11. Egli, per il fatto di non avere ereditato da nessuno i simboli e i modelli del sommo sacerdozio, di non essere nato da famiglia sacerdotale, di non avere conquistato il potere con l'aiuto di uomini armati, di non essere profeta uguale a quelli che lo precedettero, non ha ricevuto dignità o privilegi di sorta dai Giudei, come tutti gli altri, ma fu onorato dal Padre con la forza della verità, e non simbolicamente. 12. Egli, non avendo ricevuto in sorte nulla di simile, è stato proclamato Cristo più di tutti coloro; ed essendo l'unico e vero Cristo di Dio, ha popolato tutto il mondo di cristiani, diffondendo, con essi, il suo nome in sé sacro e venerabile, rivelando ai suoi seguaci non più segni o immagini, ma apertamente virtù e vita celeste con dogmi di verità. 13. Egli ricevette non l'unzione del corpo, ma, tramite lo Spirito Santo, quella che si addice a colui che possiede l'ingenerata e paterna divinità del Padre. Ciò insegna Isaia, che proclama su Cristo: Lo Spirito del Signore è su di me; con esso mi ha unto; il Signore mi ha mandato ad annunciare la buona novella agli umili, la libertà agli oppressi, la vista ai ciechi. 14. Non solo Isaia, ma anche Davide fa riferimento alla sua persona dicendo: II tuo regno, o Dio, è per i secoli dei secoli; scettro di giustizia è lo scettro del tuo regno. Ami la giustizia e odi l'ingiustizia; per questo Dio, il tuo Dio, ti ha unto con l'olio della gioia, diversamente dai tuoi compagniv. 15. Nel primo versetto lo chiama Dio, nel secondo lo onora con scettro regale, nel terzo, dopo averlo definito potenza divina e regale, lo presenta come divenuto Cristo, perché unto non con olio derivato da sostanza materiale, ma con quello divino della gioia. Ciò conferma poi anche la sua superiorità, di gran lunga maggiore e differente per natura da quella degli antichi, unti simbolicamente, cioè solo nel corpo.

' Lm 4, 20.

'Sai 2, 1-2.

'Sai 2, 7-8.

\ Sai 45.7-8.

.

16. E altrove parla così di lui dicendo: II Signore ha detto al mio Signore "Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi" z e Ti ho generato dal seno prima della stella del mattino II Signore ha giurato, e presterà fede alla sua promessa, tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchisedek dd. 17. Questo Melchisedek viene citato nella Sacra Scrittura come sacerdote di Dio Altissimo •ab 15. Egli è divenuto tale non per aver ricevuto un'unzione materiale, e neppure per avere ricoperto il sacerdozio presso gli Ebrei per successione ereditaria; pertanto, in conseguenza dell'ordine divino e non per disposizione di altri, che hanno ricevuto segni e simboli, il nostro Salvatore viene chiamato, in virtù di un giuramento, Cristo e sacerdote. 18. La storia quindi attesta che egli non fu unto nel corpo dai Giudei, e non era neppure discendente da famiglia sacerdotale, ma che, generato da Dio stesso prima della stella del mattino, cioè prima della creazione del mondo, è stato fin dal principio sacerdote immortale ed eterno. 19. Prova irrefutabile ed evidente dell'unzione non fìsica, ma divina è che solo lui, da tutti gli uomini del suo tempo fino a quelli del nostro, m tutto il mondo, è detto il Cristo, ed è riconosciuto, testimoniato e ricordato universalmente con questo appellativo dai Greci e dai barbari, ed onorato ancora oggi come rè dai suoi seguaci nel mondo, che lo venerano più di un profeta e lo reputano vero e solo sommo sacerdote di Dio e, cosa ancor più importante, lo adorano come Dio, poiché è Verbo di Dio preesistente e generato prima di tutti Ì secoli, ed ha ricevuto dal Padre l'onore divino. 20. Ma - cosa più sorprendente di tutte –noi che siamo a lui consacrati, lo veneriamo non solo con deboli parole, ma anche con una tale disposizione dell’anima da anteporre la testimonianza a lui alla nostra stessa vita.

z Sai 110, 1 da Sai 110. 3-4 ab Gn 14, 18

15 La figura di Melchisedek compare anche in Eb 7, Iss, in cui viene ritenuto simbolo del Cristo sacerdote, e il sacerdozio di Cristo, eterno e.di diretta derivazione divina, viene contrapposto a quello giudaico, di natura urnana e temporale

(Teofilo)
00lunedì 21 settembre 2009 19:17
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Da: Soprannome MSN°Teofilo  (Messaggio originale)Inviato: 04/01/2004 16.17
La STORIA ECCLESIASTICA di EUSEBIO di Cesarea è uno dei monumenti letterari più interessanti ed importanti della storia del Cristianesimo, in quanto fu scritta alla fine del III sec. d.C. e riporta fatti, avvenimenti e brani letterari dei primi cristiani.

Seguono i brani tratti dal suo secondo libro.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 04/01/2004 16.18

1. la VITA DEGLI APOSTOLI DOPO L'ASCENSIONE DI CRISTO

1. Primo dunque ad essere chiamato fra gli apostoli al posto del traditore Giuda fu Mattia, anch'egli, come si è detto i uno dei discepoli del Signore. Con la preghiera e l'imposizione delle mani, gli apostoli, per il servizio alla comunità, nominarono diaconi sette uomini di rinomata affidabilità, fra cui Stefano tt. Quest'ultimo, come se proprio a questo fosse stato designato, morì lapidato da coloro che avevano ucciso il Signore, ottenendo così, per primo, la corona (ciò significa il suo nome) 2 dei martiri vittoriosi di Cristo. 2. Allora Giacomo, chiamato fratello del Signore - anch'egli infatti era ritenuto figlio di Giuseppe, e Giuseppe era il padre di Cristo, al quale era stata promessa in sposa la Vergine che, prima che essi andassero a vivere insieme, fu trovata gravida ad opera dello Spirito Santo, come insegnano i sacri testi evangelici b -, questo Giacomo dunque, che gli antichi chiamavano "Giusto" per i meriti che guadagnò con la sua virtù, fu il primo, come dicono, a sedere sul trono episcopale della Chiesa di Gerusalemme. 3. Clemente, nel sesto libro delle Ipotiposi3, cosi dice di lui: "Pietro, Giacomo e Giovanni, dopo l'ascensione del Salvatore, pur essendo da lui onorati più di ogni altro, non rivendicarono per sé nessuna onorificenza, ma elessero Giacomo "il Giusto" vescovo di Gerusalemme". 4. Lo stesso autore, nel settimo libro della medesima opera, parla ancora di lui dicendo: "A Giacomo "il Giusto", a Giovanni e a Pietro il Signore, dopo la Resurrezione, diede la scienza, di cui essi poi fecero parte anche agli altri apostoli, e questi ai Settanta, uno dei quali era anche Barnaba.

^6,3-6. ^tl, 18.

1 U.supra^ 12,3.

2 II nome Stefano in greco significa corona {stéphanos). ^ Per quest'opera


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 04/01/2004 16.19

5. Ci furono due uomini di nome Giacomo: uno di loro, il ^Giusto", fu buttato giù dal pinnacolo del Tempio e bastonato a morte da uno scardassatore ^ l'altro fu decapitato". Di Giacomo il "Giusto" fa menzione anche Paolo scrivendo: Non vidi nessun altro degli apostoli, se non Giacomo, il fratello del Signore c.

6. Intanto ebbe compimento anche la promessa del nostro Salvatore al rè degli Osroeni. Infatti Tommaso, per ispirazione divina, mandò Taddeo a Edessa a predicare ed annunciare l'insegnamento di Cristo, come abbiamo poco prima illustrato riportando la lettera là ritrovata 5. 7. Egli, giunto in quei luoghi, guarì Abgar con la parola di Cristo e lasciò sbigottiti tutti gli abitanti con l'eccezionaiità dei suoi miracoli; e, dopo averli ben disposti con le sue opere e averli spinti all'adorazione della potenza di Cristo, li fece discepoli dell'insegnamento della salvezza. Ancora fino ai nostri giorni tutti gli abitanti della città degli Edesseni si sono dati con tutto se stessi al nome di Cristo, offrendo così una prova considerevole della benevolenza del nostro Salvatore anche verso di loro.

8. Queste cose si desumano dagli antichi; ora invece ritorniamo alla Sacra Scrittura. Al tempo del martirio di Stefano gli stessi Giudei si fecero promotori della prima e più grande persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme; tutti i discepoli, ad eccezione soltanto dei Dodici, si dispersero per la Giudea e la Samaria. Alcuni, come dice la Sacra Scrittura d, giunsero fino in Fenicia, Cipro ed Antiochia, ma non osarono predicare ai pagani la dottrina della fede, ma ai soli Giudei. 9. In quel tempo anche Paolo portava rovina alla Chiesa; entrava infatti nelle case dei fedeli e ne trascinava fuori a forza uomini e donne, facendoli poi gettare in carcere.

'-Gal 1,19. ^t 11,19.

4 Operaio che lavora la lana pettinandola e lisciandola con lo scardasso. ^Cf.supra^, 13.

94

10 Anche Filippo, uno di quelli nominati diaconi insieme con Stefano, si trovava fra i dispersi-giunto in Samarla, ricolmo della potenza divina, fu il primo a predicare agli abitanti la parola di Dio. La grazia divina agiva in lui a tal punto da conquistare con le sue parole con molti altri anche Simon Mago 6 11 In quel tempo il famoso Simone aveva un tale potere su coloro che ingannava con le sue arti magiche da essere ritenuto la grande potenza di Dio. Allora, sorpreso anch'egli dai miracoli prodigiosi compiuti da Filippo con l'aiuto della potenza divina, si infiltrò tra i cristiani e finse di accettare la fede in Cristo, facendosi persino battezzare e 12 desta meraviglia che questo venga ancora oggi compiuto da coloro che appartengono alla immondissima setta da lui fondata, questi infatti, introducendosi nella Chiesa come peste e scabbia col metodo del loro fondatore, causano profonda corruzione in coloro nei quali riescono a iniettare il veleno incurabile e terribile nascosto in loro. Ormai molti di costoro sono stati scacciati, quando palesarono la loro malvagità, anche Simone ebbe il meritato castigo, quando Pietro ne svelò la vera natura {

13. Diffondendosi di giorno in giorno sempre più la dottrina del Salvatore, un disegno divino condusse dalla terra degli Etiopi un ministro della regina di quel luogo - infatti, sulla base di una tradizione patria, quel popolo è governato ancora oggi da una donna -, questo fu il primo fra i pagani che Filippo, in seguito ad una apparizione del Verbo divino, rese partecipe dei misteri della parola di Dio, facendolo così primo dei fedeli nel mondo g. La tradizione dice che, fatto ritorno in patria, si fece nunzio per primo della conoscenza del Dio dell'universo e della venuta vivifica fra gli uomini del nostro Salvatore, dando così compimento, con la sua opera, alla profezia che dice:

e Cf At 8, 9-13 t Cf At 8, 18 23 § Cf At 8, 26 39 6 Su di lui cf infra, 13

L'Etiopia fenderà per prima la sua mano a Dio h. 14. In quel tempo Paolo, vaso di elezione, veniva designato apostolo, non però da uomini e neppure per intermediazione di uomini, ma per la rivelazione di Gesù Cristo in persona e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti, poiché è stato reso degno di essere chiamato con una visione, accompagnata da una voce celeste.

2. IMPRESSIONE DI tiberio NELL'ASCOLTARE DA Pilato LA STORIA DI cristo

1. E quando il miracolo della Resurrezione del nostro Salvatore e la sua ascesa al cielo erano ormai noti ai più, Pilato, secondo un'antica usanza che imponeva ai governatori di comunicare all'imperatore ciò che di nuovo accadeva nei loro territori affinchè egli fosse al corrente di ogni cosa, riferì all'imperatore Tiberio i fatti riguardanti la resurrezione dai morti del nostro Salvatore Gesù, ormai nota a tutti gli abitanti dell'intera Palestina. 2. Informandolo degli altri suoi miracoli e della sua resurrezione dopo la morte, gli disse che dai più era ritenuto Dio. Si dice che Tiberio abbia sottoposto ciò che aveva appreso al giudizio del Senato, che rifiutò di dare però la propria approvazione, in apparenza perché non era stato richiesto prima il suo parere - vigeva infatti un'antica legge secondo la quale i Romani non dovevano riconoscere nessuno come Dio se non per deliberazione e decreto del Senato 7 -, ma in realtà perché l'insegnamento salvifico dell'annuncio divino non aveva bisogno del giudizio e dell'approvazione degli uomini. 3. Cosi dunque il Senato romano non ratificò ciò che era stato sottoposto alla sua approvazione riguardo al nostro Salvatore;


/ Questa disposizione è nota da Cicerone, Leggi, II, 18, 19, da Tito LÌ-^o, Annali, IX, 46 e da Tertulliano, Alle nazioni, I. 10.


ma Tiberio rimase saldo nella sua precedente opinione, e non mosse alcuna ostilità contro l'insegnamento di Cristo 8. 4. Tertulliano 9, conoscitore esperto del diritto romano, e del resto uomo famoso e fra i più illustri della Roma del suo tempo, parla di questi fatti nell’ Apologetico, da lui composto in lingua latina e da me poi tradotto in greco. Ecco le sue testuali parole: 5. "Per parlare dall'origine di siffatte leggi, era antico decreto che nessuno doveva essere consacrato dio dall'imperatore senza previo consenso del Senato. Cosi fece Marco Emilio riguardo ad una divinità di nome Alburno 10. E ciò ritorna a vantaggio della nostra tesi, che tra voi la divinità viene conferita da un decreto degli uomini. Se un dio quindi non piace ad un uomo, non viene ritenuto tale; cosi, secondo questo principio, conviene che l'uomo mostri il suo favore a Dio, e non viceversa. 6. Tiberio pertanto, sotto il quale il nome dei cristiani entrò nel mondo, non appena Pilato gli rese nota dalla Palestina, dove essa ha avuto angine, la nostra dottrina, ne diede notizia al Senato, palesan-jo la sua approvazione -

8 La notizia di questo resoconto a Pilato e dell'atteggiamento di Tiberio e del Senato non è attestata ne m Tacito ne m Svetomo ne m Flavio Giuseppe, ma solo m scrittori cristiani (Giustino, I Apologia, 35, e Tertulliano, Apologetico, 5, 2) Essa è pertanto da ritenere frutto di un'invenzione dei Cristiani per spiegare l'assenza di persecuzioni durante il regno di Tibeno

9 Oratore e apologeta cristiano nato intorno al 160 d. C a Cartagme. Si convertì ancora m giovane età al Cristianesimo, da cui poi si allontanò abbracciando prima il Montanismo e fondando poi una propria setta, ispirata ad un estremo rigore morale, i cui seguaci furono detti tertulliamsti Fu scrittore di ingegno abile e fecondo, come dimostrano le sue innumerevoli opere. Di esse Eusebio sembra conoscere solo ^Apologetico, menzionato anche a III 25, 4 , III, 20, 7, 33, 3. V, 5, 5, 5, 7 Si tratta di un'apologià della fede cristiana composta alla fine del 197, in cui l'autore da un lato confuta, con un'aggressività che non ha riguardi neppure per l'imperatore e i filosofi allora illu' stn, le accuse di adulterio, cannibalismo e incesto che i pagani muovevano al cristiani, dall'altro dimostra la superiorità della religione cristiana su quella pagana Non è questo il luogo per elencare tutte le altre opere dell'autore, del resto assai numerose Per esse cf B Altaner, Patrologia, Casale Monferrato 1977 (I ed 1968), pp 151 166

10 Marco Emilio Scauro, console nel 115 a C , tentò di introdurre a Ro' ma d culto di Alburno, una divinità dei Galli Camici, da lui sconfitti, violan do così la legge in questione, per la quale cf n 7


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 04/01/2004 16.20

Ma il Senato non diede la propria, perchè non era stata richiesta prima la sua opinione; ma l'imperatore restò saldo nella sua deliberazione, lanciando minacce di morte contro gli accusatori dei cristiani" 11 La divina Provvidenza aveva infatti infuso, secondo l'economia 12, una simile disposizione d'animo in quell'imperatore, affinchè la parola del Vangelo nascesse senza impedimento e si diffondesse in ogni angolo della terra.

3 COME IN POCO TEMPO, LA DOTTRINA DI CRISTO SI PROPAGO’ IN TUTTO IL MONDO

1 Così, con l'aiuto della potente forza celeste, la parola della salvezza, come un raggio di sole, portava la luce sul mondo intero. Subito, per usare le parole della Sacra Scrittura, per tutta la terra si propagò la voce del suoi divini evangelisti ed apostoli, e le loro parole giunsero fino ai confini del mondo ' 2 In ogni città e villaggio molte Chiese erano piene di fedeli, con le aie straripanti di grano, e coloro che, per tradizione atavica e per l'antico errore, avevano l'animo irretito nell'antica malattia della superstizione dell'idolatria, ne furono liberati come da tremendi patroni dalla potenza di Cristo grazie all'insegnamento e ai miracoli dei suoi discepoli. Sciolti così da terribili catene rinnegarono ogni politeismo come opera demoniaca, e credettero nell'esistenza di un solo Dio, creatore dell'universo, che adorarono con i precetti di una vera religione e con la pietà divina e saggia comunicata dall'insegnamento del nostro Salvatore alla vita degli uomini.

'Sal 19 5

11 Apologetico,^ 1 2

12 Sul concetto di economia cf supra, I, n ^

99

3. La grazia divina si diffondeva ormai anche presso altri popoli, e per primo Cornelio 1?, a Cesarea di Palestina, in seguito ad una visione divina e all'aiuto di Pietro abbracciò la fede in Cristo con tutta la sua famiglia '. Ad Antiochia poi il nome dei Cristiani si riversò per la prima volta con l'impetuosità di una ricca e vitale sorgente. La Chiesa di questa città, grazie alla presenza di moltissimi profeti di Gerusalemme, e con loro di Barnaba, Paolo e di molti altri fratelli, fioriva e si popolava sempre più di molti altri Greci, ai quali avevano predicato coloro che si erano dispersi durante la persecuzione contro Stefano k. 4. Poiché Agabo, uno di quei profeti che era con loro, vaticinò una imminente carestia, da qui Paolo e Barnaba furono inviati a Gerusalemme per portare aiuto ai fratelli 1.

4. come, DOPO LA MORTE DI tiberio, gaio NOMINA agrippa RE DEI giudei, coNDANNANDO erode aLL'ESILIO PERPETUO

1. Dopo la morte di Tiberio, che regnò per circa ventidue anni 14, prese il potere Gaio. Questi assegnò subito la corona di rè dei Giudei ad Agrippa, designandolo signore della tetrarchia di Filippo e Lisania, alle quali, dopo non molto tempo, aggiunse anche quella di Erode 16 - questi era il rè sotto cui avvenne la passione del nostro Salvatore -che egli condannò all'esilio perpetuo 17 insieme alla moglie Erodiade, punendolo così per i suoi moltissimi delitti.

i Cf. At 10, 1-33. k Cf. At 11, 19-26. ] Cf. At 11, 27-30.

13 Era il comandante della legione romana di stanza a Cesarea. ^ Dal 14 al 37 d.C.

15 Altro nome dell'imperatore Caligola.

16 Per la tetrarchia di Filippo ed Erode cr. supra, I, n. 41. Lisania era tè' trarca dell'Abilene.

17 Sull'esilio di Erode cr. supra, I, 11,3 e n. 74.

Anche di ciò è testimone Giuseppe 18.

2. Al tempo di Gaio ebbe grande fama Filone 19, uomo illustre non solo tra noi, ma anche fra quanti provengono dalla cultura pagana. Discendeva da un’antica famiglia ebrea, e non era inferiore a nessuno degli uomini illustri di Alessandria. Con quanta e quale fatica egli si dedicò allo studio delle discipline teologiche ebraiche è chiaro a tutti dalla sua opera. E non c'è bisogno di aggiungere altro sul prestigio da lui raggiunto nella filosofia e nelle arti liberali delle scienze profane, poiché è noto che egli si distinse alquanto fra tutti i suoi contemporanei nel coltivare e nel seguire la filosofia di Plafone e di Pitagora.

5. filone È INVIATO ALLA CORTE DI gaio COME AMBASCIATORE DEI giudei

1. Egli parla in cinque libri 20 di ciò che accadde ai Giudei sotto Gaio e della follia di quest'ultimo, che si autonominò dio e fece abusi di potere di ogni genere, delle miserie dei Giudei sotto questo imperatore, dell'ambasceria che fece quando fu Ìnviato a Roma per difendere la causa dei suoi connazionali d’ Alessandria, e di come, presentatesi al cospetto di Gaio per difendere le patrie leggi, non ebbe che risa e beffe, e per poco non mise a rischio anche la propria vita.


18 Cf. Antichità giudaiche. XVIII, 224, 237, 252, 255; Guerra giudaica, II, 180-183.

19 Dotto teologo giudeo, nato ad Alessandria fra il 15 e il 10 a.C. Nel 40 d.C. fu inviato dai Giudei di questa città a Roma come ambasciatore a difesa delle tradizioni patrie violate da Caligola, che cercò di introdurre proprie ^figi nelle sinagoghe. Fu l'iniziatore del metodo allegorico nella interpreta-Zlone delle Sacre Scritture, di cui fu esegeta indefesso (cf. a questo proposi-^ il catalogo delle opere riportato da Eusebio al cap. 18). Centrale nel suo pensiero teologico è la concezione del Logos, considerato platonicamente la sede delle Idee, ossia dei modelli originari a cui Dio avrebbe guardato per ^eare il mondo.

20 Riferimento all'opera Ambasceria a Gaio, che riporta gli awenimenti che videro protagonista Filone in qualità di ambasciatore dei Giudei.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 04/01/2004 16.21

2. Giuseppe fa menzione di questi episodi nel diciottesimo libro delle Antichità, scrivendo testualmente così: "E, scoppiata una rivolta ad Alessandria tra i Giudei che ivi abitavano e i Greci 21, ciascuna fazione scelse tré ambasciatori da mandare a Gaio. 3. Di quelli degli Alessandrini uno era Apione 22, che riversò molte calunnie sui Giudei, accusandoli, fra l'altro, di non prestare i dovuti onori a Cesare: mentre infatti tutti i sudditi di Roma dedicavano altari e templi a Gaio e, fra le altre cose, lo accettavano tra gli dei, soltanto questi, diceva, ritenevano folle onorarlo con statue e prestare giuramento nel suo nome. 4. Filone, capo della delegazione giudaica, uomo in ogni cosa illustre, fratello dell'abbarca 23 Alessandro, e non digiuno di filosofìa, era in grado di difendere coloro che erano accusati con queste numerose e gravi ingiurie che Apione rivolgeva contro di loro, con le quali, come era verosimile, sperava di suscitare la collera di Gaio. 5. Ma ciò gli fu impedito dall'imperatore, che gli ordinò di togliersi dai piedi, minacciando che nella sua ira avrebbe fatto senza dubbio qualcosa di terribile contro lui e i suoi compagni. Filone uscì coperto di contumelia, ed esortò i Giudei che erano con lui a farsi coraggio, perché Gaio, infierendo contro di loro, si era ormai di fatto reso nemico a Dio"24'

21 Questa rivolta scoppiò in seguito al tentativo di Caligola di introdurre proprie effìgi nei luoghi di culto ebraici. I Greci di Alessandria si mostrarono favorevoli all'imperatore, al quale chiesero di privare i Giudei della cittadinanza alessandrina. Poiché gli scontri divennero frequenti, entrambe le fazioni decisero di rimettere la questione a Caligola, alla cui corte inviarono ambasciatori.

22 Si tratta di quell’Apione contro cui Giuseppe Flavio scrisse la famosa orazione Contro Apione, per la quale cf. infra. III, n. 44.

23 Funzionario romano con mansioni prevalentemente fiscali.

24 Antichità giudaiche, XVIII. 257-260.

6. Queste le parole di Giuseppe. Lo stesso Filone, nell'opera da lui scritta, intitolata Ambasceria, racconta con precisione gli avvenimenti; tralasciandone la maggior parte, racconterò soltanto quelli con i quali ai lettori possa essere chiaramente dimostrato che le sciagure di allora e quelle che di lì a poco si sarebbero abbattute sui Giudei ebbero origine dalla loro efferatezza contro Cristo. 7. Filone narra 25 che sotto Tiberio, nella città di Roma, Seiano26, uomo allora potentissimo alla corte imperiale, fu il primo a rivolgere tutti i suoi sforzi all'annientamento completo di tutto il popolo giudaico, e che in Giudea Pilato, al cui tempo ebbe luogo la passione del Salvatore, portò fra loro grandissimo scompiglio, osando commettere nel Tempio, che in quel tempo esisteva ancora a Gerusalemme, atti vietati dalla Legge giudaica 27.

6. I MALI CHE SI RIVERSARONO SUI giudei IN SEGUITO ALL'UCCISIONE DI cristo

1. Dopo la morte di Tiberio, prese il potere Gaio. Egli inflisse a molti tante sofferenze, ma soprattutto inveì contro l'intero popolo giudaico, come è possibile apprendere in breve dalle seguenti parole di Filone, che dice testualmente: 2. "La stranezza del comportamento di Gaio coinvolse tutti i popoli, ma in particolare quello dei Giudei, che lo odiava per avere introdotto nelle sinagoghe delle altre città, a partire da quella di Alessandria, immagini e statue che lo raffiguravano (infatti lasciare che altri le dedicassero era come se le dedicasse lui stesso con la propria autorità), e per avere sconsacrato il Tempio che sorgeva sull'acropoli, trasformandolo in uno proprio dedicato al nuovo Zeus Epifane Gaio. Esso era rimasto fino ad allora inviolato ed aveva goduto di completo diritto di asilo" 2^

25 Ambasceria a Gaio, 24-38.

26 Seiano era prefetto del pretorio sotto Tiberio. Fu condannato alla pena capitale nel 31 d.C. con l'accusa di avere ordito una congiura contro l'inperatore.

27 Riferimento all'introduzione di statue che raffiguravano l'imperatore. di cui l'autore parla nel capitolo successivo.

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3. Lo stesso autore racconta in un'altra opera, intitolata Sulle virtù, altri infiniti mali (che è impossibile qui compendiare), che si abbatterono sui Giudei di Alessandria al tempo del già citato imperatore. Con lui concorda anche Giuseppe, che dice che le disgrazie che si riversarono sull'intero popolo giudaico ebbero inizio al tempo di Pilato e furono la conseguenza delle pene che inflisse al nostro Salvatore. 4. Ascolta i fatti che egli racconta nel secondo libro della Guerra giudaica, dicendo testualmente così: "Pilato, nominato da Tiberio procuratore 29 della Giudea, introdusse di notte a Gerusalemme, all'insaputa dei Giudei, le statue di Cesare, chiamate "insegne". Quando, il giorno seguente, essi si accorsero dell'accaduto, organizzarono una grandissima rivoltai rimasero sbigottiti infatti ad una simile vista, perché erano state violate le loro leggi. Esse proibivano che si ponessero immagini all'interno della città" 30.

5. Paragonando la narrazione di questi avvenimenti con quella che ne fanno i Vangeli, ci si accorgerà che dopo non molto tempo si ritorse a danno degli stessi Giudei l'approvazione da loro manifestata allo stesso Pilato, davanti al quale essi gridarono di non avere altro rè che Cesare. 6. Lo stesso storico narra inoltre che essi incorsero in un'altra disgrazia. Ecco le sue testuali parole: "Dopo ciò [Pilato] suscitò un'altra rivolta, utilizzando il tesoro sacro, detto "corban" 31, per costruire un acquedotto lungo trecento stadi -

103

Libro II, 6-7

. 7. Ciò causò il malcontento del popolo, che riempì di insulti Pilato al suo ingresso a Gerusalemme. Ma egli, che aveva già previsto la loro rivolta, mescolò alla folla soldati armati camuffati con abiti civili, a cui ordinò, quando egli avrebbe dato il segnale dalla tribuna, di non trafìggere i manifestanti con le spade, ma di colpirli con bastoni. Molti Giudei morirono, alcuni per le percosse, altri travolti nella fuga dai compagni; la folla, impietrita dai mali che colpirono coloro che furono catturati, tacque" 32.

8. Lo stesso autore attesta che, oltre a queste, molte altre sommosse scoppiarono a Gerusalemme, dimostrando come, da quel momento, rivolte, guerre e macchinazioni vicendevoli di mali non abbandonarono mai più la città e l'intera Giudea; esse continuarono fino all'assedio che ebbe luogo sotto Vespasiano 33, ultima di tutte le loro sciagure. Questo fu il castigo inflitto ai Giudei dalla giustizia divina per la loro efferatezza contro Cristo.

7. suicidio Di Pilato

1. Non è bene ignorare che al tempo del Salvatore, come si dice, lo stesso Pilato, sotto Gaio, il cui tempo stiamo illustrando, fu colto da tali mali da suicidarsi, divenendo così punitore di se stesso; la giustizia divina infatti lo raggiunse dopo poco tempo, come era verosimile. Raccontano ciò gli storici greci che, scrivendo la serie delle Olimpiadi, hanno fatto una esposizione ordinata di ciò che accadde in ciascuna di esse.

28 Ambasceria a Gaio, 43.

29 Traduco con questo termine i! greco epitropos, per il quale cf. supra.

I,n.39.

30 Guerra giudaica. II, 169-170.

31 Era il tesoro sacro custodito nel Tempio. Era costituito dalle offerti-raccolte dai Giudei per l'acquisto di animali destinati al sacrifìcio.

32 Guerra giudaica, II, 175-177. ^Nelóód.Q


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 04/01/2004 16.23

8. la CARESTIA SOTTO CLAUDIO

1. A Gaio, che non detenne il potere neppure per quattro anni interi 34, succedette l'imperatore Claudio; sotto di lui una tremenda carestia flagellò il mondo intero (questo raccontano nelle loro opere storiche anche gli scrittori lontani dalla nostra fede 35). Ebbe così compimento la profezia che, negli Atti degli Apostoli, il profeta Agabo pronuncia sulla imminente diffusione di una carestia su tutta la terra: 2. in quest'opera Luca, infatti, facendo cenno alla carestia che scoppiò al tempo di Claudio, racconta che, per mezzo di Paolo e Barnaba, i fratelli di Antiochia mandarono aiuti a quelli della Giudea, ognuno in base alla propria possibilità m. Poi continua dicendo:

9. martirio DELL'APOSTOLO GIACOMO

1. In quel tempo - cioè sotto Claudio - // rè Erode 36 cominciò ad adoperarsi per infliggere mali ad alcuni mèmbri della Chiesa, e fece passare a fil di spada Giacomo, fratello di Giovanni ". 2. Su Giacomo Clemente, nel settimo libro delle Ipotiposi, riferisce una storia degna di ricordo, cosi come l'aveva appresa dagli scrittori a lui precedenti. Egli racconta che colui che aveva trascinato Giacomo in tribunale, rimasto colpito nel vederlo testimoniare Cristo, confessò di essere anch'egli cristiano. 3. "Entrambi allora", dice, "furono portati via, e lungo la strada colui che aveva accusato Giacomo lo supplicò di perdonarlo.

"^At 11,28-30. "At 12, 1-2.

34 Regnò infatti dal 37 d.C. ai primi mesi del 41 d.C.

35 Cf. Suetonio, Vita di Claudio, 18; Cassio Dione, Storia romana, LX"

11; Tacito, Annali, XII, 43.

36 Si tratta di Erode Agrippa, che fu designato rè della Giudea da Claudio per averne appoggiato l'ascesa al trono.

Ed egli, dopo avere un po' riflettuto, gli disse: "La pace sia con tè", e lo baciò. Così furono decapitati insieme".

4. Erode allora, come dice la Sacra Scrittura °, vedendo che l'uccisione di Giacomo gli aveva fatto ottenere l'approvazione dei Giudei, si volse anche contro Pietro, facendolo mettere in carcere; e l'avrebbe anche fatto uccidere se, per intervento divino, un angelo, apparso di notte all'apostolo, non lo avesse liberato miracolosamente dalle catene e restituito al servizio della predicazione. Questo era infatti il disegno di Dio su Pietro.

10. come agrippa, DETTO ANCHE ERODE, FU PUNITO DALLA GIUSTIZIA DIVINA PER AVERE PERSEGUITATO GEI APOSTOLI

1. Di lì a poco il rè fu punito per la violenza mostrata contro gli apostoli; la vendetta del ministro della giustizia divina lo colpì subito dopo il complotto ordito contro di loro. Egli, recatosi a Cesarea, come dicono gli Atti p, in un giorno di festa solenne, indossata una magnifica veste regale, prese a parlare al popolo dall'alto di una tribuna. Ma mentre tutti approvavano il suo discorso come fosse pronunciato dalla bocca di Dio e non di un uomo, un angelo del Signore, come narra la Scrittura, lo colpì all'improvviso; ed egli perì consumato dai vermi. 2. E mirabile che il racconto di questo miracolo, che Giuseppe espone, chiaramente secondo verità, nel diciannovesimo libro delle Antichità, concordi esattamente con quello della Sacra Scrittura. Ecco le parole con cui egli racconta questo prodigio: 3. "Il viaggio di Erode a Cesarea, chiamata prima "torre di Stratone", coincide con il terzo anno del suo regno sull'intera Giudea 37.

"At 12,3-17. PAt 12, 19,21-23. ^' L'anno indicato è il 44 d.C.

106

Qui indisse feste in onore di Cesare, dal momento che aveva saputo della loro istituzione per implorare dagli dei la salute dell'imperatore, e vi invitò un gran numero di notabili della provincia. 4. Nel secondo giorno dei festeggiamenti, sul far del giorno, si presentò nel teatro con una veste, stupenda a vedersi, fatta tutta d'argento. Il quale, illuminato dai primi raggi del sole, meravigliosamente risplendette, destando un non so qual timore in coloro che lo fissavano. 5. Subito gli adulatori, chi da un lato chi dall'altro, lo invocavano come un dio con alte grida, che segnarono l'inizio della sua rovina. Dicevano: "Perdonaci, se fino ad oggi ti abbiamo riverito come uomo; da ora in poi invece proclameremo che tu sei di natura superiore a quella di un mortale". 6. Il rè non biasimò ne respinse l'empia adulazione di costoro, causando così la propria rovina. Sollevato infatti poco dopo lo sguardo, vide un angelo sulla sua testa 38. Subito, intuendo che egli, un tempo causa di beni, era in quel momento^ invece causa di mali, ebbe una fìtta al cuore, 7. a cui seguì subito dopo un dolore al ventre, insopportabile già fin dal primo sorgere. E allora, voltò lo sguardo verso gli amici, disse: "Io, che sono per voi un dio, ho ricevuto l'ordine di por fine alla mia vita: il destino infatti ha reso subito vane le vostre false grida di lode. Io, che da voi sono stato acclamato immortale, sono ormai colpito dalla morte. Bisogna .che accetti il destino che Dio mi ha riservato, perché non sono vissuto miseramente, ma in una gioia che diveniva, di giorno in giorno, sempre più grande". Mentre parlava, era tormentato dall'intensità del dolore. 8. Subito fu condotto alla reggia; la notizia della sua morte ormai imminente si diffuse ovunque in poco tempo. E il popolo subito, comprese donne e bambini, indossato il cilicio, come imponeva la legge patria, implorava da Dio la guarigione del rè;-

in tutta la città risuonavano grida di lamenti e pianto. Il rè, che giaceva in una stanza del piano superiore del palazzo, guardando verso il basso, scoppiò in lacrime nel vederli genuflessi. 9. Dopo essere stato tormentato per cinque giorni interi dai dolori al ventre, morì all'età di cinquantaquattro anni, dopo sette anni di regno 39, di cui quattro sotto Gaio Cesare - di questi tré nella triarchia di Filippo, e uno in quella di Erode - e tré da signore assoluto della Giudea, quale era stato designato dall'imperatore Claudio" 40.

10. Mi meraviglia il fatto che la narrazione che Giuseppe fa di questi avvenimenti e di altri ancora è altrettanto veritiera come quella della Sacra Scrittura. Ad alcuni che ne rilevano la discordanza sul nome del rè, faccio osservare che il tempo e l'avvenimento dimostrano che si tratta della medesima persona, sia che il nome sia stato cambiato per un errore di trascrizione, sia che egli avesse, come molti altri, due nomi.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 06/01/2004 18.52

11. il MAGO teuda

1. Luca, negli Atti (At 5, 34-36.), ricorda anche Gamaliele 41 che, durante il processo intentato agli apostoli, raccontò che al tempo oggetto della nostra indagine Teuda si ribellò affermando di essere qualcuno; ma fu ucciso e tutti coloro che lo avevano seguito furono dispersi. Ma lasciamo la parola a Giuseppe che, nell'opera sopra citata, dice di lui testualmente così:

38 In questo punto la citazione di Giuseppe Flavio risulta alterata: nello storico ebraico si legge infatti che non un angelo, ma un gufo apparve ad Erode. L'apparizione dell'angelo è invece attestata in At 12, 23. Eusebio, che sicuramente cita il passo in questione a memoria, fa confusione evidentemente fra le due fonti.

39 Erode Agrippa regnò infatti dal 42 al 48 d.C.

40 Antichità giudaiche, XIX, 343-351.

41 Era un fariseo della scuola di Hillel. Fu maestro di Paolo, come attestano At 22, 3.


2 "Quando Fado era procuratore della Giudea 42, un mago di nome Teuda persuase gran parte del popolo a prendere le proprie ricchezze e a seguirlo fin sulle rive del Giordano, si vantava infatti di essere profeta, e diceva che, dividendo con un solo cenno le acque del fiume, avrebbe dato loro facile passaggio. Ingannò molti con simili menzogne 3 Fado non permise che essi traessero vantaggio dalla sua pazzia, e gli inviò contro uno squadrone di cavalleria che, piombato su di loro con improvvisa e inaspettata carica, uccise molti, e molti prese vivi, fra questi era anche lo stesso Teuda, cui tagliarono la testa, che portò poi a Gerusalemme" 43 Oltre queste cose, ricorda la carestia che scoppiò sotto Claudio, dicendo:

1. "Inoltre una grande carestia si diffuse in Giudea 44, durante la quale la regina Elena comprò a caro prezzo grano dall'Egitto, che distribuì a coloro che ne avevano bisogno" ^

2 Come si è visto 46, ciò trova riscontro negli Atti degli Apostoli, in cui si narra che ognuno dei discepoli di Antiochia stabilì di mandare, ciascuno in base alla propria disponibilità, aiuti agli abitanti della Giudea. E tradussero in pratica questo proposito, mandando soccorsi ai presbiteri per mezzo di Paolo e Barnaba
(At11,29 30) 3 E ancora oggi di Elena, di cui lo storico fa menzione, esistono magnifiche stele nei dintorni dell'attuale Elia 47, e si diceva che essa era regina del popolo dell'Adiabene 4842 Morto Erode Agnppa (44 d C ), la Giudea fu affidata al governo del procuratore C Cuspio Fado, che rimase in carica fino al 46 d C

43 Antichità giudaiche, XX, 97 98

44 Ciò avvenne nel 46 d C anno in cui divenne governatore della Giùdea Tibeno Alessandro, successore di Fado

45 Antichità giudaiche, XX 101

46 Cf supra, 8, 2

47 L'imperatore Elio Adriano (117 138 d C ) conferì questo nome alla nuo\a citta di Gerusalemme, da lui poco prima distrutta per punire la nvoi ta di Bar Kocheba, scoppiata nel 132 (cf anche infra, IV, 6, 4)

48 Regione settentrionale della Mesopotamia

13 Simon mago

1 Quando la fede nel nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo si era ormai diffusa presso tutti gli uomini, il nemico del la salvezza umana macchinava per conquistare a sé, prima di qualunque altra, la città degli imperatori 49, inviandovi d già menzionato Simone Questi, incantando con le sue arti magiche molti degli abitanti di Roma, li trascinava nell'errore 2 Questo dice Giustino 50, che visse non molto tempo dopo gli apostoli, nella sua Apologià, di lui riferirò ciò che lo riguarda al momen to opportuno 51 Egli, nella I Apologia, rivolta ad Antonino ^2 in difesa della nostra fede, così dice 3 "Dopo l'ascensione del Signore al cielo, i demoni spinsero alcuni uomini a proclamarsi dei, costoro non solo non li avete perseguitati, ma li avete persino resi degni di onori, così avete fatto con Simon Mago di Samaria, del villaggio detto Ghitton, costui, che al tempo dell'imperatore Claudio, nella città regale di Roma, esercitava la magia con l'abilità dei demoni potenti, lo avete considerato Dio e onorato come tale dedicandogli, tra i due ponti del fiume Tevere, una statua con incisa questa iscrizione in lingua latina: SI-MONI DEO SANCTO, che vuoi dire "A Simone, Dio, Santo"

49 Cioè Roma

50 Dotto teologo cristiano nato a Flavia Neapolis m Palestina nel 100 d C Dopo aver abbracciato la filosofia greca, m particolare quella platonica, si concerti al Cristianesimo, come egli accenna m li Apologià, 12, 1 2 e riferisce più diffusamente nel Dialogo con Tnfone, 2 8 (cf anche infra, IV, 8, 5) De nunciato poi dal filosofo cinico Crescente, mori martire nel 165 d C Sulle opere cf infra, IV 18 5iCf infra, IV, 16 18

52 II riferimento e ad Antonino Pio imperatore dal 138 al 161 d C Lo pera m venta non e indirizzata solo a questo imperatore ma anche a Marco Aurelio Lucio Vero al Senato e al popolo di Roma

4. E quasi tutti i Samaritani, ma pochi altri in altre nazioni, lo hanno riconosciuto e adorato come primo dìo. Chiamano sua prima Idea, una certa Elena, che in quel tempo lo seguiva, una volta prostituta" 54 a Tiro di Fenicia.

5. Questo dice Giustino. Con lui concorda anche Ireneo 55, che nel primo libro dell'opera Contro le eresie, scrive intorno all'uomo e alla sua empia e impura dottrina 56. Sarebbe superfluo riferire adesso le sue parole, dato che coloro che vogliono possono leggere nella citata opera le origini e le biografie degli eresiarchi che si sono succeduti dopo di lui, le dottrine dei loro falsi dogmi e i principi a tutti loro cari, temi che Ireneo ha trattato dettagliatamente. 6. Abbiamo imparato da lui che capo assoluto di ogni eresia è Simone; da costui fino ai nostri giorni coloro che abbracciano la sua dottrina fingono di seguire la filosofia dei cristiani, nota universalmente per saggezza e purezza di vita; ma non per questo non perseverano nella loro superstizione idolatrica, cui in apparenza hanno rinunciato, inginocchiandosi di fronte ai libri e alle immagini dello stesso Simone e della già nominata Elena, sua compagna, che ancora continuano ad adorare con incensi, sacrifici e libagioni -

53 La notizia è storicamente errata. Giustino confonde inratti Simone con Semone, un'antica divinità umbra e sabina del patto e della fedeltà, il cui culto è attestato dall'iscrizione, qui citata solo in parte da Eusebio, SEMONI SANCTO DEO FIDIO SACRUM, incisa su un'ara trovata nel 1574 nell'isola Tiberina, da una statua che raffigura il dio in modo simile ad Apollo, e da un'iscrizione trovata sul Quirinale. Su questo passo di Giustino cf. anche Tertulliano, L’anima, 34.

54 I Apologià, 26, 1-3.

55 Originario dell'Asia Minore, Ireneo è il più importante teologo della seconda metà del II secolo. Su di lui cf. anche infra, V, 20; 26 e l'ampia trattazione in M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 86-92.

56 Contro le eresie. I, 23, 1-4.

.

7. I loro culti più segreti che, come si dice, colpiscono e, per usare un loro termine, "stordiscono" l'anima di coloro che per la prima volta li ascoltano, sono talmente pieni di "stordimento", di delirio e di pazzia da non potersi non solo riferire in quest'opera, ma neppure proferire dalle labbra di uomini probi per l'eccesso di turpitudine ed oscenità. 8. La loro esecranda dottrina supera di gran lunga tutto ciò che di più lercio di ogni turpitudine si potrebbe pensare: coloro che la professano infatti abusano di donne meschine, ricolme di ogni genere di vizi.

14. la PREDICAZIONE DELL'APOSTOLO PIETRO A ROMA

  1. La nemica potenza, ostile alla salvezza degli uomini, era in Simone, male esiziale, che essa rese padre e artefice di sì grandi mali in quel tempo e grande nemico degli incliti e divini apostoli del nostro Salvatore. 2. Tuttavia la grazia divina e celeste venne in aiuto dal cielo ai suoi servi, spegnendo velocemente la fiamma del Demonio, sempre desta a causa della venuta e della presenza di tali uomini malvagi, eliminando e abbattendo ogni altezza orgogliosa che si opponeva alla conoscenza di Dio (2 Cor l0,5)<DIR>

    3. Nessuna insidia di Simone o di qualcuno dei suoi seguaci si affermò perciò nel tempo apostolico; la luce della verità trionfava su tutto, e dominava su ogni cosa lo stesso Verbo divino, che dal cielo risplendeva sugli uomini, affermandosi sulla terra e dimorando presso i propri apostoli. 4. Ma subito il mago già menzionato, come se gli occhi della sua mente fossero stati colpiti da un bagliore divino e prodigioso, non appena le sue macchinazioni in Giudea furono portate alla luce dall'apostolo Pietro ( At 8, 18-23)., intraprese un lunghissimo viaggio oltre mare, fuggendo dall'Oriente in Occidente, dove, credeva, gli sarebbe stato possibile vivere secondo i suoi desideri. 5. Giunto nella città di Roma, sorretto nei suoi grandi progetti dalla potenza che lo proteggeva, in poco tempo fece tali prodigi da essere onorato come un dio dagli abitanti di quella città con la dedica di una statua 57. Ma il successo non ebbe lunga durata. 6. Sotto il regno di Claudio la Provvidenza universale, sommo bene e vi-cinissima agli uomini, condusse a Roma, contro un sì grande corruttore della vita, Pietro, forte e grande fra gli apostoli, loro guida per la sua virtù. Questi, combattendo, come un nobile condottiero di Dio, con armi divine, portava dall'Oriente in Occidente la mercanzia pregiata della luce spirituale, diffondendo l'annuncio del regno dei cieli, luce e parola salvatrice di anime.

</DIR>

15 IL VANGELO SECONDO MARCO

1. Così dunque, diffondendo fra gli abitanti di Roma la parola divina, Pietro pose subito fine alla potenza di Simone. La luce della santilà risplendette a tal punto nelle menti di coloro che ascoltavano Pietro che non era per loro più sufficiente udirlo una sola volta. Non bastava più neppure l'insegnamento orale della parola divina: scongiurarono infatti Marco (di cui ci è pervenuto il Vangelo), seguace di Pietro, con preghiere di ogni tipo di lasciare un resoconto scritto dell'insegnamento che egli aveva dato loro oralmente; e non desistettero dalla loro insistenza finché non vennero esauditi. Furono così causa della redazione del Vangelo detto "secondo Marco". 2. L'apostolo Pietro, come si dice, saputo il fatto per rivelazione dello Spirito, gioì del loro zelo e acconsentì alla lettura del testo nelle

^Cf supra, 13en 53

Chiese. Clemente riferisce questa notizia nel sesto libro delle Ipotiposi, e con lui concorda anche Papia, vescovo di lerapo-li ^8. Pietro fa menzione di Marco nella sua prima lettera che, a quanto si dice, compose proprio a Roma, come egli stesso attesta, chiamando la città metaforicamente Babilonia quando afferma. Vi saluta la Chiesa di Babilonia e Marco, mio figlio u.

16. MARCO PER PRIMO PREDICO AGLI egiziani LA CONOSCENZA DI CRISTO

1. Si dice che Marco, mandato in Egitto, fu il primo a diffondervi il Vangelo che egli compose e ad istituire Chiese nella stessa Alessandria. 2. Grazie alla saggezza e allo zelo del suo modo di vita, il numero dei fedeli, uomini e donne, aumentò a tal punto che Filone reputò degno riferire per iscritto delle loro controversie, riunioni, banchetti e della loro condotta di vita ^.

(Teofilo)
00lunedì 21 settembre 2009 19:18
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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 06/01/2004 18.54

17.RACCONTO DI FILONE SUGLI ASCETI D'EGITTO

1. Si dice che quest'ultimo, al tempo di Claudio, sia andato a Roma per parlare con Pietro, che lì allora predicava. Ciò è verosimile, poiché proprio l'opera già citata, da lui composta negli anni successivi, riferisce chiaramente le regole della Chiesa rispettate ancora fino ai nostri giorni.


115

2. Dalla sua descrizione precisa e minuziosa della vita dei nostri asceti risulta chiaro che egli non solo li conosceva personalmente, ma anche che li celebrava, li ammirava e li riveriva come apostoli del suo tempo. Essi, come è verosimile, erano di origine ebraica, e per questo osservavano ancora gran parte delle antiche usanze giudaiche. 3. Fin dal principio dell'opera intitolata La vita contemplativa o i supplicanti. Filone dice fermamente di non avere intenzione di introdurre false notizie o racconti derivanti dalla sua personale fantasia nei fatti che stava per raccontare 60. Afferma poi che gli uomini erano detti terapeuti, e le donne che stavano con loro terapeute 61, spiegando tale denominazione o col fatto che essi guarivano e curavano le anime di quanti a loro si rivolgevano, liberandole come medici dai mali causati dalla malvagità 62, o con la loro devozione pura e genuina a Dio .4. E non è necessario discutere a lungo se egli per primo abbia usato questo nome in riferimento alla condotta di vita di quegli uomini, o se già altri prima di lui lo abbiano adoperato, quando ancora la dottrina cristiana non era diffusa nel mondo intero. 5. Per prima cosa egli è testimone della loro rinuncia alle ricchezze, dicendo che non appena cominciavano a vivere secondo saggezza, cedevano tutti i loro beni ai parenti 64; abbandonata così ogni preoccupazione terrena, lasciavano le città per andare a vivere nei campi in solitudine e nei giardini: sapevano bene infatti che ogni rapporto con uomini diversi da loro sarebbe stato inutile e dannoso 65, poiché essi, agendo in quel modo, come è verosimile, cercavano di imitare la vita dei Profeti con fede molto sincera e fervente -

u 1 Pt 5, 13

58 Di Papia, vissuto tra il I e il II secolo d C a lerapoli m Frigia, di cui fu anche vescovo, sappiamo solo che udì l'insegnamento di Giovanni e fu amico di Policarpo (cr Ireneo, Contro le eresie, V, 33, 4) Per le opere cf in fra, IH, 39

59 A questi argomenti l'autore dedico l'opera dal titolo La vita contemplativa, citata da Eusebio a 17, 3

60 Filone,?. 471,6-7

61 I Terapeutidi d'Egitto, che Filone descrive come cristiani, erano in vece una setta giudaica dedita ad una vita monastica, simile, forse, a quella nota dai manoscritti di Qumran

62 Terapeuti deriva infatti dal verbo greco therapeùo, che significa "guarire" ^Filone,? 471, 15; p 472,3

64 Filone,? 473, 1S-22

65 Filone, p. 474, 17-34

^At2,45 ^At 4, 34-35.

66 U termine designava ogni singola area giunsdizionale m cui era divi-

<DIR>

so l'Egitto , , ,, , ^ Lago sito a sud di Alessandria

</DIR>

68 Filone,? 474,35-44.

69 Filone,? 475, 14-22.


6 Anche gli Atti degli Apostoli, opera di indiscussa autenticità, attestano che tutti i discepoli degli apostoli, venduti i loro beni e le loro sostanze, ne dividevano il ricavato a tutti in base alla necessità di ciascuno, perché nessuno tra loro rimanesse nel bisogno . Tutti quelli che possedevano terre o case, come recita il testo, le vendevano e ne portavano il ricavato ai piedi degli apostoli, perché fosse dato a ciascuno secondo il suo bisogno ^ 7 Dopo aver riferito usanze simili a quelle ora esposte, Filone continua dicendo "Questo genere di uomini si trova in ogni parte del mondo bisognava infatti che sia la Grecia sia i barbari partecipassero del bene perfetto, ma in Egitto, in ognuno dei cosiddetti "nomi" 66, sono più numerosi, e in special modo nella regione intorno ad Alessandna 8 Da ogni luogo i migliori, come ad una patria di terapeuti, inviano loro una colonia in un luogo prefissato, che si trova su una collinetta situata al di là del lago Mareotide 67, molto adatto per la sua sicurezza e la salubrità dell'aria" 68 E poi, dopo aver riferito come erano costruite le loro dimore, riporta queste notizie sulle Chiese sorte in quella regione 9 "In ogni casa vi è una stanza sacra, detta santuario e monastero, in cui si ritirano per celebrare i misteri della santa vita, non portando nulla con sé, ne bevanda ne cibo ne niente di ciò che serve a soddisfare i bisogni del corpo, ma canti, profezie, inni e altre cose con cui ampliare e perfezionare la scienza e la devozione" 9 Poi aggiunge 10 "Trascorrono tutto il tempo, da mattina a sera, ad esercitare continuamente il loro spirito alla venerazione. Studiando le Sacre Scritture, interpretano la filosofìa degli avi mediante l'allegoria, poiché ritengono l'interpretazione letterale simbolo di una realtà nascosta, conoscibile con l'interpretazione allegorica. -

v At 2 45 \\ At 4, 34 35

66 II termine designava ogni singola area giunsdizionale in cui era divi so 1 Egitto 6/ Lago sito a sud di Alessandna 68 Filone, p 474, 35 44 ^Filone,? 475, 1422


11. Hanno anche opere di antichi scrittori, fondatori della loro setta, che hanno lasciato molte tracce della loro sapienza in forma allegorica; di queste fanno uso come di modelli, per imitare il loro modo di vivere" 70. 12. Queste cose è parso opportuno dire a questo autore, che li ha sentiti di persona spiegare le Sacre Scritture; ed è molto verosimile che quelle opere degli antichi, che lo scrittore dice essere da loro possedute, siano i Vangeli, gli scritti degli apostoli, e forse alcune spiegazioni degli antichi profeti, come quelle presenti nella Lettera agli Ebrei e in molte altre lettere di Paolo. 13. Così dice poi sul fatto che essi scrivevano nuovi Salmi: "Non si danno solo alla meditazione, ma scrivono anche canti e inni a Dio in ogni genere di metri e melodie, facendo ricorso necessariamente a ritmi gravi" 71. 14. In quella stessa opera Filone riferisce molte altre notizie su di loro; ma a me è sembrato necessario dovere scegliere quelle da cui potessero risaltare le peculiarità della loro vita ecclesiastica. 15. Ma se a qualcuno sembra che le cose dette non siano proprie di una vita vissuta secondo il Vangelo, ma si possano dire anche di altri, oltre che delle persone in questione, si persuada del contrario alla seguente testimonianza di Filone, in cui ognuno, se sarà obiettivo, potrà trovare un'inconfutabile prova a questo riguardo. Dice Filone: 16. "Pongono come fondamento dell'anima la temperanza, da cui fanno derivare le altre virtù. A nessuno di loro è consentito mangiare o bere prima del calar del sole, poiché reputano l'attività mentale degna di essere esercitata alla luce del giorno, e i bisogni del corpo di essere soddisfatti di notte; per cui riservano alla contemplazione il giorno, alle esigenze materiali una piccola parte della notte. -

70 Filone, pp 475. 34 - 476, 2

71 Filone,?. 476, 2-5.

17. Alcuni poi, nei quali è maggiore il desiderio della conoscenza, dimenticano di mangiare anche per tré giorni; altri godono e sono così felici di nutrirsi con la scienza, che elargisce loro i dogmi con abbondanza e generosità, da digiunare per un tempo doppio, ormai avvezzi a nutrirsi del necessario una volta ogni sei giorni" 72. Ritengo che queste parole di Filone riguardino in modo chiaro ed ineccepibile i seguaci della nostra religione. 18. Ma se qualcuno persevera ancora nell'opporsi a queste prove, deponga pure la sua diffidenza, prestando fede a più inoppugnabili argomenti, che non è possibile reperire se non nella religione cristiana fondata sul Vangelo.

19. Lo stesso autore dice 7^ che con questi uomini, di cui sto parlando, c'erano anche donne, la maggior parte delle quali rimaste vergini fino alla vecchiaia per avere avuto cura della propria purezza, non perché obbligate dalla necessità, come fanno alcune sacerdotesse tra i Greci 74, ma piuttosto per volontaria decisione, perché desiderose di vivere con zelo e desiderio di sapienza, rinunciando ai piaceri del corpo: è loro aspirazione infatti avere non discendenti mortali, ma immortali, quali soltanto l'anima che ama Dio può da sé generare. 20. Più avanti spiega queste cose in modo più esplicito: "Spiegano allegoricamente le Sacre Scritture. Tutta la Legge è da loro paragonata ad un essere vivente, il cui corpo è costituito dall'ordine delle parole, l'anima dal senso invisibile in esse nascosto, che la setta in questione ha cominciato a contemplare con più attenzione, come se vedesse riflettersi, nello specchio delle parole, pensieri di infinita bellezza" 75-

72 Filone, p. 476, 36-49

73 Filone, p. 482, 3-11

74 Le sacerdotesse greche avevano l'obbligo di mantenere la verginità fino al momento della consacrazione. La loro osservazione della purezza era pertanto temporanea; cf. a questo proposito Pausania, Penegesi, VI, 20, 2; Vili, 13, 1; Plutarco, Vita di Numa, 9.

75 filone, pp 483,42-484, 1


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21. Bisogna aggiungere a queste notizie anche quelle riguardanti le loro riunioni, il modo di vita proprio degli uomini e quello proprio delle donne, e le pratiche che per tradizione anche noi siamo soliti osservare ancora oggi, in modo particolare nella festa della passione del Salvatore: digiuni, veglie e meditazioni sulle Sacre Scritture. 22. Il già citato autore riferisce tutto ciò nella propria opera 76, descrivendo nei minimi particolari quelle tradizioni che soltanto noi, fino ad oggi, abbiamo conservato: le veglie in occasione della Pasqua, i riti in esse compiuti e gli inni che noi siamo soliti cantare, durante i quali, mentre uno canta un salmo secondo un ritmo preciso, gli altri, ascoltando in silenzio, si uniscono soltanto nelle parti finali. Racconta inoltre 77 che essi, nei giorni citati, dormono su stuoie, e per usare le sue stesse parole, "non assaggiano affatto vino", non mangiano carne, ma bevono solo acqua, e loro companatico sono sale e issopo 78. 23. Inoltre parla del modo in cui coloro che ricoprono cariche ecclesiastiche esercitano la propria autorità, del diaconato e dell'autorità del vescovo su tutti 79. Coloro che vogliono conoscere con più precisione questi temi, possono apprenderli dalla già citata opera di Filone. 24. E a tutti chiaro che egli ha scritto di questi argomenti per descrivere coloro che, per primi, hanno diffuso l'insegnamento del Vangelo e le tradizioni trasmesse dagli apostoli fin dal principio.

/76 Filone, p 476, 23-34; p 481, 22-24, p 484.33-34.

77 Filone, p. 482, 18-21, p. 483, 4-10, p 484, 10-21 /s Pianta aromatica usata dai sacerdoti ebrei nei nti di purificazione. 79 Filone, p 481, 32-34; p 482, 3, 24-25; p 483, 17, p 484, 6.

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119 18. LE OPERE DI FILONE GIUNTE FINO AI NOSTRI TEMPI

1. Scrittore loquace e di larghe vedute, sublime ed eccelso commentatore delle Scritture divine, Filone ce ne ha lasciato un'esegesi varia e ricca di spunti. Esaminò la materia del Genesi in base all'ordine e al susseguirsi degli avvenimenti ivi narrati, esponendo i propri risultati nell'opera intitolata Allegorie delle leggi sacre', poi, spiegando dettagliatamente ogni brano delle Scritture di difficile interpretazione, ne presenta questioni e soluzioni, che egli espone nell'opera dal titolo Questioni e soluzioni nella Genesi e nell'Esodo. 2. Ha composto inoltre opere su argomenti specifici, come i due libri Sull'agricoltura e quelli Sull'ubriachezza, e altre che portano titoli diversi, come Su ciò che la mente sobria vuole e odia. Sulla confusione delle lingue, Sulla fuga e il ritrovamento. Sull'incontro a fini pedagogici, Chi è l'erede delle cose divine o sulla divisione in parti uguali e contrarie, e ancora Sulle tré virtù che Mosè ha descritto con altre; 3 e inoltre Sul cambiamento dei nomi e le sue cause, in cui afferma di aver scritto anche Sui Testamenti, in due libri. 4. Sono anche sue opere: Sull'emigrazione e la vita saggia vissuta secondo giustizia o sulle leggi non scritte. Sui Giganti o sull'immutabilità di Dio, Sull'origine divina dei sogni secondo Mosè, in cinque libri. Queste sono le sue opere giunte fino ai nostri tempi tra quelle riguardanti il Genesi. 5. Sull'Esodo conosciamo di lui: Questioni e soluzioni, in cinque libri, Sul Tabernacolo, Sul Decalogo, Le Leggi particolari sui punti fondamentali del Decalogo, in quattro libri, Gli animali sacrificali e i modi dei sacrifici, I premi che la Legge riserva ai buoni e le pene e maledizioni che destina ai malvagi. 6. Inoltre sono state tramandate sue opere in un solo libro, come quella dal titolo Sulla Provvidenza, il discorso da lui scritto dal titolo Sui Giudei, 11 Politico, Alessandro ovvero anche gli animali privi di parola sono dotati di ragione, e inoltre Ogni reo è schiavo, cui segue Ogni uomo probo è libero. 7. Dopo queste compose La vita contemplativa o i supplicanti,dal quale ho ricavato le notizie riguardanti la vita degli uomini dei tempi apostolici.

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Sono poi a lui attribuite Le spiegazioni dei nomi ebrei nella Legge e nei Profeti. 8. Si dice che egli, giunto al tempo di Gaio a Roma, descrisse l'empietà di questo imperatore nell'opera da lui intitolata, con acume e ironia, Sulle virtù, di cui diede pubblica lettura, al tempo di Claudio, davanti al Senato di Roma, lasciando gli ascoltatori a tal punto meravigliati da spingerli a stimare le sue opere degne di essere accolte nelle biblioteche ^

9. In quel tempo, mentre Paolo portava a termine il viaggio da Gerusalemme all'Illirico, Claudio espulse i Giudei da Roma 81, e Aquila e Priscilla, cacciati da Roma con altri Giudei,si recarono in Asia, dove vissero insieme all'apostolo Paolo, che rinvigoriva le basi delle chiese locali da lui appena poste. Di questo parla il sacro testo degli Atti .

80 È ignota la fonte da cui Eusebio attinge questa notizia

81 L'espulsione dei Giudei da Roma, decretata dall'imperatore Claudio nel 48 d C è attestata da Suetonio, Vita di Claudio, 25, 3 e da At 18, 2, ma taciuta da Giuseppe Flavio, che ricorda però quella deliberata precedentemente da Tibeno (Antichità giudaiche, XVffl, 81 84) La menzione in Suetomo di un Chrestus sobillatore dei Giudei (tumultuante^ impulsore Chresto), corretto in Chnstus sulla base di Tertuihano, Apologetico, 3, 5 e di Orosio, Storie contro i pagani, VII, 6, 15-16, ha fatto supporre ad alcuni studiosi (cf, ad es , H Janne, Impulsore Chresto, in "Mei Bidez" II, Bruxelles 1934, pp 531 553) che i reali destinatan dell'editto'siano i Cristiani, che Suetomo non distm gueva ancora dai Giudei Questi ultimi furono sicuramente colpiti da quello precedente del 41 d C , noto da Cassio Dione, Stona romana, LX, 6, 6, con cui Claudio proibiva loro di "radunarsi insieme" (cf anche la lettera inviata da Claudio agli Ebrei di Alessandna pubblicata da H I Beli, ]ews and Chn stians in Egypt, Oxford 1924, pp 23-26, con cui proibiva loro di accogliere altri correligionan) Non che Suetonio commettesse l'errore cronologico e storico di ritenere Cristo presente a Roma al tempo di Claudio, come ha mes so m rilievo S Benko, Pagan Criticism of Chnstianity dunng thè f irsi two cen tunes, m ANRW (Aufstieg und Niedergang der Romischen Welt), II, 23, 2, Berlm New York 1980, pp 1055-1118 Sarebbe più plausibile ritenere invece che Suetomo avrebbe detto Chrestus per dire Cristianesimo Claudio dunque "puniva i Giudei per punire i Cristiani, in quanto cumulava su di essi la responsabilità della propaganda missionaria cristiana" (S Mazzanno, L'impero romano, Bari 19936, voi I, p 201) Altri studiosi invece, avvalorando la lezione Chrestus, sostengono che l'editto m questione era diretto proprio contro i Giudei, dovendosi vedere in Chrestus, nome molto diffuso presso i Giù dei in quel tempo, un interprete di sentimenti di rivolta che dovevano sicura mente serpeggiare nella Roma del tempo.

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19. LE scIAGURE CHE SI RIVERSARONO SUI giudei A Gerusalemme NEL GIORNO DI PASQUA

1. Al tempo dell'imperatore Claudio, nel giorno della festa di Pasqua, a Gerusalemme scoppiò una rivolta e un disordine tale che dei soli Giudei che si accalcarono impetuosamente alle porte del Tempio, tremila morirono travolti gli uni dagli altri. Per tutto il popolo la festa si trasformò cosi in lutto; ogni casa risuonava di pianto. Anche queste notizie sono riferite da Giuseppe 82. 2. Claudio nominò rè dei Giudei Agrippa, figlio di Agrippa 83, e Felice 8^ governatore di tutta la regione di Samaria, di Galilea e di quella chiamata Perea. Dopo aver detenuto il potere per tredici anni e otto mesi morì 85, lasciando come suo successore Nerone.

^118,2, 1823

82 Guerra giudaica, II, 223-227, Antichità giudaiche, XX, 105 113

83 II riferimento è a Marco Giulio Agnppa II, che divenne rè di Giù dea nel 44 d C

84 Secondo Tacito, Annali, XII, 54, 2, Felice invece regnava già sulla Sa-mana nel 48 d C , dopo la morte del precedente governatore Ventidio Cu mano nel 52 d C , estese il suo protettorato anche sulla Gallica

85 II 13 ottobre del 54 d C

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20. CIÒ CHE AVVENNE A GERUSALEMME SOTTO NERONE

21. L'EGIZIANO DI CUI FANNO MENZIONE ANCHE GLI atti DEGLI apostoli

123

1. Giuseppe, nel ventesimo libro delle Antichità, descrive con queste parole la discordia dei sacerdoti scoppiata sotto Nerone al tempo in cui Felice era governatore della Giudea: 2. "I sommi sacerdoti suscitarono una rivolta contro i sacerdoti e i notabili di Gerusalemme. Ognuno di loro si mise a capo di una banda di uomini coraggiosissimi e oltre modo rivoluzionari, da se stesso organizzata; quando questi si scontravano, si insultavano e si scagliavano pietre a vicenda. E non c'era nessuno che li ostacolasse, ma ognuno faceva ogni cosa a proprio piacimento, come in una città in preda all'anarchia. 3. I sommi sacerdoti furono presi da una così grande impudenza e audacia da osare persino inviare schiavi sulle aie a rapinare le decime dovute ai sacerdoti, i più poveri dei quali, come capitò di vedere, morirono di inedia. Così la violenza dei rivoltosi oltrepassò la soglia del giusto" 86.

4. Lo stesso scritto^ 87 parla della presenza a Gerusalemme, in questi tempi, di certi briganti che ogni giorno, come dice, uccidevano anche nel centro della città tutti coloro in cui si imbattevano. 5. Soprattutto durante le feste, mescolandosi alla folla, colpivano chi non era dei loro con dei piccoli pugnali nascosti sotto le vesti; dopo averli uccisi, si univano a quelli che si indignavano contro gli uccisori, restando così nell'ombra con l'apparenza di onestà. Primo ad essere ucciso da loro fu il sommo sacerdote Gionata; dopo di lui, ogni giorno, ne caddero molti. Si diffuse così una paura più terribile delle sciagure, poiché ciascuno, come in guerra, poteva essere colto dalla morte in ogni momento.

1. Poi, dopo aver detto altre cose, aggiunge: "Lo pseudoprofeta egiziano inflisse ai Giudei un male più grande di questi. Fece la sua comparsa infatti nella regione un mago che, acquistatasi la fama di profeta, raccolse intorno a sé circa tremila creduloni, che condusse dal deserto sul monte detto degli Ulivi, da dove era possibile muovere all'assedio di Gerusalemme. Sua intenzione era di impadronirsi della guarnigione romana e sottomettere a sé il popolo, servendosi, come un tiranno, dei dorifori su cui comandava. 2. Ma Felice anticipò la sua mossa, opponendosi con i soldati romani; tutto il popolo si impegnò con lui nella difesa della città. Così, ingaggiata battaglia, fu uccisa o catturata gran parte degli uomini dell'egiziano, che si diede alla fuga con i pochi che gli erano rimasti" 88.

3. Giuseppe racconta questo episodio nel secondo libro delle Storie', ma bisogna riportare, per quanto riguarda ciò che si è detto dell'egiziano, anche la testimonianza degli Atti degli Apostoli, secondo la quale, al tempo di Felice, il tribuno che era a Gerusalemme quando il popolo dei Giudei si ribellò a lui, fece a Paolo questa testuale domanda: Non sei tu forse l'egiziano che un tempo spinse il popolo alla rivolta e condusse nel deserto i quattromila sicari? v. Questi sono i fatti accaduti al tempo di Felice.

86 Antichità giudaiche^ XX, 180-181.

87 Guerra giudaica, II, 254-256.

^21,38. 88 Guerra giudaica, II, 261-263.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 06/01/2004 18.56

22. PAOLO, MANDATO PRIGIONIERO A ROMA DALLA GIUDEA, SI DIFESE E FU PROSCIOLTO DA OGNI ACCUSA

1. Successore di Felice fu da Nerone nominato Festo 89, sotto il quale Paolo fu processato e mandato poi a Roma come prigioniero. Era con lui Aristarco, che egli, in un passo delle sue lettere z, definisce compagno di prigionia. Luca, l'autore degli Atti degli Apostoli pone fine alla sua opera a questo punto, dicendo che Paolo trascorse a Roma due anni interni, annunciandovi senza impedimento la parola di Dio d•ì. 2. Si dice che l'apostolo, pronunciata in tribunale la sua difesa, abbia ripreso nuovamente ad annunciare il Vangelo; andato per la seconda volta a Roma, fu martirizzato 90. Nei giorni della sua prigionia scrisse la Seconda lettera a Timoteo: in essa infatti parla della sua precedente difesa e della morte ormai imminente. 3. Ecco la sua testimonianza su questi fatti: In occasione della mia prima difesa nessuno era con me, ma tutti mi avevano abbandonato (non sia ciò ritenuto loro colpa), ma il Signore era al mio fianco e mi ha dato forza affinchè portassi a compimento la mia predicazione e tutti i popoli la, udissero E sono stato liberato dalla bocca del Ieone ab. 4. Da queste parole è per prima cosa evidente che Paolo venne liberato dalla bocca del leone 91 (termine, questo, che egli riferisce a Nerone, come sembra, per la sua crudeltà) per dare compimento alla sua predicazione. Inoltre non aggiunge niente di simile all'espressione mi libererà dalla bocca del leone, poiché vedeva, per opera dello Spirito, l'imminenza della sua morte; per questo aggiunge all'espressione: 5. Sono stato liberato dalla bocca del leone queste parole: II Signore mi proteggerà da ogni male e mi salverà nel suo regno celeste dc, presagendo con esse l'imminente martirio, che ancora più chiaramente precorre nella stessa lettera dicendo: Sono già offerto in sacrificio, ed è giunto il momento della mia dipartita tld. 6. Ora, nella Seconda lettera a Timoteo, dichiara che solo Luca era con lui nel momento in cui egli la scriveva, mentre in occasione della sua precedente difesa neppure lui era presente; per cui verosimilmente Luca scrisse in questo tempo gli Atti degli Apostoli, circoscrivendo la sua narrazione al tempo in cui rimase con Paolo 92. 7. Ho raccontato questi avvenimenti per dimostrare che il martirio di Paolo non avvenne in occasione del suo soggiorno a Roma, di cui parla Luca de. 8. E probabile che Nerone, essendo stato, al principio del suo regno, meno crudele, abbia tollerato la difesa della fede tenuta da Paolo; ma divenuto poi audace oltre ogni limite, commise, fra le altre scelleratezze, anche quella di infierire contro gli apostoli 9?.

^2^4, 18 ^2^4,6 de At 28, liss

^2^4, 16-17

z Col 4,10

^At 28, 30-31

89 Fu governatore della Giudea dal 60 al 62 d.C

90 II martino di Paolo ebbe luogo nel 64 d C , l'anno in cui Nerone sc.i tenò la persecuzione contro i Cristiani

91 L'espressione, già utilizzata m Sai 22, 22, m Dn 6, 21-28, e 1 Mac 2, 60, vuoi significare m verità, secondo le moderne interpretazioni degli studiosi, l'uscita da una circostanza sfavorevole, quale quella della prima fase del processo Qualcuno, seguendo Eusebio, ha voluto vedervi invece un'allusione a Nerone

92 Questa affermazione di Eusebio addita come data di composizione degli Atti un periodo anteriore al 64 d C , anno in cui Paolo fu martirizzato Ciò è m netta contrapposizione però con le tendenze degli studiosi moderni, che datano l'opera m un periodo compreso tra 1'80 e d 90 d C

93 Dopo un primo periodo di buon governo ispirato ai principi stoici msegnatigli da Seneca, Nerone si diede ad ogni genere di efferatezze nel 55 infatti mandò a morte il fratellastro Britannico, nel 59 la madre Agrippina, nel 62 Ottavia, sua prima moglie, nel 65 Poppea, sua seconda moglie, e nello stesso anno, m seguito alla scoperta della congiura dei Pisom, personaggi illustri quali Seneca, Lucano e Petronio.


23 COME GIACOMO, DETTO FRATELLO DEL SIGNORE, SUBÌ IL MARTIRIO

1 Dopo che Paolo aveva fatto appello a Cesare ed era stato mandato da Festo a Roma, i Giudei, vista cadere ogni speranza nella congiura ordita contro di lui, si volsero contro Giacomo, fratello del Signore, che sedeva, per designazione degli apostoli, sul trono episcopale di Gerusalemme, e osarono compiere queste azioni contro di lui 2 Condottolo in mezzo a loro, gli domandarono di rinnegare davanti a tutto il popolo la fede in Cristo, ma egli, contro le aspettative di tutti, parlò di fronte a tutto il popolo con voce più libera di quanto essi si attendessero, proclamando che il Salvatore e Signore nostro Gesù e figlio di Dio. La folla, non tollerando la testimonianza di fede di quell'uomo, che riteneva tuttavia il più giusto di tutti per la sua non comune saggezza e pietà, di cui dava prova nella vita, lo uccise avvalendosi della momentanea anarchia, dovuta alla morte di Festo governatore della Giudea, avvenuta proprio in quei giorni 94, che lasciò quella provincia senza governo e senza governatore 3 Le parole già citate di Clemente 95 narrano come si svolse il martirio di Giacomo che, dice, fu gettato dal pinnacolo del Tempio e bastonato a morte. Racconta questi avvenimenti con la massima precisione Egesippo 96, uno storico vissuto al tempo della prima successione degli apostoli, nel quinto libro delle sue Memorie, dicendo: 4 "Riceve la dirczione della Chiesa insieme agli apostoli Giacomo, fratello del Signore, detto da tutti il "Giusto" dai tempi del Signore fino ai nostri, per distinguerlo dai molti altri che portavano lo stesso nome 5 Egli era santo già nel ventre materno, non beveva ne vino nè sicera 97, non mangiava carne di animali, non passava mai il rasoio sulla testa, non si spalmava mai di olio, non prendeva mai i bagni 6 A lui solo era possibile accedere al santuario, infatti non indossava abiti di lana, ma di lino Entrava solo nel Tempio e lo si trovava genuflesso a supplicare il perdono per il popolo. Poiché adorava Dio e chiedeva il perdono per il popolo sempre in questa posizione, gli erano venuti i calli alle ginocchia come i cammelli 7 Per la sua estrema giustizia fu detto "il Giusto" e "Oblias", che tradotto in greco significa "fortezza del popolo e giustizia", come i Profeti affermano di lui.

8 Alcuni poi delle sette fazioni presenti fra il popolo 98, di cui ho già parlato" (nelle Memorie), "gli chiesero quale fosse la porta di Gesù, egli disse che era il Salvatore. 9 Da ciò alcuni credettero che Gesù è il Cristo. Ma le fazioni suddette non credevano ne alla resurrezione ne che Cristo sarebbe ritornato sulla terra per dare a ciascuno secondo le sue opere, quanti credettero in ciò lo fecero grazie a Giacomo 10 Poiché dunque molti anche dei capi credettero, Giudei, Farisei e Scribi si ribellarono, dicendo che si correva il rischio che tutto il popolo ritenesse Gesù il Cristo. Andati allora da Giacomo, gli dissero "Ti avvisiamo, controlla il popolo che tu hai ingannato su Gesù, facendogli credere che egli è il Cristo. Ti chiediamo di persuadere riguardo a Gesù tutti coloro che si sono radunati per celebrare il giorno di Pasqua, tutti noi infatti abbiamo fiducia in tè, dal momento che, insieme a tutto il popolo, diciamo che tu sei giusto e imparziale 11 Persuadi pertanto la folla a non ingannarsi sulla persona di Gesù, poiché tutto il popolo e noi tutti abbiamo fiducia in tè. Mettiti dunque sul pinnacolo del Tempio affinchè tutto il popolo, riunito in tutte le fratrie e le tribù in occasione della Pasqua, possa vederti e udire le tue parole" 12 Allora gli Scribi suddetti e i Farisei spinsero Giacomo sul pinnacolo del Tempio, e gridando gli dissero: "O Giusto, in cui tutti dobbiamo avere fiducia, poiché il popolo ha cominciato a seguire opinioni errate su Gesù crocifisso, rivelaci qual è la porta di Gesù".

94 Nel 62 dC

95 Cf supra 1,5 ^ Su questo storico e sulla sua opera cf supra, I n 6 e infra, IV 22

9 Bevanda inebriante 98 Esseni, Galilei Masbotei, Emerobattisti Samaritani, Sadducei, Farisei


13. Ed egli rispose dicendo a gran voce: "Perché mi fate domande sul Figlio dell'uomo? Egli siede in cielo alla destra della grande potenza, e sta per ritornare sulle nuvole del cielo". 14. Molti credettero profondamente alla testimonianza di Giacomo, esclamando: "Osanna al figlio di Davide". Allora gli Scribi e i Farisei dissero fra di loro: "Abbiamo fatto male ad offrire a Gesù una simile testimonianza. Ma saliamo a buttare di sotto Giacomo, affinchè il popolo, impaurito, non creda più in lui". 15. E gridavano dicendo: "Oh oh, anche il 'Giusto' è caduto in errore!", dando così compimento a quanto è scritto in Isaia: Uccidiamo il Giusto, perché è per noi dannoso; allora mangiano i frutti delle loro opere df. Saliti dunque, scaraventarono giù il Giusto"; 16. poi dissero fra loro: "Lapidiamo Giacomo il Giusto", e cominciarono a scagliargli sassi, perché quella rovinosa caduta non lo aveva ucciso. Ma egli, voltatesi, si inginocchiò dicendo: "Ti prego, Signore Dio Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". 17. Così, mentre egli veniva lapidato, uno dei sacerdoti, figlio di Rechab ", figlio di Rechabim, di cui si ha testimonianza nel profeta Geremia '^, disse gridando: "Fermi, che fate? Il 'Giusto' prega per voi". 18. Allora uno di loro, un sobillatore del popolo, preso il legno col quale batteva gli abiti, colpì alla testa il "Giusto", che subì così il martirio. Fu poi seppellito in un luogo vicino al Tempio, dove, ancora oggi, si può vedere la sua lapide. Costui fu testimone verace ai Giudei e ai Greci che Gesù è il Cristo. Subito dopo Vespasiano cinse d'assedio la città 100".

^183, 10. ^Cr. Ger35,2;6, 10.

99 Di questo personaggio sappiamo solo che collaborò con leu, rè di Israele, nell'eliminazione dei sacerdoti di Baal (cr. 2 Rè 10, 15-23).

100 Nel 66 d.C.

19. Nella narrazione di questi avvenimenti, che riporta in tutto il loro svolgimento, Egesippo concorda pienamente con Clemente. Così, dunque, Giacomo era uomo meraviglioso e noto a tutti per la sua giustizia, tanto che i più assennati fra i Giudei ritennero la sua morte causa dell'assedio di Gerusalemme, che avvenne subito dopo il suo martirio 101. Esso, credevano, non aveva altra origine se non quell'empia uccisione. 20. Giuseppe con sicurezza conferma questo pensiero nella sua opera, dicendo: "Queste sciagure si riversarono sui Giudei come punizione della loro efferatezza nei riguardi di Giacomo il "Giusto", fratello di Gesù detto il Cristo, che essi uccisero, sebbene fosse l'uomo più giusto" 102. 21. Lo stesso autore, nel ventesimo libro delle Antichità, racconta la sua morte con queste parole: "Cesare, appresa la notizia della morte di Festo, nominò Albino prefetto della Giudea 303. Anano il giovane, come ho già detto, deteneva il sommo sacerdozio. Egli, uomo di carattere impudente e oltremodo audace, era un membro della setta dei Sadducei, che sono, come si è già affermato, i più perversi fra tutti i Giudei nei loro giudizi 10-1. 22. Anano dunque, che era un uomo di tale indole, avendo pensato di trarre vantaggio dalla morte di Festo e dal fatto che Albino era ancora in viaggio, radunò il Sinedrio giudicante 10^ davanti al quale trascinò il fratello di Gesù detto il Cristo, il cui nome era Giacomo, e alcuni altri, che fece ingiustamente lapidare con la falsa accusa di aver trasgredito la Legge. 23. Ma quanti in città sembravano più moderati e rispettosi della Legge, mal tollerando l'accaduto, mandarono di nascosto nunzi al rè a chiedergli di intimare ad Anano di non commettere più simili azioni:non era la prima volta infatti che si comportava così stoltamente -

101 Su questo punto cr. infra. III, 5.

102 La citazione del passo, che non trova riscontro nell'opera dello scrittore ebraico, è da ritenere apocrifa. Manca, tra l'altro, l'abituale menzione dell'opera e del libro. 1(^ Albino governo dal 62 al 64 d.C. 11)4 Su questo punto d. anche Guerra giudaica, II, 166. 10'' Era l'assemblea incaricata dell'amministrazione religiosa, civile e penale. Essa poteva essere radunata previo consenso del pretore in carica.

. Alcuni di loro andarono incontro ad Albino, che giungeva da Alessandria, dicendogli che non era lecito ad Anano radunare il Sinedrio senza il suo consenso. 24. Albino, persuaso dalle loro parole, scrisse adirato ad Anano, promettendogli che lo avrebbe punito; per questo il rè Agrippa 106 lo destituì dal sommo sacerdozio, da lui detenuto da appena tré mesi, nominando in sua vece Gesù, figlio di Dammaio" 107.

Questo è ciò che accadde a Giacomo, a cui si attribuisce la prima delle lettere dette "Cattoliche". 25. Bisogna sapere però che questa non è autentica, dal momento che pochi degli antichi scrittori ne fanno menzione 108; spuria per lo stesso motivo anche quella detta di Giuda 109, anch'essa una delle sette lettere dette "Cattoliche"; tuttavia sappiamo che entrambe, insieme alle altre, vengono lette pubblicamente in moltissime Chiese.


106 Si tratta di Agrippa II.

107 Antichità giudaiche, XX, 197; 199-203.

108 Eusebio respinge l'autenticità di uno scritto testamentario sulla base delle sue scarse citazioni nelle opere dei Padri a lui precedenti (cf. anche infra, III, 3). I moderni sono a questo proposito più cauti. È vero che le prime attestazioni dell'autenticità della lettera sono piuttosto tarde (la prima citazione risale infatti ad Origene, che su di essa nutre igienici dubbi), ma ciò non è, per i moderni, un elemento sufficiente. La maggior parte degli studiosi tende ad identificarne l'autore con quel Giacomo, fratello di Gesù, divenuto apostolo in seguito ad una apparizione di Cristo risorto (1 Cor 15,7), ritenuto una delle colonne della Chiesa (Gai 2, 9),vescovo di Gerusalemme (cf. supra, 23, 1; infra, IV, 5, 3), ucciso intorno al 62 al tempo del sommo sacerdote Anania (cf. supra, 23, 16). L'autore sembra inoltre a tal punto impregnato di cultura giudaica - evidente, ad es., nello stretto legame posto tra la fede e le azioni (2, 14-26) e nel culto della povertà (2, 2-13) - da far ritenere ad alcuni studiosi che la lettera sia stata composta, forse da Giacomo stesso, nel I sec. d.C. nell'ambiente della sinagoga ellenistica. In definitiva si può affermare che "gli insegnamenti dell'epistola non sarebbero in contraddizione con quel che sappiamo di Giacomo" (O. Cullmann, Introduzione al Nuovo Testamento, Bologna 1968, p. 112), e che è molto probabile che egli ne sia l'autore. 109 L'epistola, sebbene citata nel Canone Muratonano come uno scritto canonico, non manca di suscitare dubbi anche tra gli studiosi moderni. Si pone innanzitutto la questione dell'autore. Si conoscono infatti ben tré personalità di nome Giuda: Giuda FIscariota, Giuda figlio di Giacomo (cf. Le 6, 16; At 1, 13;


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 06/01/2004 18.59

24. DOPO MARCO, PRIMO VESCOVO DELLA CHIESA DI ALESSANDRIA FU NOMINATO ANNIANO


Nell'ottavo anno del regno di Nerone 110, primo vescovo a succedere a Marco evangelista nella guida della diocesi di Alessandria fu Anniano.

25. PERSECUZIONE DI NERONE, DURANTE LA QUALE PAOLO E PIETRO FURONO RESI DEGNI A ROMA DEL MARTIRIO PER LA LORO FEDE

1. Rafforzato già il suo potere, Nerone si diede ad azioni empie, combattendo contro la stessa fede nel Dio del mondo. Ma non è scopo della presente opera descrivere per intero le sue scelleratezze, 2. perché molti scrittori ne hanno già parlato nelle loro accuratissime opere 1". Chi vuole può apprendere da esse la cattiveria di cui diede prova questo folle, che causò irragionevolmente la morte di innumerevoli persone, e giunse a tale grado di crudeltà da non esitare neppure a fare uccidere i parenti più prossimi e gli amici più cari, ne la madre, ne i fratelli ne la moglie con altre migliala di consanguinei, che mandò a morte come suoi nemici con vane torture. -

14, 22), uno dei dodici apostoli, e Giuda fratello di Gesù (cf. Mt 13, 55; Me 6, 3). Esclusi il primo e il secondo (quest'ultimo sulla base del V. 17, in cui si dice che gli apostoli sono morti o che almeno l'autore non ne fa parte), si propende per il terzo. Questa ipotesi è diffìcile da sostenere, dato che motivi interni suggeriscono di datare lo scritto intorno al 90 d.C., periodo in cui nessun apostolo però poteva essere ancora in vita

110 Nel 62 d.C.

' '] Cf. Tacito, Annali, XIII-XVI; Suetonio, Vita di cerone; Cassio Dio-ne, Stona romana, LXI-LXIII.

3. Bisogna ancora a tutto ciò aggiungere anche che, primo fra gli imperatori, si mostrò apertamente nemico della fede in Dìo, 4. come afferma di lui ancora il latino Tertulliano, dicendo: "Esaminate le vostre memorie. Vi leggerete che Nerone fu il primo persecutore di questa fede, soprattutto quando, conquistato tutto l'Oriente u2, perseguitò a Roma tutti per la sua crudeltà. Noi gioiamo della punizione infertaci da un simile imperatore: colui che lo conosce infatti può ben comprendere che Nerone non poteva condannare se non tutto ciò che è grande bene" n3.

5>Così dunque egli, riconosciuto primo dei nemici di Dio, si volse con tutto se stesso ad uccidere gli apostoli. Si dice in fatti che, al tempo di Nerone, proprio a Roma Paolo venne decapitato e Pietro crocifisso. Il nome di Pietro e Paolo, giunto fino ai nostri giorni sulle loro tombe, che si trovano a Roma 114, attesta la veridicità di questa storia, 6. e cosi pure un uomo ecclesiastico, di nome Gaio 115, che visse al tempo di Zefìrino, vescovo di Roma. Egli, disputando nei suoi scritti con Proclo, capo della setta dei Frigi 116, dice queste cose sui luoghi che custodiscono le sacre spoglie dei suddetti apostoli: 7. "Io sono in grado di mostrare i trofei degli apostoli; andando infatti al Vaticano o lungo la via Ostiense, vi troverai i trofei di quelli che hanno fondato questa Chiesa".

-

112 La conquista dell'Oriente fu lenta e graduale dal 58 al 63 d C Cor bulone, generale di Nerone, conquista l'Armenia, nel 66 Vespasiano doma la rivolta scoppiata m Palestina

113 Apologetico, 5,3 La prima parte della traduzione di Eusebio non è corretta m Tertulliano infatti si legge illic repenetis pnmum t^eronem in hanc sectam cum maxime Romae onentem Caesanano gladio ferocisse (vi troverete che Nerone per primo si scagliò con la spada imperiale contro questa setta, che proprio m quel tempo sorgeva m Roma)

114 II luogo della sepoltura di Pietro non è precisabile con sicurezza L'imprecisione degli scrittori cristiani attesta, fra l'altro, che neppure essi lo conoscevano con precisione Gli scavi condotti sotto la basilica di San Pietro da M Guarducci, che hanno portato alla luce un'antica necropoli cristiana anteriore alla basilica costantiniana, non hanno portato del resto molta luce sul problema Su di esso cf M Guarducci, La tomba di San Pietro, Milano 1989

8. Che furono martirizzati entrambi nello stesso periodo lo conferma il vescovo di Corinto Dionigi 117 nella sua lettera ai Romani, dicendo: "Voi avete unito, con una simile vendetta, le piante innestate a Roma e a Corinto da Pietro e Paolo. Noi siamo infatti il frutto dell'insegnamento che essi diffusero nella nostra Corinto e, ugualmente, anche in Italia; per questo furono martirizzati nello stesso tempo". Ho raccontato ciò affinchè gli avvenimenti della mia storia vengano reputati ancor più degni di fede.

26. LA SCIAGURA DEI GIUDEI

1. Giuseppe, nella sua esposizione minuziosa dei moltissimi avvenimenti riguardanti la sciagura riversatasi su tutto il popolo dei Giudei, dopo avere raccontato molti altri episodi, riferisce che a Gerusalemme molti notabili fra i Giudei, dopo essere stati prima flagellati, furono condannati da Fioro 118 alla crocifissione -

115 Scrittore romano che, come dice Fozio, Biblioteca, 98, compose, al tempo di papa Zefìrino (198 217), il trattato antimontanista Dialogo col mon lanista Proclo, di cui rimangono solo il frammento qui citato da Eusebio e al tn tré riportati a III, 28, 1 2, 31, 4, VI, 20, 3)

116 Si tratta dei Montanisti, detti Frigi o Catafngi dal luogo d'origine della loro eresia Essi si ritenevano i legittimi successori degli apostoli, conte stavano l'ordinamento gerarchico della Chiesa in nome della presunta supe rionta dei profeti sui vescovi, e credevano ad una imminente parusia, cui si preparavano con un rigoroso ascetismo morale

1 ] / Sulla sua figura cf infra, IV, 23

Costui era procuratore della Giudea 120 proprio all'inizio della guerra, al dodicesimo anno del regno di Nerone 121. 2. Dice poi 122 che tutta la Siria, in seguito alla rivolta dei Giudei, fu preda di un terribile disordine, dato che dappertutto i pagani uccidevano barbaramente, come nemici, i Giudei che abitavano nelle città. Il numero dei morti crebbe a tal punto da vedere queste città piene di cadaveri insepolti, di vecchi giacenti insieme a fanciulli e di donne prive di riparo alla loro nudità. In tutta la provincia abbondavano sciagure inenarrabili, e ben più grande dei delitti ivi perpetrati era la minaccia di quelli futuri.

Queste cose racconta con esattezza Giuseppe, e queste erano invero le condizioni in cui versavano i Giudei.

'18 Successore di Albino, governò la Giudea dal 64 ai 66 d C L'episodio qui riferito da Eusebio si inserisce all'interno della rivolta scoppiata m seguito ad un decreto ordinante la riscossione forzata degli arretrati dovuti al Tempio Su di essa et Antichità giudaiche, XX, 257; Guerra giudaica, II, 284.

119 Cf Guerra giudaica, II, 306-308

120 Su questo d anche Antichità giudaiche, XX, 257, Guerra giudaica, II, 284

121 Nel 66 d C

122 Guerra giudaica, II, 462-465.

(Teofilo)
00lunedì 21 settembre 2009 19:25
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Da: Soprannome MSN°Teofilo  (Messaggio originale)Inviato: 09/01/2004 10.30

LIBRO III

II terzo libro della Storia ecclesiastica comprende i seguenti argomenti:

1. In quali regioni gli apostoli hanno predicato il Cristo.

2. Chi per primo ha retto la Chiesa di Roma.

3. Le lettere degli apostoli.

4.1 primi successori degli apostoli.

5. L'ultimo assedio dei Giudei dopo Cristo.

6. La carestia che li tormentò.

7. Le profezie di Cristo.

8. I segni premonitori della guerra.

9. Giuseppe e le opere che ci ha lasciato.

10. Come cita i libri sacri.

11. Dopo Giacomo Simeone guida la Chiesa di Gerusalemme.

12. Vespasiano ordina di perseguitare i discendenti di Davide.

13. Anacleto è il secondo vescovo di Roma.

14. Avilio è il secondo vescovo di Alessandria.

15. Clemente, terzo vescovo di Roma dopo Anacleto.

16. La lettera di Clemente.

17. La persecuzione al tempo di Domiziano.

18. L'apostolo Giovanni e Apocalisse.

19. Domiziano ordina di uccidere i discendenti di Davide.

20. I discendenti del nostro Salvatore.

21. Terzo capo della Chiesa di Alessandria fu Cerdone.

22. Ignazio è secondo vescovo di Antiochia.

23. Storia dell'apostolo Giovanni.

24. L'ordine dei Vangeli.

25. Le Sacre Scritture ritenute divine e quelle che non lo sono.

26. Il mago Menandro.

27. L'eresia degli Ebioniti.

28. L'eresiarca Cerinto.

29. Nicola e coloro che da lui hanno desunto il proprio nome.

30. Gli apostoli che si unirono in matrimonio.

31. Morte di Giovanni e di Filippo.

32. Il martirio di Simeone, vescovo di Gerusalemme.

33. Traiano proibì di ricercare i cristiani.

34. Quarto vescovo della Chiesa di Roma fu Evaristo.

35. Terzo vescovo di Gerusalemme fu Giusto.

36. Ignazio e le sue lettere.

37. Gli evangelisti ancora famosi in quel tempo.

38. La lettera di Clemente e le opere falsamente attribuitegli.

39. Le opere di Papia.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 09/01/2004 10.31

1. in qUALI REGIONI GLI APOSTOLI HANNO PREDICATO IL cristo

  1. Queste erano le condizioni in cui versavano i Giudei. I santi apostoli e i discepoli del nostro Salvatore erano dispersi per tutta la terra. Tommaso, come dice la tradizione, ebbe in sorte la Partia, Andrea la Scizia; Giovanni visse invece in Asia e morì poi ad Efeso. 2. Pietro, come sembra, predicò nel Ponto, in Galazia, Bitinia, Cappadocia ed Asia ai Giudei della diaspora; recatosi infine a Roma, vi fu crocifisso a testa in giù, come egli stesso aveva chiesto di morire. E che dire di Paolo, che diffuse il Vangelo di Cristo da Gerusalemme all’Illirico, e che fu poi martirizzato a Roma al tempo di Nerone? Racconta dettagliatamente questi fatti Origene nel terzo libro del suo commento alla Genesi.

    d Cf 1 Pt 1, 1. b Cf. Rm 15, 19. c 2 Tm 4, 21.

  2. chi PER PRIMO HA RETTO LA chiesa DI roma

1. Primo ad essere nominato vescovo della Chiesa di Roma, dopo il martirio di Paolo e Pietro, fu Lino, citato da Paolo nel saluto che chiude la lettera da lui inviata da Roma a Timoteo c.



3. le LETTERE DEGLI APOSTOLI

  1. Di Pietro si riconosce autentica una sola lettera, quella detta "prima", poiché di essa gli antichi presbiteri si sono serviti nelle loro opere come di uno scritto inoppugnabile. Sappiamo invece che quella detta "seconda" non fa parte del Nuovo Testamento 3, ma, dato che a molti è parsa utile, è stata esaminata insieme agli altri scritti neotestamentari.
  2. 2. Sappiamo anche che il testo degli Atti di Pietro 4, il Vangelo detto secondo Pietro 5, la cosiddetta Predicazione 6 e la cosiddetta Apocalisse 7, attribuiti a Pietro, non sono stati invece tramandati fra gli scritti cattolici, poiché nessuno degli scrittori ecclesiastici, antichi o moderni, ha fatto ricorso a testimonianze desunte da queste opere. 3. Procedendo nella mia narrazione riporterò pertanto, elencandoli in ordine di successione, i nomi di quegli scrittori ecclesiastici che in vari tempi si sono serviti di testi di dubbia autenticità, e ciò che essi hanno riferito sugli scritti neotestamentari, sia di quelli indiscussi, sia di quelli che non sono tali. 4. A questi ultimi appartengono gli scritti attribuiti a Pietro, di cui ritengo autentica una sola lettera, perché riconosciuta tale anche dagli antichi presbiteri. 5. Di Paolo sono indubbiamente le quattordici lettere; ma bisogna sapere che alcuni non considerano testamentaria la Lettera agli Ebrei 8, dicendo che la stessa Chiesa di Roma la respinge perché non scritta dall'apostolo; ma riferirò al momento opportuno ciò che su di essa hanno detto coloro che mi hanno preceduto q. Non ritengo però opera di indiscussa autenticità gli Atti 10 a lui attribuiti. 6. Lo stesso apostolo, nei saluti conclusivi della Lettera ai Romani d, menziona, fra gli altri, anche Erma, a cui si attribuisce l'opera dal titolo II Pastore 1[, la cui autenticità, bisogna saperlo, è stata contestata da alcuni, che la ritengono spuria; tuttavia altri la reputano di grande utilità per coloro che hanno un grande bisogno di una introduzione basilare [alle dottrine della nostra fede]. Abbiamo appreso che ha avuto già pubblica lettura anche nelle Chiese, e so che alcuni fra i più antichi scrittori se ne sono già serviti. 7. Ciò sia detto per distinguere le Sacre Scritture di certo autentiche da quelle che invece non sono ritenute tali da tutti.

D Rm 16. 14.

1 Cf. supra^ II, n. 90.

2 Dotto filologo, teologo ed asceta cristiano nato ad Alessandria d'Egitto nel 185 d.C. circa e morto nel 253. Sulla sua complessa figura e sull'opera letteraria cf. M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 112-HO.

3 Sull'autenticità della Seconda lettera di Pietro già Origene nutriva giu-stifìcati dubbi. Sulla sua linea sono anche i moderni, che ne respingono l'autenticità sulla citazione (3, 15-16) delle epistole di Paolo come riunite in un unico corpus già facente parte del Nuovo Testamento. Questo corpus si costituì, come si sa, intorno al 150 d.C., anno m cui Pietro era già morto.

4 E senza dubbio uno scritto apocrifo, che un anonimo autore fece circolare sotto il nome di Pietro per conferirgli maggiore autorità. Fu composto, secondo la maggior parte degli studiosi, tra il 180 e il 190 d. C. Il testo si presenta frammentario; se ne ha una traduzione latina negli Actus Vercellenses e in un manoscritto del sec. VII, che reca il titolo Actus Petri cum limone e riferisce la tenzone tra l'apostolo e Simon Mago, che muore precipitando nel Foro durante un tentativo di volo mal riuscito. Se ne conosce anche un frammento in copto, che narra la guarigione operata da Pietro della propria figlia paralitica. Legato agli Atti di Pietro è senza dubbio il Martyrium Retri, scritto in greco, che riferisce la crocifissione dell'apostolo a Roma.

5 Lo scritto è noto grazie ad Eusebio (cf. anche infra, VI, 12, 3-6 ) e ad un frammento scoperto in una tomba cristiana ad Akhimim nell'Alto Egitto. Esso riferisce la passione del Signore, la sua morte, che viene attribuita esclusivamente ai Giudei, e la sua resurrezione. Evidenti tracce di docetismo sono presenti nello scritto.

6 Opera composta nei primi decenni del II secolo. Essa intende tracciare le direttive a cui devono attenersi i missionari nell'evangelizzare i pagani. Ne sono conservati solo frammenti in Clemente Alessandrino.

7 Come Eusebio, anche Girolamo {Gli uomini illustri, 1) considera apocrifo questo scritto, risalente alla prima metà del II secolo. Esso tuttavia continuò ad essere letto in Palestina in occasione del Venerdì santo. Il testo dell'opera è noto per intero da una libera traduzione etiopica scoperta nel 1910; solo in parte nell'originale greco grazie alla scoperta ad Akhmim di un ampio frammento, che descrive lo splendore celeste del Paradiso e le pene dell'Inferno.

8 Eusebio ritiene lo scritto autentico sulla base delle motivazioni riportate a 38, 1-3. Dello stesso avviso non sono però i moderni. Già Martin Luterò ne attribuiva la paternità ad Apollo di Alessandria, un giudeo della setta del Battista, che in At 18, 24-28 viene presentato come ottimo conoscitore della Scrittura. Dopo Luterò altri hanno proposto Aquila, Priscilla, Clemente di Roma, Sila. ^Cf.^,38,1.

10 Già Tertulliano (II battesimo, 17) attribuiva questo scritto ad un prete anonimo, deposto per avere inventato i fatti storici narrati, e lo datava all'ultimo quarto del II secolo d.C. L'opera è nota grazie a frammenti in copto scoperti nel 1904 da C. Schmidt, e ad un papiro, conservato ad Amburgo, che riporta gran parte del testo greco.

11 L'opera, attribuita ad Erma, forse fratello del vescovo di Roma Pio I, risale alla fine del I secolo d.C. Essa fu erroneamente annoverata fra le Scritture da Ireneo (Contro le eresie, IV, 20, 2), Tertulliano (Depudicitia, 10) e Ori-gene (Principi, IV, 11). Per una trattazione più ampia cf. M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 39-42.


4. I PRIMI SUCCESSORI DEGLI APOSTOLI

1. Che Paolo, annunciando il Vangelo ai Gentili, pose le fondamenta delle Chiese che sorsero da Gerusalemme fino all'Illirico, è chiaro dalle sue stesse parole e da ciò che raccontano gli Atti di Luca. 2. In quali nazioni Pietro predicò il Cristo ai Giudei, diffondendo fra di loro la parola del Nuovo Testamento, risulta poi con chiarezza dalle stesse parole della lettera a lui unanimemente attribuita, indirizzata, come abbiamo detto 12, agli Ebrei della diaspora che vivevano nel Ponto, in Galazia, Cappadocia, Asia e Bitinta. 3. Fra quelli che divennero più zelanti e furono per questo giudicati idonei a guidare le Chiese da loro fondate, si possono identificare con facilità solo quelli che Paolo menziona nelle sue lettere: 4. molti di questi erano infatti suoi collaboratori o, come egli stesso li definisce, compagni d'armi e, la maggior parte dei quali rese degni di imperituro ricordo, riportando nelle sue epistole continue testimonianze su di loro; Luca inoltre negli Atti cita per nome i più noti, di cui da un elenco f. 5. Impariamo così che Timoteo fu il primo ad ottenere l'episcopato della Chiesa di Efeso §, e Tito quello delle Chiese di Creta h.

e Fm 2, Fil 2, 25 t At 16, 1; 19, 22; 20, 4 § 1 Tm 1 3 h Tt Cf ^1.2

6. Luca, nativo di Antiochia e medico di professione, che trascorse gran parte della propria vita con Paolo ed ebbe continui contatti anche con gli altri apostoli, ci ha insegnato in due libri divinamente ispirati l'arte di curare le anime, che egli apprese da loro: nel Vangelo, che dice di aver composto servendosi delle testimonianze riferitegli dai testimoni oculari e dai ministri della fede, che riporta non senza avere prima indagato con cura su ogni cosa sin dal principio, come egli stesso afferma 1; e negli Atti degli Apostoli, che compose non sulla base di ciò che gli veniva riferito da altri, ma di quello che aveva visto con i suoi occhi. 7. Dicono che Paolo sia solito ricordare il Vangelo di Luca, dicendo: Secondo il mio Vangelo i, come se fosse un proprio scritto.

8. Degli altri suoi discepoli Paolo cita Crescente k, da lui mandato in Gallia, e Lino ], di cui ricorda, nella Seconda lettera a Timoteo, la presenza a Roma insieme con lui; costui, come si è già detto 13, fu il primo successore di Pietro nell'episcopato della Chiesa di Roma. 9. Paolo dice inoltre che Clemente, terzo vescovo della Chiesa di Roma, fu suo collaboratore e amico di traversie m. 10. Fra gli antichi c'è inoltre quell'Areopagita di nome Dionigi 14 che, come narra Luca negli Atti ", fu il primo ad abbracciare la nostra fede dopo il discorso che Paolo rivolse agli Ateniesi sull'Areopago.

k 2 Tm 4, 10. 1 2 Tm 4,

iRm2, 16,2Tm2,8 n At 17, 34

'Le 1,2-3 m Fil 4, 3

21

13 Cf supra, 2

14 Sotto il nome di Dionigi l'Areopagita ci sono pervenuti quattro grandi trattati (De divims nomimbus, De mystica theologia, De cadesti hierarchia, De ecclesiastica hierarchia} e dieci lettere Tutte queste opere furono lette nel Medioevo nelle traduzioni latine di Scoto Enugena, Giovanni Sarrazm e Ro berto Grossatesta, e influenzarono notevolmente il pensiero della Scolastica Le opere sono però apocrife Esse, come avevano sospettato già Erasmo da Rotterdam e Lorenzo Valla, furono composte alla fine del V secolo d C , come dimostrerebbe la presenza di elementi neoplatomci nconducibili a Pioti no e a Proclo Centro dell'interesse dell'anonimo autore sono Dio, ritenuto l'Uno da cui deriva il mondo, Cristo e gli Angeli Questi ultimi sono divisi in Triadi, la più alta delle quali, costituita da Michele, Gabriele e Raffaele, e la più vicina a Dio

Un altro Dionigi, pastore della diocesi di Corinto, dice di essere stato vescovo della Chiesa di Atene. 11. Ma procedendo per la mia strada, parlerò al momento opportuno 15 della successione cronologica degli apostoli. Ora invece passiamo ad esporre i fatti successivi.

5. L'ULTIMO ASSEDIO DEI giudei DOPO cristo

1. Dopo Nerone, che detenne il potere per tredici anni, e dopo Galba e Otone^-che regnarono per un anno e sei mesi 16, Vespasiano, che si era già distinto nell'impresa contro Ì Giudei, fu riconosciuto rè dalla stessa Giudea, poiché era stato acclamato imperatore dai soldati che erano lì con lui. Partito subito alla volta di Roma, lasciò al figlio Tito il compito di proseguire la guerra contro i Giudei.

2. Dopo l'ascensione del nostro Salvatore, i Giudei, non contenti della tracotanza già mostrata contro di lui, macchinarono molte insidie anche contro i suoi apostoli. Lapidarono prima Stefano ° e, dopo di lui, decapitarono Giacomo p, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni; e, atto più grave, uccisero Giacomo, primo a succedere al trono episcopale della città di Gerusalemme dopo l'ascensione del nostro Salvatore, nel modo in cui si è già detto 17.

0 Cf. At 7, 54-60. PCf.At 12,2.

15 In verità Eusebio non ne parla più.

16 Alla morte di Nerone (68 d.C.) seguì un periodo di anarchia, durante il quale Galba, comandante delle legioni stanziate nella Spagna citeriore, Otone, comandante di quelle della Lusitania, Vitellio, comandante di quelle del Reno, e Vespasiano, governatore della Giudea, si contesero il potere in una sanguinosa guerra civile, conclusasi con la vittoria di quest'ultimo

17 Cf.^^, II, 23.

Anche gli altri apostoli corsero mille pericoli di morte: scacciati dalla Giudea, venivano inviati ad insegnare la dottrina del Vangelo a tutti i popoli, resi forti dalla potenza di Cristo, che aveva detto loro: Andate e predicate a tutti i popoli nel mio nome q. 3. Al popolo della Chiesa di Gerusalemme una profezia, rivelata prima della guerra da una visione divina solo ai notabili, ordinò di abbandonare la diocesi e di trasferirsi in una città della Perea, di nome Pella; in essa, tra gli abitanti di Gerusalemme, andarono coloro che credevano in Cristo, così che uomini in tutto santi lasciarono la città regale dei Giudei e l'intera Giudea. La giustizia divina li punì così per avere agito ingiustamente contro Cristo e i suoi apostoli, allontanando quella schiatta di empi dalla vista degli uomini.

4. Quanti e quali mali si riversarono su tutto il popolo dei Giudei in ogni luogo; le più atroci disgrazie subite dagli abitanti della Giudea; le decine di migliala di giovani che, insieme con donne e bambini, morirono di spada, di fame e in mille altri modi; quanti e quali furono gli assedi delle città giudaiche; i mali e le pene più tremende dei mali che videro coloro che si rifugiarono a Gerusalemme, stimandola la città più sicura; lo svolgimento della guerra e ogni singolo episodio che in essa si verifìcò; e, infine, il terrore dell'abbandono, annunciato già dai profeti, che si abbattè proprio sull'antico tempio di Dio, un tempo famoso, che attendeva completa distruzione e rovina piena nel fuoco: tutti questi episodi è possibile, per chi vuole, leggerli nel racconto dettagliato che ne fa Giuseppe. 5. E’ necessario tuttavia rilevare, come egli stesso dice 18, che coloro che nei giorni della festa di Pasqua si radunarono a Gerusalemme - erano circa tré milioni - da tutta la Giudea furono come rinchiusi in un carcere.

q Mt 28,19. 18 Guerra giudaica^ IV, 425-428.

6. Bisognava pertanto che, nei giorni in cui il Salvatore e benefattore di tutti, il Cristo di Dio, subì la passione, la giustizia divina riversasse su quegli uomini, che erano come imprigionati in un carcere, la rovina che loro spettava. 7. Tralasciando Ì lutti che furono loro inflitti con la spada o in altro modo, ritengo necessario riferire soltanto le sofferenze causate dalla fame, affinchè i miei lettori possano conoscere nel dettaglio come il castigo divino non tardò a colpirli per il reato da loro compiuto contro il Cristo di Dio.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 09/01/2004 10.32

6. la CARESTIA CHE LI TORMENTÒ

1. Riprendiamo dunque per le mani il quinto libro delle Storie 19 di Giuseppe. Ecco con quale tragicità egli espone ciò che allora accadde: "Per i ricchi rimanere in città significava morire; infatti, accusandoli pretestuosamente di tradimento, gli insorti uccidevano ognuno di loro per impossessarsi delle sue sostanze. La carestia faceva aumentare il malcontento dei rivoltosi, e di giorno in giorno entrambi i mali crescevano. 2. Essendo ormai chiaro che in nessun luogo era possibile trovare del cibo, facevano irruzione nelle case, perquisendole da cima a fondo; poi, trovato del grano, picchiavano coloro che ne avevano negato l'esistenza; se invece non lo trovavano, li torturavano, perché credevano che lo tenessero nascosto molto bene. La prova dell'averne o no erano i corpi di quei miseri infelici; era chiaro che quanti fra questi avevano ancora la forza di stare in piedi, ne possedevano a sufficienza. Quelli che erano già allo stremo delle loro forze venivano lasciati vivere, poiché sembrava irragionevole uccidere chi era lì lì per morire di indigenza.

3. Molti scambiavano di nascosto ciò che possedevano per una sola misura di grano se erano ricchi, di orzo se poveri; poi, chiudendosi nelle stanze più recondite delle case, per l'eccessivo bisogno, alcuni mangiavano il grano non lavorato, altri lo cucinavano come la necessità e la paura imponevano -

19 Si ricorda che Eusebio intitola Storie la Guerra giudaica (cf. supra. I, n. 49). VI, 423-428.

. 4. In nessuna casa si apparecchiava la tavola, ma togliendo i cibi dal fuoco, li divoravano con ingordigia ancora crudi. Il cibo era misero, ed era lacrimevole vedere i più forti esigere di più, e i più deboli invece compiangersi.

5. Il più grande di tutti i mali era la fame, ma niente era rovinoso quanto il pudore; infatti ciò che in altre occasioni sarebbe stato oggetto di vergogna, in questa circostanza invece diveniva degno di disprezzo. Le donne strappavano il cibo dalla bocca dei mariti, i figli da quella dei padri e, ciò che è molto degno di compianto, le madri da quella dei propri figli. Sebbene le persone più care deperissero fra le loro braccia, non si astenevano dallo strappare via di bocca ciò che poteva, anche se per poco, mantenerli ancora in vita. 6. Sebbene mangiassero in simile modo, tuttavia non potevano restare nascosti e sfuggire alle ruberie commesse in ogni luogo dai rivoltosi. Il vedere infatti una casa chiusa a chiave era per costoro segno che coloro che vi abitavano stavano mangiando; sfondate subito le porte, vi facevano irruzione e, afferrati i malcapitati per la gola, facevano loro quasi uscire fuori i bocconi. 7. Picchiavano i vecchi che facevano resistenza, strappavano i capelli alle donne se cercavano di nascondere qualcosa in mano; non avevano rispetto alcuno ne per i vecchi ne per i fanciulli. Questi ultimi anzi, sollevati in aria mentre ancora pendevano dai loro bocconi, venivano scaraventati poi a terra con violenza. 8. Coloro che, prevedendo il loro arrivo, divoravano in fretta quel cibo che altrimenti sarebbe stato loro tolto, venivano trattati come dei malfattori e sottoposti a terribili supplizi escogitati per fare loro sputare fuori il cibo: venivano a quei miseri ostruiti con vecce gli orefìzi dei genitali e infilati nel retto bastoni aguzzi. Infliggevano ad ognuno sofferenze tremende anche a sentirsi per in-durlo a confessare il posto in cui aveva nascosto un pezzo di pane o una piccola quantità di orzo. 9. Quei boia però non pativano gli stenti (la loro crudeltà infatti sarebbe stata meno feroce se imposta dalla necessità) dato che, grazie alla loro impudenza, riuscivano a procurarsi il cibo per i giorni seguenti. 10. Assalivano coloro che erano andati di notte a rubare verdure selvatiche ed erba nel campo romano e, quando questi credevano di essere già sfuggiti ai nemici, toglievano loro ciò che avevano preso. I derubati-con continue suppliche e invocando il terribile nome di Dio, li scongiuravano di dare loro almeno una parte di ciò che avevano rubato a rischio della loro stessa vita; ma non ottenevano niente, ed era per loro una fortuna non essere stati uccisi oltre che rapinati" 2Q.

11. Dopo aver riferito altri avvenimenti, Giuseppe aggiunge: "Insieme con il desiderio di uscire, fu tolta ai Giudei ogni speranza di scampo. La fame, che diveniva sempre più acuta, uccideva la gente nelle loro case e sterminava intere famiglie: le terrazze infatti erano stracolme di cadaveri di donne e di neonati, i vicoli di salme di vecchi. 12. Fanciulli e giovani, tumefatti, come fantasmi si radunavano nelle piazze e cadevano là dove l'inedia li faceva stramazzare a terra. I malati non avevano neppure la forza di dare sepoltura ai loro cari, e chi si manteneva ancora in forze ricusava [di farlo] a causa del numero elevato dei morti e dell'insicurezza del proprio destino: molti infatti cadevano morti su coloro che avevano testé seppellito, e molti scendevano nelle tombe prima che si presentasse il fato di mòrte. 13. Non si udivano, fra queste sciagure, lamento ne pianti, poiché la fame aveva represso anche i sentimenti; quelli che stavano per morire guardavano con occhi asciutti venir meno coloro che li avevano preceduti; la città era piombata in un profondo silenzio e in una tetra oscurità, della morte compagna. 14. Ma ancor più terribile di questi mali erano i briganti; questi, saccheggiando le case, rapinavano persino i morti e, dopo averli spogliati di ciò che ancora ricopriva i loro corpi, se ne uscivano ridendo; saggiavano persino le punte delle spade sui cadaveri, e ne provavano la lama trafiggendo alcuni di quelli che erano stati abbandonati ancora in vita. Lasciavano con disprezzo invece consumare dalla fame coloro che li supplicavano di dar loro aiuto o di porre fine alle sofferenze trafiggendoli con la spada. Ciascuno di coloro che erano ancora in vita guardava quindi fisso verso il Tempio, non curandosi più dei rivoltosi, che erano ancora vivi. 15. Essi dapprincipio esortavano a seppellire a spese pubbliche i morti, di cui non sopportavano più il fetore; e poiché neppure ciò era sufficiente, presero a buttarli dalle mura giù nei burroni. Quando Tito, attraversandoli, li vide pieni di morti e il sangue uscire abbondante dai cadaveri, alzò le mani al cielo, chiamando a testimone Dio che quello scempio non era opera sua" 21.

16. Giuseppe poi, riferite altre notizie, aggiunge: "Non mi sarà impedito di dire ciò che il dolore mi ordina. Credo che, se i Romani avessero indugiato a intervenire contro gli empi, la città sarebbe caduta in una voragine o invasa da un diluvio o colpita dagli stessi fulmini che si abbatterono su Sodoma; la maggior parte di coloro che soffrivano questi mali discendeva infatti da avi più empi di loro, per la cui follia su tutto il popolo precipitò la più completa rovina" 22.

17. Nel sesto libro Giuseppe così scrive: "Ormai incalcolabile era il numero delle vittime che la fame mieteva in città, e inenarrabili le sofferenze. In ogni casa era guerra se c'era la sola ombra di cibo; i parenti più cari venivano alle mani gli uni gli altri, strappandosi di bocca i miseri sostentamenti. A soffrire erano non coloro che morivano, ma chi era ancora in vita, a cui i briganti rapinavano anche un misero boccone affinchè nessuno di loro morisse con del cibo nascosto addosso. 18. Quelli che venivano rosi dai morsi della fame, come cani rabbiosi, barcollavano, si trascinavano, a mo' di ubriachi chiudevano le porte e per la disperazione facevano irruzione nelle stesse case due o tré volte in un'ora.

20 Guerra giudaica V, 424-438.

21 Guerra giudaica, V, 512-519.

22 Guerra giudaica, V, 566.

19. Il bisogno li spingeva a raccogliere qualunque cosa e a metterla sotto i denti, anche ciò che persino i più sudici fra gli animali-avrebbero rifiutato. Mangiavano infine anche i cinturoni e le suole delle scarpe, e masticavano le pelli disvelte dagli scudi; alcuni si nutrivano anche di frammenti di grano vecchio; altri poi raccoglievano le fibre delle piante e ne vendevano una piccolissima parte per quattro dracme attiche. 20. E che dire della sfrontatezza verso cose immateriali dovuta alla carestia? Riferisco a questo punto un episodio, ignoto anche ai Greci e ai barbari, terribile a raccontarsi, incredibile ad udirsi. Io, per non apparire ai posteri uno scrittore che racconta fandonie, avrei di buon grado tralasciato la narrazione di questo luttuoso fatto se non ne avessi avuto un numero infinito di testimoni nel mio tempo. Se avessi fatto diversamente, avrei reso un cattivo servizio alla patria, tacendo le disgrazie che essa soffrì. 21. Fra coloro che abitavano al di là del Giordano una donna, di nome Maria, figlia di Eleazaro, del villaggio di Batezor 23 (che vuoi dire "casa dell'issopo"), illustre di nascita e per la sua ricchezza, fuggì con molti altri a Gerusalemme, dove divenne oggetto di continue rapine da parte di quei tiranni, 22. che le tolsero tutti quei beni che aveva messo insieme e portato dalla Perea in questa città; uomini armati facevano ogni giorno irruzione nella sua abitazione per toglierle quelle poche ricchezze che ancora le rimanevano e il cibo che sospettavano essa tenesse nascosto. Una terribile indignazione tormentava l'animo della donna, che insultava e offendeva spesso quegli avvoltoi, provocandoli contro se stessa. 23. Ma poiché nessuno ne per compassione ne per pietà la uccideva, ed essa era stanca ormai di cercare cibo per altri, che del resto in nessun luogo era possibile ormai trovare, e poiché la fame le rodeva le viscere e il cervello, e più rabbiosa di essa era la sua collera, spinta dal bisogno, decise di infierire contro la sua natura. Preso il figlio ancora lattante, 24. disse: "O figlio infelice, a chi ti potrò affidare in tempo di guerra, di carestia e di rivolta? Anche se vivremo sotto il dominio romano, avremo la schiavitù; ma prima di essa ci colpirà certo la fame. I rivoltosi però sono più atroci di entrambe. Orsù, sii per me cibo, maledizione per i rivoltosi ed esempio per l'umanità, il solo che manca ancora alle sciagure dei Giudei". 25. Dopo aver proferito queste parole, uccise il figlio; poi, dopo averlo arrostito, ne mangiò metà, nascondendone con cura il resto. Ma subito giunsero i rivoltosi, attirati dall'odore dell'empio arrosto, e la minacciarono di ucciderla subito se non avesse consegnato ciò che aveva preparato. Essa disse che ne aveva conservato per loro anche una buona razione, e mostrò i resti del figlio. 26. Un improvviso terrore e rapimento di cuore li prese, facendoli inorridire a quella vista. La donna disse: "Questo è mio figlio, e ciò è opera mia. Mangiate, l'ho fatto anch'io. Non siate più deboli di una donna ne più afflitti di una madre. Se voi siete saggi e provate raccapriccio per il mio sacrificio, [sappiate che] io stessa ne ho mangiato, e ciò che ne resta rimanga pure per me". 27. A queste parole essi uscirono tremando, non per il fatto in sé, ma per avere lasciato quel cibo alla madre. Subito a tutta la città fu nota questa empietà, e ciascuno inorridiva al solo immaginare quell'orrendo delitto, come se ne fosse l'autore diretto. 28. Gli affamati volevano affrettare la morte, ed era fortunato chi anticipava il suo destino prima di avere ascoltato e visto simili atrocità" 24.

23 Località identifìcabile con l'odierna Zubya.

24 Guerra giudaica. VI, 193-213.

. le PROFEZIE DI cristo

1. Siffatte furono le pene inflitte ai Giudei per l'illegalità ed empietà di cui diedero prova contro il Cristo di Dio. E ora opportuno aggiungere ad esse anche la profezia divina, con la quale il nostro Salvatore predisse queste sciagure: Guai alle donne che saranno gravide e a quelle che allatteranno i loro figli in quei giorni. Pregate che la vostra fuga non abbia luogo d'inverno o di sabato; infatti vi sarà allora grande sofferenza, quale mai, dall'inizio del mondo fino ad oggi, si è verificata, ne accadrà mai più '.

  1. Riportando il numero dei morti, lo scrittore riferisce 25 che un milione e centomila uomini morirono di fame o di spada; i rivoltosi e i briganti invece, denunciatisi a vicenda dopo la presa della città, furono condannati a morte. Fra i giovani, quelli che eccellevano per altezza e bellezza del corpo furono destinati al trionfo; riguardo alla popolazione restante, fra i prigionieri che superavano i diciassette anni di età, alcuni furono mandati ai lavori forzati in Egitto, ma i più affidati alle province per essere uccisi nei teatri dal ferro o dalle fiere; i giovani al di sotto dei diciassette anni, il cui numero ammontava a no-vantamila, furono invece portati via come prigionieri e poi venduti schiavi.
  2. Questo fu lo svolgimento dei fatti che ebbero luogo nel secondo anno del regno di Vespasiano 26, così come li avevano preannunziati le profezie del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo. Egli, infatti, avendoli previsti come presenti con la sua divina potenza, ne aveva pianto e singhiozzato, come dicono i santi evangelisti, che riportano le testuali parole che egli pronunciò quasi riferendole alla stessa Gerusalemme:

4. Se conoscessi anche tu in questo giorno le cose per la tua pace! ora essa invece si cela ai tuoi occhi, poiché verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno con una trincea, ti chiuderanno, ti stringeranno da ogni parte e uccideranno tè e i tuoi figlis. 5. Riportano poi altre sue parole, quasi fossero dette sul popolo di quella città: Ci sarà una grande necessità nel paese e collera su questo popolo; cadranno sotto i colpi del pugnale e saranno/atti prigionieri da tutti ipopoli, che schiacceranno Gerusalemme, finché i loro tempi non saranno compiutil. E ancora: Quando vedrete Gerusalemme assediata dai soldati, allora sappiate che è ormai prossima la sua rovina u. 6. Confrontando le parole del nostro Salvatore con le notizie che lo storico riferisce sull'intero svolgimento della guerra, come non meravigliarsi nel dichiarare, secondo verità, divina e miracolosa oltre misura la prescienza e la profezia del nostro Salvatore?

7. Riguardo a ciò che accadde all'intero popolo giudaico dopo la passione del Salvatore in seguito alle parole con le quali la folla salvò dalla condanna capitale il brigante e l'assassino 27, chiedendo invece la morte per l'artefice della vita, non è necessario aggiungere altro alle notizie già note. 8. Sarebbe giusto tuttavia, a conferma della benevolenza divina verso gli uomini, illustrare quanto avvenne dopo. La Provvidenza divina li mandò in rovina quarantenni dopo l'efferatezza da loro compiuta contro il Cristo 28. In questo tempo gran parte degli apostoli e dei discepoli, e lo stesso Giacomo, primo vescovo della città, ritenuto fratello del Signore, erano ancora vivi e trascorrevano nella stessa Gerusalemme la loro esistenza, formando come un baluardo tortissimo in difesa della città. 9. Lo sguardo divino, che fu fino ad allora benevolo, sarebbe rimasto tale qualora si fossero pentiti di ciò che avevano fatto, avendo così in cambio perdono e salvezza.

^24, 19-21.

25 Guerra giudaica, VI, 420; 435.

26 Nel 70 d.C.

5 Le 19,42-44.

T Le 2L 23-24.

'Le 21,20.

27 II riferimento è a Barabba.

28 L'anno indicato è il 70, data della distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito.

Oltre ad una simile testimonianza di magnanimità ebbe luogo ahche una miracolosa apparizione divina, che rivelò loro ciò che stava per accadere se non si fossero pentiti 29. Non era assolutamente possibile tacere ai miei lettori queste notizie, ritenute degne di memoria dal suddetto scrittore.

8. I SEGNI PREMONITORI DELLA GUERRA

1. Si leggano pertanto le parole con cui egli riporta, nel sesto libro delle Storie, questi avvenimenti: "Gli impostori, giurando il falso persino su Dio, ingannavano quel popolo di infelici. Nessuno credeva ne prestava fede ai segni prodigiosi che preannunziavano l'ormai prossima distruzione, ma, come colpiti da un fulmine e come ciechi e privi di mente, non porsero neppure orecchio a questi ammonimenti divini. 2. Un astro, simile ad una spada, si fermò sopra la città, lasciando lì per un anno una cometa; poi, prima della rivolta e dello scoppio della guerra, quando il popolo era riunito per celebrare la festa degli Azimi 30, l'ottavo giorno del mese di Xandico 31, all'ora nona della notte, una luce così abbagliante illuminò l'altare e il Tempio da fare sembrare che fosse giorno pieno. Questo fenomeno durò circa mezz'ora. Agli inesperti sembrò un segno propizio, ma gli scribi lo interpretarono rettamente, come presagio cioè delle sventure future.

29 Questa apparizione è riferita al capitolo successivo.

30 Era la festa che dava inizio alla celebrazione della Pasqua ebraica. Essa durava una settimana e prendeva tale denominazione dal fatto che in quei giorni non veniva usato il lievito per fare il pane (cf. Es 12, 15-20; 13, 3-7; 23, 15; 34, 18). Sui riti in essa prescritti cf. Lv 23, 5-8; Nm 28, 16-25.

31 Mese del calendario macedone, usato in Asia Minore dopo la conquista di Alessandro Magno fcf. anche supra. I, n. 87).

3. Durante questa stessa festa una giovenca, portata dal sommo sacerdote per il sacrificio, partorì un vitello in mezzo al Tempio. 4. La porta orientale interna poi, che era di bronzo e pesantissima, chiusa a fatica di sera da venti uomini e sprangata con catenacci di ferro e con paletti conficcati ad una profondità notevole nel terreno, fu vista aprirsi da sola all'ora sesta della notte 32. 5. Non molti giorni dopo quella festa, il ventuno del mese di Artemisio 33, apparve un demone incredibilmente grande. Ma potrebbe sembrare una favola ciò che sto per riferire se non mi fosse stato raccontato da testimoni oculari, e se le sofferenze future non fossero state degne di tali segni premonitori. Prima del tramontare del sole si videro carri sospesi in cielo circondare tutta la regione, e falangi di opiiti slanciarsi dalle nuvole e cingere la città. 6. I sacerdoti raccontarono che, in occasione della festa detta di Pentecoste 34, recatisi di notte al Tempio per la liturgia, come erano soliti fare, sentirono dapprima movimento e rumore, poi una voce rimbombante che diceva: "Noi andiamo via da qui" 35. 7. E, cosa più orrenda di queste, un contadino di nome Gesù, figlio di Anania, cittadino privato, quattro anni prima dello scoppio della guerra ?6, quando la città viveva ancora in pace profondissima e in tranquillità, partecipava alla festa, in cui era tradizione che tutti erigessero tende a Dio ì7; all'improvviso cominciò a gridare verso il Tempio: "Voce dall'Oriente, voce dall'Occidente, voce dai quattro vediti, voce su Gerusalemme e il Tempio, voce contro sposi e spose, voce contro tutto il popolo".-

32 Su questi particolari cf. anche Tacito, Storie, V, 13, 1.

33 Altro mese del calendario macedone.

34 La festa di Pentecoste veniva celebrata cinquanta giorni dopo la Pasqua per commemorare il giorno della consegna della Legge a Mosè. Sul suo svolgimento cf. Lv 23, 15-22; Nm 28, 26-31.

35 Voce spiegabile con un'antica tradizione ebraica, secondo la quale gli dei abbandonavano al suo destino una città ormai destinata alla distruzione.

36 Nel 62 d.C.

37 Riferimento alla Festa delle capanne, celebrata dagli Ebrei per ricordare l'esodo dall'Egitto. In occasione di questa ricorrenza essi, abbandonate le proprie case, erano soliti dimorare m capanne appositamente erette. Su di essa cf. Lv 23, 33-43; Nm 29, 12-39; Dt 16, 13-16.

Questo andava gridando di giorno e di notte, aggirandosi per tutti i vicoli. 8. Alcuni fra i notabili del popolo, irritati per il malaugurio, fecero gettare in carcere quell'uomo e ordinarono che fosse frustato senza risparmio. Ma egli, urlando non per le sofferenze patite e neppure contro i presenti, continuava a gridare le stesse parole di prima. 9. I magistrati, pensando, come in effetti era, che l'uomo fosse mosso da un essere soprannaturale, lo portarono al cospetto del governatore romano 38. Qui, pur frustato fino a far vedere le ossa, non implorava ne piangeva, ma, piegandosi compassionevolmente ad ogni sferzata, ripeteva: "Ahi, ahi, Gerusalemme"" 39.

10. Lo stesso storico racconta un altro episodio più incredibile di questo; nelle Sacre Scritture trovò infatti, come egli stesso dice, una profezia, secondo la quale in quel momento un uomo della stessa regione avrebbe regnato sul mondo; e ciò, secondo lui, si sarebbe adempiuto nei riguardi di Vespasiano 40. 11. Ma egli regnò solo sui territori soggetti a Roma e non su tutta la terra; sarebbe più esatto attribuire quindi la profezia a Cristo, a cui il Padre disse: Chiedimi e ti darò popoli come tua eredità, e come tua proprietà i confini della terra\ ; e, proprio in quel tempo il grido dei santi apostoli risuonò per tutta la terra, e le loro parole giunsero fino ai confini del mondo w.

9. giuseppe E LE OPERE CHE CI HA LASCIATO

1. Dopo queste notizie, è giusto sapere da chi nacque e di quale stirpe era lo stesso Giuseppe, che nella sua Storia ci ha lasciato tante notizie sugli argomenti testé trattati. Di questo ci informa lui stesso dicendo: "Giuseppe, figlio di Mattia, sacerdote di Gerusalemme, che in un primo tempo fui nemico dei Romani e che la sorte volle che assistessi per necessità agli avvenimenti successivi" 41. 2. Egli era in quel momento uomo rinomato non solo fra i Giudei della sua stessa tribù, ma anche fra i Romani, che lo onorarono con la dedica di una statua nella loro città e ritennero le opere da lui scritte degne di essere accolte nelle biblioteche. 3. Egli compose, in venti libri, le Antichità giudaiche, e in sette la storia della guerra contro i Romani a lui contemporanea, che egli stesso, già degno di fede per altre ragioni, dice 42 di aver composto non solo in greco, ma anche nella sua lingua patria 43. 4. E inoltre degna di considerazione anche un'altra opera intitolata Sull'antichità dei Giudei 44, in due libri: in essa confuta le tesi del grammatico Apione, che aveva allora scritto un'opera contro i Giudei, e di molti altri che tentarono di infamare le patrie usanze del popolo giudaico. 5. Nel primo di questi riferisce il numero degli scritti che costituiscono l'Antico Testamento, precisando, con queste parole, quelli che gli Ebrei ritengono autentici per antica tradizione:

^2,8. ^'Sal 19,5.

38 Si tratta di L. Albino.

39 Guerra giudaica, VI, 288-304.

40 Guerra giudaica, VI, 312-313. Su questo episodio cf, anche Tacito, Storie, V, 13, 2; Suetonio, Vita di Vespasiano, 4, 9.

41 Guerra giudaica, i, ^.

42 Ìbidem.

43 L'aramaico.

44 Più nota come Contro Apione, un'orazione diretta ad Apione, "uomo di molta cultura letteraria, dotto e di vasto sapere nel campo della grecita" (Gelilo, Notti ottiche, V, 14, 1), capo del partito antisemita di Alessandria e difensore estremo della superiorità della cultura greca su ogni altra. Al suo avversario Giuseppe dimostra il notevole debito dovuto dalla

(Teofilo)
00lunedì 21 settembre 2009 19:27
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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 09/01/2004 10.34

COME giuseppe CITA I LIBRI SACRI

  1. "Noi non possediamo libri innumerevoli e in contraddizione fra loro, ma solo ventidue, che raccontano la storia di tutti gli anni passati e che sono ritenuti a buon diritto divini. 2. Di questi, cinque sono di Mosè 45, e contengono le Leggi e la narrazione della storia umana dalla creazione dell'uomo fino alla morte di Mosè, periodo, questo, di poco inferiore a tremila anni. 3. Dalla morte di Mosè fino a quella di Artaserse, rè dei Persiani dopo Serse, i profeti posteriori a Mosè riferiscono in tredici libri gli avvenimenti verificatisi ai loro tempi; gli altri quattro contengono inni a Dio e ammonimenti per la vita degli uomini. 4. Dal tempo che va da Artaserse al nostro è stato riferito ogni episodio in molti scritti, che però non sono degni di fede come quelli a loro anteriori, dato che in essi la successione dei profeti presenta inesattezze. 5. E manifesto dai fatti quindi come noi ci accostiamo alle nostre Scritture. Sebbene sia ormai trascorso un si lungo tempo, nessuno ha osato aggiungere, togliere o completare nulla, e a tutti i Giudei viene naturale, sin dalla prima generazione, ritenerli dogmi divini da seguire fedelmente, per i quali, se necessario, essere disposti anche a morire" 46.
  2. 6. Si noti l'utilità del passo testé riportato. Egli è anche autore di un'altra meritevole opera dal titolo Sul predominio della ragione, da alcuni intitolata Maccabaico 47, perché riguarda le gesta valorose compiute dagli Ebrei in difesa della loro devozione a Dio, narrate nei libri detti Dei Maccabei. 7. Alla fine del ventesimo libro delle Antichità afferma 48 di accingersi a scrivere in quattro libri un'opera sulle opinioni patrie dei Giudei circa Dio e la sua essenza, e sulle leggi, e su che cosa presso di loro è possibile fare e cosa no; dichiara poi di aver ritenuti degni di considerazione, nelle sue opere, anche altri argomenti.

45 Riferimento al Pentateuco.

46 Contro Apione, I, 38-42.

47 L'opera non è da attribuire a Giuseppe. Si tratta invece di un apocrifo dell'Antico Testamento. 48 Antichità giudaiche, XX, 268.


8. È giusto inoltre riportare, per testimoniare la veridicità delle notizie da lui trasmesseci, ciò che egli scrisse alla fine delle Antichità 49. Muovendo a Giusto di Tiberiade 50, fra le molte accuse, anche quella di non aver riferito secondo verità gli avvenimenti contemporanei, che egli, come lui, aveva tentato di descrivere, aggiunge queste testuali parole: 9. "Io, per i miei libri, non ho temuto la stessa tua sorte, ma li ho dati agli stessi imperatori, quando gli avvenimenti in essi descritti si svolgevano ancora sotto i loro occhi; non mi sbagliai infatti pretendendo di perseguire la verità nel riferire le testimonianze. 10. Ho sottoposto i miei scritti al giudizio di molti altri, alcuni dei quali avevano preso parte alla guerra, come il rè Agrippa 51 e alcuni dei suoi consanguinei. 11. L'imperatore TÌ-to volle che solo le mie opere consegnassero agli uomini la conoscenza di quei fatti, e per questo prescrisse di pubblicarle, scrivendo l'ordine di suo pugno. Il rè Agrippa scrisse poi ses-santadue lettere, con cui testimonia la veridicità dei fatti da me narrati" 52. Di queste poi Giuseppe ne riporta due. Ma su di lui basti quanto detto finora.

49 La citazione seguente appartiene in verità alla Autobiografia, per la quale cf. la nota seguente.

50 È autore di un'opera dal titolo Guerra giudaica, in cui, trattando lo stesso periodo esaminato nell'omonimo scritto di Giuseppe Flavio, muove a quest'ultimo l'accusa di aver tradito il popolo giudaico, evidente a suo avviso nel chiaro atteggiamento filoromano impresso alla narrazione degli avvenimenti. A questa accusa Giuseppe rispose con 1''Autobiografia, un opuscolo in cui tenta di dimostrare la propria fedeltà al suo popolo.

51 Agrippa II.

52 Autobiografia, 361-364.

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16. la LETTERA DI clemente

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Di costui si riconosce autentica una sola lettera, tramandata fino ai nostri giorni, ponderosa e mirabile, che egli scrisse dalla Chiesa di Roma a quella di Corinto, dove era sorta una contesa 61. Sappiamo che anche di questa, in moltissime Chiese, nei tempi antichi e nei nostri, si da pubblica lettura 62. Testimone degno di fede dei sollevamenti verificatisi a Corinto al tempo del già citato imperatore è Egesippo.

17. la PERSECUZIONE AL TEMPO DI domiziano

A Roma Domiziano, che diede prova di grande crudeltà contro molti, condannò a morte, senza regolare giudizio, molti patrizi e molti altri uomini illustri, e senza validi motivi punì ad esili oltre confine e a confische di beni molti altri notabili, divenendo così, dopo la sua morte, degno erede di Nerone per la sua pari ostilità ed empietà verso Dio. Domiziano fu il secondo imperatore a muovere una persecuzione contro di noi, sebbene suo padre Vespasiano non ci avesse mostrato alcuna ostilità.

18. L'APOSTOLO giovanni E L'APOCALISSE

1. Si narra che in questo tempo l'apostolo ed evangelista Giovanni, che era ancora in vita, fu condannato all'esilio nell'isola di Patmo per avere testimoniato la parola divina. 2.

61 A motivo dei disordini scoppiati in seno alla Chiesa di Corinto, dove i presbiteri erano stati destituiti arbitrariamente, Clemente scrive nel 96 a quella comunità, ammonendola alla sottomissione ai vescovi in nome della loro autorità, ricevuta direttamente dagli apostoli. Su Clemente cf. infra, 38 e M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 33-34.

Ireneo , scrivendo nel quinto libro dell'opera intitolata Contro le eresie sul numero che l'Anticristo porta negl'Apocalisse z di Giovanni, dice testualmente così: 3. "Se fosse necessario in questo momento svelare apertamente il nome dell'Anticristo, esso potrebbe essere stato proclamato da lui, che ne vide anche la manifestazione, avvenuta non molto tempo fa, ma quasi al nostro tempo, all'incirca verso la fine del regno di Domiziano 6-1" 65.

4. L'insegnamento della nostra fede risplendeva in quel tempo a tal punto che persino autori lontani da essa non ricusarono di narrare, nelle loro opere storiche, la persecuzione e le testimonianze che la riguardano. Essi ne indicano con precisione la data, poiché riferiscono la condanna all'esilio nell'isola di Ponza, avvenuta nel quindicesimo anno del regno di Domiziano 66, di Flavia Domitilla, figlia della sorella di Flavio Clemente, uno dei consoli romani di allora, rea di avere testimoniato la sua fede in Cristo. Oltre alla condanna all'esilio di costei riportano anche quella di moltissimi altri 67.

19. domiziano ORDINA DI UCCIDERE I DISCENDENTI DI davide

Un'antica tradizione riferisce che alcuni eretici, approfittando di un decreto di Domiziano che ordinava l'uccisione dei discendenti di Davide, accusarono i discendenti di Giuda (questi era fratello carnale del Salvatore aa) di avere tale discendenza e di essere imparentati, per questo, con il Cristo. Queste cose racconta Egesippo, dicendo testualmente:

2 Ap 13, 18. àa\ Cf. Mt 13, 55; Me 6, 3.

63 Su Ireneo cf. supra, II, n. 55.

64 Nel 95 d.C. 6^ Contro le eresie, V, 30, 3.

66 II riferimento è all'anno 85 d.C.

67 Su questa condanna cf. anche Suetonio, Vita di Domiziano, 15, 1; Cassio Dione, Storia romana, LXVII, 14

20. I DISCENDENTI DEL NOSTRO salvatore

1. "Della famiglia del Signore erano ancora in vita i nipoti di Giuda, quello ritenuto fratello carnale di Cristo. Costoro, accusati di essere discendenti di Davide, furono trascinati dal-Vevocatus 68 al cospetto di Cesare Domiziano, che temeva, come Erode, la venuta del Cristo. 2. Egli chiese loro se erano discendenti di Davide; avuta risposta affermativa, domandò quante sostanze avessero e di quanto denaro fossero in possesso. Essi risposero che entrambi avevano novemila denari soltanto, metà per ciascuno, non in contanti, dicevano, ma corrispondenti al valore di un'estensione terriera di soli trentanove pletri 69, da cui pagavano le tasse e traevano nutrimento, coltivandola con le proprie mani". 3. Gli fecero vedere poi le mani, mostrando come prova della propria fatica la rudezza della superfìcie e i calli su di esse formatisi a causa del continuo lavoro. 4. Interrogati su Cristo, sulla natura del suo regno e sul come, sul dove e sul quando si sarebbe manifestato, dissero che esso non era di questo mondo, ne terreno, ma celeste e angelico, e avrebbe avuto compimento alla fine dei secoli, quando, salendo in gloria, Cristo avrebbe giudicato i vivi e i morti e avrebbe dato a ciascuno in base alle proprie azioni70. 5. A queste parole Domiziano non manifestò nessuna ostilità nei loro confronti, ma si mostrò anzi benevolo, lasciandoli liberi e mettendo fine, con un decreto, alla persecuzione contro la Chiesa. 6. Quelli che furono liberati si misero a capo delle Chiese come testimoni e discendenti per nascita dal Signore; instaurata la pace, vissero fino ai tempi di Traiano 71.

^8 Con questo nome venivano designati gli ufficiali che costituivano un corpo di guardia permanente presso l'imperatore. Essi non avevano funzioni militari, ma solo giuridico-amministrative.

69 Misura greca equivalente a 100 piedi.

70 Espressione di origine scritturistica (cf. Mt 16, 27; Rm 2, 6).

71 Traiano regnò dal 98 al 117 d.C.

7. Questo dice Egesippo. Anche Tertulliano fa menzione di Domiziano dicendo: "Anche Domiziano, degno erede della crudeltà di Nerone, ha tentato di comportarsi come lui. Ma avendo, credo, un po' di buon senso, si tirò subito indietro, richiamando anche coloro che aveva condannato all'esilio" 72.

8. Dopo Domiziano, che regnò per quindici anni73, prese il potere Nerva, sotto il quale il senato romano deliberò l'abrogazione delle disposizioni di Domiziano, il rimpatrio e la restituzione delle ricchezze a coloro che erano stati esiliati ingiustamente. Riferiscono queste notizie gli scrittori che hanno composto opere sugli avvenimenti di quel tempo 74. 9. La tradizione degli antichi ci ha tramandato che allora anche l'apostolo Giovanni fu richiamato dall'esilio nell'isola di Patmo e tornò a vivere ad Efeso 75.

21. terzo CAPO DELLA chiesa DI alessandria FU CERDONE

A Nerva, che regnò per poco più di un anno 76, succedette Traiano. Nel primo anno del suo regno ad Avilio, che aveva retto la diocesi di Alessandria per tredici anni, succedette Cerdone. Questi fu il terzo ad essere eletto vescovo di questa città a partire da Anniano, che fu il primo. In questi anni Clemente era ancora vescovo di Roma, terzo fra quelli succeduti a Paolo e Pietro nell'episcopato della città; Lino fu il primo e secondo dopo di lui Anacleto.

'^ Apologetico, ^,4. ^Dall'81al 96d.C.

74 Cr. Suetonio, Vita di Domiziano, 23; Cassie Dione, Storia romana, LXVIII, 1; Plinio il Giovane, Panegirico, 52.

75 Cf. supra, 18, 1.

76 Dal 96 all'inizio del 98 d.C.

22. ignazio È SECONDO VESCOVO DI antiochia

Dopo Evodio, primo vescovo della Chiesa di Antiochia, divenne illustre in quei tempi, secondo dopo di lui, Ignazio 77. Nello stesso anno Simeone ricevette, secondo dopo il fratello del nostro Salvatore, la guida della Chiesa di Gerusalemme nel periodo che stiamo esaminando.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 09/01/2004 10.35

23. STORIA DELL'APOSTOLO GIOVANNI

1. In questi tempi lo stesso apostolo ed evangelista Giovanni, che Gesù amava, viveva ancora in Asia e, tornato dall'esilio nell'isola di Patmo dopo la morte di Domiziano, si rimise a dirigere le Chiese locali. 2. Che in questi tempi era ancora vivo basterebbe a provarlo la testimonianza di due autori degni di fede, araldi dell'ortodossia ecclesiastica: Ireneo e Clemente di Alessandria 78. 3. Il primo, nel secondo libro dell'opera Contro le eresie, scrive testualmente così: "Tutti i presbiteri che incontrarono in Asia Giovanni, il discepolo del Signore, testimoniano che egli si mantenne nella tradizione. Rimase infatti con loro fino al tempo di Traiano" 79. 4. Nel terzo libro della stessa opera afferma questa stessa cosa dicendo: "La Chiesa di Efeso, fondata da Paolo, è testimone verace della tradizione apostolica per la presenza di Giovanni, che vi rimase fino ai tempi di Traiano" 80.

5. Inoltre Clemente, illustrando lo stesso periodo di tempo, tramanda questo racconto nella sua opera dal titolo Chi è quel ricco che si salva? 81, utilissima a coloro che gradiscono ascoltare cose belle ed edificanti.

'_' Su Ignazio cf. infra, 36. ^ Su questo autore cf. infra, V, 11. /9 Contro le eresie, II, 22, 5.

80 Contro le eresie. III, 3, 4.

81 Cf. supra, n. 78.

Leggi con attenzione quello che egli dice: 6. "Ascolta un racconto che non è una favola, ma una storia veritiera tramandataci sull'apostolo Giovanni e custodita nella memoria. Dopo la morte del tiranno 82 Giovanni, richiamato dall'isola di Patmo, tornò a vivere ad Efeso. Quando veniva chiamato, si recava anche nei territori delle popolazioni vicine per nominare i vescovi, organizzare intere comunità e scegliere come chierico uno di quelli designatigli dallo Spirito. 7. Giunto dunque in una città non lontana (il cui nome alcuni riportano 83), prese, fra le altre cose, a dare sollievo ai fratelli; indirizzando poi lo sguardo sul vescovo, capo dell'intera comunità, vide un giovane vigoroso nel corpo, bello a vedersi, d'animo ardente. Rivoltosi al vescovo, disse: "Lo affido alle tue cure alla presenza della Chiesa e di Cristo come testimoni". Il vescovo lo prese con sé, promettendo a Giovanni, con le stesse parole e di fronte agli stessi testimoni, che ne avrebbe avuto cura. 8. L'apostolo ritornò allora ad Efeso. Il presbitero accolse in casa sua il giovane che gli era stato affidato, lo allevò, lo educò, se ne curò, e infine lo battezzò. Dopo il battesimo lo liberò dal suo zelo e dalla sua tutela, poiché credeva di avere posto in lui il segno del Signore, difesa perfetta. 9. Allentata la custodia prima del momento giusto, alcuni coetanei, corrotti e dissoluti, ormai avvezzi al male, lo condussero alla rovina; dapprima lo portarono con loro in pranzi fastosi, poi di notte a rubare; infine pensarono bene fare qualcosa di ancora più grande. 10. Egli in poco tempo si abituò a tutto questo e, per la sua grande natura, allontanandosi dalla via della rettitudine come un cavallo indocile e vigoroso che morde il freno, sprofondava sempre più nel baratro. 11. Rinunziando alla salvezza in Dio, ambiva alla realizzazione non di piccoli progetti, ma di grandi disegni; e, poiché era ormai perduto per sempre, ritenne bene seguire la stessa strada degli altri suoi compagni.

82 II riferimento è a Domiziano, morto nel 96 d.C.

83 Smirne.

Radunatili, organizzò una banda, di cui fu degno capo, violentissimo, crudelissimo, spieiato. 12. Trascorso del tempo, presentandosene la necessità, fu chiamato Giovanni. Egli, quando ebbe sistemato le altre cose per le quali era venuto, disse: "Orsù, o vescovo, rendici il bene che io e Cristo ti abbiamo dato in cura alla presenza della Chiesa, di cui sei il capo e che ne è testimone". 13. Egli dapprima rimase colpito, credendo di essere accusato di avere rubato ricchezze che non aveva mai preso. Ma non poteva non credere a Giovanni per quelle cose che non aveva mai avuto e non prestare fede alla sua parola. Così Giovanni gli disse: "II giovane ti chiedo, e l'anima del fratello". Il presbitero, volgendo gli occhi in basso e scoppiando in lacrime, disse: "Costui è morto". "Come e di quale morte?". "E morto a Dio", rispose; "è divenuto infatti malvagio e dissennato, ma soprattutto brigante, e, invece di stare in Chiesa, se ne sta rintanato sui monti con una banda di uomini suoi pari". 14. L'apostolo, strappata-si la veste, gemette a lungo e, battutosi il capo, disse: "Bella custodia all'anima del fratello ho lasciato! Portatemi un cavallo e qualcuno mi faccia da guida per il cammino"; e parti da quella Chiesa così come era. 15. Giunto sul luogo, venne preso dall'avanguardia dei briganti, ma non tentò la fuga, ne implorò la propria libertà, ma gridò: "Conducetemi dal vostro capo, perché è per lui che sono venuto". 16. Questi lo aspettava armato e, riconosciuto Giovanni che entrava, preso da vergogna, cercò di darsi alla fuga. 17. Ma l'apostolo, dimentico della sua età, si mise ad inseguirlo con tutte le sue forze gridando: "Perché fuggi, figlio, da me, tuo padre disarmato e vecchio? Abbi pietà di me, figlio, non temere; hai ancora speranza di salvezza. Io chiederò venia a Cristo per tè; se necessario, morirò volentieri al tuo posto, come ha fatto il Signore per noi; per la salvezza della tua anima darò la mia. Fermati; credimi, Cristo mi ha mandato". 18. Uditelo, dapprima si fermò abbassando lo sguardo; poi gettò via le armi e, tremando, pianse amaramente. Abbracciò il

vecchio che si avvicinava a lui, implorando il suo perdono, come poteva, tra i singhiozzi e le lacrime, con le quali fu battezzato nuovamente; ma nascondeva la destra. 19. Giovanni, avvicinatesi, gli giurò che aveva trovato perdono per lui presso il Salvatore e, pregandolo in ginocchio e baciandogli la destra ormai mondata dal pentimento, lo ricondusse alla Chiesa. Supplicandolo con assidue preghiere, combattendo con lui in continui digiuni e affascinando la sua mente con Ì vari incanti dei suoi discorsi, non lo abbandonò, come si dice, se non prima di averlo restituito alla Chiesa, lasciando così un grande esempio di vero pentimento e di grande monito di rinascita, trofeo della resurrezione evidente a tutti" 84.

24. lordine DEI vangeli

1. Ho riferito questo racconto di Clemente per il contenuto e per l'utilità che ne ricaveranno coloro che lo leggeranno.

Orsù, elenchiamo le opere indiscusse dell'apostolo Giovanni. 2. Per prima cosa si deve riconoscere autentico il Vangelo secondo Giovanni, noto a tutte le Chiese della terra. Chiarirò ora perché gli antichi, a ragione, gli hanno assegnato il quarto posto dopo gli altri tré. 3. Quegli uomini divini e veramente degni di Dio, dico gli apostoli del Cristo, che conducevano una vita proba e avevano ornato le loro anime di ogni virtù, inesperti di arte oratoria, ma coraggiosi per la potenza divina e miracolosa data loro in dono dal Salvatore, non seppero e non tentarono neppure di annunciare con persuatrice arte sofistica gli insegnamenti del Maestro, ma, forti della manifestazione dello Spirito divino che operava in loro e della sola potenza del Cristo operatrice di miracoli, che agiva per loro tramite, fecero conoscere a tutto il mondo il regno dei cieli, dandosi poco pensiero della bellezza stilistica.

8-1 Chi è il ricco che si salva?, 42.

4. Facevano questo perché erano preposti ad un servizio più grande e superiore alla condizione umana. Paolo pertanto, quantunque espertissimo nell'arte di elaborare discorsi e ingegnoso nei pensieri, non scrisse che brevissime lettere, sebbene avesse da dire mille cose, per di più ineffabili, che era stato reputato degno di udire quando aveva sfiorato la bellezza meravigliosa del terzo ciclo ed era stato rapito fin nello stesso Paradiso divino. 5. Delle stesse cose non furono privati neppure gli altri che avevano frequentato il nostro Salvatore: i dodici apostoli, i settanta discepoli e innumerevoli altri. Ma fra tutti coloro che furono vicini al Signore, soltanto Matteo e Giovanni hanno lasciato le loro memorie che, si dice, misero per iscritto perché ne avvertivano la necessità. 6. Matteo, che in un primo momento predicò la buona novella agli Ebrei, quando stava per andare anche presso altri popoli, compose nella lingua patria 85 il proprio Vangelo, sostituendo, con esso, la sua presenza presso coloro che lasciava. 7. Si dice che, quando Marco e Luca avevano ormai redatto i loro Vangeli, Giovanni, che aveva sempre predicato oralmente, decise di scrivere il suo Vangelo per il seguente motivo. Si dice che egli approvò i primi tré Vangeli già scritti e noti a tutti e anche a lui,, testimoniandone così la veridicità; decise poi di affidare alla scrittura soltanto d racconto delle azioni compiute da Cristo all'inizio della sua predicazione. 8. Ciò corrisponde a verità: si può infatti constatare che i tré evangelisti hanno dato inizio alla loro narrazione soltanto a partire da ciò che fece il Salvatore in un solo anno, dopo la detenzione in carcere di Giovanni il Battista. -

85 Alcuni studiosi, a partire già da A. von Wldmanstadt (1555), hanno avanzato l'ipotesi che la prima redazione di questo Vangelo fosse in aramaico. Presupposto ne era che l'ebraico non sarebbe più stato parlato ai tempi di Gesù. La scoperta dei manoscritti di Qumran, che sono tutti in ebraico, e la testimonianza di Papia, riportata da Eusebio a 39, 16, che attesta esplicitamente che il Vangelo di Matteo è stata composto nella lingua ebraica, hanno dimostrato l'infondatezza di questa supposizione


9. Dopo aver parlato del digiuno di quaranta giorni e della tentazione che ad esso seguì, Matteo precisa il momento da cui comincia ad esporre gli avvenimenti dicendo: Avendo saputo che Giovanni era sfato arrestato, si ritirò dalla Giudea in Galileo ab; 10. e così pure Marco: Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò in Galileo dc; e Luca, prima di dare inizio alla narrazione delle azioni di Gesù, da una notizia simile, dicendo che Erode chiuse Giovanni in carcere dd, aggiungendo così un altro male a quelli già compiuti. 11. Si dice perciò che l'apostolo Giovanni fu pregato di far conoscere col suo Vangelo il periodo omesso nel racconto dei precedenti evangelisti e le azioni compiute dal Salvatore in questo tempo (in quello cioè anteriore all'arresto del Battista). È lo stesso evangelista ad attestare ciò dicendo: Così Gesù diede inizio ai propn miracolide. E riferendo, tra le altre azioni di Gesù, il battesimo che egli ricevette dal Battista quando costui battezzava nella regione di Euon, vicino Salem, lo dichiara con chiarezza ancora maggiore dicendo: Cosi infatti Giovanni non era stato ancora rinchiuso in carcere ^. 12. Dunque Giovanni, nel suo Vangelo, riferisce le azioni di Cristo anteriori all'arresto del Battista, mentre gli altri tré evangelisti riportano gli avvenimenti successivi alla sua detenzione in carcere. 13. A chi conosce queste cose, non sembrerà più che i Vangeli discordino fra di loro, perché quello di Giovanni riferisce le prime azioni compiute da Cristo, gli altri quelle che egli fece negli ultimi anni della sua vita terrena. Pertanto Giovanni ha omesso di riportare la genealogia secondo la carne del nostro Salvatore, perché già riferita da Matteo e da Luca dh, ma cominciò dalla sua teologia 86, quasi fosse stata riservata a lui, come al migliore, dallo Spirito di Dio.

db Mt 4, 12 ac Me 1, 14 ad Le 3, 20 3,24 ^Mt 1, 1-17

aeGv2, 11

14. Circa la composizione del Vangelo secondo Giovanni basti quanto detto; ed ho già illustrato precedentemente 87 la causa che diede origine a quella del Vangelo secondo Marco. 15. Luca poi, all'inizio del suo Vangelo -", espone il motivo che presiede alla sua composizione, mostrando che, poiché molti altri si erano già adoperati alquanto sconsideratamente nel riferire quegli avvenimenti di cui egli invece si era pienamente informato, spinto da necessità, volendo allontanare da noi le loro dubbie narrazioni, ha tramandato un racconto accurato degli avvenimenti di cui aveva appreso la verità grazie alla frequentazione di Paolo e al contatto e dialogo con gli altri apostoli. 16. Su ciò basti quanto detto; tenterò a tempo debito 88 di illustrare con più precisione, tramite la testimonianza degli antichi, ciò che altri hanno riferito a questo riguardo. 17. Fra gli scritti di Giovanni, oltre al Vangelo, viene ritenuta autentica, sia dai contemporanei sia dagli antichi, anche la sua Prima lettera; le altre due invece sono oggetto di controversia 89. 18. Ma sull'attribuzione dell''Apocalisse ancora oggi molti nutrono gravi dubbi; anche su ciò riferirò al momento opportuno 9Q il giudizio dato dagli antichi nelle loro opere.

25. le sacre scritture RITENUTE DIVINE E QUELLE CHE NON LO SONO

  1. È bene a questo punto riepilogare gli scritti del Nuovo Testamento fin qui esaminati. Al primo posto si devono mettere le divine scritture dei quattro Vangeli, cui seguono gli Atti degli Apostoli', 2. vengono poi le Lettere di Paolo, alle quali seguono la lettera trasmessa come la Prima di Giovanni e la Prima di Pietro. A queste segue, se sembra bene, ^Apocalisse di Giovanni, su cui riferiremo al momento opportuno le diverse opinioni. 3. Questi sono gli scritti autentici. Tra quelli oggetto di controversia, ma noti ai più, sono tramandate la lettera attribuita a Giacomo, quella a Giuda, la seconda di Pietro, e le cosiddette seconda e terza di Giovanni, sia che esse siano da attribuire all'evangelista o ad un suo omonimo. 4. Tra gli scritti non testamentari sono da annoverare invece gli Atti di Paolo 91, il cosiddetto Pastore 92, Apocalisse di Pietro 93, la Lettera detta di Barnaba 94, la cosiddetta Didachè degli apostoli 95, e inoltre, come ho detto, V Apocalisse di Giovanni, se sembra il caso: alcuni, come ho detto, ne negano l'autenticità, altri invece la annoverano fra gli scritti autentici dell'apostolo. 5. Ormai fra questi ultimi alcuni hanno incluso anche il Vangelo secondo gli Ebrei 96, gradito soprattutto agli Ebrei che hanno accolto il Cristo.

ah Le 3, 23-38. -"Lei, 1-4

86 Sul significato di questo termine cf supra. I, n 8.

87 Cf supra, II, 15

88 Cf infra, VII, 25

89 Non è questo il luogo per trattare di una così lunga e complessa questione. Su di essa cf O. Cullmann, Introduzione al Nuovo Testamento, cit, pp 125-126 ^ Cf. n 88

91 Cf n. 10.

92 Cf n 11. ^ Ci. n 7

94 Con Eusebio concorda anche Girolamo, Gli uomini illustri, 6 Lo scritto appartiene alla seconda metà del I secolo d C Per una trattazione più ampia cf M Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit, pp 38-39

95 L'opera, composta nel 50-60 d C (ma secondo altri nel 150), contie ne norme liturgiche riguardanti il battesimo, il digiuno, la preghiera, l'eucaristia, l'elezione dei vescovi e dei diaconi, e traccia un quadro della vita religiosa dei primi cristiani dopo la morte degli apostoli

96 Si tratta di un apocrifo Di esso parla Girolamo, Gli uomini illustri, 2, che ne curò una traduzione greca e latina Egli riferisce che esso era m uso presso i Nazareni, i giudeo-cristiani di Siria e Palestina di lingua ebraica, che lo ritenevano il testo aramaico originale del Vangelo di Matteo La presenza di stretti punti di contatto con quest'ultimo ha fatto supporre ai moderni che si tratta di una rielaborazione, e non dell'originale, del testo aramaico dell'evangelista.


6. Tutti questi sarebbero fra i testi controversi, che è stato necessario elencare per distinguere le opere autentiche, vere e accettate da tutti in base alla tradizione ecclesiastica da quelle che non soltanto non sono testamentarie, ma anche di discussa autenticità, e tuttavia note a gran parte degli scrittori ecclesiastici, per potere distinguere le autentiche da quelle redatte dagli eretici sotto il nome degli apostoli: i Vangeli di Pietro 97, di Tom-maso 98, di Mattia " e di alcuni altri oltre questi, gli Atti di An-drea 100, di Giovanni loi e degli altri apostoli102. Nessuno degli autori ecclesiastici che si succedettero nei tempi li ha ritenuti degni di menzione nelle proprie opere: 7. non solo il carattere in cui sono composti questi scritti, di gran lunga differente da quello apostolico, ma anche il pensiero e la dottrina in essi esposti, lontanissimi dalla vera ortodossia, rendono manifesto infatti che sono stati composti da eretici. Pertanto non devono essere annoverati neppure tra le opere non testamentarie, ma rigettati come completamente insensati ed empi.

97 Cf. supra, n. 5.

98 L'opera, risalente al II secolo e nota in diverse recensioni (greca, latina, siriaca, armena, georgiana, etiopica), racconta in modo alquanto leggendario la vita di Gesù fino al dodicesimo anno di età.

99 Lo scritto è di origine gnostica. È identifìcabile forse con le Tradizioni di Mattia, attestato in Clemente di Alessandria, Stremata, 2, 9, 4; 3, 4, 26; 7, 13, 82. Esso è andato perduto.

100 L'opera è di origine gnostica. Essa è giunta in stato frammentario e tramanda la storia di Andrea e Mattia nel paese degli Antropofagi e degli apostoli Pietro e Andrea, il martirio di Andrea e il discorso dell'apostolo nel carcere di Patrasso.

101 Scritto eretico con tendenze al docetismo. Rimangono solo tré frammenti negli Atti del secondo concilio di Nicea (787), contenenti un inno al Signore e una predica di Giovanni. 102 Filippo, Timoteo, Matteo, Bartolomeo, Marco, Barnaba.

26. il MAGO menandro

1. Proseguiamo nella nostra narrazione. Menandro, succeduto a Simon Mago, si rivelò con le sue azioni strumento della forza diabolica pari al suo predecessore. Era anch'egli samaritano e, giunto al più alto grado di magia, non inferiore a quello del maestro, fu prodigo di fandonie ancora più grandi, proclamandosi il Salvatore inviato dall'alto del cielo per la salvezza degli uomini da eoni invisibili, 2. e insegnando che nessuno, neppure fra gli stessi angeli creatori del cosmo, avrebbe potuto salvarsi se non si fosse prima sottoposto all'esperienza della magia da lui proposta e non avesse ricevuto il battesimo da lui impartito: coloro che ne sarebbero stati infatti resi degni avrebbero partecipato dell'eterna immortalità anche nella vita terrena e non sarebbero mai morti, ma sarebbero rimasti sulla terra giovani in eterno e immortali. Tutto ciò lo si può facilmente apprendere leggendo le opere di Ireneo 103.

3. Anche Giustino 104, dopo aver fatto menzione, nella sua opera, di Simone, spiega la dottrina di Menandro dicendo: "Sappiamo che un tal Menandro, anch'egli uomo di Samarla, del villaggio di Caparotta, discepolo di Simone, spinto, come il suo maestro, dai demoni, si recò ad Antiochia, dove trascinò nell'errore molti con la sua arte magica, persuadendo i suoi ascoltatori che non sarebbero mai morti; e ancora oggi esistono di coloro che, seguendo la sua dottrina, credono in ciò" 105.

4. A causa della potenza demoniaca che agiva in siffatti maghi, che si nascondevano dietro il nome di cristiani, il grande mistero della nostra religione correva il rischio di essere ritenuto opera di magia, e i dogmi della Chiesa sull'immortalità dell'anima e la resurrezione dei morti di essere diffamati a causa loro. Ma coloro che scelsero questi come salvatori hanno allontanato da sé ogni speranza di verità.-

103 Contro le eresie. I, 23, 5.

104 Su questo autore cf. supra, II, n. 50. ^51 Apologià, 26, 4.


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27. L'ERESIA DEGLI EBIONITI

1. Il demonio, pur non riuscendo a distogliere alcuni dalla disposizione naturale che fa tendere l'anima al Cristo di Dio, li trasse ugualmente in suo potere, approfittando della loro debolezza. Gli antichi denominarono giustamente questi ultimi Ebioniti, perché avevano concezioni misere e meschine sul Cristo. 2. Lo ritenevano un uomo semplice e comune, che aveva perseguito la virtù migliorando il proprio carattere, generato dall'unione di un uomo con Maria. Avevano un bisogno assoluto di una religione basata sulla Legge, poiché non credevano che si sarebbero salvati solo grazie alla fede in Cristo e ad una vita ad essa conforme. 3. Ma altri, sebbene mèmbri anch'essi della stessa setta, rifiutavano la folle dottrina dei loro compagni, credendo che il Signore nacque da una Vergine e dallo Spirito Santo; ma non riconoscevano, come loro, la preesistenza di Dio Verbo e Sapienza, ritornando così nell'empietà dei primi, soprattutto per la valorizzazione dell'osservanza materiale della Legge, proprio come quelli. 4. Ritenevano che si dovessero rigettare del tutto le lettere dell'apostolo Paolo, che denominavano "apostata della Legge", e facevano uso soltanto del Vangelo detto secondo gli Ebrei106, tenendo in pochissimo conto gli altri; 5. e, come gli Ebrei, erano rispettosi del Sabato e di ogni altra usanza giudaica, ma osservavano le Domeniche a ricordo della resurrezione del Salvatore, quasi come noi. 6. Il loro comportamento da spiegazione del nome di Ebioniti, che attesta la povertà della loro intelligenza: "il povero" infatti viene designato nella lingua ebraica con il termine "ebionita".

106 Cf. supra, n. 96.

28. L'ERESIARCA cerinto

1. Sappiamo che in questi tempi capo di un'altra eresia fu Cerinto. Gaio 107, le cui parole sono state già prima da me citate 108, nella sua Ricerca, a noi pervenuta, scrive di lui: 2. "Ma anche Cerinto, dicendo il falso, sulla base di rivelazioni che sarebbero state scritte da un grande apostolo narra avvenimenti straordinari che gli sarebbero stati svelati dagli angeli, dicendo che, dopo la resurrezione, il regno di Cristo sarebbe venuto di nuovo sulla terra e che i cittadini di Gerusalemme sarebbero stati nuovamente schiavi dei desideri e dei piaceri. Ed essendo nemico delle Scritture di Dio, ingannava Ì suoi ascoltatori, insegnando loro che ci sarebbe stata una festa nuziale della durata di mille anni".

  1. E anche Dionigi 10<?, che ai nostri tempi detiene l'episcopato nella diocesi di Alessandria, riportando nel secondo libro delle Promesse, riguardo ^Apocalisse di Giovanni, notizie desunte dalla tradizione degli antichi, fa menzione dello stesso personaggio con queste parole: 4. "Cerinto, fondatore dell'eresia che da lui prese il nome di cerintiaca, volle dare ad essa un nome degno di fede. 5. Il dogma del suo insegnamento era infatti che il regno di Cristo sarebbe venuto sulla terra. E, da uomo incline ai piaceri del corpo e della carne, diceva che esso avrebbe avuto a fondamento ciò che egli desiderava, il pieno soddisfacimento dei piaceri del ventre e di ciò che sta sotto il ventre, cioè il gozzovigliare, il bere, l'avere rapporti non leciti, feste, sacrifici e immolazioni di vittime sacre, tutte cose che facevano ritenere la sua dottrina più encomiabile di ogni altra".

107 II riferimento è a Filone, per il quale cf. supra, II, 4, 2; 17-18, e n. 19. 1^ Ct.supra, II, 25, 6.

109 Discepolo di Origene, fu a capo della scuola catechetica di Alessandria dal 231 al 232 d.C. Per le opere da lui composte cf. infra, VI, 45, 46; VII, 4; 24; 26. Nell'opera Le promesse, di cui si conservano solo frammenti, negava l'autenticità Agl'Apocalisse di Giovanni. Di essa Eusebio cita un'ampia pagina (infra, VII, 25). Una trattazione più ampia in M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 130-132.



6. Questo dice Dionigi. Ireneo, dopo aver esposto nel primo libro del Contro le eresie alcune delle sue false dottrine più indicibili 110, riferisce nel terzo anche la seguente storia degna di ricordo, ripresa, come dice, dalla tradizione di Policarpo m. Un giorno l'apostolo Giovanni entrò in un bagno pubblico per lavarsi. Ma, saputo che dentro c'era anche Cerinto, fuggendo verso la porta, si allontanò da quel luogo, non sopportando di starsene sotto lo stesso tetto con lui, e consigliò ai suoi compagni di fare altrettanto dicendo: "Scappiamo, prima che il bagno crolli per la presenza di Cerinto, nemico della verità" 112.

29. nicola E COLORO CHE DA LUI HANNO DESUNTO IL PROPRIO NOME

1. Oltre a queste eresie si affermò, ma per poco tempo, anche quella detta dei Nicolaiti, ricordata anche nell’ Apocalisse di Giovanni ^. Costoro magnificavano Nicola, uno dei diaconi insieme a Stefano, designati dagli apostoli per il servizio ai bisognosi. Clemente di Alessandria, nel terzo libro degli Stremata 113, riporta su di lui questo racconto: 2. "Costui, biasimato dagli apostoli, dopo l'ascensione del Salvatore, per la gelosia che aveva verso la moglie, donna di esimia bellezza, condusse quest'ultima in mezzo a loro, offrendola in sposa a colui che la voleva.

a) Ap 2, 6, 15.

110 Contro le eresie. I, 26, 1.

111 Famoso martire cristiano, autore di alcune lettere a varie comunità. Su di lui cr. infra, IV, 14-15 e M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., p.37.

112 Contro le eresie. III, 3, 4.

113 Sugli Stremata e sulle altre opere di Clemente di Alessandria cf. supra. I, n. 79.

Dicono che egli accompagnò a questa azione la frase: "occorre disprezzare la carne". Coloro che partecipano alla sua eresia, fraintendendo ciò che egli fece e disse in modo semplice e puro, si prostituiscono senza pudore. 3. Ma io so che Nicola non si unì a nessun'altra donna se non a quella che aveva sposato; dei suoi figli le femmine si mantennero vergini fino alla vecchiaia, il maschio rimase sempre puro. Stando così le cose, il condurre fra gli apostoli la donna di cui era geloso simboleggiava il rifiuto di ogni passione, e il "disprezzare la carne" insegnava il dominio dei piaceri più desiderati. Non credo, infatti, che egli volesse, contro il comandamento del Signore, "servire due padroni", il piacere e il Signore. 4. Dicono pertanto che anche Mattia, non abbandonandosi affatto al piacere, abbia insegnato a combattere e disprezzare la carne e a far crescere l'anima con fede e conoscenza" 114.

Questo dunque basti su coloro che nei tempi che stiamo esaminando misero mano a falsare la verità, ma che scomparvero del tutto in men che non si dica.

30. gli APOSTOLI CHE SI UNIRONO IN MATRIMONIO

1. Clemente inoltre, subito dopo le parole che ho appena riferito, elenca, per confutare coloro che disprezzano il matrimonio, quegli apostoli che si legarono in vincoli matrimoniali, dicendo: "Forse che condanneranno anche gli apostoli?

dk 1 Cor 9, 12. 114 Stromata.m,^-^.


Pietro e Filippo infatti generarono figli, e Filippo diede le sue figlie in spose. Paolo poi non esita, in una lettera ak, a menzionare una donna a lui coniugata, che non aveva portato con sé per avere maggiore libertà nella sua missione" 115.

2. Dopo aver ricordato queste cose, non è disdicevole riportare anche un'altra storia degna di essere raccontata, riferita dallo stesso autore nel settimo libro degli Stremata con queste parole: "Dicono dunque che il beato Pietro, vedendo la sua sposa ormai vicina alla morte, gioì del fatto che essa veniva chiamata a far ritorno nel luogo da cui era venuta; e per incoraggiarla ed esortarla, la chiamò per nome e le disse: "Ricordati, cara, del Signore". Di tal natura era il matrimonio dei beati e la perfetta disposizione dell'anima di coloro che sono carissi-mi a Dio" 116.

E stato questo il momento opportuno di riferire queste notizie, perché strettamente congiunte ai fatti che sto esponendo.

•31. morte DI giovanni E DI filippo

1. Ho già trattato prima 117 del tempo e del modo in cui morirono Paolo e Pietro, e anche del luogo della loro sepoltura dopo la morte. 2. Si è già parlato anche del tempo di Giovanni 118. Il luogo della sua sepoltura è indicato in una lettera indirizzata da Policrate, vescovo della Chiesa di Efeso, a Vittore, vescovo di Roma, in cui si fa menzione allo stesso tempo di Giovanni, dell'apostolo Filippo e delle sue figlie con queste parole: 3. "Grandi astri si sono oscurati in Asia; essi risorgeranno l'ultimo giorno della venuta del Signore, quando egli scenderà dal cielo nella gloria e radunerà tutti i santi, Filippo, uno dei dodici apostoli, sepolto a lerapoli, e le sue fìglie, che si mantennero vergini fino alla vecchiaia. La terza figlia, vissuta sotto la guida dello Spirito Santo, è sepolta ad Efeso. Anche Giovanni, colui che posò sul petto del Signore, che fu sacerdote, indossò il pétalon 119 e fu maestro e martire, è sepolto ad Efeso". 4. Questo per quanto riguarda la loro morte. Nel dialogo di Gaio, menzionato poco sopra 120, Proclo, con cui era in disaccordo, riporta la stessa versione della morte di Filippo e delle sue fìglie, concordante con ciò che abbiamo fin qui riferito: "Dopo di lui, quattro profetesse, figlie di Filippo, giungono a lerapoli, città dell'Asia; qui si trova la loro tomba e quella del loro padre". Questo è quanto egli racconta. 5. Anche Luca, negli Atti degli Apostoli, ricorda le fìglie di Filippo, che vivevano insieme col padre a Cesarea di Giudea e che furono onorate del dono della profezia. Dice l'apostolo: Arrivati a Cesarea ci recammo a casa di Filippo l'evangelista, uno dei sette, da cui ricevemmo ospitalità. Questi aveva quattro figlie vergini, profetesse d1.

6. Ho passato in rassegna ciò che sapevo sugli apostoli, sui loro tempi, sugli scritti sacri che ci hanno lasciato, su quelli controversi, di cui tuttavia molti fanno pubblica lettura in moltissime Chiese, e su quelli non testamentari e lontani dall'ortodossia apostolica. Proseguiamo ora nella nostra opera passando alla narrazione degli avvenimenti successivi.

115 Stromata, III, 52-53. \\b cromata. VII, 63-64.

117 Cf. ^^11,25.

118 Cf. supra, 23,3-4.

•^21,8-9.

119 Lamina d'oro posta sopra la mitra del sacerdote ebraico.

120 Su di lui ci. supra, II, 25, 6-7 e n. 115.

32. il MARTIRIO DI SlMEONE, VESCOVO DI gerusalemme



1. Si racconta che dopo Nerone e Domiziano, sotto l'imperatore 121 del cui tempo ci stiamo ora occupando, in ogni città scoppiò, in seguito ad una rivolta popolare, la persecuzione contro di noi; sappiamo che durante questa Simeone, figlio di Cleopa, nominato, come abbiamo già detto 122, secondo vescovo della Chiesa di Gerusalemme, subì il martirio. 2. Di questo è testimone quello stesso Egesippo, delle cui parole anche in precedenza, in varie occasioni123, mi sono servito. Egli, parlando di certi eretici, racconta che Simeone, da loro denunciato in quel tempo, fu torturato per moltissimi giorni perché cristiano, colpendo enormemente il giudice e coloro che gli stavano intorno; morì infine allo stesso modo del Signore. 3. Ma è meglio cedere la parola all'autore, che racconta l'episodio dicendo testualmente: "Alcuni di questi eretici denunciarono Simeone, figlio di Cleopa, accusandolo di essere discendente di Davide e cristiano. Così, all'età dei centoventi anni, subì il martirio per testimoniare la sua fede in Cristo, al tempo di Cesare Traiano e del console Attico 12-^". 4. Lo stesso scrittore racconta che, mentre venivano ricercati i Giudei di stirpe regale, i suoi accusatori furono uccisi perché ritenuti appartenenti ad essa. Servendoci pertanto come prova della durata della sua vita e del fatto che i Vangeli ricordano Maria, figlia di Cleopa, del quale anche Simeone era figlio, come si è sopra detto, a ragione si può concludere che Simeone appartenne al numero di coloro che videro e ascoltarono il Signore. 5. Lo stesso scrittore dice che anche altri discendenti di uno di quelli che erano ritenuti fratelli del Salvatore, di nome Giuda, vissero fino al tempo del suddetto imperatore. E dopo la testimonianza, riferita già prima 125, della loro fede nel Cristo sotto Domiziano, scrive: 6. "Dirigono ogni Chiesa come testimoni e discendenti del Signore; e vissero fino al regno di Cesare Traiano, in un periodo in

cui regnava una pace profonda in ogni Chiesa; sotto questo imperatore il figlio dello zio del Signore, il già menzionato Simeone, figlio di Cleopa, fu denunciato dagli eretici e processato an-ch'egli per la stessa accusa al tempo del console Attico. Egli, sottoposto a tortura per molti giorni, rese la sua testimonianza di fede, facendo stupire, fra tutti gli altri, anche il console di come un uomo, dell'età di centoventi anni, potesse avere una simile resistenza. Si comandò poi di crocifiggerlo". 7. Inoltre lo stesso autore, raccontando ciò che avvenne nei tempi di cui stiamo parlando, riferisce anche che la Chiesa rimase fino a quel momento pura e casta come una vergine, poiché coloro che tentarono di distruggere la salutare regola dell'annuncio della salvezza, se ne esisteva qualcuno, rimasero nascosti fino ad allora nella tenebra più oscura. 8. Ma quando morirono in varie circostanze la sacra schiera degli apostoli e la stirpe di coloro che furono resi degni di ascoltare Cristo, saggezza divina, con le proprie orecchie, allora cominciò a sorgere l'empio errore per le falsità diffuse da maestri menzogneri che, approfittando del fatto che nessun apostolo era rimasto più in vita, cercarono, ormai a viso aperto, di sostituire una falsa conoscenza all'annuncio della verità.

121 II riferimento è a Traiano.

122 Ci.supra, 11. 12^ Cf supra, II, 23, 3ss; supra, III, 11; 16; 20, Iss.

124 Attico fu console in Giudea dal 99 al 103 d.C.

125 Cf. supra, 20, Iss.

33. traiano PROIBÌ DI RICERCARE I cristiani

1. In più luoghi scoppiò in quel tempo una così grande persecuzione contro di noi che Plinio Secondo 126, il più illustre fra i procuratori di Roma, colpito dal grande numero di martiri, riferì all'imperatore il numero di coloro che avevano dato la loro vita per la fede. -

126 Nipote dello scienziato Plinio il Vecchio, nacque a Como nel 61 o 62 d.C. Venuto ben presto a Roma, divenne discepolo di Quintiliano. Nel 100, per celebrare la propria nomina a console, compose il Panegirico, in cui esalta l'imperatore Traiano come il restauratore della libertà soppressa da Domiziano. Nel 110 divenne governatore di Bitinia. Fu anche autore di un importante Epistolario in dieci libri.


Gli rese noto anche che essi non venivano colti a dire qualcosa di empio ne a commettere qualcosa di illegale. SÌ alzavano all'alba, scriveva, per cantare inni al Cristo come ad un dio, ed erano per loro azioni empie commettere adulterio, uccidere e altri crimini simili. Gli disse inoltre che essi vivevano e si comportavano secondo le leggi 127. 2. A queste parole Traiano emanò un decreto, che ordinava di non ricercare più i Cristiani, ma di punirli se denunciati. In parte perciò si spense la minaccia della persecuzione che ci incalzava violentemente. Ma non per questo a coloro che volevano nuocerci mancavano i pretesti per farlo; ormai infatti sia il popolo sia i comandanti di ogni singola regione macchinavano insidie contro di noi, così che, anche senza persecuzioni aperte, se ne svilupparono di parziali nella provincia, e molti fedeli andarono incontro a martiri di ogni tipo. 3. Il racconto di questi avvenimenti è stato desunto dall’ Apologetico di Tertulliano, scritto in latino, già menzionato sopra 128, che noi riportiamo: "Eppure abbiamo saputo della proibizione di darci la caccia. Plinio Secondo, governatore di una provincia, giudicò e condannò alcuni Cristiani; ma, sbigottito dal loro numero, non sapendo co-s'altro fare, scrisse all'imperatore Traiano, dicendogli di non aver trovato in loro niente di empio se non il rifiuto di adorare gli dei pagani. Gli disse anche che i Cristiani si svegliavano all'alba per innalzare un canto a Cristo come al loro dio, e che la loro dottrina proibiva di uccidere, fornicare, essere avidi, rubare e altre cose simili. A queste notizie Traiano rispose di non perseguitare più i Cristiani, ma di punirli se denunciati" 129. Anche questi furono avvenimenti di quel tempo.

128 Cf. supra, II, 2, 4; 25, 4; supra, 20, 7.

129 Apologetico, 2,6-7.

(Teofilo)
00lunedì 21 settembre 2009 19:28
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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 09/01/2004 10.37

34 quarto VESCOVO DELLA chiesa DI ROMA FU EVARISTO

Per quanto concerne i vescovi di Roma, nel terzo anno di regno del suddetto imperatore 130 mori Clemente, dopo aver di retto l'insegnamento della parola di Dio per nove anni interi, lasciando il ministero a Evansto

35 terzo VESCOVO DI gerusalemme FU giusto

Morto anche Simeone nel modo già descritto 131, succedette all'episcopato di Gerusalemme un giudeo di nome Giusto, uno dei moltissimi circoncisi che in quel tempo si erano convcrtiti a Cristo

36 ignazio E LE SUE LETTERE

1 In questi tempi viveva in Asia Policarpo, discepolo de gli apostoli, designato vescovo della Chiesa di Smirne da coloro che avevano visto coi loro occhi e servito il Signore 2 In quel tempo si distinsero Papia, vescovo della Chiesa di lerapoli 132, e Ignazio, famoso ancora oggi ai più, secondo vescovo di Antiochia dopo Pietro 3 Si racconta che questi, mandato dalla Siria a Roma, divenne cibo delle belve per la sua fede in Cristo 133 4 Attraversando l'Asia, sebbene sotto una strettissima sorveglianza di una scorta, rinvigoriva con discorsi ed esortazioni la fede delle diocesi in ogni città in cui si fermava, ammo nendo come prima cosa a stare lontano dalle eresie che allora per la prima volta cominciavano a prendere piede, e raccomandando di attenersi alla tradizione apostolica, che ritenne necessario, per maggiore sicurezza, affidare alla scrittura, pur avendone reso già testimonianza.

150 Cioè Tralano L'anno indicato e il 100 d C

131 Cf supra 32

132 Su di lui cf infra, 39

133 Ignazio fu martirizzato nel 110 d C circa


4Così, mentre era a Smirne, dove viveva Policarpo, scrisse una lettera alla Chiesa di Efeso, in cui fa menzione del suo pastore Onesimo, e un'altra a quella di Magnesia sul Meandro, dove ricorda di nuovo il vescovo Dama, e un'altra ancora a quella di Traile, presieduta allora, dice, da Polibio. 6. Oltre a queste, scrisse anche alla Chiesa di Roma, che scongiurò di non togliergli, intercedendo per lui, l'ardente speranza del martirio. E’ bene, a dimostrazione delle cose dette finora su di lui, riportare da questa lettera brevissimi passi. Scrive dunque testualmente: 7. "Dalla Siria fino a Roma combatto con le belve per terra e per mare, di giorno e di notte, legato a dieci leopardi (cioè ad un ordine di soldati) che, quando si fa loro del bene, diventano ancora più cattivi; ma grazie alle loro ingiustizie divento ancora di più discepolo di Cristo. Non per questo però sono giustificato •am.

8. Potessi io avere qualche bene dalle belve già pronte contro di me, che spero di trovare sbrigative. Se no sarò io stesso ad esortarle a divorarmi prontamente, perché non mi succeda, come ad alcuni, di non essere sbranato; qualora esse non volessero, le indurrò io stesso a farlo. 9. Concedetemi il vostro perdono. So io che cosa conviene a me. Ora comincio ad essere discepolo di Cristo. Nessuna delle cose visibili o invisibili mi impedisca di giungere a Gesù Cristo: fuoco, croce, belve voraci, ossa sfracellate, membra dilaniate, piaghe in tutto il corpo, punizioni del diavolo mi colgano pure purché possa giungere a Gesù Cristo!" I34. 10. Questo scrisse dalla città suddetta alle Chiese sopra menzionate. Lasciata Smirne, giunse nella Troade, da dove inviò uno scritto alla Chiesa di Filadelfìa e a quella di Smirne, in particolare a Policarpo, che la presiedeva. -

am 1 Cor 4, 4. 134 Lettera ai Romani, 5.

Riconoscendo Fapostolicità di quest'uomo, da autentico buon pastore gli da in custodia il gregge di Antiochia, reputando degno che egli ne avesse la massima cura. 11. Scrivendo agli abitanti di Smirne, si serve di parole riprese da non so quale fonte, dicendo queste cose su Cristo: "Io so e credo che egli, anche dopo la resurrezione, era nella carne. Quando si recò infatti dagli apostoli radunati intomo a Pietro, disse loro: "Rendetevi conto, toccatemi, vi accorgerete che non sono un fantasma privo di corpo". E subito lo toccarono e credettero" 13ci.

12. Anche Ireneo conobbe il martirio di Ignazio, di cui ricorda le lettere dicendo: "Come disse uno dei nostri, condannato per la sua fede in Dio ad essere divorato dalle belve, "sono frumento di Dio e sono stritolato dai denti delle belve per divenire pane puro" 136" 137.

13. Policarpo ricorda queste stesse cose nella sua Lettera ai Filippesi giunta fino a noi, dicendo testualmente: "Esorto pertanto tutti voi a credere e ad avere tutta la pazienza che avete visto con i vostri occhi non solo nei beati Ignazio, Rufo e Zosimo, ma anche in altri fra voi, nello stesso Paolo e negli altri apostoli, certi che tutti costoro non hanno corso invano, ma nella fede e nella giustizia, e che sono nel luogo loro dovuto al cospetto del Signore, per il quale soffrirono. Infatti non amarono il secolo presente , ma colui che è morto per la nostra salvezza ed è stato risuscitato da Dio" 138. Prosegue poi dicendo: 14. "Sia voi sia Ignazio mi avete raccomandato in una lettera che, qualora qualcuno vada in Siria, vi porti anche le vostre lettere.


135 Lettera agli Smirnei, 3, 1-2.

136 Lettera ai Romani, 4, 1.

137 Contro le eresie, V, 28, 4.

138 Lettera ai Filippesi, 9.

Lo farò, se ne avrò l'occasione propizia, io stesso o inviandovi qualcuno come messaggero. 15. Vi ho spedite, come mi avete richiesto, le lettere che Ignazio ci ha scritto e tutte le altre che di lui possedevamo, allegandole alla presente lettera. Da esse potrete ricavare grande giovamento: contengono infatti fede, pazienza e ogni virtù che si addice a nostro Signore" 139.

Ciò per quanto riguarda Ignazio. Dopo di lui diviene vescovo di Antiochia Eros.

37. gli EVANGELISTI ANCORA FAMOSI IN QUEL TEMPO

1. Tra coloro che in questi tempi divennero illustri era anche Quadrato 140, che insieme alle figlie di Filippo, come si dice, si distinse per il dono della profezia. Molti altri ancora divennero celebri in questi tempi, occupando la prima posizione nella successione degli apostoli. Questi, quali discepoli divini di siffatti uomini, costruirono sulle fondamenta delle Chiese già poste in ogni luogo dagli apostoli, propagando ulteriormente la predicazione e diffondendo ampiamente i semi salvifici del regno dei cieli in tutto il mondo. 2. Moltissimi dei discepoli di allora infatti, per eccesso di amore verso la Sapienza, colpiti nell'animo dalla parola di Dio, per prima cosa ubbidirono all'ordine del Salvatore, dividendo le loro ricchezze a coloro che erano nel bisogno; poi, inviati lontano dalla patria, adempirono alla loro missione di evangelisti, bramando di annunciare la parola della fede a coloro che non l'avevano ancora ascoltata e di consegnare loro lo scritto dei divini Vangeli. 3. Essi, dopo aver posto le basi della fede in alcuni territori stranieri e designato altri pastori, sotto la cui cura mettevano quanti si erano da poco convcrtiti a Cristo, partivano poi di nuovo per altre terre e altri popoli, sorretti dalla grazia e dall'aiuto divino; in loro infatti era così forte l'azione della potenza grandissima e straordinaria dello Spirito Santo che, sin dal primo udirli, sterminate folle accettavano spontaneamente nelle loro anime la fede nel creatore dell'universo.

139 Lettera ai Filippesi, 13.

140 Scrittore vissuto nella prima metà del II secolo d.C., autore di una Apologià indirizzata ad Adriano, ora perduta. Su di lui cf. infra, IV, 3, 1-2.

4. Essendomi impossibile elencare per nome tutti coloro che nella prima successione degli apostoli furono pastori o messaggeri della parola divina nelle Chiese del mondo, ho ricordato per nome soltanto quelli la cui tradizione è ancora oggi a noi nota nelle opere concernenti l'insegnamento apostolico.

38. la LETTERA DI clemente E LE OPERE FALSAMENTE ATTRIBUITEGLI

1. A queste ultime appartengono le lettere di Ignazio che ho già elencato, e quella di Clemente 141, unanimemente ritenuta autentica, che egli scrisse in nome della Chiesa di Roma a quella di Corinto. In essa riprende molti concetti della Lettera agli Ebrei, e ne cita testualmente alcuni passi, mostrando così molto chiaramente che essa non è stata composta in tempi recenti; 2. pertanto è parso opportuno annoverarla fra gli altri scritti dell'apostolo. Secondo alcuni poi l'evangelista Luca, secondo altri lo stesso Clemente, hanno tradotto in greco la Lettera agli Ebrei che Paolo scrisse nella lingua patria. 3. Questo potrebbe spiegare la somiglianzà stilistica fra la lettera di Clemente e la Lettera agli Ebrei, e la presenza in entrambi gli scritti di pensieri non lontani 142. 4. Ma si deve sapere che a Clemente è attribuita anche una seconda lettera 143, che non ha, come si sa, la stessa fama della prima, poiché nessuno degli Scrittori antichi se ne è servito. 5. Ormai alcuni già da tempo hanno attribuito a Clemente altre opere prolisse e ponderose, i Dialoghi di Pietro e Apione i44. Di queste però nessuna menzione si trova negli antichi scrittori, dato che non conservano puro il carattere dell'ortodossia apostolica. E ormai chiaro qual è la lettera di Clemente ritenuta autentica; di quelle di Ignazio e di Po-licarpo si è già parlato.

-

141 CLsupra, 16 e n. 61.

142 Sul problema dell'autenticità della Lettera agli Ebrei cf. supra, n. 8.

143 Non si tratta in realtà di una lettera, ma della più antica omelia cristiana. Essa non è stata composta di certo da Clemente, come dimostrano le differenze linguistiche con le altre opere dello scrittore cristiano. A. Harnack ha ritenuto che l'autore sia il vescovo di Roma Sotero, e il 170 d.C. l'anno in cui è stata composta. Incerto è il luogo di composizione. Alcuni (G. Krùger) propongono Corinto, altri Alessandria (R. Harris). Lo scritto esorta a mettere la vita al servizio di Cristo, salvatore del mondo, a temere Dio più degli uomini, a disprezzare il mondo e a non avere paura del martirio. Alcune esortazioni alla penitenza e l'esaltazione della vita oltre la morte chiudono l'omelia.

144 Opera perduta.


39. le opere di papia

1. Di Papia ci è giunta una sola opera, dal titolo Esegesi dei detti del Signore, in cinque libri. Anche Ireneo ne fa menzione come dell'unica che egli scrisse, dicendo: "Papia, uditore di Giovanni, amico di Policarpo, scrittore antico, è testimone di queste cose nel quarto libro della sua opera, che ne comprende cinque" 145.

2. Questo dice Ireneo. Lo stesso Papia, nel proemio del suo scritto, afferma di non avere ascoltato ne visto di persona i santi apostoli, ma di avere appreso Ì contenuti della fede da coloro che li conobbero. Ecco le sue parole: 3. "Non esiterò a riferirti anche quelle notizie che un tempo ho rottamente appreso dai presbiteri e che ho bene impresso nella memoria, sicuro della loro veridicità. Non godevo infatti, come Ì più, di coloro che dicono molte cose, ma di quelli che insegnano la verità, ne di quelli che riferiscono ciò che altri hanno loro comandato, ma di coloro che hanno annunciato i comandamenti consegnati alla fede dal Signore e derivanti pertanto dalla verità in persona. 4. Se mai è giunto qualcuno che si vantava di essere seguace dei presbiteri, io gli chiedevo con insistenza quello che avevano detto Andrea o Pietro o Filippo o Tommaso o Giacomo o Giovanni o Matteo o chiunque altro tra Ì discepoli del Signore, e inoltre le parole di Aristione e del presbitero Giovanni, discepoli del Signore. Non pensavo infatti di dovere a ciò che avevo appreso dai loro libri tanto quanto alle cose imparate dalla loro voce viva e sicura".

5. È opportuno a questo punto sapere che in Papia il nome di Giovanni è attestato due volte; il primo viene chiaramente presentato come evangelista accanto a Pietro, Giacomo, Matteo e agli altri apostoli. Dopo aver fatto una distinzione, annovera l'altro Giovanni fra coloro che non erano apostoli, gli antepone Aristione, e lo chiama chiaramente presbitero. 6. Con ciò viene dimostrata la veridicità del racconto di coloro che dicevano che in Asia due persone avevano lo stesso nome, e ricordavano che ancora oggi esistono due tombe che portano il nome di Giovanni ad Efeso. A queste cose bisogna fare attenzione; è verosimile infatti che il secondo, se non si vuole il primo, abbia avuto le visioni riferite dall’ Apocalisse attribuita a Giovanni.

7. Papia, di cui ora stiamo parlando, dichiara apertamente di avere appreso gli insegnamenti degli apostoli dai loro seguaci, e di avere ascoltato di persona Aristione e il presbitero Giovanni, che spesso cita per nome nelle sue opere, riferendo la tradizione su entrambi.

145 Contro le eresie, V, 33, 4.

8. Anche queste cose sono state dette non senza utilità. E opportuno alle parole di Papia fin qui riportate aggiungere altre sue notazioni, che riferiscono alcuni eventi prodigiosi e altri ancora pervenutigli dalla tradizione. 9. Si è già visto da quanto detto prima 146 che l'apostolo Filippo visse a lerapoli insieme alle fìglie, dalle quali Papia, quando si trovava presso di loro, apprese una storia che ha del miracoloso, che è bene ora riferire. Racconta infatti della resurrezione di un morto avvenuta davanti ai suoi occhi, e poi di un altro prodigio che accadde a Giusto, detto "Barsaba" che, dopo aver bevuto un veleno mortale, non ne subì alcun danno per grazia del Signore. 10. Questo Giusto, dopo l'ascensione del Salvatore, fu accolto insieme con Mattia fra Ì santi apostoli, che avevano pregato per la scelta di uno che prendesse il posto del traditore Giuda per completare il loro numero. Dicono ciò gli Atti degli Apostoli con queste parole: E furono scelti due, Giuseppe detto Barsaba, soprannominato Giusto, e Mattia. E pregando dissero... ^. 11. Riferisce poi altri fatti, appresi, come dice, dalla tradizione orale, altre parabole sconosciute del Salvatore, i suoi insegnamenti e altre cose più favolose: 12. trascorsi mille anni, diceva, dalla resurrezione di Gesù dai morti, il regno di Cristo si sarebbe manifestato materialmente su questa terra 147. Penso che egli, accettando queste teorie, abbia frainteso e travisato le dottrine professate dagli apostoli, non avendo compreso che essi parlavano solo in senso mistico e simbolico. 13. E’ chiaro che egli era infatti di intelligenza limitata, come si può provare dai suoi scritti. A causa sua moltissimi altri scrittori della Chiesa che vissero dopo di lui hanno professato le sue stesse opinioni in forza della sua antichità, come Ireneo e qualche altro che, a quanto pare, condivise le sue stesse idee. 14. Inoltre Papia riferisce nella sua opera alcune spiegazioni dei detti del Signore, derivate dal sopra citato Aristione, e le testimonianze sul presbitero Giovanni. -

^At 1,23-24.

^Cf.^^,31,3-5.

147 II riferimento è al millenarismo.

Rimandando a queste coloro che vogliono conoscerle, bisogna che io ora aggiunga alle parole già citate la testimonianza da lui riferita sull'evangelista Marco con queste parole: 15. "Questo diceva il presbitero, che Marco, interprete di Pietro, riferì con precisione, ma disordinatamente, quanto ricordava dei detti e delle azioni compiute dal Signore. Non lo aveva infatti ascoltato di persona, e non era stato suo discepolo, ma, come ho detto, di Pietro; questi insegnava secondo le necessità, senza fare ordine nei detti del Signore. In nulla sbagliò perciò Marco nel riportarne alcuni come li ricordava. Di una sola cosa infatti si preoccupava, di non tralasciare alcunché di ciò che aveva ascoltato e di non riferire nulla di falso 148".

16. Questo è quello che Papia racconta di Marco. Di Mat-teo dice: "Matteo ordinò i detti del Signore nella lingua ebraica, e ciascuno li ha tradotti come poteva" 14CÌ. 17. Egli ha fatto ricorso a testimonianze desunte dalla Prima lettera di Giovanni e dalla Prima lettera di Pietro, ed ha riferito anche un altro racconto riportato nel Vangelo secondo gli Ebrei, riguardante una peccatrice condotta davanti al Signore.

È stato necessario aggiungere queste notizie a quanto già detto.

148 Questo passo, insieme ad altre testimonianze, ha spinto alcuni studiosi, primo fra tutti aJ.O' Callaghan, a ritenere che il Vangelo di Marco è stato composto intorno al 50 d. C. Sulla complessa questione cf. Vangelo e storicità. Un dibattito, a cura di S. Alberto, Milano 1995; C.P. Thiede, Qum-ran e i Vangeli. Ì manoscritti della grotta 7 e la nascita del Nuovo Testamento, Milano 1996. 149 Su questo punto cf. supra, n. 85.

(Teofilo)
00lunedì 21 settembre 2009 19:32
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Da: Soprannome MSN°Teofilo  (Messaggio originale)Inviato: 09/01/2004 18.25

LIBRO IV

Il quarto libro della Storia ecclesiastica comprende i seguenti argomenti:


1.I vescovi di Roma e di Alessandria al tempo di Traiano.

2.I mali sofferti dai Giudei in quel tempo.

3. Gli apologisti del tempo di Adriano.

4.I vescovi di Roma e di Alessandria al tempo di Adriano.

5.I vescovi di Gerusalemme dal Salvatore fino ai tempi di cui sriamo trattando.

6. L'ultimo assedio dei Giudei al tempo di Adriano.

7. Chi furono in quel tempo i capi di una falsa conoscenza.

8. Chi furono gli scrittori ecclesiastici.

9. Il decreto di Adriano sul divieto di perseguitarci senza processo.

10. Chi furono i vescovi di Roma e di Alessandria durante il regno di Antonino.

11. Gli eresiarchi del loro tempo.

12. Apologia di Giustino ad Antonino.

13. Lettera di Antonino al Concilio d'Asia intorno alla nostra fede.

14. Ciò che si ricorda di Policarpo, conoscitore degli apostoli.

15. Al tempo di Vero, Policarpo, insieme ad altri, subì il martirio nella città di Smirne.

16. Il filosofo Giustino subì il martirio perché annunciava nella città di Roma la parola di Cristo.

17.I martiri che Giustino ricorda nei suoi scritti.

18. Le opere di Giustino pervenuteci.

19. Coloro che furono a capo della Chiesa di Roma e di Alessandria durante l'impero di Vero.

20. Chi furono Ì vescovi di Antiochia.

21. Gli scrittori ecclesiastici famosi in questo periodo.

22. Egesippo e gli argomenti delle sue opere.

23. Dionigi, vescovo di Corinto, e le lettere da lui scritte.

24. Teofilo, vescovo di Antiochia.

25. Filippo e Modesto.

26. Su Melitene e ciò che egli ricorda.

27. Apollinare.

28. Musano.

29. L'eresia di Taziano.

30. Il siro Bardesane e le opere che ci ha lasciato.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 09/01/2004 18.26

1. I VESCOVI DI ROMA E DI ALESSANDRIA AL TEMPO DI TRAIANO

1. Intorno al dodicesimo anno del regno di Traiano ^ il vescovo della Chiesa di Alessandria, da me poco prima citato 2, passò a miglior vita, e Primo, quarto a partire dagli apostoli, ricevette la liturgia in quella diocesi. In questo periodo, dopo che Evaristo concluse l'ottavo anno di episcopato, Alessandro, quinto a partire da Pietro e Paolo, venne designato vescovo di Roma.

1 Nel 109 d.C

2 Si tratta di Avilio (cf. supra. III, 14).


2. I MALI SOFFERTI DAI GIUDEI IN QUEL TEMPO

1. Mentre l'insegnamento del nostro Salvatore e la Chiesa fiorivano, registrando di giorno in giorno continui progressi, la disgrazia dei Giudei invece cresceva per i mali che si succedevano gli uni agli altri. Già nel diciottesimo anno del regno di Traiano 3 scoppiò di nuovo una rivolta dei Giudei, e dei quali moltissimi morirono. 2. Ad Alessandria infatti, nel resto dell'Egitto e a Cirene Ì Giudei, come spinti da un vento terribile e apportatore di rivolte, cominciarono a ribellarsi contro Ì Greci con cui abitavano, suscitando contro di loro una grande rivolta e, l'anno seguente, quando Lupo era governatore di tutto l'Egitto 4, una guerra di grandi dimensioni. 3. Al primo scontro essi vinsero sui Greci; ma questi, ritiratisi ad Alessandria, presero Ì Giudei che vi abitavano e li uccisero. Compromessa cosi per sempre l'alleanza con questi, i Giudei di Cirene, sotto la guida di Lucùa, devastarono la regione d'Egitto, distruggendone i distretti. L'imperatore allora inviò contro di loro Marco Turbone ^ con la fanteria, la flotta e la cavalleria. 4. Egli si sobbarcò del peso di questa guerra contro di loro, che vide molte battaglie e che ebbe, dunque, lunga durata, e uccise non solo a Cirene, ma anche in Egitto, molte migliala di Giudei, che avevano seguito Lucua, loro rè. 5. L'imperatore, temendo che anche i Giudei della Mesopotamia si associassero alla rivolta di quelli d'Egitto, ordinò a Lusio Quieto 6 di allontanarli dalla provincia. Costui, ingaggiata battaglia, ne uccise un grandissimo numero, e venne designato dall'imperatore per questo successo governatore della Giudea. Anche quegli autori greci 7, che hanno consegnato alla scrittura la narrazione degli avvenimenti che ebbero luogo al loro tempo, hanno fatto ricorso alle stesse parole.

3. GLI APOLOGISTI DEL TEMPO DI ADRIANO

1. A Traiano, che rimase al potere per diciannove anni e sei mesi 8, succedette Elio Adriano. A questi Quadrato 9 dedicò un suo discorso, una Apologia composta in difesa della nostra fede, minacciata da alcuni uomini tristi che tentarono di portare lutto fra di noi. Ancora oggi essa è nota non solo a moltissimi fra i nostri fratelli, ma anche a noi. Essa costituisce una chiara prova dell'intelligenza e della retta fede apostolica del suo autore. 2. Egli mostra la sua antichità dicendo testualmente così: "Le opere del nostro Salvatore erano sempre visibili perché vere; quelli che vennero guariti e coloro che furono risuscitati dai morti non solo furono visti guariti e risuscitati, ma vissero anche per tutto il tempo in cui il Salvatore rimase fra gli uomini anche dopo la sua dipartita. Alcuni di loro poi sono ancora vivi al mio tempo".

3. Tale fu Quadrato. Aristide, uomo della nostra religione pieno di fede, ha lasciato, come Quadrato, un'apologia composta in difesa della nostra fede, indirizzata ad Adriano. Anche il suo scritto è conservato fino ad oggi da molti 10.

3 Nel 116 d.C.

4 M. Rutilio Lupo fu governatore d'Egitto dal 116 al 117 d.C.

5 Capo delle legioni d'Egitto dal 116 al 118 d.C.

6 Console da 117 al 118 d.C.

7 Cf. Cassie Dione, Storia romana, LXVIII, 32.

8 Regnò dal 98 al 117 d.C.

9 Cf. supra. III, 37 e n. 140.

10 ^Apologia di Aristide la più antica che ci sia giunta. Essa è nota anche in una traduzione siriaca, in cui però compare la dedica ad Antonino Pio, successore di Adriano. Ma motivi interni allo scritto danno ragione ad Euse-bio. Per una più ampia trattazione d. M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., p. 63.


4. I VESCOVI DI ROMA E DI ALESSANDRIA AL TEMPO DI ADRIANO

Al terzo anno di regno del suddetto imperatore n ad Alessandro, vescovo di Roma, che morì dopo dieci anni di episcopato, succedette Sisto. Nella diocesi di Alessandria, nello stesso periodo, Giusto succedette a Primo, morto dopo dodici anni di ministero.

5. I VESCOVI DI GERUSALEMME DAL SALVATORE FINO AI TEMPI DI CUI STIAMO TRATTANDO

1. Non avendo trovato in nessun modo opere riguardanti i tempi dei vescovi di Gerusalemme (si dice infatti che ebbero vita breve), 2. ho appreso dai documenti 12 che fino all'assedio dei Giudei che ebbe luogo al tempo di Adriano ]3 si succedettero quindici vescovi che, dicono, furono tutti Ebrei fin dall'inizio e conobbero davvero il Cristo, al punto da essere giudicati degni persino del ministero episcopale già da coloro che erano all'altezza di giudicare su siffatte cose: a partire dagli apostoli fino all'assedio in cui i Giudei, che erano in quel tempo in rivolta, furono massacrati in grandi battaglie dai Romani, contro i quali si erano ribellati, tutta la Chiesa di Gerusalemme era composta infatti di fedeli ebrei. 3. Ma poiché cessarono da questo periodo i vescovi ebrei, è ora necessario elencarli a partire dal primo. Primo pertanto fu quel Giacomo che era detto fratello del Signore 14; secondo dopo di lui Simeone 15, terzo Giusto 16, quarto Zaccheo, quinto Tobia, sesto Beniamino, settimo Giovanni, ottavo Mattia, nono Filippo, decimo Seneca, undicesimo Giusto, dodicesimo Levi, tredicesimo Efrem, quattordicesimo Giuseppe; dopo tutti costoro quindicesimo Giuda. 4. Questi i vescovi di Gerusalemme che si succedettero a partire dagli apostoli fino al tempo da me trattato, tutti circoncisi.

5. Trascorso ormai il dodicesimo anno del regno di Adriano 17, divenne vescovo di Roma, settimo a partire dagli apostoli, Telesforo, che succedette a Sisto, che ne fu vescovo per dieci anni. Trascorsi un anno e alcuni mesi, della diocesi di Alessandria venne designato sesto vescovo Eumene, che succedette al suo predecessore 18, che detenne la carica per undici anni.

6. L'ULTIMO ASSEDIO DEI giudei AL TEMPO DI ADRIANO

1. Poiché cresceva e si allargava una nuova rivolta dei Giudei 19, Rufo, governatore della Giudea, forte di un aiuto militare inviategli dall'imperatore, approfittando senza risparmio delle loro follie, mosse contro di loro, uccidendo decine e decine di uomini, donne e bambini, e riducendo in schiavitù, secondo la legge della guerra, la loro regione. 2. Era in quel tempo a capo dei Giudei un certo Bar Kocheba, il cui nome significa "stella", da un lato un assassino e un brigante, ma che, dall'altro, facendo leva sul suo nome, comandava su di loro come su schiavi, proclamando di rifulgere su quegli afflitti come una stella scesa dal cielo in loro soccorso.

Nel 119 d.C.

12 Forse le Memorie di Egesippo. ^ Nel W d.C.

14 Cf. supplì, 1,2.

15 Ct.supra, III, 11.

16 Cf. ^^,111,35.

17 Nel 129 d.C.

18 Cioè Giusto.

19 Essa scoppiò nel 132 d.C (cf. Cassie Dione, Storia romana, LXIX, 1; Histona Augusta, Vita di Adriano, 14, 2).

3. La guerra raggiunse il suo massimo sviluppo a Betthera (una piccola città molto ben guarnita, sita non molto lontano da Gerusalemme) nel diciottesimo anno di regno di quell'imperatore 20; l'assedio durò a lungo, ma i ribelli, stremati dalla fame e dalla sete, furono espugnati, e il colpevole della loro follia ricevette la degna punizione. Da quel momento un decreto e un prescritto di Adriano impedirono a tutti i Giudei qualunque accesso anche al territorio circostante Gerusalemme, precludendo loro così ogni speranza di vedere anche da lontano la terra patria. Così narra Aristone di Fella 21. 4. Dopo che i Giudei furono costretti ad abbandonare Gerusalemme e i suoi antichi abitanti morirono tutti, essa fu abitata da gente straniera; la città romana che ne prese il posto cambiò nome e si chiamò Elia, in onore dell'imperatore Elio Adriano 22. Anche la Chiesa di quel luogo venne costituita da pagani, e per primo, dopo i vescovi ebrei, fu designato a prenderne la liturgia Marco.

7. CHI FURONO IN QUEL TEMPO I CAPI DI UNA FALSA CONOSCENZA

1. Pur rifulgendo ormai le Chiese sulla terra come astri luminosissimi, e pur trionfando la fede nel Salvatore e Signore nostro Gesù Cristo sull'intera stirpe degli uomini, il diavolo, spregiatore del bene, nemico della verità e avversario ostile da sempre alla salvezza degli uomini, usò tutte le sue armi contro la Chiesa, scatenandole contro le più ostili persecuzioni da parte dei pagani. 2. Ma dopo che queste vennero vietate, combattè con metodi diversi, servendosi di maghi e di peccatori, mezzi esiziali per le anime e diaconi della morte; e ricorreva ad ogni mezzo per consentire a maghi e ciarlatani di condurre nell'abisso della dannazione, facendosi scudo del nome della nostra fede, quei fedeli che li seguivano, e di allontanare dalla fede con le loro prave azioni coloro che ancora non la conoscevano, sviandoli cosi dalla via che conduce alla parola della salvezza. 3. Da Monandro, già sopra da me citato come successore di Simone 23, ebbe origine una nuova forza simile ad un serpente biforcuto e con due teste, da cui nacquero i capi di due differenti eresie: Saturnino di Antiochia e Basilide di Alessandria 24, che fondarono, il primo in Siria, il secondo in Egitto, scuole eretiche nemiche a Dio. 4. Ireneo dice 25 che per gran parte Saturnino professava le stesse menzogne di Menandro e che, col pretesto dei misteri, Basilide liberò senza limite la sua fantasia, inventando miti meravigliosi per la sua empia dottrina. 5. Mentre in quel tempo moltissimi ecclesiastici combattevano a fianco della verità e lottavano con la sola forza della parola in difesa della fede degli apostoli e della Chiesa, altri lasciavano ai posteri cautelative difese contro le eresie or ora citate anche con le loro opere. 6. Di queste a noi è giunta quella di Agrippa Ca-store 26, lo scrittore più illustre fra quelli del suo tempo e valente confutatore di Basilide, abile nel mettere a nudo quanto fosse terribile l'arte ingannatrice di quest'uomo. 7. Rivelando dunque le sue segrete dottrine, dice che egli compose ventiquattro libri sul Vangelo, che inventò profeti come Barcaba e Barcofe ne istituì altri inesistenti, dando loro nomi stranieri per impressionare coloro che credono in simili cose. Insegnava poi che non aveva importanza alcuna toccare cibo offerto agli idoli e rinnegare apertamente la fede in tempi di persecuzione, e imponeva, come i Pitagorici, un silenzio di cinque anni a quanti si accostavano alla sua dottrina.

20 Nel 135 d.C.

8. Lo scrittore suddetto, dopo aver riferito su Basilide altre notizie simili a queste, mette a nudo mirabilmente l'errore della menzionata eresia. 9. Ireneo riferisce anche che contemporaneo di Saturnino e di Basilide fu Carpocrate 27, padre di un'altra eresia, la gnostica. Costoro reputarono giusto praticare le arti magiche di Simone 28 non, come questi, di nascosto, ma alla luce del sole, come si fa per le cose grandi, adorando i filtri preparati con le loro stesse mani con la massima cura, e alcuni demoni, che inviano sogni e che li proteggono, e inventando altre pratiche di tal genere. Conformemente a quanto detto, insegnavano che coloro che avevano intenzione di raggiungere la perfezione nella perversione o piuttosto l'abominio, secondo i loro precetti dovevano compiere i più turpi fra i mali, poiché non sarebbero in nessun modo sfuggiti agli "arconti cosmici ", come essi li chiamavano, se non avessero dato a tutti con i misteri ciò che loro spettava. 10. La sorte volle che il diavolo, fautore del male, servendosi di tali ministri, rendesse suoi schiavi coloro che miseramente erano stati da loro ingannati, conducendoli così alla perdizione, e diffondesse ai popoli che ancora non credevano in Cristo molte calunnie contro il Verbo divino: la fama di questi eretici infatti si mutò in calunnia per tutto il popolo dei cristiani. 11. E così per lo più presso coloro che erano allora lontani dalla nostra fede si affermò sul nostro conto l'empio e assurdo sospetto che ci unissimo turpemente con madri e sorelle e ci cibassimo di empi pasti

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27 Non è questo il luogo per illustrare la complessa dottrina gnostica. Su di essa si rimanda a M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 76-84. 28 Simon Mago, sul quale cf. supra, II, 13.

29. 12. Queste diffamazioni però non furono di grande utilità al demonio, poiché la verità si ristabilì da sola e risplendette di grande luce per il tempo a venire. 13. Le macchinazioni dei nemici, confutate dalla forza della verità, ebbero subitanea fine, sebbene le eresie si rinnovassero le une dopo le altre e si ripristinassero sempre le precedenti, che venivano però sconfitte una dopo l'altra, pur essendo le loro dottrine disparate e varie. Si accresceva invece sempre più e aumentava in modo sempre costante e inalterato lo splendore dell'universale, unica e vera Chiesa, facendo rifulgere la santità, la verità, la libertà, la saggezza e la purezza della vita e della filosofia divine su ogni stirpe di Greci e di barbari. 14. Il tempo mise fine anche all'infamia contro l'intera nostra dottrina, e questa, riconosciuta eccellente al di sopra di ogni altra per la santità, la saggezza e i dogmi divini e filosofici, rimase essa sola a governo di tutti gli uomini; così nessuno nel nostro tempo osa più diffondere turpi calunnie contro di essa ne infamie simili a quelle un tempo gradite ai nostri avversar!. 15. Nei tempi che stiamo esaminando la dottrina della verità ebbe dunque fra i suoi seguaci molti uomini che si ergevano a sua difesa combattendo contro le empie eresie, che confutavano non solo oralmente, ma anche con dissertazioni scritte 30.

8. CHI FURONO GLI SCRITTORI ECCLESIASTICI

1. In questi tempi il più famoso fu Egesippo 31, dalla cui opera già prima abbiamo citato molti passi, attingendo da essa delle notizie sui tempi degli apostoli.

29 Queste erano le accuse che l'opinione pubblica rivolgeva ai cristiani. Esse vennero confutate dagli apologisti del II e III sec. (cf. ad es. Tertulliano, Apologetico, 39,7-21). ì0 Riferimento agli apologisti del II secolo. ^] Su Egesippo cf. infra, 22.

2. In cinque libri 32 espone con esattezza, in uno stile molto lineare, il messaggio apostolico; precisa poi il tempo in cui divenne famoso nel passo seguente, relativo a coloro che sin dall'inizio ergevano idoli: "A questi dedicarono cenotafi e templi come fanno fino ad oggi; fra loro è anche Antinoo, uno schiavo dell'imperatore Adriano, in onore del quale si tiene, ancora ai nostri tempi, anche una gara detta antinoea. Adriano gli dedicò anche una città da lui fondata, che chiamò col nome di Antinoo, e designò in suo onore anche dei profeti".

3. In quel tempo anche Giustino 33, autentico cultore della vera filosofia, diveniva sempre più esperto delle opere dei Greci. Egli si riferisce allo stesso periodo, scrivendo nella sua Apologia dedicata ad Antonino: "Non crediamo fuori luogo ricordare, fra questi, anche Antinoo, vissuto nel nostro tempo, che tutti, spinti dalla paura, cominciarono ad adorare come un dio, pur sapendo chi era e da dove veniva" ^.

4. Il medesimo Giustino, facendo menzione della guerra che in quel tempo si combatteva contro i Giudei, dice: "Nella presente guerra giudaica infatti Bar Kocheba, capo della rivolta dei Giudei, ordinò che soltanto i cristiani, se non avessero rinnegato e bestemmiato Gesù il Cristo, fossero sottoposti a tremendi supplizi" 35.

5. Nella stessa opera afferma che la sua conversione dalla filosofia greca alla religione divina non fu irrazionale, ma scaturì da una meditata riflessione. Ecco le sue parole: "Io stesso, quando ancora godevo degli insegnamenti di Platone, sentivo le calunnie contro i cristiani; ma vedendoli impavidi di fronte alla morte e a tutto ciò che è reputato terribile, pensavo che era impossibile che essi vivessero nel male e nel piacere sfrenato. Quale piacere infatti, quale incontinenza, quale persona che stimi un bene nutrirsi di carne umana potrebbe desiderare ardentemente la morte, che lo libererebbe da tutti i suoi piaceri? Non cercherebbe forse di vivere con ogni mezzo sempre la sua vita presente e di sfuggire ai magistrati, piuttosto che proclamare la sua fede ed essere così ucciso?" 36.

6. Lo stesso autore riferisce inoltre che Adriano, dopo aver ricevuto da Serennio Graniano 37, illustrissimo governatore, lettere riguardanti i cristiani, in cui quest'ultimo diceva che non era giusto condannarli a morte senza processo e accusa alcuna, ma solo per ringraziarsi le grida della folla, rispose a Minucio Fundano 38, proconsole d'Asia, ordinandogli che nessuno giudicasse i cristiani senza processo e senza precisa accusa.

7. E aggiunge copia della lettera, riportandola in lingua latina, cosi come era stata scritta, premettendo queste parole: "Pur potendo chiedervi, sulla base della lettera del grandissimo e magnificentissimo Cesare Adriano, vostro padre, di ordinare che i processi si svolgano come ne siamo degni, abbiamo reputato opportuno che ciò avvenisse non per disposizione di Adriano, ma per la rettitudine della nostra richiesta, di cui siamo pienamente convinti. Ho aggiunto anche la copia della lettera di Adriano affinchè sappiate che anche ciò che ho detto corrisponde a verità. Eccola" 39.


32 II riferimento è all'opera dal titolo Memorie, in cui espone la dottrina apostolica con intenti antignostici

33 Su di lui cf supra, II, n 50 e infra, 16-18

34 Ì Apologia, 29, 4

35 / Apologia,^ ,6

^Apologia, 12.1-2

37 Si tratta di Quinto Licmio Salviano Graniano Quadronio Proculo, predecessore di Fundano

38 Proconsole d'Asia dal 124 al 125 d C

39 7 Apologia, 68,3-5

9. IL DECRETO DI ADRIANO SUL DIVIETO DI PERSEGUITARCI SENZA PROCESSO

8. Dopo queste parole l'autore citato riporta la copia della lettera nel testo latino, che io ho tradotto, come ho potuto, in greco. Essa dice così:

1. "A Minuccio Fundano. Ho ricevuto la lettera scrittami da Serennio Graniano, uomo illustrissimo, al quale tu sei succeduto. Non mi sembra opportuno pertanto lasciare il problema Ìn sospeso, affinchè lo scompiglio non regni fra gli uomini e non si dia ai diffamatori pretesto per le loro azioni malvagio. 2. I governatori delle province, che in virtù della loro carica possono apertamente agire contro Ì cristiani, facciano in modo che questi possano difendersi anche in tribunale. SÌ diano pensiero solo di questo, e non di assecondare soltanto Ì desideri e le grida del popolo. E molto più conveniente che, se qualcuno volesse accusare un cristiano, tu esamini a fondo l'accusa. Se dunque qualcuno li denuncia e provi che essi agiscono contro le leggi, da loro la pena adeguata alla gravita della loro colpa. Ma, per Èrcole; se qualcuno li accusa di questo solo per calunniarli, giudicalo in base alla gravita della diffamazione e pensa a come punirlo" 40. Queste sono le parole testuali del decreto di Adriano.

(Teofilo)
00lunedì 21 settembre 2009 19:36
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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 09/01/2004 18.27

10. CHI FURONO I VESCOVI DI ROMA E DI ALESSANDRIA DURANTE IL REGNO DI ANTONINO

Adriano, dopo aver regnato ventuno anni41, pagò il suo debito; dopo di lui fu nominato imperatore Antonino, detto Pio. Nel primo anno del suo regno al posto di Telesforo, che morì dopo undici anni di ministero, venne designato vescovo di Roma Igino. Ireneo racconta 42 che Telesforo morì martire; egli

40 / Apologia,^, 6-10.

41 Adriano regnò dal 117 al 138 d.C.

42 Contro le eresie. III, 3,3.

attesta inoltre che al tempo del già citato Igino, vescovo di Roma, Valentino, fondatore dell'eresia che da lui prese il nome, e Cerdone 43, capo della setta dei Marcioniti, erano già noti entrambi a Roma. Egli scrive così:

11. GLI ERESIARCHI DEL LORO TEMPO

1. "Valentino infatti giunse a Roma al tempo di Igino, vi fiorì in quello di Pio e vi rimase fino a quello di Aniceto 44. Cerdone, il predecessore di Marcione 45, giunse anch'egli nella Chiesa di Roma al tempo di Igino, che ne fu nono vescovo, e, pur fingendo di pentirsi del proprio errore, continuò tuttavia ora ad insegnare di nascosto, ora, scoperto, a pentirsi di nuovo, ora ad essere confutato per quelle empie dottrine da lui professate e allontanato dall'assemblea dei fratelli" 46. 2. Queste cose egli dice nel terzo libro del Contro le eresie.

43 Su Cerdone cf. infra, 11, 1-2.

44 Igino fu vescovo della città dal 136 al 140; Pio dal 140 al 155; Aniceto dal 155 al 166.

45 Marcione fu fondatore di una eresia che opponeva al Dio vendicativo degli Ebrei dell'Antico Testamento quello buono e misericordioso del Nuovo Testamento, che si è manifestato in Cristo con un corpo apparente. Adottò anche un proprio Nuovo Testamento, comprendente il Vangelo di Luca privo dei cc. 1 e 2, e dieci Lettere di Paolo, da cui escluse quella agli Ebrei e le Pastorali. 46 Contro le eresie. III, 4, 3.

Nel primo dice ancora su Cerdone: "Un tal Cerdone, ripresa la strada seguita dai seguaci di Simone e predicando pubblicamente a Roma al tempo di Igino, nono vescovo della città a partire dagli apostoli, insegnò che il Dio annunciato dalla Legge e dai Profeti non era il Padre di nostro Signore Gesù Cristo; l'uno infatti è noto, l'altro invece ignoto, l'uno giusto, l'altro buono. Marcione del Ponto, che accolse la sua dottrina, fece crescere la sua scuola, bestemmiando spudoratamente" 47. 3. Lo stesso Ireneo 48, illustrando l'infinito abisso della selva piena di errori in cui era caduto Valentino, ne mette a nudo la perfìdia rimasta fino ad allora nascosta e occulta come quella di un serpente che si annida nella tana. 4. Dice inoltre 49 che in quei tempi visse anche un tale di nome Marco, espertissimo nell'arte magica. Descrive poi i loro vani riti e le orrende iniziazioni dicendo: 5. "Alcuni di loro preparano una stanza nuziale e celebrano sugli iniziati un rito accompagnato da misteriose parole. Dicono che ciò sia un matrimonio spirituale per l'affinità con le congiunzioni celesti; altri li battezzano poi con acqua dicendo: "Nel nome del padre sconosciuto dell'universo, nel nome della vera madre di ogni cosa, nel nome di colui che è sceso in Gesù". Altri invece pronunciano parole ebraiche per colpire ancora di più gli iniziati".

6. Igino morì dopo quattro anni di ministero. Fu designato vescovo di Roma Pio. Nella diocesi di Alessandria, al posto di Eumene, che ne resse l'episcopato per tredici anni, fu nominato pastore Marco. Morto Marco dopo dieci anni di episcopato, ne assunse il ministero Celadione. 7. Morto a Roma Pio dopo quindici anni di ministero, venne eletto vescovo di questa diocesi Aniceto. Al tempo di costui Egesippo riferisce di esser-si recato a Roma e di esservi rimasto fino al tempo dell'episcopato di Eleutero. 8. In questo periodo fiorì Giustino, che predicava la parola divina in forma filosofica e lottava con le sue opere in difesa della fede. Egli, autore anche dell'opera Contro Marciane 51, attesta che, al tempo in cui la componeva, costui era ancora vivo, dicendo: 9. "Un tale Marcione del Ponto, che vive ancora oggi e insegna ai suoi discepoli l'esistenza di un altro Dio più grande del Demiurgo, riuscì con l'aiuto dei demoni a persuadere molti a bestemmiare contro il creatore dell'universo, rinnegando in lui il Padre di Cristo, e a far confessare, oltre a questo, un altro dio più potente.

47 Contro le eresie. I, 27, 1-2.

48 Contro le eresie. I, 1-9.

49 Contro le eresie. I, 13, 1.

50 Contro le eresie. I, 21, 3.

51 L'opera è andata perduta.

Tutti i suoi discepoli, come abbiamo detto, vengono chiamati cristiani, come il termine di filosofia è comune ai filosofi anche quando le loro dottrine sono discordi" 52. E aggiunge: 10. "Abbiamo anche un'opera contro tutte le eresie esistenti, che vi daremo se desiderate conoscerla" 53. 11. Questo stesso Giustino compose opere validissime contro i Greci ^4, e altri discorsi in difesa della nostra fede, rivolti all'imperatore Antonino Pio e al Senato di Roma (viveva infatti in questa città). NeW Apologia egli stesso rivela chi era e il suo luogo di nascita dicendo:

12. APOLOGIA DI GIUSTINO AD ANTONINO

"All'imperatore Tito Elio Adriano Antonino Pio Cesare Augusto e al figlio Verissimo, filosofo, e a Lucio, figlio naturale del filosofo Cesare e adottivo di Pio, amante del sapere, e al sacro Senato e a tutto il popolo di Roma; in difesa di uomini odiati e calunniati ingiustamente da ogni popolo, io, Giustino, figlio di Prisco, figlio di Bacchio, nativo della città di Nea Flavia, in Siria di Palestina, uno di loro, ho dedicato questa opera e questo discorso" 55.- Supplicato anche da altri fratelli d'Asia che subivano ogni sorta di mali dagli abitanti del luogo, questo stesso imperatore stimò cosa giusta imporre questa disposizione al Concilio d'Asia ^:


52 I Apologia, 26,5-6. 53 I Apologia, 26, &.

^ Riferimento alla Cohortatio ad gentes, alla Oratio ad Graecos e al De ^anarchia, che oggi nessuno studioso attribuisce alla penna di Giustino. La prima opera "tratta della superiorità dei libri sacri rispetto agli errori e alle contraddizioni cui non hanno saputo sottrarsi i poeti e i filosofi greci nella ricerca di Dio" (M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., p. 68); la seconda contiene un attacco alla religione omerica da parte di un greco convcrtito al Cristianesimo; la terza, sulla base di citazione prese dai poeti e da Piatene, dimostra il monoteismo.

551 Apologia, 1.


13. LETTERA DI ANTONINO AL CONCILIO D'ASIA INTORNO ALLA NOSTRA FEDE

1. "L'imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto, Armeno 57, Pontefice Massimo, nella sua quindicesima tribunizia potestà 58, tre volte console, saluta il Concilio d'Asia. 2. So che anche agli dei è caro vendicarsi di uomini siffatti. Questi ardono molto più di voi dal desiderio di punire coloro che non vogliono-adorarli. 3. Se voi li annientate, rivolgendo loro l'accusa di ateismo, li confermerete ancora di più nella fede: sebbene accusati infatti sulla base di un sospetto, essi preferiscono morire per il proprio Dio piuttosto che vivere. Per questo vincono, perché rinunciano alla propria vita pur di non piegarsi a fare ciò che a voi sembra bene che essi compiano. 4. Per quanto riguarda i terremoti passati e presenti, non è fuori posto rammentarvi che voi vi perdete d'animo quando si verificano e confrontate il nostro atteggiamento con il loro. -

56 Era l'assemblea delle città delle province, ognuna delle quali era rappresentata da un legato. Essa svolgeva mansioni politico-amministrative con lo scopo di diffondere e promuovere il culto imperiale. Il documento qui riportato da Eusebio differisce da quello che appare come parte finale delle Apologie di Giustino. Queste diversità hanno fatto supporre l'esistenza di una traduzione fatta dal testo originale.

57 Alla titolatura imperiale di Marco Aurelio fu aggiunto questo epiteto dopo la battaglia di Dura Europos (163 d.C.), in seguito alla quale fu sottomessa l'Armenia. 58 Dal 10 dicembre 160 al 10 dicembre 161

5. Essi infatti sono più fiduciosi nel loro dìo, voi invece, per tutto il tempo in cui sembra che non sappiate cosa fare, non vi prendete cura degli altri dei e della religione di Dio immortale, ma osteggiate i cristiani che lo adorano 5CÌ, perseguitandoli fino alla morte. 6. Ai molti governatori delle province che gli hanno già scritto su uomini siffatti, il nostro divinissimo padre 60 rispose di non perseguitarli se non erano sospettati di ordire un complotto contro l'impero di Roma. E molti hanno chiesto anche a me come comportarsi nei loro confronti; a costoro ho risposto seguendo il pensiero di mio padre. 7. Ma se qualcuno persevera nel denunciare uno di loro solo perché è cristiano, l'accusato sia prosciolto dalla denuncia anche se fosse chiaro che egli lo è veramente, mentre l'accusatore dovrà subire la giusta pena. Sia pubblicato ad Efeso, nel Concilio d'Asia" 61.

8. Melitene 62, vescovo della Chiesa di Sardi, famoso in quel tempo, attesta che le cose si sono svolte in questo modo, come risulta chiaro da ciò che egli riporta y\^ Apologia, da lui indirizzata all'imperatore Vero in difesa della nostra dottrina.

14. CIO’ CHE SI RICORDA DI POLICARPO, CONOSCITORE DEGLI APOSTOLI

1. Ireneo racconta che in questo periodo, quando Aniceto era a capo della Chiesa di Roma 63, Policarpo 64 era ancora invita e si trovava a Roma a discutere con Aniceto 65 di una questione riguardante il giorno di Pasqua 66. 2. Il medesimo scrittore riferisce un altro racconto su Policarpo, che è necessario aggiungere a ciò che si è già detto su di lui.

59 I terremoti e i cataclismi naturali erano infatti attribuiti al fatto che Ì Cristiani non coltivavano più la religione tradizionale, provocando così l'ira divina, e di conseguenza la rovina per tutti gli uomini.

60 Adriano. Su questo punto cf. supra, 9.

61 Cronichon Paschale. 484, 10 - 485, 18.

62 Su questo autore cf. infra, 26.

63 Dal 155 al 166 d.C. M Su di lui cf. supra. III, 28, 6 e n 111.

. Ecco le sue parole:

Dal terzo libro del Contro le eresie di Ireneo

3. "Policarpo non solo fu discepolo degli apostoli 67 e fu in contatto con molti di coloro che videro il Signore, ma venne anche nominato dagli apostoli vescovo della Chiesa di Smirne in Asia. 4. Anche noi l'abbiamo visto nella nostra prima giovinezza (infatti visse a lungo e subì, quando era molto vecchio, il martirio, testimonianza gloriosa e notevole della sua fede in Cristo); professò sempre ciò che aveva imparato dagli apostoli e che anche la Chiesa gli affidava, le uniche venta. 5. Tutte le Chiese d'Asia e tutti coloro che sono succeduti a Policarpo fino ad oggi attestano che egli era testimone della verità di gran lunga più degno di fede e attendibile di Valentino, di Marcione e di tutti gli altri maestri di empie dottrine. Egli predicò a Roma anche al tempo di Aniceto 68, riuscendo a ricondurre molti fedeli dalle suddette eresie alla Chiesa di Dio e annunciando di avere appreso dagli apostoli questa unica e sola verità, quella tramandata dalla Chiesa. 6. Vi sono anche di quelli che gli sentirono dire che Giovanni, il discepolo del Signore, entrato ad Efeso [nelle terme] per lavarsi e accortosi che dentro vi era Cerinto, corse fuori dal bagno senza essersi lavato, dicendo: "Fuggiamo, prima che crolli il bagno per la presenza di Cerinto, il nemico della verità" 69.

65 Su di lui cf supra, 11, 7

66 Su questo punto cf anche infra, V, 24, 16

67 Fu infatti discepolo di Giovanni

68 Intorno al 160 d C

69 Cf anche supra, III, 28. 6

7. A Marcione, che si presentava al suo cospetto e che gli diceva "Riconoscici!", lo stesso Policarpo rispose: "Riconosco, riconosco il primogenito di Satana". Gli apostoli e i loro discepoli ebbero una così grande prudenza nell'evitare rapporti, anche verbali, con chiunque falsificava la verità, come anche Paolo ha insegnato dicendo: Tieniti lontano dall'uomo eretico dopo averlo già ammonito due volte, sapendo che un simile uomo è un pervertito e con i suoi errori si condanna da sé d. 8. Esiste inoltre una fondamentale lettera inviata da Policarpo ai Filippesi 70, dalla quale coloro che lo desiderano e si danno pensiero della propria salvezza possono apprendere di che stampo siano la sua fede e l'annuncio della verità" 71.

9. Questo dice Ireneo. Policarpo, nella sua Lettera ai Filippesi, già menzionata, tramandata fino ai nostri giorni, utilizza alcune notizie prese dalla Prima lettera di Pietro 72.

10. Ad Antonino Pio, che regnò ventidue anni, succedette insieme con il fratello Lucio il figlio Marco Aurelio Vero, chiamato anch'egli Antonino.

^3, 10-11.

/0 E una epistola che Policarpo, come attesta lo stesso Eusebio (supra, III, 36, 13-15), scrisse per esaudire la richiesta di quella comunità cristiana di avere copia delle lettere di Ignazio In essa da ammaestramenti sulla vera fede e norme di vita cristiana, insistendo m modo particolare sulTobbedienza che i fedeli devono ai presbiteri e ai diaconi

71 Contro le eresie, III, 3-4

72 Lettera ai Filippo^ 1, 3, 2, 1, 2, 2, 5, 3, 7, 2; 8, 1. 10, 2


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 09/01/2004 18.28

15. AL TEMPO DI VERO, POLICARPO, INSIEME AD ALTRI, SUBÌ IL MARTIRIO NELLA CITTA DI SMIRNE

1. In questo tempo, mentre infuriavano grandissime persecuzioni in Asia, Policarpo subì il martirio. Ritengo assolutamente necessario aggiungere in suo ricordo la storia della sua morte, custodita per iscritto ancora ai nostri giorni. 2. Ci è pervenuta infatti una lettera 73 scritta di suo pugno e inviata dalla Chiesa che presiedeva alle altre diocesi del luogo, in cui si riferiscono gli avvenimenti che lo riguardano con queste parole: 3. "La Chiesa di Dio che ha sede a Smirne alla Chiesa di Dio che ha sede a Filomelio e a tutte le diocesi della santa Chiesa cattolica presenti in ogni luogo. La misericordia, la pace e l'amore di Dio Padre e di nostro Signore Gesù Cristo abbondi in voi. Vi abbiamo già scritto, fratelli, ciò che accadde ai martiri e al beato Policarpo, la cui testimonianza di fede pose termine alla persecuzione come con un sigillo" 74.

4. Inoltre, prima di raccontare il martirio di Policarpo, lo scritto riferisce la sorte degli altri martiri, descrivendo con quale sopportazione essi affrontavano Ì supplizi75. Si dice che gli spettatori che stavano nel circo rimasero sbigottiti al vederli ora ridotti a brandelli dalle frustate, che arrivavano in profondità fino alle vene e alle arterie più interne al punto da far vedere persino gli intestini e le parti innominabili, ora stesi su triboli e su aguzzi pali e, dopo aver subito ogni sorta di punizioni e supplizi, gettati in pasto alle belve.

5. Raccontano che si distinse particolarmente il nobilissimo Germanico, che ebbe la forza di sconfiggere, con l'aiuto della grazia divina, l'innata paura dell'uomo di fronte alla morte del corpo. Non si curò del console 76 che voleva dissuaderlo dal martirio facendo leva sulla sua giovane età e che lo supplicava di avere pietà di sé stesso perché ancora giovane e nei verdi anni; ma coraggiosamente aizzò contro di sé la belva quasi con violenza perché lo liberasse quanto prima dall'ingiusta e iniqua vita.

75 II riferimento è al Martino di Policarpo, il più antico fra gli Atti di<DIR>

martiri che si conosca 74 Martino di Policarpo, 1 /5 Martino di Policarpo, 2-7.

</DIR>

76 Si tratta di L Stazio Quadrato, citato alla fine del Martino di Policarpo, che ru proconsole d'Asia dal 151 al 157 d C

6. Per la nobile morte di costui la folla, meravigliata dell'impavidità del pio martire e della virtù dell'intera schiatta cristiana, cominciò in coro a gridare: "Via gli atei! Si cerchi Policarpo!". 7. Alle grida seguì un grandissimo disordine e un tale, di stirpe frigia, di nome Quinto, giunto da poco dalla Frigia, si perdette d'animo alla vista delle belve e davanti agli altri supplizi e venne meno, allontanando così da sé la salvezza. 8. Il racconto della lettera sopra citata riferisce che costui per spavalderia e non per convinzione andò in tribunale con gli altri. Ma una volta condannato, costituì per tutti un chiaro esempio di come non bisogna sottoporsi a simili prove solo per disprezzo del pericolo e senza convinzione. Così termina il racconto che li riguarda. 9. La lettera continua dicendo che l'ammirevolissimo Policarpo, ascoltando queste cose, dapprima non si scompose, conservando la propria anima calma e salda, e volle rimanere in città. Ma persuaso poi dai suoi compagni che lo scongiuravano e lo supplicavano con continue preghiere di fuggire, si recò in un podere vicino alla città, dove rimase con pochi amici, non facendo altro, di giorno e di notte, se non perseverare nella preghiera al Signore, supplicando e implorando da lui la pace per le Chiese di tutto il mondo, come era sempre stata sua consuetudine. 10. Dopo la preghiera, tre giorni prima del suo arresto, sognò che il cuscino si incendiava e veniva completamente consumato dal fuoco. Svegliatesi, espose subito ai suoi compagni ciò che aveva visto in sogno, ma non rivelò ciò che gli sarebbe accaduto, tacendo loro che era destino che egli morisse per Cristo consumato dal fuoco. 11. Poiché coloro che ne avevano ricevuto l'ordine lo cercavano con grande cura, obbligato di nuovo, a quanto dicono, dall'affetto e dalla benevolenza dei fratelli, si rifugiò in un altro podere. Qui, dopo poco tempo, giunsero coloro che lo cercavano; catturati due suoi servi che lì si trovavano, appresero il luogo in cui si nascondeva Policarpo da uno di loro, dopo averlo sottoposto a tremende torture. 12. Giuntivi a tarda ora, lo trovarono che dormiva in una soffitta, da dove non volle fuggire, pur essendogli possibile rifugiarsi in un'altra casa, dicendo: "Sia fatta la volontà di Dio". 13. Avendo saputo del loro arrivo, come narra lo scritto, scese dalla soffitta e parlò loro con un viso così dolce e benevolo da far credere ai suoi persecutori, che non lo conoscevano, di assistere ad un miracolo al vedere la sua età avanzata, la santità e la tranquillità del suo portamento, anche se avevano avuto un sì grande zelo nel catturare un simile vecchio. 14. Ma Policarpo non si curò di ciò e, ordinato che fosse loro imbandita subito una mensa, li esortò a prendere cibo a sazietà. Fece poi loro richiesta di una sola ora per poter pregare tranquillamente. Avuto il loro consenso, si levò in piedi e cominciò a pregare tanto ricolmo della grazia del Signore da far stupire i presenti al sentirlo e da far pentire molti di loro del fatto che un vecchio così santo e pio stava per essere ucciso.

15. Lo scritto che ci parla di lui prosegue poi nel racconto dicendo testualmente: "Finì la preghiera ricordando tutti, anche coloro che allora erano con lui, piccoli e grandi, illustri e sconosciuti, e tutta la Chiesa cattolica diffusa nel mondo. Giunta l'ora di andare, lo fecero montare su un asino e lo condussero in città. Era un sabato di festa grande. Lo incontrarono l’eirenarca 77 Erode e suo padre Niceta che, fattoio salire sulla loro carrozza e sedutisi vicino a lui, cercarono di persuaderlo a rinnegare la sua fede con queste parole "Che male c'è nel dire Signore Cesare, nel sacrificare e così salvarsi?". 16. In un primo tempo non rispose, ma poi, vista la loro insistenza, disse: "Non ho intenzione di fare ciò a cui mi esortate". Essi desistettero allora dal persuaderlo e, pronunciate contro di lui turpi parole, lo spinsero giù dalla carrozza con tanta violenza che egli, nella caduta, si sbucciò uno stinco.

  1. Era il responsabile dell'ordine pubblico.

    Ma non si voltò neppure, ignorando il dolore, e con coraggioso zelo avanzava, condotto verso lo stadio. 17. Pur essendoci qui un sì grande clamore che avrebbe impedito a chiunque di essere udito, Policarpo, non appena entrò, sentì una voce dal cielo dirgli: "Forza Policarpo, sii forte". Nessuno vide chi aveva parlato, ma molti dei nostri udirono quella voce. 18. Quando Policarpo fu portato all'interno dello stadio, coloro che avevano appreso la notizia del suo arresto eruppero in un grande clamore. Non appena entrò, il proconsole gli domandò se era Policarpo; avuta risposta affermativa, cercò di persuaderlo ad abiurare dicendo: "Abbi riguardo della tua età! "; aggiunse poi quelle parole che erano soliti pronunciare: "Giura nel Genio di Cesare, pentiti, di': basta con gli atei". 19. Ma Policarpo, guardando con volto serio tutta la folla che era nello stadio, alzò verso di loro la mano e, sollevato lo sguardo al cielo, disse: "Basta con gli atei!". 20. Il proconsole, avvicinatesi, gli disse: "Giura e ti libererò; insulta il Cristo!". Ma Policarpo rispose: "Sono suo servo da ottantasei anni e non ho ricevuto da lui nessuna ingiustizia. Come potrei insultare il mio rè, colui che mi ha dato la salvezza?". 21. Ma il proconsole insisteva dicendo: "Giura nel Genio di Cesare"; e Policarpo: "Se speri che io giuri nel Genio di Cesare, come mi ordini, fingendo di ignorare chi io sia, ascolta attentamente: sono cristiano. E se vuoi apprendere l'insegnamento del Cristianesimo, basterà che tu mi ascolti per un giorno!". 22. Rispose il proconsole: "Persuadi il popolo". E Policarpo: "Ho ritenuto degno rivolgerti la parola perché mi hanno insegnato di onorare i magistrati e le autorità investite da Dio come loro si addice, se ciò non è dannoso per noi; ma non stimo degni costoro di ascoltare la mia difesa". 23. E il proconsole: "Ho le belve; a queste ti darò in pasto se non abiuri la tua fede". Egli rispose: "Chiamale, ma non muterò parere per passare dalle cose migliori alle peggiori; è bello infatti andare dall'ingiustizia alla giustizia". 24. Ed egli: "Se non ti curi delle belve, ti farò consumare dal fuoco, se non abiurerai il Cristo". E Policarpo: "Tu minacci un fuoco che brucia per un'ora e poco dopo si spegne, ma ignori il fuoco del giudizio futuro e del castigo eterno destinato agli empi. Ma perché perdi tempo? Fa venire quello che vuoi". 25. Nel dire altre parole ancora più gravi era pieno di coraggio e di gioia, e il suo volto abbondava a tal punto di grazia da non scomporsi alle parole che gli erano state rivolte dal console, che rimase anzi stupito e inviò l'araldo in mezzo allo stadio a proclamare tre volte: "Policarpo si è dichiarato cristiano". 26. Quando l'araldo ebbe finito di pronunciare queste parole, tutto il popolo dei pagani e dei Giudei che abitavano a Smirne gridò con impeto incontenibile e a gran voce: "Questi è il maestro dell'Asia, il padre dei cristiani, il flagello dei nostri dei, colui che insegna a molti a non sacrificare e a non prostarsi ".27. Dicendo ciò, chiesero a gran voce all'asiarca78 Filippo di sguinzagliare un Icone contro Policarpo. Egli rispose che non era possibile, poiché' lo spettacolo delle belve era finito. A loro sembrò bene quindi chiedere all'unanimità di bruciare vivo Policarpo. 28. Bisognava infatti che avesse compimento la visione a lui apparsa del cuscino, che vide bruciare mentre pregava quando, rivolto ai fedeli che erano con lui, profetizzò: "E necessario che io sia arso vivo". 29. Ciò si verificò in men che non si dica: il popolo infatti condusse subito fuori dalle officine e dalla terme legna e fascine. In ciò si prodigarono soprattutto i Giudei, come era loro costume. 30. Quando la pira fu allestita, si tolse da sé tutti i vestiti, si sciolse la cintura e tentò di togliersi anche le scarpe, cosa che non aveva fatto prima da sé poiché ciascun fedele sempre contendeva con l'altro per toccargli per primo la pelle. A causa della sua perfetta santità infatti era oggetto di onore anche prima di giungere alla vecchiaia.

    Era preposto al Concilio d'Asia per il quale cf. supra, n. 56.

    31. Subito gli fu fatto indossare ciò che è necessario per il rogo; ma poiché essi avevano anche l'intenzione di inchiodarlo, disse loro: "Lasciatemi così; colui che infatti mi da la forza di sopportare il fuoco, mi permetterà di resistere al rogo anche senza che voi mi ci assicuriate con i chiodi". Essi allora non lo inchiodarono, ma lo legarono. 32. Egli, messe le mani dietro la schiena e legato come agnello scelto preso da un grande gregge come olocausto gradito a Dio onnipotente, disse: 33. "Padre dell'amato e benedetto Gesù Cristo, tuo figlio, per mezzo del quale siamo stati resi partecipi della tua conoscenza, Dio degli angeli, delle potenze, di ogni creatura e di tutta la stirpe dei giusti che vivono al tuo cospetto, ti benedico per avermi reso degno di questo giorno e di questo momento, con cui mi concedi di prendere parte al calice del tuo Cristo nel numero dei martiri 34. per la resurrezione della vita eterna, dell'anima e del corpo nell'incorruttibilità dello Spirito Santo. Fra loro possa io essere accolto oggi al tuo cospetto, come sacrificio pingue e a tè accetto, 35. come tu, Dio vero e non menzognero, hai preparato, rivelato prima dei tempi e portato a compimento. Per questo e per ogni altra cosa io ti lodo, ti benedico, ti magnifico per mezzo dell'eterno sommo sacerdote Gesù Cristo, tuo amato figlio, per mezzo del quale a te, con lui, nello Spirito Santo, sia gloria ora e nei secoli futuri. Amen". 36. Non appena proferì "amen" e portò a termine la preghiera, gli addetti attizzarono il fuoco. A noi, ai quali fu concesso vedere il prodigio di una grande fiamma che risplendeva, è stato riservato il compito di raccontare ad altri il miracolo che accadde. 37. Il fuoco, prendendo forma di volta come la vela di una nave gonfiata dal vento, avvolse il corpo del martire, che vi si trovava in mezzo non come carne bruciata, ma come oro e argento arsi in una fornace; infatti sentivamo un profumo simile a quello dell'incenso e di un altro aroma prezioso. 38. Quegli empi infine, vedendo che ciò impediva che il suo corpo potesse essere consumato dal fuoco, ordinarono ad un confector 79 di avvicinarsi a lui e di trafìggerlo con una spada. 39. Fatto questo, sgorgò dal suo corpo una così grande quantità di sangue da riuscire a spegnere il fuoco e a far meravigliare il popolo della grande differenza esistente tra coloro che non credono e gli eletti. Egli era uno di costoro, il maestro ammiratissimo nei nostri tempi, discepolo degli apostoli e profetico vescovo della Chiesa cattolica di Smirne; ogni parola che usciva dalla sua bocca o si era già compiuta o si sarebbe compiuta. 40. Ma il demonio, astuto e invidioso, nemico della progenie dei giusti, vedendo la grandezza della sua testimonianza di fede e la sua vita sempre ineccepibile, che lo cinse della corona dell'immortalità e gli permise di riportare il premio inoppugnabile della vittoria, fece in modo che noi non raccogliessimo neppure il suo corpo, sebbene molti desideravano farlo per tenere con loro le sue sante spoglie. 41. Alcuni consigliarono a Niceta, padre di Erode, fratello di Alce, di recarsi dal procuratore per esortarlo a non darci il suo corpo, dicendogli: "Affinchè, abbandonando l'adorazione di colui che è stato crocifisso, non comincino a venerare costui". Dissero queste cose su suggerimento e istigazione dei Giudei - essi infatti ci spiavano quando stavamo per prendere il suo corpo dal rogo - ignorando che non potremo mai dimenticarci del Cristo, che patì per la salvezza di coloro che sono salvati in tutto il mondo, ne adorare un altro. 42. Veneriamo lui che è figlio di Dio, e amiamo i martiri come loro spetta perché discepoli e imitatori del Signore per la loro dedizione senza pari al proprio rè e maestro. Voglia il cielo che noi diveniamo loro amici e condiscepoli! 43. Il centurione, vedendo la contesa causata dai Giudei, fece porre il cadavere del martire nel mezzo, come era loro consuetudine, e lo fece bruciare; così poi noi, raccolte le sue ossa, più preziose delle pietre pregiate e più inestimabili dell'oro, le riponemmo in un luogo conveniente. -

  2. Era colui che dava il colpo di grazia al lottatore o alla belva ferita nell’arena.

44. Qui, finché sarà possibile, il Signore ci concederà di riunirci nella gioia e nella letizia per commemorare l'anniversario del suo martirio, in ricordo di coloro che hanno lottato prima di noi per la fede e per esercizio e preparazione di coloro che lo faranno dopo di noi. 45. Questo per quanto riguarda il beato Policarpo, il dodicesimo martire a Smirne dopo quelli di Filadelfia; solo il suo nome è sulla bocca di tutti in ogni luogo, persino su quella dei pagani" 80.

46. La vita del magnifico ed apostolico Policarpo è stata degna di una simile fine, che i fratelli della Chiesa di Smirne hanno riferito nella lettera già citata. In essa è aggiunto anche il racconto di altri martiri verificatisi a Smirne nello stesso periodo di quello di Policarpo, in cui si dice che anche Metrodoro, forse presbitero della setta di Marcione, morì sul rogo arso dalle fiamme 81.

47. Dei màrtiri di quel tempo il più famoso è un tal Pionio 82. La narrazione minuziosa della sua confessione di fede; la forza delle sue parole; la difesa della fede davanti al popolo e ai giudici; i sermoni didascalici, e ancora le ammonizioni a coloro che cadevano in tentazione durante la persecuzione; le esortazioni che dava ai fratelli che lo andavano a trovare in carcere; inoltre i supplizi che subì e le sofferenze che ne derivarono; i chiodi; la risoluzione da lui mostrata sul rogo; la sua morte, che fu al di sopra di ogni prodigio: tutte queste cose sono trattate con dovizia di particolari nella narrazione che lo riguarda.

80 Martino di Policarpo, 8-19

81 Metrodoro fu martirizzato m realtà durante la persecuzione di De-cio (249-25 IdC)

82 Non confondere questo Pionio con l'omonimo autore di una Vita di Policarpo, un'opera del tutto leggendaria, composta nel 400 circa per completare la narrazione del Martino di Policarpo Anche questo Pionio morì sotto la persecuzione di Decio.

Essa è stata inclusa da me fra le testimonianze antiche riguardanti i màrtiri; a queste rimanderò coloro che ne hanno interesse 83. 48. E oltre questi, ci sono giunti anche Atti di altri che furono martirizzati a Pergamo, città dell'Asia, di Carpo, di Panfìlo e di sua moglie Agatonice, che morirono in modo illustre dopo aver confessato gloriosamente la propria fede in molte occasioni.

(Teofilo)
00lunedì 21 settembre 2009 19:38
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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 09/01/2004 18.29

16. IL FILOSOFO GIUSTINO SUBÌ IL MARTIRIO PERCHÉ ANNUNCIAVA NELLA CITTÀ DI ROMA LA PAROLA DI CRISTO

1. In questi tempi Giusrino, poco sopra da noi citato 84, dopo aver dedicato un secondo scritto in difesa della nostra fede agli imperatori già menzionati 85, venne onorato del divino martirio in seguito al complotto ordito contro di lui dal filosofo Crescente (costui seguiva la concezione di vita del cinismo, già evidente dal nome che portava), che aveva già spesso biasimato in controversie pubbliche avvenute in presenza di molti ascoltatori. Subì infine il martirio, riportando così i premi della vittoria per la verità annunciata. 2. Egli in verità, filosofo abilissimo, nella citata Apologia profetizzò chiaramente con queste parole quanto stava per accadergli: 3. "Mi sembra che qualcuno dei suddetti congiuri anche contro di me e mi metta alla gogna, forse Crescente, amico non della sapienza, ma della vanagloria; non è degno infatti di essere definito filosofo colui che pubblicamente discute di cose che ignora e accusa pubblicamente i cristiani, che egli non conosce, di essere atei ed empi, facendo questo per dilettare e compiacere i molti che induce nell'errore. 4. Egli, pur non avendo mai conosciuto gli insegnamenti del Cristo, ci rivolge simili accuse, mostrandosi cosi assai perverso e di gran lunga peggiore degli ignoranti, che spesso si guardano bene dal parlare o dal fare false attestazioni su argomenti che non conoscono.

^ II riferimento è all'opera Raccolta di antichi martiri, andata perduta. ^Ci.supra, 11, 8 ss; 12. 85 Antonino Pio, Marco Aurelio e Lucio Vero.

Se invece conosce la nostra fede, non ne ha colto la grandezza o, coltala, agisce in quel modo per non essere accusato di essere cristiano, essendo molto vile e malvagio, succube della paura e di un pensiero insipiente e irragionevole. 5. Desidero che voi sappiate che io, interrogatolo su alcune questioni di tal genere, ho appreso e capito che non ne sa veramente nulla; e per dimostrare la veridicità delle mie affermazioni, se queste discussioni non vi sono state rese note, sono pronto a rivolgergli di nuovo le stesse domande anche alla vostra presenza. Anche ciò sarebbe compito dell'imperatore. 6. Ma se conoscete le mie domande e le sue risposte, vi è chiaro che non conosce nulla della nostra religione; e se ne sa qualcosa, non ha l'ardire di manifestarla a causa della presenza di ascoltatori, mostrandosi, come ho detto prima, non sapiente e filosofo, ma uomo amante di gloria, dato che ha in odio anche il famoso detto di Socrate 86, che invece è degno di ammirazione" 87.

7. Questo dice Giustino. Che sia morto, come egli stesso predisse, per l'accusa di Crescente, lo racconta anche Taziano88 - uomo nella sua giovinezza sapiente nelle dottrine dei Greci, in cui conquistò non piccola fama -, che lasciò moltissimi ricordi su di lui nelle sue opere. In quella intitolata Contro i Greci riferisce: "E l'ammirevole Giustino a ragione ha ritenuto simili ai pirati coloro che sono stati prima menzionati" 8q.

8. Poi, dopo aver aggiunto alcune cose sui filosofi, continua dicendo: "Crescente dunque, che tramava nella grande città, eccelse su tutti in pederastia e fu molto incline all'avidità. 9. Egli stesso aveva paura della morte che esortava a disprezzare, e complottava contro Giustino, che riteneva un grande male, affinchè fosse condannato a morte per il fatto che, annunciando la verità, confutava i filosofi avidi di gloria e ciarlatani" 90. Di tal genere fu l'accusa che condannò Giustino al martirio.


86 È riportato da Fiatone, Repubblica, X, 595 e: "L'uomo non deve essere onorato più della verità".

87 II Apologia. 3, 1-6.

88 Su Taziano e le sue opere d. infra, 29. Sul Discorso ai Greci d. n. 150.

89 Discorso ai Greci, 18.

17. I MARTIRI CHE GIUSTINO RICORDA NEI SUOI SCRITTI

1. Lo stesso autore, prima della prova da lui affrontata, nella I Apologia q1 fa una menzione, utile al nostro scopo, di altri che morirono martiri prima di lui, dicendo: 2. "Una donna aveva per marito un uomo dissoluto, ed era dissoluta anch'essa in principio. Ma conosciuti gli insegnamenti del Cristo, divenne saggia e tentò di far rinsavire il marito, come aveva fatto lei, facendogli conoscere la dottrina cristiana e annunciandogli la punizione nel fuoco eterno riservata a quanti conducono una vita corrotta, lontana dalla parola della rettitudine. 3. Ma egli perseverava nelle sue sregolatezze, finendo con l'estraniarsi la moglie per le sue azioni. Costei, giudicando cosa empia continuare a giacere con un uomo che tentava in ogni modo di avere rapporti di piacere al di là della legge di natura e del giusto, decise di separarsi da lui. 4. Ma, persuasa dalle suppliche dei suoi parenti, che la esortavano a rimanere ancora col marito nella speranza di un suo futuro cambiamento, decise di rimanere con lui, facendo così violenza a se stessa. 5. Ma saputo che egli, recatesi ad Alessandria, faceva cose ancora più turpi, non volle più partecipare alle sue scelleratezze e turpitudini, rimanendo in legame con lui e dividendo la stessa mensa e lo stesso letto; decise quindi di separarsi, concedendogli quello che voi chiamate repudium.

90 Discorso ai Greci, 19.

91 II passo appartiene in realtà a lì Apologia, 2.


6. Quell'uomo nobile avrebbe dovuto gioire del fatto che la moglie avesse smesso di compiere quelle turpitudini un tempo a lei care, quali l'unirsi liberamente con i servi e i mercenari, l'ubriacarsi e il godere di ogni sorta di male, e del fatto che essa desiderava che anche lui desistesse dal com" piere le stesse esecrande azioni; invece, poiché lo aveva lasciato contro il suo volere, la denunciò, accusandola di essere cristiana.

7. Questa donna, o imperatore, ti ha inviato una supplica, chiedendoti dapprima di ritirarsi per sistemare le proprie cose, poi, dopo aver fatto ciò, di difendersi dall'accusa, tutte cose che tu le hai concesso.

8. Il marito, poiché non fu in grado di sostenere contro di lei le sue accuse, si rivolse contro un certo Tolomeo, maestro della donna nella dottrina cristiana, che era stato già punito da Urbico 92.

9. Fece ciò in questo modo. Riuscì a convincere un centurione, che era suo amico, ad arrestare To-lomeo, a metterlo in carcere e a chiedergli solo se era cristiano. Il centurione fece arrestare Tolomeo, amico della verità, e non uomo ingannatore e fraudolento, per avere confessato la sua fede in Cristo, e lo fece torturare a lungo in carcere.

10. Quando infine fu portato al cospetto di Urbico, gli fu domandato questo solo, se era cristiano. Ed egli, che sapeva che ciò che di bello era presente in lui derivava dall'insegnamento di Cristo, confessò nuovamente di credere nella dottrina della divina virtù.

11. Colui che infatti nega o riconosce il fatto, ne diviene ugualmente colpevole o, riconoscendosi indegno e al di fuori di esso, ne evita la confessione; nessuna di queste cose è degna del vero cristiano.

12. Avendo Urbico ordinato di condurlo via, un certo Lucio, cristiano anch'egli, vedendo l'assurdità del verdetto dei giudici, si rivolse ad Urbico dicendo: "Per quale motivo hai punito quest'uomo, che non è accusato di essere ne adultero, ne fornicatore, ne assassino, ne borsaiolo, ne ladro, che non si è macchiato insomma di nessuna colpa, tranne di quella di aver confessato di essere cristiano? Il tuo giudizio, Urbico, non è degno dell'imperatore Pio ne del figlio filosofo di Cesare ne del sacro Senato".

92 Prefetto urbano nel 150 d.C. circa.

13. Egli non rispose nient'altro e disse anche a Lucio: "Mi sembra che anche tu sia cristiano"; e Lucio rispose: "Certamente ". Ordinò che anche lui fosse portato via. Egli confessò allora a Giustino la sua gratitudine, dicendogli di essere contento di rinunciare a simili padroni miseri e di andare verso Dio, padre e rè buono. Fattosi avanti un terzo uomo, fu condannato anch'egli al martirio".

Giustino aggiunge altre parole già da me ricordate, simili e conseguenti a queste, dicendo: "Anche a me sembra dunque che uno di quelli che ho già menzionato complotti contro di me" 93, e altre cose.

18. LE OPERE DI GIUSTINO PERVENUTECI

1. Giustino ci ha lasciato nei suoi scritti moltissime prove della propria ortodossia e della profonda conoscenza delle cose divine, piene di ogni utilità. Rimando, per quanti le vogliono conoscere, alle sue opere. Ritengo ora utile illustrare quelle giunte alla nostra conoscenza. 2. Suo è un discorso in difesa della nostra religione, rivolto ad Antonino Pio, ai suoi figli e al Senato di Roma; sua è una II Apologia, composta anch'essa in difesa della nostra fede, indirizzata ad Antonino Vero, omonimo successore del menzionato imperatore, il cui tempo sto ora esaminando. 3. Compose anche un'altra opera dal titolo Contro i Greci 94, nella quale, dopo aver discusso a lungo su moltissime questioni che sono oggetto di indagine da parte nostra e dei filosofi greci, si sofferma sulla natura dei demoni; ma non è necessario ora citare le sue parole.

93 II Apologia, 3, 1. ^ Opera perduta.

4. Ci è giunta ancora un'altra sua opera contro i Greci, intitolata anche Confutazione 95, e ancora un'altra dal titolo Sulla monarchia di Dio 96, che compose sulla base non solo delle opere cristiane, ma anche di quelle dei Greci. 5. Compose ancora un'opera dal titolo Psaltes, e un'altra, di commento, Sull'anima 97, in cui, dilungandosi su diverse questioni inerenti il tema della sua trattazione, riferisce le opinioni dei filosofi greci in merito, che promette di criticare in un'altra opera sulla base delle proprie concezioni. 6. Scrisse anche un dialogo Contro i Giudei 98, che tenne ad Efeso con Tritone, uomo in quel tempo famosissimo fra gli Ebrei di questa città. In esso riferisce il modo in cui la grazia divina lo condusse alla parola della fede, lo zelo con cui precedentemente si interessò alla filosofia e con quale ardore ricercò la verità 99. 7. In questa stessa opera dice che i Giudei congiuravano contro l'insegnamento di Cristo, e rivolge queste parole a Tritone: "Non soltanto non vi siete pentiti del male che avete compiuto, ma avete anzi selezionato uomini scelti, che avete inviato allora da Gerusalemme in tutta la terra ad annunciare la comparsa dell'eresia atea dei cristiani, e a diffondere quelle accuse che tutti coloro che non conoscono la nostra dottrina rivolgono contro di noi. Così avete commesso ingiustizia non solo contro voi stessi, ma anche in definitiva contro tutti gli uomini" 100.

95 Anche quest'opera è perduta. In essa si dimostrava come i filosofi greci dicono delle verità solo quando le loro dottrine si rifanno a quelle di Mosè e dei Profeti.

96 Opera apocrifa. Su di essa cf. supra, n. 54. 9/ Entrambe queste opere sono per noi perdute. 98 L'opera, meglio nota con il titolo Dialogo con Trifone, riferisce il dialogo che Giustino ebbe ad Efeso col dotto giudeo Tritone. Nei primi capitoli (2-8) l'autore narra la propria conversione spirituale. Dimostra poi il caratare transitorio della Legge giudaica e afferma che l'adorazione di Gesù non ^mpromette il monoteismo. Nell'ultima parte sostiene che Cristo chiama an-^e i pagani all'appartenenza alla Chiesa.

99 Cf. Dialogo con Trifone, 2-8.

100 Dialogo con Tnfone, 17, 1.


8. Riferisce inoltre che fino al suo tempo i doni profetici splendevano nella Chiesa 101. Cita V Apocalisse di Giovanni, e egli attribuisce all'apostolo 102. Riporta anche alcuni passi dei Profeti, attaccando Tritone per il fatto che i Giudei li avevano eliminati dalla Scrittura 103. Molti fratelli ci hanno fatto pervenire molte altre sue opere: 9. esse infatti sono sembrate anche agli antichi così degne di considerazione che persino Ireneo si serve di sue parole in questo passo del quarto libro del Contro le eresie. "Bene dice Giustino nello scritto Contro Marcione che egli non avrebbe creduto nell'esistenza di un altro Dio oltre il Demiurgo neppure se fosse stato il Signore in persona a confermagliela" 105; e in quest'altro del quinto libro della stessa opera: "Bene ha detto Giustino, che mai Satana ebbe l'ardire di imprecare contro Dio prima della parusia del Signore, perché non era ancora a conoscenza della propria rovina" 106.

10. Ho detto queste cose spinto dal bisogno di incitare coloro che sono desiderosi di apprendere ad occuparsi con zelo anche delle opere di questo scrittore. Questo per quanto riguarda Giustino.

101 Dialogo con Trtfone, 82, 1.

102 Dialogo con Trifone, 81, 4.

103 Dialogo con Trifone, 71-73.

104 Opera citata anche supra, 11,8. Su di essa cf. anche supra, n. 51.

105 Contro le eresie, IV, 6, 2.

106 Contro le eresie, V, 26, 2.

19. COLORO cHE FURONO A CAPO DELLA CHIESA DI ROMA E DI ALESSANDRIA DURANTE L'IMPERO DI VERO

Circa all'ottavo anno di regno dell'imperatore già citato 107, ad Aniceto, che mantenne la carica episcopale della Chiesa di Roma per undici anni interi, succedette Sotero, mentre nella diocesi di Alessandria a Celadione, che la resse per quattordici anni, succedette Agrippino.

107 II riferimento è a Marco Aurelio, che regnò dal 161 al 180. L'anno indicato è il 169 d.C.


20. CHI FURONO I VESCOVI DI ANTIOCHIA

Nella Chiesa di Antiochia aveva fama Teofilo 108, sesto vescovo 1()9 della città a partire dagli apostoli; quarto dopo Erone fu designato Cornelio, e quinto dopo di lui ricevette l'episcopato Eros.

21. GLI SRITTORI ECCLESIASTICI FAMOSI IN QUESTO PERIODO

Fiorirono in questo periodo nella Chiesa Egesippo, che conosciamo dalle pagine precedenti, Dionigi, vescovo di Co-rinto 110, Finito, vescovo di Creta, e inoltre Filippo n1, Apollinare 112, Melitene 113, Musano 114, Modesto 115 e, su tutti, Ireneo 116; di tutti questi scrittori sono giunte fino ai nostri giorni le opere, documento dell'ortodossia della santa fede della tradizione apostolica.

108 Sulla sua figura cf. anche infra, 24. Per una completa trattazione cf. M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 70-72.

109 Girolamo, Epistolario, 121, 6 considera Teofilo settimo vescovo, dato che ritiene primo Pietro e non Evodio, come vuole Eusebio (cf. supra. III, 22). Lo stesso però, in Gli uomini illustri, 25 concorda con Eusebio.

^Sudiluicf.^,23. 111 Cf. infra, 25.

12 Su questo autore cf. infra, 26, 1; 27; V, 19, 3. ;ì Su diluicf. infra, 26. 114 Sulla sua figura cf. infra, 28. 1 ^ Su Modesto cf. infra, 25. \^^. supra,lì, 13, 5 e n. 55.

22. EGESIPPO E GLI ARGOMENTI DELLE SUE OPERE

1. Egesippo dunque, nei cinque libri che ci sono pervenuti, ha lasciato un esaustivo ricordo del proprio pensiero. In essi mostra come, mandato a Roma, frequentò moltissimi vescovi, traendo da tutti lo stesso insegnamento. Dopo alcune notizie è possibile leggere queste parole sulla lettera di Clemente Ai Corinti: 2. "La Chiesa di Corinto rimase nell'ortodossia finché, Primo detenne l'episcopato della città. Navigando alla volta di Roma, venni in contatto con i Corinzi, con cui trascorsi un buon numero di giorni, nei quali traemmo conforto dalla retta dottrina. 3. Quando arrivai a Roma, ho scritto la successione dei vescovi fino ad Aniceto; diacono di costui fu Eleutero. Sotero succedette ad Aniceto, e a Sotero, Eleutero. Ogni successione e la vita di ogni città viene regolata così sulla base della Legge, dei profeti e del Signore".

4. Lo stesso autore parla delle origini delle eresie del suo tempo, dicendo: "Dopo che Giacomo il "Giusto" fu martirizzato per aver commesso lo stesso reato del Signore, fu designato vescovo per unanime consenso il figlio di suo zio, Simeone, figlio di Cleopa, che era un secondo cugino del Signore 117. Per questo diedero alla Chiesa l'appellativo di vergine, perché non era stata ancora violata da vane parole. 5. Ma Tebutis, per vendicarsi di non essere stato eletto vescovo, cominciò a inquinarla tra il popolo, partendo dalle sette fazioni, di cui anch'egli faceva parte. Da queste trassero origine Simone, da cui i Simoniani, Cleobio, da cui i Cleobiani, Dositeo, da cui i Dositiani, Gortaio, da cui i Gorateni, e i Mosbotei; da questi ultimi i Menandrianisti, i Marcianiti, i Carpocraziani, i Valentiniani, i Basilidani e i Satorniliani trassero, ciascuno in modo diverso, la propria dottrina 118.

6. Da questi ebbero origine pseudocristi, pseudoprofeti e pseudoapostoli, che lacerarono l'unità della Chiesa con parole rovinose contro Dio e contro lo stesso Cristo".

-

118 Sono tutte sette eretiche

7. Lo stesso scrittore parla anche delle fazioni che un tempo sorsero fra i Giudei, dicendo: "Fra i figli degli Israeliti, contro la tribù di Giuda e di Cristo, c'erano differenti opinioni sulla circoncisione: Esseni, Galilei, Emerobattisti, Masbotei, Samaritani, Sadducei, Farisei".

8. Riporta poi molte altre notizie, che in parte ho già ricordato sopra inserendole al momento opportuno nel racconto; di queste alcune le riprende dal Vangelo secondo gli Ebrei 119, da quello Siriaco 120 e particolarmente dalla lingua ebraica, prova evidente, questa, che si convertì dall'Ebraismo, e altre dalla tradizione giudaica non scritta. 9. Egli, come Ireneo 121 e tutti gli scrittori antichi, definì i Proverbi di Salomone "sapienza piena di virtù". Parlando poi degli scritti detti apocrifi, riferisce che alcuni di questi sono stati scritti da eretici del suo tempo. Ma ormai è necessario affrontare un altro argomento.

119 Cf. supra. Ili, n. 96.

120 Non è chiaro a quale traduzione siriaca Eusebio fa riferimento fra le cinque note: la antica siriaca, la Pesitta, la Filosseniana, la Harclense e la Si-ro-palestinese. Su di esse cf. A. Passoni dell'Acqua, II testo del Nuovo Testamento. Torino 1994, pp. 81-86. !21 Contro le eresie, IV, 20, 3.

23. DIONIGI, VESCOVO DI corinto, E LE LETTERE DA LUI SCRITTE

1. Per quanto riguarda Dionigi, per prima cosa si deve dire che sedette sul trono episcopale della diocesi di Corinto. Faceva inoltre abbondantemente partecipi della sua attività divina non solo coloro su cui presiedeva, ma anche quelli che abitavano in regioni straniere, a cui si rese utilissimo con le epistole cattoliche da lui scritte alle Chiese locali 2 Di queste quella Ai Lacedemoni è maestra di ortodossia e ammonimento alla pace e all'unità, quella Agli Ateniesi poi esorta alla fede e a vivere secondo il Vangelo In questa lettera rimprovera ai de-stinatan di avere trascurato la parola divina, quasi si fossero allontanati dalla fede dopo il martino del loro vescovo Publio, avvenuto durante le persecuzioni di allora 3 Cita anche Quadrato 122, eletto da loro vescovo dopo il martino di Publio, descrivendolo come uomo capace di guidarli con il suo zelo e infiammarli nella fede Riferisce poi che in quel tempo anche Diomgi l'Areopagita 123, convcrtito alla fede dall'apostolo Paolo, come attestano gli Atti degli Apostoli b, fu il primo ad essere nominato vescovo della diocesi di Atene 124 4 Di Dionigi ci è pervenuta un'altra lettera Ai Nicomedi, m cui confuta l'eresia di Marcione, ponendola a confronto con il canone della verità. 5 Nella lettera inviata alla Chiesa di Gortina e alle altre diocesi di Creta elogia il loro vescovo Filippo, poiché la Chiesa da lui presieduta aveva testimoniato la fede m Cristo con moltissimi gesti di coraggio A lui inoltre ricorda di tenere i propn fedeli lontano dalla perversione degli eretici 6 Nella lettera indirizzata alla Chiesa di Amastn e a quella del Ponto insieme, menziona Bacchilide ed Elpisto, dicendo che essi lo avevano spinto a scrivere, da spiegazioni delle Sacre Scritture e cita il loro vescovo, che si chiamava Palmas 125, da loro inoltre molti precetti sul matrimonio e la castità, li esorta ad accogliere con favore coloro che si pentono di un qualsiasi errore o di inosservanza o di eresia.

b At 17, 34

122 Cr supra, 3 e n 9 12^ Cr supra, III, n 14

124 Cf supra. III, 4, 10

125 Era vescovo ancora durante l'episcopato di Vittore (188 199 d C circa), sotto il quale scrisse, a nome dei vescovi del Ponto, una lettera sulla questione della Pasqua (cr anche infra, V, 23, 3)

7 A queste è stata aggiunta un'altra lettera indirizzata alla Chiesa di Cnosso, nella quale consiglia a Finito, vescovo della diocesi, di non obbligare i fratelli al grave peso della castità, ma di tenere presente la debolezza dei più 8 Finito gli rispose con una lettera, in cui mostra ammirazione e lode per lui e lo esorta a dare ormai un cibo più solido, alimentando la fede del suo popolo con nuove lettere più complete, affinchè i fedeli, nutrendosi di parole come di latte, non giungano alla vecchiaia senza accorgersi di condurre ancora una vita da bambini Questa lettera è come un'immagine perfetta, chiara testimonianza dell'ortodossia della fede di Finito, del suo zelo verso i fedeli, della sua eloquenza e della sua conoscenza delle cose divine 9 Di Dionigi si conserva anche una lettera Ai Romani, indirizzata al vescovo di allora Sotero. E meglio riportare da questa le parole con le quali loda il modo di vita morigerato osservato dai Romani fino alla persecuzione dei tempi nostri 10 "Avete ereditato dagli avi l'usanza di prendervi cura in vano modo di tutti i fratelli e di inviare aiuti a molte Chiese presenti in ogni città, avete alleviato così le sofferenze dei bisognosi e siete venuti incontro ai fratelli condannati ai lavori forzati nelle miniere con quei sussidi che voi, o Romani, inviate da sempre, osservando un'usanza ereditata dai vostri padri, che il vostro beato vescovo Sotero non solo ha conservato, ma anche alimentato, egli infatti li ha beneficati con gli aiuti inviati ai santi ed ha esortato con parole beate i fratelli che inviava presso di loro, come fa un padre affettuoso con i figli"

11 In questa stessa epistola menziona anche la lettera di Clemente Ai Corinti 126, dimostrando che già da tempo veniva letta in quella Chiesa per antica usanza. Ecco le sue parole "Oggi abbiamo celebrato il santo giorno del Signore, in occasione del quale si è data lettura della lettera, che potremo sempre, leggendola, ricordare, come anche la prima scrittaci da Clemente".

-

^Cf supra,m, 16 e n 61

12. Lo stesso autore inoltre dice queste cose sulla falsificazione delle proprie lettere: "Quando alcuni fratelli mi domandarono di inviare loro delle lettere, io lo feci. Ma gli apostoli del demonio le colmarono di zizzania, ora togliendo alcuni passi, ora aggiungendone altri. La maledizione incombe su di loro. Non desta meraviglia dunque il fatto che alcuni abbiano tenta- | to di falsificare gli scritti divini, poiché hanno fatto lo stesso con J questi, di certo inferiori". 13. Ci è pervenuta, oltre queste, an- " che un'altra lettera che Dionigi scrisse a Crisofora, sorella fé-delissima, che egli con precetti adatti rese partecipe del nutrimento spirituale conveniente. Ciò basti riguardo a Dionigi. H


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 09/01/2004 18.30

24. TEOFILO, VESCOVO DI ANTIOCHIA

1. Di Teofìlo, già citato quale vescovo della Chiesa di Antiochia, ci è giunta un'opera in tre libri dal titolo Libri elementari ad Autolico 127, e un'altra che porta il titolo Contro l'eresia di Ermogene 128, in cui si serve di testimonianze prese dall’ Apocalisse di Giovanni; rimangono di lui anche altri libri catechetici 129. Poiché anche allora gli eretici soffocavano come zizzania il puro seme della predicazione apostolica, i pastori delle Chiese di ogni luogo li cacciavano come belve selvatiche dal gregge dei cristiani, ora combattendoli con esortazioni e incitamenti ai fratelli, ora affrontandoli a viso aperto, confutando oralmente o con scritti le loro dottrine con argomenti esattissimi.

127 L'opera si divide in tre libri, composti all'incirca nel 180. Nel primo parla dell'essenza di Dio e della resurrezione; nel secondo confronta la mitologia pagana, gli insegnamenti dei poeti e le dottrine dei filosofi con il messaggio dei Profeti e la narrazione del Genesi circa la preistoria biblica; nel terzo respinge le tradizionali accuse rivolte dai pagani ai cristiani (cf. supra, 7,11 e n. 29), e dimostra l'antichità del Cristianesimo e delle Sacre Scritture, da lui fondata su un presupposto cronologico fantasioso, secondo il quale Mosè sarebbe vissuto novecento anni prima della guerra di Troia. Fornisce infine una cronologia fino a Ciro.

128 Opera perduta, ma di fondamentale importanza, se si pensa che fu fonte di Tertulliano nell'opera omonima.

129 Scritti anche questi perduti. Girolamo li lesse e li definì "brevi ed eleganti trattati per l'edificazione della Chiesa" {Gli uomini illustri, 25).

Che Teofilo li abbia osteggiati insieme ad altri risalta con chiarezza da un'eccellente opera scritta da lui contro Marcione 130, che si è conservata fino ad oggi insieme con le altre già citate. Dopo di lui viene designato vescovo della Chiesa di Antiochia Massimino, settimo a partire dagli apostoli.

25. filippo E modesto

Filippo che, come sappiamo dalle parole di Dionigi, fu vescovo della diocesi di Gortina 131, scrisse anch'egli un'opera fondamentale contro Marcione 132, come fecero anche Ireneo e Modesto 133, il più abile di tutti nello svelare pubblicamente l'inganno di quell'uomo, che rese noto poi a tutti, e molti altri ancora, le cui opere ancora oggi sono custodite da moltissimi fratelli.

26. SU MELITONE E CIÒ CHE EGLI RICORDA

1. In quel tempo ebbero particolare fama Melitene, vescovo della diocesi di Sardi, e Apollinare, vescovo di lerapo-li 134, che dedicarono all'imperatore di quel tempo, già citato, discorsi in difesa della fede.

130 Opera perduta, alla quale attinse Ireneo nel suo Contro le eresie.

131 Su questo punto cf. supra, 23, 5. ]32 Opera perduta.

133 L'opera di Modesto è perduta.

134 Sulla sua figura cf. capitolo seguente.

2. Di questi due autori si conoscono solo le seguenti opere: di Melitene, due libri Sulla Pasqua e Sul comportamento e i profeti. Sulla Chiesa, Sulla domenica, e ancora Sulla fede dell'uomo. Sulla creazione, Sull'obbedienza dei, sensi alla fede, e oltre questi Sull'anima e sul corpo. Sul battesi" a mo, Sulla verità. Sulla fede e sulla nascita di Cristo, il trattato I Sulla sua profezia. Sull'anima e il corpo. Sull'ospitalità, La chiave, Sul diavolo e l'Apocalisse di Giovanni, Sul Dio incarnato 136, e soprattutto la supplica Ad Antonino. |

3. All'inizio dell'opera Sulla Pasqua precisa con queste parole il periodo della sua composizione: "Sotto il proconsole " dell'Asia Servilio Paolo, al tempo in cui Sagaris subì il martirio, | vi fu un grande dibattito a Laodicea sulla Pasqua, che cadeva proprio in quei giorni, ed ho scritto quest'opera". 4. DÌ questo scritto fa menzione Clemente di Alessandria nella sua opera Sulla Pasqua \yi, che egli dice di aver scritto in risposta all'opera di Melitene. Nell'opera rivolta all'imperatore riferisce quanto ci è accaduto ai suoi tempi: 5. "Cosa che non era mai accaduta, ora la stirpe di coloro che adorano Dio viene perseguitata e osteggiata in Asia con nuovi decreti n8. Infatti gli spregevoli sicofanti, bramosi delle ricchezze altrui, prendendo pretesto da questi decreti, aggrediscono spudoratamente di giorno e di notte coloro che non hanno commesso nulla di ingiusto, e li derubano". 6. E dopo altre cose dice: "Se ciò è avvenuto per tuo ordine, lo accettiamo di buon grado; infatti un imperatore giusto non potrebbe mai deliberare ingiustamente. E noi accogliamo volentieri il dono di una simile morte. -

135 Se ne possiede solo il frammento qui tramandato da Eusebio, che permette di datare l'opera al 164-167 d.C. Essa difende la celebrazione della Pasqua al 14 Nisan (cf. anche infra, V, 24, 5).

136 Opere andate interamente perdute.

137 Se ne conoscono pochi frammenti.

138 Non è ben chiaro a quali decreti Eusebio faccia riferimento. Si pensa che si tratti non di decreti imperiali, ma semplicemente di disposizioni impartite dalle autorità locali per contrastare il diffondersi del Cristianesimo.

Ti preghiamo solo di questo, che tu stesso conosca prima i promotori di una tale accusa e poi giudichi giustamente se sono degni di morte e di punizione o di salvezza e di tranquillità di vita. Ma se questo decreto e questo nuovo ordine, che non è degno prendere neppure contro i barbari nemici, non vengono da tè, ti supplichiamo ancora di più di non abbandonarci in balia di tale razzia pubblica".

7. A queste parole aggiunge: "La nostra filosofia si affermò dapprima fra i barbari; e, fiorendo nelle tue nazioni durante il grande regno di Augusto, tuo avo, è divenuta bene propizio soprattutto per il tuo regno. Da quel momento infatti il potere dei Romani è divenuto sempre più grande e illustre; di questo tu sei stato e sarai, insieme con tuo figlio, invocato successore, tutelando la dottrina che ha nutrito l'impero, che ebbe origine sotto Augusto e che anche i tuoi avi venerarono accanto alle altre religioni. 8. Questa è una grandissima prova del fatto che la nostra dottrina fiorì con l'impero ben governato, ed ha avuto un felice inizio con Augusto, che non ordì nessun complotto contro di essa, ma al contrario le concesse un completo periodo di splendore e di fama, come richiedevano le preghiere di tutti. 9. Solo Nerone e Domiziano, indotti da uomini malvagi, vollero osteggiare la nostra dottrina; da ciò discende anche la menzogna della sicofantia, che per un irragionevole costume si abbattè sui cristiani 139. 10. Ma i tuoi pii padri hanno rimediato al loro errore, colpendo spesso con moltissimi provvedimenti quanti osarono dire cose nuove su questi uomini. Fra tutti tuo nonno Adriano, come sembra, ha scritto a molti, fra cui anche a Fundano 140, il proconsole preposto al governo dell'Asia. E tuo padre, quando tu con lui dirigevi l'impero, prescrisse alle città, fra cui anche Larissa, Tessalonica, Atene, e a tutta la Grecia di non bandire altri editti contro di noi -

139 Per le accuse rivolte ai Cristiani cf. supra, 7, 11 e n. 29.

140 Cf. supra, 9.

3. 11. E poiché tu hai su queste cose la stessa opinione e anzi una anco-j ra più benevola e saggia, cerco di persuaderti ad esaudire le nostre preghiere".

12. Queste cose sono esposte nell'opera citata. Negli Estratti 141 da lui scritti, egli stesso, già all'inizio del proemio, fa un catalogo degli scritti dell'Antico Testamento ritenuti autentici, che è necessario qui riportare. Dice così: 13. "Melitene saluta il fratello Onesimo. Poiché spesso mi hai richiesto, spinto dal tuo zelo verso la nostra dottrina, di avere estratti dalla Legge e dai Profeti sul Salvatore e su tutta la nostra fede, e hai voluto inoltre anche apprendere con esattezza il numero e l'ordine dei libri antichi, mi sono dato premura nel comporre una simile opera conoscendo il tuo zelo per la fede, la tua voglia di apprendere la Scrittura e, ancora di più, il desiderio che hai di Dio che, mentre lotti per la salvezza eterna, ti fa anteporre queste cose ad ogni altra. 14. Andato in Oriente, mi recai in quel luogo in cui queste dottrine furono predicate e vissute e, appresi con esattezza quali sono i libri dell'Antico Testamento, ne ho fatto un elenco e tè l'ho mandato. I titoli dei libri sono i seguenti: cinque di Mosé: Genesi, Esodo, Numeri, Levitico, Deuteronomio', vengono poi Gesù figlio di Nave, Giudici, Ruth, quattro Dei Rè, i due delle Cronache, i Salmi di Davide, i Proverbi di Salomone o Sapienza, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici, Giobbe', i profeti Isaia, Geremia, i Dodici in un solo libro, Daniele, Ezechiele, Esdra. Da questi ho composto gli Estratti, opera che ho suddiviso in sei libri". Questo dice Melitene.

Questo passo e 1 unica testimonianza dell'esistenza di questo scritto.

27. APOLLINARE

Delle molte opere di Apollinare custodite presso molti fratelli, quelle che si sono conservate fino ai nostri giorni sono 142: un discorso al suddetto imperatore, cinque libri intitolati Contro i Greci, due Sulla verità, due Contro i Giudei, uno scritto posteriore a questi contro l'eresia dei Frigi 143, che si affermerà non molto tempo dopo, ma che già allora iniziava a sorgere poiché Montano, con le sue false profetesse, cominciava a diffondere la sua dottrina menzognera.

28. musano

Anche di Musano, che abbiamo citato nei passi precedenti, rimane un'opera molto scrupolosa, indirizzata ad alcuni fratelli che piegavano verso l'eresia dei cosiddetti Encratici 144, che allora cominciava a fiorire e a dare vita ad una falsa dottrina, straniera ed esiziale.

29. L'ERESIA DI TAZIANO

1. Dice la tradizione che Taziano fu fondatore di questa eresia; di lui ho poco prima 145 riportato le parole sull'ammirevole martire Giustino, di cui egli, come si è detto 146, fu discepolo. Ireneo riferisce questa notizia nel primo libro del Contro le eresie, dicendo su di lui e sulla sua eresia: 2. "Sulle orme di Saturnino e Marcione i cosiddetti Encratici predicarono il celibato, disonorando così l'antica creazione di Dio, dato che accusano implicitamente colui che ha creato l'uomo e la donna per generare l'umanità. -

142 Le opere di questo scrittore sono completamente perdute.

143 Riferimento ai Montanisti, per i quali cf. supra, II, 25, 6 e n. 116.

144 Su questa eresia cf. capitolo successivo. ^Ct.supra, 16.7-8. 146 In realtà è questa la prima volta che Eusebio afferma ciò.

Insegnavano anche ad astenersi dalle cose che definivano vive, mancando di gratitudine a Dio, creatore dell'universo. Non credono inoltre alla salvezza della prima creatura. 3. Essi cominciarono a professare queste dottrine sulle orme di un certo Taziano, che fu il primo a farsi portatore di queste bestemmie. Egli, discepolo di Giustino, non professò nessuna di queste teorie fin quando rimase con lui. Ma dopo il martirio di costui, si separò dalla Chiesa, reso orgoglioso e arrogante-dalla presunzione di divenire maestro e di essere diverso dagli altri, e impresse un proprio carattere dottrinale alla sua scuola, inventando eoni invisibili alla maniera dei seguaci di Valentino, definendo il matrimonio rovina e fornicazione, come Marcione e Saturnino, e negando, egli solo, la salvezza di Adamo" 1-17.

4. Queste le pafole di Ireneo. Ma poco dopo un tale di nome Severo rinvigorì l'eresia menzionata; a lui risale il nome di Severiani, che fu dato ai suoi adepti. 5. Essi si servono della Legge, dei Profeti e dei Vangeli, spiegando in modo tutto personale le dottrine esposte nelle Sacre Scritture. Oltraggiano anche l'apostolo Paolo, di cui non accettano le Lettere; respingono pure gli Atti degli Apostoli. 6. Il loro fondatore Taziano compose, non so come, una sintesi e un accordo dei Vangeli, che intitolò Diatéssaron 148, opera che alcuni custodiscono ancora fino ad oggi. Dicono che, col pretesto di perfezionarne lo stile, osò parafrasare alcuni passi delle lettere dell'apostolo. 7. Egli ha lasciato inoltre una grande quantità di scritti 149, il più menzionato dei quali è, in molte opere, il suo famoso discorso Contro i Greci 150. In esso, ricordati i tempi antichi, dimostra l'antichità di Mosé e dei profeti ebraici rispetto a tutti Ì filosofi illustri presso i Greci. Questa sembra essere, fra tutte le sue opere, la più bella e la più utile. Questi furono i fatti verificati-si in questo periodo.

147 Contro le eresie. I, 28, 1.

148 È un'opera che dai quattro Vangeli ricava un unico racconto, disponendo i fatti m modo tale da inquadrarli nella cronologia del Vangelo di Giovanni. Essa è stata composta da Taziano probabilmente m siriaco Per una trattazione più ampia cf B Altaner, Patrologia, cit, pp. 73-74. 149 Probabile allusione ai trattati Sugli ammali, Sui demoni e Contro quelli che hanno trattato delle cose divine Eusebio (V, 13, 8) ricorda anche un'opera dal titolo Sui problemi. Clemente Alessandrino {Stremata, III, 12, 81) cita anche Sulla perfezione del Salvatore Tutte queste opere sono andate perdute

150 È un'Apologia del Cristianesimo improntata ad un netto rifiuto della cultura greca, le cui opere sono ritenute fonte di immoralità


30. il SIRO BARDESANE E LE OPERE CHE CI HA LASCIATO

1. Sotto lo stesso imperatore, mentre le eresie fiorivano in Mesopotamia, Bardesane 151, uomo abilissimo e versatissimo nella lingua siriaca, compose nella propria lingua e scrittura, fra le moltissime altre opere, anche dialoghi contro la setta di Marcione e contro altri fondatori di dottrine eretiche, tradotti poi dai suoi discepoli (ne aveva molti per via della sua capacità dialettica) dal siriaco in greco. 2. Fra questi è anche l'abilissimo dialogo indirizzato ad Antonino dal titolo Sul fato e tutte quelle opere che, come dicono, scrisse spinto dalla persecuzione che infuriava al suo tempo. 3. Egli fu dapprima seguace della scuola di Valentino; ma, presane poi conoscenza e confutate gran parte delle sue invenzioni mitologiche, pensava di essere ritornato all'ortodossia, mentre in verità non riuscì mai a rigettare del tutto il letame dell'antica eresia. In questo periodo morì anche Sotero, vescovo della Chiesa di Roma.



151 Nativo di Edessa, visse nell'età di Caracalla Come qui attesta Eusebio, fu autore di due scritti. Contro Marcione, interamente perduto, e Sul fato, noto anche col titolo di Dialogo delle leggi dei paesi In esso affronta il problema della libertà, intesa m senso spirituale, come libero arbitrio che si manifesta nella diversa natura, nei diversi costumi e leggi dei popoli La più alta fra le libertà è quella dei cristiani, perché "in qualunque paese e luogo essi si trovano, le leggi del paesi non li separano dalla legge del loro Cristo" (traduzione di S. Mazzanno, La fine del mondo antico, cit., p 167)


(Teofilo)
00lunedì 21 settembre 2009 19:48
DAL LIBRO V

21. COME APOLLONIO SUBì IL MARTIRIO A ROMA

1. In questo stesso periodo, sotto il principato di Commodo, la nostra situazione cambiò in meglio, dato che la pace, con la grazia di Dio, si estese alle Chiese di tutta la terra. Anche allora la parola salvifica attrasse le anime degli uomini di ogni stirpe al culto devoto del Dio dell'universo, al punto che ormai, anche tra coloro che primeggiavano a Roma per ricchezza e per nascita, molti si volsero alla propria salvezza insieme con tutta la loro casa e la loro gente. 2. Ma per il demonio, che per natura è nemico del bene e invidioso, questo non fu sopportabile e, tendendo contro di noi insolite insidie, si preparò nuovamente alla lotta. Nella città di Roma, dunque, fece trascinare in tribunale Apollonio 150, uomo allora famoso tra Ì fedeli per la sua educazione e filosofìa, e spinse ad accusare un simile uomo uno dei suoi servi adatti allo scopo. 3. Ma poiché il miserabile presentò l'accusa al momento sbagliato, perché secondo un decreto imperiale non era permesso che continuassero a vivere coloro che denunziavano uomini siffatti -

150 Del martino di Apollonio si conservano gli Atti, scoperti alla fine del sec. scorso, in una recensione armena e una greca.

Subito gli furono spezzate le gambe, quando il giudice Perennio ]^2 emanò contro di lui questa sentenza. 4. Il giudice lo supplicò a lungo e con insistenza, e gli chiese di difendersi davanti al Senato, ma, invece, il martire carissimo a Dio, dopo aver presentato davanti a tutti una dottissima apologià della fede per la quale rendeva testimonianza, fu fatto decapitare come per un decreto del Senato: presso di loro, infatti, un'antica legge prescriveva che non venissero rilasciati coloro che fossero comparsi una volta in tribunale e non avessero cambiato idea 151. 5. Chi desidera leggere le parole che costui pronunziò davanti al giudice, le risposte che egli diede all'interrogatorio di Perennio e tutta la difesa che egli pronunciò al cospetto del Senato, le conoscerà dalla relazione degli antichi martiri che da noi è stata compilata.


22. alcuni VESCOVI CHE ERANO FAMOSI IN QUEI TEMPI


1. Il decimo anno dell'impero di Commodo 1^-1, ad Eleutero, che aveva retto l'episcopato per tredici anni, succedette Vittore; nello stesso anno, mentre anche Giuliano concludeva il suo decimo anno, Demetrio assunse il ministero della cristianità di Alessandrina. Nello stesso periodo Serapione, perso naggio di cui abbiamo già parlato in precedenza 156, era ancora noto come ottavo vescovo della Chiesa di Antiochia a partire dagli apostoli. -


151 Di una pena analoga si parla nel rescritto di Adnano a Minucio Fundano e nella lettera di Marco Aurelio sul miracolo della Legione Fulmi-natnce (cf supra, V, 5, 4) I due scritti sono, comunque, apocrifi

152 Questo personaggio è stato identificato con Tigidio Perenne, che fu prefetto del pretorio dal 183 al 185/186, anno in cui fu ucciso era proprio davanti al prefetto del pretorio (carica che aveva poteri giunsdizionali sia in materia penale, sia civile) che doveva essere giudicata una causa come quella di Apollonio.

153 II testo di Eusebio è oscuro si pensa che vi sia un'allusione al rescritto di Traiano a Plimo il Giovane (cf Lettere, 10, 96).

154 Si tratta dell'anno 190

155 Ovviamente della sua carica


Teofìlo era a capo della chiesa di Cesarea di Palestina e slmilmente Narciso, del quale quest'opera ha già fatto menzione 157, a quel tempo reggeva ancora il ministero della Chiesa di Gerusalemme; nella stessa epoca, in Grecia, Bacchiilo era vescovo di Corinto 158, e Policrate era vescovo della diocesi di Efeso. Oltre a questi, come è naturale, anche innumerevoli altri uomini si distinsero allora: noi naturalmente abbiamo ricordato per nome quelli la cui ortodossia della fede ci è pervenuta per iscritto 159.

23. la QUESTIONE ALLORA SOLLEVATA SULLA PASQUA
1. A quel tempo fu sollevata una questione assai importante, perché, seguendo una tradizione più antica, le diocesi di tutta l'Asia ritennero che, per la festa della Pasqua del Salvatore, bisognasse osservare il quattordicesimo giorno della luna, giorno nel quale era stato ordinato agli ebrei di sacrificare l'agnello e che in esso, qualunque fosse il giorno della settimana, bisognava assolutamente porre fine ai digiuni 160. Invece la Chiese di tutto il resto del mondo non avevano l'abitudine di celebrare la Pasqua in questo modo e, richiamandosi alla tradizione apostolica, mantennero l'usanza, che si è conservata fino ad oggi, secondo cui non è opportuno porre fine al digiuno in un giorno diverso da quello della risurrezione del nostro Salvatore.

^Cf ^^V,11,1. 157 Cf supra, V, 12 ^Cf ^/w.V,23,4

159 Eusebio si mostra fedele al suo proposito di ricordare solo quei vescovi che hanno lasciato degli sentii.

160 La questione della Pasqua era stata già agitata nel corso del II sec e riguardava il tempo della sua celebrazione, dato che le chiese d'Asia, come gli ebrei, la celebravano la sera del 14 nisan, in qualunque giorno cadesse

2. Su questa questione si svolsero numerosi sinodi ed assemblee di vescovi e tutti, all'unanimità, formularono per lettera una norma ecclesiastica valida per i fedeli di ogni nazione, in base alla quale il mistero della risurrezione del Signore dai morti non avrebbe dovuto essere celebrato in un altro giorno che la domenica e in quel giorno soltanto avremmo osservato la fine dei digiuni pasquali.

3. E ancor oggi in nostro possesso una lettera di coloro che all'epoca si riunirono in Palestina sotto la presidenza di Teofilo, vescovo della diocesi di Cesarea e di Narciso, vescovo di Gerusalemme. Allo stesso modo esiste un'altra lettera di quanti per la stessa questione si riunirono a Roma, e che indica quale vescovo Vittore; un'altra ancora dei vescovi del Ponto, presieduti da Palmas 161 in quanto vescovo più anziano. C'era anche una lettera della cristianità della Gallia, di cui era vescovo Ireneo 162, 4. e ancora una dei vescovi dell'Osroene e delle città di quella regione 163; e specialmente quella di Bacchiilo, vescovo della Chiesa di Corinto, e poi quelle di moltissimi altri: essi espressero una sola identica opinione e deliberazione e diedero lo stesso voto. Una sola fu la loro regola di condotta, quella che è stata detta.


161 Palmas era già vescovo quando Dionigi (cf supra, IV, 23, 6) fu elet to vescovo di Corinto

162 II passaggio è poco chiaro da escludere, comunque, che m Gallia, vi fosse una sola Chiesa governata da Ireneo 163 Provincia cristiana dell'Oriente con capitale Edessa


24. il DISSENSO IN ASIA


1. Ma i vescovi dell'Asia affermarono con forza che bisognava mantenere l'antica usanza che era stata loro tramandata sin dall'inizio; li guidava Policrate il quale, nella lettera che scrisse a Vittore e alla Chiesa romana, riferisce con queste parole la tradizione pervenutagli: 2. "Noi dunque celebriamo scrupolosamente il giorno, senza aggiungere nè togliere niente. In Asia, infatti, riposano grandi astri; essi risorgeranno il giorno della venuta del Signore, allorquando, ricolmo di gloria, egli scenderà dai cieli e richiamerà tutti i santi: Filippo, uno dei dodici apostoli, è sepolto a Hierapolis insieme a due sue figlie che si conservarono vergini per tutta la vita, mentre la terza, vissuta nello Spirito Santo, riposa ad Efeso 164; 3. e anche Giovanni, colui che posò il capo sul petto del Signore bm, che fu sacerdote e portò il petalon bn 165, che fu martire e maestro, è sepolto-ad Efeso; 4. e inoltre, a Smirne, Policarpo che fu vescovo e martire; e anche Trasea di Eumenia I66, vescovo e martire, riposa a Smirne. 5. E che bisogno c'è di parlare di Sagari, vescovo e martire, che è sepolto a Laodicea 167, e ancora del beato Papirio e dell'eunuco Melitene 168, che visse sempre nello Spirito Santo e giace a Sardi attendendo la visita dai cieli109, nella quale risusciterà dai morti? 6. Conformemente al Vangelo, senza discostarsene, ma conformandosi alla regola della fede, tutti costoro rispettarono scrupolosamente il quattordicesimo giorno [della luna] di Pasqua. E anch'io, Policrate, il più piccolo di tutti voi, [mi comporto] secondo la tradizione dei miei fratelli, di alcuni dei quali sono successore. Sette dei miei parenti, infatti, sono stati vescovi e io sono l'ottavo; e i miei fratelli hanno sempre osservato il giorno in cui il popolo si asteneva dal pane lievitato 170

bm Cf. Gv 13, 23; 21, 20. b" Cf. Es 28, 32ss; 36, 38ss.

164 Secondo la tradizione Filippo ebbe quattro figlie: Eusebio ne men

ziona soltanto tré. ^Cf. J^,III,31,3.

166 Cf. supra^ V, 18, 14.

167 Si tratta di Laodicea di Frigia.

168 Su Melitene di Sardi, cf. supra^ IV, 26.

169 II riferimento è alla parusia: Rufìno precisa che Melitene si fece eunuco per il regno di Dio (cf. Mt 19, 12).

170 Chiaro riferimento al giorno degli Azzimi della Pasqua ebraica.


7. Perciò, o fratelli, io che ho sessantacinque anni nel Signore, sono stato in relazione coi fratelli di tutto il mondo e ho letto tutta la santa Scrittura, io non mi lascio intimorire da coloro che cercano di spaventarmi b0. Questi uomini più grandi di me, infatti, hanno detto che bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uominibp".

8. A proposito dei vescovi che erano con lui quando scriveva e che condividevano la sua opinione, continua così dicendo queste cose: "Potrei fare menzione dei vescovi che sono qui con me, che avete ritenuto opportuno che fossero da me convocati e che io ho convocato: i loro nomi, se li scrivessi, sarebbero assai numerosi. Essi, pur conoscendo la mia pochezza di uomo, hanno approvato la mia lettera, consapevoli che non porto invano i capelli bianchi, ma che sono vissuto sempre in Cristo Gesù"

9. Allora Vittore, che era a capo della Chiesa di Roma, cercò subito di escludere in massa dall'unità comune le diocesi di tutta l'Asia insieme con le Chiese vicine, in quanto eterodosse e mediante lettere disapprovò indistintamente tutti i fratelli di quei luoghi e proclamò che erano scomunicati. 10. Ma questo dispiacque a tutti i vescovi: essi dal canto loro lo esortarono a pensare alla pace, all'unione col prossimo e all'amore; e ancora oggi si tramandano le parole mediante le quali essi richiamarono assai severamente Vittore.

^Cf.FiI 1,28. b? Cf.At5.29.

11. Tra costoro anche Ireneo, avendo scritto in nome dei fratelli di cui era a capo in Gallia, da un lato ammonisce di celebrare soltanto di domenica il mistero della risurrezione del Signore, ma poi dall'altro, opportunamente, esorta Vittore a non escludere intere Chiese di Dio perché conservano una tradizione di antica consuetudine e continua quindi dicendo 171: 12. "La polemica non riguarda soltanto il giorno, ma anche la forma stessa del digiuno. Alcuni, infatti, credono che bisogna digiunare un solo giorno, altri due, altri più giorni ancora; alcuni, infine, calcolano il loro giorno di quaranta ore, tra diurne e notturne. 13. E una simile diversità nell'osservanza del digiuno non ha avuto origine ai nostri giorni, ma molto prima, al tempo dei nostri predecessori, i quali, a quanto pare, senza badare all'eccessiva precisione, hanno confermato questa tradizione nella sua semplicità e nei suoi caratteri particolari, e la prescrissero per il futuro. Tutti costoro non vissero meno in pace e anche noi viviamo ora in pace-gli uni con gli altri e la differenza del digiuno conferma l'accordo della fede".

14. A queste affermazioni, Ireneo aggiunge poi una considerazione che mi sembra opportuno riferire; eccola: "Tra loro vi furono anche i presbiteri anteriori a Sotero che guidò la Chiesa che tu governi ora, cioè Aniceto, Pio, Igino, Telesforo e Sisto, che non osservarono essi stessi (il quattordicesimo giorno), ne imposero (la sua osservanza) a coloro che li seguivano. tuttavia non furono assolutamente meno in pace con coloro che giungevano tra loro dalle diocesi in cui esso veniva osservato Ciononostante l'osservarlo costituiva una divergenza ancora maggiore per coloro che non l'osservavano. 15. E non allontanarono mai nessuno per questa ragione, ma anzi quegli stessi che non l'osservavano, (vale a dire) i presbiteri che ti hanno preceduto, inviavano l'Eucaristia a quelli delle diocesi che l'osservavano. 16. E quando il beato Policarpo dimorò a Roma al tempo di Aniceto 172, pur avendo avuto tra loro piccoli contrasti su altre questioni, subito si riconciliarono, dato che non desideravano essere in disaccordo su questo argomento. Aniceto, infatti, non riuscì a convincere Policarpo a non osservare ciò che 173 aveva sempre osservato con Giovanni, il discepolo del Signore nostro e con gli altri apostoli con cui era vissuto; ne Policarpo dal canto suo persuase Aniceto ad osservarlo, dato che quest'ultimo sosteneva che bisognava mantenere la consuetudine di coloro che erano stati presbiteri prima di lui. 17. Stando così le cose, si comunicarono l'un l'altro e nella chiesa Aniceto concesse l'Eucaristia a Policarpo, evidentemente per deferenza; essi si separarono l'uno dall'altro in pace, e vi fu pace nell'intera Chiesa, sia per coloro che osservavano (il quattordicesimo giorno), quanto per coloro che non lo osservavano".

18. E Ireneo fu degno del nome che portava 174, dato che fu paciere di nome e di fatto e sollecitò e si fece mediatore per la pace delle Chiese, poiché, in merito alla questione sollevata, mediante lettere trattò non solo con Vittore, ma anche, uno dopo l'altro, con numerosi altri responsabili di Chiese.

25. accordo UNANIME SULLA pasqua 175

1. Intanto i personaggi palestinesi che abbiamo or ora menzionato 176, cioè Narciso e Teofilo, e con loro Cassie, vescovo della Chiesa di Tiro e Claro, vescovo di quella di Tolemaide e tutti coloro che si erano riuniti con loro, analizzarono ampiamente la tradizione relativa alla Pasqua che era loro pervenuta dalla successione degli apostoli e, alla fine della loro lettera, così aggiungono testualmente: "Fate in modo di mandare copie di questa nostra lettera ad ogni diocesi, affinchè non siamo responsabili di coloro che ingannano facilmente la propria anima. Vi informiamo che anche ad Alessandna celebrano la Pasqua lo stesso giorno in cui la celebriamo noi: essi, infatti, hanno ricevuto lettere mandate da noi a loro e viceversa, in modo da celebrare di comune accordo e insieme il santo giorno".


171 Non ci sono purtroppo pervenute le lettere di Ireneo sulla questio ne pasquale che, a giudizio di qualche studioso, sembra fossero riunite in una raccolta 1/2 II viaggio di Policarpo a Roma dovrebbe datarsi al 154.

173 Vale a dire il quattordicesimo giorno

174 Ireneo, dal greco eiréne (= pace)

175 II titolo del capitolo per la verità non risponde pienamente al suo contenuto, dato che in esso non si parla di un accordo "unanime", ma di un accordo tra la Chiesa di Alessandna e quelle palestinesi

176 Cf ^p^,V,23,3

26. ClO CHE E’ PERVENUTO FINO A NOI DELL'OPERA ACCURATA DI ireneo

1. Oltre alle opere citate di Ireneo e alle sue lettere, si possiede di lui anche un trattato contro i greci assai sintetico e assolutamente fondamentale, intitolato Sulla scienza; un altro che ha dedicato a un fratello di nome Marciano sulla "Dimostrazione della predicazione apostolica 177 e un libro di discussioni diverse, in cui egli fa menzione della Lettera agli ebrei e della cosiddetta Sapienza di Salomone, di cui riferisce alcuni passi. Queste sono le opere di Ireneo giunte a nostra conoscenza.

Essendo finito dopo tredici anni il regno di Commodo, a neppure sei mesi dalla sua morte divenne imperatore Severo, mentre nell'intervallo vi fu Pertinace 178.

177 L'opera inm questione, ritrovata nel 1907 in versione armena, e la sola oggi conservata oltre al Contro gli eretici Delle altre non restano che scarsi frammenti.

178 Commodo fu strangolato il 1 gennaio 193 il giorno seguente i pretoriani proclamarono imperatore il prefetto urbano Pertinace che fu ucciso dopo appena 87 giorni di regno. Dopo di lui, mentre i pretoriani proclamarono imperatore il senatore Didio Giuliano, le legioni dell'IUma acclamarono imperatore Settiniio Severo, legato della Pannoma Superiore, e quelle di Si-na il legato della provincia Pescenmo Nigro Dopo essersi accordato col legato di Bntannia Clodio Albino, Settimio Severo marciò su Roma ed ebbe la meglio su Didio Giuliano, quindi si volse prima contro Pescenmo Nigro (che sconfisse ad Isso nel 194) e poi contro Clodio Albino

27. CIÒ CHE E PERVENUTO ANCHE DEGLI ALTRI CHE MORIRONO IN QUEL TEMPO

1. Ancora oggi parecchie opere di virtuosa operosità, scritte dagli antichi uomini della Chiesa di allora, sono custodite presso molti. Di queste opere, noi stessi conosciamo: i libri di Eraclito sull'Apostolo 179, quelli di Massimo sulla questione tanto discussa a lungo tra gli eretici sulla provenienza del male e sul fatto che la materia è creata, quelli di Candido s\AYHexa-meron e quelli di Apione sullo stesso argomento; analogamente quelli di Sesto sulla risurrezione, un altro trattato di Arabia-no e i libri di una moltitudine di altri di cui non è possibile, poiché non abbiamo nessun dato, ne indicare per iscritto la cronologia, ne riportare il racconto. E ci sono giunte le opere anche di numerosi altri scrittori di cui non ci è possibile neppure annotare Ì nomi, pur trattandosi di autori ortodossi ed ecclesiastici, come dimostra Finterpretazione della divina Scrittura di ciascuno, ma tuttavia essi sono sconosciuti poiché le loro opere non ne riportano il nome 180.

28. coloro cHE HANNO DIFFUSO FIN DALL'INIZIO L'ERESIA DI artemone, LA CONDOTTA DA ESSI TENUTA E COME HANNO OSATO CORROMPERE LE sacre scritture

179 Probabilmente dell'apostolo Paolo non ci è pervenuta nessuna delle opere ricordate da Eusebio, i cui autori per noi non sono che semplici nomi

180 Quest'ultima notizia appare poco verosimile

181 Vescovo di Antiochia sotto Odenato II, rè di Palmira, a motivo delle sue concezioni cnstologiche (ritenne il Cristo un semplice uomo), fu con dannato e deposto per ben due volte in due modi (nel 264 e nel 268), grazie all'appoggio della regina Zenobia vedova di Odenato II, riuscì a conservare la carica fino a quando la regina non fu sconfitta da Aureliano nel 272 Sulla sua eresia cf infra, VII, 27 30


1. In un libro scritto da uno di questi scrittori contro l'eresia di Anemone, che ai nostri tempi Paolo di Samosata 181 ha cercato di rinnovare, si tramanda un racconto relativo ai fatti da noi esaminati 2 Questo scrittore, infatti, confuta l'anzidetta eresia, la quale sostiene che il Salvatore e un semplice uomo, cosa che e invece un'innovazione recente nonostante i suoi propugnatori volessero renderla venerabile come se fosse antica, dopo aver addotto parecchie e diverse ragioni a confutazione della loro falsità blasfema, l'opera dice testualmente 3 "Affermano infatti che tutti gli antichi e gli apostoli stessi hanno ricevuto dalla tradizione e hanno insegnato ciò che essi ora dicono e che la verità della predicazione è stata conservata fino ai tempi di Vittore, che fu tredicesimo vescovo di Roma dopo Pietro, mentre la verità è stata alterata a partire dal suo successore Zefirino 4 Ciò che essi sostenevano avrebbe potuto essere plausibile se non li contraddicessero innanzitutto le divine Scritture, d'altra parte esistono anche scritti di alcuni fratelli, più antichi dell'epoca di Vittore, che furono composti a difesa della verità contro i pagani e contro le eresie di allora, voglio dire le opere di Giustino, Milziade, Taziano, Clemente e di molti altri, nelle quali tutte si afferma la divinità di Cristo 5 Chi non conosce, infatti, i libri di Ireneo, di Melitene e degli altri che proclamarono il Cristo Dio e uomo. E chi non conosce tutti i salmi e gli inni, scritti sin dall'inizio da nostri fratelli nella fede, che cantano il Cristo come Logos di Dio e lo proclamano Dio 6 Come dunque e possibile, dopo che il pensiero della Chiesa è stato formulato da cosi tanti anni, ammettere che quanti precedettero Vittore abbiano predicato come costoro sostengono. Come possono non vergognarsi di attribuire questa dottrina menzognera a Vittore, quando invece erano a conoscenza che proprio Vittore escluse dalla comunione il cuoiaio Teodoto, capo e iniziatore di questa apostasia negatrice di Dio e che per primo ha affermato che Cristo è un semplice uomo. In effetti, se, come essi affermano, Vittore avesse condiviso ciò che la loro bestemmia insegna, come avrebbe potuto scacciare Teodoto, ideatore di tale eresia?"

7 Queste cose per quanto riguarda Vittore . E, dopo che costui resse il ministero per dieci anni, intorno al nono anno del principato di Severo, fu designato come suo successore Zefirino 182 L'autore dell'opera anzidetta, a proposito del fondatore dell'eresia di cui ci stiamo occupando, aggiunge anche un altro evento venficatosi sotto Zefinno. Egli scrive testualmente 8 "Ricorderò dunque a molti dei nostri fratelli un evento accaduto ai nostri giorni, che, a mio avviso, se fosse avvenuto a Sodoma, avrebbe fatto riflettere anche quelli ^ Non una volta, ma al nostro tempo, viveva un confessore, Natalione 9 Costui fu sedotto da Asclepiadote e da un altro Teodoto, il banchiere. Costoro erano entrambi discepoli del cuoiaio Teodoto, il primo, come ho già detto, a essere scomunicato per questo convincimento o, meglio, follia da Vittore, che era allora vescovo 10 Natalione fu da loro persuaso a essere chiamato, dietro compenso, vescovo di tale eresia, cosicché incassava da essi mensilmente centocinquanta denarii 183 11 Legatesi dunque a costoro, egli fu più volte ammonito dal Signore mediante delle visioni il Dio misericordioso e Signore nostro Gesù Cristo, infatti, non voleva che morisse fuori dalla Chiesa un testimone delle sue sofferenze 12 Tuttavia, poiché egli si mostro poco attento delle visioni, ammaliato dalla carica che ricopriva presso di loro e dalla avidità che porta alla perdizione un così gran numero di persone, infine fu flagellato dai santi angeli durante tutta una notte e fu talmente malmenato, che all'alba si alzò e, avendo indossato un cilicio ed essendosi coperto di cenere, in gran fretta e tra le lacrime, andò a prostrarsi davanti al vescovo Zefirino, gettandosi ai piedi non solo del clero, ma anche dei laici. -

^Cf Mt 11,23

182 L'anno dovrebbe essere il 201 Sembra, tuttavia, che Zefirino sia morto prima, forse nel 198/199

183 La somma (pari a seicento sesterzi), pur non considerevole, equiva leva comunque a sei volte la paga di un semplice legionario dell'epoca e pò teva consentire a Natalione una vita senza pensieri

Con le sue lacrime cercò di commuovere la Chiesa misericordiosa del Cristo compassionevole, ma, nonostante le preghiere cui faceva ricorso e pur mostrando i lividi delle percosse ricevute, fu riammesso a stento alla comunione

13. A queste parole ne aggiungeremo anche altre dello stesso autore a proposito degli stessi eretici: "Senza alcun timore hanno alterato le divine Scritture, hanno infranto i princìpi dell'antica fede, hanno ignorato Cristo, non indagando che cosa dicono le Scritture, ma esercitandosi attentamente nel cercare quale figura di sillogismo si potesse trovare per rendere credibile il loro ateismo. E se qualcuno proponeva loro un passo della divina Scrittura, essi chiedevano se si potesse farne una figura di sillogismo congiuntiva o disgiuntiva 184. 14. Abbandonate le sante Scritture di Dio, si dedicavano alla geometria 186, poiché sostenevano che provenivano dalla terra e della terra discutevano e ignoravano colui che viene dall'alto. Alcuni di loro, ad esempio, studiavano diligentemente la geometria di Euclide 187 e apprezzavano Aristotele e Teofrasto l88, altri quasi adoravano Galeno –189

184 L'avventura capitata a Natalione ricorda quella capitata a Eliodoro (cf. 2 Mac 3, 24-34) e soprattutto quella di Gerolamo (cf. Lettere, 22, 30)

185 Si tratta di due delle cinque figure di sillogismo, derivate non tanto da Aristotele e Teofrasto, che l'anonimo espressamente cita (cf infra}, quanto dalla terminologia tipica della dialettica stoica, in particolare di Cnsippo (III sec. a.C.); sulla problematica cf G Reale, Stona iella filosofia antica. III, Milano 1989, pp. 343ss

186 Alla lettera: "misurazione della terra"

187 Famoso matematico dell'antichità vissuto intorno al IV III sec. a C

188 L'anonimo antiartemonita nomina sia il filosofo Aristotele che il suo discepolo Teofrasto, come del resto subito dopo Galene, come rappresentanti della logica

189 Galeno (129-200) fu medico della corte imperiale romana all'epoca di Marco Aurelio oltre che alla ricerca medica si dedicò anche a quella filo sofica. a lui si deve una Introduzione logica non priva di interesse

• 15. Poiché in favore della dottrina della loro eresia abusavano delle arti dei non credenti e mediante l'astuzia propria degli atei snaturavano la fede semplice delle divine Scritture, che bisogno c'è anche di precisare che alla fede non erano neppure vicini? Per questo motivo non ebbero timore di mettere le mani sulle divine Scritture col pretesto di emendarle. 16. E chiunque voglia, può informarsi che io, dicendo queste cose, non li calunnio. Se, infatti, qualcuno volesse riunire gli scritti di ciascuno di loro, confrontandoli l'uno con l'altro, scoprirebbe che sono assai discordanti tra loro. Quelli di Asclepia-de, dunque, non corrisponderebbero a quelli di Teodoto 190,

17. ed è possibile procurarsene molti, per il fatto che Ì loro discepoli hanno trascritto accuratamente da ciascuno copie corrette, come essi le chiamano, cioè manipolate. Inoltre, le opere di Ermofilo non concordano con queste; quanto a quelle di Apolloniade non concordano neppure tra loro: si possono infatti confrontare quelle fatte prima con quelle contraffatte successivamente e si troveranno del tutto discordanti. 18. Di quanta arroganza sia questo peccato, verosimilmente non lo ignorano neppure loro. Infatti, o non credono che le divine Scritture siano state dettate dallo Spirito Santo e allora sono miscredenti; o essi stessi pensano di essere più saggi dello Spirito Santo, e allora che cos'altro sono se non demoniaci?. In effetti non possono negare che sia da attribuire ad essi questa impresa temeraria, dato che le copie sono state scritte di loro pugno, al punto che non possono dire che erano queste le Scritture ricevute da coloro che li hanno catechizzati, o mostrare gli esemplari da cui sono state trascritte le loro copie. 19. Alcuni di loro, poi, non hanno pensato neppure a contraffare le Scritture, ma avendo semplicemente ripudiato la Legge e i profeti, in considerazione di un insegnamento senza Legge e senza Dio, sono precipitati essi stessi nell'estremo abisso della perdizione". Così si è svolta questa storia.


190 Tutti questi personaggi e quelli nominati dopo non ci sono altrimenti noti.

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