Educarsi ed educare alla legalità. Il “buon cristiano e onesto cittadino” di don Bosco

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00venerdì 25 maggio 2012 23:40
 
Educarsi ed educare alla legalità.
Le Regole e il senso etico in una società di persone con diritti e doveri.
Il “buon cristiano e onesto cittadino” di don Bosco e la legalità
Obiettivi
  1. Conoscere le varie interpretazioni che ha avuto il binomio “buon cristiano e onesto cittadino” lungo la storia.
  2. Capire i significati diversi con contenuti differenziati dell’espressione “buon cristiano e onesto cittadino” di don Bosco.
  3. Prendere coscienza che il profilo del “buon cristiano e onesto cittadino” si sviluppa in un ambiente adatto.
  4. Prendere coscienza che il “buon cristiano e onesto cittadino” di don Bosco è una persona in cammino verso la maturità spirituale, ecclesiale e sociale.
Il “buon cristiano e onesto cittadino” di don Bosco e la legalità
Introduzione
Oggi viviamo in una società che ci vuole far credere che tutto sia uguale, il vero ed il falso, il bello ed il brutto, che lo studente vale tanto quanto l’insegnante, che non si devono mettere voti per non traumatizzare i cattivi studenti. Ci vogliono far credere che la vittima conta meno del delinquente. Che i vandali sono buoni e che la polizia è cattiva. Lo slogan di moda è “vivere senza obblighi e godere senza limiti”.
Siamo, infatti, passati da una società della disciplina, dove c’è il conflitto tra regola e trasgressione, tra pulsione e divieto, ad una società dell’efficienza e della performance spinta, per cui il disagio psichico non è più determinato da un conflitto tra il permesso ed il proibito, ma da un senso di inadeguatezza, di insufficienza, se non addirittura di fallimento nella capacità di spingere a tutto gas il possibile fino al limite dell’impossibile. Nella nostra società è saltato il concetto di limite. E in assenza di un limite, il vissuto soggettivo non può che essere di inadeguatezza, se non di ansia, ed infine di inibizione. Le famiglie si allargano, la scuola non sa più cosa fare, solo il mercato si interessa dei giovani per condurli sulle vie del divertimento e del consumismo, dove ciò che si consuma è la loro stessa vita, che più non riesce a proiettarsi in un futuro capace di far intravedere una qualche promessa. Il disagio non è del singolo individuo, ma l’individuo è solo la vittima di una diffusa mancanza di prospettive e di progetti, fino alla perdita di senso e di legami affettivi[1].
Oggi molti, perfino fra i credenti, non accettano senza discutere i comandamenti morali formulati dalla Chiesa, ma vogliono riflettervi e, in definitiva, decidere loro cosa è bene e cosa è male. E molti sostengono che, in questo modo, ciascuno si fa la morale come gli fa comodo col risultato che la società moderna è diventata una babele etica in cui tutto è permesso[2].
Davanti ad una realtà, come quella che è stata presentata precedentemente, rimane di urgente attualità il richiamo forte che Giovanni Paolo II fece a Napoli Capodimonte il 10 novembre 1990, durante l’udienza agli amministratori pubblici della Campania: “Non c’è chi non veda l’urgenza di un grande recupero di moralità personale e sociale, di legalità. Sì, urge un recupero di legalità!.. da una restaurata moralità sociale a tutti i livelli deriverà un nuovo senso di responsabilità nell’agire pubblico, come pure un ampliamento dei luoghi di formazione sociale ed un più motivato impulso alle diverse forme di partecipazione e di volontariato”[3].
Esiste la tentazione di pensare che la nostra realtà sociale sia più difficile di quella vissuta da don Bosco. Io penso che ogni epoca abbia i propri inconvenienti. Certamente, oggi nella società e nella Chiesa, stiamo vivendo una situazione molto complessa. Socialmente si vuole vivere come se Dio non esistesse, si è creata una certa cultura relativista, edonista, permissivista e consumista. D’altra parte la Chiesa sta vivendo momenti critici in riferimento alla morale e all’etica: gli abusi sessuali dei preti e dei religiosi/e, la crisi vocazionale, la fragilità vocazionale, etc.
Il mezzo sovrano di bonifica sociale è, secondo la chiara scelta “educazionista” operata da don Bosco, la formazione della coscienza morale e religiosa del giovane. Questa convinzione del Santo Torinese si riassume nella formula: “buon cristiano ed onesto cittadino”. Dice don Bosco: “la porzione dell’umana Società, su cui sono fondate le speranze del presente e dell’avvenire, la porzione degna dei più attenti riguardi è, senza dubbio, la Gioventù. Questa, se rettamente educata, ci sarà ordine e moralità, al contrario, vizio e disordine. La sola Religione è capace di cominciare e compiere la grande opera di una vera educazione”[4].
Noi Exallievi di Don Bosco ed i membri della Famiglia Salesiana per rispondere alla nostra realtà sociale attingiamo al Sistema Educativo di don Bosco. Penso che ogni azione o progetto educativo debba puntare ad una progettualità formativa che assicuri la moralità, la legalità e la socialità.
 
Il binomio “buon cristiano e onesto cittadino” ha una lunga tradizione.
I cristiani non sono stati indifferenti al fenomeno “cittadino”. Fin dai primi tempi hanno sottolineato l’importanza della “città terrena”. La salvezza che annuncia e vive la comunità cristiana non è un’astrazione estranea al divenire storico. I valori evangelici si concretizzano mediante l’impegno per migliorare la terra e la società.
La Letteraa Diogneto (180 d.C.) indirizzata a un tale Diogneto d’Atene che era interessato a conoscere alcuni aspetti riguardo alle credenze e al modo di vivere dei cristiani.
L’anonimo autore risponde in questi termini: “I cristiani – è detto – non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per il modo di vestire. Non abitano mai città loro proprie, non si servono di un gergo particolare, né conducono uno speciale genere di vita (…). Sono sparpagliati nelle città greche e barbare, secondo che a ciascuno è toccato in sorte. Si conformano alle usanze locali nel vestire, nel cibo, nel modo di comportarsi; e tuttavia, nella loro maniera di vivere, manifestano il meraviglioso paradosso, riconosciuto da tutti, della loro società spirituale. Abitano ciascuno nella loro patria, ma come immigrati che hanno il permesso di soggiorno. Adempiono a tutti i loro doveri di cittadini, eppure portano i pesi della vita sociale con interiore distacco. Ogni terra straniera per loro è patria, ma ogni patria è terra straniera. Si sposano e hanno figli come tutti, ma non abbandonano i neonati. Mettono vicendevolmente a disposizione la mensa, ma non le donne. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma col loro modo di vivere vanno ben al di là delle leggi[5].
Comunque, per quanto lontano cronologicamente e culturalmente dal testo riportato, don Bosco sembra condividere analoghe preoccupazioni. Il cristiano non è un “separato”, un “esoterico”. È insieme cittadino del cielo e della terra e, in quanto tale, prende sul serio anche operativamente la duplice e unitaria vocazione.
Nel Post-Concilio di Trento, il concetto di “educazione alla cittadinanza” nasce col Cardinale Silvio Antoniano (1540-1603): egli sottolinea che la necessità di formare il “buon cristiano” è, dunque, associata necessariamente all’utile ed onesto cittadino”, “all’uomo virtuoso, ed utile per la patria”. Il suo cristiano è un cittadino operoso e responsabile nella “città” terrena e celeste. Il “buon cristiano” è, dunque, associato necessariamente all’“utile ed onesto cittadino”, all’“uomo virtuoso, ed utile per la patria”.
Secondo Charles Rollin (Rettore dell’Università di Parigi), il modello dell’uomo pienamente educato passa dall’ideale “umanistico” del cristiano “cittadino” del mondo e della “polis”. La formazione culturale deve approdare al duplice fine: formare l’uomo onesto, cioè l’uomo inserito nella società, virtuoso, disinteressato, probo, “buon figlio, buon genitore, buon padrone, buon amico, buon cittadino”; “l’uomo onesto, l’uomo probo, il buon cittadino, il buon magistrato”; e ancor più, a coronamento e perfezionamento, formare l’uomo religioso, più in concreto, rigenerato a Cristo, il cristiano, che tutto indirizza a Dio e tutto opera in vista della felicità imperitura del cielo[6].
La disputa sul cristiano “buon cittadino” assume una colorazione particolare nel corso della Rivoluzione Francese e con la proclamazione dei principi di uguaglianza e di libertà. Il Giuntella ne riassume i contenuti nella formula “solo il cristiano può essere buon cittadino”[7].
Gregorio Luigi Barnaba Chiaromonti, vescovo di Imola e futuro Papa Pio VII, in riferimento al nuovo “stato democratico” si rivolge ai preti in cura d’anima della sua diocesi, pregandoli di “spiegare ai popoli la vera natura della libertà, e dell’eguaglianza, onde animarli ai loro doveri, mentre fate loro conoscere i loro diritti. Così avremo de’ buoni cristiani per il cielo, e dei salvi, utili e generosi cittadini per la patria, e per tutta la nostra Repubblica” (il cristiano perfetto “cittadino” repubblicano)[8].
Identici concetti si trovano in un opuscolo anonimo: La Religione cattolica amica della democrazia. Istruzione d’un teologo al clero ed al popolo romano (1797). “Felice democrazia, dove i costumi del popolo sono regolati sulla maestosa e divina morale del Vangelo!”.
Il 28 maggio 1856 su richiesta dell’amico Mons. Annibale Capalti (futuro cardinale) il poeta romano Gioacchino Belli (1791-1863) componeva un grazioso dialogo per un saggio di bambini di un asilo infantile romano. I due piccoli attori, Leone e Pasquale, lo concludevano in questo modo:
L. (…) Luce brillò di sentimenti umani. Dono è del vostro amor…
P. Pei poverelli.
L. Voi ci affidaste a generose mani che ci educano onesti cittadini, e quello che val di più …
P. Buoni cristiani.
Il vescovo Domenico M. Villa (1818-1882) pur adoperando formule spesso identiche a don Bosco, si distingue nelle accentuazioni. Egli, vescovo di Parma (1872-1882), sottolinea: la religione è l’insostituibile sorgente della vera felicità, sia individuale che sociale. “Siate religiosi e sarete felici”. L’istruzione religiosa è il mezzo sovrano per promuovere la felicità individuale e sociale, temporale ed eterna: “Siate dunque sinceri cristiani e buoni patrioti e sarete, anche per gli esempi delle religiose e sociali virtù, i veri amici del popolo”[9]. Dell’istruzione e dell’educazione cristiana è frutto naturale sia il buon cristiano che l’onesto o utile cittadino. Egli mette anche in evidenza con particolare vigore il rigoroso rapporto di causalità tra i due termini, con l’assoluta priorità della realtà religiosa. “Non basta vivere da galantuomo per essere cristiano, ma bisogna vivere da cristiano per essere galantuomo”[10]. “Amate sì la patria (…) ma cattolicamente, perché non può essere buon cittadino chi prima non è vero Cristiano”[11]. Un altro punto fermo del Villa è quello di escludere dall’idea del “buon cittadino” cristiano la connotazione liberale. Il Cattolico liberale non è né buon cristiano né buon cittadino.
Questa piccola carrellata lungo la storia ci fa capire che la formula “buon cristiano e onesto cittadino” ha avuto grandi ed impegnati promotori, certamente ognuno con delle accentuazioni diverse.
 
Il binomio “buon cristiano e onesto cittadino” di don Bosco.
Nel linguaggio di don Bosco è ricorrente, con diverse varianti, la formula “buon cristiano e onesto cittadino”. È una forma abituale durante una parte notevole della sua vita. L’espressione appare portatrice di significati diversi, con contenuti differenziati, chiaramente definiti anche dal contesto letterario e storico nel quale viene adoperata ed enunciata.
Ricercando i testi, dove la formula è presente, si è arrivati ad individuare le connessioni ed i contesti entro i quali si specificano i diversi significati. Ne risulta la seguente sequenza di temi[12]:
  1. La “condizione giovanile”: la “gioventù pericolante” nel corpo e nell’anima e “pericolosa” nella società. “Se io nego un tozzo di pane a questi giovani pericolanti e pericolosi li espongo a grave rischio dell’anima e del corpo.  (…) Qui non trattasi di soccorrere un individuo in particolare, ma di porgere un tozzo di pane a giovani cui la fame pone al più gran pericolo di perdere la moralità e la religione”[13].
Gioventù, educazione, società. “Qui [a Lucca] sarebbe a promuovere un’opera di grande utilità, perché col ritirare, istruire, educare i giovanetti pericolanti si fa un bene a tutta la civile società. Se la gioventù è bene educata avremo col tempo una generazione migliore; se no, fra poco sarà composta di uomini sfrenati ai vizi, al furto, all’ubriachezza, al mal fare[14].
  • Il cristiano con diritto di cittadinanza in tre diverse città. “La elemosina che si elargisce in favore delle opere Salesiane si estende al corpo e all’anima, alla società e alla religione, al tempo e alla eternità”[15].  Cittadino della città terrena e della città celeste. “Vi presento un metodo di vivere breve e facile, ma sufficiente perché possiate diventare la consolazione dei vostri parenti, l’onore della patria, buoni cittadini in terra per essere poi un giorno fortunati abitatori del cielo[16]
  • Cittadino di due diverse città in terra, civile ed ecclesiale. “Per non lasciare incompleta una impresa, da cui dipende un lieto o triste avvenire di tanti giovanetti, si fa umile ricorso a tutti coloro che amano il bene della religione e della civile Società[17].
Cittadino di una “città nuova”, in una nuova civiltà. “Queste lunghe e pericolose escursioni apostoliche fecero sempre meglio conoscere la necessità di fondare residenze di Sacerdoti in più siti, a fine di poter raggiungere i selvaggi, istruirli, incivilirli, formarne un popolo cristiano e salvarli nell’anima e nel corpo”[18].
  1. Un progetto educativo plenario e differenziato, cristiano e civile. La formula “buoni cristiani e onesti cittadini” ritorna quando si parla del progetto educativo previsto per “i giovani poveri e abbandonati”. Educazione umana e educazione religiosa ne sono i due poli. “Dalla carità vostra aspetto il pane ed il necessario alla vita ed alla buona istruzione ed educazione cristiana e civile ai giovanetti ricoverati, ed a quelli che si sperano di accettare in seguito, e che, poveri ed abbandonati, non hanno altro patrimonio che il vostro buon cuore”[19]Il buon cristiano per l’onesto cittadino.
Utilità sociale della religione. L’idea che la religione costituisca il presidio più sicuro della vita sociale e politica è familiare anche a don Bosco. [Alessandro Severo] Persuaso che la sola religione è sostegno degli imperi, la sola che possa formare la felicità dei popoli, si mise a praticarla egli stesso, e a farla rispettare universalmente (…). Amava il Cristianesimo, udiva volentieri a parlare del Vangelo”[20].
  • Buon cittadino “perché” buon cristiano? La formula “buon cittadino perché buon cristiano” non ricorre letteralmente nel linguaggio di don Bosco. Se ne trovano espressioni equivalenti, anche se non numerose: il che dimostra, in don Bosco, l’assenza di quell’“integralismo”, che, invece, si è potuto osservare fortemente sottolineato dal vescovo Domenico Villa (“bisogna vivere da cristiano per essere galantuomo”). In poche parole: Lo scopo [dell’Oratorio] si è di radunare i giovani per farli onesti cittadini col renderli buoni cristiani[21].
L’armonia di buon cristiano e onesto cittadino. Nella relazione di Giovanni Bonetti sul primo incontro di don Bosco con il ministro Urbano Rattazzi, nella primavera del 1854, si trova un’interessante notazione: Rattazzi “soleva dire che il Governo era obbligato a proteggere cotale istituzione [= l’Oratorio], perché cooperava efficacemente a scemare gli inquilini delle prigioni, e a formare dei savii cittadini, nel mentre che ne faceva dei buoni cristiani[22]. Due persuasioni sono implicitamente presenti in questa osservazione di un ministro laico e anticlericale, amico e benefattore di don Bosco: l’essere buon cristiano è compatibile con l’essere buon cittadino; l’essere buon cittadino non esclude l’essere buon cristiano. L’originalità di don Bosco educatore sta nel fare l’uno e l’altro. L’azione benefica ed educativa di don Bosco è la quotidiana dimostrazione di un programma di conciliazione, che poi nel 1884 don Bosco dichiarerà assegnatogli da Leone XIII: “voi avete la missione di far vedere al mondo che si può essere buon cattolico e nello stesso tempo buono e onesto cittadino”[23].
  • Il cristiano nel mondo. Ciò implica in don Bosco un’idea precisa del “buon cristiano”. Persona di “eternità”, egli è anche ben radicato nel mondo, dove è chiamato a operare la sua “eterna salute” con l’esercizio delle buone opere, il lavoro, la carità[24].
  • Il buon cristiano e l’onesto cittadino in operosa coabitazione. La formula ha un duplice valore: apologetico (difesa) e positivo. In un secolo che eredita la critica illuministica della religione cristiana come mitica, oscurantista, è ovvio che don Bosco rivendichi alla propria fede la dignità di veicolo massimo di umanizzazione e di civilizzazione. Per questo l’apologia diventa, in don Bosco, anche affermazione di principio: la religione cattolica, religione “salvifica”, si rivolge a tutto l’uomo; non si ferma all’anima, non mira solo alla città celeste; vuole l’uomo “salvo” anche nel corso dell’esistenza terrena, compresa l’essenziale dimensione sociale. Il buon cristiano può, deve essere ed è anche buon cittadino. Non è un “alienato” o perché tutto proteso al cielo o perché scarsamente interessato ai beni terrestri o perché più o meno patologicamente assillato dalla “salute eterna” o perché unicamente preoccupato dei “diritti” della Chiesa e del Papa. Egli è insieme “buon cristiano e onesto cittadino”[25].
  • Il buon cristiano latente nell’onesto cittadino. “I risultati finora ottenuti furono assai soddisfacenti; giacché non pochi giovanetti in procinto di mettersi per la mala vita, mercé le cure che loro si usano, ora battono il sentiero dell’onesto cittadino con grande vantaggio loro e della civile società”[26].
In contesti più vasti, lavoro, religione e virtù sono presentati quali mezzi di salvezza per i tanti “giovani pericolanti”, in un grande disegno di rigenerazione sociale, fondato sulla triade “laica” “Lavoro, Istruzione, Umanità”[27]. È evidente che il “programma” suppone un regime di “cristianità”, secondo cui la religione è il fondamento della morale e ambedue di un rassicurante ordine sociale[28].
Il “Buon cristiano e onesto cittadino”è il programma educativo di don Bosco, convinto che la rigenerazione della società passa attraverso l’esperienza cristiana, la quale conduce e dà qualità all’impegno culturale e sociale.Egli è persuaso che i valori umani vengano assunti e purificati dalla vita di fede, potenziati dalla grazia. S’impegna perciò a valorizzare l’umano nel cristiano, a promuovere tutto ciò che è positivo nella creazione per evangelizzare la società. Vede nella vita di Grazia lo svelarsi pieno della dignità dei figli di Dio. Mai però l’attenzione di don Bosco è rivolta esclusivamente alla dimensione soprannaturale. Ha davanti a sé giovani concreti dei quali si prende cura provvedendo cibo, istruzione, lavoro e aiutandoli a inserirsi nella società in modo onesto ed attivo[29].
 
La formula “buon cristiano e onesto cittadino” con le varianti[30] che ricorrono sotto la penna e nella bocca di don Bosco.
Don Bosco è fedele alla formula “buon cristiano e onesto cittadino”, anche se a volte utilizza altre parole, vediamo alcuni esempi:
  • Farli onesti cittadini e buoni cristiani[31];
  • Farsi buoni cristiani ed onesti artigiani[32];
  • Possano diventar tutti buoni cittadini e buoni cristiani[33];
  • Fare tutti buoni cristiani ed onesti cittadini[34];
  • Educare la gioventù all’onore del cristiano ed al dovere del buon cittadino[35];
  • Divenivano buoni cristiani ed onesti cittadini[36];
  • Fare quel po’ di bene che posso ai giovanetti abbandonati, adoperandomi con tutte le forze affinché diventino buoni cristiani in faccia alla religione, onesti cittadini in mezzo alla civile società[37];
  • Preparare buoni cristiani alla Chiesa, onesti cittadini alla civile società[38];
  • Farne buoni cittadini e buoni cristiani è lo scopo che ci proponiamo[39];
  • Farne buoni Cristiani ed onesti cittadini[40];
  • Sono (…) utili cittadini e buoni cristiani[41];
  • Diventano buoni cristiani, onesti cittadini[42];
  • Entrando un giovane in quest'Oratorio deve persuadersi che questo è luogo di religione, in cui si desidera di fare dei buoni cristiani ed onesti cittadini[43];
  • Ridonarli alla civile società buoni cristiani e buoni cittadini[44];
  • Educati a virtù cristiane e civili (...) farne buoni cristiani ed onesti cittadini[45];
  • Si tratta di renderli onesti Cittadini e buoni Cristiani[46];
  • Vivere sempre da buoni cristiani e da savii cittadini[47];
  • Speranza che essi diventino buoni cristiani, onesti ed utili cittadini[48];
  • Sont maintenant de bons chrétiens et d'honnêtes citoyens[49];
  • Io godo assai nel sapere che voi (...) vivete da buoni cristiani, da cittadini Onorati[50];
  • Dovunque vi troviate mostratevi sempre buoni cristiani e uomini probi[51];
  • Scopo dei nostri collegi è di formare dei buoni cristiani, e degli onesti cittadini[52];
  • Per essere poi ridonati alla civile Società buoni cristiani, onesti cittadini[53];
  • Escono buoni Cristiani e bravi cittadini[54];
  • Ritornarli alla Società buoni cristiani ed onesti cittadini[55];
  • Educarli in modo da farne buoni cittadini e veri cristiani[56];
  • Apprendendo a vivere da buoni cristiani e da savii cittadini[57];
  • Ammaestrati a vivere da buoni cristiani e savii cittadini[58];
  • Diventano buoni cristiani, savii cittadini[59];
  • Rendendoli buoni cristiani ed utili cittadini[60];
  • Continuate dunque ad essere buoni cristiani e savii cittadini[61];
  • Dare alla civile società dei membri utili, alla Chiesa dei cattolici virtuosi, al Cielo dei fortunati abitatori[62];
  • Farne buoni cittadini e buoni cristiani[63];
  • Ridonarli (...) alla civile società buoni cristiani, onesti cittadini[64];
  • Faran vedere al mondo come si possa (...) essere cristiani e nello stesso tempo onesti e laboriosi cittadini[65];
  • Istruirli, educarli e farne così dei buoni cristiani ed onesti cittadini[66];
  • Quanti buoni figliuoli, quanti padri cristiani ed onesti, quanti migliori cittadini di più non potremmo dare alle famiglie, alla Chiesa, alla società![67];
  • Rendersi buoni cristiani ed onesti cittadini[68];
  • Restituirli alla famiglia, alla società, alla Chiesa buoni figliuoli, savii cittadini, esemplari cristiani[69];
Don Bosco ripeteva molto questa formula “buon cristiano e onesto cittadino”. Lo dimostra l’intera rassegna appena abbozzata. Ma ciò non toglie nulla alla lucidità dei significati. Essi rispondono alla chiarezza delle scelte educative concrete. Anche se l’uso della formula può rispondere spesso a esigenze di propaganda e ricerca di solidarietà (simpatia, sostegno dell’opinione pubblica, aiuti finanziari), essa rispecchia soprattutto una sicura posizione di vita e di azione.




[SM=g1740771] continua...........

Caterina63
00venerdì 25 maggio 2012 23:43
Il “buon cristiano e onesto cittadino” si forma in un ambiente adatto.
Sappiamo quanto grande fosse il fascino che emanava la persona di don Bosco e le qualità educative di cui era dotato. Egli però riteneva fondamentale per la crescita dei giovani la creazione di un ambiente educativo, tessuto umano in cui si intrecciano molteplici relazioni, dove potessero sperimentare di essere personalmente amati, ossia di essere presi sul serio, stimati nel loro intrinseco valore, nella capacità di aprirsi agli altri e all’Altro.
Don Bosco è consapevole dell’importanza della famiglia per la crescita sana dei ragazzi e decide di riprodurne lo stile negli ambienti di accoglienza dei giovani. Chiamerà spirito di famigliail clima che si respira nelle sue case. Esso è caratterizzato dall’attenzione al giovane, alle sue attitudini, ai valori di cui è portatore, facendo vibrare le corde del cuore con la delicatezza, “la mansuetudine e la carità”, evitando ogni forma di repressione e di violenza. È un ambiente dove si sperimenta l’armonia tra spontaneità e disciplina, familiarità e rispetto delle regole, gioia ed impegno, libertà e dovere. In tale ambiente i giovani sono nelle migliori condizioni per sviluppare le loro capacità relazionali, espressive e creative, lo spirito solidale del prendersi cura gli uni degli altri. L’educazione è, infatti, opera d’espansione e di orientamento verso la forma conviviale del vivere insieme nel riconoscimento e nella valorizzazione delle diversità.

Don Bosco comprese che questa missione esigeva l’apporto differenziato e coordinatodi molte persone e cercò consenso anche tra i non credenti che potevano ritrovarsi nel volto sociale della sua opera di evangelizzazione. Rigenerare il tessuto della società richiedeva sinergie nell’arte di prendersi cura dei giovani, espressione più debole e fragile della società e, allo stesso tempo, speranza di un futuro diverso e migliore. Prendersi cura mediante l’educazione di essi è essenzialmente prevenire, formare persone libere e responsabili del bene della famiglia umana. Prevenire è puntare sul positivo, far leva sulle risorse interiori del ragazzo e sull’espansione delle sue potenzialità; è accompagnare nell’esperienza quotidiana, nel suo coinvolgimento a servizio del bene dei compagni e del bene comune[70].
Ciò significa che educare alla legalità implica la creazione di un ambiente nazionale e internazionale di legalità. Il richiamo formativo e morale rivolto a tutte le persone e istituzioni, cominciando dalla famiglia stessa. “L’autentica legalità trova la sua motivazione radicale nella moralità dell’uomo; la condizione primaria per uno sviluppo del senso della legalità è la presenza di un vivo senso dell’etica come dimensione fondamentale ed irrinunciabile della persona”[71]. Educare alla legalità risulta essere, oggi più che mai, un impegno di tutti ed un obiettivo da inserire in ogni progetto formativo[72].
 
Il “buon cristiano e onesto cittadino” di don Bosco è una persona in cammino verso la maturità spirituale, ecclesiale e sociale.
Fin dalla sua venuta al mondo, se non addirittura dal suo concepimento, la persona si trova a doversi confrontare con un alternarsi infinito di fasi d’immaturità e di maturità. Il “buon cristiano e onesto cittadino” di don Bosco è una persona che acquisisce delle “competenze” e le sa gestire mettendole al servizio di se stesso, della famiglia, della Chiesa e della società.
 
La maturità spirituale
Il “buon cristiano e onesto cittadino” di don Bosco coltiva in se stesso le buone abitudini, l’amore di Dio Padre e della conoscenza della sua Parola, interpreta la vita dal punto di vista di Dio, è una persona di convinzione che sa gestire positivamente le proprie “competenze” per il bene comune.
La maniera più pratica e più potente per dirigere i credenti, i giovani, verso la maturità spirituale è quella di aiutarli a stabilire abitudini che promuovano la crescita spirituale. Non si può parlare di carattere senza parlare di abitudini. Il carattere è la maniera in cui si agisce abitualmente. Un carattere integro è un requisito di base e propedeutico per tutto il resto (ad esempio: l’onestà). Avere integrità vuol dire essere sempre onesto. Ed essere onesto deve essere un’abitudine. Non ci si deve pensare.

Certamente nella crescita spirituale sono moltissime le abitudini che si devono sviluppare. Ci soffermiamo su quelle abitudini fondamentali: l’abitudine di trascorrere il tempo con la Parola di Dio; l’abitudine di pregare; l’abitudine alla generosità; l’abitudine di avere comunione fraterna. Ciò si basa sulle affermazioni di Gesù quando definì il discepolato: un discepolo segue la Parola di Dio (Gv 8, 31-32); un discepolo prega e porta frutto (Gv 15, 7-8); un discepolo non è posseduto dai suoi averi (Lc 14,33); un discepolo esprime amore per gli altri credenti (Gv 13, 34-35).
La grande sfida di don Bosco fu sempre di far sì che il ragazzo vedesse la vita dalla prospettiva di Dio. Cioè vivere nell’“intendimento”, nella “saggezza”, e nel “discernimento”. Tutto ciò aiuterà il giovane ad evitare la “durezza di cuore”, la “cecità” e l’“ottusità”. Si fa in modo che la persona del giovane possa rispondere ai “perché” della vita. Essa: ci spinge ad amare di più Dio … (Ef 3, 18); ci aiuta a resistere alle tentazioni. Quando guardiamo a una situazione dal punto di vista di Dio, capiamo che le conseguenze del peccato sono più grandi del piacere temporaneo che esso può dare (Prov 14, 12); ci aiuta nelle prove. Quando abbiamo la prospettiva di Dio sulla vita, capiamo che “… tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio …” (Rm 8,28); “Ci protegge dagli errori… Viviamo in una società che rifiuta la verità assoluta e accetta ogni opinione come ugualmente valida… Il problema non è che la nostra cultura non crede in niente, ma che crede in tutto … La prospettiva è l’antidoto… Il risultato è un credente che rimane stabile…” (Ef 4,14).
Don Bosco voleva educare una persona con la capacità di convinzione. Lui sapeva molto bene che la convinzione è contagiosa. Le persone acquisiscono le convinzioni stando vicino ad altri che le hanno. Esse includono i valori, gli impegni e le motivazioni. H. Hendricks[73] definisce così la convinzione: “Ciò in cui si crede è qualcosa per cui si discute. Una convinzione è qualcosa per cui si muore!”. Le convinzioni determinano la condotta. Inoltre J. Gordon[74] afferma che “un uomo senza convinzioni è debole come una porta che si regge su un solo cardine. Una persona senza convinzioni è alla mercé delle circostanze. Se non decide cos’è importante e come vivere, saranno altri a deciderlo per lui”.
Nella vita cristiana esistono determinate capacità che bisogna sviluppare per maturare: studiare la Bibbia, servire, testimoniare, relazionarsi, amministrare il proprio tempo, rispettare le norme stabilite, ecc.
 
Maturità ecclesiale
C'è un senso  di  appartenenza alla Chiesa che deve andare oltre il gruppo, la parrocchia, l'oratorio, l'associazione e il movimento. Si tratta di riscoprire la grande appartenenza alla Chiesa Locale, comunione di comunità, e alla Chiesa universale, comunione di Chiese locali. Don Bosco ha saputo sviluppare nei suoi ragazzi questo senso profondo di appartenenza alla Chiesa e di amore al Papa: egli ha saputo creare nell’oratorio un ambiente che favoriva la scelta vocazionalecome un modo di crescere... maturare, educarsi, assumere la responsabilità della propria vita nella proprie mani, divenire “protagonisti” e non “trainati” o “pilotati”. Giovanni Paolo II diceva che E' necessario promuovere una cultura vocazionale che sappia riconoscere e accogliere quell'aspirazione profonda dell'uomo che lo porta a scoprire che solo Cristo può dirgli tutta la verità sulla sua vita”[75].
Il Rettor Maggiore, don Pascual Chávez, nelle “Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana 2011” affermava: “Una cultura vocazionale deve mettere in salvo da una concezione soggettivistica che fa dell'individuo centro e misura di se stesso, che concepisce la realizzazione personale come difesa e promozione di sé piuttosto che come apertura e donazione”.
 
Maturità sociale
Le questioni che sfidano oggi la responsabilità umana e la missione cristiana sono nell'ambito secolare: promuovere la libertà della persona, venerare l'inviolabile diritto alla vita, preservare la libertà (civile!) di invocare il nome del Signore, impegnarsi per la stabilità e la dignità della famiglia, sostenere la solidarietà, porre l'uomo al centro della vita economico-sociale[76]. Don Bosco formava i suoi ragazzi per inserirli nella società in modo che vivessero i valori imparati nell’oratorio.
 
Profilo del soggetto che scaturisce dal binomio “buon cristiano e onesto cittadino” che don Bosco voleva formare
Don Bosco cercava di formare un giovane con una fisonomia ben precisa:
“Buon cristiano”
  • È capace di amare la Chiesa, il Papa ed i vescovi;
  • È coraggioso nel professare e difendere il credo della Chiesa;
  • Conserva il “santo timor di Dio”;
  • È cosciente che tutto ciò che realizza nel mondo deve essere finalizzato alla salvezza eterna;
  • È pronto a valorizzare e a vivere i sacramenti, soprattutto: l’Eucaristia e la Riconciliazione;
  • Vede nella vita di grazia lo svelamento pieno della dignità dei figli di Dio;
  • Ha una profonda devozione per la Madonna;
  • È aperto alla formazione umana e cristiana;
  • È cosciente che la finalizzazione ultima della cultura e della civiltà sono la pietà e la moralità;
  • È consapevole che l’esperienza cristiana, conduce e dà qualità all’impegno culturale e sociale;
  • Opera nel mondo con onestà, carità e amabilità;
  • È capace di farsi consigliare dal confessore per le sue scelte.
“Onesto cittadino”
  • Accetta se stesso e gli altri;
  • Vive la solidarietà con gli altri;
  • Sa condividere le proprie risorse umane con i membri del gruppo al cui appartiene;
  • Vive la gioia come stile di vita;
  • Pronto a fare la propria scelta vocazionale con responsabilità;
  • Ama il lavoro;
  • Coltiva ed ama la verità;
  • Si presenta come una persona ragionevole;
  • Studia per offrire alla società un servizio qualificato;
  • Possiede una capacita di inserimento ordinato e operoso nella società;
  • Cura l’onestà ed esemplarità di vita;
  • È un cristiano competente ed onesto nell’esercizio del suo compito lavorativo;
  • Contribuisce all’ordine ed al progresso della società;
  • Rispetta le norme stabilite;
  • Possiede un forte senso di appartenenza alla propria famiglia;
  • Rispetta i propri genitori.
Don Bosco ha concepito ed attuato la propria opera educativa per il raggiungimento di fini antichi e nuovi insieme, portando i giovani ad accogliere e formare in sé sia la fedeltà alla perenne novità cristiana, sia la capacità di inserimento in una società affrancata dai più pesanti vincoli dell’ancien régime e proiettata verso nuove conquiste.
 
Conclusione
Grande è stato l’impegno di una moltitudine di educatori cristiani per formare “onesti cittadini e buoni cristiani”.
Don Bosco è nato e cresciuto in una cultura teocentrica, dove Dio era il centro di tutto. L’ambiente culturale stesso offriva delle possibilità e delle ricchezze in campo religioso e culturale. Una cultura segnata dalle guerre e travolta dall’industrializzazione. Ha dovuto difendere la fede cristiana cattolica dai diversi gruppi anticattolici del momento.
Egli fissa la propria convinzione, che diventa programma, nella reiterata formula “buon cristiano e onesto cittadino”, tradotta poi, nel momento dell’iniziativa missionaria, dal 1875, in altre dal significato più esteso, ma d’identica ispirazione, “civiltà e religione”, “civilizzazione ed evangelizzazione”, promozione del “bene dell’umanità e della religione”, “dilatare il regno di Gesù Cristo portando la religione e la civiltà tra quei popoli e nazioni che l’una e l’altra tuttora ignorano”[77]. La prima – “buon cristiano e onesto cittadino” – è la più diffusa, con diverse varianti: “buoni cittadini e veri cristiani”, “buoni cristiani e savii cittadini”, “buoni cristiani e uomini probi”[78].
Quanto ai contenuti la formula è l’enunciazione abbreviata di un unico “manifesto educativo” di sapore tradizionale, ma virtualmente aperto al nuovo. Esso è già proclamato nel primo importante libro di guida religiosa della vita, Il giovane provveduto: “Vi presento un metodo di vivere, breve e facile, ma sufficiente perché possiate diventare la consolazione dei vostri parenti, l’onore della patria, buoni cittadini in terra per essere poi un giorno fortunati abitatori del cielo”[79].
Anzitutto, in relazione a quanto si è osservato a proposito dell’umanesimo pedagogico cristiano di don Bosco, è subito evidente la bipolarità che ne caratterizza l’insieme: da una parte, è affermata la centralità della fede religiosa, del trascendente, dello specifico cristiano; dall’altra, è presente una schietta valutazione della realtà temporale: entrambe sinceramente, intrinsecamente e non solo strumentalmente apprezzate ed utilizzate. Più che la coesistenza egualitaria tra due poli, si tratta di due realtà di pari dignità nel proprio ordine, ma con la subordinazione del polo temporale a quello trascendentale.

Don Bosco nell’educazione che offriva ai suoi giovani, cercava la crescita di tutta la persona. Non c’è alcun dubbio che un aspetto fondamentale per lui era la legalità e la ricerca del bene comune. Certamente lui non usava la parola legalità. La formula “buoni cristiani e onesti cittadini” nelle diverse varianti include la legalità e la socialità. “L’autentica legalità trova la sua motivazione radicale nella moralità dell’uomo, la condizione primaria per uno sviluppo del senso della legalità è la presenza di un vivo senso dell’etica come dimensione fondamentale e irrinunciabile della persona”[80]. Per don Bosco i giovani pericolanti erano una minaccia per la società, per la propria famiglia e per loro stessi.
Don Bosco con la formula “buoni cristiani e onesti cittadini” voleva contrastare la piccola criminalità, la criminalità organizzata e le nuove forme di criminalità. Voleva che ogni giovane fosse un cittadino esemplare.
Inoltre, l’approfondimento della formula “buon cristiano ed onesto cittadino” diventa elemento essenziale, non solo per definire in termini rigorosi la sua visione “umanistico - cristiana” dell’educazione, ma anche ed in particolar modo la dimensione sociale e politica della stessa. Entra in gioco il rapporto tra valori eterni e valori temporali, tra la religione e le altre forme di cultura, tra evangelizzazione ed umanizzazione, tra “salvezza eterna” e presenza nel mondo, tra fede e politica, tra appartenenza e fedeltà alla Chiesa e impegno nella società civile e nella comunità politica[81].
La finalità espressa da don Bosco, da tempo, viene vincolata alla proposta e all’assunzione di valori.  Per tanti ragioni, oggi appare necessario trovare un nuovo perno educativo che, in questo preciso momento storico, sembra trovarsi nella nozione di cittadinanza. Educarci per diventare ciò che siamo si può riassumere nell’esercizio dei valori della cittadinanza: essere un buon cittadino o cittadina esprime fedelmente ciò che ci fa umani.  Sicuramente non possiamo fermarci qui: i processi della prassi cristiana con i giovani aspirano alla meta dell’incontro con Cristo; ma nemmeno possiamo saltare le tappe previste sia dalla maturazione umana che dall’esperienza cristiana.
La meta primaria e comune di qualsiasi itinerario educativo oggi, non può essere altra che la cittadinanza cosmopolita e attiva, radicata nella giustizia; la meta definitiva, invece, si trova nel rendere possibile il salto da questo senso della vita all’esperienza cristiana della salvezza, ossia, all’incontro con Gesù Cristo e all’inserimento attivo nella comunità ecclesiale[82].
Lo stesso Benedetto XVI ha affermato che “i fedeli cristiani sono chiamati a portare avanti con fede i loro doveri di cittadini, lavorando per riempire la società dello spirito del Vangelo, cercando di attuare quella relazione vitale tra cittadini della città dell’uomo e della città di Dio”[83]. Le parole del Santo Padre sottolineano ancora di più l’intuizione educativa di don Bosco, valida non solo ai suoi tempi ma anche nella realtà odierna.
 
Zelarino (VE) 18-20 marzo 2011
Don José Pastor Ramírez
Delegato Mondiale degli Exallievi/e di Don Bosco


[SM=g1740733]


Caterina63
00venerdì 25 maggio 2012 23:44
[SM=g1740758]  NOTE


[1]U. Galimberti, Senza l’amore la profezia è morta. Il prete oggi, Cittadella Editrice, Assisi 2010, pp. 23-25.
[2]F. Alberoni, Le basi della morale cristiana sempre nelle nostre giornate, in: “Corriere della Sera”, 6 marzo 2011. www.corriere.it/editoriali/alberoni/11_marzo_07/le-basi-della-morale-cristiana-sempre-nelle-nostre-giornate-francesco-alberoni_9abb49ca-4889-11e0-b2f1-0566c0fae1d...
[3]Giovanni Paolo II, Discorso agli amministratori pubblici della Campania, presso la sede dell’Aeritalia a Capodimonte, Napoli, 10 novembre 1990, in L’Osservatore Romano, 13 novembre 1990.
[4]«Avviso» di Esercizi spirituali per giovani (dicembre 1849), BS 4 (1880) n. 12 dicembre, p. 6.
[5]A Diogneto V 1-10, in: http://www.ora-et-labora.net/diogneto.html.
[6]Traité des études, par Rolin. Nouvelle édition, revue, par M. Letronne et accompagnée des remarques de Crévier, t. I. Paris, Librairie de Firmin-Didot 1881, Discours préliminaire, p. 1. Citato da: P. Braido, Buon Cristiano e onesto Cittadino. Una formula dell’“umanesimo educativo” di Don Bosco, in: Ricerche storiche Salesiane, Rivista Semestrale di Storia Religiosa e Civile 24 Anno XIII, No. 1, Gennaio-Giugno 1994, pp. 11 e 12.
[7]V.E. Giuntella, La religione amica della Democrazia. I cattolici democratici del Triennio rivoluzionario (1796-1799, Roma Edizioni Studium 1990, p. 36, citato da: P. Braido, op cit., p. 20.
[8]Omelia del cittadino cardinal Chiaromonti vescovo d’Imola al popolo della sua diocesi nella Repubblica cisalpina nel giorno del santissimo Natale l’anno MDCCXCVII. Imola, nella stamperia della Nazione, l’anno VI della libertà (1797), citato da: P. Braido, op. cit., p. 21, citato da P. Braido, op. cit., p. 44.
[9]Il vero amico del popolo. Omelia recitata … il 4 dicembre MDCCCLXXVI… Parma, tip. Fiaccadori 1887, p. 20.
[10]Omelia recitata (…) per l’ingresso come arciprete vicario foraneo (…) il 25 febbraio 1849 nel duomo di Bassano. Parma, Tip. Fiaccadori 1876, p. 3.
[11]Dei particolari intorno alla dedizione religiosa dei parmigiani …, p. 14.
[12]P. Braido, op., cit., p. 43.
[13]Lettera al conte Clemente Solaro della Margherita del 5 gennaio 1885, Epistolario motto (Em) I 212. La formula “abbandonati, pericolanti e pericolosi” ricorre anche nella circolare del 1 ottobre 1856, Em I 304. Pericolosi è sottolineato anche nell’originale di don Bosco.
[14]Conferenza ai Cooperatori di Lucca, sabato santo 8 aprile 1882, Bollettino Salesiano (BS) 6 (1882) n. 5, maggio, p. 81, citato da P. Braido, op. cit., 47.
[15]L’elemosina è l’occasione che dà luogo a una classificazione analoga di stati dell’uomo presente nella conferenza tenuta a Lucca l’8 aprile 1882.
[16]Il Giovane provveduto (1847), Alla gioventù, [p. 5], Opere Edite (OE) II 187.
[17]Circolare per l’opera di La Spezia, 11 Ottobre 1880, E III 628.
[18]Lettera di Don Bosco ai Cooperatori e alle Cooperatrici, BS 11 (1887) n.1, gennaio, p. 3.
[19]Notizie sull’oratorio di Maria Immacolata e conferenza dei Cooperatori in Firenze, BS 6 (1882) n. 7. Luglio, p. 121.
[20]La storia d’Italia …, p. 131, OE VII 131.
[21]È quanto don Bosco avrebbe dichiarato nel 1850 al senatore piemontese conte Federico Sclopis in visita all’oratorio di Valdocco con una commissione del Senato subalpino, BS 4 (1880) n. 12, dicembre, p. 8.
[22]BS 6 (1882) n. 10, ottobre, p. 171.
[23]Udienza del 9 maggio 1884, Memorie Biografiche (MB) XVII, p. 100.
[24]“Ricordati, o Cristiano, che tu sei uomo di eternità. Ogni momento di tua vita è un passo verso l’eternità” è un motivo intenzionalmente raccolto ne La chiave del Paradiso in mano al cattolico che pratica i doveri di buon cristiano.
[25]P. Baido, op. cit., p. 67.
[26]Circolare per l’ospizio di Sampiedarena, gennaio 1875, Epistolario ceria (E) II, p. 448.
[27]Conferenza ai Cooperatori salesiani a S. Benigno Canavese del 4 giugno 1880, BS 4 (1880) n. 7, luglio, p. 12.
[28]P. Braido Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, LAS, Roma1999, p. 237.
[29]A. Colombo, La risposta del metodo educativo di don Bosco, Rigenerare la Società a partire dai giovani. L’arte della relazione educativa, 1ª Convention Nazionale sul Sistema preventivo, Roma, 11-12 ottobre 2003, p. 8.
[30]P. Braido, Buon cristiano e onesto cittadino …, pp. 67-69.
[31]Circolare, [10] giugno 1857, Em I 326.
[32]Catalogo degli oggetti posti in lotteria …, Torino, tip. di G. B. Paravia 1857, p. 3.
[33]Circolare, 10 ottobre 1862, Em I 530.
[34]Lettera alla contessa G. Uguccioni, 28 marzo 1872, E II 203.
[35]Al prefetto di Torino, 3 gennaio 1873, E II 250.
[36]Memorie del Oratorio (1991) p. 123.
[37]Memorie del Oratorio (1991) p. 200: colloqui di don Bosco con il marchese Michele Cavour.
[38]Cooperatori salesiani ossia un modo pratico per giovare al buon costume ed ala civile società. San Pier d’Arena, Tip. e Libr. S. Vincenzo de’ Paoli 1877, p. 4, OE XXVIII 342.
[39]A Carlo Vespignani, 11 aprile 1877, E III 166.
[40]Ai Cooperatori Salesiani, BS 1 (1877) n. 1, agosto, p. 2.
[41]Sistema preventivo (Utilità), 1877, p. 60, OE XXVIII 438 (des citoyens utile set des bons chrétiens, p. 61) e XXIX 107.
[42]A E. Carranza, 30 settembre 1877, E III 221.
[43]Regolamento dell’Oratorio di S. Francesco di Sales per gli esterni (1877), parte II, capo II, p. 30, OE XXIX 60.
[44]Promemoria a Leone XIII, marzo 1878, E III 318.
[45]Conferenza a Roma, BS 2 (1878) n. 3, marzo, pp. 12-13.
[46]Lettera ai Cooperatori, BS 3 (1879) n. 1, gennaio, p. 2.
[47]Discorso ai giovani nella festa onomastica, 24 giugno 1879, BS 3 (1879), n. 7, luglio, p. 9.
[48]Lettera ai Cooperatori, BS 4 (1880) n. 1, gennaio, p. 3.
[49]Conferenza a Marsiglia, 20 febbraio 1880, ms allografo con corr di don Bosco, FdB 1.888 D 2.
[50]Discorso a ex-allievi, 24 giugno 1880, BS 4 (1880) n. 9, settembre. p. 10.
[51]Ibid.
[52]Deliberazioni del secondo Capitolo generale..., 1880, p. 57, OE XXXIII 65.
[53]Circolare, gennaio 1881, E IV 23.
[54]Conferenza ai Cooperatori di Torino, 20 gennaio 1881, ms allografo, FdB 444 A 6.
[55]Lettera ai Cooperatori, BS 5 (1881) n. 5, maggio, p. 1.
[56]Conferenza a Firenze, BS 5 (1881) n. 7, luglio, p. 9.
[57]Lettera ai Cooperatori, BS 6 (1882) n. 1, gennaio, p. 1.
[58]Ibid., p. 4.
[59]Conferenza ai Cooperatori a Genova, BS 6 (1882) n. 4. aprile, p. 70.
[60]Ibid., p. 73.
[61]Discorso a ex-alunni, 24 giugno 1882, BS 6 (1882) n. 7, luglio, p. 123.
[62]Lettera ai Cooperatori, BS 7 (1883) n. 1, gennaio, p. 4.
[63]Omelia a S. Sulpizio (Parigi), 1 maggio 1883, MB XVI 245.
[64]Lettera ai Cooperatori, BS 8 (1884) n. 1, gennaio, p. 2.
[65]Discorso a ex-allievi, 13 luglio 1884, BS 8 (1884) n. 8, agosto, p. 113.
[66]Circolare ai Cooperatori di Parigi, 29 gennaio 1885, E IV 310.
[67]Conferenza ai Cooperatori di Torino, 23 maggio 1885, BS 9 (1885) n. 7, luglio, p. 95.
[68]Lettera ai Cooperatori, BS 10 (1886) n. 1, gennaio, p. 3.
[69]Lettera ai Cooperatori, BS 11 (1887) n. 1, gennaio, p. 5.
[70]A. Colombo, op. cit., p. 3.
[71]Nota Pastorale Educare alla legalità. Commissione ecclesiale Giustizia e pace, EDB, Bologna 1991, p. 7. n. 3.
[72]G.  Martielli, Moralità legalità socialità. Per una progettualità formativa, Viverein, Roma 2009, pp. 154-155.
[73]H. Hendricks, Docente di Teologia presso il Seminario Teologico di Dallas.
[74]J. Gordon, Unstruckç Your guide the seven-stage journey out of depression, The Penguin Press, New York, N. y., 2008 (citato da M. Luparia, Liberi per amare, Lateran University, Città del Vaticano 2011, pp. 60-64.
[75]Messaggio di Giovanni Paolo II per la XXX Giornata di Preghiera per le vocazioni l’8 settembre 1992, n. 2.
[76]Christifideles Laici, 36-44. (Citato da don Pascual Chávez nelle Giornate di Spiritualità 2011).
[77]Lettere a don Bodrato, 15 aprile 1880, E III 576-577, e a un benefattore ungherese, 1 novembre 1886, E IV 364.
[78]Discorso ai partecipanti alla sua festa onomastica, 24 giugno 1879, BS 3 /1879) n. 7, luglio, p. 9.
[79]G. Bosco, Il giovane provveduto, p. 7, OE II 187.
[80]Educare alla legalità. Commissione ecclesiale Giustizia e pace, EDB, Bologna 1991, p. 7, n. 3.
[81]P. Braido, Buon Cristiano e onesto cittadino… p. 75.
[82]J. Moral, Cittadini nella chiesa, cristiani nel mondo, in: “Note di Pastorale Giovanile”, XLV (2011) n. 1, pp. 39 e 40.
[83]È in sintesi quanto richiamato oggi da Benedetto XVI nel corso dell’udienza generale dedicata alla figura di San Massimo, vescovo di Torino (IV sec. D.C.), che nelle sue omelie ribadiva la responsabilità dei cristiani nel promuovere un giusto ordine sociale basato sulla solidarietà con il povero.
Caterina63
00sabato 26 maggio 2012 00:00
[SM=g1740733] La dotta ironia di Benedetto XVI sulle tasse


20 Settembre 2007

Anche nella contrarietà delle persone verso le tasse “si vede che alcuni corsi della storia non cambiano”. [SM=g1740733]

Lo ha affermato Benedetto XVI davanti a circa 15 mila fedeli durante l'udienza generale del mercoledì. L’occasione è stata l’analisi da parte di Benedetto XVI della figura di san Giovanni Crisostomo, Padre della Chiesa vissuto nel terzo secolo, e in particolare di una serie di omelie pronunciate dal santo durante la cosiddetta rivolta delle statue.
In quella circostanza la popolazione dell'Impero in Oriente cominciò a distruggere le statue dell'Imperatore contro l'imposizione delle tasse.
“Si vede che alcuni corsi della storia non cambiano...”, ha commentato papa Ratzinger con il consueto sorriso.

L’occasione è ghiotta per tornare brevemente sul tema che ha interessato il dibattito estivo sul dovere morale di pagare le tasse. Il tema è ampio e investe questioni complesse che meriterebbero uno studio più attento ed un’analisi più approfondita di quanto non sia consentito fare in un articolo di giornale. Ad ogni modo, le fonti non mancano e nelle poche righe che seguono vorrei evidenziare alcune ipotesi presenti in uno studio compiuto da un eminente storico americano, il prof. Leonard Liggio della George Madison University di Fairfax in Virginia. In un saggio pubblicato nel 2005 dall’editore Rubbettino (Dario Antiseri, Cattolici a difesa del mercato, a cura di F. Felice), Mercato e moneta nel pensiero ebraico e cristiano nell’era ellenistica e romana, Liggio mostra come molti degli scritti su etica ed economia riflettano il triste influsso della teologia della liberazione. Il punto è che, a parere di Liggio, “in gran parte, le teologie della liberazione ignorano la situazione storica ed assumono meramente i testi senza tentare di collocarli nel contesto nel quale essi furono scritti”.

In particolare, i teologi della liberazione hanno indirizzato la loro attenzione principalmente sui testi dei Padri della Chiesa, riservando una particolare attenzione ai Padri del quarto secolo. Ad ogni modo, è a dir poco evidente che se se si leggono questi testi senza collocarli opportunamente nel giusto contesto storico – la società romana dei secoli precedenti – non è possibile neppure comprenderne l’autentico significato. Sappiamo che san Giovanni Crisostomo, san Basilio e molti altri padri dell’Oriente condividevano un retroterra culturale, religioso ed esistenziale di tipo monastico, provenendo da esperienze nelle quali avevano volontariamente rinunciato alla ricchezza, facendo voto di povertà e considerando quest’ultimo una speciale grazia di Dio. Con il tempo, alcuni di loro furono elevati a vescovi, divenendo a tutti gli effetti portavoce della Chiesa, pur tuttavia conservando, inevitabilmente, una sensibilità ed una retorica fedeli al loro retroterra culturale.

Ad ogni modo, è sempre Liggio a farci notare che l’origine di alcune comunità monastiche, basti pensare alle prime comunità nella provincia egizia, nascono come grandi raggruppamenti popolati da persone che lasciavano le loro fattorie per dirigersi verso le paludi del delta del Nilo, al fine di fuggire dagli esattori.

Scrive a tal proposito Liggio.
La società romana del secondo e del terzo secolo era diventata una società che essenzialmente faceva di tutto per raccogliere le tasse”. Sappiamo anche che la società romana era estremamente militarizzata e che l’esercito finiva per assorbire necessariamente ingenti somme di denaro pubblico. Per il mantenimento dei soldati, dunque, l’intera popolazione fu assoggettata ad una pesante tassazione (anche quelli erano percepiti come “diritti acquisiti” e spese intoccabili).
Le cronache dell’epoca registrano che si giunse al punto che il governo dovette assegnare alla classe dirigente – le persone ricche della società – il compito di raccogliere ogni anno grandi somme di denaro e, qualora non l’avessero fatto, sarebbe scattata un’odiosa punizione: la somma mancante sarebbe stata presa direttamente dal loro patrimonio. Qualora non avessero posseduto un patrimonio sufficiente a pagare il debito (l’impegno) contratto con il governo, le loro proprietà sarebbe state comunque espropriate ed avrebbero smesso di essere uomini liberi, potendo essere venduti come schiavi. Così si è sviluppato un grande ed impietoso sistema per il prelievo fiscale e, parafrasando l’odierna battuta di Benedetto XVI: “nulla di nuovo sotto il sole”, nel contempo, le popolazioni hanno cominciato ad attrezzarsi per evitare di subire passivamente una simile crudeltà.

Quindi, fa notare Liggio, contrariamente a quanto sostengono le numerose vulgate che provengono dai teorici della teologia della liberazione, quando i Padri della Chiesa criticano i ricchi per l’esazioni, non si riferiscono ai ricchi in quanto tali, ma esattamente a coloro tra di essi che erano costretti dal governo a diventare esattori delle imposte e, per sopravvivere senza diventare schiavi, dovevano essere certi che nessuno potesse sottrarsi al pagamento delle tasse; si trattava di una questione di vita o di morte – di libertà o di schiavitù: “E così è sorto un sistema nel quale tutta la società è costruita intorno alla riscossione e all’evasione fiscale”. [SM=g1740733]

È interessante, a questo punto, evidenziare come un gran numero di persone, per evitare gli odiati esattori, decisero di lasciare le loro fattorie e le città nelle quali vivevano per trasferirsi nelle campagne, in territori selvaggi e malsani, inaccessibili al controllo asfissiante ed occhiuto del fisco. Sicché, dal momento che molte di queste persone erano fervidamente religiose, furono proprio loro a dar vita ad alcune delle prime comunità monastiche; comunità libere di persone che fuggivano dalle vessazioni fiscali.

Scrive Saviano, padre della Chiesa del V secolo, ne Il governo del mondo:

“Quali città, quali comuni e quali villaggi esistono in cui non ci sono tanti tiranni quanti gli esattori delle imposte? È probabile che essi si glorino del nome di tiranni perché hanno la parvenza di essere ritenuti potenti e degni d’onore. Esisterà mai un luogo, come ho detto, dove le viscere delle vedove e degli orfani non vengano divorate dai potenti della città, e con loro quasi tutti i Santi? Nel frattempo i poveri vengono saccheggiati, le vedove gemono, gli orfani sono soggiogati, e molti di loro – e non sono di nascita oscura e hanno ricevuto un’educazione liberale – si affidano ai barbari per timore di morire per il dolore della persecuzione pubblica. Essi cercano tra i barbari la dignità dei romani, perché non possono sopportare l’indegnità barbara tra i romani.”

Era l’epoca delle grandi invasioni barbariche, in forza delle quali le tribù barbare penetrarono fino al cuore dell’impero romano. Fa notare Liggio: “Uno degli aspetti sorprendenti di ciò è che essi erano accolti come liberatori da gran parte dei cittadini romani dal momento che essi non imponevano strutture fiscali, la soffocazione del commercio e della ricchezza, che erano imposte dell’amministrazione romana”. E continua Saviano:

“Essi abbandonano le loro abitazioni per timore di essere torturati proprio nelle loro stesse case. Cercano asilo per timore di patire le pene della tortura. Il nemico è più indulgente con loro rispetto agli esattori delle imposte. Questo è dimostrato proprio dal fatto che fuggono verso il nemico per sottrarsi a tutta la forza dell’imposizione di tasse opprimenti.”

Come si può notare il tema è scottante per la sua attualità politica e ricco di implicazioni teoriche, sia nel campo dell’economia sia in quello della teologia. Ad ogni modo, credo che si possa onestamente riconoscere come il riferimento ironico di Benedetto XVI ad un Padre della Chiesa del terzo secolo abbia il merito di evidenziare una realtà storica con profonde ricadute sull’azione politica. Si tratta di una realtà che, a partire dal dato meramente economico, invero, interessa la dimensione esistenziale più intima degli esseri umani, delle loro famiglie, del loro lavoro e delle loro imprese, finendo per interpellare le ragioni del loro essere e sentirsi liberalmente – più o meno – parte attiva e solidale all’interno di un qualsiasi corpo sociale. È un tema la cui urgenza è sotto gli occhi di tutti. Di questo, mi auguro, al di là dell’ironia, voglia prendere atto chi ha responsabilità politica: a qualsiasi livello, che sia al governo o all’apposizione. È in gioco nient’altro che la libera e pacifica coesione sociale del Paese!

[SM=g1740771]


TOPOLINO aveva previsto il governo Monti?

  maggio - 16 - 2012

LA PROFEZIA DI TOPOLINO

 

Topolino N 1956

Topolino N° 1956, del 23 Maggio 1993

Il settimanale Topolino nel 1993 nel racconto di Paperinik “Paperinik e le tasse rapinatorie” aveva anticipato i tempi, trattasi di profezia o semplice ispirazione all’allora governo Amato? ai posteri l’ardua sentenza.





Caterina63
00sabato 26 maggio 2012 00:04
[SM=g1740771] "LE TASSE E LA CHIESA", IN TUTTE LE LIBRERIE L'ULTIMO PICCOLO COMPENDIO SCRITTO DA CARLO DI PIETRO. DIFENDERSI DA UNO STATO TIRANNO E LADRO



Ho ricevuto come regalo dall'autore il testo "Le tasse e la Chiesa", un volumetto tascabile da portare sempre in tasca e da leggere nei momenti di sconforto, specialmente quando capita di andare a pagare bollette esorbitanti, tasse, benzina, sigarette, cartelle esattoriali e tante altre spese che ci fanno rigirare le budella perché sono ricaricate di tasse e sovrattase, di accise e furti vari. Nella scrittura di questo piccolo libro, l'autore [Carlo Di Pietro] ha voluto scrivere tutte quelle indicazioni che tanti preti non sono più in grado di dare e che molte volte, proprio a causa di queste carenze, tanti fedeli sono lasciati soli nello sconforto a combattere spiritualmente contro un Stato tiranno e spesso ladro. Si era parlato qualche mese fa delle tasse, lo aveva proprio fatto il cardinal Bagnasco, che con le sue parole ha sconfortato tante persone cattoliche che non ce la fanno a pagare le tasse, quindi si arrabbiano e perdono le staffe, casomai lanciandosi dal balcone o picchiano la moglie e i figli, oppure dandosi all'alcool.

Il cardinal Bagnasco aveva affermato che non pagare le tasse è reato ma è anche peccato, invece il testo dimostra a caratteri più che enormi che questo non è assolutamente vero.

Ho trovato molto conforto nel leggere questo piccolo libro, perché mi ha sollevato da tante preoccupazioni e da parecchi scrupoli di coscienza, dato che è probabile che quest'anno, a causa della forte crisi e degli aumenti intollerabili, non riuscirò a pagare tutte le tasse.

Il libricino riporta la dottrina cattolica, il catechismo e altri documenti, spiega bene quali sono i ruoli dei governati, quali quelli dei cittadini. Parla dei doveri dello Stato e di quelli di noi popolo, quindi istruisce anche sull'autodifesa che è assolutamente legittima quando si prende coscienza collettiva che lo Stato è ladro.

La pubblicazione è coraggiosa e assolutamente non invoglia a delinquere, però mette alla luce tutte le verità scomode di cui i preti [spesso amici o compari dei politici] non parlano più, quindi fa capire che se uno non ha i soldi e non può pagare le tasse, non deve sentirsi in colpa e non ha bisogno neanche di confessarsi per quel peccato, dato che lo Stato tartassa più del dovuto, non contraccambia con onestà - efficienza, quindi non merita di ricevere quanto chiede scandalosamente, quindi non c'è peccato se uno non ha i soldi.

Non pagare le tasse è reato … ma è sempre anche peccato? Nel retro di copertina è riportata una frase di Leone 13°: "Siccome il diritto alla proprietà privata deriva non da una legge umana ma da quella naturale, lo Stato non può annientarlo, ma solamente temperarne l’uso e armonizzarlo col bene comune. È ingiustizia ed inumanità esigere dai privati più del dovere sotto pretesto di imposte" (Papa Leone XIII). UNA SCONVELGENTE VERITA'! [SM=g1740733]

Ringrazio Carlo per il regalo e gli faccio i complimenti per il coraggio, per la faccia tosta  e per aver inserito tanti link utili, così il libricino costa di meno e comunque rimanda a tante fonti extra. Ottima idea.

L. [non Lino] Banfi [padre di famiglia e geometra]

Per maggiori informazioni:
http://www.edizionisegno.it/libro.asp?id=789

 

Pontifex.Roma





[SM=g1740758]



Caterina63
00giovedì 31 maggio 2012 12:51
Osservatorio Internazionale Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa

- Newsletter n.409 del 23 maggio 2012

di Stefano Fontana

Mentre viene celebrata la Giornata mondiale della famiglia voluta dall’Onu e siamo alla vigilia dell’Incontro mondiale delle famiglie con Benedetto XVI a Milano, il governo italiano è sempre più pericolosamente ambiguo proprio su questo tema centrale dell’agenda politica.


Nella conferenza Stato-regioni sulla famiglia è avvenuto un fatto piuttosto inquietante. Dal testo del Piano per la famiglia è stato eliminato il seguente passaggio, di valore decisivo: «per quanto riguarda la distinzione tra famiglie legali e famiglie di fatto, essa vale quando sia necessaria l’osservanza dei requisiti ex art. 29 della Costituzione per motivi di carattere giuridico, fiscale e amministrativo, oltre che per ragioni di efficacia e di equità sociale».

Insomma, il vincolo dell’articolo 29 è stato messo in ombra. Dal Piano nazionale è stato inoltre tolto il discorso del quoziente familiare (il cosiddetto Fattore famiglia), da cui si capisce che il governo non ci sente sul tema di un fisco a misura di famiglia. Il ministro Fornero, infatti, ha dichiarato di essere contraria ad «una modulazione del fisco che scoraggi il secondo reddito in famiglia» e l’occupazione femminile.

Martedì 15 maggio, alla Camera è stato presentato il Rapporto dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia. In quell’occasione ministro Fornero ha detto: «La famiglia tradizionale rischia di diventare un’eccezione. Oggi le famiglie di fatto chiedono di essere considerate famiglie, ci sono coabitazioni di persone dello stesso sesso che chiedono la stessa cosa. Dobbiamo distinguere la parte riconducibile ad un sistema di valori tradizionali e una visione aperta in cui tutti chiedono diritti. Non possiamo far finta di niente. Abbiamo il dovere di riflettere». [SM=g1740732]

Siccome la famiglia tradizionale prevista dalla Costituzione «rischia di diventare un’eccezione», sarebbe dovere del governo proteggerla. Se «tutti chiedono diritti», il governo non deve concedere diritti a tutti, perché non bastano i desideri per avere anche dei diritti. Come si vede, se questa linea fosse quella del governo e non solo del ministro Fornero, saremmo su una deriva culturale molto pericolosa e inaccettabile.

Circa poi il dato quantitativo: in Italia ci sono 16 milioni di matrimoni e 900 mila coppie di fatto. Altro che in via di estinzione! Sarà interessante vedere a proposito di tutto ciò l’atteggiamento del ministro Riccardi, che ha la delega per la famiglia e che ad ogni piè sospinto parla dell’importanza della famiglia come elemento di solidarietà sociale, anche verso gli immigrati. Coppie di fatto o coppie omosessuali come potranno esercitare questa solidarietà?

Nel frattempo il ministro dell’Istruzione Profumo ha emanato una circolare che invita tutte le scuole a prestare attenzione educativa contro la omofobia, in ottemperanza alle disposizioni europee sulla giornata contro la discriminazione verso gli omosessuali istituita nel 2007. Non era mai successo prima che un ministro intervenisse su questo tema con una circolare.

Il Presidente Napolitano si è detto preoccupato: «per il persistere di comportamenti ostili nei confronti di persone con orientamenti sessuali diversi». Già parlare di “orientamenti sessuali diversi” indica una posizione ideologica non condivisibile, perché li pone tutti sullo stesso piano. Eppoi tutti sappiamo che la lotta all’omofobia viene sistematicamente strumentalizzata, considerando “atto ostile” anche l’affermazione della dimensione naturale dell’eterosessualità e, quindi, del disordine intrinseco all’omosessualità.

Parlarne nelle scuole significa in pratica far passare sul piano educativo l’ideologia del genere, ossia che non esistono due generi, maschile e femminile, ma che il genere è una scelta soggettiva e culturale per cui ne esistono circa 14. [SM=g1740732]

Sarà anche solo tecnico questo governo. Però... attenzione.


Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 00:33.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com