Elogio della Coscienza, scritti di J.Ratzinger raccolti in un libro

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Caterina63
00lunedì 27 aprile 2009 14:48
Elogio della coscienza: raccolti in un libro gli interventi del cardinale Joseph Ratzinger sulla verità interiore

Esce domani in libreria per i tipi della Cantagalli il libro “Elogio della coscienza” (pag.176, 13,50 euro), raccolta di interventi del cardinale Joseph Ratzinger sulla questione fondamentale della coscienza. [SM=g1740722]


        


L’opera raccoglie una serie di testi preparati dal futuro Benedetto XVI, tra il 1990 e il 2000. Prendendo spunto da riflessioni su Socrate, Platone, Agostino, i Padri della Chiesa e in particolare John H. Newman, il cardinale Ratzinger si sofferma su fede, verità e coscienza. In questo servizio di Alessandro Gisotti, ripercorriamo alcuni passaggi dell’articolato intervento del futuro Papa del 16 marzo del 1991 che dà anche il titolo alla raccolta:

“Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo — cosa che non è molto indicato fare — allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa”: il cardinale Joseph Ratzinger prende l’abbrivio dalla famosa affermazione del cardinale Newman, nella Lettera al Duca di Norfolk, per un elogio appassionato della coscienza dell’uomo.

In una conferenza tenuta il 16 marzo del 1991, il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede sottolinea la connessione fondamentale tra coscienza e verità. Per questo, avverte, bisogna rifuggire dalla falsa concezione della coscienza soggettiva.
Altrimenti, annota il porporato, anche i membri delle SS naziste sarebbero giustificati perché hanno portato a compimento le loro atrocità “con un’assoluta certezza di coscienza”. Di qui il ruolo essenziale del senso di colpa, “necessario per l’uomo quanto il dolore fisico quale sintomo che permette di riconoscere i disturbi alle normali funzioni dell’organismo”.

Chi “non è più capace di percepire la colpa – è la sua riflessione – è spiritualmente ammalato”. Il “non vedere più le colpe, l’ammutolirsi della voce della coscienza in così numerosi ambiti della vita – ribadisce – è una malattia spirituale molto più pericolosa della colpa, che uno è ancora in grado di riconoscere come tale”. La colpa è proprio quella trascuratezza che “mi ha reso sordo alla voce della verità e ai suoi suggerimenti interiori. Per questo motivo, anche i criminali che agiscono con convinzione rimangono colpevoli”.
La “riduzione dell’uomo alla sua soggettività – prosegue – non libera affatto ma rende schiavo” e “significa al tempo stesso rinuncia alla verità”.

Proprio la verità, soggiunge il cardinale Ratzinger, è al centro del pensiero di Newman sulla coscienza. Per il grande teologo inglese, infatti, era doveroso obbedire alla verità piuttosto che al proprio gusto, anche in contrasto con i propri sentimenti.
“Un uomo di coscienza – scrive il cardinale Ratzinger – è uno che non compra mai a prezzo della rinuncia alla verità, l’andar d’accordo, il benessere, il successo, la considerazione sociale e l’approvazione da parte dell’opinione dominante”.

Per il futuro Papa qui si tocca “il punto veramente critico della modernità: l’idea della verità è stata nella pratica eliminata e sostituita con quella di progresso”. Ma, rileva, la conseguenza è che “in un mondo senza punti fissi di riferimento non ci sono più direzioni” e prendono così il sopravvento “considerazioni di utilità”.

Eppure, costata, l’uomo è in grado di conoscere la verità, giacché è iscritta nel proprio cuore e la coscienza ne dà testimonianza. Richiamando San Basilio e Sant’Agostino, il cardinale Ratzinger afferma che l’amore di Dio “non ci viene imposto dall’esterno”, ma “viene infuso in noi precedentemente”. E così si comprende correttamente il brindisi di Newman prima per la coscienza.

Il Papa, infatti, “non può imporre ai fedeli cattolici dei comandamenti solo perché egli lo vuole o perché lo ritiene utile”, “tutto il potere che egli ha è potere della coscienza”. Ancora, mette l’accento sulla “certezza della memoria cristiana”, “l’originaria memoria del bene e del vero”.

Il Papa, scrive il porporato, è garante di questa memoria che dev’essere continuamente purificata, ampliata e difesa contro le diverse forme di distruzione.
Ma qual è dunque, in definitiva, la novità del Cristianesimo? Il Logos, la Verità in persona, risponde il futuro Benedetto XVI e aggiunge: solo quando conosciamo e sperimentiamo interiormente questa Verità, che "ci ha amato ed ha bruciato le nostre colpe nel suo amore", “diventiamo liberi di ascoltare con gioia e senza ansia il messaggio della coscienza”.


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Caterina63
00lunedì 27 aprile 2009 15:26
Newman: "prima per la coscienza e poi per il Papa". Cantagalli pubblica una conferenza di Ratzinger.
 

John Henry Newman


ELOGIO DELLA COSCIENZA
La Verità interroga il cuore.

Cantagalli

pp.176
13,50 euro

di Andrea Tornielli

E Ratzinger brindò alla coscienza e alla sua libertà, facendo propria la celebre frase del cardinale John Henry Newman:
«Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo - cosa che non è molto indicato fare - allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa». Un Papa che «non può imporre ai fedeli cattolici dei comandamenti, solo perché egli lo vuole o perché lo ritiene utile. Una simile concezione moderna e volontaristica dell’autorità può soltanto deformare l’autentico significato teologico del papato».

Sono parole attualissime, e che per qualcuno oggi potrebbero suonare sorprendenti, quelle pronunciate da Joseph Ratzinger diciannove anni fa nel corso di una conferenza dedicata al tema della coscienza, un testo che insieme ad altri del futuro Pontefice viene ora pubblicato nel volume Elogio della coscienza. La verità interroga il cuore (Edizioni Cantagalli, pp. 176, euro 13,50), in libreria da dopodomani. È significativo, infatti, che Benedetto XVI abbia deciso di raccogliere questa come altre riflessioni, dedicate alla «dittatura del relativismo», al «fine dello Stato», al problema «dell’evidenza morale»; e di pubblicarle in un momento in cui il Papa e i vescovi sono spesso sotto accusa. Criticati aspramente per voler imporre il giogo dei loro precetti e delle loro norme morali anche a chi non crede - basti pensare al recente polverone sollevato dalle dichiarazioni del Pontefice sul preservativo e la lotta all’AIDS. Criticati per aver trasformato la Chiesa in una «Chiesa dei no», come si legge nel titolo di un recente volume del vaticanista di Repubblica, Marco Politi.

Nel suo Elogio della coscienza, Ratzinger osserva che oggi essa è diventata «il baluardo della libertà di fronte alle limitazioni dell’esistenza imposte dall’autorità».

Se il magistero ecclesiastico «vuol parlare in materia di morale, può certamente farlo, ma solo proponendo elementi per la formazione di un autonomo giudizio alla coscienza, la quale tuttavia deve sempre mantenere l’ultima parola». La fede viene dunque presentata - spiega il Papa - come «un peso difficile da portare e che sia adatto certo solo a nature particolarmente forti: quasi una forma di punizione, e comunque un insieme oneroso di esigenze cui non è facile far fronte». Concezioni di questo tipo, negli ultimi decenni «hanno visibilmente paralizzato lo slancio dell’evangelizzazione: chi intende la fede come un carico pesante, come un’imposizione di esigenze morali, non può invitare gli altri a credere; egli preferisce piuttosto lasciarli nella presunta libertà della loro buona fede».

Ratzinger critica esplicitamente la concezione di coscienza del liberalismo: «La coscienza non apre la strada al cammino liberante della verità, la quale o non esiste affatto o è troppo esigente per noi. La coscienza è l’istanza che ci dispensa dalla verità. Essa si trasforma nella giustificazione della soggettività, che non si lascia più mettere in questione, così come nella giustificazione del conformismo sociale, che come minimo comun denominatore tra le diverse soggettività, ha il compito di rendere possibile la vita nella società. Il dovere di cercare la verità viene meno, così come vengono meno i dubbi sulle tendenze generali predominanti nella società e su quanto in essa è diventato abitudine. L’essere convinto delle proprie opinioni, così come l’adattarsi a quelle degli altri sono sufficienti».

Ratzinger, ricordando alcune discussioni accademiche alle quali aveva partecipato, mette però in guardia dal carattere di ultima istanza che tutto giustifica dato alla coscienza nell’epoca moderna: «Se ciò dovesse avere un valore universale, allora persino i membri delle Ss naziste sarebbero giustificati e dovremmo cercarli in paradiso. Essi infatti portarono a compimento le loro atrocità con fanatica convinzione e anche con un’assoluta certezza di coscienza». «Fui assolutamente sicuro che c’era qualcosa che non quadrava in questa teoria sul potere giustificativo della coscienza soggettiva, in altre parole: fui sicuro che doveva esser falsa una concezione di coscienza, che portava a simili conclusioni».

Benedetto XVI introduce qui la frase di Newman, deciso a brindare «prima per la coscienza e poi per il Papa», spiegando che con quelle parole il cardinale voleva fare «una chiara confessione» dell’autorità pontificale, «ma anche un’interpretazione del papato, il quale è rettamente inteso solo quando è visto insieme col primato della coscienza - dunque non ad essa contrapposto, ma piuttosto su di essa fondato e garantito». Anche se «comprendere ciò è difficile per l’uomo moderno, che pensa a partire dalla contrapposizione di autorità e soggettività. Per lui la coscienza sta dalla parte della soggettività ed è espressione della libertà del soggetto, mentre l’autorità sembra restringere, minacciare o addirittura negare tale libertà».

La prospettiva si presenta invece del tutto diversa se si considera la coscienza come «la presenza percepibile e imperiosa della voce della verità all’interno del soggetto stesso». Un uomo di coscienza, afferma Ratzinger, «è uno che non compra mai, a prezzo della rinuncia alla verità, l’andar d’accordo, il benessere, il successo, la considerazione sociale e l’approvazione da parte dell’opinione dominante». La voce della coscienza dunque «non coincide con i propri desideri e coi propri gusti; essa non si identifica con ciò che è socialmente più vantaggioso, col consenso di gruppo o con le esigenze del potere politico o sociale».

La «voce della verità», insiste Benedetto XVI, non è qualcosa di imposto dal di fuori, «il senso del bene è stato impresso in noi», dichiara sant’Agostino. «A partire da ciò siamo ora in grado di comprendere correttamente il brindisi di Newman prima per la coscienza e solo dopo per il Papa». Quest’ultimo non impone dall’esterno, ma sviluppa la memoria cristiana e la difende. Per questo il brindisi per la coscienza deve precedere quello per il Papa, perché senza coscienza non ci sarebbe nessun papato. Tutto il potere che egli ha è potere della coscienza».

Certo, conclude Ratzinger, «la via alta ed ardua che conduce alla verità e al bene non è una via comoda», ma «noi dissolveremmo il cristianesimo in un moralismo se non fosse chiaro un annuncio, che supera il nostro proprio fare». La vera «novità specifica» del cristianesimo è che la verità si è incarnata in una persona, Gesù Cristo, ed è diventata allo stesso tempo misericordia, perdono, riconciliazione. «Laddove questo centro del messaggio cristiano non viene sufficientemente proclamato o percepito, là la verità si trasforma di fatto in un giogo, che risulta troppo pesante per le nostre spalle»

Fonte Il Giornale, 26 Aprile 2009.
Caterina63
00martedì 28 aprile 2009 18:26
[SM=g1740722] un amico su Oriensforum ha commentato con questo sunto che faccio mio e ve lo condivido...

Va spiegato cosa vuole intendere Ratzinger.
In breve faccio un sunto.
Il papato non è lì per inventare nuove dottrine(mia nota:vedi pastor aeternus e CVI).
La coscienza - nella dottrina cattolica - non può avere un carattere "creativo": non può inventarsi niente.
...

La coscienza è come una lampada che serve all'uomo per arrivare a "vedere" la verità.
Compito della chiesa è aiutare la coscienza in questo suo percorso, che ha uno ed un solo esito.
Per cui, in fin dei conti, l'obbedienza alla propria coscienza non può che arrivare a coincidere con l'obbedienza al Papa.
Una coscienza che non giunge a questo è falsa coscienza.

Egli, il Papa, utilizza l'idea platonica di "anamnesi". Il papa deve esercitare l'arte maieutica affinché ogni uomo porti alla luce la verità,la quale non è molteplice, non è creata dalla coscienza.
Piuttosto, la coscienza deve riconoscerla, ed accettarla, in quanto più grande di sé.

La Chiesa non fa altro che SVELARE la autentica natura dell'uomo.
E in questo Ratzinger non si inventa assolutamente nulla.
Già Innocenzo III affermava "agire contro coscienza conduce alla dannazione".
Laddove la retta coscienza è solo quella che è volta alla verità, quindi alla sana dottrina.

ma ahimè...verrà invece fatto passare come un elogio della Libertà di coscienza, già condannata più volte dai papi. E in questo ci sarà una adulterina alleanza tra progressisti ultra-incalliti 68ini e qualche "tradizionalista" di bassa lega.

i due poli estremi-sti che alla fine si attraggono
[SM=g1740727]


[SM=g1740733]
Caterina63
00domenica 13 settembre 2009 17:59
Un libro di Joseph Ratzinger

Trattato sulla coscienza. Per chi l'ha perduta e chi ce l'ha da tempo in crisi


di Salvatore Gentile e Nicola Bux

13 Settembre 2009

Il libro raccoglie alcuni bellissimi testi di Joseph Ratzinger precedenti l’elezione a pontefice.

Tali testi costituiscono un vero e proprio trattato sulla coscienza e sulle conseguenze che ne derivano per il rapporto tra la fede, la ragione e la politica.
Il più importante dei testi è comunque il primo, costituito dalla
lectio magistralis all’Università di Siena, tenuto dal Cardinale Ratzinger nel 1991 e che opportunamente il curatore pone all’inizio e particolarmente in risalto.

La sua importanza deriva dal fatto che si esamina la celebre frase del cardinale Newman, il quale in una lettera al Duca di Norfolk scriveva: “Certamente se dovessi portare la religione in un brindisi dopo pranzo, cosa che non è molto indicato fare, allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa” (p. 16).
Questa frase è stata adoperata spesso e volentieri come accettazione della concezione moderna della coscienza, intesa come indipendente dalla verità. Più precisamente è stata adoperata per sostenere che la verità non c’è, ma coincide con la coscienza della verità che ognuno ha, sempre limitata e progressiva.

L’allora Cardinale Joseph Ratzinger nega proprio questo, perché così pensando si dovrebbe dedurre che la coscienza erronea sia sempre giustificata fino a ritenere che la «coscienza è ciò che ci dispensa dalla verità».

Intendere così la coscienza significa negare la Creazione: «c’è nell’uomo la presenza del tutto inevitabile della verità» e se «la spia luminosa non si accende, ciò è dovuto ad un deliberato sottrarsi a quanto non desideriamo vedere» (p. 13).

È a questo punto che Ratzinger propone Socrate e Newman come «guide per la coscienza». La coscienza, per Newman è «la presenza percepibile ed imperiosa della voce della verità all’interno del soggetto stesso» (p.18). Essa è «la capacità di percepire, oltre il potere, anche il dovere e quindi di aprire la via al vero progresso» (p.22).

Prima di passare ad un’analisi più approfondita del testo, sembra opportuno un breve cenno ai rapporti che sussistono tra filosofia e religione e filosofia e morale.
A tal proposito conviene menzionare quanto afferma Michele Federico Sciacca: «scrive Biagio Pascal: “l’ultimo passo della ragione è di conoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano”. Filosofia e religione, quindi, non si escludono; autonome, rispondono alle stesse esigenze , ma è diverso il metodo, come il loro fondamento: la fede per la religione, la ricerca per la filosofia. Quel che per la fede è possesso, per la filosofia è aspirazione perenne» (La Filosofia nel suo sviluppo storico, Cremonese, Roma 1969 p. 8.)

Da quanto detto, Ratzinger fa conseguire che la coscienza si compone di due livelli, quello della anamnesi o memoria e quello della coscienza propriamente detta o sinderesi.

Tali livelli provengono dalla tradizione medievale che come è noto amava distinguerli ma nello stesso tempo correlarli. Infatti si può dire che gli squilibri siano venuti dall’aver trascurato sia la distinzione sia la correlazione. Si deve aggiungere che tale tradizione medievale cristiana attingeva adeguatamente sia al pensiero patristico, specialmente agostiniano e ancor prima a quello filosofico platonico.
A tal proposito si rimanda inevitabilmente alla lettura compiuta del saggio.
In conclusione, soprattutto considerando la fatica che l’uomo deve fare per affrontare in modo risolutivo la questione della verità, l’autore non può non ricorrere al ruolo della grazia divina quale illuminante strumento della coscienza proprio nel cammino di ricerca della verità.

* * *

La lezione magistrale ratzingeriana, riportata all’inizio del testo in oggetto a questo punto fa da naturale liaison con l’argomento della prima parte in cui si articola lo scritto in esame: “la dittatura del relativismo”. Per chi non è addentrato nel pensiero dell’allora cardinale e oggi Pontefice Romano – avvezzo a coniare espressioni originali poi affermatesi nel dire comune – questa espressione è stata lanciata alla vigilia della sua elezione al punto che è rimbalzata sui media perché molto efficace per descrivere la situazione culturale dell’uomo contemporaneo soprattutto nell’occidente.
Dopo un approfondimento circa la dignità della persona, l’autore passa in rassegna i valori religiosi e morali nella società pluralistica, soffermandosi in particolare sull’ambito politico, dove come è noto, soprattutto in tempi a noi più vicini, si è fatta strada la convinzione che relativizzando le rispettive identità e i valori in cui ciascuno crede ne trarrebbe giovamento la democrazia.

In sostanza si vorrebbe sostenere la tesi che per una vera libertà ed uguaglianza, di cui il termine democrazia è sinonimo, c’è bisogno di relativizzare la verità e i singoli aspetti che ad essa concorrono.
Non si può né si deve alleviare il lettore della necessaria fatica personale, tuttavia è opportuno almeno descrivere il percorso intrapreso nella prima parte.

Partendo dalla domanda se il relativismo sia necessario presupposto della democrazia, l’autore dimostra innanzitutto che codesta non può essere intesa in modo relativistico in quanto un fondamento di verità – di verità in senso morale – appare irrinunciabile per la stessa sopravvivenza della democrazia. A questo proposito per non entrare in conflitto con l’idea di tolleranza e con il relativismo democratico, oggi si parla più volentieri di “valori” che di “verità”" (p. 53).

Cogliendo in tal modo quanto si muove nell’opinione comune, l’autore passa a domandarsi quale sia il fine dello stato e nello stesso tempo passa in rassegna le soluzioni antitetiche al problema dei fondamenti della democrazia, ovvero: la concezione relativista e la concezione metafisica e cristiana.
La propensione per la seconda soluzione, come è ovvio, essendo partiti dal presupposto irrinunciabile del fondamento di verità, in particolare di quella morale, non può non confrontarsi con il problema dell’ “evidenza morale”: cosa che Ratzinger affronta rimandando alle lezioni di Bayle e di Popper, operando una sintesi e presentandone i risultati. Soprattutto egli invita a guardare oltre la terra, proprio per tutelare «lo Stato nei diritti che gli sono peculiari» (p. 75).
Lungi dall’essere un’evasione, questo atteggiamento, combatte qualsiasi assolutismo idolatrico perché pone dei limiti all’essere e all’agire del potere politico ma nello stesso tempo anche alla Chiesa perché l’aiuta a comprendere la celebre affermazione di Cristo: "date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio".

* * *

La seconda parte vuole aiutare ad intraprendere il percorso di ricerca della verità. Il primo testo che viene presentato è una omelia nella quale Ratzinger sottolinea il coraggio della verità a partire dall’esempio di Tommaso d’Aquino. Un coraggio che prese le mosse dalle parole del vangelo di Giovanni: «consacrali nella verità. La tua parola è verità» (Gv 17,17), per dimostrare che: «la verità è persona. La verità è Cristo» (p. 82). Tale affermazione è il punto di arrivo del percorso di ricerca della verità come descritto nella Bibbia, dove l’uomo è chiamato innanzitutto ad ascoltare, in secondo luogo ad accettare ed infine a rispondere.

* * *

Si colloca qui la terza ed ultima parte sulla evangelizzazione.
Il primo punto è quello della vocazione ecclesiale del teologo. Questo argomento attinge notevolmente al lavoro compiuto dall’autore quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede sfociato nella istruzione “Donum Veritatis” .
Si confrontano infatti la vocazione del teologo e quella dei pastori della Chiesa, chiamati rispettivamente a far progredire attraverso il lavoro teologico la conoscenza della verità rivelata e mediante l’esercizio del governo pastorale l’accettazione ubbidiente della medesima. Non si nasconde in alcun modo il contrasto e le difficoltà che tali ruoli spesso incontrano, ma Ratzinger, in linea con la tradizione cattolica, non teme di affrontare gli aspetti della collaborazione e del dissenso, riconducendoli nei loro rispettivi confini, in particolare richiamando il fatto che il Magistero debba assolvere alla funzione di custode della verità, un po’ come analogamente la legge deve essere custodita dagli organi che una società riconosce preposti alla difesa della sua autenticità, salvaguardandola da interpretazioni erronee. Questa analogia è particolarmente calzante se solo si riflette sul fatto che la rivelazione biblica va anche sotto il nome sintetico di “torah” termine ebraico tradotto con “legge”.

Dopo aver affrontato, tale ostacolo, l’autore passa a delineare struttura e metodo della “nuova evangelizzazione”, espressione cara a Giovanni Paolo II che vuole racchiudere l’esigenza di “ri-dire” il Vangelo alle società che lo avevano conosciuto, ma nel frattempo dimenticato. Così sono richiamati i suoi contenuti essenziali, in primis la conversione della vita: «La parola greca per convertirsi significa ripensare, mettere in questione il proprio e il comune modo di vivere; lasciar entrare Dio nei criteri della propria vita; non giudicare più semplicemente secondo le opinioni correnti. Convertirsi significa, di conseguenza, non vivere come vivono tutti, non fare come fanno tutti non sentirsi giustificati in azioni dubbiose, ambigue, malvagie, dal fatto che altri fanno lo stesso; cominciare a vedere la propria vita con gli occhi di Dio; cercare quindi il bene, anche se è scomodo; non puntare sul giudizio dei molti, degli uomini, ma sul giudizio di Dio. Cercare quindi un nuovo stile di vita, una vita nuova» (p.130). Si badi però che la conversione non è un atto individuale in quanto nel momento in cui si compie, «l’io si apre di nuovo al tu, in tutta la sua profondità, e così nasce un nuovo noi…una conversione puramente individuale non ha consistenza» (p. 131).

Questo è solo il primo dei contenuti essenziali della nuova evangelizzazione, senza del quale non è dato comprendere gli altri: il Regno di Dio, Gesù Cristo, la vita eterna.

La terza parte si chiude con un saggio tratto dall’incontro dei vescovi del National Catholic Bioethics Center che affronta il rapporto tra vescovi, teologi e morale.
Joseph Ratzinger indica le quattro sorgenti della conoscenza morale e le loro problematiche, ossia: la riduzione all’ “oggettività”, il rapporto tra soggettività e coscienza, la volontà di Dio e la sua rivelazione, la comunità quale sorgente della morale. L’autore naturalmente per ciascuno di essi non manca di delucidarne gli aspetti fondanti e di criticarne le riduzioni.
Dopo l’affronto di un secondo problema fondamentale, quello della coscienza e della sua oggettività, nel quale in maniera estremamente efficace, descrive cosa sia la coscienza e come essa parli all’uomo, nonché la relazione in un certo senso essenziale tra natura, ragione e oggettività, la terza parte del libro si chiude con alcune applicazioni del precedente saggio sulla vocazione ecclesiale del teologo.

In conclusione si rivela quanto mai intelligente la scelta dell’editore Cantagalli di pubblicare questo libro sotto il titolo newmaniano dell’Elogio della Coscienza, considerata la crisi di essa non solo nelle società ma anche in non pochi ambiti della Chiesa. Non resta che auspicare un ampio numero di lettori.

JOSEPH RATZINGER / BENEDETTO XVI, L’elogio della coscienza. La verità interroga il cuore, Cantagalli, 2009 pp. 176.

© Copyright L'Occidentale, 13 settembre 2009

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