Filosofia e ateismo....

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Caterina63
00lunedì 22 dicembre 2008 21:59
FILOSOFIA E ATEISMO

Alcuni pensano che l’ateismo, ossia concepire il mondo e l’uomo come prodotto dell’evoluzione senza ammettere l’esistenza e la necessità di un Dio creatore dell’universo, sia il punto d’arrivo indispensabile della cultura dell’Occidente e che il pensiero religioso sia possibile solamente all’interno di una subcultura adatta a primitivi o a ritardati.

Atrofia e ipertrofia Dobbiamo ammettere che l’uomo è dotato di ragione, ma che molto spesso non l’impiega in modo rigoroso, ossia procede a strappi. Le società primitive o ritardate sono quelle in cui non avviene nulla di nuovo perché il costume, ossia come hanno sempre fatto i predecessori, impedisce la nascita del nuovo ed espelle dalla società coloro che tentassero di introdurre novità. Questo tipo di società pone non piccoli problemi per la sopravvivenza quando si scontra con società più evolute, come è avvenuto alle società precolombiane quando si scontrarono con i conquistatori spagnoli.

Attualmente è in pieno sviluppo il processo che va sotto il nome di indigenismo, il tentativo di recuperare una supposta civiltà conculcata dai conquistatori, rimettendo in auge lingue, abbigliamento, canti come se nel frattempo non fosse successo nulla. Nelle società primitive non esiste scienza, cultura, dibattito culturale, medicina, tecnologia: prevale una concezione mitica che ingloba tutto. Per civiltà si intende l’ipertrofia di certe caratteristiche che indirizzano verso l’impiego del pensiero critico: si ripete che la filosofia è nata sulle coste della Ionia, la regione dell’Asia Minore intorno a Efeso e Mileto, città commerciali totalmente dedite al traffico marittimo. Il commercio esige una forte razionalizzazione delle operazioni che si compiono. Esse vanno dall’esame del cielo e del mare per programmare viaggi con un minimo di sicurezza, alla conoscenza delle lingue e della tecnica commerciale per non bruciare i rapporti con i clienti precludendosi la possibilità di proseguirli in futuro; occorre realismo per imparare dagli errori commessi in passato, da evitare per il futuro; è necessario saper programmare il futuro imparando che esistono linee di tendenza che possono essere immaginate come operanti anche in seguito.

Il detto popolare “meglio un uovo oggi che una gallina domani” viene trasformato dalla decisione di creare un pollaio che produca uova oggi e domani. La filosofia è perciò un risultato dell’ipertrofia del pensiero razionale, che a sua volta produce atrofia di altre caratteristiche umane, per esempio il pensiero religioso. Indubbiamente, lo sviluppo della filosofia favorì un certo abbandono della religione olimpica. Si può ricordare il caso di Evemero di Messina affermante che la religione olimpica era il frutto del culto attribuito a uomini che si erano distinti e che furono per così dire divinizzati e che perciò ogni religione, in definitiva, era stata prodotta dall’uomo (evemerismo).

Progresso e decadenza Abbiamo imparato che l’impiego di termini come “progresso” o “decadenza” risulta sempre problematico. Infatti ogni progresso delle macchine per il calcolo rappresenta la decadenza della capacità di compiere calcoli mentali. Ormai pochi sanno fare il calcolo della radice quadrata di un numero senza ricorrere alla calcolatrice; è noto che gli studenti non si sforzano di ricordare a memoria date o titoli di opere degli autori letterari perché “tanto si trova tutto su internet”: dunque decadenza della memoria. Nel secolo XIII la teologia attirava le intelligenze più luminose, da san Tommaso a Duns Scoto, mentre ora prevale l’economia e la gestione delle risorse finanziarie: dunque decadenza della teologia. Ellenizzazione e disellenizzazione Il papa Benedetto XVI, nel noto discorso di Regensburg del 12 settembre 2006, accennò a tre disellenizzazioni avvenute nell’ultimo mezzo millennio con Lutero, con Harnack e con lo sviluppo di civiltà extraeuropee come India e Cina che rifiutano qualunque subalternità nei confronti della cultura occidentale, affermando di possedere nella propria tradizione tutti gli elementi necessari allo sviluppo dei loro paesi.
 
L’affermazione è problematica, perché la creazione della nuova scienza è avvenuta in Occidente proprio in seguito alla vittoria della ragione, col pericolo che la razionalità scientifica distrugga o almeno diminuisca il valore attribuito al pensiero tradizionale. La tesi del papa è che ogni razionalizzazione corretta comporta la contraddittorietà delle proposizioni avversarie, e ciò significa che se una proposizione è vera la contraddittoria è necessariamente falsa.

In questo senso disellenizzare significa abdicare al dominio della ragione, permettendo a ogni interlocutore di dire la sua, senza alcuna preoccupazione per la coerenza logica. Rabelais, nel suo famoso anticonvento di Thélème, aveva imposto una sola legge “fate quel che vi pare”, banalizzato in tempi recenti con l’affermazione “vietato vietare” dove è presente l’errore logico che va sotto il nome di contradictio in adiecto. Filosofia e religione Il XIII secolo viene ricordato nella storia della filosofia per l’esemplare incontro tra ragione e fede, senza contrasti e senza sopraffazioni di un termine sull’altro per merito di quattro filosofi che furono al contempo teologi, sant’Alberto Magno e san Tommaso d’Aquino, san Bonaventura e il beato Duns Scoto.

Anche tra questi quattro pensatori non mancarono profonde differenze e diverse accentuazioni dei termini impiegati. Ciò significa che nel pensiero è presente un elemento qualitativo che resiste ad ogni tentativo di stabilire equivalenze quantitative e che il vissuto personale si ribella a ogni inquadramento. Sono giustamente famose le cinque vie di san Tommaso per dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio, ma san Tommaso stesso ricordò esplicitamente che si trattava di preambula fidei ossia di premesse della fede, sforzi per togliere un valore proibente a ipotesi ateistiche, dal momento che la fede era dimostrata conseguenza di un rationale obsequium nei confronti di Dio, anche se la fede religiosa si trova un gradino più su, essendo un dono gratuito di Dio a coloro che lo chiedono con cuore puro.

Teocentrismo e antropocentrismo Già nel XIV secolo si ruppe il mirabile equilibrio tra fede e ragione professato in precedenza e che si trova a fondamento di un capolavoro come la Commedia di Dante Alighieri. Con l’umanesimo e poi col Rinascimento avvenne un radicale mutamento di prospettiva: al centro della ricerca umana non si poneva più Dio e le realtà eterne col desiderio di indicare agli uomini i mezzi per conseguire il loro fine soprannaturale al termine della breve giornata terrena, bensì la dignità dell’uomo e la bellezza di questo mondo da godere quanto più a lungo possibile: si riassume il mutamento di indirizzo utilizzando la definizione di svolta antropocentrica della cultura europea. Come conseguenza avvenne uno sviluppo delle attività volte a rendere confortevole la vita in questo mondo, anche se nessuno è riuscito finora a far dimenticare che la dimora su questa terra non è definitiva.
 
L’eros della tecnica La creazione di una nuova scienza, in grado di mettere nelle mani dell’uomo le immense forze presenti nella natura e capaci di renderlo quasi come Dio, fu il primo obiettivo perseguito. Con Cartesio, Galilei e Newton la fisica-matematica conseguì uno statuto epistemologico pressoché perfetto, avendo proclamato compiutamente scientifico solamente ciò che era misurabile e operando con grandezze matematiche che hanno il pregio di non risultare opinabili. La meccanica razionale divenne il modello di scienza rigorosa. Essa permetteva di immaginare l’universo come una macchina di mirabile complessità, ma che era possibile conoscere e utilizzare calcolando di ogni elemento in movimento la massa, la direzione, la velocità.
 
La legge di gravitazione universale rimane una delle più grandi conquiste dell’intelligenza umana, condensata in una legge semplice, elegante, feconda di applicazioni. La metafisica non è una scienza La meccanica di Newton conobbe un successo memorando, perché indusse il filosofo più rigoroso del XVIII secolo, Immanuel Kant ad affermare che le vere scienze si occupano solamente di fenomeni, ossia di dati sottoposti all’esperienza e perciò misurabili, mentre la metafisica, che da sempre era stata il cuore della filosofia, si occupava di noumeni, ossia di cose che si possono pensare senza contraddizione, ma che non si possono dimostrare empiricamente: perciò la metafisica non era una scienza, bensì un’aspirazione del cuore umano destinata a soddisfare al sentimento.

La terza parte della Critica della Ragion pura di Kant, sotto il titolo di Dialettica trascendentale, esamina le principali prove circa l’esistenza di Dio proposte nel corso della storia della filosofia. Esse vengono giudicate non conclusive perché, secondo Kant, sono frutto di corti circuiti del pensiero per cui si passa dal piano fisico al piano metafisico o dal piano logico al piano ontologico, che il nuovo modello di scienza ha interdetto come illegittimo. Kant si affretta a dire che se le prove razionali per dimostrare l’esistenza di Dio non sono conclusive, per la stessa ragione non sono conclusive le prove che mirassero a dimostrare la non esistenza di Dio.
 
L’unica posizione corretta di fronte al problema della fede sarebbe quella agnostica, ossia non so se Dio esiste, anche se il sentimento mi suggerisce che un autore della vita e del mondo deve esistere, apparendo ripugnante immaginare che un meccanismo di mirabile complessità come l’universo si sia fatto da sé. Da Kant discende un filone della filosofia occidentale comprendente il positivismo, il neopositivismo e la filosofia analitica costruite sull’assioma della fine della metafisica.

L’altro grande filone scaturito dalla filosofia di Kant è lo storicismo di Hegel, ossia una nuova metafisica del divenire comprendente anche gli sviluppi di Marx, che hanno tenuto il campo fino a tempi recenti.

Gli sviluppi della biologia Lo storicismo del secolo XIX indusse anche i biologi a introdurre la componente storica nei loro studi. I trafori operati nelle montagne per far passare le ferrovie permisero di stabilire la successione delle ere geologiche con la scoperta di fossili appartenenti ad animali non più presenti nella fauna attuale, per esempio i dinosauri. L’origine della specie di Charles Darwin, pubblicato nel 1858 apparve a molti come l’equivalente della gravitazione universale di Newton, ossia una teoria da mettere a fondamento di ogni tipo di sapere moderno, avanzato, vero, ossia non una teoria di carattere ipotetico, bensì come il fondamento che poneva fuori dell’orizzonte umano la necessità o anche solamente la possibilità dell’esistenza di Dio.

Il darwinismo doveva rappresentare la definitiva demitizzazione del mondo. La termodinamica La scienza che ha conosciuto i più straordinari sviluppi nel XX secolo è stata la fisica atomica, in qualche modo compendiati dalla termodinamica. L’universo, secondo questa scienza, si è formato a seguito di una gigantesca esplosione iniziale in cui tutto era concentrato in un punto di temperatura e pressione inimmaginabili. Nel giro di pochi miliardesimi di secondo l’universo si è espanso in modo mirabile raffreddandosi quel tanto che bastava per passare dal plasma agli atomi e alle molecole dei vari elementi chimici stabili. A partire da quel momento le leggi di formazione dell’universo sono quelle conosciute dalla fisica ordinaria. Il dato fondamentale di questa teoria è che le reazioni termodinamiche hanno un solo senso, ossia dal più caldo al meno caldo e che perciò non sia possibile ipotizzare un universo esistito da sempre o destinato a esistere per sempre.

Il sole, come massima fonte di luce e di calore, quando avrà esaurito la sua riserva di combustibile, imploderà su se stesso trascinando nella sua rovina anche i pianeti che lo circondano. Si pone perciò il problema dell’origine dell’universo che non si è fatto da sé e che esige una regia per svilupparsi nei modi così razionali in cui esiste. Il neodarwinismo Verso la metà del XX secolo il darwinismo tradizionale fu riformulato alla luce delle nuove scoperte biologiche, essenzialmente il DNA, e puntualmente ripresentato da Richard Dowkins ipotizzando il gene egoista, un tentativo chiaramente manipolatorio per introdurre una direzione privilegiata nel divenire che, diversamente, non andrebbe da nessuna parte.

Ancora una volta si commette l’errore di far assurgere un’ipotesi di lavoro a fondamento del sapere scientifico, dimenticando che la caratteristica principale della scienza è quella di scrutare i propri oggetti di studio, in perenne divenire, senza farsi imprigionare da una descrizione del mondo che si suppone in costante cambiamento precisamente a causa delle nuove scoperte. La caduta del pensiero forte Il filosofo nel mondo attuale vive una situazione complessa. Il fallimento pratico e teoretico del marxismo e del liberalismo, ossia delle due ideologie che pensavano di possedere la chiave del divenire storico e che avevano combattuto o considerato marginale il problema di Dio, ha permesso al problema religioso di venir riproposto, ma in una situazione di pensiero debole, che ammette la coesistenza di tutte le affermazioni che non risultino auto contraddittorie.

Detto in altri termini, viviamo sotto la dittatura del relativismo e del soggettivismo che non ingiungono a nessuno il dovere di vivere in accordo con le credenze enunciate. Avviene la prevaricazione di ciò che è urgente su ciò che è importante: l’incalzare delle scadenze pratiche mi impedisce di occuparmi delle cose serie e perciò rimando l’esame di ciò che è davvero importante, col rischio di trascurarlo fino al termine della vita. La comunicazione preferisce lo stile dello spot pubblicitario: io faccio così, perché non lo fai anche tu?

Appare necessario riproporre la fiducia nella ragione come fondamento della comunicazione umana con l’invito a essere coerenti con ciò che si reputa vero anche quando tale coerenza mi costa molto. Esiste un falso ecumenismo che consiste nel raccomandare che ciascuno professi ciò che reputa vero dal punto di vista religioso, pensando che tutte le opzioni siano equipollenti. Occorre fare lo sforzo per approfondire la razionalità della mia fede, compiendo uno studio attento perché la mia fede risulti razionale, ma col desiderio di estendere anche ad altri i risultati della mia ricerca, come fece Henry Bergson negli ultimi anni di vita.

La sua conversione al cattolicesimo era matura fin dal 1932, ma non la formalizzò unicamente perché era iniziata la persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti e non volle perder il contatto col suo popolo proprio in quei frangenti.

Dalla Rubrica: I Nodi della storia, sito
"Con Francesco"  che ringraziamo fratenamente
[SM=g1740717]
Caterina63
00martedì 5 ottobre 2010 19:33
Nell'omelia dell'arcivescovo di Dublino alla messa per il Michelmas Law Term

La legge e la voce della società


Dublino, 5. "Le leggi e i regolamenti esistono per proteggere i più vulnerabili e per frenare l'arroganza verso la quale tutti sono tentati":  è il richiamo fatto a tutti gli operatori del sistema giudiziario dal vice presidente della Irish Catholic Bishops' Conference (Icbc), l'arcivescovo di Dublino e primate d'Irlanda, Diarmuid Martin, in occasione della santa messa che, ieri, ha segnato l'avvio nel Paese anglosassone del Michelmas Law Term, uno dei quattro periodi in cui è diviso l'anno legale delle Courts of England and Wales. Michelmas prende nome dalla festa dei santi Michele, Gabriele e Raffaele, arcangeli, che cade il 29 settembre.

L'arcivescovo ha indicato nell'omelia la necessità che la società garantisca a tutti un uguale trattamento, arginando i tentativi di divisione promossi da una certa cultura dominante. "Un sistema democratico - ha sottolineato il presule - è quello che garantisce a tutti di poter esprimere la propria voce e che rende tutti responsabili nei confronti del prossimo".

Il vice presidente della Icbc ha ricordato che il compito principale di un sistema democratico - che poggia sulla classica divisione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario - è proprio quello di dare "voce" alle fasce sociali più emarginate. "Ciascuno dei tre poteri, a modo suo - ha osservato l'arcivescovo di Dublino - ha il compito di promuovere, servire e proteggere una società in cui le persone si sentono sicure nelle proprie sfere individuali, sicure delle proprie capacità di portare un contributo al bene comune e sicure di essere protette e assistite quando esse diventano vulnerabili".

Il presule ha evidenziato il rischio che il mancato rispetto del sistema democratico basato sulla distinzione dei poteri, sul quale poggia la crescita di una società aperta e inclusiva, porti a favorire il totalitarismo e la corruzione. "Qualora tale distinzione - ha affermato monsignor Martin - cominci a cedere, inevitabilmente si aprirebbero le porte a leggi totalitarie che consentirebbero alla cultura della corruzione di prosperare. A tale riguardo, infatti assistiamo in tutto il mondo ai tentativi della criminalità organizzata di infiltrarsi nelle basi stesse della società, per indebolire l'indipendenza dei poteri, in modo che possa prosperare liberamente e impunemente".

Il vice presidente della Icbc ha fatto riferimento a un'indagine sulla povertà condotta nei Paesi in via di sviluppo, alla fine dello scorso secolo, dalla Banca Mondiale, con la quale era emersa che l'esigenza primaria espressa dagli intervistati era stata quella di "essere ascoltati". I poveri e gli emarginati, ha spiegato l'arcivescovo di Dublino "volevano essere sentiti, ascoltati e rispettati nella pienezza della loro dignità. Volevano avere una voce attiva nelle società in cui vivevano". E ha poi ribadito:  "Un sistema democratico è un sistema in cui tutti hanno una voce e in cui tutti si assumono le proprie responsabilità, nel rispetto degli altri".

Un sistema democratico, ha precisato, non riguarda soltanto le procedure elettive dei rappresentanti negli organi assembleari o in altri uffici, "ma la capacità di supportare una società dinamica e di sviluppare nuove forme di dialogo, oltre all'abilità di sfidare qualsiasi forma di potere". Pertanto, ha concluso, "la voce dei poveri e degli emarginati senza il supporto della legge viene soffocata e la legge che non ascolta la voce della società diventa arrogante e tirannica". A tale proposito, il presule ha fatto riferimento all'immagine biblica della torre di Babele:  "La torre di Babele è l'immagine della crescita incontrollata, della crescita dominata dall'avidità personale e intellettuale. È l'opposto della Pentecoste. I costruttori della torre andarono avanti nei loro piani indipendentemente da qualsiasi altro fattore, perdendo il contatto con la realtà e con ciò che è veramente crescita umana e sociale".

Il tema della povertà e dell'esclusione sociale sta dominando le discussioni nel Paese, che sta attraversando una forte crisi economica e finanziaria. La commissione per la giustizia e gli affari sociali dell'episcopato ha pubblicato un documento dal titolo "Sulla scia della tigre celtica:  la povertà nell'Irlanda contemporanea". Nel documento si sottolinea che "ogni giorno porta nuova disoccupazione con conseguenze devastanti per gli individui e le famiglie. Mentre riconosciamo le molte pressioni alle quali è sottoposto il Governo e il bisogno di decisioni difficili, non si possono ignorare i bisogni dei più deboli".



(©L'Osservatore Romano - 6 ottobre 2010)
Caterina63
00martedì 5 ottobre 2010 22:57
Tradizione e credibilità

Le preoccupazioni di Voltaire

di Ettore Gotti Tedeschi

La tradizione cristiana ha sempre educato a vivere una continua conversione, alla ricerca della perfezione evangelica. Ma questa tensione verso il bene deve riflettersi anche nelle attività temporali che sono necessarie alle opere della Chiesa, là dove il confronto con il mondo esterno è più palese, e dove dunque è necessario essere davvero esemplari, oltre che efficienti, per essere credibili.

I tempi attuali sono influenzati da una fase accelerata di globalizzazione e da una crisi economica che non si risolverà a breve. Entrambi i fattori richiedono l'adattamento a nuove esigenze di comportamento, anche da parte dei diversi enti economici della Chiesa, che devono adoperarsi per ottimizzare, con efficacia, la gestione e l'uso delle risorse necessarie alle opere di religione - amministrate direttamente o attraverso le strutture degli enti stessi, congregazioni e diocesi - affinché la loro azione non si indebolisca a fronte di incertezze sconosciute e di nuovi possibili rischi.

Questi enti, in tali complesse condizioni, devono rafforzare non solo le proprie capacità, ma anche la loro credibilità, per non compromettere quella della Chiesa. Ciò può significare, all'occorrenza, il dovere di adeguarsi a esigenze esterne e globali, che richiedono maggiori informazioni e più trasparenza nelle attività finanziarie. Senza modificare la propria natura giuridica, unica al mondo e necessaria alla propria missione. Ma, anzi, salvaguardando questa natura con il miglioramento delle capacità operative, in modo esemplare e coerente con il necessario spirito etico che deve distinguere il comportamento generale, e tanto più quello delle strutture della Chiesa.

Questo atteggiamento complessivo di disponibilità è indispensabile per facilitare la partecipazione al progetto di costruzione di quella società globale auspicata da Benedetto XVI e per la quale operano i suoi più stretti collaboratori, e per garantire, nelle attività temporali, una presenza incisiva dei valori cristiani.

Nel solco della tradizione bisogna essere guida ed esempio, ottemperando alle giuste regole, mantenendo e rafforzando l'identità cattolica, e influenzando così il rinnovamento necessario in questo progresso - confuso, ma bisognoso di verità e giustizia - che si sta ora realizzando.

La presenza della Chiesa, con i suoi valori, è indispensabile anche in economia, non solo perché è stata proprio la sua tradizione a ispirare il pensiero economico moderno grazie ai teologi tardo-scolastici, ma anche perché senza le sue opere di carità, spirituale e materiale, il mondo non si sarebbe potuto reggere e non riuscirebbe a reggersi nemmeno in futuro.

Molti, e da sempre, sono pronti a criticare la Chiesa cattolica. Anche riguardo alle sue risorse economiche, senza le quali peraltro non si produrrebbero quelle opere di cui beneficiano tutti, anche quanti visibilmente sono fuori dai suoi confini. Un esempio è quello di Voltaire, il quale voleva che i suoi familiari - moglie, avvocato, servitù - fossero educati al cristianesimo, credessero in Dio e si comportassero secondo i comandamenti.

E lo voleva perché era ben consapevole che quello era l'unico modo sperimentato per non essere tradito, ingannato e derubato. Per continuare a garantire questa buona reputazione è a volte necessario rinnovare gli strumenti. Come affermava Ireneo di Lione nel secondo secolo, è la fede sempre giovane che fa ringiovanire.

(©L'Osservatore Romano - 6 ottobre 2010)

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