Gesù chiede: "Mi lasceresti regnare dentro di te?"

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Caterina63
00lunedì 5 gennaio 2009 19:27
Amico, ti faccio questa domanda:
Tu... mi lasceresti regnare DENTRO DI TE ?

***************
Come sempre.....le domande suscitate dai Vangeli sono interrogativi....PER ME.... che mi sostengono nella quotidianità....Io con le labbra rispondo SI a Gesù, ma tante volte mi chiedo se questo FIAT parta anche dal cuore....[SM=g7831]

Tante volte è Gesù stesso a rispondermi, si mi fa sentire SERENA.....come se mi dicesse: " AMAMI COME SEI...NON PERDERE TEMPO A FARTI TROPPE DOMANDE, LASCIATI ANDARE...FIDATI DI ME....."[SM=g1740717]

E' così che Gesù mi cattura ogni giorno, fin dal mattino quando lo invoco....
così in mezzo agli affanni della vita quotidiana difficilmente mi annoio pensando ad ogni istante di rendere un piacere in qualche modo...AL MIO RE....
E quando cado....dopo l'attimo del dolore, ecco riaffiorare il sorriso, perchè so che a rialzarmi è stato LUI, il mio RE... in cambio allora gli lascio la mia caduta...perchè non ho altro da offrirgli ma so che è un Re speciale perchè EGLI PRENDE TUTTO...PER DARMI TUTTO.....

e alla Scuola di Maria imparo come si fa...[SM=g7182] [SM=g1740750]


Grazie Gesù, con affetto Caterina[SM=g1740717]

Dagli scritti di s. Escrivà

"Cristo deve regnare innanzitutto nella nostra anima. Ma come risponderemmo se ci domandasse: tu, mi lasci regnare dentro di te?". Testi di san Josemaría in occasione della festa di Cristo Re .


È’ Re e desidera regnare nei nostri cuori di figli di Dio. Ma mettiamo da parte l'immagine che abbiamo dei regni della terra: Cristo non domina né cerca di imporsi, perché non è venuto per essere servito, ma per servire. Suo regno è la pace, la gioia, la giustizia. Cristo, nostro re, non vuole da noi ragionamenti inutili, ma fatti, perché non chiunque mi dice: « Signore, Signore! » entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. (Mt 7,21).
E’ Gesù che passa, 93

Dov'è il re? Dove cercarlo se non là dove vuole regnare, cioè nel cuore, nel tuo cuore? Per questo si fa bambino: chi non ama infatti una piccola creatura? Dov'è allora il re, il Cristo che lo Spirito Santo cerca di formare nella nostra anima? Non può essere di certo nella superbia che ci separa da Dio, non nella mancanza di carità che ci isola. Lì Cristo non c'è; lì l'uomo resta solo.
E’ Gesù che passa, 31

Cristo deve regnare innanzitutto nella nostra anima. Ma come risponderemmo se ci domandasse: tu, mi lasci regnare dentro di te? Io gli risponderei che per farlo regnare in me ho un grande bisogno della sua grazia: soltanto così anche il palpito più nascosto, il sospiro impercettibile, lo sguardo più insignificante e la parola più banale, perfino la sensazione più elementare, tutto potrà tradursi in un osanna a Cristo, il mio Re.
E’ Gesù che passa, 181

Se lasciamo che Cristo regni nella nostra anima, non saremo mai dei dominatori, ma servitori di tutti gli uomini. Servizio: come mi piace questa parola! Servire il mio Re e, per Lui, tutti coloro che sono stati redenti dal suo sangue. Se noi cristiani sapessimo servire! Andiamo dal Signore e confidiamogli la nostra decisione di voler imparare a servire, perché soltanto così potremo non solo conoscere e amare Cristo, ma farlo conoscere e farlo amare dagli altri.
E’ Gesù che passa, 182
A tutto ciò siamo stati chiamati noi cristiani, questo è il nostro compito apostolico e l'ansia che deve consumarci interiormente: far si che il regno di Cristo divenga realtà, che non ci sia più odio né crudeltà, e che si estenda per tutta la terra il balsamo forte e pacifico dell'amore. Chiediamo in questo giorno al nostro Re che faccia di noi degli umili e ferventi collaboratori al disegno divino di unire ciò che è spezzato, di salvare ciò che è perduto, di riordinare quello che l'uomo ha sconvolto, di condurre alla meta ciò che devia, di ricostruire l'armonia di tutto il creato.
E’ Gesù che passa, 183

Celebriamo oggi la festa di Cristo Re e senza sconfinare dal mio ambito di sacerdote vi dico che se qualcuno intendesse il regno di Cristo come un programma politico non avrebbe approfondito la finalità soprannaturale della fede e non sarebbe lontano dal gravare le coscienze con oneri che non sono quelli di Gesù, perché il suo giogo è dolce e il suo carico leggero. Amiamo veramente tutti gli uomini. E amiamo soprattutto Cristo. Allora non potremo far altro che amare la legittima libertà degli altri, in una pacifica e rispettosa convivenza.
E’ Gesù che passa, 184
Caterina63
00lunedì 5 gennaio 2009 21:25


Gli legarono le mani perché facevano il bene

 Di:Plinio C.de Oloveira (+1995)


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Perché il Signore fu ammanettato dai suoi carnefici? Perché impedirono il movimento delle sue mani, legandole con dure corde? Soltanto l'odio o il timore potrebbero spiegare perché si riduce così qualcuno all'immobilità e all'impotenza. Perché odiare queste mani? Perché averne timore?


La mano è una delle parti più espressive e più nobili del corpo umano. Quando i Pontefici e i genitori benedicono, lo fanno con un gesto delle mani. Per pregare, l'uomo congiunge le mani o le alza verso il cielo. Quando vuole simboleggiare il potere impugna lo scettro. Quando vuole esprimere forza, impugna il gladio. Quando parla alle moltitudini, l’oratore sottolinea con le mani la forza del ragionamento con cui convince o l’espressione delle parole con cui commuove. È con le mani che il medico somministra i medicinali e l'uomo caritatevole soccorre i poveri, gli anziani, i fanciulli; e perciò gli uomini baciano le mani che fanno il bene, e ammanettano le mani che praticano il male.

Le Tue mani, Signore, che cosa fecero? Perché furono legate?


Chi potrà esprimere, o Signore, la gloria che queste mani diedero a Dio quando su di esse si  posarono i primi baci della Madonna e di San Giuseppe? Chi potrà esprimere con quanta tenerezza fecero a Maria Santissima le prime carezze? Con quanta devozione si giunsero per la prima volta in atteggiamento di preghiera?

E con quanta forza, quanta nobiltà, quanta umiltà lavorarono nell’officina di San Giuseppe? Mani di Figlio perfetto, che cosa altro fecero nel focolare, se non il bene ?


Quando la Tua vita pubblica ebbe inizio, fosti principalmente il Maestro che insegnava agli uomini il cammino del Cielo. E così, quando nel piccolo gregge dei tuoi eletti, insegnasti la perfezione evangelica, quando la Tua voce si alzò e sovrastò le folle estasiate e riverenti, le Tue mani si mossero segnalando la dimora celeste o condannando il crimine, aggiungendo alla parola tutti quei significati di cui l’arricchisce il gesto. E gli Apostoli e le moltitudini  credettero in Te, e Ti adorarono, o Signore.


Mani di Maestro, ma anche mani di Pastore. Non soltanto insegnasti, ma guidasti. La funzione di guidare si esercita più propriamente sulla volontà, come quella d’insegnare più esattamente sull’intelligenza. E siccome è soprattutto mediante l’amore che si guidano le volontà, le Tue mani divine ebbero virtù misteriose e soprannaturali per vezzeggiare i più piccoli, accogliere i penitenti, guarire gli ammalati.


Ma queste mani, così soprannaturalmente forti che al loro imperio si piegarono tutte le leggi della natura, e ad un loro cenno il dolore, la morte, il dubbio fuggirono, queste mani avevano ancora un'altra funzione da esercitare.  Non parlasti anche del lupo famelico? Saresti stato Pastore se Tu non lo avessi respinto?


Il lupo, sì... è innanzi tutto il demonio. Tu cacciasti il demonio, Signore, con terribile imperio, e di fronte alla Tua parola grave e dominatrice come il tuono, più nobile e più solenne di un canto di angeli, gli spiriti impuri fuggirono impauriti e vinti.


Come Pastore, le Tue mani divine non si  limitarono a brandire il bordone contro le potenze spirituali e invisibili che, a detta di San Paolo, infestano l’aria per perdere gli uomini. Esse  fustigarono  anche il demonio e il male nei suoi agenti tangibili e visibili. Condannarono il male, considerato innanzitutto in senso astratto. Non ci fu vizio contro cui Tu non parlasti.


Ma ugualmente il male nella sua pratica, nella misura in cui si concretizza negli uomini, e non solo negli uomini in generale,  ma in certe classi - i farisei per esempio - e non solo in certe classi ma in certi uomini visti molto in  concreto: i venditori del tempio, immortalati nel Vangelo grazie al loro castigo esemplare.

In effetti si trattava non dei diritti meramente umani, ma della Causa di Dio. Poiché nel servizio di Dio ci sono momenti in cui il non recriminare, non fustigare equivale a tradire.


Queste mani che furono così soavi per uomini retti come l'innocente Giovanni e la penitente Maddalena, queste mani che furono così terribili per il mondo, il demonio, la carne, perché sono legate e ridotte in carne viva? Sarà forse per opera degli innocenti, dei penitenti? O piuttosto per opera di coloro che ricevettero il castigo meritato e contro questo castigo si ribellarono diabolicamente?

Sì, perché tanto odio, perché tanto timore da dover sembrare necessario legare le Tue mani, ridurre al silenzio la Tua voce, sopprimere la Tua vita?


Signore, per capire questa mostruosità, bisogna credere all'esistenza del male. Bisogna riconoscere che così sono gli uomini, che la loro natura facilmente si ribella contro il sacrificio, che quando prende il cammino della rivolta, non c'è infamia né disordine di cui non sia capace. Dobbiamo riconoscere che la tua Legge impone sacrifici, che è duro essere casto, essere umile, essere onesto, e di conseguenza è duro seguire la tua Legge.


Il Tuo giogo è soave, sì, il tuo peso e leggero. Però, non perché non sia amaro rinunciare a ciò che c’è di animalesco e di disordinato in noi, ma perché Tu stesso ci aiuti a farlo. E quando qualcuno Ti dice no, comincia ad odiarti, a odiare ogni bene, tutta la verità, tutta la perfezione di cui Tu sei la personificazione stessa.

E se non Ti ha a portata di mano, in forma visibile, per scaricare il suo odio satanico, allora colpisce la Chiesa, profana l'Eucaristia, bestemmia, propaga l'immoralità, predica la Rivoluzione.

Sei ammanettato, o Gesù mio, dove sono gli zoppi e i paralitici, i ciechi, i muti che  guaristi, i morti che risuscitasti, i posseduti che  liberasti, i peccatori che  risollevasti, i giusti a cui  rivelasti la vita eterna? Perché loro non vengono a spezzare i lacci che legano le Tue mani?


Paradosso curioso. I tuoi nemici continuarono a temere le tue mani, benché legate, e per questo Ti uccisero. I tuoi amici sembrarono meno consapevoli del tuo potere. Perché non ebbero fiducia in Te, fuggirono spaventati davanti a coloro che Ti perseguitarono. Perché? Anche qui la forza del male è palese.

I Tuoi nemici amarono talmente il male che, anche sotto le umiliazioni delle corde che Ti legarono, percepirono tutta la forza del Tuo potere... e tremarono! Per essere sicuri, vollero trasformare in piaga la Tua ultima fibra di carne ancora sana, vollero versare l’ultima goccia del Tuo sangue, vollero vederTi esalare l’ultimo sospiro.


E nemmeno allora furono tranquilli. Morto, infondevi ancora timore. Bisognava sigillare il Tuo sepolcro e circondare di guardie armate il Tuo cadavere. Tanto che l’odio al bene li rese perspicaci al punto di fargli percepire ciò che è indistruttibile in Te. Al contrario, i buoni non se ne resero conto con la stessa chiarezza. Ti reputarono sconfitto, perso; fuggirono per salvare la propria pelle. Ebbero solo occhi e udito per presagire il proprio rischio. In effetti, l’uomo diventa perspicace soltanto in quanto a ciò che ama. E se vede più il suo rischio che il Tuo potere, è perché ama più la sua vita che la Tua gloria.


O Signore, quante volte i Tuoi avversari tremarono davanti alla Chiesa, mentre io, miserabile, vedendola ammanettata credetti che tutto fosse perduto! Ma quanta ragione ebbero i Tuoi nemici! Tu  risorgesti. Non soltanto le corde e i chiodi non  servirono a niente, ma né la lastra del sepolcro, né il carcere e tanto meno la morte poterono trattenerTi. Sì, sei risorto! Alleluia!


Signore mio, che lezione! Vedendo la Chiesa perseguitata, umiliata, abbandonata dai suoi figli, negata dai costumi pagani e dalla scienza panteista di oggi, minacciata all'esterno dalle orde del comunismo e all’interno  dall’insensatezza di quelli che vorrebbero venire a patti con il demonio, io esito, tremo, penso che tutto sia perduto. Signore, mille volte no! Tu risorgesti per la Tua forza, e spezzasti i vincoli con cui i Tuoi avversari avevano preteso di trattenerTi nelle ombre della morte.


La Tua Chiesa partecipa di questa forza interiore e può in qualsiasi momento distruggere tutti gli ostacoli da cui si vede circondata. La nostra speranza non è nelle concessioni, né nell’adattamento agli errori del secolo. La nostra speranza è in Te, Signore. Esaudisci le suppliche dei giusti, che ti pregano per mezzo di Maria Santissima. Invia, o Gesù, il Tuo Spirito, e sarà rinnovata la faccia della terra.

(“Catolicismo”, Aprile 1952)


[SM=g1740720]






Caterina63
00mercoledì 7 gennaio 2009 07:37
Identikit di Gesù Cristo [SM=g1740717]
di Giacomo Biffi, cardinale
Il Cristianesimo è una persona: Cristo
Il Cristianesimo, in sé, non è una concezione della realtà, non è un codice di precetti, non è una liturgia. Non è neppure uno slancio di solidarietà umana, né una proposta di fraternità sociale. Anzi, il Cristianesimo non è neanche una religione. È un avvenimento, un fatto. Un fatto che si compendia in una persona. Oggi si sente dire che in fondo tutte le religioni si equivalgono perché ognuna ha qualcosa di buono. Probabilmente è anche vero. Ma il Cristianesimo, con questo, non c'entra. Perché il Cristianesimo non è una religione, ma è Cristo. Cioè una persona.
L'identikit di Cristo
Io ho puntato su di Lui la mia vita, l'unica vita che ho: e quindi sento il bisogno ogni tanto di contemplarne il mistero, di rinfrescare l'identikit di Cristo. Molte volte sentiamo parlare di Gesù Cristo, ogni tanto sul giornale c'è qualcuno che fa qualche scoop su di Lui, ogni tanto si inventano e danno interpretazioni su chi sia Gesù Cristo, ma gli unici testi che ci parlano di Cristo sono i Vangeli. Perciò o si sta ai Vangeli, oppure si rinuncia a parlare di Lui. Quindi, non dirò neanche una parola che non sia documentabile, a differenza di chi si inventa libri, film e parole.
Che tipo era?
Prima domanda, la più semplice: che tipo era questo Gesù Cristo? Che uomo era? Questo il Vangelo non lo precisa. E devo dire che un po' mi secca, perché ho puntato la mia vita su di Lui e non so neppure di che colore fossero i suoi occhi. Era bello o era brutto? Beh, secondo me era bello. C'è un episodio dell'undicesimo capitolo del Vangelo di Luca. Gesù sta parlando alla folla. All'improvviso una donna, lanciando un grido di entusiasmo, dice: "Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha nutrito". Ecco, questo è il primo panegirico di Cristo. Ed è fatto in termini molto... corporei. Tant'è vero che poi Gesù le rimprovera di trascurare la parola di Dio per soffermarsi sulla Sua bellezza: "Beati quelli che ascoltano la parola di Dio". Noi però ringraziamo questa donna sconosciuta che ci ha permesso di rispondere alla nostra domanda preliminare: Gesù era davvero un bell'uomo. [SM=g1740717]
I suoi occhi
E aveva anche due splendidi occhi. Lo sguardo di Gesù colpiva chi lo incontrava. I Vangeli, soprattutto quello di Marco, parlano spesso del suo sguardo: penetrante su Simone, che gli viene presentato dal fratello: affettuoso sul giovane ricco, quello che poi se ne va perché lui gli dice di "lasciare tutto e seguirlo"; di simpatia su Zaccheo, il capo dei pubblicani, gli esattori delle imposte che rubavano (solo allora, per carità, non voglio dar giudizi...), che lo guardava stando appollaiato su un albero. E, ancora, di tristezza sull'offerta dei ricchi, di sdegno su quel che avveniva nel Tempio, di dolore per chi lo tradisce... Insomma, il suo era uno sguardo che parlava.

                        


Aveva idee chiare
E che faceva capire come Gesù avesse le idee chiare. Molto chiare. Quando parlava non diceva mai: "forse, secondo me, mi pare". E non aveva peli sulla lingua neanche con i potenti: ricordate quando dà della "volpe" al re Erode?
Uomo libero
Ma una delle cose più belle di Gesù è che era un uomo libero. Anche dai suoi amici. Quando san Pietro fa la sua professione di fede (ogni tanto ne azzeccava una anche san Pietro...), Gesù gli fa un panegirico mai dedicato ad un uomo, tanto che san Pietro probabilmente si ringalluzzisce, comincia a pensare in grande. Ma quando Gesù gli annuncia che il suo destino è quello di esser mandato a morte, e Pietro, che già si sentiva "primo ministro del Regno di Dio", lo prende per un braccio e lo rimprovera, Gesù neanche lo guarda e lo tratta malissimo: "Va' via da me, Satana, tu non pensi alle cose di Dio ma alle cose degli uomini". Niente male per un amico, no?
Ancor più libero con i parenti
Con i parenti, poi, certe volte era anche peggio. Quando Gesù abbandona la sua casa, a trent'anni, loro lo considerano pazzo. Lo dice il Vangelo di Marco, capitolo terzo: "Uscirono (i suoi parenti) per andare a prenderlo, perché dicevano: "È uscito di sé"" è fuori di testa. Poi quando la gente comincia ad andargli dietro, i parenti cercano di riavvicinarsi a Lui, perché capiscono che in qualche modo sta acquistando potere. E allora chiamano Maria, per cercar di convincere Gesù a tornare da loro. E Lui? Capisce tutto, al volo, e fa finta di non riconoscere nemmeno sua madre.
Gesù amava
Ma non crediate che fosse un uomo troppo duro. Gesù amava. Molto. Anzitutto, i bambini. Sapeva capirli, dote che raramente noi adulti abbiamo: in genere, quando parliamo con loro, sappiamo solo chiedere quanti anni abbiano, quale classe frequentino.. Roba che a loro non interessa niente. Lui, invece: "Lasciate che vengano a me". Poi, gli amici. Aveva un forte senso dell'amicizia, Gesù. Per esempio, era molto amico dei suoi discepoli: e, tra questi, era particolarmente legato a Pietro, Giovanni e Giacomo; e, ancora, tra questi soprattutto Giovanni gli era più amico. Insomma, anche Lui aveva delle preferenze tra i suoi amici. Come è giusto: gli amici non sono tutti uguali. Poi Gesù amava il suo popolo. Si sentiva pienamente ebreo, israelita. Tanto che il pensiero della distruzione di Gerusalemme lo fece addirittura piangere.
Attenzione ai particolari
Ma c'è un'altra cosa della personalità di Gesù che mi ha sempre colpito: la sua attenzione ai particolari. Gesù stava molto attento alle piccole cose della vita, anche perché sapeva che poteva farne delle parabole. Pensate a quella, quasi "emiliana", del Regno di Dio che è simile a una donna di casa che prende un po' di lievito e lo impasta con la farina finché è tutta fermentata. O a quell'altra dell'amico seccatore che deve essere accontentato pur di potersene liberare. Verissimo! Mi ricorda i nove anni in cui sono stato parroco a Legnano: c'era una donna che veniva a trovarmi ogni giorno, lamentandosi del marito. Ma che cosa potevo fare, io? Non potevo mica ammazzarglielo!
Un episodio: una "lucciola"
E ce ne sarebbero tanti altri, di episodi da ricordare. Nel capitolo settimo di Luca si racconta che Gesù è a pranzo da un capo fariseo: a un certo punto viene dentro una di quelle donne che non si sa come chiamarle... Diciamo una "lucciola". Questa donna si mette vicino a Lui e comincia a fargli dei complimenti, lo profuma. Era una scena gravissima: come se ad un pranzo parrocchiale, in cui il parroco di Granarolo invita il sindaco e il maresciallo dei carabinieri, una di queste donne entrasse e si mettesse a fargli dei complimenti... Eppure Gesù non si scompone. Anzi, la difende quasi con cavalleria.
Solo una figura umana eccezionale?
Dal Vangelo, dunque, riconosciamo una figura umana eccezionale. AI punto che quando Ponzio Pilato lo presenta alla gente dice: ecco l'uomo. E invece io dico: ecco il punto. Gesù era solo un uomo? Perché anche la maggior parte delle persone che non credono lo considerano un grande uomo, da stimare. Ma è una posizione insostenibile, se guardiamo a quel che Gesù Cristo stesso dice di sé. Esempi? Si definisce "Figlio dell'uomo", che era il titolo usato nelle profezie di Daniele per indicare un personaggio misterioso che sarebbe venuto dal cielo e avrebbe posto fine alla Storia. E con questo Gesù evoca la sua origine celeste e la sua definitività. Poi, dice di essere "più grande di Davide": e Davide era il re ideale, l'ideale della monarchia e della regalità per gli Ebrei.
È più che un uomo
Ma la cosa forse più seria la dice nel discorso della Montagna. "Beati i poveri..." e via dicendo ricordate? Beh, in quel discorso dice tra l'altro: "Avete udito che è stato detto agli antichi: "non uccidere". lo, invece, vi dico...". Pensateci bene: con questa frase Gesù quasi "corregge" la Rivelazione di Dio. E rivendica a sé anche il potere di giudicare l'uomo. E chi può farlo, se non uno che si crede Dio? E le altre cose che raccomanda? "Chi dà la vita per me la troverà...". Oh, dare la vita per uno non è mica uno scherzo! Una volta, in una visita pastorale, un bambino mi ha chiesto: "Ma tu saresti disposto a dare la vita per il Signore?". lo ci ho pensato su e gli ho risposto: "Senti, io sarei anche disposto a dare la vita per il Signore. Però mi seccherebbe parecchio!". Che era un tentativo di mettere insieme il dovere con la sincerità. E ancora: "Da' da mangiare a tuo fratello perché in lui vedi Me". Se un mazziniano storico dicesse: "Aiutate i fratelli perché in essi dovete vedere Giuseppe Mazzini", direbbe una cosa che non commuoverebbe nessuno, perché un uomo povero vivo è molto più importante di Mazzini morto. Ma Gesù? Gesù ripaga con la vita eterna. Lo dice anche san Marco, scrivendolo nel suo Vangelo in maniera un po' umoristica: "Chi avrà lasciato il padre e la madre, i campi e la casa per me, avrà il centuplo quaggiù. Con le persecuzioni e la vita eterna". Come dire: prima un po' di botte, va bene. Ma, poi, la vita eterna.
Gesù è Dio
Perché il fatto è che Gesù sarà pure stato un grande uomo, un uomo eccezionale. Ma soprattutto è Dio. È il Figlio di Dio. Non come lo siamo tutti noi, come lo sono tutte le creature, come la farfalla della vispa Teresa (anche lei è "figlia di Dio"): Lui è il Figlio proprio, l'Unigenito.
Una parabola inverosimile
Negli ultimi giorni di vita Gesù racconta una parabola, una delle più inverosimili nella sua struttura letteraria (a Gesù non interessa raccontare una novella verista, ma trasmettere un messaggio); è la parabola dei vignaiuoli infedeli e omicidi, che occupavano il terreno del padrone senza dargli niente in cambio. Allora il padrone manda alcuni servi a riscuotere. I vignaiuoli li picchiano. Il padrone ne manda altri: ma i contadini li uccidono. E fin qui, secondo me, è un racconto un po' esagerato: come facevano a pensare di uccidere così la gente e cavarsela senza problemi? Ma a questo punto la parabola diventa addirittura una cosa da matti. Il padrone dice: "Ah, ho un figlio unico, manderò lui, perché avranno timore di mio figlio". Ma chi è quel padre che sapendo di avere in casa dei briganti arrischia il suo unico figlio? E infatti i vignaiuoli decidono di uccidere anche lui, in modo da ereditare il patrimonio del padrone (chissà in quale codice sta scritto che l'eredità passa agli assassini dell'unico erede!). Insomma, la parabola è tutta sballata. Eppure si è verificata alla lettera: infatti Gesù verrà ucciso fuori dalla vigna, fuori dalle mura di Gerusalemme. Ed è stato il Padre a mandarlo.
Dinanzi a Lui non resta che inginocchiarsi
Mettete insieme tutte queste cose. Ne esce il ritratto di un uomo eccezionale, che dice di essere Dio. Una provocazione! Ma noi dobbiamo raccogliere questa provocazione. Perché se uno si presenta in questo modo, se dice di essere Dio, c'è poco da fare: o questo qui è matto, e allora non lo si può stimare, oppure è vero quel che dice. E allora bisogna inginocchiarsi. Non basta mica dire: è un grande uomo.
Gesù è risorto! Gesù e vivo!
E infatti, che cosa sono andati a dire gli apostoli di Lui? Il nucleo del messaggio cristiano qual è? Una parola sola: è risorto. Si è risvegliato dalla morte. Gli apostoli sono andati in giro a dire che Gesù è risorto ed è ancora vivo. Oh, vivo oggi! Quando facevo scuola a Milano, all'Istituto di Pastorale, ho fatto una lezione sulla Risurrezione di Cristo. Finita la lezione, una signora si avvicina e fa: "Ma lei vuol proprio dire che Gesù è vivo...?". "Sì, signora: che il Suo cuore batte proprio come il suo e il mio". "Ma allora bisogna proprio che vada a casa a dirlo a mio marito!". "Brava, signora, provi ad andarlo a dire a suo marito". II giorno dopo la signora torna da me e mi dice: "Sa, l'ho detto a mio marito". "E lui?". "Mi ha risposto: "Ma va', avrai capito male"". Notate che quella era una catechista. Eppure era sconcertata. Io le faccio avere la registrazione della lezione. Lei la fa sentire a suo marito.
Se è così, cambia tutto!
E lui, alla fine, crolla: "Ma se è così, cambia tutto". Pensateci, e ditemi se non è vero; se quell'uomo, bello, buono, eccezionale, è davvero Dio, e se è ancora tra noi, allora cambia davvero tutto!
Sia lodato Gesù Cristo, pace a tutti, Gino

il presente identikit è stato pubblicato dall'Osservatore Romano a cura del Cardinale Biffi, nelle edizioni del 12 e 19/11/1999.

 
                                                                 
[SM=g1740750] [SM=g7182]
Caterina63
00giovedì 15 gennaio 2009 19:53
Libro della Sapienza......
Lo Scrittore stesso lo attribuisce all'esperienza ed alle parole di Salomone..... difficile credere che quanto leggerete possa ritenersi una falsa parola di Dio...come vanno dicendo i Pentecostali che definiscono questo Libro un apocrifo...se fosse falsa......metà dei libri dell'A.T. andrebbero eliminati.....
Ma lasceremo al vostro cuore il compito della Lectio Divina e di fare discernimento......
La Sapienza in se stessa, cap. 6
21 Se dunque, sovrani dei popoli,
vi dilettate di troni e di scettri,
onorate la sapienza, perché possiate regnare sempre.
22 Esporrò che cos'è la sapienza e come essa nacque;
non vi terrò nascosti i suoi segreti.
Seguirò le sue tracce fin dall'origine,
metterò in luce la sua conoscenza,
non mi allontanerò dalla verità.
23
Non mi accompagnerò con l'invidia che consuma,
poiché essa non ha nulla in comune con la sapienza
.
24 L'abbondanza dei saggi è la salvezza del mondo;
un re saggio è la salvezza di un popolo.
25 Lasciatevi dunque ammaestrare dalle mie parole
e ne trarrete profitto.
Cap. 7: Salomone si riconosce uomo mortale
1 Anch'io sono un uomo mortale come tutti,
discendente del primo essere plasmato di creta.
Fui formato di carne nel seno di una madre,
2 durante dieci mesi consolidato nel sangue,
frutto del seme d'un uomo e del piacere compagno del sonno.
3 Anch'io appena nato ho respirato l'aria comune
e sono caduto su una terra uguale per tutti,
levando nel pianto uguale a tutti il mio primo grido.
4 E fui allevato in fasce e circondato di cure;
5 nessun re iniziò in modo diverso l'esistenza.
6 Si entra nella vita e se ne esce alla stessa maniera.
7 Per questo pregai e mi fu elargita la prudenza;
implorai e venne in me lo spirito della sapienza.
8 La preferii a scettri e a troni,
stimai un nulla la ricchezza al suo confronto;
9 non la paragonai neppure a una gemma inestimabile,
perché tutto l'oro al suo confronto è un po' di sabbia
e come fango sarà valutato di fronte ad essa l'argento.
10 L'amai più della salute e della bellezza,
preferii il suo possesso alla stessa luce,
perché non tramonta lo splendore che ne promana.
11 Insieme con essa mi sono venuti tutti i beni;
nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.
12 Godetti di tutti questi beni, perché la sapienza li guida,
ma ignoravo che di tutti essa è madre.
All'invocazione del cap. 14, nella ricostruzione dei fatti dell'Esodo per mezzo della Sapienza (=Dio), al verso 7 leggiamo:
Certamente benedetto è il legno per mezzo del quale viene la salvezza.......[SM=g1740720]
Per ora.....buona meditazione........
Caterina63
00venerdì 16 gennaio 2009 11:16
La parola di Gesù "Voi siete la luce del mondo" si può applicare a molte vocazioni cristiane ma è particolarmente adatta a un santo come Tommaso d'Aquino i cui scritti illuminano ancora oggi il pensiero cristiano e tutto il pensiero umano

La prima lettura


1 Cor 2,1-10
Parliamo una sapienza divina, misteriosa.


ci fa intravedere qual è la condizione per poter essere la luce del mondo; non si tratta semplicemente di usare la propria intelligenza per ricercare il segreto delle cose ma prima di tutto di mettere la propria intelligenza in relazione con Dio. "Alla tua luce vedremo la luce" dice un salmo: per vedere la luce presente nella creazione di Dio bisogna essere in rapporto con lui. Ecco perché non esiste vera sapienza senza preghiera. "Pregai e mi fu elargita la prudenza; implorai e venne in me lo spirito della sapienza" (Sap 7,7>.


Tommaso d'Aquino è stato un santo contemplativo: il suo ideale era trasmettere agli altri le cose che egli stesso aveva contemplato, cioè capite nella preghiera, capite nel rapporto con Dio. L'intelligenza da sola può certamente fare molte cose, costruire sistemi di idee, ma sono sistemi che non corrispondono alla sapienza, hanno un effetto devastatore. Qualcuno ha detto che il mondo moderno è completamente disorientato perché gli sono state date idee cristiane impazzite. L'aspirazione alla verità, alla libertà, alla fraternità sono idee cristiane sono aspirazioni evangeliche ma se si cerca di soddisfarle prescindendo dal legame vivo con Dio il risultato è quello di mettere negli uomini una specie di febbre che impedisce di trovare il giusto equilibrio e spinge a tutti gli eccessi: ecco le rivoluzioni violente, i turbamenti continui...


Invece san Tommaso d'Aquino è sempre rimasto profondamente unito a Dio, ha pregato per ottenere quell'intelligenza vera, dinamica, equilibrata che proviene dal Creatore; per questo ha potuto accogliere anche idee pagane. Non ha avuto paura di studiare Aristotele e di cercare nelle sue opere luce per capire meglio il mondo creato da Dio. Lungi dall'essere propagatore di idee cristiane impazzite egli è anzi riuscito a rendere sapienti le idee pagane; è stato aperto in modo straordinario a tutta la creazione di Dio a tutte le idee umane proprio perché viveva intensamente il suo personale rapporto con Dio. "Mi conceda Dio di parlare secondo conoscenza e di pensare in modo degno dei doni ricevuti" dice il Libro della Sapienza (7, 15): il rapporto con Dio non rimpicciolisce il cuore, non rattrappisce l'intelligenza, anzi dà il gusto di penetrare in tutti gli splendori della creazione.


Nella Chiesa ci sono molte vocazioni. Alcuni sono chiamati ad insistere fino al paradosso sul rifiuto della sapienza umana; san Paolo per esempio ha dei passi addirittura violenti contro la filosofia: la sua vocazione era di insistere sul messaggio cristiano fino a farlo sembrare incompatibile con la filosofia umana. Altri come Tommaso d'Aquino hanno la vocazione di far vedere che tra loro è possibile una profonda conciliazione che avviene quando si è rinunciato all'autonomia umana per darsi tutto a Dio: si è completamente all'unisono con il Creatore ed egli ci mette profondamente in accordo con la creazione.

Domandiamo al Signore che apra il nostro spirito ad accogliere in pieno la sua luce in modo da poter attirare quelli che ne sono in ricerca; che siamo davvero anime viventi del rapporto con Dio e proprio per questo capaci di orientare verso tutte le ricchezze dell'universo.

(un grazie a www.lachiesa.it

Sal 18 e

Mt 5,13-19
Voi siete la luce del mondo


Nella festa di san Tommaso d'Aquino, che consacrò tutta la sua vita per la ricerca della conoscenza di Dio, rivolgiamoci al Padre, fonte della sapienza, pregando e dicendo:

Donaci, Signore, la tua sapienza.

- Perché la Chiesa metta sempre a profitto della ricerca di Dio le migliori risorse dell'ingegno umano e della fede illuminata dall'amore. Preghiamo:
- Perché i teologi, nel loro lavoro di comprensione e diffusione delle verità, siano guidati solo dall'amore di Dio e dalla fedeltà all'uomo. Preghiamo:
- Perché il popolo di Dio sostenga la propria fede, sapendo che è necessario conoscere di più, per capire di più, per credere di più. Preghiamo:
- Perché i catechisti della nostra parrocchia comprendano, credano, amino e testimonino quello che insegnano. Preghiamo:
- Perché qualsiasi annuncio di verità sia accompagnato dalla testimonianza e dalla santità della vita, che danno prova della efficace presenza di Cristo nel mondo. Preghiamo:
- Per l'istituto di teologia e di cultura religiosa della diocesi.
Per i seminatori delle nostre diocesi.


O Signore, che ci doni in san Tommaso d'Aquino un luminoso modello di sapienza e santità, esaudisci le nostre preghiere e fà che ogni ricerca umana sia sempre al servizio del tuo regno promesso. Per Cristo nostro Signore.
Amen.

Desidero condividervi una Lettera indirazzata al Laicato Domenicano per la Pasqua del 2003......sono certa che ognuno di voi la potrà fare propria.....specialmente quando ad un punto ci mette in condizione di confrontarci in senso POSITIVO e di santo stimolo nei confronti dei Protestanti.....[SM=g1740717]

 
Fraternamente Caterina

 
Possa la pace di Cristo Risorto essere con tutti voi e le vostre famiglie in questo periodo di gioia!


Come Famiglia di Predicatori, noi domenicani dobbiamo sapere cosa predichiamo, o meglio, a chi predichiamo. La Pasqua di Risurrezione celebra l'essenza della nostra fede cristiana, il centro del Vangelo, la pietra angolare della nostra predicazione, il kerygma che trasmettiamo, in altre parole: la Resurrezione di Cristo tra i morti. Come disse San Paolo: “Noi, infatti, non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore” (2 Corinzi 4:5) e “Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione”(1 Corinzi 15:14).


Noi domenicani preghiamo e studiamo in comunità con gli altri con uno scopo principale: la predicazione sacra! Spesso parliamo di questi quattro fattori, o dei "quattro pilastri", come se fossero uguali. Tuttavia, anche se sappiamo che questi devono essere in armonia ed avere un giusto equilibrio, la verità è che tutto si basa nella predicazione, il nostro dovere d’evangelizzazione, il nostro apostolato missionario di andare ad annunciare agli altri. La nostra esperienza e fede in Cristo ci spinge ad andare e annunciare la Buona Novella a tutti, proprio come Maria Maddalena fece con i discepoli (Giovanni 20:18), che poi andarono ad annunciare la Parola di Dio in tutto il mondo.
I domenicani, incluso i laici, sono e devono essere predicatori di Cristo Risorto.


Recentemente, insieme con Stefano Angeli (un laico domenicano che presta servizio come volontario nell’Ufficio del Laicato Domenicano a Roma) stiamo creando una nuova Fraternità di Laici Domenicani a Santa Sabina. Ora, con più di 30 candidati, dobbiamo rispondere a molte domande che sono comuni e necessarie per coloro che iniziano questo cammino: Chi sono i domenicani? Perché si chiama l’Ordine dei Predicatori? Come possono i laici essere predicatori? E noi rispondiamo nuovamente che tutto inizia ed è incentrato nella nostra fede in Cristo Risorto, che dobbiamo condividere con tutti! Far parte del progetto di predicazione della comunità domenicana è il nostro modo di compiere la promessa battesimale. È il nostro carisma che ci aiuta a diffondere la parola in tutti i modi e con tutti i mezzi possibili. Predicare è come invitare continuamente tutti ad una festa, al Banchetto della Luce di Cristo, affinché possano uscire dalle fredde tenebre e gioire!


Per molti anni ho avuto l’onore di studiare e lavorare con molti cristiani protestanti. Onestamente quello che mi meravigliava spesso dei miei amici protestanti era la serietà con cui prendevano il loro battesimo, con la convinzione che il loro dovere è quello di andare e predicare. Sebbene un certo tipo di predicazione protestante può spaventarci (e questo è vero anche per un certo tipo di predicazione cattolica) non possiamo che ammirare quei protestanti che credono fermamente che essere cristiani significa condividere la Buona Novella con gli altri. Dal punto di vista teologico, hanno ragione. Dovremmo auspicarci che tutti noi nell’Ordine dei Predicatori sentissimo quella stessa profonda necessità di predicare!


Il periodo pasquale è una buona opportunità per i laici domenicani di domandarsi nuovamente: Sto predicando il Cristo Risorto agli altri come un cristiano battezzato e un domenicano impegnato? A chi, come e quando? La predicazione sacra è l’essenza della nostra preghiera, studio e di tutta la comunità della Fraternità di Laici Domenicani? Quando predichiamo, chi annunciamo che è Cristo? Cosa predichiamo esattamente? Questi sono interrogativi fondamentali che devono trovare una risposta nel dialogo in tutte le Fraternità Laiche, sia si tratti della nuova creata a Santa Sabina, sia di quelle fondate centinaia di anni fa, come quella di Cordoba, in Argentina.


Infine, non dimenticate di pregare per una pace duratura e la riconciliazione in Iraq. Pregate specialmente per la Famiglia Domenicana irachena, che comprende più di 600 laici domenicani. Pregate anche per il futuro dei loro apostolati di predicazione. Ricordate che tutti noi abbiamo una famiglia in Iraq, la cui terribile esperienza di guerra ci chiede di assicurare loro che noi domenicani continuiamo a predicare il Cristo Risorto, che lo accompagna.


Come Gesù disse,
“Vi lascio la pace, vi do la mia pace.
Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.”
(Giovanni 14:26)


Fraternamente in S. Domenico e Sta. Caterina,
fr. Gerald Stookey, OP
Promotore Generale del Laicato Domenicano


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Visto che ho trovato molto interessante questo thread, ho pensato di citarlo inserendo una omelia di sant'Agostino che prelevo da questo sito:

 
che personalmente ho trovato molto affidabile per spiegare che cosa è la Sapienza, Scienza e fede, uniti alla Ragione e all'intelletto, quale dono di Dio per ampliare la conoscenza delle cose!
Con affetto, Antonella.

 
La conoscenza naturale di Dio secondo il Libro della Sapienza in un sermone agostiniano (430 ca.)

 

4. Quelli che attraverso le creature non conobbero il Creatore sono denunciati come colpevoli dal libro della Sapienza ove si dice: Presero per dei, governatori del mondo, la volta stellata del cielo, il sole, la luna [Sap 13, 2]. Di questi inoltre è detto che, sebbene siano preferibili a coloro che adorarono gli idoli, e reputarono dei le opere degli uomini e non quelle di Dio, tuttavia sono biasimati anch'essi tanto che si dice: neppure questi si devono perdonare [Sap 13, 8]. Sicuramente infatti a paragone di coloro che ritengono per dei le opere degli uomini, sono certo migliori quelli che credono dei le opere di Dio. Un idolo infatti è opera d'un artigiano, il sole invece è stato creato da Dio; a paragone di chi crede essere Dio l'opera d'un artigiano, è migliore chi crede Dio un'opera di Dio. Considerate tuttavia come sono dichiarati colpevoli anch'essi e come sono biasimati. D'altra parte nemmeno costoro sono degni di perdono – si dice –; se infatti furono capaci di possedere tanta scienza da rendersi conto dell'universo, come mai non trovarono più facilmente il Signore di esso? [Sap 13, 9]. Sono biasimati di aver speso il loro tempo, le loro occupazioni e le loro discussioni nello scrutare e in certo qual modo misurare il creato: indagarono il moto degli astri, la distanza tra le varie stelle, il percorso dei corpi celesti; in tal modo occupandosi di studi siffatti arrivarono a una tale conoscenza scientifica da predire le eclissi del sole e della luna, e quando le predicevano queste avvenivano nel giorno e nell'ora predetta, nella misura e nel punto dello spazio da loro preannunciati. Grande abilità! Grande capacità!

Ma quando si accinsero a cercar di conoscere il Creatore, che stava non lontano da loro, non riuscirono a trovarlo; se lo avessero trovato, lo avrebbero avuto in se stessi. Rassomigliano a chi, entrato in questo edificio, si mettesse a contar le colonne, a misurare quanti cubiti è lungo, a calcolare l'altezza del tetto, la larghezza del pavimento, lo spessore delle pareti, e di tutte queste misurazioni ti riferisse il numero che tu ignorassi: tu però sapresti tuttavia da chi è stato costruito l'edificio, mentre egli non lo saprebbe e, troppo disorientato riguardo alla realtà, non penserebbe che questo edificio possa essere stato innalzato da un uomo, ma riterrebbe che queste colonne, questo tetto, queste pareti siano venute su da sé, per forza e natura propria, senza l'opera d'un artefice.

Oppure attribuirebbe a qualche parte di quest'edificio tanta potenza da fargli pensare che tutte le altre parti siano state costruite da quella parte; supponiamo che tu gli dicessi: «Quest'edificio è stato edificato da un uomo», ed egli ti chiedesse: «Quale uomo? quando mai un uomo ha potuto costruire questo edificio? Tu vedi questo alto tetto? Ebbene è stato proprio esso a costruire tutte queste strutture che tu vedi sotto di esso!». Costui ti apparirebbe, non dico insensato, ma pazzo. E che cosa gli gioverebbe di calcolarti la misura di tutte le colonne e le parti di tutto l'edificio, e ti dicesse ciò che tu non sapessi? Se tu fossi una persona fornita d'una scienza migliore, sapresti chi è l'artefice di quest'edificio, poiché è più importante sapere che lo ha costruito un uomo, ch'è stato costruito secondo una disposizione razionale, da una mente fornita di ragione, che questa costruzione è stata realizzata secondo un piano che l'ha preceduta, anziché sapere di quanti cubiti sia una colonna o quante siano le colonne o quanto largo, il pavimento o il tetto.


5. Credo che la Carità vostra sappia distinguere queste specie di conoscenza. Poiché la conoscenza di qualcosa d'importante non sta nel fatto di sapere che l'edificio è stato costruito da un uomo, se lo si attribuisce proprio al corpo di un uomo. Saprai una cosa importante se saprai ch'è stata costruita con un disegno, da una mente razionale nella quale l'edificio stesso esisteva prima che fosse visto dagli occhi.

Prima infatti è stato fatto il disegno e poi è seguita l'esecuzione. È preceduto ciò che non avresti potuto vedere, affinché esistesse ciò che potessi vedere. Ora dunque vedi l'edificio, lodi il disegno: consideri ciò che vedi, lodi ciò che non vedi, e questo è perché ciò che non vedi è più importante di ciò che vedi. Con tutta ragione dunque e a titolo del tutto giusto sono biasimati coloro che poterono indagare i moti regolari degli astri, gli intervalli dei tempi, conoscere e predire le eclissi dei corpi celesti: a giusto titolo sono biasimati, poiché non trovarono Colui dal quale queste cose sono state create e sottoposte a un ordine, poiché trascurarono di cercarlo.

Tu invece non ti preoccupare molto se ignori il corso degli astri e i rapporti matematici dei corpi celesti e terrestri; guarda la bellezza del mondo e loda il disegno del Creatore; guarda ciò che ha fatto, ama Colui che l'ha fatto. Soprattutto tieni bene a mente questo avvertimento: ama colui che l'ha fatto, poiché ha fatto a sua immagine anche te stesso in modo che tu lo possa amare. Che c'è dunque di strano se a siffatti sapienti occupati nello studio delle creature, i quali per negligenza non vollero ricercarlo e non furono in grado di trovarlo, sono state nascoste le cose di cui Cristo ha detto: Hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti ? [Mt 11, 25]. Più sorprendente è ciò che sentirete, che cioè sono stati biasimati anche i sapienti e gli intelligenti che han potuto conoscerlo. L'ira di Dio – è detto – si manifesta dal cielo contro ogni atto di empietà e malvagità di quegli individui che, con la loro malvagità, soffocano la verità [Rm 1, 18].

Domandi forse quale verità soffocano con la loro malvagità? Poiché ciò che si può conoscere di Dio è visibile in essi [Rm 1, 19]. In che modo è manifesto? Continua e dice: Dio infatti l'ha manifestato ad essi . Chiedi ancora di sapere in che modo lo manifestò loro, pur non avendo dato loro la Legge ? In che modo, allora? In effetti sin dalla creazione del mondo le sue proprietà invisibili possono vedersi con l'intelligenza attraverso le cose da lui create [Rm 1, 20]. In questo modo dunque lo ha manifestato, perché dopo la creazione del mondo le sue proprietà invisibili possono vedersi con l'intelletto attraverso ciò ch'egli ha creato.


6. Altri, per trovare Dio, leggono un libro. È un gran libro la stessa bellezza del creato: guarda, considera, leggi il mondo superiore e quello inferiore. Dio non ha tracciato con l'inchiostro lettere per mezzo delle quali tu lo potessi conoscere. Davanti ai tuoi occhi ha posto ciò ch'egli ha creato. Perché cerchi una voce più forte? Grida verso di te il cielo e la terra: «Io sono opera di Dio». Tu leggi ciò che ha scritto Mosè. Ma che cosa lesse lo stesso Mosè, uomo destinato a vivere solo per qualche tempo, perché poi lo scrivesse? Considera con spirito di fede il cielo e la terra.

Ci sono stati dunque alcuni, non simili al servo di Dio Mosè, non simili a molti Profeti che contemplavano le cose create e le comprendevano con l'aiuto dello Spirito di Dio; lo Spirito da essi attinto con la fede, aspirato con la bocca del timor di Dio e che poi manifestano e comunicano con la bocca dell'uomo interiore, ma molto differenti da quegli altri; questi ultimi attraverso la creazione poterono giungere a capire il Creatore e, del creato fatto da Dio, dire: «Ecco ciò che ha creato, governa e conserva; lui, che le ha fatte, riempie con la sua presenza queste cose da lui create». Poterono dire così: infatti li ricorda l'apostolo Paolo negli Atti degli Apostoli ove, parlando di Dio, disse: In lui infatti noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo ; e, poiché parlava ad Atene, ove erano vissuti questi personaggi assai dotti, soggiunse: come hanno detto anche alcuni dei vostri [At 17, 28] [poeti].

Non è di poca importanza ciò che hanno detto, che cioè noi viviamo in Dio , in lui ci muoviamo ed esistiamo . Come mai dunque dissimili? Perché biasimati? Di che cosa giustamente accusati? Ascolta le parole dell'Apostolo che avevo cominciato a citare: L'ira di Dio – dice – si manifesta dal cielo contro ogni atto di empietà , naturalmente di coloro che non ricevettero la Legge ; contro ogni atto d'empietà e di malvagità di quegl'individui, i quali con la loro malvagità soffocano la verità. Quale verità? Poiché ciò che si può conoscere di Dio è manifesto in essi. Chi lo ha reso manifesto? Dio stesso lo ha manifestato loro . In qual modo lo ha manifestato? Da quando fu creato il mondo le proprietà invisibili di Dio, anche la sua eterna potenza e la sua natura divina possono vedersi con l'intelligenza attraverso le cose da lui create. Perché lo ha manifestato? Affinché gli uomini non abbiano alcun motivo di scusa . Se lo ha manifestato perché non abbiano alcun motivo di scusa, come mai sono dunque colpevoli? Perché, pur conoscendo Dio, non lo hanno glorificato come Dio . Che significa la tua affermazione: Non lo hanno glorificato come Dio ? Vuol dire che non gli hanno nemmeno reso grazie [Rm 1, 20-21].

Glorificare Dio è dunque ringraziare Dio. È proprio questo: che c'è infatti di peggio se, creato a immagine di Dio, sarai ingrato a Dio che hai conosciuto? Dar gloria a Dio significa insomma rendergli grazie. I fedeli sanno bene dove e quando si dice: Rendiamo grazie a Dio nostro Signore . Ma chi rende grazie al Signore se non chi ha il cuore in alto presso il Signore?


 

dal Discorso 68 (Sermo MAI 126, PLS 2,501-512), in “Opere di Sant'Agostino”, tr. it. di Luigi Carrozzi Città Nuova, Roma 1982, vol. XXX/1, pp. 365-369


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Caterina63
00mercoledì 25 marzo 2009 22:37

domenica 22 marzo 2009
quarta di Quaresima

                                  bacio-della-croce-colored.jpg

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:

«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
(dal Vangelo di Giovanni 3,14-21)

Quando guardiamo una croce, cosa vediamo? Possiamo trovarla quando entriamo in una chiesa oppure quando la scorgiamo sulla punta di un campanile tra le case. Possiamo vederla appesa al collo di un prete o di una suora o di un laico segno di appartenenza religiosa o semplice ornamento, oppure la vediamo appesa alle pareti di casa nostra o di qualche luogo pubblico.

Che messaggio ci dà quella figura di uomo appeso con i chiodi ai due legni incrociati?

La Quaresima è il tempo giusto per fermarsi a pensare un po’ di più davanti alla croce, per andare oltre le sue innumerevoli (non sempre appropriate) rappresentazioni, e arrivare così a farla entrare non solo negli occhi ma fino al cuore e alla vita.

Nicodemo va di notte da Gesù per chiederli una luce per la sua fede. La notte rappresenta bene il buio che c’è dentro questo fariseo, e che forse rappresenta anche la notte che abbiamo noi e nella quale è immerso il nostro mondo, pieno di luci artificiali ma povero di luci spirituali.
Gesù usa un’immagine presa direttamente dalla storia dell’Esodo, quando Mosè, su ordine di Dio, innalza un serpente di rame su un palo e questo diventa fonte di guarigione per tutti coloro che lo guardano dopo esser stati morsi dai serpenti velenosi. Con questa immagine Gesù parla di se, della sua storia e dell’evento che si compie alla fine della sua missione terrena e che ne è il culmine: la morte in croce e la sua resurrezione.
Gesù sulla croce è dunque punto di riferimento per chi cerca salvezza, pace, vita… Con la morte in croce di Gesù Dio ci comunica il suo amore definitivo per il mondo e che vuole salvarlo e non “fregarlo”. Quante volte abbiamo la tentazione di credere che la religione sia una sorta di “fregatura” della vita. La felicità vera sembra passare solo dalla liberazione da Dio.

Forse in un certo senso questo è vero. Il mondo non ha bisogno di un Dio che solamente regola, giudica e condanna (o premia, a seconda dell’obbedienza data). Questo non è certamente il Dio che Gesù, innalzato sulla croce, ci rivela.

La croce ci parla di una sofferenza che ha portato salvezza. E’ un segno positivo di cui il mondo, avvelenato dai morsi dei serpenti del male, ha bisogno per ritrovare speranza.
    Vorrei ricordare a questo proposito un personaggio che a suo modo ha creduto alla croce e sulla sua croce è salito, diventando segno di salvezza per molti che l’hanno conosciuto e non solo.

    15 anni fa, il 19 marzo 1994, don Giuseppe Diana, per tutti don Peppe o Peppino, veniva ucciso da 5 colpi di pistola in faccia per mano della Camorra, nel suo paese a Casal Del Principe (Caserta). Mi ricordo che a me, ordinato sacerdote da meno di un anno, quell’omicidio così brutale fece molta impressione. Don Peppino fu ucciso perché molto scomodo per i suoi conterranei camorristi. Parafrasando la storia di Mosè, don Diana credeva che solo puntando in alto ai valori del Vangelo, vissuto fino in fondo e senza sconti, c’era la reale possibilità di salvarsi dal veleno dei serpenti della camorra e di ogni forma di disonestà e violenza. Questo giovane sacerdote di 36 anni credeva talmente nella concretezza del Vangelo da esser pronto anche a rimetterci la vita.
     
    Quando fu ucciso mi domandai se mai io sarei stato capace di fare altrettanto, e se davvero credessi così tanto nella potenza salvifica di Gesù fino a non aver paura delle conseguenze. Don Giuseppe Diana non è l’unico martire del Vangelo. Ci sono tantissimi uomini e donne, preti, religiosi e laici, che hanno creduto così tanto alle parole di Gesù da trovare solo in lui la Salvezza, anche quando la morte, i rapimenti, la tortura o l’emarginazione a causa del Vangelo li hanno colpiti.
    Questi martiri non vanno cercati solo agli inizi della Chiesa ma anche nei tempi moderni, anche oggi.

    E anche noi, anch’io, possiamo diventare testimoni della croce di Cristo. Quando la guardo, ovunque essa sia esposta, mi ricorda una possibilità di salvezza per la vita. La croce è li per dirmi che se credo nel Vangelo, in quello che Gesù ha fatto e detto, allora la mia vita è salva e diventa guaritrice per tutti coloro che sono vicini a me.


Giovanni don [SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]

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Caterina63
00martedì 24 novembre 2009 15:18
Lettera ai Colossesi di san Paolo Apostolo
1
1Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, 2ai santi e fedeli fratelli in Cristo dimoranti in Colossi grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro!

3Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi, 4per le notizie ricevute della vostra fede in Cristo Gesù, e della carità che avete verso tutti i santi, 5in vista della speranza che vi attende nei cieli. Di questa speranza voi avete già udito l'annunzio dalla parola di verità del vangelo 6che è giunto a voi, come pure in tutto il mondo fruttifica e si sviluppa; così anche fra voi dal giorno in cui avete ascoltato e conosciuto la grazia di Dio nella verità, 7che avete appresa da Èpafra, nostro caro compagno nel ministero; egli ci supplisce come un fedele ministro di Cristo, 8e ci ha pure manifestato il vostro amore nello Spirito.

9Perciò anche noi, da quando abbiamo saputo questo, non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate una conoscenza piena della sua volontà con ogni sapienza e intelligenza spirituale, 10perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; 11rafforzandovi con ogni energia secondo la potenza della sua gloria, per poter essere forti e pazienti in tutto; 12ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce.

13È lui infatti che ci ha liberati
dal potere delle tenebre
e ci ha trasferiti
nel regno del suo Figlio diletto,
14per opera del quale abbiamo la redenzione,
la remissione dei peccati.

15Egli è immagine del Dio invisibile,
generato prima di ogni creatura;
16poiché per mezzo di lui
sono state create tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potestà.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
17Egli è prima di tutte le cose
e tutte sussistono in lui.
18Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa;
il principio, il primogenito di coloro
che risuscitano dai morti,
per ottenere il primato su tutte le cose.
19Perché piacque a Dio
di fare abitare in lui ogni pienezza
20e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose,
rappacificando con il sangue della sua croce,
cioè per mezzo di lui,
le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.

21E anche voi, che un tempo eravate stranieri e nemici con la mente intenta alle opere cattive che facevate, 22ora egli vi ha riconciliati per mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto: 23purché restiate fondati e fermi nella fede e non vi lasciate allontanare dalla speranza promessa nel vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunziato ad ogni creatura sotto il cielo e di cui io, Paolo, sono diventato ministro.

24Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. 25Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi di realizzare la sua parola, 26cioè il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi, 27ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi, speranza della gloria. 28È lui infatti che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo con ogni sapienza, per rendere ciascuno perfetto in Cristo. 29Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza.

2
1Voglio infatti che sappiate quale dura lotta io devo sostenere per voi, per quelli di Laodicèa e per tutti coloro che non mi hanno mai visto di persona, 2perché i loro cuori vengano consolati e così, strettamente congiunti nell'amore, essi acquistino in tutta la sua ricchezza la piena intelligenza, e giungano a penetrare nella perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo, 3nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza. 4Dico questo perché nessuno vi inganni con argomenti seducenti, 5perché, anche se sono lontano con il corpo, sono tra voi con lo spirito e gioisco al vedere la vostra condotta ordinata e la saldezza della vostra fede in Cristo.

6Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l'avete ricevuto, 7ben radicati e fondati in lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, abbondando nell'azione di grazie. 8Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo.

9È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, 10e voi avete in lui parte alla sua pienezza, di lui cioè che è il capo di ogni Principato e di ogni Potestà. 11In lui voi siete stati anche circoncisi, di una circoncisione però non fatta da mano di uomo, mediante la spogliazione del nostro corpo di carne, ma della vera circoncisione di Cristo. 12Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. 13Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti per i vostri peccati e per l'incirconcisione della vostra carne, perdonandoci tutti i peccati, 14annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce; 15avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo.

16Nessuno dunque vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni e a sabati: 17tutte cose queste che sono ombra delle future; ma la realtà invece è Cristo! 18Nessuno v'impedisca di conseguire il premio, compiacendosi in pratiche di poco conto e nella venerazione degli angeli, seguendo le proprie pretese visioni, gonfio di vano orgoglio nella sua mente carnale, 19senza essere stretto invece al capo, dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio.

20Se pertanto siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali 21"Non prendere, non gustare, non toccare"? 22Tutte cose destinate a scomparire con l'uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! 23Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne.

3
1Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; 2pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. 3Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! 4Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.

5Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, 6cose tutte che attirano l'ira di Dio su coloro che disobbediscono. 7Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi. 8Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. 9Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni 10e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. 11Qui non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti.

12Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; 13sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. 14Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. 15E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!

16La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. 17E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.

18Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore. 19Voi, mariti, amate le vostre mogli e non inaspritevi con esse. 20Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. 21Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino. 22Voi, servi, siate docili in tutto con i vostri padroni terreni; non servendo solo quando vi vedono, come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice e nel timore del Signore. 23Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, 24sapendo che come ricompensa riceverete dal Signore l'eredità. Servite a Cristo Signore. 25Chi commette ingiustizia infatti subirà le conseguenze del torto commesso, e non v'è parzialità per nessuno.

4
1Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo.

2Perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie. 3Pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della predicazione e possiamo annunziare il mistero di Cristo, per il quale mi trovo in catene: 4che possa davvero manifestarlo, parlandone come devo.

5Comportatevi saggiamente con quelli di fuori; approfittate di ogni occasione. 6Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno.

7Tutto quanto mi riguarda ve lo riferirà Tìchico, il caro fratello e ministro fedele, mio compagno nel servizio del Signore, 8che io mando a voi, perché conosciate le nostre condizioni e perché rechi conforto ai vostri cuori. 9Con lui verrà anche Onèsimo, il fedele e caro fratello, che è dei vostri. Essi vi informeranno su tutte le cose di qui.

10Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Bàrnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni - se verrà da voi, fategli buona accoglienza - 11e Gesù, chiamato Giusto. Di quelli venuti dalla circoncisione questi soli hanno collaborato con me per il regno di Dio e mi sono stati di consolazione. 12Vi saluta Èpafra, servo di Cristo Gesù, che è dei vostri, il quale non cessa di lottare per voi nelle sue preghiere, perché siate saldi, perfetti e aderenti a tutti i voleri di Dio. 13Gli rendo testimonianza che si impegna a fondo per voi, come per quelli di Laodicèa e di Geràpoli. 14Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema.

15Salutate i fratelli di Laodicèa e Ninfa con la comunità che si raduna nella sua casa. 16E quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi. 17Dite ad Archippo: "Considera il ministero che hai ricevuto nel Signore e vedi di compierlo bene".

18Il saluto è di mia propria mano, di me, Paolo. Ricordatevi delle mie catene. La grazia sia con voi.



Caterina63
00giovedì 26 novembre 2009 01:13

Cristo Re

di padre Giovanni Scalese

«Io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità».

Facciamo qualche difficoltà a cogliere il nesso logico fra la prima affermazione di Gesú («Io sono re») e la seconda («Sono venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità»). Solitamente, per noi, non esiste alcun rapporto fra regalità e testimonianza della verità. La regalità, la colleghiamo spontaneamente con il potere e la forza. La testimonianza della verità, invece, la associamo ad altre figure, come il profeta, il maestro, il martire... certo, non al re. Semmai, il compito dell’autorità, piuttosto che nella testimonianza della verità, lo individuiamo nell’edificazione dell’unità.

Eppure, Gesú ci dice che lui è re, perché è venuto a dare testimonianza alla verità. È vero, nel testo evangelico quel “perché” non c’è; ma, secondo le usuali regole di interpretazione, esso è chiaramente presupposto. Che cosa intende dire Gesú?

Gesú aveva appena affermato: «Il mio regno non è di questo mondo ... il mio regno non è di quaggiú». C’è una profonda differenza fra la regalità umana e quella di Gesú. È vero che la regalità terrena si identifica col potere; ma non è questo che la distingue dalla regalità di Gesú: anche a lui «furono dati potere, gloria e regno ... il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai». La differenza sta nel fondamento di tale potere: nel mondo, il piú delle volte, il potere si fonda sulla menzogna; è una mera manifestazione di forza. Comanda chi è piú forte: il potere, viene per lo piú preso e imposto con la forza. Per nascondere tale realtà, la si avvolge nella menzogna; e questa diventa cosí il fondamento del potere. È per questo che i tiranni temono la verità piú che la violenza: perché sanno che, se si dice la verità, il loro potere si sbriciola (alla violenza, invece, possono sempre opporre altra violenza). Ce lo insegna la storia, anche recente: regimi, che sembravano incrollabili, spazzati via, da un giorno all’altro, dalla forza inerme della verità...

Gesú è venuto nel mondo totalmente disarmato, nella piú assoluta debolezza: la sua sola forza stava nella verità: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità». Eppure, o meglio proprio per questo, «a me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra» (Mt 28:18). Il suo potere si fonda non sulla forza, ma sulla verità.[SM=g1740722] [SM=g1740721] 
Il potere, lui non lo prende con la violenza, ma gli viene concesso dall’alto. Il regno di Cristo non è di questo mondo, perché non è un regno che si fonda sulla forza delle armi, sull’oppressione, sulla menzogna, sull’ingiustizia; non è un regno che genera odio, sofferenza e morte, ma un «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace».


[SM=g1740722]
Caterina63
00giovedì 27 gennaio 2011 12:08
Quando le omelie dimenticano Cristo

Angelo Busetto
25-01-2011



Le omelie sono sempre di moda. Quarantamila ogni domenica, dicono. Moltiplicate per chissà quanti ascoltatori, danno un totale da capogiro. Da fare invidia a Gesù che, pressato dalla gente sulla riva del lago, sale sulla barca di Pietro dicendogli di scostarsi da riva per abbracciare con la voce tutto quell’anfiteatro di uomini, donne e bambini venuti ad ascoltarlo.

Ce le avessero davanti Gesù tutte le persone che di domenica in domenica siedono devotamente sui banchi delle chiese, intente ad ascoltare o in paziente attesa che il prete la smetta. “Cosa dice quello?”, pensa qualcuno. In realtà il Vangelo appena letto parla di barche e di pesci e di pescatori. Di uomini aitanti che "subito" mollano barca e reti e pesci e padre (e moglie, e amici, e osteria del paese) e si mettono a seguirlo. Quale riverbero rimane di questo avvenimento nelle parole dell’omelia?

I pazienti uditori sentono parlare di luce – ed effettivamente il popolo che era nelle tenebre ha visto una grande luce – ma, staccata dalla iniziativa di Gesù, è una luce fredda come quella dei neon. Altri celebranti  – del tutto lecitamente – dribblano il fatto del Vangelo per riprendere la seconda lettura che parla di divisioni nella Chiesa di Corinto, con i cristiani che dicono: «Io sono di Pietro, io di Paolo, io di Apollo…». Nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani il riferimento è opportuno. Ma si insiste così tanto nelle divisioni, che viene trafitta la speranza dell’unità. Peccato che l’episodio del Vangelo non serva a proclamare Colui che fa l’unità, il Signore Gesù mentre chiama persone diverse e contrapposte: vedi i santi della settimana in corso, il dolce san Francesco di Sales e il focoso san Paolo, i discepoli Tito e Timoteo e la contemplativa-attiva sant'Angela Merici, e il grande, vasto, profondo Tommaso d’Aquino, sapiente, teologo, santo.

Di altri "predicatori domenicali" non so. Forse qualcuno sarà andato "per campi", come si dice da noi, divagando nei moralismi social-politici dei quali la cronaca offre spunto. Qualche altro avrà spiluccato dentro il vuoto dei giornali e dei fatti della settimana, risultando à la page. Preziosa omelia quando annuncia il Vangelo! Chi ci darà un cuore amante di Cristo, una mente curiosa di conoscerlo, e soprattutto un’anima come quella di Tommaso d’Aquino il quale, dopo aver scritto con profondità inaudita sulle cose della fede e della vita, dice al confessore: «Tutto quello che ho scritto mi sembra un pugno di paglia in paragone con quello che ho visto e mi è stato rivelato».



Caterina63
00giovedì 17 febbraio 2011 10:49

Gesù ci chiede: MI LASCERESTI REGNARE DENTRO DI TE?


Di cosa abbiamo realmente paura?


Padre Cucci de “La Civiltà Cattolica” analizza la più antica delle emozioni umane


di Mariaelena Finessi


ROMA, giovedì, 17 febbraio 2011 (ZENIT.org).- «Presente in ogni comportamento, la paura è un’emozione che può condizionare  le nostre scelte ma, soprattutto, le nostre "non scelte"».  Docente di psicologia all’università Gregoriana, padre Giovanni Cucci così spiega la persistenza nell’era moderna di una delle più ataviche emozioni umane.

In un incontro pubblico tenuto sabato scorso presso la sede della Civiltà Cattolica a Roma, il gesuita sostiene che «la paura è il nome che diamo alla nostra incertezza ed ignoranza. E poiché non si può conoscere tutto, ecco allora che la paura non può essere estirpata». A nulla sembrerebbero servire allora gli antifurti, i metal detector, i satelliti artificiali, le porte blindate o le videocamere: «Tutto questo non ci rende più sicuri perché scienza e tecnologie sono strutturalmente incapaci di dare risposte alle paure dell’uomo». Il motivo è semplice: «La paura è frutto della fantasia, lavora sull’immaginazione, su ciò che potrebbe accadere».

Basti pensare, come scrive il filosofo polacco Zygmunt Bauman, che «in questi anni – soprattutto in Europa ed oltreoceano – la forte propensione alla paura e la maniacale ossessione per la sicurezza hanno fatto la più spettacolare delle carriere». Spesso a scapito proprio del benessere. La conferma è in uno studio londinese con il quale si sostiene che «corre di ammalarsi il doppio chi ha paura di essere attaccato o minacciato». Di più, la ricerca di un’eccessiva sicurezza ha delle ricadute a livello emotivo. E  la conseguenza, spesso, è la noia. «E cos’è la noia – si domanda padre Cucci - se non l’accidia che, spegnendo l’entusiasmo, porta a commettere le azioni peggiori?».

Lo stesso consumismo è legato alla prospettiva di assicurarsi il futuro. Pietro Bernardone, padre di San Francesco d’Assisi una volta disse: «Tutti gli uomini agiscono per paura. Io sono diventato ricco per paura di restare povero». Uno dei maggiori canali commerciali per vendere le notizie e l’ascolto, poi, sono ad esempio le malattie e il thriller che alimentano i circuiti dei bestseller: la morte si rifugge ma al tempo stesso crea morbosità. «Nel 1999 – ricorda il gesuita -  subito dopo lo strage di Denver, nonostante il 20% di crimini in meno, le news di nera nei media Usa erano aumentate del 600%». Quanto ai media, qui incriminati, essi non risparmiano categorizzazioni e in tv e sui giornali è facile sentir parlare di "folli", "disturbati" e "mostri". Classificazioni che ci rassicurano perché creano una netta cesura tra il buono e il male «mentre gli psichiatri si fanno garanti di questi pregiudizi».

Nella sua analisi sulle angosce da insicurezza Bauman evidenzia una sorta di paradosso, in virtù del quale se è vero che viviamo nelle più sicure delle società fino ad oggi esistite, è anche vero che «il viziato, coccolato "noi" si sente malsicuro, minacciato e  impaurito, più incline al panico». Al contrario, precisa Cucci «la stima in se stessi nasce, e si accresce, solo superando gli ostacoli». Il teologo domenicano Timothy Radcliffe sembra legare la questione allo stile di vita dell’Occidente, più ricco di quello dell’Africa «dove le persone - scrive ne "Il punto focale del Cristianesimo. Che cosa significa essere cristiani?" - sopportano pericoli terribili ogni giorno con calma e fiducia».

A ben vedere, comunque, per Cucci «la paura rimane invincibile finché ci si limita a considerarla dall’esterno, come un segnale di allarme di fronte ad un nemico visibile o nascosto, sempre pronto a colpire. Si tratta piuttosto di riconsiderare la dimensione interiore del pericolo». Il nemico, come aveva compreso la tradizione filosofica e spirituale, risiederebbe infatti non fuori ma dentro di noi, «ed è in quella sede che va riconosciuto, affrontato, sanato». Per questo, aggiunge, «solo un cammino religioso e spirituale è in grado di rassicurare il nostro cuore pauroso»  perché, ricorda, «la vita di ciascuno non è preda del caso o del prepotente di turno, ma si trova saldamente nelle mani di Dio».

Deleterio quando supera la soglia che ingegna invece a cercare soluzioni migliori, l’eccesso di timore impedisce di vivere in serenità. «Sono convinto che se c'è qualcosa da temere - così il presidente Usa, Franklin D. Roosevelt, nel discorso inaugurale del 4 marzo 1933 - è la paura stessa, il terrore sconosciuto, immotivato e ingiustificato che paralizza». E la paralisi colpisce anche l’intelligenza selettiva nella misura in cui non ci consente di distinguere il fondamentale dal secondario. Così facendo non vi sono più differenze e tutto è sullo stesso piano. Un modus vivendi «che è alla base del suicidio giovanile, per cui un evento banale viene letto come catastrofe».

«Anche in ambito religioso - aggiunge padre Cucci - la paura è un ostacolo potente perché si ricorda più di una buona predica». Così si ha più paura dei castighi che di una relazione, quello tra l’uomo e Dio, che è di amore-affetto. È ciò che avviene con il cosiddetto "pensiero magico", quando nella elaborazione cognitiva manca una relazione causale tra soggetto e oggetto, «per cui, ad esempio, non appena un individuo si ammala si interroga  sconsolato su quale sia il male da lui commesso per fargli meritare una punizione tanto grande».

«Spesso anche nel predicatore si evince più la paura della morte in croce che il mistero celebrato. Ad esempio Martin Lutero nella predica del Venerdì Santo racconta di una collera così grande che non poteva essere placata se non con la morte del Figlio».  Un Dio, diranno altri, che si fa carnefice di Gesù mentre lo storico francese Jean Delumeau nel libro "Il peccato e la paura. L'idea di colpa in Occidente dal XII al XVIII secolo" racconta la "pastorale della paura", ossia una pervasiva pedagogia attuata dalle prediche, dall'iconografia macabra che sommata ad una serie di calamità e orrori bellici che caratterizzarono quei secoli dovettero apparire altrettante punizioni in cerca di una colpa.

«Ma anche qui si è giunti ad un paradosso - spiega il gesuita -, perché approdando al definitivo silenzio sul peccato e il castigo si arriverà pure alla scristianizzazione dell’Europa». Non bastano i riti per poter conservare la fede: nel Vangelo è infatti stigmatizzata la categoria del fariseo per il quale alcuni comportamenti sacramentali assicurerebbero la serenità. «In realtà si è dinanzi ad una morte spirituale, la tendenza è di ridurre il rapporto con Dio ad un livello "legale" ("non rubare", "non uccidere", ecc.)». Quando la nuvola si abbassa, e si smarrisce l'orizzonte, maggiore è il timore, «sentimento che unito alla sfiducia erano, per Gesù, i veri nemici dell'uomo: ricorrenti infatti, nelle pagine bibliche, le incitazioni a "non temere". Appunto, a "non avere paura"».

Si badi bene, avverte però Cucci, che «l’assenza di paura è presunzione, non è coraggio. Solo lo  psicopatico si espone a situazioni mortali. Il coraggio, al contrario, è l'analisi, la valutazione ponderata del rischio, la "fortezza della mente" come lo chiamava San Tommaso». Essere coraggiosi vuol dire mettere in conto il rischio di morire,  in assoluto la più grande paura dell’uomo, più acuta quando ci si sente o si è soli. È vero allora, come dice Don Abbondio, che il coraggio non è che uno se lo può dare «ma ci si può sostenere a vicenda, con fiducia, la stessa che il bimbo nutre per la mamma» perché ad impedire all'uomo di vivere una vita piena «è la paura della fragilità che non si vuole accettare e - conclude padre Giovanni Cucci - l'intimità che non si vuole condividere».


Caterina63
00domenica 22 maggio 2011 23:45
LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CÆLI, 22.05.2011

Alle ore 12 di oggi, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare il Regina Cæli con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:

                                              Pope Benedict XVI waves to faithfuls from the window of his apartment during his Sunday Angelus prayer in St. Peter's square at the Vatican on May 22, 2011.

PRIMA DEL REGINA CÆLI

Cari fratelli e sorelle!

Il Vangelo dell’odierna domenica, la Quinta di Pasqua, propone un duplice comandamento sulla fede: credere in Dio e credere in Gesù. Il Signore, infatti, dice ai suoi discepoli: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1).

Non sono due atti separati, ma un unico atto di fede, la piena adesione alla salvezza operata da Dio Padre mediante il suo Figlio Unigenito. Il Nuovo Testamento ha posto fine all’invisibilità del Padre. Dio ha mostrato il suo volto, come conferma la risposta di Gesù all’apostolo Filippo: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9).

Il Figlio di Dio, con la sua incarnazione, morte e risurrezione, ci ha liberati dalla schiavitù del peccato per donarci la libertà dei figli di Dio e ci ha fatto conoscere il volto di Dio che è amore: Dio si può vedere, è visibile in Cristo.

Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6: Opere Complete, Milano 1998, 1001). Quindi solo credendo in Cristo, rimanendo uniti a Lui, i discepoli, tra i quali siamo anche noi, possono continuare la sua azione permanente nella storia: «In verità, in verità io vi dico – dice il Signore –: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio» (Gv 14,12).

La fede in Gesù comporta seguirlo quotidianamente, nelle semplici azioni che compongono la nostra giornata. «È proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell’umanità la sua storia. Diventa uomo ma in modo da poter essere ignorato dai contemporanei, dalle forze autorevoli della storia. Patisce e muore e, come Risorto, vuole arrivare all’umanità soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta. Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di "vedere"» (Gesù di Nazareth II, 2011, 306).

Sant’Agostino afferma che «era necessario che Gesù dicesse: "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6), perché una volta conosciuta la via, restava da conoscere la meta» (Tractatus in Ioh., 69, 2: CCL 36, 500), e la meta è il Padre. Per i cristiani, per ciascuno di noi, dunque, la Via al Padre è lasciarsi guidare da Gesù, dalla sua parola di Verità, e accogliere il dono della sua Vita.
Facciamo nostro l’invito di San Bonaventura: «Apri dunque gli occhi, tendi l’orecchio spirituale, apri le tue labbra e disponi il tuo cuore, perché tu possa in tutte le creature vedere, ascoltare, lodare, amare, venerare, glorificare, onorare il tuo Dio» (Itinerarium mentis in Deum, I, 15).

Cari amici, l’impegno di annunciare Gesù Cristo, "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6), costituisce il compito principale della Chiesa. Invochiamo la Vergine Maria perché assista sempre i Pastori e quanti nei diversi ministeri annunciano il lieto Messaggio di salvezza, affinché la Parola di Dio si diffonda e il numero dei discepoli si moltiplichi (cfr At 6,7).

DOPO IL REGINA CÆLI

Cari fratelli e sorelle!

Mi unisco alla gioia della Chiesa in Portogallo, per la beatificazione di Madre Maria Chiara di Gesù Bambino, avvenuta ieri a Lisbona; e a quella in Brasile, dove oggi, a Salvador Bahia, viene proclamata beata Suor Dulce Lopes Pontes. Due donne consacrate, in Istituti posti entrambi sotto la protezione di Maria Immacolata. Siano lodati il Signore e la sua santa Madre!



Rivolgo il mio cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai numerosi cresimandi della Diocesi di Genova, guidati dal Cardinale Bagnasco.

Un pensiero va poi al folto gruppo del Movimento per la Vita: cari amici, mi congratulo con voi, in particolare per l’impegno con cui aiutate le donne che affrontano gravidanze difficili, i fidanzati e i coniugi che desiderano una procreazione responsabile; così voi operate concretamente per la cultura della vita. Chiedo al Signore che, grazie anche al vostro contributo, il "sì alla vita" sia motivo di unità in Italia e in ogni Paese del mondo.

Benedico i bambini accompagnati dall’UNITALSI, i quali superando i disagi della malattia si fanno testimoni di pace. Incoraggio i malati e i volontari presenti in occasione della Settimana nazionale della sclerosi multipla. Saluto i membri dell’Istituzione Teresiana, nel centenario dell’Associazione; i fedeli provenienti da Saiano, da Montegranaro e da alcune parrocchie di Roma; le scolaresche di Verona e i ragazzi di Torano Nuovo. A tutti auguro una buona domenica.



Caterina63
00mercoledì 3 agosto 2011 22:57

Oltre l’orgoglio umano: per la regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo


Le ideologie politico-sociali come il liberalismo, il socialismo, il comunismo, il nazionalismo, il totalitarismo, ecc., derivano da quell’empio ed assurdo principio chiamato naturalismo, secondo il quale:

"l’ottima regione della pubblica società e il civile progresso richiedono che la società umana si costituisca e si governi senza avere alcun riguardo per la religione, come se questa non esistesse o almeno senza fare alcuna differenza tra la vera e le false religioni". […] Ma chi non vede e non sente pienamente che una società di uomini sciolta dai vincoli della religione e della vera giustizia non può avere altro proposito fuorché lo scopo di acquisire e di accumulare ricchezze, e non può seguire nelle sue operazioni altra legge fuorché un’indomita cupidigia di servire alle proprie voluttà e comodità?
(PIO IX, Lettera Enciclica, Quanta cura, 1868)

I filosofi propagatori di queste ideologie vollero che la religione cristiana fosse

uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all'arbitrio dei principi e dei magistrati. […] vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell'irreligione e nel disprezzo di Dio stesso.
(PIO XI, Lettera Enciclica, Quas primas, 1925)


In tal modo appare chiaro che le più grandi nefandezze compiute dalle ideologie sopra citate, non siano imputabili ad altri se non al laicismo di cui si sono fatte portatrici. Per questo una volta giunte al potere tali ideologie si sono rese responsabili di pessimi frutti:

i semi cioè della discordia sparsi dappertutto; accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili […], insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina.
(PIO XI, Lettera Enciclica, Quas primas, 1925)

Dunque per cambiare veramente la realtà occorre slegarsi dall’orgoglio umano, dal materialismo, e avere il coraggio di tornare a volgere lo sguardo verso il cielo, verso Dio, poiché

non è forse quella cupidigia dei beni terreni, che il Poeta pagano chiamava già con giusto sdegno «esecranda fame dell’oro»; non è forse quel sordido egoismo, che troppo spesso presiede alle mutue relazioni individuali e sociali; non è insomma la cupidigia, qualunque ne sia la specie e la forma, quella che ha trascinato il mondo all’estremo che tutti vediamo e tutti deploriamo? Dalla cupidigia, infatti, proviene la mutua diffidenza, che inaridisce ogni commercio umano; dalla cupidigia, l’esosa invidia che fa considerare come proprio danno ogni vantaggio altrui; dalla cupidigia, il gretto individualismo che tutto ordina e subordina al proprio vantaggio, senza badare agli altri, anzi conculcando crudelmente ogni diritto altrui. Di qui il disordine e lo squilibrio ingiusto, per cui si vedono le ricchezze delle nazioni accumulate nelle mani di pochissimi privati, che regolano a loro capriccio il mercato mondiale, con danno immenso delle masse. […] Se questo stesso egoismo […] si insinua nelle relazioni tra popolo e popolo, non vi è eccesso che non sembri giustificato; e quello che tra individui sarebbe da tutti giudicato riprovevole, viene considerato ormai come lecito e degno d’encomio se si compie in nome di tale esagerato nazionalismo. Alla grande legge dell’amore e della fraternità umana, che abbraccia tutte le genti e tutti i popoli in una sola famiglia con un solo Padre che sta nei cieli, subentra l’odio che spinge tutti alla rovina. Nella vita pubblica si calpestano i sacri princìpi che erano la guida di ogni convivenza sociale; vengono manomessi i solidi fondamenti del diritto e della fedeltà su cui dovrebbe basarsi lo Stato; sono violate e chiuse le sorgenti di quelle antiche tradizioni che nella fede in Dio e nella fedeltà alla sua legge vedevano le basi più sicure del vero progresso dei popoli. Approfittando di tanto disagio economico e di tanto disordine morale i nemici di ogni ordine sociale […] audacemente si adoperano a rompere ogni freno, a spezzare ogni vincolo di legge divina o umana, ad ingaggiare apertamente o in segreto la lotta più accanita contro la religione, contro Dio stesso, svolgendo il diabolico programma di schiantare dal cuore di tutti, perfino dei bambini, ogni sentimento religioso, poiché sanno molto bene che, tolta dal cuore dell’umanità la fede in Dio, essi potranno fare tutto quello che vorranno. E così vediamo oggi quello che mai si vide nella storia, spiegate cioè al vento senza ritegno le sataniche bandiere della guerra contro Dio e contro la religione in mezzo a tutti i popoli e in tutte le parti della terra. […] l’ateismo ha già pervaso larghe masse di popolo; con le sue organizzazioni si insinua anche nelle scuole popolari, si manifesta nei teatri, e per diffondersi si vale di proprie pellicole cinematografiche, […], della radio; con tipografie proprie stampa opuscoli in tutte le lingue; promuove speciali esposizioni e pubblici cortei. Ha costituito propri partiti politici, proprie formazioni economiche e militari. Questo ateismo organizzato e militante lavora instancabilmente per mezzo dei suoi agitatori con conferenze e illustrazioni, con tutti i mezzi di propaganda occulta e manifesta in tutte le classi, in tutte le strade, in ogni sala, dando a questa sua nefasta operosità l’appoggio morale delle proprie Università e stringendo gl’incauti tra i vincoli potenti della sua forza organizzatrice. Al vedere tanta operosità posta al servizio di una causa così iniqua, Ci viene davvero spontaneo alla mente e al labbro il mesto lamento di Cristo: «I figli di questo mondo sono nel loro genere più scaltri dei figli della luce» […] E le società segrete, che sono sempre pronte ad appoggiare la lotta contro Dio e contro la Chiesa da qualunque parte venga, non mancano di rinfocolare sempre più questo odio insano che non può dare né la pace, né la felicità ad alcuna classe sociale, ma condurrà certamente tutte le nazioni alla rovina.
(PIO XI, Lettera Enciclica, Caritate Christi Compulsi, 1932)

Nel XXI secolo queste analisi sono quanto mai attuali e ci spingono sempre di più a scavare nella tradizione della dottrina sociale della Chiesa per scoprire un tesoro da utilizzare e da «spendere» anche ai giorni nostri, per migliorare l’odierno quadro politico-sociale che, dopo tanti anni di presunti progressi, ripresenta gli stessi problemi. E infatti il panorama politico odierno non è altro che la riproposizione, con abiti rinnovati, ma sempre gli stessi, di quelle ideologie condannate, per il bene dell’umanità, dai sommi pontefici, in primis il liberalismo che oggi è l’ideologia dominante, ma anche il socialismo, il nazionalismo, il comunismo, ecc. Di fronte a questo quadro politico desolante i cattolici fedeli alla tradizione della Chiesa non devono assecondare questo scempio morale, ma è opportuno che riscoprano la dottrina tradizionale della Chiesa per opporla allo sfacelo che giorno dopo giorno si consuma sotto i nostri occhi trascinando l’umanità verso le viscere della terra, impedendole di librarsi verso Dio. Quindi, urge innanzitutto ristabilire quell’incommensurabile patrimonio dell’uomo e di Dio chiamato societas christiana, ossia la vera nozione della civiltà umana, della umana Società, quale ce l’insegnano la ragione e la rivelazione per il tramite della Chiesa Magistra gentium. Essa è la societas perfecta dove tutto fa capo ordinatamente a Dio, primo principio e fine ultimo di ogni cosa, come una grande cattedrale gotica protesa verso l’alto. Reggitore di questa società non può essere altri che Gesù Cristo con la sua sociale regalità. Il principato del redentore riguarda tutti gli uomini, non i soli cattolici e cristiani, non solo gli individui ma le comunità, è quindi un regno universale, rivolto al genere umano nella sua totalità, infatti

sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Tuttavia, finché fu sulla terra si astenne completamente dall'esercitare tale potere, e come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane, così permise e permette che i possessori debitamente se ne servano. A questo proposito ben si adattano queste parole: «Non toglie il trono terreno Colui che dona il regno eterno dei cieli». Pertanto il dominio del nostro Redentore abbraccia tutti gli uomini, come affermano queste parole del Nostro Predecessore di immortale memoria  Leone XIII, che Noi qui facciamo Nostre: «L'impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni Ce li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo». Né v'è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli. È lui solo la fonte della salute privata e pubblica: «Né in alcun altro è salute, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale abbiamo da essere salvati», è lui solo l'autore della prosperità e della vera felicità sia per i singoli sia per gli Stati: «poiché il benessere della società non ha origine diversa da quello dell'uomo, la società non essendo altro che una concorde moltitudine di uomini». Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all'impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l'incolumità del loro potere, l'incremento e il progresso della patria. Difatti sono quanto mai adatte e opportune al momento attuale quelle parole che all'inizio del Nostro pontificato Noi scrivemmo circa il venir meno del principio di autorità e del rispetto alla pubblica potestà: «Allontanato, infatti — così lamentavamo — Gesù Cristo dalle leggi e dalla società, l'autorità appare senz'altro come derivata non da Dio ma dagli uomini, in maniera che anche il fondamento della medesima vacilla: tolta la causa prima, non v'è ragione per cui uno debba comandare e l'altro obbedire. Dal che è derivato un generale turbamento della società, la quale non poggia più sui suoi cardini naturali». Se invece gli uomini privatamente e in pubblico avranno riconosciuto la sovrana potestà di Cristo, necessariamente segnalati benefici di giusta libertà, di tranquilla disciplina e di pacifica concordia pervaderanno l'intero consorzio umano. La regale dignità di nostro Signore come rende in qualche modo sacra l'autorità umana dei principi e dei capi di Stato, così nobilita i doveri dei cittadini e la loro obbedienza. In questo senso l'Apostolo Paolo, inculcando alle spose e ai servi di rispettare Gesù Cristo nel loro rispettivo marito e padrone, ammoniva chiaramente che non dovessero obbedire ad essi come ad uomini ma in quanto tenevano le veci di Cristo, poiché sarebbe stato sconveniente che gli uomini, redenti da Cristo, servissero ad altri uomini: «Siete stati comperati a prezzo; non diventate servi degli uomini». Che se i principi e i magistrati legittimi saranno persuasi che si comanda non tanto per diritto proprio quanto per mandato del Re divino, si comprende facilmente che uso santo e sapiente essi faranno della loro autorità, e quale interesse del bene comune e della dignità dei sudditi prenderanno nel fare le leggi e nell'esigerne l'esecuzione. In tal modo, tolta ogni causa di sedizione, fiorirà e si consoliderà l'ordine e la tranquillità: ancorché, infatti, il cittadino riscontri nei principi e nei capi di Stato uomini simili a lui o per qualche ragione indegni e vituperevoli, non si sottrarrà tuttavia al loro comando qualora egli riconosca in essi l'immagine e l'autorità di Cristo Dio e Uomo. Per quello poi che si riferisce alla concordia e alla pace, è manifesto che quanto più vasto è il regno e più largamente abbraccia il genere umano, tanto più gli uomini diventano consapevoli di quel vincolo di fratellanza che li unisce. E questa consapevolezza come allontana e dissipa i frequenti conflitti, così ne addolcisce e ne diminuisce le amarezze. E se il regno di Cristo, come di diritto abbraccia tutti gli uomini, cosi di fatto veramente li abbracciasse, perché dovremmo disperare di quella pace che il Re pacifico portò in terra, quel Re diciamo che venne «per riconciliare tutte le cose, che non venne per farsi servire, ma per servire gli altri"» e che, pur essendo il Signore di tutti, si fece esempio di umiltà, e questa virtù principalmente inculcò insieme con la carità e disse inoltre: «II mio giogo è soave e il mio peso leggero?». Oh, di quale felicità potremmo godere se gli individui, le famiglie e la società si lasciassero governare da Cristo! «Allora veramente, per usare le parole che il Nostro Predecessore Leone XIII venticinque anni fa rivolgeva a tutti i Vescovi dell'orbe cattolico, si potrebbero risanare tante ferite, allora ogni diritto riacquisterebbe l'antica forza, tornerebbero i beni della pace, cadrebbero dalle mani le spade, quando tutti volentieri accettassero l'impero di Cristo, gli obbedissero, ed ogni lingua proclamasse che nostro Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre».
(PIO XI, Lettera Enciclica, Quas primas, 1925)

Per fare si che le ideologie scaturite dall’orgoglio umano e quindi pervase di errore non raggiungano le alte sfere del potere civile pervertendo la verità e la pace sociale

è necessario, dunque, che Egli regni nella mente dell'uomo, la quale con perfetta sottomissione, deve prestare fermo e costante assenso alle verità rivelate e alla dottrina di Cristo; che regni nella volontà, la quale deve obbedire alle leggi e ai precetti divini; che regni nel cuore, il quale meno apprezzando gli affetti naturali, deve amare Dio più d'ogni cosa e a Lui solo stare unito; che regni nel corpo e nelle membra, che, come strumenti, o al dire dell’Apostolo Paolo, come "armi di giustizia" offerte a Dio devono servire all'interna santità delle anime. Se coteste cose saranno proposte alla considerazione dei fedeli, essi più facilmente saranno spinti verso la perfezione.
(PIO XI, Lettera Enciclica, Quas primas, 1925)

Tali parole di speranza inducono a

dire con tutta verità che la Chiesa, a somiglianza di Cristo, passa attraverso i secoli «facendo del bene» a tutti. Non vi sarebbero né socialismo né comunismo se coloro che governavano i popoli non avessero disprezzato gli insegnamenti e i materni avvertimenti della Chiesa: essi invece hanno voluto, sulle basi del liberalismo e del laicismo, fabbricare altri edifici sociali, che sulle prime parevano potenti e grandiosi, ma ben presto si videro mancare di solidi fondamenti, e vanno miseramente crollando l’uno dopo l’altro, come deve crollare tutto ciò che non poggia sull’unica pietra angolare che è Gesù Cristo.
(PIO XI, Lettera Enciclica, Divini Redemptoris, 1937)

Per tutti questi motivi i cattolici devono impegnarsi politicamente con l'obiettivo di sostituire alla "sovranità del popolo" la "sovranità di Dio", ai "diritti umani" i "diritti di Dio" per ricostruire una società su basi divine, la sola e l'unica che possa garantire in modo autentico la verità, la giustizia, la pace e la libertà. In tal senso, la tradizionale dottrina sociale della Chiesa, fedele custode delle leggi eterne stabilite da Dio, può ancora dare un valido contributo alla rinascita della societas christiana che per secoli ha donato pace e concordia ai popoli europei. Certo, rispetto al passato molte cose sono cambiate, ma l'essenziale non è mutato, la fede non è mutata, le leggi eterne non sono mutate, dunque non bisogna avere paura di spalancare le porte a Cristo, poiché Egli è con noi fino alla fine dei tempi.

Caterina63
00sabato 21 gennaio 2012 09:02

[SM=g1740717] "Ecco l'agnello di Dio!" [SM=g1740720]


Le parole del Papa durante la preghiera dell'Angelus nella II.a domenica del Tempo Ordinario


CITTA' DEL VATICANO, domenica, 15 gennaio 2012

***

[Prima del'Angelus]

Cari fratelli e sorelle!

Nelle Letture bibliche di questa domenica – la seconda del Tempo Ordinario – emerge il tema della vocazione: nel Vangelo è la chiamata dei primi discepoli da parte di Gesù; nella prima Lettura è la chiamata del profeta Samuele. In entrambi i racconti risalta l’importanza della figura che svolge il ruolo di mediatore, aiutando le persone chiamate a riconoscere la voce di Dio e a seguirla. Nel caso di Samuele, si tratta di Eli, sacerdote del tempio di Silo, dove era custodita anticamente l’arca dell’alleanza, prima di essere trasportata a Gerusalemme. Una notte Samuele, che era ancora un ragazzo e fin da piccolo viveva al servizio del tempio, per tre volte di seguito si sentì chiamare nel sonno e corse da Eli. Ma non era lui a chiamarlo. Alla terza volta Eli capì, e disse a Samuele: Se ti chiamerà ancora, rispondi: "Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta" (1 Sam 3,9). Così avvenne, e da allora in poi Samuele imparò a riconoscere le parole di Dio e divenne suo fedele profeta. Nel caso dei discepoli di Gesù, la figura mediatrice è quella di Giovanni Battista. In effetti, Giovanni aveva una vasta cerchia di discepoli, e tra questi vi erano anche le due coppie di fratelli Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, pescatori della Galilea. Proprio a due di questi il Battista indicò Gesù, il giorno dopo il suo battesimo nel fiume Giordano. Lo indicò loro dicendo: "Ecco l’agnello di Dio!" (Gv 1,36), che equivaleva a dire: Ecco il Messia. E quei due seguirono Gesù, rimasero a lungo con Lui e si convinsero che era veramente il Cristo. Subito lo dissero agli altri, e così si formò il primo nucleo di quello che sarebbe diventato il collegio degli Apostoli.

Alla luce di questi due testi, vorrei sottolineare il ruolo decisivo della guida spirituale nel cammino di fede e, in particolare, nella risposta alla vocazione di speciale consacrazione per il servizio di Dio e del suo popolo. Già la stessa fede cristiana, di per sé, presuppone l’annuncio e la testimonianza: infatti essa consiste nell’adesione alla buona notizia che Gesù di Nazaret è morto e risorto, che è Dio. E così anche la chiamata a seguire Gesù più da vicino, rinunciando a formare una propria famiglia per dedicarsi alla grande famiglia della Chiesa, passa normalmente attraverso la testimonianza e la proposta di un "fratello maggiore", di solito un sacerdote. Questo senza dimenticare il ruolo fondamentale dei genitori, che con la loro fede genuina e gioiosa e il loro amore coniugale mostrano ai figli che è bello ed è possibile costruire tutta la vita sull’amore di Dio.

Cari amici, preghiamo la Vergine Maria per tutti gli educatori, specialmente i sacerdoti e i genitori, perché abbiano piena consapevolezza dell’importanza del loro ruolo spirituale, per favorire nei giovani, oltre alla crescita umana, la risposta alla chiamata di Dio, a dire: "Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta".

 

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