Guarda chi sei, Sacerdote!

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Caterina63
00giovedì 11 marzo 2010 13:05
Guarda! Guarda chi sei, Sacerdote!!
Sei l'Alter Christi!
E noi Laici abbiamo bisogno di Te!







Caterina63
00martedì 25 maggio 2010 18:39

Né eroi né nevrotici. Semplicemente, uomini

(bellissima riflessione postata da padre Giovanni Scalese sul blog senzapelisullalingua, che ci sentiamo di condividere...link raggiungibile dal titolo)

Mi sembra quanto mai opportuno riportare, in una mia traduzione, questa lettera, scritta da un missionario salesiano uruguayano al
New York Times (che naturalmente si è ben guardato dal pubblicarla). Potete trovare l’originale spagnolo nel blog
El Diario de Ima.


Caro fratello e sorella giornalista,

sono un semplice sacerdote cattolico. Mi sento felice e orgoglioso della mia vocazione. È da venti anni che vivo in Angola come missionario.

Mi fa molto soffrire che persone, che dovrebbero essere segnali dell’amore di Dio, diventino un pugnale nella vita degli innocenti. Non ci sono parole che giustifichino tali atti. Non c’è dubbio che la Chiesa non può stare se non affianco dei deboli e dei piú indifesi. Per cui tutte le misure prese per la protezione e la prevenzione della dignità dei bambini saranno sempre una priorità assoluta.

Vedo in molti mezzi di informazione, soprattutto sul vostro giornale, l’amplificazione di questo tema in una forma morbosa, indagando nei dettagli la vita di qualche sacerdote pedofilo. Cosí appare uno di una città degli USA degli anni Settanta, un altro in Australia degli anni Ottanta e cosí via, altri casi recenti... Certamente tutto riprovevole! Si vedono alcune presentazioni giornalistiche ponderate ed equilibrate, altre esagerate, piene di pregiudizi e che arrivano fino all’odio.

È curiosa la poca informazione e il disinteresse per migliaia e migliaia di sacerdoti che si consumano per milioni di bambini, per gli adolescenti e i piú sfavoriti nei quattro angoli del mondo! Penso che al vostro mezzo di informazione non interessi che io abbia dovuto trasportare, su strade minate, nell’anno 2002, molti bambini denutriti da Cangumbe a Lwena (Angola), giacché né il governo era disposto né le ONG erano autorizzate; che abbia dovuto seppellire decine di piccoli deceduti fra i profughi di guerra e quelli che son tornati; che abbiamo salvato la vita a migliaia di persone a Moxico, grazie all’unico posto medico in 90.000 kmq, cosí come con la distribuzione di alimenti e sementi; che in questi dieci anni abbiamo dato la possibilità di educazione e scuole a piú di 110.000 bambini... Non desta interesse che con altri sacerdoti abbiamo dovuto soccorrere la crisi umanitaria di circa 15.000 persone negli acquartieramenti della guerriglia, dopo la loro resa, perché non arrivavano gli alimenti del governo e dell’ONU. Non fa notizia che un sacerdote di 75 anni, Padre Roberto, durante le notti, percorra le vie di Luanda curando i “ragazzi di strada”, portandoli in una casa di accoglienza, perché si disintossichino della benzina; che dei sacerdoti alfabetizzino centinaia di carcerati; che altri, come Padre Stefano, tengano case di passaggio per i ragazzi picchiati, maltrattati e violentati o che cercano un rifugio. E neppure che Fra Maiato, con i suoi 80 anni, passi casa per casa confortando gli infermi e i disperati. Non fa notizia che piú di 60.000 dei 400.000 sacerdoti e religiosi abbiano lasciato la loro terra e la loro famiglia per servire i loro fratelli in un lebbrosario, in ospedali, campi di rifugiati, orfanotrofi per bambini accusati di maleficio o orfani di genitori morti di AIDS, in scuole per i piú poveri, in centri di formazione professionale, in centri di attenzione ai sieropositivi... e soprattutto, in parrocchie e missioni dando motivazioni alla gente per vivere e per amare.

Non fa notizia che il mio amico Padre Marcos Aurelio, per salvare alcuni giovani durante la guerra in Angola, li abbia trasportati da Kalulo a Dondo e, tornando alla sua missione, sia stato mitragliato lungo la strada; che Fratel Francisco, con cinque signore catechiste, per andare ad aiutare nelle aree rurali piú lontane, sia morto in un incidente stradale; che decine di missionari in Angola siano deceduti, per mancanza di soccorso sanitario, per una semplice malaria; che altri siano saltati in aria a causa di una mina, mentre andavano a visitare la loro gente. Nel cimitero di Kalulo ci sono le tombe dei primi sacerdoti che arrivarono nella regione... Nessuno supera i 40 anni.

Non fa notizia accompagnare la vita di un sacerdote “normale” giorno per giorno, nelle sue difficoltà e gioie, mentre, senza far rumore, consuma la sua vita a favore della comunità che serve.

La verità è che non cerchiamo di fare notizia, bensí di portare la Buona Notizia, quella notizia che, senza rumore, cominciò la notte di Pasqua. Fa piú rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Non pretendo di fare un’apologia della Chiesa e dei sacerdoti. Il sacerdote non è né un eroe né un nevrotico. È un semplice uomo, che con la sua umanità si sforza di seguire Gesú e servire i suoi fratelli. Ci sono miserie, povertà e fragilità, come in ogni essere umano; ma anche bellezza e bontà, come in ogni creatura...

Insistere in forma ossessiva e persecutoria su un tema, perdendo la visione d’insieme, crea in realtà caricature offensive del sacerdozio cattolico, nelle quali mi sento offeso.

Solo Le chiedo, amico giornalista, di cercare la Verità, il Bene e la Bellezza. Questo La farà nobile nella Sua professione.

In Cristo,

Padre Martín Lasarte, SDB


Rilevo, con un pizzico di amarezza, che una tale apologia non avrebbe dovuto farla un missionario... Ben vengano gli inviti alla penitenza, sempre necessari. Ma quando agli attacchi dei nemici della Chiesa si aggiungono i rimproveri, insistenti e pressoché esclusivi, dei propri Pastori, diciamo la verità, si finisce per sentirsi un po’ abbandonati. Quando, non solo sul New York Times ma anche nella Chiesa, sembrerebbe che tutte le attenzioni debbano concentrarsi esclusivamente su Padre Maciel, il Card. Groer e Don Cantini, beh diciamo pure che ci si sente un po’ scoraggiati. Ogni tanto, non dispiacerebbe sentire anche una parola di incoraggiamento.

Caterina63
00sabato 29 maggio 2010 13:43
CITTA’ DEL VATICANO - Anche il sacerdozio può essere un mestiere logorante psicologicamente e anche i preti possono vivere il 'burnout', la sindrome da stress che colpisce i lavori che comportano uno stretto contatto con persone bisognose di aiuto.

E' l'allarme lanciato dall'Arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras), il Cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, Presidente di ‘Caritas International’.

                                                   Maradiaga


"Se i preti non riescono a recuperare nella profondità del proprio sé individuale le energie necessarie, rischiano di entrare nel vortice delle cose da fare, fino a sentirsi stressati e svuotati emotivamente: è una sindrome che va al di là della singola stanchezza o dello specifico malessere, e può diventare una vera e propria nevrosi pastorale", afferma il noto porporato hondureno.

"Tutto questo, se non è equilibrato con una sana vita interiore, può far emergere un senso d'insicurezza o di inadeguatezza, oppure dalla paura di fallire o di sentirsi giudicati, perdendo così di vista il significato stesso del loro lavoro". Per questo, afferma Maradiaga, "occorre che alimentino una costante attenzione a se stessi, ai propri bisogni umani e psicologici.

Ma anche una costante attenzione a Colui che li chiama a farsi servi, Gesù buon Pastore, che conosce a tal punto le disponibilità e i limiti di ciascuno da poter rivolgere al momento opportuno l'invito salutare: Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un poco".


Caterina63
00venerdì 16 luglio 2010 14:01
CARI SACERDOTI, DIFENDETE LA PRESENZA DEL CROCEFISSO, LA PRESENZA DELLA CROCE.....

Dopo aver cacciato il coro troppo 'elitario', il parroco abolisce le processioni

Ma quando finiranno gli anni Settanta?

Dopo il coro della chiesa tocca all'abolizione delle processioni con le statue lungo le vie della frazione. E i fedeli insorgono in difesa delle tradizioni. Il parroco di Sant'Urbano, don Stefano Manni, dopo aver sciolto il coro perché proponeva canti troppo complicati durante le liturgie, qualche giorno fa ha comunicato alla comunità di voler eliminare 3 delle 7 processioni annuali. Quella di Sant'Urbano organizzata ogni 25 maggio e risalente al 1700, quella di San Giovanni Bosco in programma ogni anno il 31 gennaio e infine quella della Madonna del Carmelo, ormai prossima venerdì 16 luglio.
«Questa decisone - spiega don Stefano - deriva da una valutazione condivisa con i membri del consiglio pastorale e si basa sulla mia esperienza di 4 anni a capo della parrocchia, dove ho constato che queste 3 processioni sono poco partecipate dai fedeli. La celebrazione di queste feste religiose, comunque, non verrà eliminata ma si ridurrà a delle semplici messe». «Ritengo giusto "sfoltire" un po' il credo per non rimanere troppo legati a statue e devozioni del passato ormai non più partecipate. Ad esempio quella di San Giovanni Bosco che si basa su un tradizione orale e di cui non vi sono documenti scritti» dice don Stefano.
La decisone del parroco, però, ha suscitato parecchio scontento fra i residenti di Sant'Urbano che hanno deciso di rompere il silenzio mantenuto durante la vicenda del coro. «È più facile far cadere un paese che eliminare una tradizione - commenta Antonio Neri -. Le processioni fanno parte della nostra tradizione, soprattutto quella del patrono del paese. Sono occasioni di unione. Non ci sentiamo rappresentati dal consiglio pastorale perché tutti i membri sono stati scelti dal parroco e non dalla comunità». Aggiunge Rosanna Piana: «Non mi piace la decisone del parroco di eliminare le processioni. Anche se sono poche le persone che vi partecipano è giusto continuare a farle per loro. In questo modo sta disgregando la frazione. A partire dalla vicenda del coro. Molte persone se ne sono già andate in altre parrocchie». «Le processioni sono una delle tradizioni più belle - afferma Stefano Santuliana - e non è giusto privare il paese di qualcosa a cui è devoto ed affezionato».
Conclude Bepi Peron, l'anziano organista della frazione e membro dell'ex coro, che torna sulla vicenda dello scioglimento del gruppo: «Non sono stati i coristi, in sede di discussione, ad andarsene sbattendo la porta. Bensì il parroco. L'ex direttore del coro ha sempre scelto canti sulla base dei suggerimenti liturgici».

Fonte:
Il Giornale di Vicenza


Dello stesso pretonzolo, pubblichiamo questa letterina di protesta contro (eh sì!) il progetto del Comune di mettere una croce nella piazza del municipio:

In merito alla posa di una croce sul piazzale del municipio di Montecchio Maggiore sento il bisogno - essendo anche stato sollecitato ad intervenire al riguardo da più parti - di esprimere tre semplici considerazioni:
1) La croce se diventa simbolo solo di un'idea contro un'altra, di un modo di pensare contro un altro, perde totalmente di significato. Si impugna la croce - come si faceva ai tempi delle crociate - per darla sulla testa di quelli che non sono come noi. Mi pare allora che la croce posta davanti al municipio non c'entri nulla con le croci piantate dai nostri padri ai crocicchi delle strade, tra le nostre contrade, sui nostri colli. Non usiamo la croce per compiere semplici azioni politiche.

2) Prima di manifestare pubblicamente i nostri valori cristiani piantando croci, cerchiamo di viverli questi valori cristiani, magari accogliendo un po' di più quelle persone che, a causa della fame e della guerra, sono costrette a lasciare le proprie terre. Non dobbiamo dimenticare che sono poche le nostre famiglie che non hanno avuto, anche in un recente passato, parenti e amici emigrati all'estero per mancanza di lavoro e spinti dalla miseria. Abbiamo davvero la memoria corta.

3) Come cristiani praticanti e non solamente di facciata dobbiamo far sentire la nostra voce di disappunto quando la croce, segno distintivo della nostra appartenenza a Cristo, viene usata in maniera polemica contro le persone. Quando la croce viene usata così, essa non rappresenta più il patibolo sul quale è morto il Signore, ma solo due pali di legno messi insieme, come mi sembrano essere quelli posti fuori del nostro municipio.

Fonte: FB

                                                                                                 




Riflessione:
leggiamo dal sacerdote alcune aberrazioni gravissime:

La croce se diventa simbolo solo di un'idea contro un'altra  
 
3) Come cristiani praticanti e non solamente di facciata dobbiamo far sentire la nostra voce di disappunto quando la croce, segno distintivo della nostra appartenenza a Cristo, viene usata in maniera polemica contro le persone  
 
**********************  
 


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vorrei sapere, con le prove, quando il Crocifisso sia stato usato in "maniera polemica CONTRO LE PERSONE" Undecided  
L'ignoranza sulla nostra FEDE è lampante nelle parole di questo sacerdote, ragioniamo:  
 
1) Occorre fare differenza fra LA CROCE E IL CROCEFISSO.... con la Croce indubbiamente possiamo discuternee l'uso alle Crociate, usata quale SIMBOLO di una GIUSTA battaglia, quando infatti la Croce venne ancora usata nella IV Crociata che prese un altra direzione, il Papa condannò tale Crociata....  
 
2) LA CROCE VUOTA E' IL SIMBOLO CRISTIANO (ed è usata largamente infatti dal protestantesimo), IL CROCEFISSO E' IL SEGNO DELLA NOSTRA FEDE CATTOLICA sul quale la PERSONA RIPRODOTTA E' QUESTO SEGNO....un sacerdote che non specifichi queste differenze quando è interpellato proprio su questo, è preoccupante... Ergo: si vuole innalzare in piazza UNA CROCE VUOTA O UN CROCIFISSO? sul Crocefisso C'E' UNA PERSONA CHE NON E' UN SIMBOLO, MA E' VIVA ED E' DIO! sulla Croce vuota NO, ed esprimiamo IL SIMBOLO stesso DEL CROCEFISSO RISORTO....  
Se non si fa questa dovuta distinzione siamo all'IDOLATRIA del Crocefisso visto esclusivamente come SIMBOLO AL PARI DELLA CROCE VUOTA VOLENDO RIDIMENSIONARE VOLUTAMENTE LA MORTE DI CROCE, come di fatto è accaduto nella Messa: l'eliminazione del Calvario!  
 
3) far sentire la nostra voce di disappunto su che cosa dunque? Su UNA MENZOGNA? da quando IL CROCEFISSO viene usato CONTRO LE PERSONE? Non sarà forse ancora quel SENSO DI COLPA ingiustificato del "Mea Culpa" per le Crociate e che dunque hanno giustificato L'ELIMINAZIONE DEL CROCEFISSO DAGLI ALTARI?  
 
4) La Croce, IL CROCEFISSO è senza dubbio LO SCANDALO PER CHI NON CREDE.... un sacerdote che dice: " La croce se diventa simbolo solo di un'idea contro un'altra " dimentica lo scandalo che questo SEGNO E' CHIAMATO A DARE AL MONDO..... non si tratta certo di ingaggiare battaglie contro le persone, MA CONTRO LE IDEE DEL MONDO SULLA SORTE E SULLA VERITA' DELL'UOMO SI! La Croce, il Crocefisso E' SCANDALO!!  
 
Infine:  
senza dubbio il sacerdote HA RAGIONE quando mette in guardia dalla strumentalizzazione delle giunte comunali sull'uso di tale SEGNO e simbolo, ma la soluzione NON è vietarne la messa in piazza, quanto PREDICARE E SPIEGARE CATTOLICAMENTE E DOTTRINALMENTE IL SIGNIFICATO DI QUELLA PRESENZA....  
 
Oggi, davanti alle difficoltà, la più grande tentazione è quella di RIMUOVERE CIO' CHE NON SI E' PIU' CAPACI DI PREDICARE E SPIEGARE....l'ostacolo così diventa la Verità a vantaggio delle proprie opinioni e in nome di un pacifismo da 4 soldi!...  
 
Cari Sacerdoti, istruitevi dai Santi per spiegare le ragioni della nostra Fede, ma non arrampicatevi sui muri per seminare una falsa verità offuscando LA VERITA'... 
 
Embarassed


Altro spunto, dice questo sacerdote:  
 
2) Prima di manifestare pubblicamente i nostri valori cristiani piantando croci, cerchiamo di viverli questi valori cristiani, magari accogliendo un po' di più quelle persone che, a causa della fame e della guerra, sono costrette a lasciare le proprie terre. Non dobbiamo dimenticare che sono poche le nostre famiglie che non hanno avuto, anche in un recente passato, parenti e amici emigrati all'estero per mancanza di lavoro e spinti dalla miseria. Abbiamo davvero la memoria corta.  
 
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forse abbiamo la memoria corta, ma il Vangelo e san Paolo dice un altra cosa, dice di predicare nei momenti OPPORTUNI E INOPPORTUNI, ossia SEMPRE!  
Quest'altra TENTAZIONE di BARATTARE la nostra fede a causa dei nostri peccati, è una pastorale sbocciata dopo il Concilio....se i Santi del passato avessero dovuto aspettare che il loro gregge fosse sdiventato perfetto PRIMA....non avrebbero MAI predicato il Crocefisso!  
 
San Carlo Borromeo usando IL ROSARIO, spinse il popolo analfabeta e peccatore, A VENERARE IL CROCEFISSO, ad averne DAVANTI L'IMMAGINE proprio per correggersi dagli errori e dai difetti...  
Pertanto, barattare la presenza del Crocefisso in una piazza, ossia mettere la Croce SOLO DOPO...aver fatto, è fuorviante, non è GRATUITA', NON E' CARITA'....  
c'è invece questa tendenza a sostituire i segni e simboli con una presenza ESCLUTIVISTA CHE ALBERGHEREBBE DENTRO DI NOI, DUNQUE INVISIBILE, MA ATTIVISTA....  
Non si baratti la Croce con il NON fare di alcune persone che si dicono Cristiane....  
SI PIAZZI PRIMA LA CROCE, LA SI ACCOMPAGNI CON PREDICHE VERAMENTE CATTOLICHE e vedrà il prete i frutti come cadranno dal cielo!!  
Wink


P.S. 
ricordo a questo Sacerdote che la Croce o il Crocefisso sono per lui i segni distintivi  DELLA SUA IDENTITA' PRESBITERIALE.... 
non ricorra dunque alle strumentalizzazioni politiche per eliminarlo, ma si attivi perchè il significato autentico di QUESTA PRESENZA REGALE sia compreso da tutti
....









Caterina63
00lunedì 16 agosto 2010 17:37

Sacerdozio e paternità

Pubblichiamo (dal blog Messainlatino raggiungibile dal titolo) queste profonde riflessioni di Francesco Agnoli sul sacerdozio, che ci ha molto cortesemente segnalato lo stesso Autore.


Vi è un’analogia tra la figura del padre e quella del sacerdote (come tra madre e suora). Il padre di famiglia, sposandosi, rinuncia ad essere totalmente suo. Diviene della moglie, che si è scelto (almeno in parte), e dei figli, anch’essi solitamente voluti, cercati, ma creature che non saranno del tutto sue, perché libere ed uniche. Il sacerdote fa qualcosa di simile, ma in misura maggiore: sceglie di rinunciare totalmente a se stesso.

Non sceglierà i suoi superiori, né i suoi fedeli, né la sua dimora: tutto è lasciato alla Provvidenza, in una fiducia e in un abbandono totali. Il padre di famiglia porta su di sè alcuni pesi, alcune responsabilità. Sposandosi si lascia sempre qualcosa. Perché la vita familiare non va d'accordo con un "po'di tempo solo per me", con le "mie cose" e i "miei impegni", con la carriera ad ogni costo, con i viaggi e tante altre cosette che si possono fare quando si è scapoli…

Un padre deve donarsi alla sua famiglia ed alle sue esigenze. Una bellissima canzone per bimbi, “Mi scappa la pipì, papà”, potrebbe essere il suo manifesto: ricorda che il suo è un servizio, ai bisogni continui e imprevedibili dei figli. Il matrimonio cristiano è quindi anche sacrificio, per qualcosa di più grande; è obbedienza: alle circostanze, a quello che il coniuge o la realtà pongono ogni giorno sul cammino. Il padre di famiglia non può dire “io”, ma “noi”, e le sue decisioni sono, spesso, la semplice presa di coscienza di un dovere da compiere. Che, compiuto, gratifica e dà senso e gioia.

Analogamente il sacerdote lascia anch’egli qualcosa, per qualcosa di più grande: per "lasciarsi fare" da Dio, dalla Chiesa, dagli altri. La sua obbedienza deve essere assoluta, perché appartenere a Dio vuole dire non essere più di se stessi, in nulla, ma tutti di Cristo e del prossimo. Il sacerdote non ha una sua famiglia, una moglie con cui mangiare parlare, dormire; né dei figli, che lo salutino e bacino ogni sera, quando torna dal lavoro. Non ha neppure una casa, costruita come la vuole lui. Oggi è in una parrocchia, domani in un'altra. Oggi in una città, domani verrà spostato. Punti fermi, di quelli che hanno tutti, cui aggrapparsi, non ve ne sono. Egli è celibe, cioè votato al cielo, benché viva sulla terra. “E’ separato da tutto e unito a tutti”, come diceva Evagrio Pontico.

La sua verginità assomiglia alla castità del padre di famiglia, ma è molto di più. La verginità sacerdotale è come quella di Cristo: disposta a lasciare padre e madre, a rinunciare a moglie e figli, per avere figli spirituali, cui dare tutto, senza attendersi nulla, nella gratuità più completa. Una volta anziani, i sacerdoti finiscono spesso nella solitudine più nera: hanno servito tutti, ma non hanno qualcuno che li tenga con sé, un figlio che "restituisca" loro ciò che ha ricevuto. Ricordo quando andavo, da ragazzo, a trovarne alcuni in ospizio: quella loro solitudine mi spaventava, eppure vedevo in molti quella stessa forza che doveva averli accompagnati quando erano alla guida, cioè al servizio, delle loro comunità. Quando le loro vacanze erano quelle dei loro parrocchiani; i loro impegni erano quelli degli altri; quando ogni loro decisione veniva presa in base alle decisioni e alle esigenze degli altri.

La castità del padre di famiglia, come quella della madre, ovviamente, è la roccia su cui si costruisce una solida unità familiare: padre e madre non vogliono nulla, o quasi, per se stessi, ma tutto è, in loro, per amore, al servizio delle vite che hanno generato. Servire insieme è già una gioia e un perché... Ma quando un padre cessa di essere "servo", magari per un lavoro o un'altra donna; quando la sua castità è violata, allora si rompe tutto. Non ha più lo sguardo puro su coloro che gli sono stati affidati, ma solo su di sé e sui propri istinti, sui propri capricciosi desideri. Il matrimonio, e la fedeltà che vi è implicata, diviene per lui un limite, che non sopporta più. Persa la castità, l’uomo perde il controllo di sé, e finisce per dissiparsi, nell’illusione di ritrovarsi.

Analogamente il sacerdote è chiamato ad una verginità totale: altrimenti non potrebbe diventare padre spirituale, né materiale, di figli che non sono carnalmente suoi. Come avrebbero potuto, tanti sacerdoti della storia, creare ospedali, orfanotrofi, partire per le missioni in paesi lontani, sino alla morte, se non avessero abbracciato il celibato, se avessero avuto una famiglia loro, che gli avrebbe impedito di essere di tutti? Ma la verginità non è facile. E’ un vuoto vertiginoso che, per portare molto frutto, deve essere riempito: di Cristo, di preghiera, di santità. Allora risucchia e attrae, verso il Bene. Il sacerdote che è veramente vergine, nel corpo e nello spirito, è veramente padre: guarda ai suoi figli “adottivi” con una gratuità soprannaturale. Non in quanto suoi, ma in quanto anime immortali amate da Dio. Tutto proteso verso il loro bene.

Ecco perché i sacerdoti santi trasformano il mondo, così come i padri fedeli lo rendono migliore e più umano. Ma quando un sacerdote non colma più quel vuoto con Dio, finisce per riempirlo di stoppa: onori, carrierismo, clericalismo, superbia della mente (quanti teologi non vergini!), peccati carnali...In questo caso il sacerdote, tradendo Cristo, non lascia orfani due o tre figli, come un padre di famiglia fedifrago, ma molti di più, e spesso uccide in tanti il germe della fede che avrebbe dovuto coltivare.

Fonte: Il Foglio, 5/8/2010

Caterina63
00venerdì 3 settembre 2010 17:13

Lettera a un seminarista

Pubblichiamo la lettera aperta che ci invia (sul blog Messainlatino raggiungibile dal titolo) un cortese lettore, seminarista, indirizzata agli altri giovani leviti.


Spesso mi capita che per articoli, approfondimenti e studio personale, riprenda in mano vecchi e nuovi libri che trattano della spiritualità sacerdotale. Mi accorgo che sull’argomento non c’è che l’imbarazzo della scelta! Dai libri che parlano del sacerdote, a vere e proprie "guide" che ne delineano il profilo umano, culturale e psicologico. Da riflessioni di alti prelati a studi di luminari illustri.

Sul prete si è scritto sempre e tanto.
E per fortuna, visto che in questo preciso momento storico è la persona più studiata e analizzata. Purtroppo, poco si è scritto su colui che si prepara a essere prete: sul seminarista neppure una riga, mai! Poiché molti, allora, han cercato di parlare del sacro ministero, ho deciso anch’io, da chiamato al presbiterato, di scrivere per te, seminarista, questa lettera, perché possiamo, insieme, comprendere maggiormente quello a cui siamo stati chiamati e che ci prepariamo a ricevere per mezzo dell’imposizione delle mani e della preghiera della Chiesa.

Sembra, comunque, bizzarro che un seminarista azzardi a stilare una lettera ad un suo "collega". Non sono degno di scriverti, infatti, questa missiva di carattere umano e spirituale. Lo faccio, quindi, malgrado la mia incapacità e la mia ignoranza, per l’amore che porto alla nostra chiamata e alla nostra futura missione. Sento nel cuore la necessità di parlarti da amico ma ancor più da fratello.

Sì, fratello! Giacché condividiamo non solo la stessa figliolanza divina ma anche la stessa chiamata a essere "padri", poiché rigenereremo quotidianamente la comunità cristiana, con la parola e i Sacramenti, alla vita nuova di Colui che ci ha chiamato a servirlo nei suoi fratelli. Dio, nella sua grande sollecitudine paterna, ci darà una grazia straordinariamente preziosa: essere pastori e guide del suo popolo! […]

Carissimo amico e fratello, ho voluto inviarti questa lettera spirituale, io che sono l'ultimo dei chiamati, l'ultima indegna e insufficiente persona che Dio, nella Sua amabilissima bontà, poteva scegliere per questo compito così tanto alto e gravoso! Mi accorgo, però, che Egli, chiamandomi a essere prete, ha fatto la cosa più bella per cui non terminerò mai di ringraziarlo.
 
Quello che ho scritto in questa lettera è rivolto anzitutto a me, che mi preparo, nello studio e nella preghiera, a essere sacerdote misericordioso e fedele! Ho voluto indirizzare questi pensieri a te che condividi con me questa medesima chiamata, come fraterna esortazione a fare sempre e meglio, per rendere questa nostra amata Chiesa ancor più bella! ''Madre de' Santi, immagine della città superna. Del Sangue incorruttibile conservatrice eterna (La Pentecoste, Manzoni )''.

Ritengo di aver omesso il più e di aver detto male ciò, che magari, più semplicemente si poteva dire molto meglio. C’è un personale incoraggiamento, malgrado: fondamentale non è che uno scriva del prete o sul prete, ma che molti, come i preti, scelgano di servire il Risorto nel volto quotidiano dei fratelli. E, coincidenza, nonostante tutto, questo avviene ancora nel mondo e in questa nostra amata Chiesa.
 Ti affido al Sacratissimo Cuore di Gesù, modello e stile per ogni chiamato.

Ora pro me ut saluetur anima mea de inferno!





Caterina63
00martedì 9 novembre 2010 17:45

Il passo della lettera  riportato nel post precedente è qui postato ora integralmente:



Lettera a un seminarista

di Andrea Maniglia

CITTA’ DEL VATICANO -

"[…] Tuttavia, io sento in me altre vocazioni, sento la vocazione del guerriero, del sacerdote, dell’apostolo, del dottore, del martire … Sento la vocazione del sacerdote. Con quale amore, Gesù, ti porterei nelle mie mani quando, alla mia voce, discenderesti dal Cielo! Con quale amore ti darei alle anime! Ma, pur desiderando di essere sacerdote, ammiro e invidio l’umiltà di San Francesco d’Assisi, e sento la vocazione d’imitarlo, rifiutando la dignità sublime del sacerdozio" (Santa Teresa di Lisieux, Storia di un anima). Spesso mi capita che per articoli, approfondimenti e studio personale, riprenda in mano vecchi e nuovi libri che trattano della spiritualità sacerdotale. Mi accorgo che sull’argomento non c’è che l’imbarazzo della scelta! Dai libri che parlano del sacerdote, a vere e proprie "guide" che ne delineano il profilo umano, culturale e psicologico. Da riflessioni di alti prelati a studi di luminari illustri. Sul prete si è scritto sempre e tanto. E per fortuna, visto che in questo preciso momento storico è la persona più studiata e analizzata. Purtroppo, poco si è scritto su colui che si prepara a essere prete: sul seminarista neppure una riga, mai! Poiché molti, allora, han cercato di parlare del sacro ministero, ho deciso anch’io, da chiamato al presbiterato, di scrivere per te, seminarista, questa lettera, perché possiamo, insieme, comprendere maggiormente quello a cui siamo stati chiamati e che ci prepariamo a ricevere per mezzo dell’imposizione delle mani e della preghiera della Chiesa. Sembra, comunque, bizzarro che un seminarista azzardi a stilare una lettera ad un suo "collega". Non sono degno di scriverti, infatti, questa missiva di carattere umano e spirituale. Lo faccio, quindi, malgrado la mia incapacità e la mia ignoranza, per l’amore che porto alla nostra chiamata e alla nostra futura missione. Sento nel cuore la necessità di parlarti da amico ma ancor più da fratello. Sì, fratello! Giacché condividiamo non solo la stessa figliolanza divina ma anche la stessa chiamata a essere "padri", poiché rigenereremo quotidianamente la comunità cristiana, con la parola e i Sacramenti, alla vita nuova di Colui che ci ha chiamato a servirlo nei suoi fratelli. Dio, nella sua grande sollecitudine paterna, ci darà una grazia straordinariamente preziosa: essere pastori e guide del suo popolo!

Chiamati a essere Santi

“Mettiamo dunque in pratica la volontà del Padre, ascoltiamo il Logos e imbeviamoci del salvifico stile di vita del nostro Salvatore, noi fanciulli del Padre buono e pupilli del buon Pedagogo. Ungiamoci con il sempre fresco e incorrotto crisma che dà serenità e profumo, adoperandoci fin da quaggiù a vivere una vita celeste, tramite cui divinizzarci: prendiamo lo stile di vita del Signore e seguiamo le orme di Dio. A lui solo dobbiamo rivolgere lo sguardo, poiché egli si prende cura di come la vita dell’uomo possa diventare più sana. Ma egli ci dispone anche a una vita autosufficiente, sgombra di cose superflue; per prepararci alla vita eterna beata, ci dispone ad una vita di pellegrini, facile da condurre e facile da lasciare, insegnandoci che ognuno di noi è per se stesso la propria cassa delle provviste”.

(da Il Pedagogo, Clemente Alessandrino). Spesso, sicuramente avrai ripetuto nel tuo cuore: "Devo diventare un prete santo!" Come è vero! Come è straordinariamente vero! Sì, dobbiamo essere santi, altrimenti le sue pecorelle ci sfuggiranno e in gran numero si perderanno! Le parole e le opere di un prete santo colpiscono, commuovono, trafiggono in modo insolito le anime e le rinnovano in modo straordinario. Nella quotidiana pastorale la scienza è un aiuto, i talenti sono necessari, ma senza la santità saremo più o meno “bronzo che risuona e cembalo che tintinna (I Cor. 13,1)”. Nonostante la scienza e i talenti, cerchiamo di essere prima di tutto uomini di preghiera! Uomini che si fidano di Dio, che viaggiano nel mondo in un clima di fiducia completa e totale in Colui che può ogni cosa! Una volta, il Servo di Dio Papa Paolo VI scrisse al giornalista e scrittore Giuseppe Prezzolini per chiedergli un consiglio su come "entrare in dialogo con i lontani". Ebbe questa risposta: "Gli uomini di Chiesa devono essere buoni e mirare a uno scopo soltanto: creare uomini buoni. Non c’è nulla che attiri come la bontà, perché di nulla noi increduli siamo tanto privi. Di gente intelligente il mondo è pieno, quel che ci manca è la gente buona. Formarla è il compito della Chiesa: per riattrarre gli uomini al Vangelo, tutto il resto è secondario". Prezzolini parla degli uomini di Chiesa come di "gente buona"; io aggiungerei accanto al termine ‘buona’, la parola santa. Gente buona e santa! Che profumi di Vangelo! Che profumi di Cristo! "Il mondo contemporaneo - ha segnalato Paolo VI - ha bisogno non solo di maestri ma anche di testimoni". Ha bisogno di testimoni santi! Il cuore dell’uomo oggi necessita di profeti e di testimoni forti e credibili che annuncino Cristo e il suo Vangelo per dare senso pieno all'esistenza. Santità e apostolato, dunque, camminano insieme! Sicché se manca una o l’altro ne risentono entrambi. Per essere santi però urge necessariamente essere umili.
 
L’atteggiamento giusto, a parer mio, è quello del patriarca Abramo che dinnanzi alla potenza di Dio si riconosce "polvere e cenere" (Gen. 18,27). Dobbiamo sentirci infinitamente piccoli, infinitamente bisognosi della tenerezza di Dio, che è attento al giglio e al passero campestre (Matteo 6,25-34). "Quando io dico: Signore io credo - affermava Giovanni Paolo I, nell’Udienza Generale del 6 settembre 1978 - non mi vergogno di sentirmi come un bambino davanti alla mamma". Ritenersi piccoli, semplici, insufficienti e bisognosi, come il lucignolo fumigante e la canna chinata, dell’Amore di Dio! Dobbiamo essere santi come Lui è Santo (Esodo 11, 45)! Sforzandoci di essere santi, nelle difficoltà del quotidiano, contageremo quanti ci stanno accanto. Guardiamo al Curato d’Ars che il Santo Padre Benedetto XVI ha proposto come modello presbiterale. Egli, con la santità e la preghiera sincera, fiduciosa e fedele, ha convertito un popolo di "lontani". Cerchiamo di essere modello per tutti! Modello di carità operosa, che non cerca il proprio interesse ma che si impegna e sforza per il trionfo del Regno di Dio. Incorporati in Cristo, per mezzo del Battesimo e dell’Ordine Sacro, viviamo oggi e domani, poi, la santità cristiana, "la quale prima ancora che un compito e uno scopo, è un dono e uno stato". Vivendo pienamente la nostra personale chiamata alla santità, potremo "annunziare la Parola, insistere in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonire, rimproverare, esortare con ogni magnanimità e dottrina" il popolo che, il nostro Vescovo, ci vorrà affidare, il quale guardando all’integrità e alla nostra irreprensibilità, seguirà saggiamente i nostri piccoli-grandi consigli e le nostre direttive. Non dimentichiamo mai, nella preghiera, di dire al Signore: "Fammi santo! Fammi diventare come tu desideri!".

Ripetiamolo sempre al Signore, la santità non è opera nostra ma dello Spirito di Dio, è un lasciarsi fare dalla grazia che germina e intensifica in noi la vita di Dio, per essere ‘santi e immacolati’ (Ef 1,4) e vivere ‘come si conviene ai santi’ (Ef 5,3; Col 3,12). E quando per l’umana stanchezza l’annuncio dell’Evangelo e il ministero apparirà pesante, guardiamo al Cuore Sacratissimo di Gesù e rinnoviamo dinnanzi a Esso le promesse fatte il giorno della nostra ordinazione nelle mani del Vescovo. "Il Sacerdozio è l'amore del cuore di Gesù", soleva affermare il Santo Curato d’Ars. Il Suo Cuore, fornace ardente di Carità e bontà infinita, non tarderà a consolare i nostri cuori di uomini, cristiani e presbiteri. Ricorda: noi viviamo che una sola volta e non restiamo quaggiù: siamo pellegrini e viandanti protesi alla ricompensa per le nostre fatiche. La nostra meta sarà quella del riposo. Il riposo in Lui, nel Suo Cuore che ci "ha scelti prima della creazione del mondo" (Ef 1,4). "Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Cristo - ripeteva San Giovanni Maria Vianney - è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina". Facciamoci santi! Cerchiamo di essere oggi stesso santi per l`ampiezza, la lunghezza, l`altezza e la profondità della nostra chiamata! Abbiamo numerosi modelli di vita santa: Luigi Gonzaga, Giovanni Bosco, Alfonso Maria de’ Liguori, Padre Pio e un infinita schiera di uomini che hanno scelto di essere presbiteri spendendosi tutti per il bene della Chiesa e delle anime!

"Dopo Dio - continua il Santo Curato d’Ars - il sacerdote è tutto!... Lui stesso non si capirà bene che in cielo". I pastori di oggi devono ritrovare il senso e la bellezza del loro apostolato. Essere nel mondo presenza efficace della Parola fatta carne, che si fa vicinissima, raggiungendo i suoi destinatari, cioè gli affaticati, gli ultimi, i derelitti e i poveri. Un prete santo come Gesù, buon samaritano, "viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza! (Prefazio comune VIII)". Proprio al samaritano presentato da Luca nel capitolo 10 del suo Vangelo, deve ispirarsi ogni sacerdote. Lo chiede ogni uomo della terra! "Il samaritano è figura di Cristo, della sua carità compassionevole, espressione efficace della bontà misericordiosa del nostro Dio che nel farsi prossimo del Figlio ha visitato e redento il suo popolo". Ecco che l’amore per Cristo, seppure imperfetto per la nostra fragile condizione, ci spingerà a diventare pane per il bisogno del fratello. Il nostro amore e la nostra totale fedeltà sarà ripagata dal Cuore di Cristo, il quale apparendo a Santa Margherita Maria Alacoque, rassicurò la santa suora che ci avrebbe dato il dono di toccare i cuori più induriti. Chiamati alla santità! "Mihi vivere Christus est." Dobbiamo essere interiormente un altro Cristo e apparire esteriormente come un altro Cristo davanti agli uomini; il che vuol dire non essere preti qualunque ma preti santi!

Chiamati a esser poveri

Guai ai ricchi perché hanno le loro soddisfazioni su questa terra. Beati pauperes! Come è dolce la bocca del Cristo Maestro quando proclama beata l’umana e spirituale povertà. Abbiamo scelto di essere tutto del più povero dei poveri che per amore nostro si spogliò della divinità e si fece ultimo. Abbiamo scelto di conformarci a Colui che non aveva neppure una pietra dove posare il capo. Abbiamo scelto la povertà eppure come è difficile viverla! Il decreto Conciliare ‘Presbyterorum Ordinis’ al numero17 rammenta che i sacerdoti "vivendo in mezzo al mondo devono però avere sempre presente che essi non appartengono al mondo". Con l’ordine sacro non saremo più del mondo ma con lo sguardo rivolto verso il cielo lavoreremo come collaboratori dell’ unica Parola, per la salvezza delle anime. La povertà unita imprescindibilmente all’umiltà diventa santità di vita. Santità di vita capace di spalancare le porte del Paradiso. Questo, però, non è invito che il Cristo rivolge solo ai suoi eletti ma a ogni buon Cristiano. Ogni uomo, infatti è oggetto di un amore grande, anzi direi smisurato da parte di Dio maggiore di quello che ha una mamma per il frutto del suo seno. Un amore, quello di Dio, che non ha rifiutato di salire sul patibolo della croce; un amore, direi, semplice e povero che non possiede nulla ma che dona e ridona, crea e ricrea! Ecco perché, caro amico, dobbiamo sentire nel cuore l’esigenza di essere poveri! Vivere quella povertà evangelica che non è mancanza di ogni bene di questa terra ma distacco che permette di averli e non sentirsene condizionati. Solo così, a parer mio, nessuno resterà scandalizzato e non indurremo i fratelli più poveri ad allontanarsi. Mi piace però leggere quella della povertà come "promessa di appartenere solo a Dio" e come forma di abbandono fiducioso nella Sua divina Provvidenza.

Sforzandoci, nell’umano limite, di vivere la povertà dettata dal Cristo impareremo ad avere "occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli (Preghiera Eucaristica V/c)". Vivere la povertà non è facile; lo diventa se lo si compie in un clima di completa dedizione a Dio e ai fratelli. Parlando della povertà, sovviene repentina alla mente la figura di Francesco d’Assisi. Il suo messaggio è più attuale che mai. Se ancora oggi, nel mondo, si prega e si canta con le parole di Francesco, è proprio per la radicalità della risposta data all’invito di Cristo a essere poveri. Conosci anche tu, certamente, la sua storia. Mi piace sottolineare quanto Dante Alighieri afferma magistralmente nell’undicesimo canto del Paradiso: "A' frati suoi, sì com' a giuste rede, raccomandò la donna sua più cara, e comandò che l'amassero a fede". Raccomandò l’amore a sorella povertà, strada maestra che conduce all’incontro reale col Risorto! Cerchiamo di essere poveri per essere ricchi di Gesù! Amiamo! Amiamo continuamente e senza stancarci mai, essendo per tutti amici, fratelli e padri! Saremo tabernacoli viventi della sua presenza. Vivendo quotidianamente il grande comandamento dell'Amore saremo lievito di unione nella comunità. ''La strada che ci riconduce alla vera ricchezza ormai passa attraverso la pasqua della povertà. Camminiamo così alla sequela di Cristo, che da ricco che era si è fatto povero per arricchirci per mezzo della sua povertà. Dio guida i poveri secondo giustizia e insegna loro le sue vie. Sapendo questo, potremo accettare di perdere tutto per guadagnare Cristo. La nostra povertà non è più una teoria, né una pratica e neppure un ideale, ma un volto: Dio, per noi, si è fatto povero in Cristo Gesù. Nella contemplazione del suo Volto comprenderemo il vero senso del mistero di povertà''. Cerchiamo di essere poveri non solo delle cose materiali, ma sopratutto di quelle spirituali, abbandonati volontariamente alla volontà di Dio. ''La povertà materiale è facile. La povertà per solidarietà ci riesce faticosa. La povertà affettiva è sempre dolorosa. La povertà spirituale crocefigge''.

Amiamo il popolo santo di Dio, trasformandoci per ogni uomo in pane spezzato! Formiamo un cuore grande sicché ognuno possa riposarvi gettandovi le difficoltà dell'umano vivere. Offriamole al Padre. Nella Celebrazione Eucaristica riponiamole sulla patena con il pane che il ministro sacro presenta all’Eterno sacerdote, al Pontefice della nuova ed eterna alleanza. Gettiamo tutto nel Cuore di colui che è amore crocefisso per amore. Cerchiamo di avere un ''cuore di carne'' che si intenerisca, comprenda, tenga conto delle realtà e sappia che gli uomini sono esseri sensibili e non puri spiriti. Anche nei casi più difficoltosi non disperiamo. ''Per quanto ostinati possano essere i peccatori - dice San Francesco di Sales -, non disperiamo di aiutarli e di essere loro utili''. L'uomo ha bisogno di amore, l'uomo ha sete di Dio! Apriamo i tesori racchiusi nel Cuore di Cristo e riversiamoli all'uomo desideroso di Dio! La preghiera fiduciosa sarà il nostro sostegno! Preghiamo per quanti pregano per la nostra vocazione; sono tante le anime, nella Chiesa, che mosse da zelo e vivo amore offrono preci e sacrifici perché il padrone continui a mandare fedeli collaboratori alla sua messe (Luca 10,1-4). È, infatti, largamente diffusa, nelle comunità parrocchiali e nei piccoli cenacoli di preghiera famigliari, la prassi di pregare per il seminario, cuore pulsante della diocesi: è tra le sue mura, appunto, che lo Spirito Santo scrive le più belle pagine di santità! Amiamo la nostra comunità! In essa sbocciano i propositi di carità che spuntano nella preghiera. Non possiamo amare Dio che non vediamo se non amiamo il fratello che vediamo, tocchiamo, con il quale parliamo e al quale affidiamo i nostri desideri più intimi. Saremo immagine riflessa dell’amore che si respira in Paradiso! Apriamo il cuore al bisogno! Apriamo così la nostra vita al Dolce Viandante in cerca d’amore che sta alla porta e bussa! La nostra vita sarà soave melodia d’amore.

Chiamati a esser obbedienti

''[…] Mostra l’obbedienza che scaccia l’amore alla contesa, odiata da Dio e da quelli che lo amano. Tieni stretta l’obbedienza, che fa salire fino al cielo e rende simili al Figlio di Dio quelli che l’acquistano''. (Epistolario 251, San Barsanufio di Gaza). ''Il modello perfetto dell'obbedienza è nel mistero della Trinità. Fra Padre, Figlio e Spirito Santo, tutto è ascolto, accoglienza e dono. Da questa totale dipendenza nasce la suprema libertà; dal rispetto della loro diversità sorge la perfetta comunione. [...] L'obbedienza non è invenzione degli uomini ma l'espressione stessa dell'essere di Dio. Attraverso di essa, Egli non ci vuole indurre in un rapporto di dipendenza, di sottomissione, e nemmeno di pacificazione,ma in un libero rapporto di amore''. L'obbedienza diviene uno dei punti importanti nella vita del presbitero, sia esso diocesano o religioso. Una obbedienza che non è, dunque, esercizio passivo della propria volontà, (perinde ac cadaver, "[ben disciplinati] come un cadavere"). Ma che diventa risposta libera e generosa all'invito del Redentore il quale ricordava ai suoi discepoli : ''Chi ascolta voi, ascolta me! (Luca 10,16)''. ''L'obbedienza ci donerà la gioia e la pace. L'obbedienza non ci rimpicciolisce, ma ci fa crescere, non ci restringe ma ci dilata''. Per essere uomini obbedienti bisogna essere umili. Come la santità, anche l'obbedienza è unita strettamente all'umiltà. Cerchiamo di essere obbedienti. Anzitutto al Sacro Magistero. Fedeli al nostro Vescovo, nelle cui mani dobbiamo rinnovare questa promessa. Fedeli al Santo Padre. Nelle sue mani il Cristo Risorto diede le Chiavi del Regno. Egli - come ci ricorda Santa Caterina da Siena, a seguito di una visione - è il dolce Cristo in Terra. Amiamo il Papa. Amiamo il suo insegnamento e restiamo attenti alla sua parola.

In senso profondo e affettuoso, direi quasi di ripetere ogni giorno, come faccio io, ''Santità, Le voglio bene!''. Impariamo a metterci in ascolto di quanti il Signore ha costituito, ''con la varietà dei doni e dei carismi'', suoi vicari. Essi non annunciano una dottrina personale, ma quella del Cristo! San Paolo ci ricorda che: ''La fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo (Romani 10,17)''. Da sempre il Magistero e il Santo Padre sono stati oggetto di derisione e offese! Da Lutero a Voltaire, patrono dei laicisti ed anticlericali. Da Voltaire a Napoleone, modello dei persecutori, il quale ha imprigionato, umiliato e deportato il Papa. Da Bonaparte, che dall’alto della roccia di Sant’Elena contemplando a lungo il mare, il cielo e pensando al suo Impero andato in frantumi, esclamò: "I popoli passano! I troni crollano! La Chiesa resta!", a quanti ancora oggi minacciano il Sacro Magistero. La Chiesa! La nostra Sposa diletta resterà per sempre, perché non è opera di uomini ma di Cristo Dio! E anche se essa appare poco santa, racchiude nel suo cuore la forza della salvezza, l’unica in grado di cambiare questo mondo! Ripetiamo con San Luigi Orione: "Il Papa! Ecco il nostro Credo e l’unico Credo della nostra vita". Caro confratello nella chiamata, il messaggio di salvezza che ci sforziamo di annunciare non è nostro, lo abbiamo ricevuto dalla Santa Tradizione, annunciamolo pertanto con fedeltà e amore! San Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, afferma: ''Vi ho trasmesso quello che anch'io ho ricevuto''.

Questo è il nostro compito: annunciare ''quello che abbiamo ricevuto'' senza aggiunte personali. Nella concretezza della vita, tuttavia, è duro obbedire. Obbedire anzitutto ai comandi di Dio e poi a quelli dell’autorità. "I comandamenti - diceva Papa Luciani - sono un po' più difficili, qualche volta tanto difficili da osservare; ma Dio ce li ha dati non per capriccio, non per suo interesse, bensì unicamente per interesse nostro". Spesso, per tutti i cristiani, c’è tanta difficoltà a mettere in pratica i comandamenti del buon Dio! Il Cardinale Francis Arinze parla - nel suo libro sul sacerdozio - dei quattro amori che devono essere presenti nella vita del presbitero o comunque, perché no, di quanti si preparano a esserlo. L'amore per Gesù Cristo. Amore, questo, che deve contraddistinguere la vita e lo stile di un ministro di Dio. Altro amore è quello per la Chiesa, Corpo mistico del Redentore Risorto. Sottolinea il Cardinal Arinze, nelle sue riflessioni, a tal proposito, che ''fra tutti coloro che devono amare la Chiesa, il primo deve essere il sacerdote. L'amore per il Santo Padre e per il Vescovo diocesano, la fedele cooperazione con loro e con i loro collaboratoti nel ministero, sono i modi per dimostrare la fede nel mistero della Chiesa''. Un mistero che si manifesta in maniera straordinariamente evidente nella celebrazione dei Sacramenti e in particolar modo in quello della Celebrazione Eucaristica. Essa, come ci ricordano i Padri del Vaticano II, è ''il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutto il suo vigore” (SC 10). Il sacerdote deve necessariamente celebrare i sacri riti secondo le indicazioni della Chiesa, ''anziché seguire piuttosto idee personali o modificare i riti stabiliti a seconda della propria fertile immaginazione o propensione creativa''. Essere attenti nelle celebrazioni, eseguire fedelmente quanto la sapienza della Chiesa ha consegnato a noi nella sua millenaria storia; consapevoli che per mezzo di quelle parole si attua e manifesta il mistero salvifico di Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo!

L'obbedienza, a parer mio, passa anche attraverso queste piccole semplici cose, che però ci fanno gustare e assaporare il mistero e la ricchezza che è nascosta nel cuore della Chiesa. Sforziamoci di vivere, perciò, con amore e fedeltà alla Chiesa il momento in cui, all'uomo bisognoso di Dio, doneremo la grazia dei Sacramenti. Da qui nascerà un amore straordinario per la Chiesa. Per quella Chiesa che ci ha generati a vita nuova in Cristo e che ci consacrerà suoi ministri. San Cipriano, nell' opera ‘De Catholicae unitate ecclesiae’, dichiara che non si può avere Dio per Padre se non si riconosce la Chiesa come Madre. Sì! Carissimo, la Chiesa ci è Madre, è noi, futuri sacerdoti, nel suo Cuore dobbiamo essere quel fuoco inestinguibile che arde: ''Nel cuore della Chiesa, noi dobbiamo essere l'Amore!''. Essere amore, questa è la vocazione del presbitero! Amore che dona e che si dona, che ''offre Cristo a Dio Padre ma impara anche a offrire se stesso in Cristo, per Cristo e con Cristo!''. Impariamo, pertanto, a essere uomini di missione. Sacerdoti per la Chiesa sparsa nel mondo! Nascerà dall'amore alla Chiesa un amore per il celibato che, come ci ricorda il Santo Padre nel documento ‘Sacramentum caritatis’, se ''vissuto con maturità, letizia e dedizione è una grandissima benedizione per la Chiesa e per la stessa società''. Amiamo il nostro celibato; amiamo questa ''ferita'' che portiamo per amore del Vergine e del Casto. La verginità, se vissuta all’ombra della Croce, farà di noi testimoni silenziosi e forti di Gesù Risorto. ''Nel cuore di questo mondo frammentato, in cui il peccato ha sconvolto l’armonia, ha macchiato la primitiva bellezza'', la nostra scelta sia riflesso dell’amore Trinitario. Saremo nel mondo profumo di Cristo!

Maria

Il Cardinal Arinze, nelle sue riflessioni sul presbiterato, evidenziava la presenza necessaria, nella vita del sacerdote, di un amore particolare per la Vergine Santa. Da sempre la tradizione della Chiesa e la pietà popolare hanno additato Maria Santissima come la Regina del Clero e degli Apostoli. Essere innamorati di Maria, rimarca lo stesso Cardinal Arinze, ''non è affatto una questione di sentimentalismo''. A parer mio, essere devoti di Maria è una questione prettamente spirituale che senza dubbio ha riverberi nel quotidiano e nel reale. Sapere in cielo una mamma presente e amorevole è sostengo nei momenti di particolare sofferenza. Amare Maria è un dovere! Falla conoscere è una missione. Far conoscere al mondo il Cuore Immacolato della Vergine è la missione del presbitero. Far conoscere il cuore della mamma celeste è la nostra missione. Un cuore attento che attende, premuroso, vigile, che sovviene ai bisogni di coloro che ''fanno quello che il Maestro dirà'' (Gv 2,5). Portare le anime a Gesù, portarle per mezzo di Maria e della Sua potente intercessione. ''L'amore per la beata Vergine - scrive il Cardinal Arinze - è dunque uno degli autentici amori del presbitero; non solo è raccomandato, ma il sacerdote non può permettersi di farne a meno''. Maria ci svela il criterio della nostra chiamata. Maria dovrebbe essere così intima al cuore del sacerdote e di ogni fedele cristiano perché Lei svela le modalità della nostra chiamata: Dio prende i semplici, i poveri dalla povere delle loro occupazioni e li costituisce ministri.
 
Come lo fu per Maria, lo è stato anche per noi! Dio ci ha scelto nella nostra miseria e noi non abbiamo potuto non rispondere dinnanzi a tanto amore, ripetendo le parole della prima chiamata: ''L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva''. Santa Teresa di Lisieux espresse, nei suoi appunti spirituali, il desiderio di aver voluto essere sacerdote per parlare della beata Vergine. Spesso, nei sermoni, si delineava di Maria ''una vita fantastica''. La Santa di Lisieux sottolineava che Maria non bisogna presentarla ''inaccessibile, ma invece bisogna farla vedere imitabile, farne scoprire le virtù e dire che viveva di fede come noi''. Dopo aver ascoltato le prediche di alcuni sacerdoti, lamentava il fatto che questi facessero di Maria una donna lontana, una donna da ammirare piuttosto che imitare. Invece no, essa è la donna del quotidiano, vicina più cha mai alle necessità degli uomini. Se, dunque, lei, la Madre del Figlio di Dio, ha a cuore le sorti dell’umano genere, quanto più non avrà a cuore la vita, il ministero e la missione di quanti hanno consacrato la loro vita per il Vangelo? Affidiamoci a Maria, consegniamo al suo cuore di Madre le nostre ''gioie e le speranze, le tristezze e le angosce'' insieme a quelle ''degli uomini d'oggi, dei poveri, soprattutto, e di tutti coloro che soffrono'' (GAUDIUM ET SPES1). Essa non resterà sorda al grido dei figli. Sia sempre benedetto il nome santissimo di Maria'', giubilo al cuore, miele alla bocca, melodia all’orecchio''.

La grandezza della nostra chiamata

La mia esperienza vocazionale mi ha concesso la straordinaria opportunità di toccare con mano la veridicità delle parole del grande maestro e dottore della Chiesa, Agostino: ''Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te'' (Conf. 1,1). In questo mondo che vuole sradicare le radici cristiane che per secoli lo hanno alimentato, c’è un forte desiderio d’Infinito, d’eternità.''Eppure - diceva il convertito Giovanni Papini -, dopo tanta dilapidazione di tempo e d’ingegno, Cristo non è ancora espulso dalla terra. La sua memoria è dappertutto. Sui muri delle Chiese e delle scuole, sulle cime dei campanili, dei tabernacoli e dei monti, a capo dei letti e sopra le tombe, milioni di croci rammentano la morte del Crocefisso. Raschiate gli affreschi delle Chiese, portate via i quadri dagli altari e dalle case, e la vita di Cristo riempie i musei e le gallerie. Buttate nel fuoco i messali, breviari e eucològi, e ritroverete il suo nome e le sue parole in tutti i libri di letteratura. Perfino le bestemmie sono un involontario ricordo della sua presenza. Cesare ha fatto, ai suoi tempi, più rumore di Gesù: e Platone insegnava più scienza di Cristo. Ancora oggi se ne ragiona del primo e del secondo; ma chi si accalora per Cesare o contro Cesare? E dove sono oggi i platonisti e gli antiplatonisti? Cristo, invece, è sempre vivo in noi. C’è ancora chi lo ama e chi lo odia. C’è una passione per la passione di Cristo e una per la sua distruzione. E l’accanirsi di tanti contro di Lui dice che non è ancora morto''. No! Cristo non è morto ma vive e opera nel cuore di quanti hanno scelto di incarnare il suo insegnamento nelle vicende lieti e tristi della vita.

Noi, del resto, carissimo amico, non abbiamo scelto un ideale, un motto o una teorica, fredda, distaccata filosofia. Noi abbiamo scelto Cristo: l’unico grande rivoluzionario della storia! ''Amore, amore che sì m’hai ferito, altro che amore non posso gridare; altro non posso che te abbracciare; amore, amore, forte m’hai rapito, lo cor sempre se spande per amare; per te voglio pasmare, amor ch’io teco sia, amor per cortesia famme morir d’amore'' (Laude, Jacopone da Todi). Desidero, carissimo amico e fratello, aggiungere, prima della conclusione, una riflessione al brano dell’Evangelo di Giovanni 21,1-19, che per me è consolazione nei momenti di sconforto e gaudio in quelli di speciale letizia. In esso mi piace soffermarmi quando l’umano vuole colloquiare col divino. ‘In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po' del pesce che avete preso ora».

Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di 153 grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi»’. Il narratore definisce questa la terza volta che Cristo Gesù appare a suoi Apostoli. Dopo la resurrezione, infatti, Gesù restò 40 giorni sulla terra e dimorò parecchie volte con i suoi amici. "Abitava e pranzava con loro e permetteva di essere esaminato e toccato con scrupolo e curiosità da quelli ch’erano ancora erano stretti dal dubbio, a tal fine entrava dai discepoli attraverso porte chiuse, insufflava lo Spirito Santo e, elargita la luce dell’intelligenza, spiegava i punti oscuri delle Sacre Scritture; e d’altra parte egli stesso indicava la ferita al fianco, i fori dei chiodi e tutti i segni della Passione ancora recente" (Leone Magno, Lettera Dogmatica a Flaviano). Il capitolo 21, però, non bisogna considerarlo come continuazione del capitolo 20; esso è certamente aggiunta posteriore, ed è questa l'ipotesi più accreditata, di qualche membro della scuola di Giovanni.
 
C'è da domandarsi sulle motivazioni che spingono il narratore ad aggiungere al capitolo 20 il presente epilogo. L’intento, profondamente ecclesiale, vuole far avvicinare le comunità giovannee a quelle petrine. Il testo ha un ruolo ecclesiale: vuole recuperare il ruolo dell’Apostolo Pietro senza, però, mettere in discussione l’autorità del discepolo prediletto, che nel brano evangelico è stato presentato come un testimone privilegiato. Il presente brano può certamente essere ricollegato con il brano della pesca miracolosa narratoci dall’evangelista Luca (5,1-11). In entrambi possiamo cogliere alcuni punti di concordanza: 1) L’autorità petrina 2) La pesca miracolosa 3) Lo stupore-gaudio 4) La sequela. L’affermazione di Pietro riportataci al versetto 3: "Io vado a pescare!", sembra voler significare un ritorno alla quotidianità dopo i tragici eventi che hanno sconvolto la vita degli Apostoli. Una quotidianità infruttuosa, quella che vivono gli Apostoli, lontani come sono dal loro Maestro! Tutto, però, si stravolge quando al versetto 6 l’Evangelista riporta le parole di un tale che dalla battigia contemplava gli forzi inutili di quegli uomini. "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete!". Ancora una volta agli Apostoli è chiesta la fiducia, la completa e totale fiducia in Colui che tutto può! L’invito del misterioso uomo fece riecheggiare nelle orecchie del discepolo prediletto le dolci parole del Maestro (Luca 5,4). È Lui, si dissero pieni di stupore: Dominus est, ὁ Κύριός ἐστιν. L’emozione e i sentimenti che riaffiorarono nel cuore di Pietro all’udire queste parole, furono sicuramente tanti! Si vestì e si gettò in mare; gesto un po’ insolito! Giunti a riva, calarono le reti stracolme di 153 grossi pesci. Il numero 153 è un numero simbolico. Molti hanno cercato di dare delle interpretazioni: San Girolamo pensa che esso è simbolo dell’universalità, in quanto nel I secolo, 153 erano le specie di pesci conosciute.

Sant’Agostino pensa sia simbolo della pienezza, come somma di tutti i numeri da 1 a 17. Cirillo d’Alessandria ritiene sia il simbolo della Chiesa, 100 come numero dei pagani, 50 del resto di Israele e 3 la Trinità. Possiamo dare, al numero, una lettura sicuramente di tipo ecclesiale. La rete che non si rompe (versetto 11) rappresenta la Chiesa che accoglie tutti gli uomini e come Madre premurosa si prende cura di essi. Non avevano coraggio di chiedergli: "Chi sei?". Sapevano che quello era il Crocefisso Risorto; "scientes quia Dominus est". Quando ebbero finito di condividere il pranzo, Gesù domanda a Pietro: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Σίμων Ἰωάννοʋ ἀγαπᾷς με πλέον τούτων - Σίμων Ἰωάννοʋ φιλεῖς με". Con queste parole inizia lo straordinario colloquio tra il Pastore e l’umile agnello di Galilea, il semplice pescatore che a Cesarèa di Filippi lo definì il Cristo (Marco 8,29). Pietro, il primo Papa, colui che nonostante i limiti è divenuto la pietra su cui si fonda la Chiesa. Le tre domande del Risorto si contrappongono alle tre negazioni di Pietro; ricordiamo, purtroppo, come l’Apostolo negò per ben tre volte dinnanzi alla portinaia di conoscere il Redentore. Nel famoso colloquio, che esalta la dolcezza del Maestro, Gesù scende ancora una volta al livello dell’uomo. Egli si accontenta non di un amore totale ma diremo parziale da parte dell’Apostolo. È qui che si inserisce il famoso gioco tra ἀγαπᾷς (amare) e (voler bene) φιλεῖς. Gesù, per ora, si accontenta di un semplice ‘ti voglio bene’, nella consapevolezza che Pietro darà la vita per Lui. Per ora, il Cristo Risorto affida all’Apostolo il delicato e gravoso compito di pascere il gregge (agnelli e pecore madri). Lui, il primo Papa, conduce per mano, nel mare della storia, il popolo santo di Dio. Dopo aver preannunciato il suo martirio (testimonianza di fedele amore verso Gesù!), il Risorto aggiunge: "Seguimi, sequere me, ἀκολούθει μοι". Quel ‘seguimi’ può essere collegato con il ‘seguimi’ della chiamata dell’Apostolo sulle rive del lago di Gennèsaret, come personale riconferma alla chiamata divina e con il brano evangelico di Giovanni 12,26 nel quale Gesù afferma che dove è Lui, là sarà anche il suo servitore.

Cristo è passato dalla Croce e, dunque, anche i suoi collaboratori per regnare con lui devono necessariamente passare dalla croce. "Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere" (Gv 21,25). Questo ultimo versetto sostiene e rafforza la nostra debole fede e speranza: quella escatologica che vedrà l’umano genere finalmente raccolto attorno all’unico grande Pastore. "Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!» (Ap 22,17)". Questo è un brano dolcissimo, che racchiude un mistero straordinariamente bello: quello di un Dio che, per solo amore, prende i piccoli e i semplici dal fango delle loro occupazioni e li costituisce suoi collaboratori. Seguire il Maestro non è cosa di poco conto; è, invece, un impegno quotidianamente fedele che ci invita a testimoniarlo Risorto e vivo nel mondo.

Conclusione

''O sacerdos! Tu quis es? ... Nihil et omnia!''. Chi sei, dunque, o sacerdote? Niente e tutto! Qualche tempo fa mi capitò tra le mani un libro che raccoglieva alcune riflessioni di Padre Mario Venturini, che fu ''sacerdote con la vocazione di salvare i sacerdoti''. Desidero, tra le tante raccolte nel libro, presentartene una che mi ha colpito ed entusiasmato particolarmente. ''Veramente amico del Sacerdote è Cristo. Sì, nostro amico, a noi intimissimo, di noi amatissimo; amico prodigo di beni celesti, paziente, longanime, pieno di bontà e di misericordia. Non può forse dire il Sacerdote: ''Jesus meus et omnia?''. Che cos'ha infatti il Sacerdote, se non Gesù? E senza Gesù, che cos'è il Sacerdote? Che Gesù sia l'amico del Sacerdote, è un grande mistero d'amore! Ma che il Sacerdote sia l'amico di Gesù, è una sublime e inaudita degnazione di Lui e incomparabile gloria nostra! Il mondo va dicendo - e non solo il mondo! - che la vita del Sacerdote è un deserto, che il suo cuore è quasi coartato, perché non può godere a buon diritto degli affetti e delle gioie di una famiglia sua. O stoltezza! Non un deserto, ma un Paradiso di delizie è la vita sacerdotale - pur unita alla Croce - perché Cristo Signore è il nostro Paradiso; non un cuore coartato noi abbiamo, ma un cuore dilatato dalla grazia sacerdotale, dilatato come il mondo, dilatato come il Cuore di Gesù, perché in realtà il cuore del Sacerdote è il Cuore di Cristo. Infatti i veri amici hanno un cuore solo, poiché una sola è la loro volontà''. Parole profonde, che Padre Venturini nei suoi sermoni proponeva alla riflessione dei fedeli.

Senza Cristo, il prete non è nulla! Se nella vita del sacerdote viene meno l'intima unione col Cuore Sacratissimo, viene meno il fine della sua stessa missione: portare anime alla salvezza! Una vita santa, quella che il prete deve cercare. Una vita di completa e totale donazione a Dio, che lo ha chiamato alla sublimità del ministero, e ai fratelli che aspettano le grazie di quel ministero! Diceva San Giuseppe Cafasso: ''Ci vuole nientemeno che un'eternità per ringraziare il Signore di averci fatti sacerdoti!''. ''O sacerdos! Tu quis es? ... Nihil et omnia!''.

Carissimo amico e fratello, ho voluto inviarti questa lettera spirituale, io che sono l'ultimo dei chiamati, l'ultima indegna e insufficiente persona che Dio, nella Sua amabilissima bontà, poteva scegliere per questo compito così tanto alto e gravoso! Mi accorgo, però, che Egli, chiamandomi a essere prete, ha fatto la cosa più bella per cui non terminerò mai di ringraziarlo. Quello che ho scritto in questa lettera è rivolto anzitutto a me, che mi preparo, nello studio e nella preghiera, a essere sacerdote misericordioso e fedele! Ho voluto indirizzare questi pensieri a te che condividi con me questa medesima chiamata, come fraterna esortazione a fare sempre e meglio, per rendere questa nostra amata Chiesa ancor più bella! ''Madre de' Santi, immagine della città superna. Del Sangue incorruttibile conservatrice eterna (La Pentecoste, Manzoni )''. Ritengo di aver omesso il più e di aver detto male ciò, che magari, più semplicemente si poteva dire molto meglio.

C’è un personale incoraggiamento, malgrado: fondamentale non è che uno scriva del prete o sul prete, ma che molti, come i preti, scelgano di servire il Risorto nel volto quotidiano dei fratelli. E, coincidenza, nonostante tutto, questo avviene ancora nel mondo e in questa nostra amata Chiesa. Ti affido al Sacratissimo Cuore di Gesù, modello e stile per ogni chiamato. Ora pro me ut saluetur anima mea de inferno!

*Seminarista


                                    seminarista


Caterina63
00domenica 13 febbraio 2011 19:25

De Blignières su dom Gérard: un contemplativo e un lottatore

da Messainlatino:
Leggiamo, su cortese segnalazione, questo bello e commovente articolo dal blog
Romualdica.com. Qui e là c'è qualche cenno di "piccola storia del tradizionalismo" (per esempio: gli incontri a tre con il card. Ratzinger), che è di sicuro interesse.

*
Un contemplativo e un lottatore


[Avvicinandosi il terzo anniversario, il prossimo 28 febbraio, della scomparsa di dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), riproduciamo con vero piacere – grazie alla cortese autorizzazione dell’autore – l’articolo in memoriam dedicato al fondatore e primo abate dell’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux da parte di P. Louis-Marie de Blignières (nella foto a fianco, scattata al priorato di Bédoin nel 1978, accanto a dom Gérard), Priore della Fraternité Saint-Vincent-Ferrier, una comunità d’ispirazione domenicana sorta nel 1979 ed eretta nel 1988 come istituto religioso di diritto pontificio]


Durante la sconvolgente cerimonia delle esequie, mentre sotto la volta romanica si levava il canto delle cinque assoluzioni riservate ai vescovi e agli abati, due parole si sono impresse nel mio cuore, volgendo lo sguardo al bel viso di colui che è stato per me un padre, poi un amico: «un contemplativo e un lottatore».

Attraverso le lacrime rasserenanti che suscita la stupenda liturgia tradizionale dei defunti, mi sono detto: la sua contemplazione continua, è passata – lo speriamo – dalla notte dolorosa della fede alla felice incandescenza della visione; e la sua battaglia non è terminata, giacché quanti ha lasciato in questa valle di lacrime avranno l’onore di continuarla.

Rientrato in convento, ho ritrovato degli appunti di oltre trent’anni fa:
«Il più bel regalo che possiamo fare a dom Gérard lo troviamo in ciò che aveva egli stesso scritto in guisa di prefazione alla riedizione delle Istituzioni liturgiche di dom Guéranger: “Siamo in presenza di un contemplativo e di un lottatore: due caratteristiche che non si oppongono se non in apparenza, poiché l’oggetto della contemplazione, quaggiù, è continuamente minacciato. Il contemplativo deve acconsentire alla lotta, come il lottatore deve essere inabitato da una visione interiore”».

Queste parole di gratitudine, pronunciate nel giorno della mia ordinazione sacerdotale, mantengono la loro attualità, ora che il mio benefattore – nonché di tanti laici, preti, religiosi e religiose – se n’è andato verso l’eterno Padre.
Quanti ricordi che si affastellano, quando lo rivedo addormentato nella pace del suo ultimo sonno, con i suoi sobri ornamenti abbaziali, all’entrata del coro. Quel 7 marzo 1977, quando il suo sorriso accolse la mia tristezza nel suggestivo priorato di Bédoin, di cui diventai oblato regolare. Quei mesi soleggiati nella giovane comunità. La storica passeggiata sulla collina di Le Barroux, ricoperta da una vegetazione cespugliosa, con quel monaco faceto che saliva sulla cima di un albero e che annunciava al gruppo (stupefatto della scelta di quel luogo così arido): «La vista è magnifica!».

L’ordinazione diaconale a Carpentras, il sacerdozio a Chatelperron, quando dom Gérard officiò in veste di prete assistente al fianco di mons. Lefebvre… I consigli, giusti e severi, prodigati per l’ardore indiscreto del giovane prete, durante i diciotto mesi di soggiorno in Provenza, a Fonsallette. L’incoraggiamento dell’uomo spirituale in occasione dei ritiri del Rosario e – dopo alcune legittime esitazioni – l’approvazione del superiore religioso finalmente data… a un fondatore di trent’anni! Si è detto che dom Gérard, nello slancio implacabile della sua carità per soccorrere tutte le angosce che gli giungevano, abbia commesso un certo numero d’imprudenze. In ogni caso, non sono nella posizione adatta per farne il computo e ancor meno il rimprovero…

Il cielo dei nostri trent’anni di amicizia è stato certamente attraversato da tempeste memorabili. Nella tempesta che infuriava nella Chiesa, ci siamo trovati a più riprese – ritengo in buona fede – in opposizione, quanto alle analisi teologiche della situazione e alle scelte prudenziali che esse esigevano. Se dom Gérard mi ha fatto l’insigne carità di rimproverarmi quelli che egli reputava essere – e che erano – i miei errori, se ho ritenuto – talora temerariamente – di dovere agire con lui in tal modo, ci siamo tuttavia sempre considerati con una stima reciproca, e non abbiamo mai rotto i rapporti. Lui che detestava le mezze tinte e aborriva l’unzione ecclesiastica, approverebbe che io abbozzassi il chiaroscuro in cui s’inscrive la sua paternità su di me e poi la nostra virile amicizia.

Controversie, scuse offerte e accettate, riconciliazioni e poi – particolarmente a far data dall’anno «climaterico» 1988 – una feconda e duratura fraternità d’azione, specialmente nei tentativi in comune con don Bisig, primo superiore della Fraternità San Pietro, presso la Santa Sede. Conservo ancora nello spirito i nostri incontri a tre dal cardinale Ratzinger, durante quegli anni in cui la commissione Ecclesia Dei era così contestata e fragile. Rivivo riunioni di lavoro, a Roma o a Le Barroux, scambi di richieste comuni al Magistero su punti delicati, come la – troppo – famosa dichiarazione sulla libertà religiosa.

Dom Gérard mi aveva in un primo momento scritto le sue obiezioni alla nostra interpretazione sulla Dignitatis humanæ; ma qualche anno dopo presentammo assieme alcuni dubia sul tema alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che forse un giorno saranno utili per un’interpretazione autentica nella direzione dell’«ermeneutica della continuità».

Durante gli ultimi anni della sua vita, particolarmente dopo il suo emeritato abbaziale, i nostro scambi sono proseguiti. Era una meraviglia vedere il monaco così erudito ricorrere con semplicità ai pareri dei più giovani di lui, in particolare di Padre Dominique-Marie de Saint-Laumer, per il quale aveva un affetto singolare. Amava – tramite un biglietto o una telefonata – consultarsi e interloquire, sui temi più disparati di dottrina o di liturgia, con la curiosità di un contemplativo di gran classe, al quale non era indifferente nulla di ciò che riguarda la vita della grazia (e la coerenza dell’ordine naturale, giacché era visceralmente ostile a tutto ciò che è disincarnato!).

Autorizzò Sedes Sapientiæ a riprodurre la sua «Lettera ai Fratelli di Magdala», su alcuni rischi della corrente carismatica. Più volte si è felicitato con noi per alcuni articoli e ne ha fatti riprodurre taluni sulla lettera Les amis du monastère. Chi conosce la solitudine di colui che scrive potrà misurare quanto tali incoraggiamenti potevano risultarci preziosi. Mi pare che, durante quest’ultimo periodo, la nostra intesa su vari argomenti si sia pacificamente approfondita, fino ad arrivare a quell’armonia interiore che è come un discreto preludio alla comunione celeste.

«L’oggetto della contemplazione, quaggiù, è ininterrottamente minacciato»: dalla Luce in cui è entrato – o entrerà ben presto –, dom Gérard c’insegnerà a non addormentarci mai in una sicurezza ingannevole! Per la nostra vita interiore turbata dalla mediocrità, per le nostre relazioni sociali minacciate dallo spirito mondano, per le nostre battaglie politiche in pericolo di disperazione, per le nostre istituzioni religiose da proteggere dalla rilassatezza, per una carità apostolica al riparo dal silenzio dei cani muti, per il dinamismo della liturgia tradizionale – che egli amava precisamente per la sua capacità senza pari di «esprimere chiaramente il contenuto della fede» –, dom Gérard ci è d’insegnamento, mediante i suoi scritti e il suo esempio. Conservo in particolare ciò che scrisse, nel 1989, al suo antico priore in Brasile: «Si tratta di un rito, senza dubbio, ma tutte le guerre di religione sono guerre di rito. Nessuno fa la guerra se non per delle specie che hanno preso corpo». Il contemplativo e il lottatore, come pure l’artista dal tratto sicuro nella scelta delle parole, sono pienamente in queste parole.

A Dio, carissimo Padre, a ben presto, quando l’Ora sarà giunta, anche per noi.
.[P. Louis-Marie de Blignières, Un contemplatif et un lutteur, in Sedes Sapientiæ, anno 26, n. 103, marzo 2008, pp. 17-20, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]


Caterina63
00lunedì 15 agosto 2011 19:38
[SM=g1740717] [SM=g1740720]ORDINAZIONI SACERDOTALI CHIESA DI S. MARIA IN VALLICELLA
agosto 2011
 

Associazione Clericale “Opera di Gesù Sommo Sacerdote”
Omelia del Cardinale Mauro Piacenza Prefetto della Congregazione per il Clero

Cari confratelli nel Sacerdozio, ordinandi presbiteri, seminaristi e fedeli laici, siamo qui in questa splendida Chiesa dove la magnificenza artistica è descrittiva della santità di Dio e dell’incanto dell’incontro fra Dio e di quel palpitante Appuntamento fra Lui e gli uomini che è Maria Santissima, Icona della Chiesa. Fra poco qui – a Dio piacendo – accadrà qualcosa di indescrivibilmente solenne e di commovente tenerezza: l’ordinazione sacerdotale.

 Per prepararci, proviamo intanto a rispondere a questa domanda: qual’è la grandezza del sacerdozio, qual’è la sua capacità di contribuire alla felicità e all’umana realizzazione delle persone che lo vivono?

Intanto pensiamo ad un fatto: Dio mi ha chiamato al sacerdozio per rivelarmi il volto con cui mi ha pensato dall’eternità, come mi ha immaginato e voluto con il corpo che ho, con le particolarità di temperamento che mi caratterizzano, attraverso i genitori che sono stati strumenti per la mia nascita, nei tempi e nei luoghi della concretezza quotidiana. Per Dio il sacerdozio è da sempre il mio volto!

Molte delle grandi figure di uomini chiamati da Dio che la Bibbia ci presenta esprimono questa acuta consapevolezza. Ecco per esempio il dialogo con il Signore in cui il profeta Geremia riceve la sua vocazione: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti o stabilito profeta delle nazioni». Risposi: «Ahimé, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane». Ma il Signore mi disse: «Non dire: sono giovane, ma và da coloro a cui ti manderò  e annunzia ciò che io ti ordinerò» (Ger 1, 5-7). Ed ecco la convinzione di Isaia: «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome. Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra» (Is 49, 1-2).

In altri termini, Dio mi ha pensato assieme al compito che mi avrebbe affidato, al posto che mi avrebbe assegnato nella sua Chiesa. San Paolo sapeva di essere stato scelto fin dal seno di sua madre e di essere stato chiamato con la sua grazia perché annunziasse Gesù in mezzo ai pagani (cfr. Gal 1, 15-16).

E Davide pregava: «Sei Tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre… Tu mi conosci fino in fondo. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi… I miei giorni erano fissati, quando ancor non ne esisteva uno» (Sal 139, 13-14.16).

Se questo è dunque il volto con cui Dio da sempre mi ha pensato, non c’è altra scelta ragionevole che aderirvi con intelligenza, chiedendo cosa Dio vuole da me, e con passione, chiedendo cioè quella libertà creativa che è la caratteristica dell’amante conquistato. La strada al sacerdozio è allora quella della mia felicità, se è la strada della libertà, ovvero dell’impegno intelligente, continuo, appassionato, sacrificato, gioioso con Cristo. «Venite e vedrete» (Gv 1,39): questo metodo che Gesù indica nel momento stesso in cui chiama a sé è anche l’unico adeguato per riconoscere la verità della chiamata al sacerdozio.

Dio sceglie per mandare! Ogni vocazione ha la missione di testimoniare al mondo che senza Cristo non c’è ragione di vita e che questa vita è preziosa e si offre a tutti gli uomini attraverso il popolo santo della Chiesa. San Paolo scrive: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi (cioè tutta la vostra vita) come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12, 1).

In questa offerta nuova ogni esistenza, in tutti i particolari che la costituiscono, affetti e lavoro soprattutto, vive già il mondo definitivo e grida agli uomini: venite anche voi, se volete incontrare una umanità vera, proprio dentro alla fragilità umana!

Ma Paolo aggiunge: «Noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo [eppure] abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi» (Rm 12, 5-6). Qual è dunque il dono che ci è affidato per il ministero sacerdotale? Essere chiamati a parlare continuamente di Gesù, della sua vita sulla terra, delle grandi cose che ha detto e fatto, per far conoscere che la sua vita continua nel presente, che quelle opere ci sono ancora (cfr. Gv 14, 12). È ben altro privilegio essere i profeti, gli annunciatori, gli evangelizzatori, coloro che parlano non sommando parole vuote, ma per dire ciò che hanno visto e udito (cfr. At 4, 20; 1Gv 1, 3)). «Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi – dice Paolo – se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1Cor 2,2).

Perché ciò accada occorre silenzio, purezza di sguardo, passione di comunicare. Gesù vi affida questo compito, cari ordinandi; non avrete alcuna occupazione che possa esonerarvi da ciò. Quando anche tutte le voci tacessero, almeno la vostra dovrà levarsi chiara e netta, motivata e convincente. Per questo il Buon Pastore vi ha scelti, preparati e ora vi manda.

Parlate a tempo opportuno, ma anche nei momenti non opportuni, perché a breve non ci saranno più momenti opportuni (cfr. 2Tim 4, 2-4).

Andate, siate la mia voce – vi dice Gesù – siate la mia voce non solo in chiesa, ma dovunque, dai tetti ai sotterranei delle città e dei paesi (cfr. Mt 10, 27).

Non abbiate paura, sarà lo Spirito a suggerirvi quello che dovrete dire, soprattutto quando sarete maltrattati o derisi a causa mia (cfr. Lc 12, 12-12).

Cari ordinandi, fra poco, oltre che gli annunciatori, sarete i servitori del Corpo di Cristo attraverso il dono dei sacramenti; fra tutti, in particolare della Confessione e della Santissima Eucarestia. Di fronte a ciò, non solo la mente ma l’animo intero, tutta la nostra persona si sprofonda nella confusione. Ma perché proprio io? Chi sono io, povero uomo, per essere chiamato ad essere servo privilegiato della misericordia di Cristo che questi due sacramenti, nati dalla sua croce e risurrezione, manifestano nel modo più alto? Proprio qui sta la sublime grandezza del mistero che la Santa Madre Chiesa ci affida: essere fragili portatori di un tesoro che ci è stato affidato perché sia trasmesso (cfr. 2Cor 4, 7).

Eppure senza uomini che dicano: “Io ti assolvo”, che dicano “questo è il mio corpo”, uomini preparati per questo dalla Chiesa, quell’incommensurabile tesoro resterebbe non consegnato e non trasmesso!

Tocchiamo così, ancora una volta, l’affetto, la predilezione che Gesù ha per i suoi amici più cari, i sacerdoti della sua Chiesa, per coloro che distribuiscono i beni più preziosi che Egli ha lasciato ai suoi. Allora lo sgomento diventa commozione ed esaltazione. Se Tu, Gesù, hai scelto noi che ben conosci, è dunque perché ritieni così importante la celebrazione dei sacramenti  la guida della preghiera, il ponte tra il cielo e la terra realizzato nel sacerdozio; e non solo non ti ferma la nostra indegnità, il nostro limite, anzi ti invoglia a prendere proprio noi poveri peccatori perché appaia con maggiore chiarezza che siamo soltanto i canali di un perdono e di una grazia che sono assolutamente tuoi.

Infine, oltre che annunciatori e dispensatori della celebrazione dei sacramenti della sua vita, Gesù ci ha chiamati ad essere educatori, cioè padri. Dal Papa all’ultimo ordinato, noi che non avremo figli naturali, siamo voluti come padri!

Il mondo ha bisogno di padri e Cristo ci vuole”padri”, con una preoccupazione prioritaria: essere riflesso di Colui che ci ha donato l’esistenza e la luce per viverla, per comprenderla, di Colui che ci ha salvati dal nulla e ci ha dischiuso le porte della più grande avventura, quella dell’essere perdonati!

Siamo chiamati ad incontrare gli uomini dovunque e senza paura, per essere compagni di strada, per donare quello sguardo senza il quale tutto appare buio e opaco. Siamo chiamati a quella capacità di abbraccio che non si ferma di fronte al malato, al vecchio, all’abbandonato, al morente, al peccatore, perché sa che comincia da lì la rivoluzione della vita gloriosa che non passa.

Cristo non ci ha affidato solo se stesso. Come sacerdoti ministeriali noi abbiamo ogni potere sul corpo reale di Cristo; nella consacrazione, alle nostre parole, Egli si rende presente nel suo Sacrificio. Noi lo amministriamo ai nostri fratelli, lo comunichiamo al mondo nella verità della sua parola, noi abbiamo ogni potere su di Lui! Ma Dio ci ha dato ogni potere sul mondo, e ce l’ha dato per la salvezza del mondo. Se abbiamo questa coscienza, allora sentiamo quella responsabilità che è propria del sacerdozio nei confronti di tutti gli uomini. Non possiamo salvarci da soli!

Non possiamo salvarci che nella salvezza di tutti. Non possiamo salvarci che nella misura in cui la nostra azione apostolica raggiunga gli estremi confini della terra e dei cuori, ridoni alle anime una speranza una certezza, insomma, ridoni alle anime Dio!

Responsabilità universale dunque nei confronti del mondo intero! Miei cari, non sono i politici che salvano il mondo! Ma ne abbiamo coscienza? Se abbiamo veramente fede, il destino dell’umanità si gioca nella nostra dedizione a Dio, nella nostra fede che ci impone il peso e la responsabilità dell’umanità intera.

A noi il Signore ha detto: “Voi siete la luce… voi siete il sale”; a noi il Signore ha detto: “A coloro ai quali rimetterete i peccati saranno rimessi, a coloro ai quali li riterrete, saranno ritenuti”. A noi il Signore ha detto: “fate questo in memoria di me”.

Egli, dunque, è ancora presente per mezzo nostro; ancora agisce, ancora realizza la salvezza dell’universo per mezzo nostro. E – ricordiamolo – non c’è altro salvatore che Cristo Signore! Ci crediamo? Talvolta il mondo ci considera spazzatura ma noi dobbiamo sollevare questo mondo fino a Dio! Ecco il nostro impegno! Carichiamoci di questo peso; la carità divina ha la potenza di sollevarlo, se in noi vive questa carità.

Tutto quanto vi ho detto fin qui sono solo parole? Sono solo parole fintanto che non siamo dei santi! Per questo dobbiamo chiedere la santità, proprio per questo dobbiamo impegnarci per la santità, diversamente le nostre parole diventano retorica, eloquenza vuota; peggio, divengono condanna per noi.

“Non avete bisogno che io vi condanni. La parola che vi ho detta, questa vi condannerà”. Potrebbe condannare me, potrebbe condannare voi!


Perché questa parola non debba essere di condanna per alcuno, ciascuno l’accolga dentro di sé con la disposizione di abbandono con la quale un giorno una giovane accolse la parola straordinaria dell’Arcangelo Gabriele: «lo Spirito scenderà su di te e colui che nascerà da te sarà santo e chiamato Figlio di Dio».

Se voi, carissimi amici ordinandi, l’accogliete con la stessa disposizione di Maria, si continuerà lo stesso mistero. Allora le disposizioni sono quelle. « Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum». Sono pronto, sono qui, sono tutto per Te, mi abbandono totalmente alla potenza della tua parola.

Non si tratta di essere “buoni” sacerdoti; si tratta di essere SACERDOTI, che è molto di più! Buoni vuol dire dare un carattere di moralità alla nostra vita. Si tratta invece di renderci pienamente consapevoli di essere inseriti nel mistero di Cristo, per renderlo veramente presente nel mondo di oggi.

Ecco quello che il Signore vi chiede! Ecco cosa chiedo al Signore, per la intercessione della Vergine del “si”, oggi qui, con tanto amore, per voi.




 [SM=g1740722]

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Affido a Maria Santissima i Miei Cari che di recente hanno raggiunto la vita Eterna .....

Vi chiedo, cari Sacerdoti.... Preghiere e Suffragi per tutti i Defunti, aiutate noi Laici a confidare nella Messa di Suffragio, ne abbiamo immenso bisogno....




Caterina63
00martedì 13 settembre 2011 23:18

Il sacerdote deve zelare il bene delle anime, senza pensare ad arricchirsi

Da Cordialiter:

"Guai se il sacerdote, dimentico di sì divine promesse, cominciasse a mostrarsi "avido di turpe lucro" e si confondesse con la turba dei mondani, su cui geme la Chiesa insieme con l'Apostolo: "Tutti pensano alle cose loro, non a quelle di Gesù Cristo".

In tal caso, oltre il mancare alla sua vocazione, raccoglierebbe il disprezzo del suo stesso popolo, il quale riscontrerebbe in lui una deplorevole contraddizione tra la sua condotta e la dottrina evangelica così chiaramente espressa da Gesù e che il sacerdote deve annunziare: "Non cercate di accumulare tesori sopra la terra, dove la ruggine e il tarlo li consumano e dove i ladri li dissotterrano e li rubano; procurate invece di accumulare tesori nel cielo".

Se si pensa che uno degli Apostoli di Cristo, uno dei Dodici, come mestamente notano gli Evangelisti, Giuda, fu condotto all'abisso dell'iniquità appunto dallo spirito di cupidigia delle cose terrene, ben si comprende come questo medesimo spirito abbia potuto arrecare tanti danni alla Chiesa attraverso i secoli: la cupidigia, che dallo Spirito Santo è detta "radice di tutti i mali", può trascinare a qualunque delitto; e quando anche non arrivi a tanto, di fatto un sacerdote infetto da tale vizio, consciamente o inconsciamente fa causa comune coi nemici di Dio e della Chiesa e coopera ai loro iniqui disegni.

E invece il sincero disinteresse concilia al sacerdote gli animi di tutti, tanto più che con questo distacco dai beni terreni, quando viene dall'intima forza della fede, va sempre congiunta quella tenera compassione verso ogni sorta d'infelici, che trasforma il sacerdote in un vero padre dei poveri, nei quali egli, memore di quelle commoventi parole del suo Signore: "Ogni volta che avete fatto qualche cosa per uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l'avete fatta a me", con affetto singolare vede, venera e ama Gesù Cristo stesso."

[ Brano tratto dall'Enciclica “Ad catholici sacerdotii”, di Papa Pio XI ]



Caterina63
00lunedì 10 ottobre 2011 14:35
[SM=g1740722]alcuni passi tratti da due interventi del cardinale Piacenza, Prefetto per il Clero, pronunciati in due occasioni a Los Angeles in questo ottobre, al clero ed ai seminaristi nonchè ai formatori....
i testi integrali li trovate qui


Sono personalmente convinto che una buona e solita formazione teologica, che riscopra anche il fondamento filosofico della metafisica e non tema di accogliere tutta intera la Verità, sia anche il miglior antidoto alle tante "crisi di identità" che talunipurtroppo vivono. In tal senso, il Santo Padre Benedetto XVI ha già più volte richiamato all'imprescindibile utilizzo del Catechismo della Chiesa Cattolica come orizzonte a cui guardare e come riferimento certo del nostro attuale pensare teologico.

Il Catechismo è anche il grande strumento che il Beato Giovanni Paolo II ha donato a tutta la Chiesa, per la corretta ermeneutica del Concilio Vaticano II. Anche su questo aspetto è necessario che la formazione intellettuale non viva equivoci di sorta.

Voi siete nati nel Post-Concilio (credo quasi tutti) e, forse, siete per ciò stesso sia figli del Concilio, sia più immuni dalle polarizzazioni, talvolta ideologiche, che l'interpretazione di quell'Eventoprovvidenziale ha suscitato.

Sarete voi, probabilmente, la prima generazione che interpreterà correttamente il Concilio Vaticano II, non secondo lo "spirito" del Concilio, che tanto disorientamento ha portato nella Chiesa, ma secondo quanto realmente l'Evento Conciliare ha detto, nei suoi testi alla Chiesa ed al mondo.

Non esiste un Concilio Vaticano II diverso da quelloche ha prodotto i testi oggi in nostro possesso! è in quei testi che noi troviamo la volontà di Dio per la sua Chiesa e con essi è necessario misurarsi, accompagnati da duemila anni di Tradizione e di vita cristiana.

Il rinnovamento è sempre necessario alla Chiesa, perché sempre necessaria è la conversione dei suoi membri, poveri peccatori! Ma non esiste, né potrebbe esistere, una Chiesa pre-Conciliare ed una post-Conciliare! Se così fosse, la seconda -la nostra- sarebbe storicamente e teologicamente illegittima!

 

****************************

Vedete, il vero campo di battaglia della Chiesa è il paesaggio segreto dello spirito dell’uomo e in esso non si entra senza molto tatto, molta compunzione, oltre che con la grazia di stato promessa dal Sacramento dell’Ordine.

È giusto che il sacerdote si inserisca nella vita, nella vita comune degli uomini, ma non deve cedere ai conformismi e ai compromessi della società.

La sana dottrina, ma anche la documentazione storica ci dimostrano che la Chiesa è in grado di resistere a tutti gli attacchi, a tutti gli assalti che possono essere sferrati contro di essa dalle potenze politiche, economiche e culturali, ma non resiste al pericolo derivante dal dimenticare questa parola di Gesù: «Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo». Gesù stesso indica la conseguenza di questa dimenticanza: «Se il sale diventa insipido, come si preserverà il mondo dalla corruzione?» (cfr. Mt 5,13-14).

A che servirebbe un sacerdote così assimilato al mondo, da diventare prete mimetizzato e non più fermento trasformatore?

Di fronte ad un mondo anemico di preghiera e di adorazione, il sacerdote è, in primo luogo, l’uomo della preghiera, dell’adorazione, del Culto, della celebrazione dei santi Misteri.

Di fronte ad un mondo sommerso da messaggi consumistici, pansessualistici, assalito dall’errore, presentato negli aspetti più seducenti, il sacerdote deve parlare di Dio e delle realtà eterne e, per poterlo fare credibilmente, deve essere appassionatamente credente, così come deve essere “pulito”!

Il prete deve accettare l’impressione di essere in mezzo alla gente, come uno che parte da una logica e parla una lingua diversa dagli altri («non conformatevi alla mentalità di questo mondo», Rm 12,12). Egli non è come “gli altri”. Ciò che la gente aspetta da lui è proprio che non sia “come tutti gli altri”.

 

[SM=g1740733] 

 


Caterina63
00sabato 7 luglio 2012 10:11

Quanto maggior somiglianza con Cristo i fedeli riscontreranno nei sacerdoti, tanto più facilmente si lasceranno guidare da loro. E, pertanto, più efficace sarà il loro ministero.01.jpg

Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP

Considerando in profondità l'essenza dell'ordinazione sacerdotale e dello stesso ministero sacro, San Tommaso ci insegna che il presbitero deve tendere alla perfezione ancora di più rispetto a un religioso o una suora. Per comprendere questo insegnamento, basta infatti tenere ben presente l'alto grado di santità che la Celebrazione Eucaristica e la santificazione delle anime richiedono da un ministro,1 come ci esorta il Divino Maestro: "Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo" (Mt 5, 13-14a).

Tenuto conto di questa enorme responsabilità, si comprende il motivo per il quale non pochi santi hanno avuto timore dell'ordinazione sacerdotale. E' una questione di scottante attualità, perché il maggiore o minore successo del suo ministero a favore dei fedeli può dipendere, in particolare, dal sacerdote stesso. Sappiamo che i Sacramenti operano con efficacia per il potere di Cristo, producendo la grazia di per sè.

Tuttavia, la loro profondità sarà maggiore o minore a seconda delle disposizioni interiori di chi li riceve. E qui entra in gioco un elemento soggettivo, nel quale ha un importante ruolo l'azione pastorale del ministro ordinato, poiché la sua virtù, il suo fervore, il suo impegno a predicare il Vangelo, in definitiva, la santità della sua vita - che è, a sua volta, una forma eccellente ed insostituibile di predicazione -, possono influenzare i fedeli a ricevere i Sacramenti con migliore disposizione, beneficiandosi maggiormente dei loro frutti.

Sarà questo il fattore più rilevante per il buon adempimento del ministero sacerdotale? A tal proposito, nella Lettera per la Proclamazione dell'Anno Sacerdotale, del 16 giugno scorso, Papa Benedetto XVI evidenzia che il sacerdote deve apprendere da San Giovanni Maria Vianney "la sua totale identificazione col proprio ministero". Ecco perché il Santo Padre vuole, in questo tempo, "favorire la

Sergio Hollmann
02.jpg
Il ministro ordinato rappresenta Nostro Signore nel mezzo
di altri fedeli di Cristo, poiché rappresenta e, in diverse
occasioni, agisce "in persona Christi".
Impossibile immaginare un titolo più alto!
"Santo Curato d'Ars" - Basílica di Ars, Ars-sur-Formans (Francia)

tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale da cui dipende, principalmente, l'efficacia del loro ministero".2

È questo punto - di massima importanza per la vita della Chiesa, specialmente per la missione di annunciare il Vangelo e santificare i fedeli - che verrà qui sviluppato: la relazione tra efficacia del ministero sacerdotale e santità personale di coloro che lo esercitano. Si ricorrerà innanzitutto al perenne insegnamento di San Tommaso d'Aquino.

La santità del sacerdote, una esigenza

Fin dall'Antica Legge, la persona del sacerdote è stata circondata da una dignità che richiede una vita esemplare. Così, nel Libro del Levitico, troviamo un doppio appello alla santità. Da una parte, su ordine di Dio, Mosè esorta il popolo di Israele a cercare la perfezione: "Parla a tutta la comunità degli Israeliti e ordina loro: Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo" (Lv 19, 1). Ai sacerdoti la santità è richiesta con più ragione, perché sono loro che offrono sacrifici, giocando il ruolo di intermediari tra Dio e il popolo.

Presentarsi macchiato dal peccato davanti all'Altissimo, per esercitare il munus sacerdotale, sarebbe un affronto al Creatore. "I sacerdoti [...] saranno santi per il loro Dio e non profaneranno il nome del loro Dio, perché offrono al Signore sacrifici consumati dal fuoco, pane del loro Dio; perciò saranno santi" (Lv 21, 5-6).

Dal momento che l'Antico Testamento è prefigurazione del Nuovo, si comprende la necessità che, nella Nuova Alleanza, la santità raggiunga un grado maggiore. Questo si riflette nella teologia tomista, che ci presenta il ministro ordinato come elevato ad una dignità regale, nel mezzo di altri fedeli di Cristo, poiché rappresenta e, in diverse occasioni, agisce in persona Christi. Impossibile, pertanto, immaginare un titolo più alto. Essendo poi chiamato ad essere mediatore tra Dio e gli uomini, oltre che guida di costoro per le cose divine, egli deve necessariamente essere superiore a loro in santità, anche se tutti i battezzati sono chiamati alla perfezione.

Sant'Alfonso Maria de' Liguori, nella sua opera La Selva, basandosi sull'autorità di San Tommaso, delinea la figura del sacerdote come colui che, per il suo ministero, supera in dignità gli stessi Angeli e, per questo è costretto ad una maggiore santità, dato il loro potere sul Corpo di Cristo. Da qui, conclude il fondatore dei Redentoristi, la necessità di una dedizione integrale del sacerdote alla gloria di Dio, in modo tale che brilli agli occhi del Signore, in virtù della sua buona coscienza e agli occhi del popolo per la sua buona reputazione.3

A questo proposito ancora, la dottrina tomista ricorda la necessità che i ministri del Signore abbiano una vita santa: "In omnibus ordinibus requiritur sanctitas vitæ".4 Devono, pertanto, soprattutto loro, essere il più possibile simili allo stesso Dio: "Siate perfetti così come il vostro Padre Celeste è perfetto" (Mt 5, 48). Sono note le invettive di Nostro Signore contro gli scribi e i farisei.

Ciò che Gesù recriminava a questi uomini, che tanto conoscevano la Legge, era proprio il fatto di non vivere quello che insegnavano. Pretendendo di apparire agli occhi degli altri come illustri esecutori dei precetti mosaici, non avevano una retta intenzione, né vero amore per Dio. I loro riti esteriori non

Sergio Miyazaki
03.jpg
"San Tommaso d'Aquino" - Chiesa Madonna
del Rosario, Seminario degli Araldi del
Vangelo, Caieiras (Brasile) 

erano accompagnati dalla compunzione di cuore. Affinché i sacerdoti della Nuova Alleanza, non cadano nello stesso difetto, è opportuno ricordare il commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, in cui San Tommaso afferma: "Coloro che si dedicano ai ministeri divini ottengono una dignità regale e devono essere perfetti nella virtù, come si legge nel Pontificale".5

È per questo che nell'omelia suggerita nel rito di ordinazione sacerdotale è inclusa questa toccante esortazione: "Prendi coscienza di quello che fai, e metti in pratica ciò che celebri, in modo che, nel celebrare il mistero della Morte e Risurrezione del Signore, farai ogni sforzo per mortificare il tuo corpo, fuggendo i vizi, per vivere una nuova vita".6 L'amore ha portato il Signore Gesù a offrire la propria vita in olocausto sulla Croce, per la redenzione dell'umanità.

Anche coloro che sono chiamati ad essere mediatori tra Dio e gli uomini, devono esercitare il loro ministero per amore, come insegna l'Aquinate. Il sacerdote, quindi, è chiamato ad un grado di santità speciale: "Dall'Ordine sacro, il chierico è consacrato ai ministeri più degni che esistono, nei quali egli serve Cristo nel Sacramento dell'altare, il che richiede una santità interiore maggiore di quella richiesta nello stato religioso".7

Il sacerdote è un modello per i fedeli

Essendo visto dai fedeli come una persona scelta da Dio a guidarli, il ministro ordinato deve essere sempre esempio illustre di virtù, come raccomanda l'Apostolo al suo discepolo Tito: "Mostrati in tutto modello di buona condotta: per la purezza di dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile, perché il nostro avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire sul conto nostro." (Tt 2, 7-8).

Infatti, un comportamento irreprensibile, infiammato dalla carità, che dà testimonianza della bellezza della Chiesa e della verità del messaggio evangelico, parlerà molto più profondamente ed efficacemente alle anime che il più logico ed eloquente dei discorsi: "La gloria del maestro è la vita virtuosa del discepolo, come la salute dell'infermo ridonda a lode del medico. [...] Se presentiamo le nostre buone opere, sarà lodata la dottrina di Cristo".8 Cristo è il vero modello del ministro consacrato.

È in Lui che il sacerdote deve configurarsi, non solo per il carattere sacramentale, ma anche per l'imitazione delle sue perfezioni, in modo che in lui i fedeli possano vedere un altro Cristo. Solo allora questi si sentiranno attratti dal buon esempio del loro pastore e guida. Data la natura sociale dell'uomo, la buona reputazione derivante dalla pratica della virtù conduce gli altri all'imitazione. Così, quanto più somiglianti a Cristo i fedeli troveranno i ministri di Dio, tanto più facilmente, essi si lasceranno guidare da loro. Pertanto, più efficace sarà il loro ministero.

La sacralità del sacerdote

Un elemento connesso al buon esempio è la proporzionata rispettabilità di cui deve circondarsi il ministro di Dio - non solo per il comportamento inattaccabile, ma anche per la postura, per il modo di essere e per l'abito - in modo che le sue azioni esercitino più influenza nell'anima dei fedeli. Infatti, anche ai nostri giorni, l'esperienza quotidiana ci mostra come è impressionante l'ammirazione che si porta al religioso o sacerdote che si presenta come tale.

Questa rispettabilità, che ad alcuni può sembrare artificialità, si rivela essere un prezioso aiuto al ministro stesso, perché contribuisce a tener sempre presente la grande dignità di cui è stato investito, che ha impresso carattere nella sua anima, per tutta l'eternità, oltre ad essere, allo stesso tempo, una salutare protezione contro le innumerevoli seduzioni del mondo.

La Santa Messa, fonte della santità sacerdotale

In questo Anno Sacerdotale, iniziato in occasione dei 150 anni della morte del Santo Curato d'Ars, modello di sacerdote, viene a proposito ricordare la sua radicata e ardente devozione alla Santa Messa: "Se conoscessimo il valore della Messa, moriremmo. Per celebrarla degnamente, il sacerdote dovrebbe essere santo. Quando saremo in Cielo, allora vedremo che cos'è la Messa, e come tante volte la celebriamo senza la debita reverenza, adorazione, raccoglimento".9 Nel decreto Presbyterorum ordinis, il

L'Osservatore Romano
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"La Celebrazione Eucaristica è il grande e nobile
atto di preghiera e costituisce il centro e la fonte
dal quale anche le altre forme di preghiera rice-
vono la‘linfa': la Liturgia delle Ore, l'adorazione
eucaristica, la lectio divina, il santo
Rosario, la meditazione". 
Benedetto XVI incensa l'altare all'inizio della
messa dell'Epifania del Signore (6/1/2010)

Concilio Vaticano II, in perfetta armonia con la dottrina tomista, riassume mirabilmente la centralità dell'Eucaristia nella vita spirituale del sacerdote, come suo principale mezzo di santificazione.

Ricorda, in seguito, che è attraverso il ministero ordinato che il sacrificio spirituale dei fedeli si consuma in perfetta unione con il sacrificio di Cristo, offerto nell'Eucaristia in modo incruento e sacramentale. Afferma inoltre che "a questo tende e in questo si consuma il ministero dei presbiteri. Infatti, il loro ministero, che inizia con la predicazione del Vangelo, prende dal sacrificio di Cristo la loro forza e la loro virtù".10 Il che equivale a dire che il sacerdote vive per la Celebrazione Eucaristica ed è da questa che deve acquistare la forza per progredire nella pratica della virtù.

Garrigou-Lagrange sintetizza con precisione questa dottrina: "Il sacerdote deve considerarsi ordinato principalmente per offrire il Sacrificio della Messa. Nella sua vita, questo Sacrificio è più importante dello studio e delle opere esteriori di apostolato. Infatti, il suo studio deve essere indirizzato alla conoscenza sempre più approfondita del mistero di Cristo, sommo Sacerdote e il suo apostolato deve derivare dall'unione con Cristo, Sacerdote principale".11 Royo Marín, commentando l'esortazione del Pontificale Romano, fatta dal Vescovo agli ordinandi, afferma con enfasi che la Santa Messa è "la funzione più alta e augusta del sacerdote di Cristo".12

E, conoscitore delle molteplici occupazioni pastorali di un sacerdote, che possono facilmente distrarlo dal fulcro della sua vocazione di mediatore tra Dio e gli uomini, rafforza la stessa idea, subito dopo, con accese parole di zelo sacerdotale: "Si è un sacerdote in primo luogo e soprattutto, per glorificare Dio mediante l'offerta del Santo Sacrificio della Messa".13 Benedetto XVI, trattando della vocazione e spiritualità sacerdotali, sotto una prospettiva pastorale, afferma: "La Celebrazione Eucaristica è il grande e nobile atto di preghiera e costituisce il centro e la fonte dal quale anche le altre forme di preghiera ricevono la "linfa": la Liturgia delle Ore, l'adorazione eucaristica, la lectio divina, il santo Rosario, la meditazione".14

L'efficacia del ministero sacerdotale

Come abbiamo visto in precedenza, la santità di vita del sacerdote, come esempio per i fedeli di Cristo, è un potente elemento per condurli alla perfezione. Bene sottolinea Mons. Chautard che a un sacerdote santo corrisponde un popolo fervente; a un sacerdote zelante, un popolo devoto; a un sacerdote pio, un popolo onesto; a un sacerdote onesto, un popolo malvagio.15 Grande è, dunque, il ruolo della virtù del ministro, per il successo del suo ministero.

Per quanto riguarda l'applicazione del valore della Santa Messa, con finalità propiziatoria, si può parlare della sua efficacia soggettiva, dipendente dalle disposizioni di chi la celebra e di coloro ai quali essa si applica, come spiega San Tommaso: "Sebbene l'offerta dell'Eucaristia, per la sua stessa grandezza basti alla soddisfazione di ogni pena, tuttavia ha valore di soddisfazione per coloro per cui viene offerta, o per coloro che la offrono, secondo la misura della loro devozione, e non di tutta la pena loro dovuta".16

Timothy Ring
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"Madonna del Clero" - Chiesa di Santa
Cecilia, San Paolo (Brasile)

Su questo passo del Dottore Angelico, Albert Raulin commenta così: "Sarebbe una perniciosa illusione credere che l'offerente sia esonerato dal fervore con il pretesto che Cristo, offrendoSi nella Messa, ha soddisfatto pienamente per tutti i peccati del mondo".17 Di fronte a questa realtà, il sacerdote ha due grandi doveri uno verso se stesso e l'altro verso il popolo, poiché entrambi traggono beneficio dai frutti della Santa Messa, specialmente il celebrante, conforme il grado di fervore o devozione.18

In questo modo, egli corrisponderà all'altissima dignità del suo ministero, come diceva il Santo Curato d'Ars: "Senza il sacramento dell'Ordine, non avremmo il Signore. Chi Lo ha collocato lì in quel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha accolto la tua anima nel primo momento dell'ingresso nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di realizzare il suo pellegrinaggio? Il sacerdote.

Chi ha da prepararla a comparire davanti a Dio, lavandola per l'ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest'anima arriva a morire [col peccato], chi la resusciterà, chi le restituirà la serenità e la pace? Ancora il sacerdote. [...] Dopo Dio, il sacerdote è tutto! [...] Lui stesso non si comprenderà bene da se stesso, se non in Cielo".19

La voce della Cattedra di Pietro

Giunti al termine di questo lavoro, invece di ricapitolare l'argomento trattato, come sarebbe di prammatica nel migliore stile accademico, ci sembra filiale verso la Cattedra di Pietro ricordare qui, a titolo di conclusione, alcuni punti importanti di documenti recenti del Magistero Pontificio sul sacerdozio. Non smette di commuovere come, nella sua ultima Lettera ai Sacerdoti, nel 2005, Papa Giovanni Paolo II abbia voluto centrare questo documento sulle parole della Consacrazione, quasi a voler sottolineare che l'apice della sua vita sacerdotale si stava avvicinando, con l'offerta del suo stesso sacrificio, con il dono totale della vita unita al sacrificio di Cristo.

Offerta raccomandata dall'attuale pontefice nella Lettera per la Proclamazione dell'Anno Sacerdotale, citando queste parole del Santo Curato d'Ars, "Come fa bene un sacerdote offrendosi in sacrificio a Dio, tutte le mattine!". Infatti, Giovanni Paolo II iniziava la sua ultima Lettera ricordando che "se tutta la Chiesa vive dell'Eucaristia, l'esistenza sacerdotale deve a titolo speciale assumere ‘forma eucaristica'".20

È essenziale che il sacerdote, per salvare coloro che gli sono affidati, offra il proprio sacrificio, unito a quello di Cristo, ad esempio di San Paolo: "Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1, 24). È in questa maniera che le parole della Consacrazione si trasformano in "formula di vita", secondo l'esempio dato dal Servo di Dio Giovanni Paolo II.

Insegnamento questo ricordato anche dal suo successore, Benedetto XVI: "Le anime costano il Sangue di Cristo e il sacerdote non può dedicarsi alla sua salvezza se si rifiuta di contribuire con la sua parte per l' ‘alto prezzo' della Redenzione".21 Non possiamo, infine, non evocare il ruolo insostituibile della Madre di Dio nella vita sacerdotale. "Chi può, meglio di Maria, farci assaporare la grandezza del mistero eucaristico? Nessuno può, come Lei, insegnarci con quanto fervore dobbiamo celebrare i santi Misteri e trattenerci in compagnia di suo Figlio, nascosto sotto le specie dell'Eucaristia".22

Ci insegna ancora questo Papa così mariano, quale è stato Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica Ecclesia de Eucaristia: "Nel ‘memoriale' del Calvario, è presente quanto Cristo ha realizzato nella sua Passione e Morte. Per questo, non può mancare ciò che Cristo ha fatto per sua Madre a nostro favore. Infatti, Le ha consegnato il discepolo prediletto e, con lui, ognuno di noi: ‘Ecco qui Tuo figlio.

Allo stesso modo dice anche ad ognuno di noi: ‘Ecco la tua madre'" (cfr. Gv 19, 26-27). In quest'Anno Sacerdotale, cerchiamo specialmente di stare uniti al sacrificio di Cristo con lo spirito di Maria, Egli che ha fatto di tutta la sua esistenza una Eucaristia anticipata, preparandoSi giorno per giorno alla Sua consegna suprema sul Calvario.

(Passi dello studio preparato per la Pontificia Congregazione per il Clero, in occasione dell'Anno Sacerdotale - Testo integrale in www.annussacerdotalis.org, sezione "Studi")

1 Cf. GARRIGOU-LAGRANGE, OP, Réginald.
De Sanctificatione sacerdotum, secundum nostri temporis exigentias.
Roma: Marietti, 1946, pagg.66-67.
2 BENEDETTO XVI. Discorso alla Congregazione per il Clero, 16/03/2009.
3 Cf. SANTO AFONSO MARIA DE LIGÓRIO.
A Selva. Porto: Fonseca, 1928, pag.6. L'Autore rimanda ai seguenti punti delle opere di San Tommaso: Summa Theologiæ, III, q.22, a.1, ad.1; Super Heb. c.5, lec. 1; Summa Theologiæ, II-II, q.184, a.8; Summa Theologiæ, Supl. q.36, a.1.
4 SANCTUS THOMAS AQUINAS, Summa Theologiæ, Supl. q.36, a.1.
5 SANCTUS THOMAS AQUINAS. IV Sent.
d.24, q.2.
6 PONTIFICAL ROMANO.
Rito de Ordenação de Diáconos, Presbíteros e Bispos, n. 123. São Paulo: Paulus, 2004.
7 SANCTUS THOMAS AQUINAS, Summa Theologiae, II-II, q.184, a.8., Resp.
8 Super Tit. c.2, lec.2.
9 Apud GARRIGOU-LAGRANGE, OP, Réginald.
De unione sacerdotis cum Christo sacerdote et victima. Roma: Marietti, 1948, pag. 42.
10 Presbyterorum ordinis, n.12.
11 GARRIGOU-LAGRANGE, OP, op. cit., pag.38.
12 ROYO MARÍN, OP, Antonio. Teología de la Perfección Cristiana.
Madrid: BAC, 2001, pag.848.
13 Idem, ibidem.
14 BENEDETTO XVI.
Omelia nella Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, 3/5/2009.
15 Cf. CHAUTARD, OCSO, Jean-Baptiste. A Alma de todo o apostolado.
Porto: Civilização, 2001, pagg.34-35.
16 SANCTUS THOMAS AQUINAS, Summa Theologiæ, III, q.79, a.5, Resp.
17 In: SÃO TOMÁS DE AQUINO. Suma Teológica.
São Paulo: Loyola, 2006, v.IX, pag.358. 18 Cf. ROYO MARÍN, OP, Antonio. Teología Moral para Seglares. Madrid: BAC, 1994, v.II, pag.158.
19 Parole di San Giovanni Maria Vianney, citate dal Papa Benedetto XVI nella Lettera per la Proclamazione dell'Anno Sacerdotale, del 16/6/2009.
20 GIOVANNI PAOLO II.
Lettera ai Sacerdoti, n.1, 13/05/2005.
21 BENEDETTO XVI. Lettera per la Proclamazione dell'Anno Sacerdotale, 16/6/2009.
22 GIOVANNI PAOLO II.
Op. cit., n.8, 13/3/2005.

(Rivista Araldi del Vangelo,Febbraio/2010, n. 82, p. 18 -23)

[SM=g1740722]

Caterina63
00venerdì 21 settembre 2012 13:04
persecuzione


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