IL TRISAGIO: antiche invocazioni alla Santissima Trinità tratte dalla Scrittura Sacra

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Caterina63
00martedì 30 marzo 2010 16:44
TRISAGIO: (s.m.) è l'Inno di lode a Dio tre volte santo, trae la sua origine dalla Bibbia e passato dalla prima usanza in ambiente ebraico-cristiano alla liturgia cristiana. [Dal greco tardo triságios, "tre volte santo" (composto di tris "tre volte" e hagios "santo"].

Si prega in questo modo:

V. Dómine, lábia mea apéries.
R. Et os meum annuntiábit laudem tuam.
V. Deus, in adiutórium meum inténde.
R. Dómine, ad adiuvándum me festína.
V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽ-cula sæculórum. Amen.

V. Sanctus Deus, Sanctus Fortis, Sanctus Immortális.
R. Miserére nobis.

Pater noster, etc.; dein novies

V. Tibi laus, tibi glória, tibi gratiárum áctio in sǽcula sempitérna, o beáta Trínitas.
R. Sanctus, sanctus, sanctus, Dóminus Deus exercí-tuum, pleni sunt cæli et terra glória tua.

Post has iaculatorias recitatur Glória Patri, etc. et rursum dicuntur novies eædem iaculatoriæ; quibus terminatis, ut prima vice, tertio item repetuntur, et in fine, post Glória Patri, dicitur:

Ant. Te Deum Patrem ingénitum, Te Fílium uni-génitum, Te Spíritum Sanctum Paráclitum, Sanctam et Indivíduam Trinitátem, toto corde et ore confitémur, laudámus atque benedícimus, Tibi glória in sǽcula.

V. Benedicámus Patrem, et Fílium, cum Sancto Spíritu.
R. Laudémus, et superexaltémus eum in sǽcula.

Oratio
Orémus. – Omnípotens sempitérne Deus, qui dedísti fámulis tuis in confessióne veræ fídei, ætérnæ Trinitátis glóriam agnóscere, et in poténtia maiestátis adoráre Unitátem: quǽsumus; ut eiúsdem fídei firmitáte ab ómnibus semper muniámur advérsis. Per Christum Dóminum nostrum. R. Amen.



Líbera nos, salva nos, vivífica nos, o beáta Trínitas!


[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740752]

(in italiano)

V. O Signore, apri le mie labbra.
R. E la mia bocca annunzierà la tua lode.
V. O Dio, vieni in mio aiuto.
R. Affrettati, o Signore, a soccorrermi.
V. Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
R. Come era nel principio e ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen.

V. Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale.
R. Abbi pietà di noi.

Padre nostro, ecc.; poi si dice per nove volte:

V. A Te lode, a Te gloria, a Te ringraziamenti nei se-coli eterni, o beata Trinità.
R. Santo, Santo, Santo il Signore Dio degli eserciti, i cieli e la terra sono pieni della tua gloria.

Quindi si conclude col Gloria al Padre. La seconda e la terza decade si recitano come la prima, iniziando da Santo Dio, ecc. Infine si dice:

Ant. Te, Dio Padre non generato, Te Figlio unigenito, Te Spirito Santo Paraclito, Santa e Individua Trinità, con tutto il cuore e la bocca confessiamo, lodiamo e benediciamo; a Te gloria nei secoli.

V. Benediciamo il Padre e il Figlio con lo Spirito Santo.
R. Lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.

Orazione
Preghiamo. – Dio onnipotente ed eterno, che nella professione della vera fede hai concesso ai tuoi servi di conoscere la gloria dell’eterna Trinità e di adorarne l’Unità nella tua sovrana potenza, Ti preghiamo di poter essere, nella fermezza della stessa fede, sempre protetti contro ogni avversità. Per Cristo nostro Signore. R. Amen.

Liberaci, salvaci, vivificaci, o beata Trinità!


La Tradizione vi ha aggiunto la Santissima Madre di Dio quale Antifona di chiusura a sigillare l'Onnipotenza della Trinità nella Creatura che in Maria celebra il suo compimento perfetto:

Antifona finale:

Ave Figlia di Dio Padre,

Ave Maria, Madre di Dio Figlio,

Ave Sposa dello Spirito Santo,

Santuario della Santissima Trinità.
Caterina63
00martedì 30 marzo 2010 16:51
Il Trisagio è anche il "Tre volte Santo" che intoniamo nella Messa prima della Consacrazione:

Santo, Santo, Santo Dio dell'Universo.
I Cieli e la terra sono pieni della Tua gloria;
Osanna nell'alto dei Cieli.
Benedetto Colui che viene nel nome del Signore,
Osanna nell'alto dei cieli!



Spiegazione
della
Santa Messa
di Dom Prosper Guéranger O.S.B
Abate di Solesmes (1805-1875)


XX - SANCTUS

II Trisagio è il cantico che udì Isaia quand'ebbe la visione celeste e, dopo di lui, san Giovanni, come ci narra egli stesso nella sua Apocalisse (4,8). La Chiesa non poteva mettere questo cantico celeste al principio della celebrazione, quando ci siamo confessati peccatori dinanzi a Dio e a tutta la corte celeste.

Che dicono dunque gli Angeli? Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth. Celebrano la santità di Dio. Ma come la celebrano? Nella maniera più perfetta: adoperano il superlativo, dicendo per tre volte di seguito che Dio è veramente santo. Ritroviamo il cantico del Trisagio nel Te Deum: Tibi Cherubim et Seraphim incessabili voce proclamant: Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth.

Perché applichiamo a Dio la triplice affermazione della santità? Perché la santità è la principale delle perfezioni divine: Dio è santo per essenza.

Già nell'Antico Testamento, il profeta Isaia udì questo cantico degli Angeli, e più tardi, nel Nuovo Testamento, ce ne parla Giovanni, il discepolo prediletto, nella sua Apocalisse. Dio è dunque veramente santo, ed Egli medesimo si compiace di rivelarcelo. Ma alla santità va unita un'altra qualità: Sanctus Dominus Deus Sabaoth, "Santo è il Signore, Dio degli eserciti"; come se si dicesse: Deus sanctus et fortis. Dunque, due qualità in Dio: la santità e la forza. S'adopera l'espressione Deus Sabaoth o Deus exercituum, "Dio degli eserciti", perché niente è più forte d'un esercito che sormonta tutti gli ostacoli, supera tutte le difficoltà e passa sopra a tutto, e ciò esprime perfettamente la forza di Dio. Dunque, Dio è santo e forte, tanto forte quanto santo e tanto santo quanto forte.

Questo cantico angelico ha preso il nome di "Trisagio", termine che deriva da agios, "santo", e da treis, "tre": "Dio tre volte santo".
Nell'Antico Testamento esso costituiva una definizione della Santissima Trinità, perché è come se si dicesse: "Santo è Dio Padre, Santo è Dio Figlio, Santo è Dio Spirito Santo".

Ma, per intravedere questo, bisognava essere molto colti e conoscere le Scritture; e non vi erano che pochi dottori in possesso d'una tale conoscenza. O, talvolta, era piaciuto a Dio d'infonder una tale conoscenza in alcune anime privilegiate a cui si degnava di comunicar i suoi lumi. Tra i Giudei vi sono sempre state di queste anime privilegiate.

Dopo aver confessato la santità e la forza di Dìo, la Chiesa ag?giunge: Pieni sunt caeli et terra gloria tua. Non v'è nulla di più sublime per esprimere la gloria di Dio. Infatti, non v'è angolo della terra dove la gloria di Dio non brilli e risplenda; tutto è opera della sua potenza e tutto lo loda e lo glorifica.

La santa Chiesa, contemplando in un trasporto di giubilo la gloria e la potenza di Dio, esclama: Hosanna in excelsis. Così gridavano i Giudei, secondo quanto ci dice la Scrittura, quando, la Domenica delle Palme, Gesù entrava trionfante in Gerusalemme. Osanna filio David, gridava il popolo: sì, Hosanna, che significa "saluto" e "rispetto". Unendo questo saluto al Sanctus, la Chiesa ha costituito un solo brano liturgico. Hosanna in excelsis, "saluto e rispetto nell'alto dei cieli", senza permettere che alcuna dì tali espressioni così belle e significative cadesse in oblio.

Come al principio della Messa la Chiesa ci ha unito agli Angeli per mezzo delle suppliche del Kyrie, vero grido di tristezza, così ora vuole che ci uniamo di nuovo ai cori angelici, ma in tutt'altra maniera. Essendo già penetrata nei misteri, essa è vicina a raggiunger il loro possesso completo. Per questo è presa dall'entusiasmo e pensa unicamente a cantar al suo Dio: Sanctus, Sanctus, Sanctus, Hosanna in excelsis.

Era senza dubbio lodevole che i Giudei cantassero l'Hosanna mentre Gesù scendeva dal monte degli Olivi, arrivando a Gerusalemme e traversando la Porta Aurea: tutto era in armonia ed annunziava il trionfo. Ma, in realtà, è ancor più opportuno cantarlo qui, nel momento in cui il Figlio di Dio sta per discender in mezzo a noi che abbiamo la grazia di conoscerlo! È vero, infatti, che i Giudei dicevano: Hosanna filio David, ma non lo conoscevano; dopo pochi giorni, infatti, gridano contro di Lui: Tolle tolle, crucifìge eum.
Tutte le Chiese, a qualunque liturgia appartengono, qualunque rito seguono, hanno questo Trisagio.

Anticamente il Sanctus si cantava nel medesimo tono del Prefazio e si aveva il tempo sufficiente per dirlo intero prima della Consacrazione e di aggiungervi le parole: Benedictus qui venit in nomine Domini. Più tardi si composero canti più ornati, e dunque più lunghi. Da qui è venuto l'uso di divider il brano in due parti, perché poteva accadere che la Consacrazione avesse luogo prima d'averlo terminato. Il coro sospende dunque il canto alla parola Benedictus, che riprende dopo la consacrazione. E così questa frase, che prima si considerava come un saluto a Colui che doveva venire, diviene un saluto a Colui che è già venuto.

Il sacerdote, al contrario, recita immediatamente dopo il Trisagio queste parole: Benedictus qui venit in nomine Domini e, pronunziandole, traccia su se medesimo il sacro segno della nostra Redenzione per esprimere che quelle parole si applicano a Gesù Cristo. Tuttavia, la recita del Sanctus e del Benedictus da parte del sacerdote non deve considerarsi come un uso relativamente recente, come abbiamo detto parlando dell'Introito. Abbiamo veduto, infatti, il Sanctus recitato da alcuni sacerdoti di rito orientale; ora, è noto che le liturgie orientali hanno conservato quasi senza modifiche i riti da esse adottati sin dalla più remota antichità.



www.hancigitur.net/gueranger_santa_messa/20_gueranger.htm


Caterina63
00domenica 19 giugno 2011 14:42

La Santissima Trinità dal Vangelo secondo S. Giovanni

Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.


“In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.” (Gv. 1, 1)

“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre” (Gv. 1, 14)

"Io e il Padre siamo una cosa sola" (Gv. 10, 30);

“Chi vede me vede il Padre" (Gv. 14, 19);

“Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.” (Gv. 1, 18);

“Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre" (Gv. 6, 46);

“Io so le cose del Padre mio, perchè il Padre che è in me me le ha rivelate" (Gv. 12, 50);

“perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi." (Gv 15,15);

“Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato” (Gv. 5, 23);

“Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno.” (Gv. 6, 40);

"Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio" (Gv. 8, 19);

“come il Padre conosce me e io conosco il Padre” (Gv. 10, 15);

"perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre". (Gv. 10, 38)

"Gli disse Tommaso: "Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?". Gli disse Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto". Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Gli rispose Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò. Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel
Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui"." (Gv. 14, 5-21)

“Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre". Gli dicono i suoi discepoli: "Ecco, adesso parli chiaramente e non fai più uso di similitudini. Ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t'interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio". Rispose loro Gesù: "Adesso credete? Ecco, verrà l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. (Gv. 16, 28-32);

“io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi (Gv. 17, 11);

“Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. (Gv. 17, 21);

“Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo.(Gv. 17, 21)

“Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio". (Gv. 1, 32-34)

"Infatti colui che Dio ha mandato proferisce le parole di Dio e dà lo Spirito senza misura. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa." (Gv. 3, 34-35);

"Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà" (Gv. 16, 13-15)

“È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita (Gv. 6, 63);

“Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio. (Gv. 15,26-27)

Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato. (Gv. 8, 39)

“Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi (Gv. 14, 15-18);

“Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. (Gv. 14, 25-26);

"Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi"."Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". (Gv. 20, 22-23)

Santissima Trinità incorona Maria Regina

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Caterina63
00domenica 19 giugno 2011 14:47
Un passo dell'Omelia del Papa tenuta oggi, 19.6.2011 sulla Santissima Trinità, nella Santa Messa celebrata in visita Apostolica a san Marino


Celebriamo oggi la festa della Santissima Trinità: Dio Padre e Figlio e Spirito Santo, festa di Dio, del centro della nostra fede. Quando si pensa alla Trinità, per lo più viene in mente l’aspetto del mistero: sono Tre e sono Uno, un solo Dio in tre Persone. In realtà Dio non può essere altro che un mistero per noi nella sua grandezza, e tuttavia Egli si è rivelato: possiamo conoscerlo nel suo Figlio, e così anche conoscere il Padre e lo Spirito Santo.

La liturgia di oggi, invece, attira la nostra attenzione non tanto sul mistero, ma sulla realtà di amore che è contenuta in questo primo e supremo mistero della nostra fede.

Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono uno, perché amore e l’amore è la forza vivificante assoluta, l’unità creata dall’amore è più unità di un’unità puramente fisica. Il Padre dà tutto al Figlio; il Figlio riceve tutto dal Padre con riconoscenza; e lo Spirito Santo è come il frutto di questo amore reciproco del Padre e del Figlio. I testi della Santa Messa di oggi parlano di Dio e perciò parlano di amore; non si soffermano tanto sul mistero delle tre Persone, ma sull’amore che ne costituisce la sostanza e l’unità e trinità nello stesso momento.

Il primo brano che abbiamo ascoltato è tratto dal Libro dell’Esodo - su di esso mi sono soffermato in una recente Catechesi del mercoledì - ed è sorprendente che la rivelazione dell’amore di Dio avvenga dopo un gravissimo peccato del popolo. Si è appena concluso il patto di alleanza presso il monte Sinai, e già il popolo manca di fedeltà. L’assenza di Mosè si prolunga e il popolo dice: «Ma dov’è rimasto questo Mosé, dov’è il suo Dio?», e chiede ad Aronne di fargli un dio che sia visibile, accessibile, manovrabile, alla portata dell’uomo, invece di questo misterioso Dio invisibile, lontano. Aronne acconsente e prepara un vitello d’oro. Scendendo dal Sinai, Mosè vede ciò che è accaduto e spezza le tavole dell’alleanza, che è già spezzata, rotta, due pietre su cui erano scritte le "Dieci Parole", il contenuto concreto del patto con Dio. Tutto sembra perduto, l’amicizia subito, fin dall’inizio, già spezzata. Eppure, nonostante questo gravissimo peccato del popolo, Dio, per intercessione di Mosè, decide di perdonare ed invita Mosè a risalire sul monte per ricevere di nuovo la sua legge, i dieci Comandamenti e rinnovare il patto. Mosè chiede allora a Dio di rivelarsi, di fargli vedere il suo volto. Ma Dio non mostra il volto, rivela piuttosto il suo essere pieno di bontà con queste parole: «Il Signore, Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,8). E questo è il Volto di Dio. Questa auto-definizione di Dio manifesta il suo amore misericordioso: un amore che vince il peccato, lo copre, lo elimina. E possiamo essere sempre sicuri di questa bontà che non ci lascia. Non ci può essere rivelazione più chiara. Noi abbiamo un Dio che rinuncia a distruggere il peccatore e che vuole manifestare il suo amore in maniera ancora più profonda e sorprendente proprio davanti al peccatore per offrire sempre la possibilità della conversione e del perdono.

Il Vangelo completa questa rivelazione, che ascoltiamo nella prima lettura, perché indica fino a che punto Dio ha mostrato la sua misericordia. L’evangelista Giovanni riferisce questa espressione di Gesù: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (3,16).

Nel mondo c’è il male, c’è egoismo, c’è cattiveria e Dio potrebbe venire per giudicare questo mondo, per distruggere il male, per castigare coloro che operano nelle tenebre. Invece Egli mostra di amare il mondo, di amare l’uomo, nonostante il suo peccato, e invia ciò che ha di più prezioso: il suo Figlio unigenito.

E non solo Lo invia, ma ne fa dono al mondo. Gesù è il Figlio di Dio che è nato per noi, che è vissuto per noi, che ha guarito i malati, perdonato i peccati, accolto tutti. Rispondendo all’amore che viene dal Padre, il Figlio ha dato la sua stessa vita per noi: sulla croce l’amore misericordioso di Dio giunge al culmine. Ed è sulla croce che il Figlio di Dio ci ottiene la partecipazione alla vita eterna, che ci viene comunicata con il dono dello Spirito Santo. Così, nel mistero della croce, sono presenti le tre Persone divine: il Padre, che dona il suo Figlio unigenito per la salvezza del mondo; il Figlio, che compie fino in fondo il disegno del Padre; lo Spirito Santo - effuso da Gesù al momento della morte - che viene a renderci partecipi della vita divina, a trasformare la nostra esistenza, perché sia animata dall’amore divino.

Pope Benedict XVI leaves after celebrating a mass at the Olympic  stadium in Serravalle June 19, 2011.




Caterina63
00sabato 8 ottobre 2011 20:02

Il Signore, che è tre volte santo


Santo, santo, santo... Tre volte santo è il Signore Dio nostro. E quante volte abbiamo ascoltato, prima della Consacrazione, queste parole! Queste solenne ripetizioni, forse, ci hanno fatto perdere di vista (almeno un po') il senso e l'importanza di questo cantico. Non pare quindi inutile soffermarvicisi sopra un poco.
Anzitutto ci chiediamo: da dove derivano queste parole? Chi le ha composte? E scopriamo che esse provengono direttamente dalla Sacra Scrittura. Infatti, se apriamo il libro del profeta Isaia (il quale visse nell'VIII secolo prima di Cristo), troviamo parole speculari al testo liturgico: “Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della Sua gloria.” (Is 6, 3) (nota 1). E la parte successiva, cioè il Benedictus, è anch'essa di origine biblica: “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!” è infatti il grido di esultanza che la folla rivolge a Gesù quando entra a Gerusalemme (Mt 21, 9) (nota 2). Alla prima parte (Sanctus) è stato aggiunta l'invocazione “Osanna nel più alto dei cieli”, in maniera simmetrica rispetto alla seconda parte.
Come si sarà già potuto notare, il testo liturgico è molto simile a quello della Parola di Dio. In latino abbiamo “Sanctus, sanctus, sanctus Dominus Deus Sabaoth. Pleni sunt cæli et terra gloria Tua. Hosanna in excelsis. Benedictus qui venit in nomine Domini. Hosanna in excelsis.” La traduzione italiana utilizzata nella liturgia è “Santo, santo, santo il Signore Dio dell'universo. I cieli e la terra sono pieni della Tua gloria. Osanna nell'alto dei cieli. Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell'alto dei cieli.
Come abbiamo visto, il Sanctus deriva da un passo di Isaia. In esso leggiamo che, nell'anno della morte del re Ozia (ca. 740 a.C.), ebbe una visione, in cui vide Dio seduto sul trono. Attorno a Lui v'erano alcuni serafini, che proclamavano l'un l'altro le parole che abbiamo riportato sopra. Il testo liturgico, rispetto a quello biblico, aggiunge un “Deus” tra “Dominus” e “Sabaoth”. Inoltre, mentre nella Scrittura si parla della la gloria del Signore che riempie la sola terra, nella liturgia è stato aggiunto un riferimento anche ai “cieli”, anch'essi ripieni della stessa gloria.
Un'espressione simile la troviamo in Ap 4, 8 ove i “quattro viventi” (nota 3) che stanno “in mezzo e intorno al trono” di Dio proclamano un'invocazione simile “Santo, santo, santo il Signore Dio, l'Onnipotente, Colui che era, che è e che viene!”.
E' quindi del tutto evidente che le parole del Sanctus vogliono riprendere direttamente la liturgia celeste (nota 4), che è intrinsecamente connessa a quella terrena (nota 5).
Vediamo il testo, dunque. Anzitutto, troviamo il triplice grido “Santo, santo, santo”. E' il Signore che è tre volte santo. Perché questa ripetizione?
Anzitutto i Padri vi hanno visto un riferimento all'augusto mistero della Trinità: santo è il Padre, santo è il Figlio, santo è il Paraclito (nota 6).
In secondo luogo, esso è un sottolineare la grandiosa santità di Dio: poiché infatti il numero tre è simbolo di pienezza (nota 7). E nella Sacra Scrittura uno dei temi più importanti è proprio l'evidenziazione della santità di Dio (nota 8).
In terzo luogo, possiamo considerare che la santità di Dio tocca anche noi, poveri peccatori: “siate santi, perché Io sono santo” (Lv 11, 44-45) afferma il Signore. Mentre dunque proclamiamo con la bocca la santità di Dio, dovremmo cercare di conformarci ad essa, per quanto ce lo permetta la misera condizione umana.
L'espressione successiva serve ad esplicitare a chi si rivolge questa triplice invocazione: al “Signore Dio degli eserciti” (nota 9), dove quest'ultimo termine si intendono le schiere di angeli. A tal riguardo, giova ricordare che, poco prima, al termine del Prefazio, il sacerdote aveva umilmente proposto che l'assemblea della Chiesa pellegrina nel mondo si unisse ai cori celesti nella proclamazione dell'inno di lode. Dunque, prima un'invocazione trinitaria, poi un'invocazione all'unico Dio. Afferma Innocenzo III: “Tre volte si dice Sanctus e una volta sola si dice Deus, affinché si riconosca il mistero della Trinità e dell'unità.” (cfr. Legis et Sacramentis Eucharistiae, in PL 217, 858). Ma nella stessa opera si propone anche un'interpretazione un po' diversa per l'espressione “Sabaoth”: essa non indicherebbe solamente le schiere angeliche, ma anche la milizia della Chiesa (“Tot enim exercitus habet Deus in terra, quot sunt ordines in Ecclesia: tot abet in cœlis, quot ordines sunt in angelis”; cfr. PL 217, 839).
Poi si afferma che “i cieli e la terra sono pieni della Tua gloria”. Vien naturale qui chiedersi: che cos'è questa “gloria”? Rispondiamo con le parole del beato Giovanni Paolo II: “La Gloria di Dio è prima di tutto in lui stesso: è la gloria “interiore”, che, per così dire, riempie la stessa profondità illimitata e l’infinita perfezione dell’unica Divinità nella Trinità delle Persone. Questa perfezione infinita, in quanto pienezza assoluta di Essere e di Santità, è pure pienezza di Verità e di Amore nel contemplarsi e nel donarsi reciproco (e quindi nella comunione) del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Mediante l’opera della creazione la gloria interiore di Dio, che sgorga dal mistero stesso della Divinità, viene in un certo senso trasferita “al di fuori”: nelle creature del mondo visibile e di quello invisibile, in proporzione al loro grado di perfezione.” (nota 10) Nel nostro caso, sembra senz'altro che la “gloria di Dio” si riferisca a questo secondo significato, che la Catholic Encyclopedia indica “testimonianza che l'universo creato rivolge alla natura del suo Creatore, come un effetto rivela l'indole della propria causa.” Infatti, Dio ha creato, liberamente e per amore, tutte le cose (CCC 279, 290). “Tutte le cose visibili e invisibili” esistono perché partecipano all'essere di Dio: se non avessero ricevuto da Dio l'essere, esse semplicemente non esisterebbero (nota 11). Da questo deriva che “Ogni cosa che il Suo fiat ha chiamato all'esistenza è una copia [finita e imperfetta, ndr][...] di alcuni aspetti della Sua infinita perfezione. Ogni cosa riflette entro limiti fissi qualcosa della Sua natura e dei Suoi attributi.” (Catholic Encyclopedia).
Segue il primo “Osanna nell'alto dei cieli”. “Osanna” è un termine ebraico (hōshī ῾āh-nnā: “salva”: cfr. Enciclopedia Treccani, http://www.treccani.it/enciclopedia/osanna/) che indica gioia ed esultanza, che – con espressione immaginifica – prorompe con forza, supera i confini della terra e sale sino in cielo (che tradizionalmente indica la sede di Dio).
Si passa poi all'espressione “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore”. E' ripresa, come detto, dal grido della folla a Gesù che entra a Gerusalemme (Mt 21, 9). E' evidente che anche nella liturgia ci si riferisce al Figlio di Dio: è significativo, infatti, che queste parole vengano dette poco prima della Consacrazione, cioè del momento in cui Nostro Signore si fa realmente presente in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. E come può un cattolico non elevare il suo animo e la sua voce all'esultanza e al ringraziamento verso Cristo, che si è incarnato, ha patito atroci sofferenze e si è immolato sull'altare della Croce per salvare gli uomini dall'abisso del peccato in cui essi stessi, per disobbedienza e superbia, si erano cacciati? Nella già citata opera, Innocenzo III riferisce il Benedictus al mistero dell'Incarnazione: “poichè è veramente necessario alla salvezza eterna che si confessi pure il mistero dell'incarnazione, rettamente si soggiunge [al Sanctus, ndr] Benedictus qui venit in nomine Domini.” (PL 217, 840).
Infine, una nuova, solenne ripetizione dell'intima felicità del cristiano: “Osanna nell'alto dei cieli”. Non aggiungiamo altro, qui, a quanto già detto in merito sopra.
A conclusione, possiamo esaminare brevemente la questione da un punto di vista della storia della liturgia.
La prima parte, il Sanctus cioè, è veramente un testo antichissimo, attestato forse già nel primo secolo dell'era cristiana (alcuni interpretano in questo modo un passo della lettera di san Clemente Romano ai Corinzi, cap. XXXIV) ed è attestato con sicurezza a partire dal IV secolo. Il Benedictus è più tardo (VI-VII secolo). Generalmente essi erano cantati dal popolo, almeno sino al VII secolo e in alcuni luoghi fino quantomeno al XII. Venivano cantati assieme sino al XVI secolo, quando furono separati: il Sanctus si cantava subito dopo il Prefazio, come oggi, mentre il Benedictus era spostato a dopo l'elevazione delle Sacre Specie. Una delle ragioni di questa pratica, probabilmente, è da ricercarsi nello sviluppo della musica medievale, che provvedeva ad utilizzare tropi e melodie piuttosto complesse, che prolungavano alquanto il canto: forse si preferì di conseguenza spostarne una parte più in là (nota 12).
A partire dal XIII secolo è documentato l'uso di accompagnare il canto col suono dei campanelli (nella forma straordinaria del rito romano è rimasto l'uso di suonare tre colpi, proprio di campanello, al Sanctus: evidente di fare un triplice segnale). Costume probabilmente più antico è quello del celebrante di inchinarsi (anche quest'uso si conserva nella forma straordinaria, anche se non si estende al Benedictus) e di farsi un segno di croce al Benedictus medesimo (quest'ultima pratica è documentata almeno a partire dall'XI secolo).


Bibliografia: J. A. Jungmann S.J., Missarum Sollemnia. Origini, liturgia, storia e teologia della Messa romana, Torino, Marietti, 1953 (II ed.).

Cornelio a Lapide (1567-1637), Comentaria in scripturam sacram, Parigi, Apum Ludovicum Vives, Bibliupolam Editorem, 1891.

The Catholic Encyclopedia, voll. 15, New York, Rober Appleton Company, 1907-12.


(nota 1) La traduzione riportata è quella Cei 2008, praticamente identica alla Cei 1974 (“Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della Sua gloria.”). Il testo della Vulgata (inizio V secolo) ha “Sanctus Sanctus Sanctus Dominus exercituum plena est omnis terra gloria eius” (la Nova Vulgata – anno 1979 – mantiene questa medesima traduzione). La traduzione dei LXX ha “Ἅγιος ἅγιος ἅγιος κύριος σαβαωθ, πλήρης πᾶσα ἡ γῆ τῆς δόξης αὐτοῦ.” Il testo della Bibbia Ebraica ha “קָדוֹשׁ קָדוֹשׁ קָדוֹשׁ יְהוָה צְבָאוֹת; מְלֹא כָל-הָאָרֶץ, כְּבוֹדוֹ”.

(nota 2) La traduzione riportata è quella Cei 2008 (la Cei 1974 è identica). La Vulgata ha “Benedictus qui venturus est in nomine Domini osanna in altissimis", mentre la Nova Vulgata “Benedictus, qui venit in nomine Domini! Hosanna in altissimis!” Il testo greco del Nuovo Testamento ha “εὐλογημένος ὁ ἐρχόμενος ἐν ὀνόματι κυρίου, ὡσαννὰ ἐν τοῖς ὑψίστοις”.

(nota 3) Si tratta di quattro angeli delle più alte schiere.

(nota 4) “Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste […] insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo al Signore l'inno di gloria” (Sacrosanctum Concilium, 8).

(nota 5) “Essa [la liturgia terrena, ndr] è l'entrare nella liturgia celeste già da sempre in atto. La liturgia terrena è liturgia solo per il fatto che si inserisce in ciò che già c'è, in ciò che è più grande.” (Joseph Ratzinger, Cantate al Signore un canto nuovo, Milano, Jaca Book, 1996, p. 157)

(nota 6) Cfr. ad es. san Giovanni Damasceno, De hymno Trisagio epistola (PG 95, 26): “santo, santo, santo, e tre Persone sono celebrate in una medesima gloria”; Ps. Agostino, De fide ad Petrum sive De regula veræ fidei, lib. I, cap. I (PL 40, 755): “Hanc Trinitatem personarum atque unitatem naturæ propheta Isaias revelatam sibi non tacuit, cum se dicit Seraphim vidisse clamantia: Sanctus, sanctus, sanctus Dominus Deus sabaoth (Isai. VI, 3). Ubi prorsus in eo quod dicitur tertio, Sanctus, personarum Trinitatem”.

(nota 7) Cfr. ad es. Gianfranco Ravasi, Cinquecento curiosità sulla fede, Milano, Mondadori, 2009, p. 290. Nozione presente anche nella filosofia greca: cfr. Aristotele, De cælo, lib. I, cap. I, § 2.

(nota 8) A titolo esemplificativo: Lv 11, 44-45; 19, 2; 20, 26; 21, 8; Gs 24, 19; 1 Sam 2, 2; 2 Mac 14, 36; Sal 70, 22; 77, 41; 98, 3; 144, 17; Sir 36, 3; Is 5, 16; 8, 13; 43, 15; Ez 20, 41; 39, 7; Os 11, 9; Ab 1, 12; Mc 1, 24; Lc 1, 35; 4, 34; Gv 6, 69; 17, 11; 20, 22; Ap 6, 10; 15, 4; 16, 5.

(nota 9) Il testo masoretico ha יְהוָה צְבָאוֹת, cioè “Signore delle schiere, delle armate”; il termine usato per indicare le schiere, pronunciato ṣĕbā’ōt (cfr. Enciclopedia Treccani, www.treccani.it/enciclopedia/sabaoth/), passò per semplice traslitterazione al greco (i LXX hanno “ κύριος σαβαωθ” - pr. Kyrios Sabaoth) e poi alla liturgia.

(nota 10) Cfr. Udienza generale del 12 marzo 1986.

(nota 11) Cfr. Roberto Coggi O.P., Dio creatore, gli angeli e l'uomo, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 2002, p. 30-31.

(nota 12) Nell'usus antiquior la regola attuale per le Sante Messe in canto è questa: se il canto del Sanctus e del Benedictus è fatto con la melodia gregoriana, esso va svolto di seguito; se invece si utilizza una melodia diversa, il Sanctus si fa subito dopo il Prefazio, mentre il Benedictus si sposta a dopo la Consacrazione (cfr. Instructio De musica sacra, 27/d, 3 settembre 1958). Cfr. Cuneo-Di Sorco-Mameli, Introibo ad altare Dei. Il servizio all'altare nella Liturgia Romana tradizionale, Verona, Fede & Cultura, 2008, p. 178-9.



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