IL VERO SPIRITO LITURGICO conferenza del card. Canizares Prefetto per il Culto

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Caterina63
00sabato 12 dicembre 2009 11:01

Gubbio: Incontro con il card. Canizares






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venerdì 11 dicembre 2009

Il card. Canizares alla conferenza di Gubbio

Dal nostro inviato, una relazione completa ed esauriente della conferenza tenuta il 28 novembre scorso a Gubbio da card. Cañizares Llovera, Prefetto della S. Congregazione per il Culto divino, sul tema Il vero spirito della Liturgia. Il culto cattolico alla luce del magistero di Benedetto XVI.


di R. D. A.

Sabato 28 novembre, alle ore 21,15, si è tenuta presso l'Hotel Beniamino Ubaldi di Gubbio la prima conferenza italiana di Sua Em.za Rev.ma Card. Antonio Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, invitato a parlare dall'Associazione Culturale “Benedetto XVI”, in collaborazione con la rivista Il Timone (il cui direttore, Giampaolo Barra, era presente) e con la Diocesi di Gubbio (guidata da Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Mario Ceccobelli, in sala assieme al predecessore Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Pietro Bottaccioli).

L'incontro è iniziato con la visione di un video che ha presentato i compiti della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e ha fornito un profilo biografico dell’oratore, il Card. Cañizares Llovera, nominato Prefetto della Congregazione appena menzionata da Papa Benedetto XVI nel dicembre 2008. In seguito hanno fatto il loro ingresso in sala il Prof. Luigi Girlanda (presidente della benemerita Associazione, già nota per altri convegni e iniziative simili) e il Card. Cañizares Llovera.

Dopo i saluti, il Cardinale ha subito introdotto il tema principale della conferenza: la Liturgia, definita “fonte e culmine” della vita cristiana ed ecclesiale dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium del Concilio Ecumenico Vaticano II, e certamente anche un importante argomento di dibattito soprattutto in questi ultimi anni. Il Prefetto ha dichiarato, in maniera semplice e lineare, che la Chiesa e l'intera umanità non possono prescindere dalla Liturgia, e che, se e quando Essa è in crisi e pericolo, è in crisi e in pericolo tutta la Chiesa.

La Liturgia (dal greco λειτουργία, ovvero “servizio per gli altri”), secondo l'insegnamento tradizionale, è il vero ed efficace servizio a Dio (di lode e glorificazione) e al prossimo (di aiuto, preghiera e santificazione), e non è una mera e semplice creazione umana, ma deriva da Cristo e dagli Apostoli stessi, dai primi Padri e dai primi cristiani. La Liturgia è l'architrave della Chiesa e, si può dire, del pontificato di Benedetto XVI che, attraverso l’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis e il Motu Proprio Summorum Pontificum (entrambi del 2007), ha voluto riporre in auge l'antico principio per cui alla lex orandi corrisponde la lex credendi e quello della Liturgia intesa come vero culto a Dio e servizio a Cristo, puntando la sua attenzione sul senso del sacro, dell'adorazione, del mistero che ne sono propri.

La Costituzione del Concilio Vaticano II dedicata alla Liturgia, la Sacrosanctum Concilium (che deve essere interpretata in continuità rispetto alla tradizione precedente), è la prima nell'elenco, a significare l'importanza che la Liturgia, ovvero l'adorazione, la comunione e la partecipazione di Dio in Spirito e Verità (come indicato nel Vangelo di Giovanni), ha nella vita e nella vocazione del cristiano.

L'Eucaristia è a ragione definita fonte viva di santità, la cui unica origine è Dio; la Liturgia è stata infatti il nutrimento vivo e vero – come vivi e veri sono il Pane e il Vino consacrati – di innumerevoli persone e innumerevoli Santi: basti pensare, aggiungo io, a San Giovanni Maria Vianney e a S. Pio da Pietrelcina, a Sant'Isidoro il Contadino e al Servo di Dio Pierre Toussaint (che si alzavano prestissimo per partecipare alla Messa mattutina), ai Santi Martiri di Gorkum e a San Giovanni Maria Scolarici, martirizzati gli uni dai protestanti, l'altro dai musulmani, per la loro difesa della Messa e dell'Eucaristia; ai tanti lavoratori che si alzano presto per partecipare alla prima Messa della giornata, ai malati che trovano forza e nutrimento nel Corpo di Cristo, ai carcerati e ai poveri che ricevono Cristo da santi sacerdoti che spendono la propria vita per gli altri, alle famiglie che partecipano unite alle celebrazioni eucaristiche.

Si pone però il problema del soggetto della Liturgia: siamo noi, i singoli, la comunità, il sacerdote – certo importanti – ad essere i protagonisti, o forse protagonisti sono Dio e il Suo Agnello immolato, Gesù Cristo? La risposta non può che essere una sola: il vero e unico protagonista è Dio, e segni della Sua presenza e centralità sono l'Altare e il Crocifisso, cui tutti, comunità e sacerdote, devono guardare.

Come esposto prima, i fini ultimi della Liturgia sono da una parte il riconoscimento e la glorificazione di Dio, dall’altra la salvezza e la santificazione degli uomini: questo, in Oriente e in Occidente, dai primordi dell'era cristiana ai giorni nostri, fino alla fine del mondo, è e sarà sempre.

Se il Concilio Vaticano II era stato molto chiaro sulla Liturgia, sulla Chiesa, sull'autorità del Papa e dei Vescovi, purtroppo meno lo è stato il post-Concilio, che ha visto un’interpretazione ed un’attuazione dei dettami dei Padri Conciliari non pienamente rispondente alla loro effettiva volontà. Si sono diffusi un certo e malsano antropocentrismo (ben diverso – mi viene da dire – dall’umanesimo cristiano autentico, espresso nelle meravigliose opere di Sant'Agostino d'Ippona, San Tommaso d'Aquino, Marsilio Ficino, e ancora più diverso dall'Incarnazione e dalla Passione del Figlio di Dio, meravigliosamente chiamato Filantropo nelle splendide Liturgie Orientali) e una non piena comprensione della Sacrosanctum Concilium (che auspicava piccoli e accorti ritocchi, pur nel solco della Tradizione, non grandi modifiche): è da questo che è scaturita quell’“apostasia silenziosa” denunciata da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, e ancor prima da Paolo VI con il famoso discorso del “fumo di satana”.

Joseph Ratzinger – che incentra molto la Sua visione teologica sulla oratio rationabilis, in greco λογική λατρεία – ha lanciato una dichiarazione forte: “Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipenda in gran parte dal crollo della Liturgia, che talvolta viene addirittura concepita etsi Deus non daretur: come se in Essa non importasse più se Dio c'è e ci parla e ci ascolta”. Infatti, il problema è questo, come esposto dal Card. Cañizares Llovera: quando è l'uomo a creare la Liturgia (luogo dell'incontro reale con Dio), il Suo vero senso si perde irrimediabilmente; purtroppo è avvenuto proprio questo in questi ultimi quarant’anni, dimenticando le dichiarazioni dei Papi e del Concilio stesso. A queste errate concezioni di Riforma e Tradizione, si sono rese necessarie un’‘Ermeneutica della continuità’ rispetto al passato, e una volontà di scoprire e condividere con tutti i cristiani il patrimonio della Liturgia, come nelle intenzioni del migliore Movimento Liturgico (nato con il Servo di Dio Prosper Guéranger e proseguito e incoraggiato da San Pio X e dal Venerabile Pio XII) e del Concilio Vaticano II stesso.

Compito della Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, fondata da Gesù su Pietro e la Sua Fede in Lui, è la trasmissione della Fede, e non si può trasmettere la Fede senza la Liturgia, centro irrinunciabile della Chiesa e di ogni altro uomo.

Benedetto XVI propone e ripropone (mi sia concesso un po' di latinorum...: Tradidi quod et accepi; ...repetita iuvant...) il Vangelo come cuore della teologia, troppo spesso ridotta a mera sociologia e psicologia, e la Liturgia come cuore della Chiesa; e la Liturgia viene identificata nella Tradizione (un regalo, un lascito dei nostri padri, che ci deriva da Gesù e dai Suoi Apostoli stessi) che, assieme alle Scritture e al Magistero vivo e vero dei Pontefici successori di Pietro, è la fonte della Verità (Nulla Veritas sine Traditione).

Con la Liturgia, l'Eucaristia e il Vangelo (cuori vivi e centri della Chiesa) si pone al centro della Chiesa e di ognuno di noi nostro Signore Gesù Cristo, e solo chi non ne ha una visione riduttiva, parziale e anche ideologica (e, quindi, come credo, bisogna fuggire da ogni progressismo come da ogni tradizionalismo) lo può comprendere, amare e trasmettere.

Nella società secolarizzata di oggi, più ancora che ieri, si è reso necessario adorare e testimoniare Dio (Somma Sapienza e Sommo Amore) e Cristo (Alpha et Omega, Principio e Fine di tutto): ricordiamoci che Gesù ha detto che si sarebbe vergognato di noi nell'Ultimo Giorno, se anche noi ci fossimo vergognati di Lui durante la vita terrena; ricordiamoci anche che il miglior modo per adorare e testimoniare Dio e Cristo sta nella Liturgia, che appunto lo mette al centro (San Bernardo di Clairvaux aveva detto: “Sappi, o cristiano, che si merita di più ascoltando devotamente una S. Messa che col distribuire ai poveri le proprie sostanze e col girare pellegrinando tutta la terra”).

Legato alla Liturgia è anche il problema dell'actuosa participatio, ovvero della partecipazione attenta e sensibile, ognuno secondo il proprio ruolo e la propria sensibilità: oggi, purtroppo, come ha affermato Benedetto XVI più di una volta (l'ultima nel discorso ai Vescovi brasiliani del settembre del 2009), si rischia la clericalizzazione dei laici e la laicizzazione dei sacerdoti, a discapito della distinzione tra laici e sacerdoti (nei Vangeli e negli Atti è molto chiara la distinzione tra Apostoli e Discepoli), uniti nella stessa missione e nella stessa Chiesa, con compiti diversi ma ugualmente degni e importanti.

Un altro problema è la concezione dell'Eucaristia come ‘solo’ Banchetto e non come anzitutto Sacrificio: che la Messa sia ‘anche’ l'Assemblea dei fedeli e la Santa Cena (questo termine non l'han certo inventato i protestanti!) è vero, ma la Messa è prima di tutto Sacrificio; il Sacrificio vivo, vero e incruento di Gesù, che su ogni Altare, in ogni Messa, si ripropone unito a quello del Calvario; ed è anzi dal Sacrificio che deriva la Cena, il Banchetto e la festa per la Resurrezione. Non c'è quindi alcuna distinzione o contraddizione, se non nelle menti di certi teologi, tra Cena e Sacrificio, e ancor di più, tra Cristo e la Chiesa.

Ricordiamoci quindi le parole dei Padri e dei Dottori: secondo San Cipriano di Cartagine, “La Liturgia è medicina per sanare le infermità ed olocausto per pagare le colpe”, e secondo San Giovanni Crisostomo “La Liturgia ha in certa maniera tanto pregio, quanto ne ebbe per le anime nostre la morte di Gesù Cristo sulla Croce”.

Ciò che Pio XII temeva e denunciava nella Mediator Dei, l'insano ‘archeologismo liturgico’, sembra quasi diventato realtà, appunto con la riduzione della Messa a sola Cena: ma, come ha opportunamente fatto notare il Cardinale, l'Ultima Cena di Gesù è il fondamento teologico (Accipite, et manducate ex hoc omnes. Hoc est enim Corpus meum...Accipite et bibite ex eo omnes. Hic est enim Calix Sanguinis mei, novi et aeterni Testamenti), non liturgico, della Messa. La Liturgia, infatti, si forma nei tempi apostolici e proto cristiani: San Paolo nelle Lettere, San Giustino nelle sue opere, e le testimonianze pittoriche distinguono chiaramente la Cena del Signore dalla Cena della comunità.

La Messa ha una dimensione tutta particolare nella preghiera: ricordiamoci che Gesù inizia la Passione, nel Cenacolo e nell'Orto degli Ulivi, pregando, così come la finisce pregando sulla Santa Croce. Anche qui non c'è contraddizione e distinzione tra Scientia, Theologia Crucis e Mysterium Paschae, come ricordato in meravigliose pagine di Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) e di Hans Urs Von Balthasar.

Le interpretazioni del dopo Concilio hanno portato a dare una sorta di primato alla certo importante comunità, più che a Dio (sembrerebbe così che è la comunità a fare la Liturgia, mentre invece è da Dio che essa deriva), e alla perdita del vero senso della Messa (la gloria a Dio e la salvezza per gli uomini), insieme al senso di adorazione e preghiera che prima accompagnavano tutta l'Eucaristia.

Assieme al problema della ‘concezione’ dell'Eucaristia, sta anche il problema della sua ‘ricezione’, che non può che essere adorazione e intima e vera comunione con Cristo (come sottolineato più volte dai Santi Padri e Dottori Agostino d'Ippona, Ambrogio di Milano e Massimo di Torino). La ricezione dell'Eucaristia pone la questione del comportamento e delle azioni del cristiano, nella vita (come non pensare al Papa e alla sua Sacramentum Caritatis, o allo stesso severo ammonimento di Gesù “Perchè mi chiamate Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico”?), e nella Messa ancor di più (basti pensare all'ammonimento, poi ripreso in preghiere bizantine e latine prima della somministrazione della Comunione, di San Paolo: l’Apostolo scriveva che chi riceve il Corpo e il Sangue di Cristo in maniera indegna riceve la propria condanna): e qui rientra in gioco il vivere la Messa, ovvero la tanto famosa, e abusata, actuosa participatio.

La partecipazione actuosa è libera, cosciente e fruttuosa, ma non sempre partecipare e intervenire coincidono, e anche il silenzio (segno di adorazione e rispetto) è partecipazione actuosa.

La sorgente della partecipazione è la preghiera, ovvero il parlare tra di noi e ancor di più con Dio, e l'agire cum Ecclesia: la partecipazione, quindi, non è movimento; il silenzio non è vuoto. Legata alla partecipazione è la devozione, che non può e non deve mai essere banale, superficiale, mondana, obbligata: anzi essa libera da questi difetti.

Questo è stato in sostanza l'intervento del Cardinale, seguito da un vivo e sentito applauso dei presenti; sono poi seguite alcune domande dei partecipanti, cui Sua Eminenza ha risposto in maniera puntuale ed esaustiva.

La prima domanda ha riguardato il Motu Proprio Summorum Pontificum dell'estate 2007, che ha reintrodotto la possibilità di celebrare secondo il venerabile rito detto di San Pio V. Il punto centrale della domanda riguardava le finalità del documento: atto di lungimiranza e carità papale, o modo per ricucire con i “lefebvriani”? Il Cardinal Cañizares Llovera ha detto prima di tutto che un Motu Proprio, in generale, non è un alto grado di magistero, ma in questo caso certamente lo è (si tratta di un'eccezione!). Subito dopo ha parlato della Liturgia come insieme di Comunione e Tradizione (quest'ultima, irrinunciabile e imprescindibile: pensiamo a San Vincenzo di Lerino e alla sua meravigliosa pagina sul rapporto fra Tradizione, Cattolicità e Ortodossia); e di Liturgia intesa come primato a Dio, di adorazione, lode e gloria, non come insieme di cose che noi facciamo. Ha inoltre risolto un colossale equivoco, diffuso anche tra molti sacerdoti e fedeli: il Rito detto Tridentino non è stato ‘partorito’ dal Concilio di Trento! San Pio V (che fu tra l'altro inflessibile contro le ‘incrostazioni medievali’, le stesse che alcuni liturgisti affermano a torto abbondare nel rito antico) si era limitato ad estendere alla Chiesa universale l'antico e venerabile rito che era diffuso a Roma fin da tempi antichissimi e che, nel suo nucleo fondamentale, risale a San Gregorio Magno e, a scendere, a San Damaso e a San Gelasio, ai Padri e agli Apostoli. Il Cardinale ha proseguito la risposta a questa domanda approfondendo di nuovo alcuni temi: il rapporto tra lex orandi e lex credendi e il concetto di ‘Ermeneutica della continuità’ proposto da Benedetto XVI per la lettura dei testi conciliari. Per finire, il Cardinale ha affermato che il documento pontificio è una vera e propria chiamata alla comunione (che ha la sua sorgente vera e propria nella Liturgia), e un'applicazione vera della Sacrosanctum Concilium.

Un'altra domanda ha riguardato l'Occidente e la sua crisi: come e forse ancora più che ai tempi di Pio XII e Giovanni XXIII (che avevano pensato di convocare un Concilio Ecumenico proprio per combattere la secolarizzazione e il modernismo ecclesiale), il mondo è lontano da Cristo e dalla Chiesa, la società cambia totalmente, e si diffondono ideologie anticristiane e, a dispetto del nome (‘umanesimo’), antiumane. L'umanesimo di cui si parla (e il Cardinale sa bene che cosa sta illustrando, date le vicende del suo Paese di origine, la Spagna) è totalmente male inteso, è un'ideologia lontana dall'umanesimo cristiano, poiché parte dalla contrapposizione tra Dio e uomo (come se il Padre non avesse inviato suo Figlio sulla Terra proprio per amore degli uomini che ha creato) e dalla negazione di Dio: se si nega Dio, fondamento di tutto, si nega anche la Natura stessa, così tanto acriticamente esaltata da certe scuole di pensiero. La Liturgia (dono di Cristo, non fabbricazione degli uomini), quindi, e i Santi che l'hanno amata (come San Giovanni Maria Vianney, tanto venerato dal Beato Giovanni XXIII, per il cui anniversario di morte Papa Benedetto ha indetto l'Anno Sacerdotale), sono e saranno il vero e unico antidoto ai mali di questa modernità e di questo mondo sempre più lontano da Gesù e dal suo Corpo Mistico, la Chiesa.

La domanda seguente ha riguardato la Bellezza; oggi, sembra che la Chiesa abbia perso la Bellezza, prima di tutto musicale: si veda l'abbandono progressivo del canto gregoriano. La Bellezza – aggiungo io – secondo il pensiero del grande scrittore e filosofo russo Fedor Dostoevskij, di Papa Benedetto XVI e del filologo e noto blogger Francesco Colafemmina, è incontro con Dio; non dobbiamo scordare che, secondo Dostoevskij, solo la Bellezza avrebbe salvato il mondo: e non è forse Cristo Bellezza Incarnata? Né bisogna scordare che canto e preghiera si equivalgono; come non ricordare la famosa massima attribuita a Sant'Agostino: “Chi canta, prega due volte”?

Un’altra domanda ha riguardato le voci di una ‘Riforma della Riforma Liturgica’, come si evincerebbe da numerosi testi e interventi di Ratzinger (sia da Cardinale che da Papa) e dalle anticipazioni di un giornalista italiano (Andrea Tornielli), che consisterebbe in una ‘fusione’ armonica di tre Messali: quello del 1962 (il Messale “tridentino”, attualmente in uso per la celebrazione nella forma straordinaria del rito romano), quello del 1965 (il Messale del 1962 lievemente modificato e in parte tradotto nelle lingue vernacole) e quello del 1970 (il Messale ‘moderno’ vero e proprio). Il Cardinale ha sorriso e ha detto con humour che la domanda andrebbe posta ai giornalisti, non a lui!

Veniamo ora ad una domanda molto interessante, soprattutto per la risposta. Un signore si è alzato e ha chiesto a sua Eminenza come risolvere la discrepanza (presunta) tra vita e Liturgia. Come conciliare la democrazia, l'attenzione per gli oppressi, con la Liturgia? Inutile dire che, non appena il signore in questione ha citato i teologi Rahner e Schillibeecks, in sala si sono sentiti sbuffi e mormorii di disapprovazione. Il Cardinale ha risposto in maniera ferma e puntuale, affermando che solo con la riscoperta della Liturgia (Sacrosanctum Concilium) si può riscoprire l'opzione preferenziale per i poveri (Gaudium et Spes). E' stata infine citata la Sacramentum Caritatis, in cui Papa Benedetto ha proposto il legame indissolubile tra impegno nel mondo (politica, società, cultura, famiglia) ed Eucaristia. La risposta di Cañizares Llovera – inutile dirlo – è stata seguita da un lungo e fragoroso applauso. Secondo me, il commento del Cardinale è da incorniciare: come si possono spiegare i tantissimi santi ‘sociali’, sia sacerdoti (Giovanni Maria Vianney, Giovanni Bosco, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Leonardo Murialdo, Vincenzo Romano, Pio da Pietrelcina) che laici (Bartolo Longo, Contardo Ferrini, Gabriel Garcia Moreno, Federico Ozanam, Giuseppe Moscati), che traevano la loro forza dalla Messa ‘antica’ (anche perché altre non ce n’erano, all'epoca…), dall'Adorazione Eucaristica, dal Rosario? Come poi non ricordare che i monaci benedettini e basiliani vivono di elemosina e di duro lavoro, ma per gli Uffici Divini indossano preziose vesti? Come non ricordare San Francesco d'Assisi, che si spogliò di tutti i suoi averi, vivendo di elemosine e abbracciando i poveri e i lebbrosi, e allo stesso tempo raccomandava la fedeltà al Papa e alla Chiesa, e l'uso di vasi sacri preziosi per la Messa? Come non ricordare il Servo di Dio Giorgio La Pira, il ‘sindaco santo’ di Firenze, tanto criticato da destra, che viveva in monastero, partecipava alla Liturgia quotidiana e, durante le tempeste del '68, raccomandava la fedeltà al Vescovo locale, criticando le Comunità di Base? Come non citare poi queste massime del Santo Curato d'Ars (“Tutte le opere buone unite assieme, non valgono il Santo Sacrificio della Messa, perché quelle sono le opere dell'uomo; mentre la S. Messa è l'Opera di Dio”) e di San Pier Giuliano Eymard (“La Santa Messa è l'atto più santo della religione, più glorioso a Dio, più vantaggioso alla nostra anima. Riceviamo forza per amare di più Dio e il prossimo, e per riuscire a perdonare”)?

La domanda successiva ha riguardato un punto dolente di questa crisi: gli abusi liturgici; che cosa può e che cosa deve fare un semplice fedele laico, di fronte agli abusi che si commettono durante la Messa? Il Cardinale ha risposto che il fedele deve operare secondo il principio evangelico della correzione fraterna, gentile e allo stesso tempo ferma (ricordato recentemente dal Vescovo di Lancaster, Patrick O'Donoghue). Egli deve prima parlare con il sacerdote che ha commesso l’abuso; se il sacerdote si mostra indisponibile, allora ricorra al Vescovo, moderatore della Liturgia nella propria Diocesi; se anche il Vescovo si mostra indisponibile, si rivolga, allora, alla Congregazione per il Culto Divino. Gli abusi liturgici si verificano o per eccessiva devozione o per mera ideologia, snaturando così l'adorazione a Dio e il servizio ai fedeli, che hanno il diritto a partecipare ad una Messa correttamente celebrata e, in caso di bisogno, a ricorrere alle autorità ecclesiastiche.

Un'altra domanda è stata fatta riguardo all'Adorazione Eucaristica: i problemi odierni riguardano la sminuita Fede nella Transustanziazione e nella Presenza Reale, e il fatto che i Tabernacoli e le Croci, spesso, nelle chiese moderne sembrano quasi essere nascosti o addirittura scomparsi. Il Cardinale ha invitato a tornare a concepire, come è sempre stato, la chiesa come luogo di adorazione e di preghiera, e nel rinvigorire la Fede nell’Eucaristia.

Le ultime due domande hanno invece riguardato la cura delle traduzioni (della Bibbia, del Messale e della Liturgia delle Ore) e l’uscita della traduzione italiana della terza edizione (risalente al 2002) del Messale Romano del 1970: Sua Eminenza ha risposto dicendo che le traduzioni ricadono sotto la responsabilità delle singole Commissioni Vaticane e delle Conferenze Episcopali nazionali.

Sia la relazione del Cardinale che le risposte alle domande a lui rivolte sono state accompagnate da lunghi e sentiti applausi. Sua Eminenza si è poi fermata a parlare e a condividere opinioni con i presenti, a farsi fotografare insieme a loro, e a benedirli.

Questo convegno, svoltosi in un clima di viva cordialità, è stato una meravigliosa occasione di incontro: la sala era gremita e numerosi erano i giovani, laici, religiosi e sacerdoti (è stato piacevole notare la presenza di un gruppo di giovani suore in abito religioso!), che hanno avuto occasione di incontrarsi e condividere idee comuni.

Si è usciti dalla sala veramente felici e fiduciosi per il futuro!

Laudetur Jesus Christus!

Ad Majorem Dei Gloriam!


Caterina63
00mercoledì 3 febbraio 2010 21:04

mercoledì 3 febbraio 2010

Ed ecco a voi la vera riforma del papato ratzingeriano.

Il cardinale Cañizares spiega come restituire al culto divino il significato e il vigore perduti nella banalizzazione postconciliare.



L’ex arcivescovo di Toledo e primate di Spagna, il cardinale Antonio Cañizares Llovera, guida il “ministero” vaticano che si occupa di liturgia da poco più di un anno. Un compito delicato in un pontificato, come è quello di Benedetto XVI, in cui la liturgia e la sua “ristrutturazione” dopo le derive post conciliari hanno un ruolo centrale. Come centrale, del resto, è la liturgia nella vita dei fedeli. Lo ha detto ancora il Papa la notte di Natale: come per i monaci, anche per ogni uomo “la liturgia è la prima priorità. Tutto il resto viene dopo”. Occorre “mettere in secondo piano altre occupazioni, per quanto importanti esse siano, per avviarci verso Dio, per lasciarlo entrare nella nostra vita e nel nostro tempo”.

Quanto dice Cañizares al Foglio è più d’un bilancio dopo un anno trascorso in curia romana:
"Ho ricevuto– spiega – la missione di portare a termine, con l’aiuto indispensabile e validissimo dei miei collaboratori, queicompiti che sono assegnati alla congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti nella costituzione apostolica Pastor Bonus di Giovanni Paolo II rispetto all’ordinazione e alla promozione della liturgia sacra, in primo luogo dei sacramenti. Per la situazione religiosa e culturale in cui viviamo e per la stessa priorità che corrisponde alla liturgia nella vita della Chiesa, credo che la missione principale che ho ricevuto è promuovere con dedizione totale e impegno, ravvivare e sviluppare lo spirito e il senso vero della liturgia nella coscienza e nella vita dei fedeli; che la liturgia sia il centro e il cuore della vita delle comunità; che tutti, sacerdoti e fedeli, la consideriamo come sostanziale e imprescindibile nella nostra vita; che viviamo la liturgia in piena verità, e che viviamo di essa; che sia in tutta la sua ampiezza, come dice il Concilio Vaticano II, ‘fonte e culmine’ della vita cristiana.

Dopo un anno alla guida di questa congregazione, ogni giorno sperimento e sento con forza maggiore la necessità di promuovere nella Chiesa, in tutti i continenti, un impulso liturgico forte e rigoroso che faccia rivivere la ricchissima eredità del Concilio e di quel gran movimento liturgico del XIX secolo e della prima metà del XX – con uomini come Guardini, Jungmann e tanti altri – che rese feconda la Chiesa nel Concilio Vaticano II. Lì, senza alcun dubbio, sta il nostro futuro e il futuro stesso del mondo. Dico questo perché il futuro della Chiesa e dell’umanità intera è riposto in Dio, nel vivere di Dio e di quanto viene da Lui; e questo accade nella liturgia e attraverso essa. Soltanto una Chiesa che viva della verità della liturgia sarà in grado di dare l’unica cosa che può rinnovare, trasformare e ricreare il mondo: Dio e soltanto Dio e la Sua Grazia. La liturgia, nella sua più pura indole, è presenza di Dio, opera salvifica e rigeneratrice di Dio, comunicazione e partecipazione del Suo amore misericordioso, adorazione, riconoscimento di Dio. È l’unica cosa che può salvarci”.
Guardini, Jungmann, due pilastri del rinnovamento liturgico dei decenni passati. Figure alle quale anche Joseph Ratzinger si è ispirato nel suo “Introduzione allo spirito della liturgia”. Figure che, probabilmente,l’hanno ispirato anche nelle promulgazione del Motu Proprio Summorum Pontificum. Si è detto che il Motu Proprio ha rappresentato anche (c’è chi dice anzitutto) una mano tesa del Papa ai lefebvriani. È così?
“Di fatto lo è. Però credo che il Motu Proprio abbia un grandissimo valore per se stesso e per la Chiesa e per la liturgia. Sebbene ad alcuni questo dispiaccia, a giudicare dalle reazioni arrivate e che continuano ad arrivare, è giusto e necessario dire che il Motu Proprio non è un passo indietro, né un ritorno al passato. È riconoscere e accogliere, con semplicità, in tutta la sua ampiezza i tesori e l’eredità della grandeTradizione, che ha nella liturgia la sua espressione più genuina e profonda.

La Chiesa non può permettersi di prescindere, dimenticare o rinunciare ai tesori e alla ricca eredità di questa tradizione, contenuta nel rito romano. Sarebbe un tradimento e una negazione verso se stessa. Non si può abbandonare l’eredità storica della liturgia ecclesiastica, né volere stabilire tutto ex novo, come alcuni pretenderebbero, senza amputare parti fondamentali della Chiesa stessa. Alcuni intesero la riforma liturgica conciliare come una rottura, e non come uno sviluppo organico della tradizione.

In quegli anni del post Concilio il ‘cambiamento’ era una parola quasi magica; bisognava modificare ciò che era stato al punto da dimenticarlo; tutto nuovo; bisognava introdurre novità, in fondo opera e creazione umana. Non possiamo dimenticare che la riforma liturgica e il post Concilio coincisero con un clima culturale marcato o dominato intensamente da una concezione dell’uomo come ‘creatore’ che difficilmente si accompagna bene a una liturgia che, soprattutto, è azione di Dio e sua priorità, ‘diritto’ di Dio, adorazione di Dio e anche tradizione di ciò che riceviamo e ci è dato una volta e per sempre.

La liturgia non siamo noi a farla, non è opera nostra, ma di Dio. Questa concezione dell’uomo ‘creatore’ che conduce a una visione secolarizzata di tutto, dove Dio, spesso, non ha un posto, questa passione per il cambiamento e la perdita della tradizione non è stata ancora superata; e per questo, a mio parere, fra le altre cose, ha fatto sì che alcuni vedessero con tanta diffidenza il Motu Proprio o che dispiaccia tanto ad alcuni recepirlo e accoglierlo, rincontrare le grandi ricchezze della tradizione liturgica romana che non possiamo dilapidare, o cercare e accettare l’arricchimento reciproco nell’unico Rito romano fra la forma “ordinaria” e quella “straordinaria”.

Il Motu Proprio Summorum Pontificum è un grandissimo valore, che tutti dovremmo apprezzare, che non ha soltanto a che fare con la liturgia ma con l’insieme della Chiesa, di ciò che è, e significa, la Tradizione, senza che la Chiesa si converta in una istituzione umana in mutamento e, ovviamente, ha anche a che vedere con la lettura e l’interpretazione che si fa o si sia fatta del Concilio Vaticano II. Quando si legge e si interpreta in chiave di rottura o di discontinuità, non si capisce nulla del Concilio e lo si travisa del tutto.

Per questo, come indica il Papa, soltanto ‘un’ermeneutica dellacontinuità’ ci porta a una giusta e corretta lettura del Concilio, e a conoscere la verità di ciò che dice e insegna nel suo insieme e in particolare nella Costituzione Sacrosantum Concilium sulla liturgia divina, inseparabile, per lo più, da questo stesso insieme. Il Motu Proprio, di conseguenza, ha anche un valore altissimo per la comunione della Chiesa”
C’è il Papa dietro il lento ma necessario processo di riavvicinamento della Chiesa a un autentico spirito liturgico. Eppure, non mancano divisioni e contrapposizioni. Ne parla il cardinale Cañizares:

“Il grande apporto delPapa, a mio parere, è che ci sta portando fino alla verità della liturgia, con una saggia pedagogia ci sta introducendo nel genuino ‘spirito’ della liturgia (come recita il tit.olo di una delle sue opere prima di diventare Papa). Lui, prima di tutto, sta seguendo un semplice processo educativo che chiede di andare verso questo ‘spirito’ o senso genuino della liturgia,.per superare una visione riduttiva molto radicata della liturgia. I suoi insegnamenti.così ricchi e abbondanti in questo campo, come Papa e prima di diventarlo, così come i gesti evocatori che stanno accompagnando le celebrazioni che presiede, vanno in questa stessa direzione. Accogliere questi gesti e questi insegnamenti è un dovere che abbiamo se siamo disposti a vivere la liturgia in modo corrispondente alla sua stessa naturalezza e se non vogliamo perdere i tesori e le eredità liturgiche della Tradizione.

Inoltre, costituiscono un vero dono per la formazione, così urgente e necessaria, del popolo cristiano. In questa prospettiva bisognerebbe vedere lo stesso Motu Proprio che ha confermato la possibilità di celebrare con il rito del messale romano approvato da Giovanni XXIII e che risale, con le successive modifiche, al tempo di san Gregorio Magno e ancora prima. È certo che sono molte le difficoltà che stanno avendo coloro che, nell’utilizzo di quello che è un loro diritto, celebrano o partecipano alla Santa Messa conforme al ‘rito antico’ o ‘straordinario’. Di suo, non ci sarebbe bisogno di questa opposizione, né tantomeno di essere visti con sospetto o essere etichettati come ‘pre-conciliari’, o, ancora peggio, come ‘anti-conciliari’.

Le ragioni di questo sono molteplici e diverse, però, in fondo, sono le stesse che portarono a una riforma liturgica intesa come rottura e non nell’orizzonte della tradizione e dell’‘ermeneutica della continuità’, che reclama il rinnovamento e la vera riforma liturgica nella chiave del Vaticano II. Non possiamo dimenticare, in più, che nella liturgia si tocca quanto di più essenziale c’è delle fede e della Chiesa e, per questo, ogni volta che nella storia si è toccato qualcosa della liturgia tensioni e anche divisioni non sono state rare”. È dal discorso di Benedetto XVI alla curia romana del 22 dicembre 2005 che la necessità di leggere il Vaticano II non in un’ottica di discontinuità col passato ma di continuità è diventata centrale nell’attuale pontificato .

Dal punto di vista liturgico questo cosa significa?

“Significa, fra le altre cose, che non possiamo portare a termine il rinnovamento della liturgia e metterla al centro e alla fonte della vita cristiana, se ci poniamo davanti a essa in chiave di rottura con la tradizione che ci precede e che porta questa riccasorgente di vita e di dono di Dio che ha alimentato e dato vita al popolo cristiano. Gli insegnamenti, le indicazioni, i gesti di Benedetto XVI sono fondamentali in questo senso..Per questo bisogna favorire la conoscenza serena e profonda di quanto ci sta dicendo, compreso quello che ha detto prima di diventare Papa, e che tanto chiaramente si riflette, per esempio, nella sua esortazione apostolica ‘Sacramentum caritatis’”.

La congregazione che Cañizares presiede si è riunita lo scorso marzo in plenaria e ha presentato delle propositiones al Papa.

“L’assemblea plenaria della congregazione si è occupata soprattutto dell’adorazione eucaristica, l’eucarestia come adorazione, e l’adorazione al di fuori delle sante messe. Sono state approvate alcune conclusioni poi presentate al Santo Padre. Queste conclusioni prevedono un piano di lavoro della congregazione per i prossimi anni, che il Papa ha ratificato e incoraggiato. Si muovono tutte sulla linea di ravvivare e promuovere un nuovo movimento liturgico che, fedele in tutto agli insegnamenti del Concilio e seguendo gli insegnamenti di Benedetto XVI, collochi la liturgia nel posto centrale che le corrisponde nella vita della Chiesa.

Le conclusioni delle propositiones riguardano l’impulso e la promozionedell’adorazione del Signore, base del culto che si deve dare a Dio, della liturgia cristiana; inseparabile dalla fedenella presenza reale e sostanziale di Cristo nel sacramento eucaristico; assolutamente necessaria per una Chiesa viva. Porre un freno agli abusi, che disgraziatamente sono molti, e correggerli non è qualcosa che derivi dalla plenaria della congregazione, ma è qualcosa che reclama la stessa liturgia e la vita e il futuro della Chiesa e la comunione con essa. Su questo, sui tanti abusi liturgici e sulla loro correzione, alcuni anni fa la congregazione pubblicò un’istruzione importantissima, la ‘Redemptionis Sacramentum’ e a essa dobbiamo rimetterci tutti, è un dovere urgentissimo correggere gli abusi esistenti se vogliamo come cattolici portare qualcosa al mondo per rinnovarlo.

Le proposizioni non si occupano di mettere a freno la creatività, ma anzi di incoraggiare, favorire, ravvivare la verità della liturgia, il suo senso più autentico e il suo spirito più genuino; non possiamo nemmeno dimenticare o ignorare che la creatività liturgica come spesso la si è intesa e la si intende, è un freno alla liturgia e la causa della sua secolarizzazione, perché è in contraddizione con la naturalezza stessa della liturgia”.Si parla nelle propositiones dell’uso della lingua latina? “Non si dice nulla a proposito del dare più spazioalla lingua latina, compreso nel rito ordinario, né di pubblicare messali bilingue, come in realtà già si è già fatto in alcuni luoghi dopo la conclusione del Concilio; non bisogna comunque dimenticare che il concilio nella costituzione ‘Sacrosanctum Concilium’ non deroga il latino, lingua venerabile alla quale è vincolato il ritoromano”.

Ci sono poi tante altre questioni importanti, l’orientamento…

“Non solleviamo la questione dell’orientamento‘versus Orientem’, né della comunione per bocca, né di altri aspetti che a volte vengono fuori come accuse di ‘passi indietro’, di conservatorismo o d’involuzione. Credo, del resto, che le questioni come queste, l’orientamento, il crocifisso visibile al centro dell’altare, la comunione in ginocchio e in bocca, l’uso del canto gregoriano, sono questioni importanti che non si possono sminuire in maniera frivola o superficiale e delle quali, in ogni caso, si deve parlare con cognizione di causa e con fondamento, come fa, per esempio, il Santo Padre, e vedendo anche come queste cose corrispondono (e anche favoriscono) di più la verità dellacelebrazione così come la partecipazione attiva, nel senso in cui ne parla il Concilio e non in altri sensi. Ciòche è importante è che la liturgia venga celebrata nella sua verità, con verità, e che si favorisca e promuova intensamente il senso e lo spirito della liturgia in tutto il popolo di Dio in modo tale che si viva di essa; è veramente molto importante che le celebrazioni abbiano e propizino il senso del sacro, del Mistero, che ravvivino la fede nella presenza reale del Signore e nel dono di Dio che agisce in essa, così come l’adorazione, il rispetto, la venerazione, la contemplazione, la preghiera, l’elogio, l’azione di grazia, e.molte altre cose che corrono il rischio di annacquarsi. Quando partecipo o vedo la liturgia del Papa che ha già incorporato alcuni di questi elementi mi convinco sempre più che non sono aspetti casuali ma che invece hanno una forza espressiva ed educativa per se stessa e nella verità della celebrazione, la cui assenza si nota”.

Cañizares è stato per anni una figura di spicco della Chiesa spagnola. Lo è ancora, pur risiedendo a Roma. InSpagna c’è stata recentemente una dichiarazione del segretario della conferenza episcopale del paese, monsignor Juan Antonio Martinez Camino, che diceva che quei politici che si esprimeranno pubblicamente a favore dell’aborto non potranno ricevere la comunione. Condivide questa posizione di Camino? Perché la Spagna è diventata l’avamposto di politiche cosiddette laiciste? Come debbono comportarsi vescovi e le conferenze episcopali di fronte a posizioni che negano la vita?

“I vescovi, come pastori che guidano e difendono il popolo che ci è stato affidato, hanno il dovere di carità ineludibile di insegnare e trasmettere ai fedeli, fedelmente, con saggezza, dottrina e prudenza, ciò che crede e insegna la fede della Chiesa, sebbene questo costi, sebbene vada controcorrente o penalizzi l’opinione pubblica. Ciò che c’è in gioco sul tema dell’aborto e quello che si legifererà in Spagna in questa materia, quando saranno approvati tutti i passaggi regolamentari, è qualcosa di molto grave e decisivo, e non possiamo né tacere né occultare la verità; è ciò che, compiendo l’ordine del suo Signore, la Chiesa dice e comanda ai suoi fedeli, esige e si aspetta da loro.

Dobbiamo servire e indirizzare i fedeli con la luce della verità ricevuta della quale non possiamo disporre in questioni morali e, a volte, delicate; e dobbiamo aiutare i cattolici nella vita pubblica aprendere le loro decisioni con responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini e conformemente alla ragione come corrisponde alla loro condizione di figli della Chiesa e credenti in Gesù Cristo. Non possiamo né dobbiamo, pena quella di essere dei cattivi pastori, muoverci in queste questioni con relativismi, con calcoli ‘politici’, o con abili o sottili ‘diplomaziÈ. L’esercitare bene il nostro ministero episcopale, del resto, non è assolutamente in lotta, anzi, con la prudenza, la misura, la misericordia, la gentilezza e la mano tesa che certamente dovranno accompagnarci in tutto. È un momento difficile quello che stiamo attraversando ora in Spagna; non è facile neanche per i vescovi. Non credo, d’altra parte, che la Spagna sia la portabandiera o l’avanguardia di politiche laiciste. Il laicismo, evidente o nascosto, e le politiche laiciste sono diffuse quasi dappertutto, in alcuni paesi più che in altri, e in alcuni con moltissimo potere e forza; c’è una forza,apparentemente inarrestabile, impegnata a introdurre il laicismo in tutto il mondo, o, che è lo stesso, a cancellare Dio rivelato nel viso umano di Gesù Cristo, suo Unigenito, dalla coscienza degli uomini.

È vero che in Spagna questo laicismo ha delle connotazioni speciali forse per tutta la sua storia e la sua stessa identità. LaSpagna sta subendo una trasformazione molto radicale nella sua mentalità, nel suo pensiero e nei criteri di giudizio, nei suoi costumi e nei modi di agire, nella sua cultura, insomma, nella sua natura o identità; questo, inoltre, si manifesta in una grande e profonda crisi o rottura morale e di valori, dietro la quale si nasconde una crisi religiosa e sociale e una frammentazione dell’uomo. Però, al tempo stesso, le radici e le fondamenta che sostengono la Spagna e la parte più genuina di essa derivano dalla fede cristiana, trovano.sostentamento in essa, e in quanto essa crede; e queste radici non sono sparite né scompariranno. Un’insieme di leggi, come quella dell’aborto che è già stata approvata in Parlamento, oltre ad altri fattori, è senza.dubbio il segno della trasformazione in atto. Ho sempre creduto che noi vescovi, obbedendo a Dio prima che agli.uomini, dobbiamo annunciare sempre il Vangelo e Gesù Cristo, non anteporre nulla a Lui e alla sua opera, annunciare senza sosta e coraggiosamente Dio vivo, la cui gloria è che l’uomo viva, che costituisce il ‘sì’ piùpieno e totale che si possa dare all’uomo, alla sua dignità inviolabile, alla vita, ai suoi diritti fondamentali, atutto ciò che è veramente umano.

Annunciare e testimoniare Colui che è amore, agendo in tutto con carità eportando e testimoniando davanti a tutti la carità, la passione di Dio per l’uomo, in modo particolare per i deboli,gli indifesi, coloro che sono trattati ingiustamente. Tutto indirizzato verso la conversione, perché sorga una nuova umanità fatta da uomini nuovi con la novità del Vangelo di Gesù Cristo, del modo di essere, di pensare e di agire che in Lui, verità di Dio e dell’uomo, incontriamo e ha origine. Si tratta semplicemente di dare impulso e portare a termine una nuova e decisa evangelizzazione. Questa è la condizione in cui si trovano la Chiesa e i vescovi in Spagna da molto tempo; è un lavoro lento e arduo, ma che sta dando i suoi frutti. Credo, inoltre, che i vescovi in Spagna, proprio in virtù dell’affermazione di Dio e della fede in Gesù Cristo, si sono imbarcati in una grande battaglia a favore dell’uomo, del diritto alla vita, della libertà, di ciò che è imprescindibile per l’uomo come la famiglia, la verità e bellezza della famiglia basata sul matrimonio tra un uomo e una donna aperto alla vita, nell’amore; sono a favore dell’educazione della persona e della libertà di insegnamento, della libertà religiosa. La Chiesa in Spagna, per puntare ogni giorno e con più forza e.intensità sull’uomo e sui suoi diritti fondamentali, sente la chiamata a rafforzare l’esperienza di Dio perché i suoi fedeli siano ‘testimoni del Dio vivo’,.come dice uno dei suoi documenti più importanti ed emblematici di alcuni anni fa..Il suo compito non è la politica, né fare politica, se non essere semplicemente Chiesa, presenza di Cristo fra gli uomini, anche se questo la penalizza.

La situazione è dura, ma guardiamo al futuro con una grande speranza e una grande chiamata a lasciarci rafforzare da Dio e tenerlo al centro di tutto, e proseguiamo il nostro cammino senza fermarci e senza tirarci indietro, con lo sguardo fisso suGesù Cristo. Ho la certezza assoluta che la Spagna cambierà e tornerà al vigore di una fede vivida e di un rinnovamento della società. Non possiamo abbassare la guardia, né abbassare le braccia che devono stare tese verso Dio in una supplica fiduciosa e permanente. È essenziale.che, prima di tutto, recuperi la sua vitalità e il suo vigore teologale e religioso, che Dio dato in Gesù Cristo sia veramente il suo centro e il suo più saldo fondamento, per essere capaci, come in altri momenti, di creare una nuova cultura e far sorgere una nuova società. Questo è possibile; e, inoltre, nulla è impossibile a Dio”.

Caterina63
00mercoledì 3 febbraio 2010 21:11
L’appello del 1971

Era il 16 luglio 1971 quando il Times pubblicava un appello inviato alla Santa Sede da parte di un gruppo di intellettuali, personalità del mondo della cultura e dell’arte per salvaguardare la messa antica. Furono gli intellettuali, infatti, prima di altri, a percepire l’eliminazione della messa antica come un attentato alle tradizioni di un’intera civiltà.

Lo firmò anche Agatha Christie. Con lei Jorge Luis Borges, Giorgio De Chirico, Elena Croce, W. H. Auden, i registi Bresson e Dreyer, Augusto Del Noce, Julien Green, Jacques Maritain, Eugenio Montale, Cristina Campo, Francois Mauriac, SalvatoreQuasimodo, Evelyn Waugh, Maria Zambrano, Elémire Zolla, Gabriel Marcel, Salvador De Madariaga, Gianfranco Contini, Mario Luzi, Andrés Segovia, Harold Acton, Graham Greene, fino al famoso direttore del Times, William Rees-Mogg. Ecco parte del testo dell’appello:
“Uno degli assiomi dell’informazione contemporanea è che l’uomo moderno sarebbe divenuto intollerante di tutte le forme della tradizione e ansioso di sopprimerle. Come molte altre questa apodittica affermazione è falsa. Anche oggi è proprio la cultura a riconoscere più ampiamente il valore delle tradizioni. È evidente che se un ordine insensato decretasse la demolizione totale o parziale di basiliche e cattedrali, sarebbe ancora una volta la cultura a levarsi per prima e con orrore. Si dà il caso però che basiliche e cattedrali siano state edificate dai popoli cristiani per celebrarvi un rito antico duemila anni, che fino a pochi mesi fa era una tradizione universalmente vivente. Alludiamo alla Messa cattolica tradizionale. Essa dovrebbe cessare di esistere alla fine del 1971. Questo rito ha dato vita a una folla di opere infinitamente preziose: non soltanto di mistici e dottori, ma di poeti, filosofi,musicisti, architetti, pittori e scultori tra i più grandi, in ogni paese e in ogni epoca. I firmatari di questo appellorappresentano ogni ramo della cultura moderna internazionale. Essi chiedono con la massima gravità allaSanta Sede di voler considerare a quale tremenda responsabilità andrebbe incontro di fronte alla storia se non consentisse di lasciar vivere in perpetuità la Messa tradizionale, sia pure a fianco di altre forme liturgiche”.


Un’ideologia fuorviante

"Oggi è urgente riaffermare l’“autentico” spirito della liturgia, così come è presente nella ininterrotta tradizione della Chiesa e testimoniato, in continuità con il passato, nel più recente magistero: a partire dal Concilio Vaticano II fino a Benedetto XVI. Ho pronunciato la parola “continuità”. È una parola cara all’attuale Pontefice, che ne ha fatto autorevolmente il criterio per l’unica interpretazione corretta della vita della Chiesa e, in specie, dei documenti conciliari, come anche dei propositi di riforma ad ogni livello in essi contenuti. E come potrebbe essere diversamente? Si può forse immaginare una Chiesa di prima e una Chiesa di poi, quasi che si sia prodotta una cesura nella storia del corpo ecclesiale? O si può forse affermare che la Sposa di Cristo sia entrata, in passato, in un tempo storico nel quale lo Spirito non l’abbia assistita, così chequesto tempo debba essere quasi dimenticato e cancellato?

Eppure, a volte, alcuni danno l’impressione di aderire a quella che è giusto definire una vera e propria ideologia, ovvero un’idea preconcetta applicata alla storia della Chiesa e che nulla ha a che fare con la fede autentica. Frutto di quella fuorviante ideologia è la ricorrente distinzione tra Chiesa pre-conciliare e Chiesa post-conciliare: una – quella pre-conciliare – che non avrebbe piùnulla da dire o da dare perché irrimediabilmente superata; e l’altra – quella post conciliare – che sarebbe una realtà nuova scaturita dal Concilio e da un suo presunto spirito, in rottura con il suo passato. La liturgia non deve essere terreno di scontro tra chi trova il bene solo in ciò che è prima di noi e chi in ciò che è prima trova quasi sempre il male. Solo la disposizione a guardare il presente e il passato della liturgia come a un patrimonio unico e in sviluppo omogeneo può condurci ad attingere con gusto spirituale l’autentico spirito della liturgia. Uno spirito che dobbiamo accogliere dalla Chiesa e che non è frutto delle nostre invenzioni. Uno spirito che ci porta all’essenziale della liturgia ovvero alla preghiera ispirata e guidata dallo Spirito Santo".


monsignor Guido Marini .
maestro delle Celebrazioni Pontificie



   



Parlano Messori e Melloni


Dice Vittorio Messori al Foglio che a Ratzinger “sta a cuore il problema della fede, come viverla e salvaguardarla”. Lo ha scritto, il Papa, anche nella lettera con la quale ha spiegato ai vescovi il motivo del SummorumPontificum: “Mentre noi facciamo convegni la fede si sta spegnendo come una candela che non trova più alimento”. E’ per questo che al Papa interessa la liturgia: “Perché – dice Messori – la liturgia è espressione orante della fede. Lex orandi lex credendi, come si prega è come si crede. La fede, insomma, nella liturgia si fa culto”. È per questo motivo, perché la liturgia esprime la fede della Chiesa, che “il Papa desidera che la liturgia sia espressione d’una fede ortodossa”. Ed è per questo che “la riforma liturgica del post Concilio studiata a tavolino non l’ha convinto: del resto non era mai successo che una riforma liturgica non nascesse dal popolo credente”. Secondo Messori il Papa arriverà a “una riforma dell’et-et della liturgia”. Ovvero non tornerà all’antico ma farà sì che antico e nuovo convivano assieme:
“Il canone tornerà a essere pronunciato in latino mentre le parti in comune resteranno nelle lingue volgari. Insieme la celebrazione avverrà in parte con l’altare rivolto a oriente e in parte no”..

Alberto Melloni non ritiene sia corretto parlare di riforma liturgica nel pontificato di Ratzinger. Dice al Foglio che “i cambiamenti portati dal Papa nella liturgia sono quelli di un pastore che intende usare tutte le libertà che il messale concede al fine di reinterpretarle in senso restauratore”.
La sua, dunque, “non è la volontà di riformare la liturgia così come il Concilio l’ha consegnata, bensì è il tentativo legittimo di addattare la liturgia al proprio gusto”. Secondo Melloni in molti cadono oggi nel tentativo di interpretare BenedettoXVI a proprio piacimento. “Ma se il Papa avesse in mente una riforma della riforma lo direbbe apertamente.. Non è un Papa che maschera le proprie azioni, anzi è sempre chiaro ed esplicito nelle sue decisioni. È vero: l’abbiamo visto in Tv celebrare rivolto a oriente: ma l’ha fatto nella sua cappella privata, non in pubblico”.


Cañizares

Il “piccolo Ratzinger”, così è chiamato il cardinale Antonio Cañizares Llovera, è dal dicembre 2008 prefetto della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti. Nato a Utiel, nell’arcidiocesi di Valencia, 64 anni fa, è stato vescovo di Toledo e primate di Spagna. Il soprannome “piccolo Ratzinger” è nato inVaticano: dal 1985 al 1993 Cañizares ha svolto per la Conferenza episcopale spagnola lo stesso ruolo che Ratzinger svolgeva a Roma: si occupava del settore “dottrina della fede” della Conferenza episcopale. Grande studioso di Teresa d’Avila ha fondato l’Università Cattolica “Santa Teresa de Jesús”.

Fonte Il Foglio

Caterina63
00martedì 20 aprile 2010 15:31

Modena: che vetrate stupende! Complimenti, don Giorgio!

Sempre in tema di commemorazione del Motu Proprio, e non solo, e su cordiale segnalazione di un nostro lettore modenese, diamo spazio a questa notizia straordinaria!
Il Reverendo don Giorgio Bellei, parrocco della chiesa dello Spirito Santo in Modena, a sentire il suo parrocchiano, ha molti meriti.
Tra questi sicuramente anche quello di aver ridato sacra dignità alla sua chiesa parrochiale, moderna, impreziosendola di elementi cònsoni alla casa di Dio.
Parliamo innanzi tutto delle nuove vetrate, che illustrano l'azione dello Spirito Santo nei secoli.
Non solo esse sono esteticamente decorose secondo i canoni tradizionale e in linea con i criteri e i precetti della "architettura orante" (che dovrebbe guidare, su esortazione del Papa l'erezione e la decorazione delle nuove chiese, e di cui abbiamo già più volte parlato in nostri precedenti post).
Ma anche e soprattutto interpretano soggetti di particolare rilievo per la Tradizione.
Ma il nostro ammirato stupore non si ferma certo alle sole vetrate, come si vedrà più avanti.
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VETRATE. Ci limitiamo a pubblicarne alcune senza nostro commento, perchè la commozione e la gioia che si provano ad ammirarle sono ineffabili.
Il cartiglio sottostante le vetrate riporta scritta in latino!
Invitiamo però il lettore a guardare le altre vetrate della chiesa al link indicato e leggere anche il bellissimo scritto esplicativo sulle nuove opere vetrarie composto dal Parroco e la ratio con cui esse sono state ideate, collocate e realizzate.
Di questo testo, riportiamo solo la spiegazione che lo stesso Parroco ha composto sulla vetrata sulla Chiesa, davvero notevole, e pubblicato sul sito della Parrocchia (Link).
Da essa si comprende l'alto profilo teologico, dottrinale, pastorale e, quindi, anche liturgico dell'ottimo don G. Bellei. E le sue scelte.
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LA CHIESA
"Il Papa è al centro con i Vescovi tra cui un orientale, il clero e il popolo.
La Chiesa è raffigurata nella sua universalità fatta di oriente ed occidente.
La basilica di S. Sofia con le due date delle sue profanazioni (irrimediabile l'ultima da parte dell'Islam), ricorda i 1054 anni di unità della Chiesa ed è una preghiera per la sua ricomposizione.
Tra i vescovi è effigiato anche Mons Lefebvre autore dello scisma dei tradizionalisti,
ma morto in comunione con Roma perché Giovanni Paolo II lo assolse.
Senza di lui non saremmo stati incitati a ridare valore alla tradizione
che non è il latino soltanto ma la dottrina sul sacerdozio e sul valore sacrificale della Messa.
Non scriverei queste parole, se il Papa, che ha tolto la scomunica e liberalizzato l'antico rito, non camminasse Lui per primo per questa strada. La storia attuale della Chiesa è fatta anche da questi avvenimenti. Davanti al nostro sguardo avremo così Gesù, la Madonna e il Papa secondo la più cattolica delle visioni."

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Un grande ritorno: San Michele Arcangelo, Principe delle milizie celesti, e patrono fortissimo della Chiesa universale (Defende nos in proelio):
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La vetrata che commemora l'Anno giubilare per la santificazione sacerdotale
N.B. MIRABILE VISU: l'altare (con croce al centro), la pianeta, il manipolo, le mani giunte e il sacerdote inginocchiato! Da quanto tempo!

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Altra vetrata commemorativa: il Motu Proprio "Summorum Pontificum".
N.B. il sacerdote è in talare e cotta.

***

Come dicevamo, le opere meritorie del Parroco non si esauriscono nella sola costruzione delle pur ottime vetrate, ma, e soprattutto dell'attitudine del sacerdote verso quella che si può definire la "riforma della riforma", in ossequio all'azione docente e liturgica del Papa Benedetto XVI.
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Un'altra vetrata, in particolare, è espressione manifesta della suddetta volontà di don Giorgio Bellei: quella che commemora la S. Messa tridentina (Introibo ad altarem Dei).

*

Strettamente correlate con le vetrate, ma ancor più degne di lode sono le ulteriori iniziative, forse di piccola entità, ma di grande significato e di potente effetto:
1. La celebrazione ogni domenica, giorno del Signore (come indicata sul sito) della S. Messa in forma straordinaria del Rito Romano, alle ore 18.00;
2. L'indicazione della celebrazione tridentina sul sito della parrocchia, sotto il menu dedicato agli orari delle Ss.Messe (a pensare che in certe chiese, in certe diocesi ... guai solo a spargere la notizia);
3. Un esplicito link sulla homepage della parrocchia, riguardo la "Bellezza della Messa Antica" con il collegamento ad una una lettera di un parrocchiano colpito e rapito dalla celebrazione tradizionale (
Link).
4. Un ottimo sito internet!

Bè, che aggiungere. Nulla. I fatti parlano da soli!
Complimenti don Giorgio!
E' significativo che lei sia parroco di una chiesa intolata allo Spirito Santo! Tanto invocato dai Padri conciliari.
.
Noi siamo lieti di riportare queste notizie, perchè i molti sacerdoti che ci leggono, legati o attratti dalla Tradizione e dalla liturgia seria e adorante della S. Messa antica, ma intimoriti e/o costretti al silenzio e alla "clandestinità" dai propri Vescovi, traggano forza dal coraggioso esempio dei loro più coraggiosi confraelli, tra cui sicuramente don Giorgio Bellei, e si convincano che la Verità li renderà liberi, e che se seguiranno la Verità, e il Papa, non potranno errare.

fonte: parrocchia dello spirito santo a modena

Caterina63
00sabato 15 maggio 2010 10:17

Il card. Cañizares: il motu proprio è per tutti, non solo per i tradizionalisti





Si è svolto a fine aprile scorso, a Madrid, un convegno sul motu proprio e la liturgia tradizionale. Il servizio liturgico era affidato all'Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote, dal cui sito (sempre curatissimo) abbiamo tratto queste magnifiche fotografie.

Tra gli interventi, segnaliamo quello di mons. Juan Miguel Ferrer, sottosegretario della Congregazione per il Culto Divino, il quale ha ricordato che il Papa non ha promulgato il motu proprio solo per venire incontro alle richieste dei tradizionalisti, ma per arricchire tutta la Chiesa.

Mons. Nicola Bux ha affermato l'irriducibilità in unum dei due Messali e quindi l'impossibilità di una loro fusione, ma altresì evidenziato la possibilità di proficui reciproci arricchimenti, citando come esempio la possibilità che nel nuovo rito si ritorni al canone submissa voce e all'orientazione versus Deum

Il reverendo Gabriel Diaz Patri (che potete vedere nella prima foto, nel ruolo di suddiacono, con la barba ieratica) ha deprecato l'affollamento all'altare le continue spiegazioni dei simboli liturgici che avvengono nel rito moderno, e ha poi ridicolizzato coloro che accusano gli amanti della Tradizione di estetismo, visto che quegli stessi critici sono i più accaniti difensori di una loro particolare (e noi aggiungeremmo: degenerata) estetica. Ma consentiteci qualche parola di presentazione di questo eccezionale sacerdote di origina argentina che abbiamo il bene di conoscere personalmente: straordinario sotto molti aspetti, in particolare per quello di essere parroco a Parigi della parrocchia degli ucraini greco-cattolici, sicché ha modo di alternare (e approfondire) il rito orientale e quello latino tradizionale: cosa che gli consente una cognizione estesissima dei due riti più importanti della Chiesa.

Ai partecipanti al convegno ha inviato una lettera il card. Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, che qui riportiamo nella traduzione che Luisa ha cortesemente curato:

Saluto gli organizzatori e i participanti.

È per me una grande gioia rivolgere a voi tutti, nell`occasione del quinto anniversario del Ministero petrino del nostro amato Benedetto XVI, il mio cordiale saluto e i miei incoraggiamenti.

Ringrazio l`Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote per l`iniziativa di celebrare in oggi questo colloquio sul Summorum Pontificum; ringrazio anche i conferenzieri per la loro participazione e per il loro lavoro, così ccome i partecipanti per il loro interesse ed il loro sostegno.

Nel cuore del Santo Padre e al centro delle sue preoccupazioni come pastore della Chiesa, si trova la conoscenza profonda del mistero della Liturgia e il desiderio che sia celebrata e vissuta da tutta la Chiesa con delicatezza e fervore, e che così facendo generi e comunichi quel dinamismo soprannaturale, desiderio di Cristo stesso, affinchè la testimonianza di tutti i cattolici sia unanime e efficace per trasformare le realtà del nostro mondo.

Il Motu proprio Summorum Pontificum deve essere inteso in questa visione d`insieme dell`insegnamento e degli atti del Santo Padre, e mai come qualcosa di isolato o di semplicemente `anedottico' destinato ad alcuni per delle situazioni particolari. Favorire l`accesso alla forma liturgica del Rito Romano ufficiale fino alla riforma desiderata dal Vaticano II, non è una concessione alla nostalgia o all`integrismo, è piuttosto un passo per favorire la Comunione Ecclesiale e un aiuto per orientare e meglio capire l`attuale "forma ordinaria" della LIturgia Romana secondo un`ermeneutica della continuità.

L`interesse suscitato dalla celebrazione della "forma straordinaria" del Rito Romano, specialmente fra i giovani che pur non l`hanno mai conosciuta, va senza dubbio oltre la semplice curiosità o l`ammirazione estetica. Al contrario, è probabile che si tratti, per buona parte dei nostri giovani, di soddisfare una sete e che per ciò siano necessari dei "linguaggi" che siano "differenti" e che ci spingano verso nuove frontiere, imprevedibli per molti pastori della Chiesa. Non credo che sia una questione da confondere o da analizzare prendendo in considerazione le ideologie integriste.

È evidente che queste iniziative pastorali del nostro Santo Padre Benedetto XVI, per portare frutti, devono esser accompagnate da un`intensa attività di formazione, e da un approfondimento teologico, storico, pastorale, giuridico, e spirituale, alla luce del tesoro della Liturgia cattolica e degli insegnamenti dei Padri e dei Santi Pastori della Chiesa durante i secoli. Spero, e già me ne rallegro, che delle iniziative come il presente colloquio aiuteranno senza dubbio a contribuire a questa formazione.

A tutti, una volta ancora, organizzatori, conferenzieri e partecipanti, rivolgo il mio affettuoso saluto e la mia Benedizione.


Dal Vaticano, 20 aprile 2010
+ Antonio Card. Cañizares Llovera

Caterina63
00martedì 13 luglio 2010 00:41

Tre anni dopo la pubblicazione del Motu proprio “Summorum Pontificum” , il Prefetto della Congregazione romana per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti fa il punto della situazione in questa intervista: “Dobbiamo ruotare di centottanta gradi” e dare il via ad un  nuovo movimento liturgico.


Eminenza, il Papa nella lettera ai Vescovi di accompagnamento al Motu proprio “Summorum Pontificum” parla delle reazioni, dall’accettazione gioiosa ad un’opposizione dura. Il clima è cambiato da allora?

Il clima è rimasto sostanzialmente lo stesso. Ma credo che  sia in corso un movimento. Ora si capisce molto meglio di cosa si tratta nel Motu proprio. La comprensione della liturgia nella Tradizione della Chiesa è cresciuta. Lo stesso vale per l’ermeneutica della continuità. Tutto questo gioverà non solo all’accettazione e all’applicazione del motu proprio, ma servirà anche per arricchire il rinnovamento liturgico e di portarlo avanti – nel senso che lo spirito della liturgia è un rivivere in maniera sempre nuova.

In Francia, due seminari diocesani insegnano per i loro seminaristi le due forme del rito romano. Come si può vedere questo modello?

C’è solo una liturgia. Di conseguenza, se le due forme di celebrazione del rito romano si inseriscono con facilità nella formazione stessa è proprio perché sono la medesima liturgia. E’ importante notare anche che la Chiesa in virtù dell’ermeneutica della continuità non congela Il Messale di Giovanni XXIII, non ha rotto esso. La Tradizione della Chiesa viene integrata nello sviluppo del Concilio Vaticano II. Perciò, l’educazione liturgica sarà sempre allineata per tutti con la Sacrosanctum Concilium. Data la ricchezza del rito romano in tutte le sue tradizioni – e questo include il Messale di Giovanni XXIII e la riforma liturgica post-conciliare – non si può giocare gli uni contro gli altri. Esse sono espressione della stessa ricchezza liturgica.

Lei condivide l’opinione del vescovo di Tolone, che riteneva l’ideale formare i propri seminaristi in entrambe le forme?

Il vescovo di Tolone, un grand’uomo, vuol leggere tutta la Tradizione della Chiesa  alla luce dell’ermeneutica della continuità. E poiché la Sacrosanctum Concilium è ancora valida, cresce i suoi seminaristi in questa formazione unica, nella quale viene insegnata la celebrazione in entrambe le forme del rito romano. I buoni frutti a Tolone sono evidenti.

Quali elementi della forma straordinaria possono essere integrati anche nella forma ordinaria del rito?

Il senso di mistero e dei santi, il che significa il senso della Divinità (Gottesherrschaft).  Si tratta della grandezza di Dio e del mistero di Dio. L’uomo è veramente sempre indegno di partecipare a questa liturgia che è dono divino. Abbiamo bisogno della legge di Dio, di riconoscere ancora una volta lo “ius divinum”- quanto prima, tanto meglio. La liturgia di oggi appare spesso come qualcosa su cui l’uomo ha un diritto e nella quale può agire. Ciò riflette la secolarizzazione della nostra società, mentre  dietro ad essa altri aspetti svaniscono. Ciò ha portato alla riforma del Concilio Vaticano II, la cui ricchezza e la  cui portata non sono state sviluppate come s’era sperato.

Che cosa consiglia ai sacerdoti? Dove iniziano?

I sacerdoti devono esser preparati per la Messa anche nella forma straordinaria così come previsto. Lo stesso vale per l’atto penitenziale (Bußritus) e la consapevolezza che di fatto siamo indegni di celebrare, ma che dobbiamo mettere la nostra fiducia nella misericordia e nel perdono di Dio e accostare così la presenza di Dio nella celebrazione. Un tesoro che non dobbiamo dimenticare è il sacrificio come è descritto nei testi di preghiera e che riflette un atteggiamento profondo. Dovremmo interiorizzarlo.

Nella sua lettera ai Vescovi, il Santo Padre ha sottolineato che il motu proprio parla di riconciliazione interna della Chiesa. Come giudica il dibattito sulle ordinazioni illecite della Fraternità Sacerdotale di San Pio X?

Le ordinazioni sono un momento di svolta in un tempo di  gravi decisioni.  Sarebbe altamente auspicabile ritardare le ordinazioni, perché se un giorno ci sarà una reale opportunità di apertura e una possibilità di cooperazione le ordinazioni potrebbero essere un ostacolo (das Faktum der Weihen erschwert werden).

Parole chiave: Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid nel 2011. Che cosa consiglia ai giovani che sono curiosi di conoscere la Messa antica?

I giovani devono essere educati allo spirito della liturgia. Sarebbe un errore, se si ponessero  verso l’una o l’altra forma in modo polemico. Hanno bisogno di essere introdotti al culto e allo senso del mistero.  Si vuole insegnare la lode e il ringraziamento – e questo è ciò che la celebrazione liturgica della Chiesa ha identificato attraverso i secoli. Oggi ai giovani manca soprattutto l’istruzione liturgica – a prescindere dalla forma da difendere in particolare. Questa è la grande sfida per il prossimo futuro, anche per la Congregazione per il Culto Divino e i Sacramenti. Oggi abbiamo bisogno di un nuovo movimento liturgico, poiché nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo c’è stato. Non si tratta dell’una o dell’altra forma, ma  della liturgia come tale.

E come può questo nuovo movimento liturgico divenire una realtà?

Abbiamo bisogno di una nuova introduzione al cristianesimo. Anche per i bambini e per i giovani. Un’introduzione alla liturgia non è solo per sapere qualcosa sulla celebrazione, anche se, naturalmente, ciò è essenziale in senso teologico e dottrinale. I giovani e i bambini dovrebbero partecipare a liturgie celebrate con grande dignità, che sono permeate dal mistero di Dio e l’individuo coinvolto lo sa. La partecipazione attiva non significa fare qualcosa, ma entrare nel culto e nel silenzio, nell’ascolto e nella  domanda e in tutte le cose che fa veramente la liturgia. Finché ciò non accadrà, non ci sarà rinnovamento liturgico. Dobbiamo ruotare di centottanta gradi. La pastorale giovanile deve essere un luogo dove avviene ‘incontro con il Cristo vivente nella Chiesa. Nel caso in cui Gesù Cristo apparisse come una persona di ieri, né istruzione né attiva partecipazione liturgica sarebbe possibile. Finché la coscienza dei vivi non sarà di nuovo svegliata da Cristo, non verrà nulla da un rinnovamento tanto necessario. Regina Einig © Die Tagespost 12 Luglio 2010


Trad. dal tedesco a cura della Redazione. Ci scusiamo per le inesattezze riscontrabili dall’originale e invitiamo i lettori a fornire suggerimenti per migliorarla.

Caterina63
00venerdì 24 dicembre 2010 15:17

Intervista al card. Canizares. Tante belle parole...

Su Il Giornale di oggi è apparsa questa intervista al Prefetto della Congregazione per il Culto Divino (nella foto).


di Andrea TORNIELLI

La liturgia cattolica vive «una certa crisi» e Benedetto XVI vuole dar vita a un nuovo movimento liturgico, che riporti più sacralità e silenzio nella messa, e più attenzione alla bellezza nel canto, nella musica e nell’arte sacra. Il cardinale Antonio Cañizares Llovera, 65 anni, Prefetto della Congregazione del culto divino, che quando era vescovo in Spagna veniva chiamato «il piccolo Ratzinger», è l’uomo al quale il Papa ha affidato questo compito. In questa intervista al Giornale, il «ministro» della liturgia di Benedetto XVI rivela e spiega programmi e progetti.

- Da cardinale, Joseph Ratzinger aveva lamentato una certa fretta nella riforma liturgica postconciliare. Qual è il suo giudizio?
«La riforma liturgica è stata realizzata con molta fretta. C’erano ottime intenzioni e il desiderio di applicare il Vaticano II. Ma c’è stata precipitazione. Non si è dato tempo e spazio sufficiente per accogliere e interiorizzare gli insegnamenti del Concilio, di colpo si è cambiato il modo di celebrare. Ricordo bene la mentalità allora diffusa: bisognava cambiare, creare qualcosa di nuovo. Quello che avevamo ricevuto, la tradizione, era vista come un ostacolo. La riforma è stata intesa come opera umana, molti pensavano che la Chiesa fosse opera delle nostre mani, invece che di Dio. Il rinnovamento liturgico è stato visto come una ricerca di laboratorio, frutto dell’immaginazione e della creatività, la parola magica di allora».

- Da cardinale Ratzinger aveva auspicato una «riforma della riforma» liturgica, parole oggi impronunciabili persino in Vaticano. Appare però evidente che Benedetto XVI la desideri. Può parlarcene?
«Non so se si possa, o se convenga, parlare di “riforma della riforma”. Quello che vedo assolutamente necessario e urgente, secondo ciò che desidera il Papa, è dar vita a un nuovo, chiaro e vigoroso movimento liturgico in tutta la Chiesa. Perché, come spiega Benedetto XVI nel primo volume della sua Opera Omnia, nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa. Cristo è presente nella Chiesa attraverso i sacramenti. Dio è il soggetto della liturgia, non noi. La liturgia non è un’azione dell’uomo, ma è azione di Dio».

- Il Papa più che con le decisioni calate dall’alto, parla con l’esempio: come leggere i cambiamenti da lui introdotti nelle celebrazioni papali?
«Innanzitutto non deve esserci alcun dubbio sulla bontà del rinnovamento liturgico conciliare, che ha portato grandi benefici nella vita della Chiesa, come la partecipazione più cosciente e attiva dei fedeli e la presenza arricchita della Sacra Scrittura. Ma oltre a questi e altri benefici, non sono mancate delle ombre, emerse negli anni successivi al Vaticano II: la liturgia, questo è un fatto, è stata “ferita” da deformazioni arbitrarie, provocate anche dalla secolarizzazione che purtroppo colpisce pure all’interno della Chiesa. Di conseguenza, in tante celebrazioni, non si pone più al centro Dio, ma l’uomo e il suo protagonismo, la sua azione creativa, il ruolo principale dato all’assemblea. Il rinnovamento conciliare è stato inteso come una rottura e non come sviluppo organico della tradizione. Dobbiamo ravvivare lo spirito della liturgia e per questo sono significativi i gesti introdotti nelle liturgie del Papa: l’orientamento dell’azione liturgica, la croce al centro dell’altare, la comunione in ginocchio, il canto gregoriano, lo spazio per il silenzio, la bellezza nell’arte sacra. È anche necessario e urgente promuovere l’adorazione eucaristica: di fronte alla presenza reale del Signore non si può che stare in adorazione».

- Quando si parla di un recupero della dimensione del sacro c’è sempre chi presenta tutto questo come un semplice ritorno al passato, frutto di nostalgia. Come risponde?
«La perdita del senso del sacro, del Mistero, di Dio, è una delle perdite più gravi di conseguenze per un vero umanesimo. Chi pensa che ravvivare, recuperare e rafforzare lo spirito della liturgia, e la verità della celebrazione, sia un semplice ritorno a un passato superato, ignora la verità delle cose. Porre la liturgia al centro della vita della Chiesa non è affatto nostalgico, ma al contrario è la garanzia di essere in cammino verso il futuro».

- Come giudica lo stato della liturgia cattolica nel mondo?
«Di fronte al rischio della routine, di fronte ad alcune confusioni, alla povertà e alla banalità del canto e della musica sacra, si può dire che vi sia una certa crisi. Per questo è urgente un nuovo movimento liturgico. Benedetto XVI indicando l’esempio di san Francesco d’Assisi, molto devoto al Santissimo Sacramento, ha spiegato che il vero riformatore è qualcuno che obbedisce alla fede: non si muove in modo arbitrario e non si arroga alcuna discrezionalità sul rito. Non è il padrone ma il custode del tesoro istituito dal Signore e consegnato a noi. Il Papa chiede dunque alla nostra Congregazione di promuovere un rinnovamento conforme al Vaticano II, in sintonia con la tradizione liturgica della Chiesa, senza dimenticare la norma conciliare che prescrive di non introdurre innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità per la Chiesa, con l’avvertenza che le nuove forme, in ogni caso, devono scaturire organicamente da quelle già esistenti».

- Che cosa intendete fare come Congregazione?
«Dobbiamo considerare il rinnovamento liturgico secondo l’ermeneutica della continuità nella riforma indicata da Benedetto XVI per leggere il Concilio. E per far questo bisogna superare la tendenza a “congelare” lo stato attuale della riforma postconciliare, in un modo che non rende giustizia allo sviluppo organico della liturgia della Chiesa. Stiamo tentando di portare avanti un grande impegno nella formazione di sacerdoti, seminaristi, consacrati e fedeli laici, per favorire la comprensione del vero significato delle celebrazioni della Chiesa. Ciò richiede un’adeguata e ampia istruzione, vigilanza e fedeltà nei riti e un’autentica educazione per viverli pienamente. Questo impegno sarà accompagnato dalla revisione e dall’aggiornamento dei testi introduttivi alle diverse celebrazioni (prenotanda). Siamo anche coscienti che dare impulso a questo movimento non sarà possibile senza un rinnovamento della pastorale dell’iniziazione cristiana».

- Una prospettiva che andrebbe applicata anche all’arte e alla musica...
«Il nuovo movimento liturgico dovrà far scoprire la bellezza della liturgia. Perciò apriremo una nuova sezione della nostra Congregazione dedicata ad “Arte e musica sacra” al servizio della liturgia. Ciò ci porterà a offrire quanto prima criteri e orientamenti per l’arte, il canto e la musica sacri. Come pure pensiamo di offrire prima possibile criteri e orientamenti per la predicazione».

- Nelle chiese spariscono gli inginocchiatoi, la messa talvolta è ancora uno spazio aperto alla creatività, si tagliano persino le parti più sacre del canone: come invertire questa tendenza?
«La vigilanza della Chiesa è fondamentale e non deve essere considerata come qualcosa di inquisitorio o repressivo, ma un servizio. In ogni caso dobbiamo rendere tutti coscienti dell’esigenza, non solo dei diritti dei fedeli, ma anche del “diritto di Dio”».

- Esiste anche il rischio opposto, cioè quello di credere che la sacralità della liturgia dipenda dalla ricchezza dei paramenti: una posizione frutto di estetismo che sembra ignorare il cuore della liturgia…
«La bellezza è fondamentale, ma è qualcosa di ben diverso da un’estetismo vuoto, formalista e sterile, nel quale invece talvolta si cade. Esiste il rischio di credere che la bellezza e la sacralità del liturgia dipendano dalla ricchezza o dall’antichità dei paramenti. Ci vuole una buona formazione e una buona catechesi basata sul Catechismo della Chiesa cattolica, evitando anche il rischio opposto, quello della banalizzazione, e agendo con decisione ed energia quando si ricorre a usanze che hanno avuto il loro senso nel passato ma oggi non ce l’hanno o non aiutano in alcun modo la verità della celebrazione».

- Può dare qualche indicazione concreta su che cosa potrebbe cambiare nella liturgia?
«Più che pensare a cambiamenti, dobbiamo impegnarci nel ravvivare e promuovere un nuovo movimento liturgico, seguendo l’insegnamento di Benedetto XVI, e ravvivare il senso del sacro e del Mistero, mettendo Dio al centro di tutto. Dobbiamo dare impulso all’adorazione eucaristica, rinnovare e migliorare il canto liturgico, coltivare il silenzio, dare più spazio alla meditazione. Da questo scaturiranno i cambiamenti...».
Caterina63
00lunedì 28 febbraio 2011 18:21
                                                                


Il testo integrale dell'intervista al card. Antonio Cañizares Llovera è consultabile qui. Qui una traduzione sommaria.

Il cardinale prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti Antonio Cañizares Llovera

Solo la liturgia ci pone dinanzi a Dio stesso

Pubblichiamo un ampio estratto dell'intervista che il cardinale prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti, Antonio Cañizares Llovera, ha rilasciato al settimanale Vida Nueva.

di Antonio Pelayo

Lei è a Roma già da abbastanza tempo per fare un bilancio personale di questo periodo.

Sono stati due anni intensi, molto intensi; com'è ovvio, nella mia vita e nel mio agire personale al servizio totale della Chiesa c'è stato un grande cambiamento. Quanti fatti, quante esperienze nuove e significative, quante esperienze vissute di fede, profondamente ecclesiali, sono accadute in questi anni! Una tappa molto ricca in tutti i sensi, un tempo di grazia, un vero passaggio di Dio nella mia vita; solo Dio lo sa. Questo è il primo e principale aspetto.
Il bilancio, la valutazione di questi anni? Lo lascio nelle mani di Dio e della Chiesa. Comunque, con sguardo sereno e obiettivo, vedo questo tempo come un cammino aperto di speranza, con non pochi progetti che meritano tutta l'attenzione e la dedizione, volti tutti e nel loro insieme a promuovere un deciso e ampio movimento per ravvivare il genuino significato e lo spirito della liturgia nella Chiesa. Questo è ciò che mi è stato chiesto. E, con l'aiuto di Dio e gli altri aiuti di cui abbiamo tanto bisogno e che non mancano mai, stiamo cercando di portarlo a compimento.

La Curia l'ha delusa? La definirebbe un organismo necessario, efficace, rispettoso delle Chiese particolari?

Perché doveva deludermi se proprio presso di essa, senza volerlo né pretenderlo, mi hanno chiamato a lavorare come operaio nella vigna del Signore? Deludermi, in cosa, visto che non ho posto alcuna condizione, non ho chiesto nulla e nessun «salario»? Molto semplicemente, il mio inserimento nei lavori della Curia romana per collaborare con il Santo Padre e aiutarlo nella missione che mi ha affidato al servizio della Chiesa universale si sta dimostrando per me un dono di Dio. Qui si sentono e si vivono con un'intensità particolare la realtà e il mistero della Chiesa, la presenza del Signore in essa, le gioie, le speranze, le pene e le sofferenze dell'umanità intera; qui si allarga la visione ecclesiale e di fede. È vero che questo inserimento nella Curia è stato, in qualche modo, una novità nella mia vita di pastore. La mia esistenza ha assunto una direzione nuova e inattesa, ho vissuto l'esperienza innegabile di una certa spoliazione, e indubbiamente sento la mancanza del lavoro pastorale diretto e in trincea, per fare una similitudine con la lotta sempre inerente alla fede e alla missione. Dal di dentro si vedono l'importanza e il grande servizio che la Curia romana presta alle Chiese particolari, il lavoro ingente e silenzioso che si porta avanti, l'estrema cura che si pone nel rispondere alle loro richieste e necessità, l'enorme lavoro che si svolge. La Curia è necessaria, imprescindibile direi, come servizio di comunione e animazione. Sicuramente si potrebbero e si dovrebbero rinnovare varie cose per renderla più agile, rapida, «pastorale» e creare maggiore interazione e fecondità reciproca fra i suoi dicasteri e tra noi che in essa lavoriamo. Forse alcuni pensano che dovrebbe essere più energica e animare maggiormente, in un certo senso come il grande motore della Chiesa. Credo che lo sia e che possa e debba esserlo ancora di più, senza soffocare nulla.

C'è un regresso in materia liturgica? Quali sono le chiavi della «riforma della riforma»?

Non so se possiamo parlare di regresso, perché prima bisognerebbe sapere se c'è stato o no un avanzamento, o in quali punti e in quali aspetti c'è stato un progresso. È possibile che, in alcune occasioni e casi soggettivi, sia stato considerato o visto come un progresso ciò che in realtà non lo era, o non lo era abbastanza, o che non si fondava sulle basi su cui si sarebbe dovuto fondare. Nessuno può mettere in dubbio che il concilio Vaticano II abbia posto la sacra liturgia, con la Parola di Dio, al centro della vita e della missione della Chiesa. È molto significativo, nel linguaggio degli eventi attraverso i quali Dio parla, il fatto che la costituzione Sacrosanctum concilium sia stata il primo testo approvato; è innegabile, inoltre, che da quel momento si sia prodotto un grande rinnovamento liturgico.
Ora, si può affermare che tutto quello che è stato fatto e si fa è il rinnovamento voluto dal Concilio? Il rinnovamento voluto e promosso veramente dal Concilio è penetrato in modo sufficiente ed è giunto agli aspetti essenziali della vita e della missione del Popolo di Dio? Si può chiamare rinnovamento conciliare e sviluppo tutto ciò che è venuto dopo? Dobbiamo essere umili e sinceri: il principale e grande invito del Concilio a far sì che la liturgia fosse la fonte e la meta, il vertice di tutta la vita cristiana, si sta realizzando nella coscienza di tutti, sacerdoti e laici o, al contrario, si è ancora lontani da ciò? Il popolo di Dio, fedeli e pastori, vive veramente della liturgia, la liturgia è al centro della nostra vita? Gli insegnamenti conciliari sono stati impartiti e assimilati, si è restati fedeli a essi, sono stati interpretati correttamente nella linea della continuità che il Papa chiede?
Le mie non sono domande retoriche e oggi è particolarmente necessario porsele. Le risposte non sempre ricondurranno alla stessa origine: il Concilio.
Per questo le chiavi per la cosiddetta «riforma della riforma» sulle quali verteva la sua domanda non sono altro che quelle date dal concilio Vaticano II nella Sacrosanctum concilium e dal successivo magistero dei Papi, che indicano e interpretano in modo autentico i loro insegnamenti secondo una «ermeneutica della continuità».
Questa è la nostra situazione attuale. Aggiungo che viviamo in una situazione drammatica caratterizzata dal dimenticarsi di Dio e dal vivere come se Dio non esistesse. Tutto ciò, com'è evidente e tangibile, sta avendo conseguenze gravissime. Solo la vita liturgica posta al centro di tutto, solo un rinnovamento liturgico profondo, solo il ridare alla liturgia, e in particolare all'Eucaristia, il posto che le corrisponde nella vita della Chiesa, dei sacerdoti e dei fedeli, così come la Chiesa l'intende, l'orienta e la regola, fedelmente alla sua natura e alla tradizione, potrà ricondurci veramente a Dio, porre Dio quale centro, fondamento, senso e meta di tutto, e rendere così possibile un'umanità nuova, fatta di uomini e donne nuovi che adorano Dio, aprire cammini di speranza e illuminare il mondo con la luce e la bellezza della carità che nasce dalla liturgia. La liturgia ci pone dinanzi a Dio stesso, all'azione di Dio, al suo amore; potremo promuovere un'urgente e nuova evangelizzazione solo se la liturgia riacquisterà il posto che le compete nella vita di tutti i cristiani. È necessario, a mio parere, riconoscere che la liturgia oggi non è «l'anima», la fonte e la meta della vita di molti cristiani, fedeli e sacerdoti. Quanta routine e mediocrità, quanta banalizzazione e superficialità nella nostra vita! Quante messe celebrate senza attenzione o alle quali si partecipa senza una particolare disposizione. Da qui la nostra grande debolezza. È oltremodo necessario far comprendere ai fedeli che la liturgia è, prima di tutto, opera di Dio e che nulla si può anteporre ad essa. Solo Dio, la «rivoluzione di Dio», Dio al centro di tutti, potrà rinnovare e cambiare il mondo.

Si parla molto di una ristrutturazione del dicastero che lei presiede, il quale perderebbe tutto ciò che corrisponde alla disciplina dei sacramenti. Cosa ci può dire al riguardo?

Fra i progetti più immediati, nel quadro della risposta che la Congregazione deve dare alle sfide presenti, abbiamo quello della ristrutturazione del dicastero, che include, per esempio, la creazione di una sezione nuova per la musica e l'arte sacre al servizio della liturgia. Un altro aspetto di questa stessa ristrutturazione riguarda il trasferimento a un altro organismo della Santa Sede dell'«ufficio matrimoniale» per i casi di matrimonio rato e non consumato; anni fa è già passata al clero la dispensa dagli obblighi sacerdotali.
Si dice, come lei ha ricordato, che non si occuperà più dei sacramenti o che non sarà più di nostra competenza l'aspetto della «disciplina» dei sacramenti. Entrambe le cose sono impossibili, poiché liturgia e sacramenti sono uniti, sono la stessa cosa. Inoltre, la disciplina appartiene allo stesso nucleo dei sacramenti e della liturgia; la liturgia comporta sempre una regola, un regolamento, anche canonico, e questo è un aspetto che si deve curare e seguire con grande attenzione. In ultima analisi, si tratta del ius divinum, che è in gioco nella disciplina dei sacramenti. Ci sono norme da osservare, una legge da rispettare -- quella di Dio -- e anche abusi da correggere. Per questo, in nessun modo può scomparire dalla Congregazione la «disciplina dei sacramenti», che al contrario, verrà rafforzata. D'altro canto tutto ciò permetterà di dedicare e di concentrare la maggior parte dei non pochi sforzi e lavori necessari su tutto ciò che è in grado d'intensificare il movimento liturgico, ancora vivo, quale opera dello Spirito Santo, del concilio Vaticano II.

Benedetto XVI sta per compiere 84 anni e da quasi sei anni è a capo della Chiesa. Le chiedo di definire il suo maggiore contributo alla Chiesa.

Lei mi chiede di «definire» e ciò è impossibile. Sarebbe un'insolenza da parte mia. «Definire» è sempre ridurre.
E una personalità così ricca e un'opera così immensa e grandiosa come quella che il Papa sta portando avanti io non saprei «definirla» senza mutilarla e impoverirla. In ogni modo, osando molto, le dico che è il «Papa dell'essenziale», e che «l'essenziale», come ci ha detto nell'omelia della santa messa con la quale ha iniziato ufficialmente il suo Pontificato, è «fare la volontà di Dio», essere testimone di Dio e di ciò che Dio vuole, fare quello che Egli vuole, e la sua voce è molto chiara. È il Papa che sta ponendo Dio al centro di tutto, che ci ricorda permanentemente Dio, e la centralità di Dio, che ha un volto umano, il suo Figlio Unigenito, Gesù Cristo, che è Amore, e che la sua «passione» è l'uomo, totalmente inseparabile da Dio. È questo il punto più importante, sempre, e soprattutto in questo momento.
È a partire da tutto ciò che intendo il suo pontificato. Per esempio le sue tre encicliche, le sue esortazioni apostoliche, il suo massimo interesse e la sua attenzione per la liturgia e l'Eucaristia, per la Parola di Dio, il suo appello costante alla purificazione della Chiesa, alla conversione degli stessi cristiani nel significato radicale in cui egli la intende, il suo lavoro instancabile a favore dell'unità, e la sua difesa, superiore a qualsiasi altra, della verità e della ragione, e pertanto della libertà vera di ogni uomo.

In questo momento quali sono le maggiori preoccupazioni circa il futuro della Chiesa in Spagna?

L'ho detto molte volte e in diverse occasioni: la mia preoccupazione più grande è che gli uomini credano, perché credere o non credere non è la stessa cosa. Il problema principale della Spagna, che è alla base della situazione così grave che sta attraversando, come se si stesse dissanguando e svenando, ha la sua radice nel dimenticarsi di Dio, nel pretendere di vivere come se Dio non esistesse, e al margine di Dio, nella laicizzazione così grande e radicale voluta da alcune correnti o nella secolarizzazione interna della Chiesa stessa, nel dimenticarsi, da parte della Spagna, della sua identità e delle sue radici e del suo ricco apporto alla Chiesa e al mondo. Per questo la Chiesa in Spagna dovrebbe rileggere e meditare tutto ciò che il Papa ci ha detto nel suo recente viaggio nel nostro Paese e meditare nuovamente lo stesso magistero dei vescovi spagnoli, tanto ricco e suggestivo; per esempio, la loro istruzione del 2006, Orientaciones morales, o anche La verdad os hará libres, oppure Testigos del Dios vivo, per vedere che la grande sfida che abbiamo dinanzi è una nuova, pressante e coraggiosa evangelizzazione, un deciso rinnovamento di una nuova pastorale per l'«iniziazione cristiana», per fare cristiani.
In questo si riassume tutto, è tutto il suo futuro, le sue azioni improrogabili. Il Papa, in fondo, ci ha detto la stessa cosa che Giovanni Paolo II disse da Santiago all'Europa: «Spagna, sii te stessa». Con la ricchezza, la forza della tua fede, la capacità di evangelizzare e di creare cultura che questa fede e queste radici profondamente cristiane comportano.
Una grande sfida per la Chiesa in Spagna è quella di riacquistare il vigore di una fede vissuta capace di edificare un'umanità nuova, di avere più fiducia in se stessa, di non avere paura, di essere libera, di vivere in profonda unità, di rinnovare il tessuto della società, rinnovando contemporaneamente il tessuto delle nostre comunità. L'incoraggiamento e il vigore dei sacerdoti, le vocazioni sacerdotali, le vocazioni religiose, l'iniziazione cristiana, la presenza dei fedeli cristiani nella vita pubblica, non malgrado la loro fede ma proprio per la loro fede, la pastorale della santità, il rafforzamento dell'unità e della comunione: sono queste le sfide che abbiamo dinanzi a noi. Motivo di grande speranza è la Giornata mondiale della gioventù, un dono di Dio alla Chiesa in Spagna in questo momento. Il grande mandato è quello che ci ha lasciato Giovanni Paolo II nel suo ultimo viaggio nella nostra patria: «Spagna evangelizzata, Spagna evangelizzatrice. Questo è il tuo cammino».

La Chiesa spagnola le sembra preparata ad affrontare queste sfide?

Naturalmente sì. La Chiesa in Spagna ha una grande vitalità che, a volte, noi spagnoli non sappiamo riconoscere e apprezzare in modo adeguato. Siamo fatti così; dal di fuori si apprezza e si valorizza di più e meglio la forza interiore della Chiesa in Spagna, manifestata nella sua ripetutamente provata fedeltà al Vangelo, nella sua ineguagliabile attività evangelizzatrice e nella sua vasta presenza missionaria, in tante iniziative, in tante prese di posizione, in tanti impegni apostolici, nella sua grande storia, che, malgrado le lacune e gli errori umani, è degna di ammirazione e di stima. Questa storia dovrebbe fungere da ispirazione e stimolo nell'offrire l'esempio per andare avanti e migliorare il futuro. Ritengo necessario ravvivare la fiducia nelle capacità della Chiesa in Spagna; non sono altro che quelle di Gesù Cristo presente in essa, il gran novero di santi e di martiri che riempiono la sua storia, le famiglie che hanno ancora principi e fondamenti cristiani, la ricchezza nascosta e la forza così straordinaria della vita contemplativa, la religiosità popolare, il suo ricco e vivo patrimonio culturale e sociale cristiano, il suo senso profondamente mariano, la scuola cattolica e le università della Chiesa… I timori e i complessi ci possono soffocare.
È il momento della fede e della fiducia; è il momento della verità e dell'essere liberi con la libertà di chi si appoggia a Dio; è il momento della speranza che non delude; il momento di vivere e di annunciare la sua grande e unica ricchezza, Gesù Cristo: questa non si può dimenticare, né tacere, né lasciar morire. Dobbiamo ricordarci, in questo preciso momento storico, delle incisive parole di Papa Giovanni Paolo II al suo arrivo all'aeroporto di Barajas nel suo primo viaggio: «Occorre che i cattolici spagnoli sappiano recuperare il vigore pieno dello spirito, il coraggio di una fede vissuta, la lucidità evangelica illuminata dall'amore profondo per il fratello». È questa la preparazione di cui si ha bisogno.

La stampa in generale, e quella che si occupa più specificatamente dell'informazione religiosa, è distratta da altri temi?

Alcuni sembrano essere distratti, non sanno o non vogliono sapere. I problemi di fondo spesso non sono laddove li segnalano. Per esempio, il problema non consiste nel fatto che il Governo detti questa o quella legge, o che faccia un gesto, dica una parola o abbia una reazione piuttosto che un altra. Non si gioca tutto sullo scacchiere della politica, né la Chiesa entra in tale gioco, né si può vedere tutto in chiave politica, e neppure ridurre tutto a una semplice interpretazione politica della presenza e delle relazioni della Chiesa con il mondo, con l'uomo di oggi. E neppure giudicare ogni cosa secondo lo schema conservatori o progressisti, moderni o estranei alla modernità che regna in questo ambiente. Non consiste neanche nelle questioni di «politica ecclesiastica» o nei commenti «clericali da sacrestia» che recano tanto danno e non costruiscono né seminano alcunché. No. Ciò non è entrare in quello che la Chiesa è e in quello che essa può e deve offrire alle persone e al nostro Paese. Riconosco che mi piacerebbe trovare una visione più ampia e aperta, più incentrata su ciò che è veramente importante, più profonda e approfondita delle questioni vere, che sono quelle che edificano e offrono un contributo.

L'episcopato spagnolo è diviso?

No, decisamente no. Grazie a Dio non è un episcopato monocromatico e neppure omogeneo. Ci sono pareri diversi e normali preferenze. Non si può però concludere che ci sia divisione. Nulla e nessuno, né dentro né fuori, dovrebbe attenuare o indebolire questa unione nella diversità. Tutto ciò che rafforza l'unità è fondamentale per una nuova evangelizzazione e per un futuro di speranza. Se prima ho detto «Spagna evangelizzata, Spagna evangelizzatrice, questo è il tuo cammino», ora aggiungo che è possibile percorrere questo cammino solo con una forte unità dell'episcopato. Credo che tutti ne siamo consapevoli.

(L'Osservatore Romano - 28 febbraio - 1 marzo 2011)
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