Il "Santo Sepolcro" di Acquapendente

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Caterina63
00venerdì 22 luglio 2011 19:22
Ipotesi per una nuova attribuzione della più antica imitazione del Santo Sepolcro in Europa

Gerusalemme in Acquapendente


Tutto lascia pensare che l'opera sia riconducibile al conte Ugo di Toscana
di MORDECHAY LEWY

Il Santo Sepolcro di Acquapendente, il cosiddetto sacello, è un enigma: non è ancora chiaro quando sia stato realizzato, da chi sia stato fondato, per quale ragione, quale edificio abbia cercato di imitare. La madre fondatrice Matilda è una leggenda, dato che le quattro potenziali candidate non rispondono ai dati biografici richiesti.

Tenendo presente che il monastero del Santo Sepolcro è stato citato in una bolla papale intorno al 1025, due famose Matilde, Matilde di Canossa, contessa di Toscana (1046-1115) e Matilde degli scozzesi (1080-1118), erano nate troppo tardi per fondarlo. Le due Matilde tedesche (la prima madre di Otto I il Grande e l'altra la sorella di Otto II) vissero nell'epoca giusta, nel X secolo, ma non risulta in alcun documento che abbiano fondato una casa religiosa in Italia.
È naturale concentrare la nostra attenzione sul conte Ugo di Toscana, conosciuto per aver fondato case pie e monasteri da solo o con sua madre Willa. In una lettera di Pietro Damiano (datata tra il 1059 e il 1063) al conte Goffredo di Toscana, Pietro sostiene che il conte Ugo ha fondato sei monasteri, senza però enunciarne i nomi. A oggi, gli studiosi ne hanno trovati cinque: San Gennario in Capolona, nella diocesi di Arezzo (972); San Michele sulla Verrucca, vicino Pisa (996); San Michele di Marturi, nel precedente castello di Ugo a Poggibonsi (997-998); nel 993 o 998 Ugo estese le donazioni al monastero di Vangadizza (Badia Polesine vicino Rovigo); infine (999) la badia di Santa Maria di Prataglia (diocesi di Arezzo).

Il sesto monastero, secondo la citazione di Damiano, potrebbe benissimo trovarsi in Acquapendente.

La carta del conte Ugo del 993 è, per molti studiosi, la prova delle ininterrotte relazioni tra l'ovest latino e il Santo Sepolcro di Gerusalemme, dall'epoca di Carlo Magno fino all'inizio delle crociate nel 1099. La carta venne intesa come una donazione di grandi proprietà in Toscana da parte di Ugo alla chiesa del Santo Sepolcro e al monastero di Santa Maria Latina (probabilmente fondato da Carlo Magno, provvedeva ai bisogni dei pellegrini latini), entrambi a Gerusalemme. Non troviamo altrove prove della donazione di Ugo al Santo Sepolcro di Gerusalemme, mentre la sua donazione a Santa Maria Latina è largamente documentata durante il XII secolo.

Il documento, tuttavia, può essere letto anche in altra chiave. Nella carta di Ugo risulta che le donazioni venivano erogate in favore dei monaci che, da quel momento in poi, si sarebbero trovati a Gerusalemme e che si occupavano dei pellegrini. L'arrivo e la partenza dei pellegrini non implicano necessariamente che la cura nei loro confronti dovesse svolgersi a Gerusalemme, nonostante quella fosse la loro destinazione finale. Abbiamo qui due Gerusalemme? La mia ipotesi è che il testo possa essere interpretato come una Gerusalemme in cui la cura dei pellegrini, che arrivano e ripartono dalla città di Gerusalemme in Terra Santa, è affidata ai monaci, mentre la seconda Gerusalemme, quella topografica, è la destinazione finale del pellegrino.
La prima Gerusalemme può essere vista come il luogo che dà supporto ai monaci: un monastero esistente o appena fondato chiamato San Sepolcro in Hierusalem. Può trovarsi ovunque sul cammino verso Gerusalemme. Nel nostro caso, la mia ipotesi è che si tratti di Acquapendente.
Già nel 1921 Antonio Falce si chiese se le donazioni di proprietà del Conte Ugo fossero indirizzate, in realtà, non al Santo Sepolcro di Gerusalemme in Terra Santa, quanto piuttosto al Santo Sepolcro in Acquapendente.

Ugo stava sì donando al Santo Sepolcro di Gerusalemme proprietà e fonti di introito, ma questo monastero non si trova lì, ma in Acquapendente. Ciò spiegherebbe perché non esistono prove di questa donazione. Inoltre occorre notare che, nel 993, la chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme era nelle mani della chiesa ortodossa greco-bizantina, allora piuttosto ostile ai Latini. Anche durante le crociate, il Santo Sepolcro non venne mai gestito come un monastero ma, dal 1114, come un priorato di canonici regolari. Ciononostante, il fatto di aver citato Gerusalemme, pur non riferendosi alla sua reale posizione geografica, richiede maggiori approfondimenti.

Per Riant era ovvio che frasi come offero tibi Deo et gloriosum Domini Sancto Sepu[lcro Domini i]n Hierusalem; donamus Sancto Sepulcro [Domini in] Hierusalem o qui nunc et per tempore serviunt monachi in Hierusalem ad opus illorum peregrinorum qui vadunt et veniunt de Hierusalem indicassero il Santo Sepolcro nella Città Santa. Abbiamo tuttavia testimonianze scritte dell'uso del termine Gerusalemme non come indicazione topografica, ma come posizione spirituale, come se la Gerusalemme Celeste potesse essere trasposta ovunque ci sia una venerazione cristiana di reliquie e si pratichi la liturgia.

La prima testimonianza di questo uso risale, ironicamente, in una polemica contro l'eresia di Montano: Eusebio, nella Storia ecclesiastica (V, 18,2) riferisce che Apollonio ha scritto: "Questo è l'uomo [Montano] (...) che ha dato il nome di Gerusalemme, a Pepuza o Timione, città insignificanti della Frigia, nella speranza di persuadere le persone, di qualsiasi distretto, a radunarsi lì". Altre testimonianze, in contesti positivi, possono essere trovate nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, nella pieve di Santa Gerusalemme in Toscana o nel monastero di Santo Stefano a a Bologna.
Oltre alla mancanza di testimonianze sulla donazione di Ugo di Toscana al Santo Sepolcro di Gerusalemme, questo era fornito di canonici regolari che venivano organizzati come capitolo con priore e non come un'abbazia. Pertanto è difficile ritenere che il Santo Sepolcro di Gerusalemme mantenesse legami istituzionali con un monastero gestito da un abate.

Il termine con cui ci si riferisce al Santo Sepolcro di Acquapendente è sempre monastero, e solo nel 1326 per la prima volta canonici regolari vengono invitati a insediarsi nella chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Nel 1365 l'istituto viene chiamato prioratus Sancti Sepulchri Jerosolomitani de Aquapendenti.

I canonici di Gerusalemme avevano già lasciato la città nel 1187, quando questa venne conquistata dal Saladino. Trovarono rifugio in San Giovanni d'Acri probabilmente fino al 1291, quando la città cadde nelle mani del Mammalucco Al Ashraf. Si insediarono in Acquapendente in quanto profughi e dovettero esser mantenuti. Nonostante i canonici regolari avessero già affiliazioni in Apulia, queste non li accolsero come profughi dalla Terra Santa. Fu Giovanni XXII che, per primo, assegnò loro il Santo Sepolcro in Acquapendente, gestito come un priorato. Reali relazioni con Gerusalemme non erano più possibili in quel periodo.
Gli incartamenti del 993 indicano un certo abate Warinus e il suo parente G. come beneficiari di una parte delle donazioni. Se avessimo maggiori informazioni su di loro, probabilmente scopriremmo anche le ragioni dell'atto di fondazione. Già Riant aveva giustamente identificato Warinus come Guarino, abate di San Michele de Cuxa, mentre il parente Gisleberto come il conte di Roussillon.

Non sappiamo molto di Guarino. Alcune fonti lo chiamano "venerabile" e da ciò deduco che qualche sorta di processo di beatificazione venne iniziato (ma in mancanza di una Vita agiografica, non arrivò mai a una conclusione fruttuosa). Fu una persona chiave per il movimento di Cluny: introdusse la loro riforma in cinque monasteri nella zona dei Pirenei e della Linguadoca. Nell'estate del 993 sembra fosse a Roma, dal momento che Giovanni XV lo sosteneva come capo dei cinque monasteri, riformati in un'unione personale. Decisivo per l'introduzione delle riforme di Cluny in Italia, Guarino fu promotore di vita monastica e ispirò san Romualdo (fondatore dei camaldolesi) e il doge Pietro Urseoli a cercare la vita contemplativa come eremiti, vicino a Cuxa (entrambi canonizzati, le loro vitae ci parlano di Guarino).

Guarino conosceva bene Gilberto d'Aurillac, che divenne poi Silvestro II. Si dice che dietro la lettera del Gilberto d'Aurillac, vescovo di Reims (che nel 984 richiamò i Miles Christi per liberare Gerusalemme), ci fosse Guarino. Varie fonti sostengono che egli si recò diverse volte a Gerusalemme, da cui sembra che tornò verso il 993. Dopo aver visitato Roma, partecipò all'atto di fondazione del monastero del Santo Sepolcro di Gerusalemme del conte Ugo. Pare abbia portato con sé, da Gerusalemme, una reliquia di legno che doveva essere inserita nel sacello in modo da poter giustificare l'uso del nome Gerusalemme. L'attuale reliquia di marmo del sacello fu portata dalla città durante le crociate, probabilmente in occasione della consacrazione della cripta (1147). Dal discorso del conte Ugo tibi Warino, abbati, atque consanguineo tuo Gi[sleberto], deduciamo che entrambi fossero presenti al momento dell'emissione della carta (ottobre 993) in qualche luogo della Toscana. Giacché è molto probabile che Guarino fosse presente all'atto di donazione di Ugo, vorrei proporlo come fonte di ispirazione di questo atto generoso, che era rivolto a due sedi. I pellegrini avrebbero dovuto apprezzare le attenzioni loro rivolte sia all'andata che al ritorno da Gerusalemme. Una pratica simile venne poi adottata dai monasteri francesi sul cammino di Compostela.

Al volgere del millennio, Cluny era un centro di promozione dei pellegrinaggi verso Gerusalemme: forse fu una fonte di ispirazione. È probabile che Ugo abbia fondato in Acquapendente (territorio che considerava proprio) un monastero benedettino che doveva servire come stazione per i pellegrini. È stato forse uno dei primi sovrani sul territorio italiano ad aver fondato un ostello per i pellegrini sulla via di Gerusalemme, nello spirito di Cluny.

Il santuario, oggi, è rappresentato solo da un terzo della struttura originaria. Nella sua lunga storia il sacello ha subito numerose modifiche. A quanto ne so, non è mai stato propriamente misurato, né è stato mai eseguito uno scavo. Insieme al professor Dan Bahat abbiamo fatto un sopralluogo, durante il quale abbiamo misurato il santuario, sebbene in maniera non accurata. È così possibile avanzare alcune ipotesi.

Innanzitutto l'entrata originale si trovava a ovest, non a est. La direzione originale di preghiera verso Gerusalemme è a est. Un'entrata a est in una casa di preghiera dell'alto medioevo potrebbe implicare modifiche successive. L'attuale muro a ovest è più sottile rispetto allo spessore originario del muro esterno: forse un emendamento successivo. Ciò implica che anche la finestra superiore sul lato ovest è stata aggiunta. Le piastrelle del pavimento della cripta sono a spina di pesce.

Uno sguardo al pavimento accanto alla parte esterna, a ovest del sacello, rivela che questo motivo è stato sostituito da un semplice motivo composto da mattoncini. Ciò significa che questo pavimento non esisteva nella parte ovest quando il pavimento a spina di pesce è stato montato nella cripta. Solo uno scavo in questo punto particolare ci potrebbe rivelare la presenza di gradini che portano in basso, all'entrata ovest, oppure troveremmo il livello originale del terreno del sacello.

Ritengo che per collocare la reliquia nella nicchia a nord, sopra la tomba (nel 1147?), si sarebbero dovuti ancora usare i gradini per entrare dal lato ovest. L'entrata, in un periodo imprecisato, venne bloccata. Lo spazio fu riempito di terra e venne posizionato un motivo più semplice di piastrelle.
In secondo luogo, la parte est del sacello finiva in una piccola nicchia (abside). In entrambi gli angoli accanto alla porta, che oggi si trova a est, vi sono tracce di una parete ovale che doveva finire in una piccola abside per la preghiera. La nicchia deve essere stata distrutta in un periodo successivo, a noi ignoto, forse quando le scale vennero costruite e fu creata una nuova porta di ingresso a est. Quindi anche qui la finestra in alto venne aggiunta con l'installazione della porta ad est.

Il sacello, poi, aveva una pianta con tre nicchie con un motivo a edera. Giacché solo un terzo delle pareti sono visibili, senza scavi è difficile immaginare la forma della pianta originaria. Le misure, per quanto un po' imprecise a causa dei molti strati di calce sui muri, suggeriscono tuttavia indizi interessanti. Lo spessore interno del pavimento da nord a sud (inclusa la profondità delle nicchie) è in metri 2,64 (0,69+1,28+0,67). Lo spessore esterno del sacello lungo le sue mura occidentali è di 2,04 metri e nella parte orientale il muro ne misura 2,15. La differenza può essere dovuta a molti cambiamenti e strati di calce su entrambi i lati. La differenza di 0,60 o 0,44 metri rispettivamente indica, tuttavia, che le nicchie a nord e a sud eccedono i muri esterni oggi visibili. Supponiamo quindi che il sacello originario avesse tre piccole absidi disuguali (visibili dall'esterno) che contenevano le tre nicchie. Queste ipotesi riguardano la possibile forma originaria del sacello. Non possono tuttavia fornirci una cronologia delle modifiche che ne hanno cambiato la forma. La forma rettangolare del sacello è una conseguenza della presenza di una nicchia a est.

Per poter verificare un'imitazione dobbiamo innanzi tutto investigare l'originale. E nel medioevo l'imitazione era basata sulla scelta di parametri simbolici piuttosto che sull'applicazione di dati accurati: non dobbiamo aspettarci, pertanto, una proiezione uno a uno. Questo mero esercizio matematico si sviluppò solo all'inizio del rinascimento, nel XV secolo in Italia e oltre le Alpi. Le fonti potrebbero darci un'idea della forma originaria del Santo Sepolcro, eretta da Costantino. Pensiamo che questa struttura sia prevalsa fino alla sua distruzione nel 1009. I resoconti dei pellegrini prima del 993 come descrivono l'edicola del Santo Sepolcro di Gerusalemme? Willibald, monaco inglese dello Hampshire poi vescovo di Eichstadt, visitò Gerusalemme tra 725 e 726, raccontando poi le sue impressioni alla suora Hugeburc, sua parente. Così descrive l'edicola a Gerusalemme: "La tomba era stata scavata nella roccia, e la roccia si leva dal terreno: alla base è quadrata, ma la sua estremità è a punta; è oggi sormontata da una croce". È una descrizione sensazionale, come se avesse il sacello di Acquapendente di fronte a sé. Per questo Caterina Zanella ha concluso che anche il sacello possa essere datato verso il 725.

La maggior parte delle descrizioni del sepolcro, prima del periodo delle crociate, mostrano un tetto conico poggiato su una struttura poligonale, quasi sempre un pentagono con cinque colonne esterne. L'unica entrata è attraverso un portico di fronte al quale sono posizionate due file di colonne. In seguito venne aggiunto un tetto a forma di baldacchino. L'unica evidente differenza rispetto all'edicola come descritta da Willibald, è che, in Acquapendente, la base è rettangolare, non quadrata.

Il sacello risulta una piramide leggermente conica, in contrasto con il tetto conico e base circolare di Costanza, l'unica imitazione comparabile del Santo Sepolcro nel X secolo. Willibald tracciò la forma del Santo Sepolcro oltre duecento anni prima che il sacello in Acquapendente venisse realizzato. Il problema è che la sua rappresenta l'eccezione tra tutte le descrizioni del Santo Sepolcro di Gerusalemme prima delle crociate. Si potrebbe sostenere che i costruttori di Acquapendente avessero solo la descrizione di Willibald in mente: ma è improbabile che la conoscessero. Non abbiamo alcuna descrizione visiva dell'edicola di Gerusalemme, che dobbiamo datare dopo il 725.
L'edicola poligonale nel mosaico di Umm al-Rasas è probabilmente una tarda prova visuale, che potrebbe confermare una struttura convenzionale, già conosciuta, su come costruire un'edicola poligonale con un tetto a forma conica. Da angolature diverse, la forma del tetto appare conica o piramidale. Una visuale frontale mostra una forma triangolare.

Molte descrizioni frontali dell'edicola del Santo Sepolcro prima delle crociate prevedevano questa forma. Una visuale frontale limita la configurazione tridimensionale dell'oggetto raffigurato. Potremmo facilmente dedurre, e a volte in maniera errata, che il tetto fosse conico o piramidale, ma escluderemmo un tetto a forma di cupola. Ci sono, tuttavia, raffigurazioni altomedievali del Santo Sepolcro che presentano, inequivocabilmente, un tetto conico. Metodicamente sarebbe consigliabile non insistere sulla validità di un'eccezione rappresentata dalla descrizione di Willibald e dall'edicola di Acquapendente. La ben ricercata storia del Santo Sepolcro di Gerusalemme non ha fornito prove delle descrizioni architettoniche dopo il 725, fino alla fine del primo millennio. Il basamento poligonale con il tetto conico prevale.

Tra tutte le parti che il sacello ci ha lasciato in eredità, il tetto a forma piramidale è quello che fornisce più indizi sulla sua antichità. La pianta è rettangolare (e le tre piccole nicchie che ne estendono la forma non rendono poligonale). Sembra la più antica imitazione del Santo Sepolcro in Europa. Essa potrebbe essere stata parte di una costruzione monastica del 993, ispirata dall'abate Guarino da Cuxa, e sponsorizzata dal potente e pio conte Ugo. Potrebbe tuttavia risalire a epoca precedente, ma certamente non successiva al 1009.



(©L'Osservatore Romano 23 luglio 2011)

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