Il progetto di Chiesa e di Società di Benedetto XVI (Intervista importante al card. Bertone)

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Caterina63
00giovedì 27 agosto 2009 18:36

Il governo della Chiesa universale, le parole del Papa nei media e il rapporto con i fedeli: il card. Bertone su Benedetto XVI e il suo Pontificato



Il progetto di Chiesa e di società del Papa è chiaro e lineare: “Spingere i singoli e le comunità a una vita divinamente e umanamente armonica, con la teologia dell’‘et’ e la spiritualità del ‘con’, mai del ‘contro’”: lo afferma il card. Tarcisio Bertone (nella foto con Benedetto XVI), segretario di Stato vaticano, in un’intervista esclusiva a L’Osservatore Romano alla vigilia della celebrazione che presiederà domani a L’Aquila, in occasione della Perdonanza celestiniana.

Una presenza - sottolinea al riguardo il porporato - che testimonia l’attenzione del Pontefice alle esigenze delle popolazioni terremotate e la sua speranza che “nulla possa far pensare a lentezze o disimpegno” nell’opera di ricostruzione. Riproponendo il valore della Perdonanza come gesto di riconciliazione e di rinnovamento anche a livello economico e sociale, il cardinale indica nell’attenzione del Papa verso i poveri una delle caratteristiche fondanti del Pontificato.

E invita a guardare alla “riforma della Chiesa” intrapresa da Benedetto XVI soprattutto come richiamo alla “interiorità” e alla “santità”, vissute nella fedeltà a Cristo e alla legge evangelica dell’amore.

Anche nella sua azione quotidiana di governo - assicura Bertone - emerge il distacco del Papa “dalle manovre e dal chiacchiericcio” di certi ambienti curiali e la sua volontà di puntare su persone competenti,
animate da “genuino spirito pastorale”.
 
In questa direzione - rivela - sono in cantiere alcune importanti nomine che daranno voce e rappresentanza a nuove realtà della Chiesa come quella africana.

Una battuta, infine, sull’Anno Sacerdotale, che secondo il segretario di Stato offrirà l’occasione di un riavvicinamento ai sacerdoti che sono in una condizione marginale nell’azione pastorale o hanno abbandonato l’esercizio del ministero.

Il Papa è spesso vittima di "elucubrazioni" e i "sussurri su presunti documenti di retromarcia sono pura invenzione secondo un clichè standardizzato e ostinatamente riproposto". "Per capire le intenzioni e l'azione di governo del Papa - dice - occorre rifarsi alla sua storia personale - un'esperienza variegata che gli ha permesso di attraversare la Chiesa conciliare da vero protagonista".
 
"Le altre elucubrazioni e i sussurri su presunti documenti di retromarcia - prosegue Bertone - sono pura invenzione secondo un cliché standardizzato e ostinatamente riproposto. Vorrei solo citare alcune istanze del Concilio Vaticano II dal Papa costantemente promosse con intelligenza e profondità di pensiero: il rapporto più comprensivo instaurato con le Chiese ortodosse e orientali, il dialogo con l'ebraismo e quello con l'islam, con una reciproca attrazione, che hanno suscitato risposte e approfondimenti mai prima verificati, purificando la memoria e aprendosi alle ricchezze dell'altro".

"Pur essendo un grande teologo e maestro di dottrina, un intellettuale e uno studioso importante, che si misura con gli uomini e le donne di pensiero del nostro tempo, Papa Ratzinger si fa capire da tutti ed è vicino alla gente, perché nelle sue parole anche la gente semplice percepisce la verità e coglie il senso di una fede e una saggezza umana ricca di paternità".
 
"Benedetto XVI - sottolinea il porporato - raggiunge una molteplicità di situazioni di povertà di singoli, di famiglie e di comunità sparse nel mondo, sia direttamente, sia attraverso la Segreteria papale o Segreteria di Stato, sia attraverso gli organismi preposti alla carità, come l'Elemosineria apostolica, il Pontificio Consiglio Cor Unum e altri, e con essi distribuisce non solo le offerte che riceve dai fedeli, dalle diocesi, dalle congregazioni religiose e le associazioni benefiche, ma anche i suoi diritti di autore, frutto del suo personale lavoro". "Infine, sulla scia dei suoi predecessori, con un accento peculiare - conclude il braccio destro di Papa Ratzinger - interviene, richiama, risveglia, sollecita l'azione dei Governi e delle organizzazioni internazionali per sanare le disuguaglianze e le discriminazioni più brucianti in tema di sottosviluppo e di povertà".

"È invalsa l'abitudine di imputare al Papa - o, come si dice, soprattutto in Italia, al Vaticano - la responsabilità di tutto ciò che accade nella Chiesa o di ciò che viene dichiarato da qualsiasi esponente o membro di Chiese locali, di istituzioni o di gruppi ecclesiali. Ciò non è corretto".

"Benedetto XVI - prosegue il porporato - è un modello di amore a Cristo e alla Chiesa, la impersona come Pastore universale, la guida nella via della verità e della santità, indicando a tutti la misura alta della fedeltà a Cristo e alla legge evangelica.
Ed è giusto, per una corretta informazione, attribuire a ciascuno (unicuique suum) la propria responsabilità per fatti e parole, soprattutto quando essi contraddicono patentemente gli insegnamenti e gli esempi del Papa.

L'imputabilità è personale, e questo criterio vale per tutti, anche nella Chiesa. Ma purtroppo - conclude Bertone - il modo di riportare e di giudicare dipende dalle buone intenzioni e dall'amore per la verità dei giornalisti e dei media". Il segretario di Stato invita dunque a "insegnare la verità, far conoscere e amare la verità, su se stessi, sul mondo, su Dio, convinti, secondo la parola di Gesu', che 'la verita' vi fara' liberi!'".

"Sinceramente ritengo che sarebbe molto facile per i giornalisti raccontare l'azione e il pensiero di Benedetto XVI" rifacendosi ai suoi scritti e ai suoi interventi, osserva il cardinale.





L'intervista integrale


Ne parla il segretario di Stato in un'intervista rilasciata alla vigilia della Perdonanza celestiniana

Il progetto di Chiesa e di società
di Benedetto XVI


 Il perdono è la forza della Chiesa per vincere il male ed è il percorso scelto da Benedetto XVI per proporre in termini convincenti alla società contemporanea una rinnovata apertura a Dio.
Il cardinale Tarcisio Bertone, in una intervista esclusiva al nostro giornale, prende spunto dalla celebrazione della Perdonanza celestiniana all'Aquila il 28 agosto per ribadire che solo una Chiesa e una società inclusive rispecchiano il progetto per cui sta operando Benedetto XVI. È la prima volta di un segretario di Stato alla storica celebrazione, decisa quale segno di affetto e vicinanza del Papa alle popolazioni abruzzesi colpite dal terremoto. Tanti gli spunti concreti di novità per sacerdoti e laici, che ci saranno nella curia romana e nella pastorale, che il cardinale Bertone offre. La pubblica opinione è chiamata a un alto senso di responsabilità che aiuta, tra l'altro, a superare ogni fraintendimento sul percorso scelto da Papa Benedetto, il pontefice che non brandisce la spada dello scontro e si fa capire dalla gente.

Perché il cardinale segretario di Stato ha deciso quest'anno di partecipare alla celebrazione del Perdono di Celestino V?

Il segretario di Stato è un vescovo e come primo collaboratore del Papa partecipa alla sua missione pastorale per il bene del popolo di Dio. Dopo aver celebrato il rito funebre per le vittime del terremoto, sono stato invitato a presiedere all'inaugurazione dell'Anno celestiniano e della sessantesima Settimana liturgica nazionale che doveva tenersi all'Aquila. Ho accettato volentieri sia per la connessione affettiva e spirituale che ormai mi lega alla terra abruzzese, sia per il tema scelto:  il sacramento del perdono, forza che vince il male. Poi, per evidenti motivi, la Settimana liturgica è stata trasferita a Barletta, in Puglia, mentre la festa della Perdonanza non poteva che essere celebrata all'Aquila, sotto il segno della riconciliazione che ricostruisce la comunione con Dio e con i fratelli, e risana le ferite del corpo e dello spirito. La mia partecipazione, inoltre, si pone in continuità con la vicinanza del Papa alle popolazioni abruzzesi colpite dal terremoto. Dopo la sua commovente visita all'Aquila, il Papa ha seguito l'azione della Chiesa, che si è espressa con i generosi contributi di molte diocesi italiane e non italiane, e si mantiene informato sull'azione delle istituzioni civili, sugli aiuti già avviati e anche sulle promesse fatte a livello internazionale, in occasione del g8. Come tutti noi, auspica che nulla possa fare pensare a lentezze o a disimpegno nel ridare alle persone la possibilità di riprendere una normale vita familiare nelle loro case, ricostruite o rese agibili, e nelle loro attività economiche e sociali.

La Perdonanza fu una importante iniziativa di Celestino V per estendere con larghezza le indulgenze spirituali, che in questo modo erano messe a disposizione anche dei cristiani più umili. Qual è l'attenzione ai poveri della Chiesa di Benedetto XVI?

Conosciamo la forza dirompente dell'atto compiuto da Celestino V:  il suo dono ha spinto poi il suo immediato successore, Bonifacio viii, a promulgare il Giubileo, con l'indulgenza estesa ormai a tutto il mondo, in un impulso plenario di rinnovamento, di perdono e di condono anche a livello economico e sociale, oltre che spirituale. Si rammentino le iniziative planetarie nate dal Giubileo del 2000. Venendo all'atteggiamento di Benedetto XVI verso i poveri, vorrei sottolineare innanzi tutto la sua particolare attenzione ai piccoli e agli umili. Pur essendo un grande teologo e maestro di dottrina, un intellettuale e uno studioso importante, che si misura con gli uomini e le donne di pensiero del nostro tempo, Papa Ratzinger si fa capire da tutti ed è vicino alla gente, perché nelle sue parole anche la gente semplice percepisce la verità e coglie il senso di una fede e una saggezza umana ricca di paternità. Parafrasando una espressione biblica, potremmo dire, con le parole del salmo 25, che "guida gli umili nella giustizia e ai poveri insegna la via del Signore". Benedetto XVI raggiunge una molteplicità di situazioni di povertà di singoli, di famiglie e di comunità sparse nel mondo, sia direttamente, sia attraverso la Segreteria papale o Segreteria di Stato, sia attraverso gli organismi preposti alla carità, come l'Elemosineria apostolica, il Pontificio Consiglio Cor Unum e altri, e con essi distribuisce non solo le offerte che riceve dai fedeli, dalle diocesi, dalle congregazioni religiose e le associazioni benefiche, ma anche i suoi diritti di autore, frutto del suo personale lavoro. Si può dire che realmente, secondo la definizione di sant'Ignazio di Antiochia, egli "presiede nella carità", guidando con l'esempio quel vasto movimento di carità e di solidarietà planetaria che la Chiesa svolge nelle sue più articolate componenti e ramificazioni capillari. Infine, sulla scia dei suoi predecessori, con un accento peculiare interviene, richiama, risveglia, sollecita l'azione dei Governi e delle organizzazioni internazionali per sanare le disuguaglianze e le discriminazioni più brucianti in tema di sottosviluppo e di povertà. Vorrei ricordare, tra gli innumerevoli testi, appelli e messaggi, il numero 27 della Caritas in veritate dove denuncia l'accentuarsi di una estrema insicurezza di vita e di crisi alimentari provocate sia da cause naturali sia dall'irresponsabilità politica nazionale e internazionale:  "È importante evidenziare come la via solidaristica allo sviluppo dei Paesi poveri possa costituire un progetto di soluzione della crisi globale in atto, come uomini politici e responsabili di Istituzioni internazionali hanno negli ultimi tempi intuito".

Lei conosce i consensi che circondano Benedetto XVI ma anche alcune riserve, specialmente sulla fedeltà al concilio Vaticano II e sulla riforma della Chiesa. Le sembrano timori fondati?

Per capire le intenzioni e l'azione di governo di Benedetto XVI occorre rifarsi alla sua storia personale - un'esperienza variegata che gli ha permesso di attraversare la Chiesa conciliare da vero protagonista - e, una volta eletto Papa, al discorso di inaugurazione del pontificato, a quello alla Curia romana del 22 dicembre 2005 e agli atti precisi da lui voluti e firmati (e talora pazientemente spiegati). Le altre elucubrazioni e i sussurri su presunti documenti di retromarcia sono pura invenzione secondo un cliché standardizzato e ostinatamente riproposto. Vorrei solo citare  alcune  istanze  del  concilio  Vaticano II dal Papa costantemente promosse con intelligenza e profondità di pensiero:  il rapporto più comprensivo instaurato con le Chiese ortodosse e orientali, il dialogo con l'ebraismo e quello con l'islam, con una reciproca attrazione, che hanno suscitato risposte e approfondimenti mai prima verificati, purificando la memoria e aprendosi alle ricchezze dell'altro. E inoltre mi fa piacere sottolineare il rapporto diretto e fraterno, oltre che paterno, con tutti i membri del collegio episcopale nelle visite ad limina e nelle altre numerose occasioni di contatto. Si ricordi la prassi da lui avviata dei liberi interventi alle assemblee del Sinodo dei vescovi con puntuali risposte e riflessioni dello stesso Pontefice. Non dimentichiamo poi il contatto diretto instaurato con i superiori dei dicasteri della Curia romana con i quali ha ripristinato i periodici incontri di udienza. Quanto alla riforma della Chiesa - che è soprattutto una questione di interiorità e di santità - Benedetto XVI ci ha richiamati alla fonte della Parola di Dio, alla legge evangelica e al cuore della vita della Chiesa:  Gesù il Signore conosciuto, amato, adorato e imitato come "colui nel quale piacque a Dio di far abitare ogni pienezza", secondo l'espressione della lettera ai Colossesi. Con il volume Gesù di Nazaret e con il secondo che sta preparando, il Papa ci fa un grande dono e sigilla la sua precisa volontà di "fare di Cristo il cuore del mondo".
Non dimentichiamo quanto ha scritto nella lettera ai vescovi cattolici dello scorso 10 marzo sulla remissione della scomunica dei vescovi consacrati dall'arcivescovo Lefebvre:  "Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l'accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine (cfr. Gv 13, 1) - in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l'umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più". 

Quali sono stati gli interventi qualificanti nella Curia romana di Benedetto XVI e quali bisogna ancora attendersi?

Benedetto XVI è un profondo conoscitore della Curia romana, dove ha ricoperto un ruolo preminente come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, un osservatorio e un dicastero centrale per la connessione delle giunture con tutti gli altri organismi di governo della Chiesa. Così ha potuto conoscere perfettamente persone e dinamismi e seguire il percorso delle nomine avvenute sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, pur nel suo distacco dalle manovre e dal chiacchiericcio che a volte si sviluppa in certi ambienti curiali, purtroppo poco permeati da vero amore alla Chiesa. Dall'inizio del suo pontificato, ancora breve, sono oltre 70 le nomine di superiori dei vari dicasteri, senza contare quelle dei nuovi nunzi apostolici e dei nuovi vescovi in tutto il mondo. I criteri che hanno guidato le scelte di Benedetto XVI sono stati:  la competenza, il genuino spirito pastorale, l'internazionalità. Sono alle porte alcune nomine importanti e non mancheranno le sorprese, soprattutto in relazione alla rappresentanza delle nuove Chiese:  l'Africa ha già offerto e offrirà eccellenti candidati.

È giusto attribuire alla responsabilità del Pontefice tutto quello che accade nella Chiesa o è utile per una corretta informazione applicare il principio di responsabilità personale?

È invalsa l'abitudine di imputare al Papa - o, come si dice, soprattutto in Italia, al Vaticano - la responsabilità di tutto ciò che accade nella Chiesa o di ciò che viene dichiarato da qualsiasi esponente o membro di Chiese locali, di istituzioni o di gruppi ecclesiali. Ciò non è corretto. Benedetto XVI è un modello di amore a Cristo e alla Chiesa, la impersona come Pastore universale, la guida nella via della verità e della santità, indicando a tutti la misura alta della fedeltà a Cristo e alla legge evangelica. Ed è giusto, per una corretta informazione, attribuire a ciascuno (unicuique suum) la propria responsabilità per fatti e parole, soprattutto quando essi contraddicono patentemente gli insegnamenti e gli esempi del Papa. L'imputabilità è personale, e questo criterio vale per tutti, anche nella Chiesa. Ma purtroppo il modo di riportare e di giudicare dipende dalle buone intenzioni e dall'amore per la verità dei giornalisti e dei media. Ho letto di recente un bell'articolo di Javier Marías, che fa un'amara riflessione:  "Ho avuto modo di osservare che una vasta percentuale della popolazione mondiale non si preoccupa più della verità. Temo però di aver peccato di eccessiva cautela, perché ciò che sta accadendo è di gran lunga più funesto:  una vasta percentuale della popolazione oggi non è più in grado di distinguere la verità dalla menzogna, oppure, per essere più precisi, la realtà dalla finzione". Rimane perciò ancora più urgente e necessario insegnare la verità, far conoscere e amare la verità, su se stessi, sul mondo, su Dio, convinti, secondo la parola di Gesù, che "la verità vi farà liberi!" (Giovanni, 8, 32).

Può  spiegare,  magari  anche  con  qualche esempio, come nella Chiesa di Benedetto XVI la libertà di pensiero e di ricerca vada di pari passo con la responsabilità della fede?

In relazione a questo tema - che è assai importante e centrale nella Chiesa, e che tocca altri binomi strettamente connessi, come fede e ragione, fede e cultura, scienza e fede, obbedienza e libertà - occorre riandare all'esempio della vita e dell'esperienza di Joseph Ratzinger, pensatore, teologo e maestro di dottrina riconosciuto, come ho appena detto. Non si può ovviamente scindere la sua prassi e il suo stile di governo dalle convinzioni più profonde che hanno nutrito e segnato il suo comportamento di studioso e di ricercatore. Nel suo lungo percorso di intellettuale, assai attivo sulle cattedre universitarie e sui media, si sono aggiunte successivamente due formidabili responsabilità:  dapprima quella di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e poi quella di Pastore supremo della Chiesa cattolica. È evidente che queste due funzioni hanno segnato gli insegnamenti e gli atti del cardinale e del Papa, orientandoli ancor più efficacemente, se così si può dire, a una interazione e a una sinergia fra la libertà fondamentale di pensiero e di ricerca e la responsabilità dell'atto di fede e dell'adesione di fede a Dio che si rivela, che parla e chiama a essere "nuova creatura". Non quindi una contrapposizione o una "secessione", ma una armonia da ricercare, da costruire con intelligenza d'amore. Tale è l'atteggiamento di Joseph Ratzinger quando parla a organismi come la Pontificia Commissione Biblica, la Commissione Teologica Internazionale, la Pontificia Accademia delle Scienze, la Pontificia Accademia per la Vita, e così via, oppure quando dialoga con singoli studiosi e pensatori. Chiede ai teologi di non essere sradicati dalla fede della Chiesa, per essere veri teologi cattolici, e ha elogiato - ad Aosta, lo scorso 25 luglio - "la grande visione che ha avuto Teilhard de Chardin:  l'idea paolina che alla fine avremo una vera liturgia cosmica, e il cosmo diventerà ostia vivente". E vorrei ancora citare una bella pagina della Caritas in veritate ove parla "dell'impegno per fare interagire i diversi livelli del sapere umano in vista della promozione di un vero sviluppo dei popoli". Dopo aver spiegato che il sapere non è mai solo opera dell'intelligenza, e che il sapere è sterile senza l'amore, conclude:  "Le esigenze dell'amore non contraddicono quelle della ragione. Il sapere umano è insufficiente e le conclusioni delle scienze non potranno indicare da sole la via verso lo sviluppo integrale dell'uomo. C'è sempre bisogno di spingersi più in là:  lo richiede la carità nella verità. Andare oltre, però, non significa mai prescindere dalle conclusioni della ragione né contraddire i suoi risultati. Non c'è l'intelligenza e poi l'amore:  ci sono l'amore ricco di intelligenza e l'intelligenza piena di amore" (n. 30). 

Trova che sia facile o difficile raccontare l'azione e il pensiero di Benedetto XVI giunto al quinto anno di pontificato?

Sinceramente ritengo che sarebbe molto facile per i giornalisti raccontare l'azione e il pensiero di Benedetto XVI. Scorrendo i volumi dei suoi Insegnamenti o i testi pubblicati su "L'Osservatore Romano" - che sempre ne trasmette fedelmente gli interventi, talora anche spontanei e ricchi di immediatezza e di attualità - non sarebbe difficile ricostruire il suo progetto di Chiesa e di società, coerentemente ispirato al Vangelo e alla più autentica tradizione cristiana. Benedetto XVI ha una visione limpida e vorrebbe spingere i singoli e le comunità a una vita divinamente e umanamente armonica, con la teologia dell'et e la spiritualità del "con", mai del "contro", a meno che non si tratti delle terribili ideologie che hanno portato l'Europa nei baratri del secolo scorso. Basterebbe essere altrettanto limpidi e fedeli, riportando sine glossa, cioè senza l'aggiunta di contorte interpretazioni, le sue genuine parole e i suoi gesti di padre del popolo di Dio.

Un'ultima domanda:  come è nata l'idea dell'Anno sacerdotale?

Ricordo che dopo il Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio, sul tavolo del Papa vi era una proposta, già precedentemente presentata, per un anno della preghiera, che di per sé era ben collegata con la riflessione sulla Parola di Dio. Tuttavia, la ricorrenza del centocinquantesimo anniversario della morte del curato d'Ars e l'emergenza delle problematiche che hanno investito tanti sacerdoti, hanno mosso Benedetto XVI a promulgare l'Anno sacerdotale, dimostrando così una speciale attenzione ai sacerdoti, alle vocazioni sacerdotali e promuovendo in tutto il popolo di Dio un movimento di crescente affetto e vicinanza ai ministri ordinati. Essi sono senza dubbio la spina dorsale delle Chiese locali e i primi cooperatori del vescovo nella missione dell'annuncio della fede, della santificazione e della guida del popolo di Dio. Il Papa ha sempre dimostrato una grande vicinanza e affabilità verso i sacerdoti, soprattutto nei dialoghi spontanei, ricchi di esperienza e di indicazioni concrete sulla loro vita, e con risposte puntuali alle loro domande. L'Anno sacerdotale sta suscitando un grande entusiasmo in tutte le Chiese locali e un movimento straordinario di preghiera, di fraternità verso e fra i sacerdoti e di promozione della pastorale vocazionale. Si sta inoltre irrobustendo il tessuto del dialogo, talora appannato, tra vescovi e sacerdoti, e sta crescendo una attenzione speciale anche verso i sacerdoti ridotti a una condizione marginale nell'azione pastorale. Si auspica anche che avvenga una ripresa di contatto, di aiuto fraterno e possibilmente di ricongiungimento con i sacerdoti che per vari motivi hanno abbandonato l'esercizio del ministero. Molte iniziative sono indirizzate a rafforzare la coscienza dell'identità e della missione sacerdotale, che è essenzialmente una missione esemplare ed educativa nella Chiesa e nella società. I santi sacerdoti che hanno popolato la storia della  Chiesa  non  mancheranno  di proteggere  e  di  sostenere  il  cammino di  rinnovamento  proposto  da  Benedetto XVI.


(©L'Osservatore Romano - 28 agosto 2009)
Caterina63
00giovedì 30 giugno 2011 10:54
cardinale ANGELO SCOLA, di fresca nomina quale Successore sulla Cattedra di sant'Ambrogio:
"Quando incontrai Ratzinger capii il suo "segreto"...

scola

mercoledì 29 giugno 2011

" Sapeva gustare del mondo, della vita e della sua terra, e farne gustare agli altri. Ma viveva in uno stato di ascesi e abnegazione quotidiana. Si trattava dei mezzi coni quali raggiungere il suo unico fine: «il benessere della persona e della comunità, potremmo dire, medioevalmente, la "convenienza" dell'io e del "noi"». "
E’ la descrizione che fa dell’allora cardinal Ratzinger il neo arcivescovo di Milano, mons. Angelo Scola.
Pubblichiamo un testo estratto dal saggio “Joseph Ratzinger 1927-1997” scritto, in occasione del compleanno del cardinale tedesco

Ho incontrato per la prima volta il cardinal Ratzinger nel 1971. Era Quaresima. Il ricordo di quell'incontro si è arricchito di sfumature nella inevitabile rielaborazione della mia memoria. Un giovane professore di diritto canonico, due sacerdoti non ancora trentenni studenti di teologia e un giovane editore erano a tavola, invitati dal professor Ratzinger, in un caratteristico ristorante in riva al Danubio che, a Regensburg, scorre né troppo lento né troppo impetuoso così da far ancora pensare al bel Danubio blu. L'invito l'aveva procurato von Balthasar per discutere della possibilità di fare un'edizione italiana di quella rivista che sarebbe poi stata Communio.

Balthasar sapeva rischiare. Alla fine di quel colloquio, aveva detto: «Ratzinger, dovete parlare con Ratzinger. É lui oggi l'uomo decisivo per la teologia di Communio. É il perno della redazione tedesca. Io e De Lubac siamo vecchi. Andate da Ratzinger... se lui è d'accordo...». Si ripeteva così per noi, in poche settimane, un'esperienza stimolante. Avevamo osato con Balthasar, una personalità famosa conosciuta prima solo dai libri, affrontandolo con un misto di timore e provocazione, ora ci aspettava un altro teologo ben più giovane ma altrettanto affermato, che discuteva con Rahner e Kung e divideva - ne parlammo lungo tutto il viaggio da Friburgo a Regensburg - non solo le nostre opinioni ma anche i nostri animi. Eravamo due a due: due a favore e due contro.

Con il suo tratto delicato, i gesti misurati ma gli occhi mobilissimi, Ratzinger ci illustrava il menu: una lunga sequenza di succulenti piatti bavaresi... Mostrava di conoscerlo bene, era senz'altro un habitué del ristorante. Noi, superato l'impaccio dell'inizio, da buoni latini, per giunta giovani, ci lanciammo in paragoni fra menu bavaresi e lombardi. Qualcuno aveva passato sufficiente tempo in Germania per concedersi di discettare sui tipi e le marche delle birre.

Mi ricordo bene che chiesi al nostro ospite cosa ci consigliasse: pazientemente riprese ad illustrarci ogni piatto della lista, spingendoci a gustarne più di qualcuno per farci un'idea della cucina bavarese. Ormai da un po' il cameriere attendeva rispettoso al tavolo.

Non senza disordine e aumentando progressivamente il tono dei nostri scambi fino al punto da far voltare qualche altro commensale, finimmo, sotto gli occhi benevoli ed il sorriso, forse un po' impaziente, del nostro ospite, per scegliere un vasto ed esagerato assortimento di piatti. Ratzinger chiuse la lista degli ordini dicendo al cameriere qualcosa come «per me il solito». Il cameriere servì prima, con meticolosità tedesca, noi tutti, alla fine portò al noto teologo un toast e una sorta di limonata. La nostra sorpresa rischiava l'imbarazzo. Con un sorriso, stavolta veramente largo e bonario, il cardinale ci liberò, esclamando: «Voi siete in viaggio... Se io mangio troppo come si fa poi a studiare?».

Commentando l'episodio, al ritorno in auto, notammo però quella battuta: «come al solito», del cardinale al cameriere. Non è per aggiungere il tratto agiografico della sobrietà alla biografia del cardinale che mi sono dilungato su questo piccolo, personale ricordo. L'ho fatto solo perché, anche dopo l'approfondirsi della mia conoscenza, quell'episodio mi pare dire il suo stile e lo stile, si sa, è l'uomo. Ratzinger è un vero cattolico bavarese: capace di godere e di far godere la vita (le pagine sulla Baviera del volume La mia vita sono a tratti vera poesia).

Il suo segreto è che l'affronta come compito. Amante della persona in quanto partecipa della vita del popolo per il quale è naturale spendersi totalmente, è capace di un'abnegazione quotidiana tenace, mai appariscente. L'ascesi, l'etica, ed il governo non sono in lui fini ma mezzi: fine è il benessere della persona e della comunità, potremmo dire, medioevalmente, la "convenienza" dell'io e del "noi" con una vita pienamente realizzata.

I suoi interessi teologici, ad esempio la vita eterna (escatologia), la rivelazione nella storia, il nuovo popolo di Dio, la liturgia non sarebbero adeguatamente colti senza capire l'orgoglio appassionato per la sua appartenenza al popolo cattolico bavarese, fatto appunto di lieta partecipazione ad ogni aspetto dell'umano e di pertinace senso del compito. Così aveva avuto cura che noi suoi giovani ospiti, dopo aver ammirato la bellezza dei campi di luppolo sull'autostrada da Monaco a Regensburg e aver ascoltato il valzer in riva al Danubio, potessimo anche godere dei frutti della sua terra nella Gastatte accogliente col suo ricco piede di porco, la varietà dei Wurstel e la Fastenbier (la birra scura di Quaresima).

Nello stesso tempo, senza sussiego, intendeva mantenere il suo ritmo abituale di vita e di lavoro... La sensibilità metodologica, nello stesso tempo fortemente unitaria ed articolata, capace di sintesi ma anche di esaltare le più piccole sfumature di un fenomeno storico o di un aspetto del pensiero, è comune a tutte le tappe del percorso di Ratzinger. Essa costituisce il fattore di continuità della sua opera. Ciò impone, in un certo senso, di sfatare un primo stereotipo sorto intorno al pensiero di Ratzinger.

Mi riferisco al supposto passaggio da "teologo progressista", per fasi successive, a "prefetto restauratore". Per una persona che possiede un principio sintetico vitale, nel nostro caso un'esperienza di fede legata ad una comunità in cammino, l'evolvere del pensiero, non privo ovviamente di correzione e di inveramento, lungi da essere prova di discontinuità, ne documenta la ricchezza e la maturità.

L'affermazione di una supposta rottura nel pensiero di Ratzinger è da ascrivere al pregiudizio ideologico, ormai troppo radicato anche tra cristiani, che applica il modello conservatori/progressisti alla Chiesa nelle sue espressioni organiche e nei suoi uomini. Un altro stereotipo che cade con facilità, appena si conosce la persona, è quello del "prefetto di ferro", che farebbe pensare, prima ancora che ad una rigidità di pensiero, ad una durezza di tratto.

Basta parlarci una volta per cogliere la squisitezza della sua umanità. Ciò che sorprende, quando si ha modo di ascoltarlo e di dialogare con lui sui più svariati problemi, è che ti comunica sempre una sfumatura in più, qualcosa di nuovo, ti apre sempre a qualcosa che non avevi ancora visto.


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