Il realismo della Fede: Fede e ragione nel Magistero di Benedetto XVI

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Caterina63
00venerdì 17 aprile 2009 18:57
Le università europee e la crisi culturale della modernità

Emmaus e la sfida della ragione ampliata


È in corso a Uppsala l'incontro del Gruppo di coordinamento della sezione università della Commissione catechesi, scuola e università del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa. Pubblichiamo stralci di uno degli interventi.

di Enrico dal Covolo


I due discepoli si fermarono un momento "con il volto triste". La crisi dei discepoli di Emmaus corrisponde per molti aspetti alla crisi che viviamo noi oggi.

Più precisamente, in riferimento a ciò che qui ci interessa di più, Benedetto XVI constata che le università europee vivono e operano in un contesto di crisi culturale, che è "la crisi della modernità". Secondo la diagnosi del Papa, tale crisi è causata dalla diffusa adesione a un falso modello di umanesimo, che "pretende di edificare un regnum hominis alieno dal suo necessario fondamento ontologico" (Discorso del 23 giugno 2007).

Pertanto, fedele alla metodologia di Emmaus, il Papa invita gli universitari a studiare in maniera esauriente la crisi della modernità. Ancora una volta, bisogna camminare insieme! È importante avviare il dialogo, e saper ascoltare ("Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi?").

In questa direzione il magistero complessivo di Benedetto XVI offre numerosi spunti di riflessione. Possiamo riferirci per esempio al terzo capitolo del suo libro Gesù di Nazaret, dove parla delle tentazioni nel deserto.

Le tre tentazioni, spiega il Papa, hanno un "nucleo perverso in comune":  si tratta in ogni caso di "rimuovere Dio", stabilendo una falsa gerarchia dei valori. La tentazione - osserva Benedetto - si nasconde sotto "la pretesa del vero realismo. Il reale è ciò che si constata:  potere e pane. A confronto, le cose di Dio appaiono irreali, un mondo secondario, di cui non c'è veramente bisogno" (p. 51), e di cui alla fine si può fare tranquillamente a meno.

È importante osservare che con questo tipo di discorso Benedetto XVI non intende minimamente svalutare il progresso scientifico e tecnologico, e neppure i valori terrestri, intramondani - come invece gli è stato rinfacciato da qualche parte -. Fra l'altro, pochi pontefici hanno insistito come lui su alcuni valori, come il rispetto della natura e l'ecologia, per un sano sviluppo del pianeta.

Piuttosto, egli intende ribadire con forza  la giusta gerarchia dei valori, per garantire la speranza autentica dell'uomo.
Un mondo che rifiuta Dio come unico assoluto valore, relegandolo nella sfera di un'opzionale pratica religiosa individualistica, precipita fatalmente nel baratro del non senso. I valori intramondani, sganciati dal riferimento all'unico assoluto valore, perdono il loro significato autentico, e - indebitamente assolutizzati - diventano degli idoli, trappole mortali che uccidono la dignità dell'uomo.
 
Questo è il vero dramma del progresso tecnologico nella società avanzata. Quando esso non è opportunamente relativizzato con un riferimento esplicito ai valori assoluti della persona umana, allora il presunto "progresso" si rivela fallace e dannoso per una crescita globale dell'uomo.

La concezione del mondo come regnum hominis, decisamente rigettata dal Papa, genera una falsa speranza. Essa si appoggia su una lettura della realtà meramente orizzontalista, nella quale trovano spazio solo alcuni valori terrestri, come la pace, la tolleranza, la giustizia sociale, la salvaguardia del creato, senza alcun riferimento a Dio.

È la grande sfida che la modernità nella sua crisi pone al credente:  questi valori - perché tali essi sono - quando vengono indebitamente assolutizzati lasciano l'uomo senza salvezza e senza speranza (cfr. Spe salvi).

Viceversa, i valori terrestri sopra elencati trovano il più ampio spazio di crescita e di sviluppo in un mondo disposto a riconoscere il proprio limite, in obbedienza a Dio, che svela all'uomo il vero volto dell'uomo e del mondo, e che indica la verità assoluta di Sé - e dell'uomo - nell'amore di chi è disposto a dare la propria vita per coloro che ama.

I discepoli "lo riconobbero allo spezzare del pane":  allora si ricordarono che le Scritture spiegate da lui "avevano fatto ardere il loro cuore". Ciò significa che per giungere all'incontro più pieno occorre realizzare in profondità l'esperienza viva, realissima di Gesù Cristo, unico Signore e Salvatore della nostra vita. Certo, il racconto di Emmaus insiste per questo sui sentieri assolutamente privilegiati dell'ascolto della Parola e della celebrazione dei sacramenti. Ma, in maniera mirata al nostro tema - ferma restando, in ogni caso, l'indicazione fondamentale del vangelo di Luca - il Papa nei suoi due discorsi indica una via per uscire in maniera positiva dalla crisi, e - in definitiva -  per  vivere "da  cristiani  in  università".

Si tratta in sostanza di ampliare la nostra idea di razionalità, affinché la ragione possa incontrare efficacemente la Verità.

Stando a un tema ricorrente soprattutto nelle catechesi patristiche di Benedetto XVI, già i Padri della Chiesa - cioè i primi maestri della nostra fede, dopo gli scritti del Nuovo Testamento - hanno robustamente ampliato la ragione:  hanno "ampliato" il lògos dei Greci, di illustre marca platonico-stoica, per esprimere così il Lògos della predicazione cristiana, la seconda Persona della Trinità beata, il Figlio di Dio divenuto carne nel grembo di Maria, l'unico Salvatore del mondo.

Alle profonde radici di questo ampliamento della ragione sta la scelta netta della fede cristiana primitiva:  "La fede cristiana ha fatto la sua scelta netta:  contro gli dei della religione per il Dio dei filosofi, vale a dire contro il mito della consuetudine per la verità dell'essere" (Introduzione al cristianesimo, iii; cfr. Discorso del 7 giugno 2008).

Ritornando al nostro oggi, il Papa ci invita a capire che "la crisi della modernità non è sinonimo di declino della filosofia. Anzi la filosofia deve impegnarsi in un nuovo percorso di ricerca per comprendere la vera natura di tale crisi" (era questa la prima istanza), e per "individuare prospettive nuove verso cui orientarsi":  ed è precisamente questa la seconda istanza (Discorso del 7 giugno 2008).

Ecco dunque la prospettiva nuova raccomandata da Benedetto XVI:  "Il concetto di ragione deve essere "ampliato", perché sia in grado di esplorare e di comprendere quegli aspetti della realtà che vanno oltre la dimensione meramente empirica". E prosegue:  "Ciò permetterà un approccio più fecondo e complementare al rapporto tra fede e ragione".
Tale prospettiva, da lui affacciata nel Discorso del 23 giugno 2007, è stata poi ripresa e sviluppata - monograficamente, per così dire - nel successivo Discorso del 7 giugno 2008:  di fatto, esso va riletto interamente in questa prospettiva.

A ben guardare, capita qui, nel caso del rapporto tra fede e ragione, qualche cosa di simile a ciò che il Papa stesso insegna in Deus caritas est riguardo alle relazioni tra èros e agàpe:  "Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse", scrive il Pontefice nel n. 7 della sua prima enciclica, "trovano la giusta unità nell'unica realtà dell'amore, tanto più si realizza la vera natura dell'amore in genere".

Un po' allo stesso modo, solo una ragione aperta alla fede - una ragione che di fatto approda alla fede, pur nel rispetto delle necessarie distinzioni tra ragione e fede e dei rispettivi itinerari - consente all'uomo di attingere alla verità profonda del suo essere, che è l'Amore. L'uomo infatti è creato "a immagine e somiglianza" di quel Dio, capace di "volgersi contro se stesso" per amore (ivi, n. 12). Questa è la vera "chiave" di interpretazione della storia e dell'esistenza umana.

In fondo, rileva ancora il Papa nel discorso del 23 giugno 2007, "il sorgere delle università europee fu promosso dalla convinzione che fede e ragione cooperassero alla ricerca della Verità, ognuna secondo la sua natura e la sua legittima autonomia, ma sempre operando insieme armoniosamente e creativamente al servizio della realizzazione della persona umana in verità e amore".

Di fatto, solo l'incontro con Gesù Cristo, Verità e Amore, riaccende il cuore a nuova speranza, che non è solo la speranza di questo mondo, ma quella definitiva, dei cieli nuovi e della terra nuova.

Ma non basta ancora. Il progetto della vita nuova, che scaturisce dall'incontro con Cristo, va vissuto e testimoniato nel quotidiano, nell'oggi. È questo il realismo della fede nel quale il Papa individua il contributo fondamentale che la presenza dei cristiani in Università può offrire all'umanesimo del futuro. La Chiesa oggi - afferma infatti Papa Benedetto - è chiamata "a escogitare metodi efficaci di annuncio alla cultura contemporanea del "realismo" della propria fede nell'opera salvifica di Cristo" (Discorso del 23 giugno 2007).

Il cosiddetto "realismo della fede" nel pensiero di Papa Ratzinger si fonda sul fatto che al centro della nostra fede non sta un insieme di asserti teorici, ma l'incontro realissimo - proprio come a Emmaus - con una Persona, Gesù di Nazaret, il Salvatore. Così il medesimo realismo della fede si oppone a una visione meramente intellettualistica e astratta di Dio. In questo, il Papa dipende dai suoi maestri prediletti, che sono i grandi scrittori e dottori della Chiesa,  da  Origene  ad  Agostino,  fino a san Bonaventura. Per tutti loro, la forma più alta della conoscenza è l'amore.

L'esperienza vera, "reale" di Gesù Cristo - spiega ancora il Papa - non si può limitare alla semplice sfera intellettuale. Essa "include anche una rinnovata abilità:  (...quella) di lasciarci entusiasmare dalla realtà, la cui Verità si può capire (solo) unendo l'amore alla comprensione".

Il "realismo della fede" si esprime anzitutto  nei santi, testimoni privilegiati  della  Verità  e  dell'Amore. Ma un vibrante appello alla testimonianza il Papa lo rivolge a tutti i credenti, e in particolare - fra di loro - ai professori  universitari,  che  sono  "chiamati  a  incarnare  la  verità  della carità intellettuale, riscoprendo la loro primordiale vocazione a formare le generazioni  future non solo mediante l'insegnamento,  ma  anche", appunto, "attraverso la testimonianza profetica della  propria  vita".  In  tale  prospettiva, oltre a riprendere il discorso dei "laboratori"  della  cultura  e  della fede, il Papa auspica "una rete attiva di operatori universitari impegnati a portare la luce del Vangelo alla cultura contemporanea" (Discorso del 23 giugno 2007).



(©L'Osservatore Romano - 18 aprile 2009)
Caterina63
00martedì 17 novembre 2009 14:31
All'Angelus appello del Papa per la sicurezza sulle strade

La Parola di Dio trasforma il mondo


La Parola di Dio è un "seme di eternità che trasforma dal di dentro questo mondo". Lo ha sottolineato Benedetto XVI domenica mattina, 15 novembre, durante la preghiera dell'Angelus, recitata con i numerosi fedeli presenti in piazza san Pietro.


Cari fratelli e sorelle!
Siamo giunti alle ultime due settimane dell'anno liturgico. Ringraziamo il Signore che ci ha concesso di compiere, ancora una volta, questo cammino di fede - antico e sempre nuovo - nella grande famiglia spirituale della Chiesa! È un dono inestimabile, che ci permette di vivere nella storia il mistero di Cristo, accogliendo nei solchi della nostra esistenza personale e comunitaria il seme della Parola di Dio, seme di eternità che trasforma dal di dentro questo mondo e lo apre al Regno dei Cieli. Nell'itinerario delle Letture bibliche domenicali ci ha accompagnato quest'anno il Vangelo di san Marco, che oggi presenta una parte del discorso di Gesù sulla fine dei tempi. In questo discorso, c'è una frase che colpisce per la sua chiarezza sintetica:  "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno" (Mc 13, 31). Fermiamoci un momento a riflettere su questa profezia di Cristo.

L'espressione "il cielo e la terra" è frequente nella Bibbia per indicare tutto l'universo, il cosmo intero. Gesù dichiara che tutto ciò è destinato a "passare". Non solo la terra, ma anche il cielo, che qui è inteso appunto in senso cosmico, non come sinonimo di Dio. La Sacra Scrittura non conosce ambiguità:  tutto il creato è segnato dalla finitudine, compresi gli elementi divinizzati dalle antiche mitologie:  non c'è nessuna confusione tra il creato e il Creatore, ma una differenza netta. Con tale chiara distinzione, Gesù afferma che le sue parole "non passeranno", cioè stanno dalla parte di Dio e perciò sono eterne. Pur pronunciate nella concretezza della sua esistenza terrena, esse sono parole profetiche per eccellenza, come afferma in un altro luogo Gesù rivolgendosi al Padre celeste:  "Le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato" (Gv 17, 8).

In una celebre parabola, Cristo si paragona al seminatore e spiega che il seme è la Parola (cfr. Mc 4, 14):  coloro che l'ascoltano, l'accolgono e portano frutto (cfr. Mc 4, 20) fanno parte del Regno di Dio, cioè vivono sotto la sua signoria; rimangono nel mondo, ma non sono più del mondo; portano in sé un germe di eternità, un principio di trasformazione che si manifesta già ora in una vita buona, animata dalla carità, e alla fine produrrà la risurrezione della carne. Ecco la potenza della Parola di Cristo.

Cari amici, la Vergine Maria è il segno vivente di questa verità. Il suo cuore è stato "terra buona" che ha accolto con piena disponibilità la Parola di Dio, così che tutta la sua esistenza, trasformata secondo l'immagine del Figlio, è stata introdotta nell'eternità, anima e corpo, anticipando la vocazione eterna di ogni essere umano. Ora, nella preghiera, facciamo nostra la sua risposta all'Angelo:  "Avvenga per me secondo la tua parola" (Lc 1, 38), perché, seguendo Cristo sulla via della croce, possiamo giungere pure noi alla gloria della risurrezione.

Al termine della preghiera mariana Benedetto XVI ha ricordato la plenaria della Commissione episcopale europea per i media e la Giornata del ringraziamento per i frutti della terra celebrata in Italia, e ha lanciato un invito alla prudenza sulle strade, in occasione della Giornata mondiale per le vittime degli incidenti.

Rivolgo anzitutto un cordiale saluto ai partecipanti all'Assemblea Plenaria della Commissione Episcopale Europea per i Media, i cui lavori si sono svolti in questi giorni in Vaticano. Carissimi, vi siete confrontati sulla cultura di internet e la comunicazione nella Chiesa. Vi ringrazio per il vostro qualificato contributo su questa tematica di grande attualità.
Desidero inoltre ricordare che oggi ha luogo ad Ivrea, in Piemonte, la celebrazione nazionale della Giornata del Ringraziamento. Volentieri mi unisco spiritualmente a quanti sono riconoscenti al Signore per i frutti della terra e del lavoro dell'uomo, rinnovando l'invito pressante al rispetto dell'ambiente naturale, risorsa preziosa affidata alla nostra responsabilità.

                       Pope Benedict XVI blesses pilgrims as he celebrates the Angelus prayer from the balcony of his appartment on November 15, 2009 at the Vatican.

Caterina63
00venerdì 9 marzo 2012 11:30
proseguiamo con un passo tratto da questo thread sull'Anno della Fede 

fonte: La Chiesa Cattolica - la sua dottrina - Vol.II - con Imprimatur Vescovile - Trieste 1886

Mescolato anch'io con gli Apostoli, nel Cenacolo, sentirò quelle dolci parole di Gesù, Dio nostro: < amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi > (Gv.15,12).







- Dio è retributore, ma chi sceglie è l'uomo: la vita e la morte.

Che cosa è la vita? - dice il Guerrazzi - E' un male o un bene? Se è un male, perché mi viene data? Se è un bene, perché mi viene tolta?.

L'incredulo non può conoscere il pregio della vita, la quale in sé è un bene ed un male:

- è un bene, perché approfittando del tempo che dimoriamo sulla terra, possiamo acquistarci l'eterna beatitudine;

- è un male perché, a che siamo in questo mondo, non possiamo mai essere pienamente felici.

E' perciò che la Divina Provvidenza ci dona la vita in quanto è un bene e, imperciòcché ce la toglie in quanto è un male.

Nel piano della Divina Economia, infatti, è la morte il termine di tutti i mali, ma anche il principio dell'eterno bene, ma dipende dall'uomo che questo piano della Provvidenza s'effettui e che la morte, anziché divenire il principio dell'eterna gioia, non gli procuri l'inizio dell'eterna dannazione.

Così anche la morte diventa o un bene o un male, dice infatti la Sacra Scrittura: "Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius. / Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli" (Sal.116 (CXV) 15), oppure: "Siccitas et calor abstulerunt aquas nivium, et inferi eos, qui peccaverunt / Come siccità e calore assorbono le acque nevose, così la morte rapisce il peccatore. (Gb.24,19)". Ma così ammonisce la Divina Sapienza: " Qui autem in me peccaverit, laedet animam suam: omnes, qui me oderunt, diligunt mortem / ma chi pecca contro di me, danneggia se stesso: quanti mi odiano amano la morte " (Prov. 8,36), pessima è dunque la morte dei peccatori, poiché dobbiamo essere memori del Creatore prima che la polvere "et revertatur pulvis in terram suam, unde erat, et spiritus redeat ad Deum, qui dedit illum. / torni nella sua terra d'onde ebbe origine: dalla polvere, e lo spirito ritorni a Dio di cui fu dono" (Eccles.12,7).

I Santi Padri e tutta la Doctrina della Chiesa ci insegnano che la morte, sopraggiunta a causa del Peccato Originale, è stata ora resa un passaggio necessario, ma come un ritorno alla vera Patria, nel Tract. de Mortalit. vol.I cap.16 si legge: "Accogliamo con trasporto - scrive San Cipriano - il giorno che assegna ad ogni uno il suo domicilio, che libera da qui, e sciolti dai legami della terra, ci restituisce al Paradiso ed al Regno Celeste. Qual viaggiatore non s'affretterebbe di ritornare alla sua vera Patria? Chi, facendo vela verso i suoi, non desidererebbe ardentemente dé prosperi venti per poter abbracciare più presto i suoi cari? La nostra Patria è il Paradiso, là ci attende un numero grande di persone care, là ci brama numerosa turba di parenti, di fratelli, di figli, della sua sorte già sicura e solo della nostra salvezza sollecita. Quanta sarà la nostra e la loro allegrezza, quando ci troveremo assieme con essi! Qual sarà nel Regno dei Cieli la contentezza, esenti come saremo del timore di morire, certi di vivere eternamente..."


- Che cosa è dunque questa morte?

La morte è la separazione dell'anima dal corpo. Il corpo, privo del principio vegetativo ed animale che l'anima gli dava, si scioglie, si decompone, si scompone, ritorna alla polvere, e gli elementi dei quali era composto passano a far parte di altri organismi fino al giorno in cui corpo ed anima si riuniranno, ma trasformati, incorruttibili eternamente, come è stato promesso: "Haec dicit Dominus Deus: Ecce ego aperiam tumulos vestros et educam vos de sepulcris vestris / Dice  il Signore  Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe" (Ezech.37,12).

Invece l'anima, non essendo originata dalla polvere, separata dal corpo, come aveva una vita intellettiva quando era nel corpo, così la conserva qual puro spirito, solo si trova in uno stato diverso di prima, imperciocché:

a. l'intelletto dei Defunti non conosce il vero, né la via dei sensi, né per deduzione da principii generali, ma solo per intuizione derivante e dalla natura dello spirito e da rivelazione Divina. Perciò, come noi conoscendo per intuizioni i primi principii, così ai Defunti è dato di "vedere" il vero ch'é oggetto di loro intuizione, sia ch'esso li consoli, se la loro morte fu santa, sia ch'esso li spaventi se morirono peccando.

b. Cessata la guerra fra la carne e lo spirito, la volontà dei Defunti, libera da ogn'interno contrasto, deve necessariamente determinarsi secondo i principii dell'intelletto, ed è quindi astretta ad una interna necessità. Imperciocché, essendo immutabile l'intelletto maturato durante la coabitazione tra corpo ed anima, immutabile sarà anche la volontà: "Ante hominem vita et mors, bonum et malum: quod placuerit ei, dabitur illi. / Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà." (Sirac.15,17).

c. Non più uniti ad organismo materiale, i Defunti non provano le sensazioni che da esso dipendono, ma appunto perciò più vive sono le loro sensazioni spirituali: il compiacimento o il rimorso; la gioia o il dolore.

E' per questo che i Defunti non possono più acquistarsi né merito, né demerito, e necessitano, per coloro che morirono nel giusto, le Preghiere del Suffragio; la vita terrena è come una giornata di lavoro, finita la quale, ogni possibilità di guadagnare finisce, come ci ammonisce Nostro Signore Gesù Cristo: "Nos oportet operari opera eius, qui misit me, donec dies est; venit nox, quando nemo potest operari. / Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare". (Gv.9,4).

Infine, la condizione dei Defunti nell'altro mondo dipende dallo stato morale in cui si trovano al terminare della vita presente, come ammonisce la Sacra Scrittura: "si ceciderit lignum ad austrum aut ad aquilonem, in quocumque loco ceciderit, ibi erit. / se un albero cade a sud o a nord, là dove cade rimane. (Eccles.11,3).

- Dio retribuisce ciò che l'uomo avrà scelto

San Paolo scrive: "Et quemadmodum statutum est hominibus semel mori, post hoc autem iudicium / E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio" (Eb.9,27), imperciocché è necessario che noi tutti ci presentiamo davanti al Tribunale di Cristo col desiderio di portare il bene, giacché è chiaro che vi porteremo anche il male compiuto (cfr 2Cor.5,10).

Questo Giudizio che ha luogo tosto, subito dopo la morte d'ogni individuo, si chiama "Giudizio particolare".

L'anima, appena separata dal corpo, acquista nell'immediatezza la chiara coscienza di tutto il bene e male che ha fatto e ne conosce il giusto valore, come ci insegna il Santo teologo domenicano Tommaso d'Aquino, e come ivi è confermato dalla Sacra Scrittura: "Finis loquendi, omnibus auditis: Deum time et mandata eius observa; hoc est enim omnis homo. Et cuncta, quae fiunt, adducet Deus in iudicium circa omne occultum, sive bonum sive malum. / Conclusione del discorso, dopo che si è ascoltato ogni cosa: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo per l'uomo è tutto. Infatti, Dio citerà in giudizio ogni azione, tutto ciò che è occulto, bene o male". (Ecclesiast.12, 13-14), cioè, ogni opera sarà spoglia da quella vernice, di cui spesso il nostro amor proprio le copre.

Essa si presenta tosto innanzi a Gesù Cristo, a cui il Padre ha dato potestà di far ogni Giudizio, e tosto da Lui riceve la retribuzione del bene o del male operato, né ci sarà azione, per quanto insignificante possa sembrarci, la quale non conseguirà un premio o un castigo, persino il dono di un bicchiere d'acqua potrebbe risolvere il destino di un anima: "Et, quicumque potum dederit uni ex minimis istis calicem aquae frigidae tantum in nomine discipuli, amen dico vobis: Non perdet mercedem suam. / E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa" (Mt.10,42), così come per ogni parola espressa: "Dico autem vobis: Omne verbum otiosum, quod locuti fuerint homines, reddent rationem de eo in die iudicii: ex verbis enim tuis iustificaberis, et ex verbis tuis condemnaberis. / Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato" (Mt.12,36-37).

Perciò, come annota San Tommaso d'Aquino, nel Giudizio particolare alcune anime sono in istato di ricevere la retribuzione finale ed altre ne sono impedite; e poiché le prime la ricevono, o pel gran bene che hanno fatto, o pel male ch'avranno scelto, tre sono i luoghi nei quali lo stato dell'anima del Defunto verrà di trovarsi, questi sono: l'Inferno, che il Giudizio particolare immediatamente retribuisce all'anima che lo abbia scelto commettendo il male e rifiutando ogni pentimento; il Paradiso e il Purgatorio che andremo a vedere più approfonditamente e che conosciamo col termine di Novissimi.


- L'Inferno


Dio non ha creato l'Inferno, neppure era Suo desiderio, ma questo è il luogo che Dio ha destinato agli Angeli che diventarono Demoni quando scelsero con la propria volontà di opporsi al Progetto Divino, qui vanno i demoni e i dannati, quanti scelgono di porsi contro Dio, imperciocchè pensano da stolti coloro che credono che vi sia un'altra strada dopo la morte, dice chiaramente Gesù Cristo: "Qui non est mecum, contra me est / Chi non è con me è contro di me" (Mt.12,30). La Santa Chiesa nella sua infinita saggezza insegna:

a. che la pena dei dannati consiste nell'essere esclusi, per loro scelta, dalla beatifica visione, e di ricevere per retribuzione il tormento eterno a seconda del male compiuto e nel quale hanno persistito. La pena maggiore è l'essere esclusi dal godimento di Dio (poena damni), questa pena è atroce perché l'anima, creata per godere dell'infinita beatitudine e avendo persistito nel male mentre era in vita, appena uscita dal corpo intuisce l'oggetto che solo può saziare la sua brama, e verso lui si slancia, ma ne viene respinta, come respinse in vita ogni monito, ogni avvertimento, ogni vero bene, e questa separazione dal suo principio, questa esclusione dal Vero Bene che per tutta la vita aveva rifiutato, è per lei come un fuoco che la brucia, un verme che eternamente la rode. L'anima dannata vede, in Dio che la respinge, la causa del suo tormento, e lo odia, e l'odia tanto più quanto maggiormente in Lui ravvisa  e riconosce l'oggetto di cui non gli è più dato di beatificarsi, in essa combattono l'odio e l'amore, l'aborrimento e la stima, il desiderio e il ribrezzo; l'odio che volle in vita vomitare addosso Iddio e l'amore che ha rifiutato, l'aborrimento che ha avuto in vita quando gli si parlava di Dio e di queste realtà Ultime e la stima che rifiutò dell'umiltà, il desiderio che ebbe per le cose materiali e il ribrezzo che provava in vita quando la si invitava alla conversione.

Questi tormenti sono interni ed esterni. Nell'interno li corruccia il rimorso di essere essi stessi causa della loro condanna: vivida è la memoria delle colpe commesse, dell'ostinatezza con cui rifiutarono ogni grazia che veniva loro offerta; il confronto fra la loro condizione e quella dei giusti e la certezza che non sarà mai per cessare o raddolcirsi la loro pena (cfr Parabola di Lazzaro e del ricco Epulone dal Vangelo di San Luca 16,19-31). All'esterno li tormenta l'orribile compagnia in cui si trovano, il luogo della loro condanna, i Demoni, e le gravi pene a cui sono soggetti: "filii autem regni eicientur in tenebras exteriores: ibi erit fletus et stridor dentium / i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti" (Mt.8,12), e sempre Nostro Signore Gesù Cristo, ci mette sempre in guardia da questa realtà Ultima, anche là dove dice:" bonum est tibi luscum introire in regnum Dei, quam duos oculos habentem mitti in gehennam, ubi vermis eorum non moritur, et ignis non exstinguitur / è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue" (Mc.9 46-48), e con la dura reprimenda per i reprobi:" Discedite a me, maledicti, in ignem aeternum, qui praeparatus est Diabolo et angelis eius. / Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli."(Mt.25,41). E come la parola di Nostro Signore è verità quando parliamo della Sua Presenza reale nella Divina Eucaristia, così è vera quando ci mette in guardia dall'Inferno, o quando promette il Paradiso: "Et ibunt hi in supplicium aeternum, iusti autem in vitam aeternam. / E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna" (Mt.25,46).

Commettono grave errore coloro che non vogliono credere, e peggio chi fra i Cristiani va dicendo che le pene dell'Inferno non sarebbero eterne, o che il Signore, per Divina compassione, perdonerà tutti, o chi va dicendo che scontato un certo periodo nell'Inferno, dopo vi si potrà uscire! L'Inferno è eterno, come è eterno il Paradiso. Lo stesso San Paolo rammenta nella seconda Lettera ai Tessalonicesi (1,9) che gli empi nella loro perdizione pagheranno eternamente, ed anche nell'Apocalisse 24,11 si rammenta che il fumo dei loro tormenti si alzerà né secoli dé secoli. I Santi Padri della Chiesa unanimamente insegnarono queste verità, e nel secondo Concilio ecumenico di Costantinopoli (a.D. 553), fra gli errori degli Origenisti, fu condannato anche il loro asserto secondo cui, le pene dell'Inferno non sarebbero eterne.

Contro questo dogma si obbietta ch'esso non è conciliabile né colla giustizia, perché, dicono, le colpe finite verrebbero punite con una pena infinita ed eterna; né colla misericordia di Dio la quale si mostrerebbe così crudele e irreconciliabile colle sue creature.


Rispondiamo a questo quesito:

- le pene infernali sono "finite" riguardo ai dannati perché una creatura non è capace di tormenti "infiniti" il dannato infatti, non subisce ulteriori tormenti o nuove pene, egli subisce in modo eterno ciò che ha scelto di subire allontanandosi da Dio e volendo rimanere lontano da Lui, e sono eterne, infinite, riguardo alla durata, e questo corrisponde perfettamente non solo alla gravità dei peccati mortali i quali hanno una malizia finita rispetto a chi li commette, ma anche in quanto al fatto che è una scelta della creatura, e dunque una pena infinita rispetto a Dio che è stato rifiutato. Insegna Sant'Agostino nell'Epistol.167: " Dio è misericordioso quando giudica, e giusto quando perdona: quale speranza ci resterebbe mai se la Sua misericordia non fosse maggiore della giustizia?" Egli infatti ha mandato il Suo Unigenito non soltanto per applicare questa misericordia, ma per farsi sempre fonte di misericordia per mezzo dei Sacramenti; Egli ha mandato il Suo Unigenito a morire sulla Croce, altrimenti non avremmo avuto alcuna fonte di misericordia; Egli ci ha lasciato la Santa Messa nella quale, il Sacrificio che si compie, è propiziatorio per i Vivi e i Defunti, fiumi di grazie e di misericordia raggiungono migliaia di persone in tutto il mondo quando avviene la Divina Eucaristia, ma ha anche detto e ammonito che i reprobi, se non si convertiranno, andranno all'Inferno, ma non ha deciso Egli il grado della colpa dell'uomo, per cui la Sua misericordia non possa avere luogo. L'eternità delle pene non offende dunque la Divina giustizia, chi arriva all'Inferno ci arriva per sua scelta, ed è solo dopo la sua morte che la giustizia valuterà le pene, finché c'è vita nell'uomo, è bene spingerlo verso la Divina Sapienza, anche a costo della propria vita, questo ha fatto Nostro Signore Gesù Cristo, che si lasciò inchiodare sulla Croce per strapparci da questa realtà Ultima, e questo devono fare coloro che vogliono dirsi Suoi discepoli, e questo ci insegnano molti Santi.

- la misericordia di Dio, infine, non consiste affatto in ciò: che Dio non punisca il male e che non dia la retribuzione adeguata; la Sua Misericordia consiste nel dar tempo al peccatore di far penitenza, di pentirsi, nell'aiutarlo ad emendarsi, nell'accoglierlo come il Figliol Prodigo. Acciocché Dio perdonasse i dannati, sarebbe quindi necessario che si pentissero e s'emendassero, e a ciò bisognerebbe che tornassero ad essere com'erano quando hanno peccato; ma abbiamo una sola vita da vivere e Dio non sbaglia nel Suo giudizio, colui che muore ha terminato la sua corsa terrena, ha terminato il suo tempo, Dio non commette errori: se in quell'anima c'era un seme di pentimento Egli lo avrà di certo accolto, ma se in quell'anima non c'era ombra di pentimento, anche tornando indietro egli non si pentirebbe per il semplice fatto che si dolerebbe non del male commesso ma per le conseguenze che troverebbe dopo morto, la misericordia di Dio non può accoglierli e giustificarli "dopo" aver provato perché Egli ci ha dato questo tempo della vita nella quale sperimentare la Sua misericordia e la Sua giustizia, la Sua bontà e la Sua infinita pazienza, questo è il tempo della Sua misericordia, ion questo tempo ha mandato il Suo Unigenito, dopo è il tempo della Sua giustizia.

L'eternità delle pene infernali è anche un postulato della stessa umana ragione, la quale deve ammettere un termine finale alla lotta fra il vizio e la virtù, e un abisso che separi definitivamente il male dal bene. Imperciocché le pene infernali non sono date a tutti i dannati in eguale maniera, la misericordia, la giustizia di Dio tengono conto delle differenze dei peccati commessi e sono proporzionate al reato: "Quantum glorificavit se et in deliciis fuit, tantum date illi tormentum et luctum. / Tutto ciò che ha speso per la sua gloria e il suo lusso, restituiteglielo in tanto tormento e afflizione". (Apoc.18,7).

 

- Il Paradiso

 

Il Paradiso è la Casa del Padre Celeste il luogo dove noi, come eredi di Dio e coeredi di Gesù Cristo (Rom.8,17), ci uniremo a Lui per sempre. Il gaudio e la felicità del Paradiso è sì grande che l'umana mente non può comprenderlo e, come ci dice San Paolo "Nessun occhio ha mai veduto, nessun orecchio ha mai udito, né mai nel cuore d'alcun uomo è penetrato ciò che Dio preparò a quelli che lo amano" (1Cor.2,9). Tutto ciò che del Paradiso può dirsi, non è che una scolorita immagine della beata condizione dei Santi, ragione umana e bontà di cuore sarebbe di non ignorare le loro esperienze, di ascoltarli, e di farceli amici, loro sono i testimoni più vicini a noi e sono credibili. Come la pena dei reprobi consiste nella privazione di quel Bene che hanno rigettato e nell'affluenza di tutti i mali che hanno voluto, così la giustizia di Dio premia coloro che lo hanno cercato:

a. con la liberazione da ogni male che in vita hanno rigettato;

b. con l'afflusso di ogni Bene che hanno perseguito anche a costo della propria vita e perciò è donata loro la Vita in pienezza: "et absterget omnem lacrimam ab oculis eorum, et mors ultra non erit, neque luctus neque clamor neque dolor erit ultra, quia prima abierunt / E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate" (Apoc.21,4).

Scrive Sant'Agostino: " Là tutto è sommamente grande, tutto vero, tutto santo, tutto eterno. Là il nostro pane è la giustizia, la sapienza è bevanda, veste la immortalità, abitazione eterna è il Cielo. Ivi la pace, la tranquillità, il gaudio, la giustizia".

Lo spirito umano illustrato da Luce Divina conoscerà ogni vero, come dice il Salmista: "Quoniam apud te est fons vitae, et in lumine tuo videbimus lumen. / È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce"(Sal.36,10).

La volontà, non più in lotta, amerà necessariamente il Bene e nel Bene troverà la sua soddisfazione e il proprio compiacimento, nel cielo, dice ancora Sant'Agostino, la virtù sarà l'amare ciò che vedi, e immensa felicità il possedere ciò che ami. La Società degli Angeli e dei Santi e l'intimo commercio con Essi, renderà piena la beatitudine di coloro che avranno perseguito in vita, questa Vita.

Ma ciò che metterà il colmo alla felicità dei comprensori beati, sarà l'eterna visione di Dio e la pienezza di Lui. Noi, dice l'Apostolo, ora vediamo Dio come in uno specchio e in un enimma, allora vedremmo faccia a faccia (1Cor.13,12), e S. Giovanni scrive:

" Carissimi, nunc filii Dei sumus, et nondum manifestatum est quid erimus; scimus quoniam, cum ipse apparuerit, similes ei erimus, quoniam videbimus eum, sicuti est. / Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è"(1Gv.3,2).

Questo doppio oggetto della nostra beatitudine: il "vedere Dio faccia a faccia, come Egli è" e "divenire simili a Lui", è possibile solo grazie a Nostro Signore Gesù Cristo, in cui la Natura Divina si unì a quella umana, elevando noi a divenire "simili a Lui" e in questa similitudine "vedere Dio faccia a faccia", secondo delle di Lui parole: "Pater, quod dedisti mihi, volo, ut ubi ego sum, et illi sint mecum, ut videant claritatem meam, quam dedisti mihi / Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato" (Gv.17,24), ed è questa intuizione gloriosa che innalza i Santi alla visione di Dio, perché come l'Anima di Gesù per la Sua natura Divina contemplava in terra sempre il Suo Celeste Padre, così noi per Sua grazia e misericordia, se cerchiamo il vero Bene e contempliamo la gloria dell'Uomo-Dio, allora in Lui vedremo Dio per intuizione immediata, e saremmo abbracciati da tanta Luce Divina che saremo "simili a lui".


San Bernardo, commentando le parole del Redentore:" et dabitur vobis: mensuram bonam, confertam, coagitatam, supereffluentem dabunt in sinum vestrum; eadem quippe mensura, qua mensi fueritis, remetietur vobis / e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio"(Lc.6,38), osserva che la misura dell'eterna beatitudine sarà "buona" perché vedremo Dio in tutte le creature, come avevamo desiderato in terra; sarà "pigiata" a motivo del nostro stato interiore; "scossa" per la nostra esteriore condizione, e "traboccante" per la visione dello stesso Iddio, nel quale consisterà il colmo della beatitudine (Sermone 5).


- Il Purgatorio


Il Purgatorio non è eterno, e per questo lo trattiamo per ultimo. E' il luogo dove le anime che sono macchiate ancora da qualche peccato veniale, o che per qualche motivo, che il Signore stesso giustifica, non hanno potuto soddisfare pienamente per i peccati rimessi, ossia confessati, vengono purificate e rese degne di entrare pienamente nel Regno dei Cieli.

L'esistenza del Purgatorio è un postulato della ragione stessa e di quella stessa domanda che alcuni si fanno circa la misericordia di Dio; imperciocché, se Dio infinitamente giusto punisce ogni colpa anche leggera perchè: "Nec intrabit in ea aliquid coinquinatum et faciens abominationem et mendacium, nisi qui scripti sunt in libro vitae Agni. / Non entrerà in essa nulla d'impuro, né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello" (Apoc.21,27), o bisogna ammettere uno stato di purgazione per i Defunti, o abbandonarsi al desolante pensiero, che basti ogni leggera colpa per essere condannati all'Inferno. E' perciò che la esistenza di un luogo, dove le anime che si purgano delle loro colpe, si trova espressa nelle tradizioni di tutti i popoli. Maggiormente noi abbiamo la Rivelazione che ce ne parla con la Santa Tradizione.

a. La Sacra Scrittura del Vecchio Testamento ci prepara a questa dottrina attraverso la storia di Giuda Maccabeo il quale mandò a Gerusalemme una somma di danaro, acciocché s'offrissero sacrifici espiatori per i peccati dei morti in battaglia, perché è santo e salutare il pensare di pregare per i Defunti, affinché siano sciolti dei loro peccati (cfr 2Maccab.12,43-46); nel Nuovo Testamento, Gesù Cristo dice che tutto potrà essere perdonato a chi bestemmierà persino al Figlio dell'Uomo, cioè a Lui medesimo, ma che ogni perversione contro lo Spirito Santo non sarà perdonato, né in questo secolo, né in quello futuro (Mt.12,32), ci sono così peccati che potranno essere perdonati e peccati che non potranno essere condonati. Per i peccati che si possono perdonare deve esserci una purificazione per quelle anime che vi muoiono e forse anche senza loro colpa, perché uccisi in un tranello, o perché hanno avuto un incidente, e se è vero che siamo ammoniti al vigilare perché la morte sopraggiunge come un ladro nella notte, è pur vero che la misericordia di Dio conosce chi si era avviato già sulla strada della perfezione, imperciocché come nulla di impuro può entrare nel Regno dei Cieli, è vero che se non abbiamo peccato contro lo Spirito Santo, possiamo avere modo di essere purificati per un certo tempo che solo Iddio conosce a noi necessario.

b. La Santa Tradizione attraverso i Padri della Chiesa ci parlano della purificazione pelle anime nell'altro mondo. San Cipriano scrive: "Altra cosa è il ricevere tosto la mercede della fede e della virtù, altra il venir mondato dai peccati, afflitto da lungo dolore e lungamente venir purificato dal fuoco" (Ep.52), e Sant'Agostino, lagnandosi del fatto che taluni fanno poco affidamento al Purgatorio, scrive: "Quel fuoco sarà più grave di quanto nella vita presente l'uomo possa soffrire" (Om. Salm.37).

Tutte le Liturgie fin dal primo secolo hanno dei Suffragi pei Defunti, e la Santa Chiesa definì nel Concilio di Trento, che v'è il Purgatorio e che le anime che in esso vi si trovano, vengono sollevate dai Suffragi dei viventi, colle opere di misericordia, coi digiuni e colle penitenze, ma soprattutto e specialmente col Sacrificio dell'Altare, nel quale è Cristo stesso che viene offerto al Padre per la loro purificazione. (Conc. Trid. Sess.XXV. de Purgat.).

In certo qual modo, le pene del Purgatorio, consistono come quelle dell'Inferno: nella privazione della visione beatifica, e nei tormenti positivi, solo che non sono pene eterne e l'anima è definita già "santa e beata" e per mezzo dei Suffragi offerti dalla Chiesa essa stessa è sollecitata a pregare per noi viventi, poiché per essa non può più fare nulla.

Osserva San Tommaso d'Aquino che le anime purganti soffrono immensamente a motivo di questa privazione, non solo per l'amore che porta a Dio, ma pur anche per essere consapevoli che col loro contegno in vita hanno ritardato il momento di unirsi a Lui definitivamente. Con la Sacra Scrittura l'insegnamento della Chiesa ci conferma l'esistenza del fuoco purificatore "equiparandolo alle pene positive", ma come al fuoco infernale. San Paolo scrive che il fuoco proverà quale sia il lavoro, e che quello, il lavoro del quale arderà, sarà salvo, così però come attraverso il fuoco (1Cor.3,14-15) e Sant'Ambrogio dice che: "Gesù preparò un fuoco ai suoi servi per mondarli dalle impurità che contrassero vivendo in mezzo ai peccatori" (S.Ambr. de laps. Virg. cap.8 n.32), "Nolite errare: Deus non irridetur. Quae enim seminaverit homo, haec et metet / Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato" (Gal.6,7).

 

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