Il rito del «Resurrexit» nella domenica di Pasqua

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Caterina63
00lunedì 13 aprile 2009 19:21
Un'antica tradizione interrotta con il soggiorno avignonese dei Romani Pontefici e ripresa nel 2000

Il rito del «Resurrexit» nella domenica di Pasqua


di Juan José Silvestre Valor
Consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice

A Roma, nel medioevo la messa pasquale aveva un solenne preludio nella storica cappella di San Lorenzo al Laterano (oggi santuario della Scala Santa). L'oratorio chiamato ancora oggi comunemente Sancta Sanctorum, era considerato uno dei luoghi più sacri della città di Roma. In esso con la preziosa reliquia della Croce, si custodiva l'immagine Acheropita del Salvatore.


L'immagine era chiamata acheropita perché creduta non dipinta da mano d'uomo (è una parola di origine greca:  da a privativo, chèir ("mano") e poièin ("fare"), il cui significato è "non fatto da mano umana". L'origine di questa immagine è sconosciuta, ma probabilmente fu portata a Roma dall'Oriente. La prima menzione si trova nel Liber Pontificalis nella biografia di Stefano ii (752-757). Riproduce l'immagine completa del Salvatore, in grandezza quasi naturale, seduto in trono, dipinta su tela applicata sopra una tavola di legno delle dimensioni di circa 1,50 X 0,70 centimetri. 

        
sanctasanctorum.jpg image by plumedargent
(Icona originale conservata alla Scala Santa)

L'icona è stata restaurata diverse volte. Innocenzo III (1198-1216) fece coprire con un rivestimento d'argento tutta la figura, a eccezione del volto. Inoltre, più tardi, fu aperta una porticina all'altezza dei piedi, la quale permetteva di fare la lavanda rituale e l'unzione dei medesimi in talune circostanze (come nella processione del giorno dell'Assunta) e di baciarli quando il Papa si recava a venerare l'immagine.

Nel dodicesimo secolo, secondo un'antica tradizione, che già san Girolamo faceva risalire ai primi secoli cristiani, l'annuncio della Risurrezione veniva dato dal Papa, prima di recarsi a cantare la messa solenne a Santa Maria Maggiore, la basilica stazionale di Pasqua. Lo attestano il Liber politicus (anche Ordo Romanus XI), cerimoniale scritto nel 1143-1144, e il Liber censuum Romanae Ecclesiae (anche Ordo Romanus XII), redatto intorno al 1192 da Cencio Camerario, il futuro Papa Onorio III. Eccone la descrizione che riportiamo dall'Ordo Romanus xii seguendo la traduzione di Schuster:  "Il mattino di Pasqua, dopo Prima, il Pontefice Romano, rivestito di piviale bianco, con i diaconi cardinali che indossano le dalmatiche e le mitre, i suddiaconi in tunicella e gli altri ordini inferiori di chierici e i suoi cappellani, va alla cappella di San Lorenzo (...) Qui fatta orazione, (il Papa) riveste i paramenti sino alla dalmatica, quindi si reca ad adorare il Salvatore. Apre l'immagine, bacia i piedi del Salvatore dicendo tre volte:  Surrexit Dominus de sepulchro, a cui tutti rispondono:  Qui pro nobis pependit in ligno. Alleluia.

Baciato il Salvatore, si reca al trono e dà la pace all'arcidiacono, il quale dopo di lui ha baciato il piede dell'immagine, dicendogli:  Surrexit Dominus vere; questi risponde:  Et apparuit Simoni. Il secondo diacono, baciati i piedi del Salvatore, si accosta a ricevere la pace dal Sommo Pontefice e dall'arcidiacono e si pone in fila. Gli altri cardinali fanno egualmente (...) In tanto la schola canta:  Crucifixum in carne e Ego sum alpha et omega. Terminata la pace il Pontefice indossa la pianeta bianca, il pallio e la mitra solenne e in processione si va a Santa Maria Maggiore per la messa pontificale".


Col trasporto della sede in Avignone, la funzione del Resurrexit dinanzi all'Acheropita decadde e quando i Papi tornarono a Roma, la stazione di Pasqua venne trasferita nella basilica di San Pietro. Solo nella Domenica di Pasqua dell'anno 2000 il Resurrexit, l'antico rito della testimonianza di fede del Papa di fronte all'icona del Salvatore, è ripreso di nuovo.
Nello svolgimento di questo momento di preghiera, espressione di fede nella risurrezione, troviamo almeno tre elementi molto antichi, di cui il terzo non è stato ripreso nel 2000:  l'annunzio della risurrezione, la venerazione dell'icona e il bacio di pace.

Il primo elemento, l'annunzio festoso della risurrezione "Christus Dominus resurrexit!" che a Gerusalemme, come sappiamo dal suo Typicon, già nel quarto secolo era dato nell'Anastasis dal Patriarca il mattino di Pasqua, si constata comune, sebbene con forme diverse, in tutte le comunità occidentali. E così si fa tuttora nel rito bizantino.

Questo gioioso annunzio trova l'autentico significato nel testo del vangelo di Luca, che descrive lo stupore di Pietro nel vedere il sepolcro vuoto e l'attestazione degli undici che il Signore era davvero risorto ed era apparso a Simone (Luca, 24, 12.34; cfr. Giovanni, 20, 3-10). L'apparizione del Risorto a Pietro e agli altri testimoni è il fondamento teologico della fede pasquale. Così lo ricorda il Catechismo:  "Le donne furono così le prime messaggere della risurrezione di Cristo per gli stessi Apostoli. A loro Gesù appare in seguito:  prima a Pietro, poi ai Dodici. Pietro chiamato a confermare la fede dei suoi fratelli, vede dunque il Risorto prima di loro ed è nella sua testimonianza che la comunità esclama:  "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone" (Luca, 24, 34)".

Il Papa, vescovo di Roma e successore di san Pietro, incontra il Signore risorto nell'icona del Santissimo Salvatore e con la semplicità e la spontaneità della Sacra Scrittura grida:  "Surrexit Dominus de sepulchro". Nel giorno di Pasqua, il Romano Pontefice diventa il primo testimone, davanti a tutta la Chiesa, della risurrezione del Signore.

       

Il secondo elemento, la venerazione dell'icona, risulta parimenti antico. In realtà non possiamo dimenticare che un'espressione di grande importanza nell'ambito della pietà popolare è l'uso di immagini sacre che, secondo i canoni della cultura e la molteplicità delle arti, aiutano i fedeli a porsi davanti ai misteri della fede cristiana. La venerazione per le immagini sacre appartiene, infatti, alla natura della pietà cattolica.

Ambedue gli elementi, l'annunzio della risurrezione e la venerazione dell'icona, caratteristici di questa sosta di preghiera adorante e di fede, che il Romano Pontefice fa nella mattina di Pasqua, ci collegano al linguaggio della pietà popolare. "Il linguaggio verbale e gestuale della pietà popolare, pur conservando la semplicità e la spontaneità d'espressione, deve sempre risultare curato, in modo da far trasparire in ogni caso, insieme alla verità di fede, la grandezza dei misteri cristiani (...) Una grande varietà e ricchezza di espressioni corporee, gestuali e simboliche caratterizza la pietà popolare. Si pensi esemplarmente all'uso di baciare o toccare con la mano le immagini, i luoghi, le reliquie e gli oggetti sacri. Simili espressioni, che si tramandano da secoli di padre in figlio, sono modi diretti e semplici di manifestare esternamente il sentire del cuore e l'impegno di vivere cristianamente".

Così la religiosità, come la pietà popolare, "costituisce un'espressione della fede - affermò Giovanni Paolo II il 21 settembre 2001 - che si avvale di elementi culturali di un determinato ambiente, interpretando ed interpellando la sensibilità dei partecipanti in modo vivace ed efficace. La religiosità popolare (...) ha come sorgente la fede e dev'essere, pertanto, apprezzata e favorita. Essa, nelle sue manifestazioni più autentiche, non si contrappone alla centralità della Sacra Liturgia, ma, favorendo la fede del popolo, che la considera una sua connaturale espressione religiosa, predispone alla celebrazione dei sacri misteri". Nel quadro di queste parole s'inserisce tale particolare annunzio della Risurrezione da parte del successore di Pietro, prima della celebrazione eucaristica.

       

Il rito del Resurrexit, come atto di fede, di pietà e di devozione del Romano Pontefice davanti all'icona del Santissimo Salvatore, trova il suo spazio al di fuori della celebrazione dell'Eucaristia, sebbene abbia il suo naturale coronamento nella celebrazione liturgica che si svolge subito dopo. Questa sosta di preghiera adorante, e lieto annunzio del Risorto, prepara la celebrazione.

Come ricordava Benedetto XVI il 29 giugno 2007, "la fede dei discepoli ha dovuto adeguarsi progressivamente. Essa ci si presenta come un pellegrinaggio che ha il suo momento sorgivo nell'esperienza del Gesù storico, trova il suo fondamento nel mistero pasquale, ma deve poi avanzare ancora grazie all'azione dello Spirito Santo. Tale è stata anche la fede della Chiesa nel corso della storia, tale è pure la fede di noi, cristiani di oggi. Saldamente appoggiata sulla "roccia" di Pietro, è un pellegrinaggio verso la pienezza di quella verità che il Pescatore di Galilea professò con appassionata convinzione:  "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16, 16)". E possiamo domandarci, com'è arrivato Pietro a questa fede? E che cosa viene chiesto a noi, se vogliamo metterci in maniera sempre più convinta sulle sue orme? La risposta è chiara:  "Solo l'esperienza del silenzio e della preghiera - ha scritto Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte - offre l'orizzonte adeguato in cui può maturare e svilupparsi la conoscenza più vera, aderente e coerente, di quel mistero". Il rito del Resurrexit ci dispone a essere testimoni e contemplatori di questo grande mistero:  Surrexit Dominus vere et apparuit Simoni. Alleluia, alleluia, alleluia.




(©L'Osservatore Romano - 12 aprile 2009)
Caterina63
00martedì 14 aprile 2009 12:15

LA CELEBRAZIONE DELLA PRIMA PASQUA DEL TERZO MILLENNIO

  

           La Chiesa celebra la prima Pasqua del terzo millennio con l'annunzio gioioso e solenne della risurrezione di Cristo suo Sposo e Signore, vincitore del peccato e della morte. “È a Cristo risorto che ormai la Chiesa guarda... Lo fa ponendosi sulle orme di Pietro... Lo fa accompagnandosi a Paolo che lo incontrò sulla via di Damasco e ne restò folgorato… A duemila anni di distanza da questi eventi, la Chiesa li rivive come se fossero accaduti oggi” (Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte, n. 28).


 

Davanti all'icona «acheropìta» di Cristo Salvatore 


           Come già avvenne nella celebrazione della Pasqua del Grande Giubileo del 2000 la Messa del mattino di Pasqua in Piazza San Pietro ha come punto focale l'immagine acheropíta (non dipinta da mano d'uomo) di Cristo Salvatore, insigne reliquia portata probabilmente dall’Oriente, conservata nell’Oratorio di San Lorenzo al Laterano (oggi Santuario della Scala Santa) e già ricordata nel Liber Pontificalis nelle note biografiche di Papa Stefano III (752-757). Data la presenza di una insigne reliquia della Santa Croce e la custodia dell'immagine acheropíta questo luogo, ritenuto uno dei più santi di Roma, era considerato e chiamato, come il centro del tempio di Gerusalemme, il Sancta Sanctorum.


           La venerata icona acheropìta è un'immagine completa del Salvatore seduto in trono, dipinta su tela applicata sopra una tavola di legno delle dimensioni di m. 1,52 per 70 cm. circa. L'icona è stata più volte restaurata; l'ultimo restauro è del 1995-1996. L'unica parte dell'immagine che oggi si vede è il volto del Signore dipinto su un velo serico aggiunto sopra l'originale. Tutto il resto è coperto da una lamina d'argento.


           Questa venerabile icona che riproduce il volto di Cristo, volto da contemplare, una «presenza sacramentale» di Colui che è il Verbo del Padre, consacrato dallo Spirito, Figlio della Vergine Maria, Crocifisso e Risorto, presiede oggi, come nel medio evo, la Messa papale del giorno di Pasqua.  
 

Riti di ieri e di oggi 


           Alcuni documenti liturgici redatti subito dopo l’anno mille, come il Liber Politicus (Ordo Romanus XI) e il  Liber Censuum Romanæ Ecclesiæ (Ordo Romanus XII) attestano una antica tradizione della liturgia papale. Il mattino di Pasqua il Vescovo di Roma, vestito con abiti pontificali, entrato nel Sancta Sanctorum del Laterano, venerava e baciava per tre volte i piedi dell'icona aprendo i piccoli sportelli d'argento che li coprivano (gli sportelli sono oggi sigillati), quindi cantava il versetto: «Surrexit Dominus de sepulcro, alleluia» e l’assemblea rispondeva: «Qui pro nobis pependit in ligno, alleluia». Veniva portata sull'altare anche la Croce, riposta il Venerdì santo, che il Papa ugualmente venerava. 


           Dopo il Papa tutti i membri del seguito papale veneravano l'icona e la Croce e si accostavano quindi al Sommo Pontefice per il bacio di pace. Il Papa augurava la pace dicendo il versetto: «Surrexit Dominus vere», a cui ciascuno rispondeva: «Et apparuit Simoni». Nel frattempo la schola cantava alcune antifone. Terminate queste sequenze rituali si formava il corteo papale lungo la via Merulana verso la Basilica di Santa Maria Maggiore dove si celebrava la statio, mentre il Papa veniva informato da un notaio sui battesimi celebrati la notte precedente.

           Con il trasferimento della sede apostolica in Avignone, il rito del Resurrexit decadde. Al ritorno dei Papi a Roma, la statio di Pasqua fu trasferita alla Basilica di San Pietro.


           L’odierna celebrazione papale, dopo il ripristino dell’antico rito del Resurrexit, opportunamente aggiornato, in occasione della Pasqua del Giubileo del 2000, si apre come lo scorso anno con le seguenti sobrie sequenze rituali:

-       Dopo il saluto liturgico del Papa due Diaconi aprono gli sportelli e mostrano l’icona del SS.mo Salvatore all’assemblea e al Santo Padre;

-       Il Diacono rivolto verso l’assemblea canta l’annuncio della risurrezione: «Surrexit Dominus de sepulcro qui pro nobis pependit in ligno» e l’assemblea risponde con il festoso canto dell’Alleluia;

-       Il Diacono, rivolto verso il Santo Padre, annuncia l’apparizione del Signore Risorto a Simone, cantando: “Surrexit Dominus vere et apparuit Simoni”.

-       Dopo l’acclamazione Alleluia da parte dell’assemblea il Santo Padre venera l’icona e introduce con brevi parole la celebrazione.


 

Pietro primo testimone della Risurrezione 


           Le sequenze rituali ora ricordate trovano il loro fondamento e il loro autentico significato nel testo del Vangelo di Luca che descrive lo stupore di Pietro nel vedere il sepolcro vuoto e l'attestazione degli undici che il Signore era davvero risorto ed era apparso a Simone (Lc 24,12.34; cf. Gv 20, 3-10). L'apparizione del Risorto a Pietro e agli altri testimoni è il fondamento teologico della fede pasquale dei discepoli del Signore (cf. At 1, 21-22; 1 Cor 15, 3-6).

           Anche oggi, seguendo l'antica tradizione, il Vescovo di Roma all'inizio della celebrazione eucaristica, incontra il Signore Risorto nell'icona del Santissimo Salvatore, e dopo il solenne annuncio della Pasqua nella notte, diventa, nel giorno di Pasqua, il “primo testimone” davanti a tutta la Chiesa dell'evangelo della risurrezione del Signore.


 

Oriente e Occidente in festa: una Pasqua comune per tutti i cristiani 


           Ad accrescere la gioia della Chiesa intera quest'anno, il primo del millennio, la solennità della Pasqua sarà celebrata insieme da tutti i cristiani: cattolici, ortodossi, protestanti. Non capita sempre, come è risaputo, perché la Chiesa cattolica ed in genere i cristiani dell'Occidente seguono nel computo della data di Pasqua il calendario gregoriano, riformato da Papa Gregorio XIII nel 1582, mentre gli orientali continuano a computare la data di Pasqua secondo l'antico calendario detto giuliano stabilito da Giulio Cesare nell'anno 46 avanti Cristo. Il diverso modo di contare il tempo, anche sulla base del calendario lunare, fa sì che spesso vi siano differenze di una o più settimane fra la Pasqua occidentale e quella orientale. Talvolta però come accade quest'anno le date coincidono. E coincideranno sette altre volte nel primo quarto del secolo del nuovo millennio, quasi come un augurio del tempo cosmico ad affrettare i passi verso l'unità definitiva della data di Pasqua.


           Del resto da parte di tutti i cristiani vi è un crescente desiderio di arrivare alla celebrazione comune della Pasqua in una stessa ed identica data. Già il Concilio Vaticano II in Appendice alla Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium aveva espresso questo desiderio. In un colloquio ecumenico celebrato ad Aleppo in Siria nel mese di marzo del 1997, sono state proposte alcune ipotesi al riguardo.

           Comunque, quest'anno 2001 la data del 15 aprile vede uniti tutti i cristiani nella celebrazione unanime del centro della fede e della vita cristiana che è la Risurrezione del Signore nella Solennità della Pasqua.  


 

Il canto orientale degli «Stichi» e «Stichirà» di Pasqua 


           A sottolineare questo annunzio corale della Risurrezione del Signore compiuta insieme dalle Chiese di Oriente ed Occidente, la celebrazione papale del mattino di Pasqua di quest'anno riprende anche l'antica consuetudine medievale della Chiesa di Roma di cantare davanti al Papa gli «Stichi» e «Stichirà» di Pasqua della liturgia pasquale bizantina.

           Gli «stichi», versetti del salmo 67 (68), intercalati con i tropari o «stichirà», versi teologici e poetici che cantano la risurrezione del Signore e la gioia della Pasqua cristiana, sono cantati nella Veglia pasquale bizantina alla fine delle lodi notturne, prima della celebrazione della divina liturgia e sono ripetuti nella celebrazione del vespro, dopo la proclamazione del vangelo della risurrezione (Gv 20,19-25).


           Si tratta di un testo fra i più belli, poetici e lirici della liturgia pasquale. In esso risuona il gioioso annunzio della Risurrezione del Signore. Nell'attuale stesura risalgono al secolo VI-VII, ma in essi si possono cogliere motivi teologici delle omelie dei Padri orientali come Giovanni Crisostomo, Basilio Magno, Gregorio Nazianzeno, ma forse risuonano in essi testi ancora più primitivi come le omelie pasquali del secolo II, di Melitone di Sardi e dell'Anonimo scrittore contemporaneo che ci ha trasmesso una splendida omelia pasquale, attribuita in seguito a Ippolito o a Giovanni Crisostomo.


           Gli «stichirà» cantano la gioia della Chiesa per la risurrezione del Signore, mistero centrale della fede e della vita; è un inno di vittoria, un motivo di speranza incrollabile, un invito alla fraternità universale, al perdono dei nemici, a scambiare con tutti l'abbraccio della pace in Cristo che con il suo saluto pasquale porta a tutti la riconciliazione del Padre. Due delle strofe sottolineano il ruolo delle donne nell'annuncio della Risurrezione, secondo il Vangelo. Esse sono chiamate «mirofore» portatrici di profumi ed «evangeliste» annunciatrici della buona novella della risurrezione.

Questo inno pasquale si conclude con il tropario di Pasqua che continuamente si ripete nella liturgia pasquale bizantina: «Cristo è Risorto dai morti, ha calpestato la morte con la sua morte, e ai morti nei sepolcri ha donato la vita». Si tratta di un notissimo testo bizantino, ripetuto migliaia di volte durante il tempo pasquale, testo che il Vaticano II ha citato alla fine del n. 22 della Costituzione pastorale Gaudium et spes.  
  

           Come è già stato fatto nella Pasqua dell'anno 1988, nella felice ricorrenza del millennio della conversione e del battesimo della Rus' di Kiev, e nella Pasqua del 1990, nella coincidenza della stessa data di Pasqua in Oriente e in Occidente, anche quest'anno gli 'stichi' e 'stichirà' di Pasqua saranno eseguiti davanti al Papa subito dopo la proclamazione del Vangelo.


           Il coro eseguirà la I la IV e la V strofa dell'inno con la melodia dell'antico canto neumatico russo, armonizzato da Grigori Fjòdorovic Ljvovski (1830-1894) e sarà concluso con il tropario di Pasqua ripetuto 3 volte.

           In questo modo il canto di Oriente e di Occidente, la sequenza pasquale della liturgia romana e l'inno pasquale della liturgia bizantina proclameranno la fede nella risurrezione del Signore.


           Si realizza così l'augurio con il quale Giovanni Paolo II ha aperto il terzo millennio. «In questa prospettiva di rinnovato cammino post-giubilare, guardo con grande speranza alle Chiese d'Oriente, auspicando che riprenda pienamente quello scambio di doni che ha arricchito la Chiesa del primo millennio. Il ricordo del tempo in cui la Chiesa respirava “con i due polmoni” spinga i cristiani d'Oriente e di Occidente a camminare insieme, nell'unità della fede e nel rispetto delle legittime diversità, accogliendosi a vicenda come membra dell'unico Corpo di Cristo» (Novo millennio ineunte, n. 48).


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