L'Inno del Cherubico: versione orientale della Santa Messa di San Gregorio Magno

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Caterina63
00mercoledì 9 settembre 2009 14:42

L'INNO DEL CHERUBICO


di Francesco Colafemmina

Mentre la nostra Chiesa è attraversata da funesti temporali, talvolta è bene fermarsi in qualche piccola cappella e pregare. Vorrei così sottoporvi uno splendido inno che viene cantato nella Sacra Liturgia di San Giovanni Crisostomo (che a giusta ragione potremmo definire la versione orientale della Santa Messa di San Gregorio Magno). Si tratta del cosiddetto "Cherubico".

Quando si canta il "Cherubico" il momento è sacro. Tutti i fedeli si rappresentano in immagini (ikonìzo rafforzato dal mystikòs rende pienamente l'idea della "visione mistica", dell'apparizione, dello squarcio del divino sul mondo) i Cherubini e cantano con loro l'inno angelico. E' infatti fra poco che avverrà la Trasformazione sull'Altare delle Preziose Offerte. Il Cherubico è cantato appena dopo la lettura del Vangelo e prima della recita del Credo.

E' in questo momento che diventa chiaro che quanto sarà a breve contenuto nel Sacro Disco e nel Sacro Calice non sarà più semplice pane e vino... Perciò l'inno dice "deponiamo ogni vitale preoccupazione" mentre ci innalziamo nell'ordine angelico sì da esser degni di meritare "il Re di tutti" che arriva seguito dall'esercito dei suoi angeli.

Infatti la Santa Comunione, l'eucharistia (ringraziamento), è in maniera più evidente nell'Ortodossia, vero raccoglimento degli uomini verso la loro unica salvezza: Cristo. Il sacerdote al di là dell'Iconostasi inizierà a preparare le Offerte (ta Tìmia Dòra), sbriciolando il pane con la "lancia", una sorta di coltellino che rappresenta la lancia di Longino, in varie parti sul disco composto da diversi "settori" (dedicati ai Santi, alla Vergine, ai vivi e ai morti), rappresentazione simbolica della mangiatoia di Betlemme, del letto di morte e della terra in cui viviamo.

Poi l'unirà al vino nel calice, versando dal "zeon" (una piccola anforetta) dell'acqua calda che rappresenta l'acqua uscita dal costato di Gesù e il calore dello Spirito Santo. Una volta benedette le Offerte nel kathaghiasmò, trasformate così nel Corpo e Sangue di Cristo, il sacerdote tirerà la tendina che lo aveva occultato durante la preparazione della Comunione e si porrà al centro dell'iconostasi pronto ad imboccare ogni fedele, come fosse un bambino debole e bisognoso di aiuto, con un piccolo cucchiaino.

Tutti i fedeli giungono sul presbiterio e prendendo un fazzoletto purpureo che il sacerdote trattiene per un lembo nella mano in cui sostiene il calice, lo avvicinano alle labbra (perchè neppure una goccia possa cadere), e si comunicano. La sensazione evidente è che tutti questi uomini giunti per trovare il Signore, sono accomunati da un cucchiaino, sono umiliati dall'impotenza e la necessità di salvezza, dall'amore per Cristo che sanerà le piaghe di cisascuno, morali e fisiche. Il vero significato della Comunione diviene così a tutti intelligibile e resta solidamente legato alla Presenza Reale di Cristo in quel calice.
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Inno del Cherubico
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Οι τα Χερουβίμ μυστικώς εικονίζοντες
και τη ζωοποιώ Τριάδι
τον τρισάγιον ύμνον προσάδοντες
πάσαν την βιοτικήν αποθώμεθα μέριμναν
ως τον βασιλέα των όλων υποδεξόμενοι,
ταις αγγελικαίς αοράτως δορυφορούμενον τάξεσιν.
Αλληλούια
j
Mentre misticamente vediamo i Cherubini
e la Trinità che dona la vita,
cantando l'inno tre volte santo,
abbandoniamo ogni umana cura,
per accogliere il Re di tutte le cose,
invisibilmente scortato dagli ordini angelici.
Alleluia.





Caterina63
00mercoledì 9 settembre 2009 16:28
GLI ANGELI NELLE LITURGIE

UNA SCALA TRA CIELO E TERRA


di mons. Nicola Bux

Giacobbe ebbe in sogno una visione: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva
il cielo; ed ecco gli Angeli di Dio andavano e venivano attraverso essa (Genesi 28,12). Per alcuni
Padri della Chiesa quella scala prefigura l’incarnazione del Verbo, mediatore tra cielo e terra. Gesù
infatti preannunciava in Se stesso la realizzazione del sogno del Patriarca: “vedrete il cielo aperto e
gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo” (Giovanni 1,51). Altri, seguendo Filone di
Alessandria, hanno visto nella scala di Giacobbe 1’immagine della Provvidenza di Dio verso gli
uomini, per mezzo del ministero degli Angeli. Quindi la scala costituisce un’immagine efficace del
rapporto tra gli Angeli e le liturgie cristiane.

La discesa (katàbasis) del Verbo sulla terra, incarnato nel grembo della Vergine come Figlio
dell’uomo, Gesù, e la sua ascensione (anàbasis) al cielo, sono accompagnate dagli Angeli:
dall’Arcangelo Gabriele a Nazareth e la moltitudine dell’esercito celeste a Betlemme, agli Angeli
del- l’Ascensione sul monte degli Ulivi. E’ un duplice movimento che dalla storia sacra si è
impresso nella liturgia cristiana, etimologicamente “azione del popolo di Dio”, celebrata insieme
dagli Angeli e dagli uomini: quelli, creati per primi da Dio, Ne conoscono il mistero e Lo hanno per
primi acclamato Sanctus; questi, condotti a conoscere Dio in Gesù, Lo adorano e sono salvati.

In Oriente e in Occidente, nel cuore della Divina Liturgia, termine che designa la Messa dei Bizantini,
1’Aghios/Sanctus segna la fusione tra gli Angeli e gli uomini, proprio mediante l’inno rivelato nel
libro di Isaia (6,3): il profeta vide il Signore sul trono all’interno del tempio di Gerusalemme e i
Serafini con sei ali che coprivano volto e piedi, mentre in volo inneggiavano a cori alterni al
Signore delle schiere, tre volte Santo. Ma è 1’Apocalisse a descrivere per prima la sincronia tra
liturgia celeste e terrestre intorno all’Agnello immolato: Giovanni ode 1’inno di una moltitudine di
Angeli acclamanti a gran voce a cui risponde ogni creatura in cielo, in terra, sotto terra e sul mare
(5,11-13).

L’angelologia cristiana, erede di quella giudaica, rivela, dunque, nella liturgia, un
movimento di discesa-ascesa contemporaneo a quello del Verbo: lo accompagna nell’opera di
salvezza dell’uomo portandolo alla lode di Dio, che è la ragion d’essere del creato, fino a elevarlo
all’altezza di Dio, la deificazione (theòsis). Soprattutto gli Angeli cantano la gloria dell’Altissimo;
sono una folla immensa di adoratori che il profeta Daniele e 1’apostolo Giovanni contemplano
intorno al trono del Dio vivente: mille migliaia Lo servono, diecimila miriadi sono intorno a Lui
(Daniele 7,9-10; Apocalisse 5,11). Nel Vangelo apocrifo di Filippo sono simbolo degli eoni
superiori. Secondo sant’Ambrogio gli Angeli devono essere 99 volte più numerosi degli uomini e
due terzi superiori ai Demoni.

L’occupazione principale degli Angeli, indipendentemente da i cori
di appartenenza, è la partecipazione al culto divino, come Cherubini sull’Arca dell’Alleanza e i
Serafini intorno al trono Dio, oltre a essere messaggeri, secondo 1’etimologia greca del nome
“Angelo”. La liturgia ebraica, in particolare il Midrash del Libro di Enoch etiopico (Genesi Rabba
1,4) usato nella lettura sinagogale della Torah, ricorda i quattro Angeli della Presenza (Shekinah),
che stanno cioè davanti al trono di Dio: Gabriele, Michele, Raffaele, Fanuele. Un compito che
richiede un’energia eccezionale e quindi un nutrimento; il medesimo che costituisce il centro della
liturgia il Panis angelicum, nutrimento metafisico degli Angeli che assunto dall’uomo lo rende
immortale e capace di vedere Dio. E l’Eucaristia che unisce il cosmo e la storia, gli uomini e gli
Angeli. Riempiendo con la loro spirituale presenza tutto lo svolgimento della storia salvifica dal
Paradiso della Genesi a quello dell’Apocalisse, gli esseri celesti compiono, si potrebbe dire,
un’eterna “angelurgia”; in quanto Angeli, 1’aspetto essenziale del loro ministero è cantare la gloria
di Dio; anche la Chiesa lo percepisce come sua missione primordiale. Per essere protetta tra le
difficoltà del mondo nel portarla a compimento si rivolge a questi messaggeri del Signore, che
fanno conoscere i Suoi disegni e portano i Sui ordini, come già a Giacobbe e a Giuseppe, il padre
adottivo di Gesù. Perciò la Chiesa nella liturgia onora in particolare Gabriele che fu inviato a Maria
per inaugurare la “pienezza del tempo”, Michele che conduce “la battaglia nel cielo contro il
Dragone”.

La Lettera agli Ebrei, grandiosa riflessione teologica sullo sfondo della liturgia cristiana appena nata
dal culto giudaico, osserva a proposito della superiorità del Figlio di Dio sugli Angeli: “Non sono
essi invece tutti spiriti al servizio di Dio, inviati per esercitare un ufficio in favore di coloro che
devono ereditare la salvezza?” (1,14).

Origene, seguendo sant’Ireneo, scrive “Come fra gli uomini Gesù fu conosciuto come uomo, così
tra gli angeli fu conosciuto come ange lo”(Patrologia orientale, 7,1031-43; Patrologia graeca,
12,695 e 778). Un linguaggio pre-niceno che si ritrova comunemente negli apocrifi giudeo-cristiani,
che richiama 1’Angelo dell’Alleanza di Malachia, (3,1), lettura introdotta nella liturgia romana
della Presentazio ne del Signore al tempio di Gerusalemme, il 2 Febbraio; forse retaggi di una
dottrina che considerava 1’Angelo – 1’Angelo del Gran Consiglio – come ipostasi del Verbo. Ma la
liturgia cristiana celebra e attua la salvezza a causa della discesa del Verbo nella carne umana; in
merito, ancora Origene immagina che gli Angeli conversino tra loro: “Essi si dissero: Se egli è
disceso in un corpo, se ha rivestito una carne mortale, cosa restiamo noi qui a fare ? Piuttosto
discendiamo tutti dal Cielo” (Omelia su Ezechiele 1,7).

Gli Angeli che appaiono a Betlemme gioiscono, quello del Getsemani soffre, esprimendo la
partecipazione cosmica alla Redenzione del Figlio di Dio; il movimento degli Angeli di Dio intorno
al Figlio dell’uomo sulla terra dimostra che la comunicazione tra cielo e terra, la “scala” sognata da
Giacobbe, e ormai aperta per sempre. Questo evento è permanente e la liturgia eucaristica lo
celebra; cioè fa si che in esso venga coinvolto 1’uomo. Poichè gli Angeli conoscono 1’economia
salvifica di Dio verso 1’uomo, si rallegrano ogniqualvolta sulla terra si riproduce quanto avviene e
si vuole in cielo; in qualche modo poi, gli Angeli rendono gli uomini simili a se stessi, ossia
messaggeri della Buona Notizia, come accadde ai pastori di Betlemme.

La liturgia è cosmica, dirà nel VI secolo da Oriente san Massimo il Confessore. Risponde da
Occidente l’inno liturgico romano Jesu redemptor omnium, a ricordare che la Creazione intera
partecipa alla Redenzione e si rallegra. L’Apocalisse ha paragonato le stelle agli Angeli: sette stelle
su sette candelabri, simbolo delle sette chiese (1,20); gli Angeli sono tutelari delle città e degli
individui, in un contesto liturgico cosmico-storico nato dalla tradizione giudaico-cristiana che
ricorreva spesso al simbolo della scala cosmica; per questo anche i vescovi che, etimologicamente,
“vegliano sulle chiese”, sono accostati agli Angeli.

San Giovanni Crisostomo, descrivendo 1’apertura del velo che occulta il santuario sulla porta
dell’iconostasi bizantina, dice: “La Chiesa è il luogo degli angeli, il luogo degli arcangeli, il regno
di Dio, il cielo stesso (...) E tu dunque ancor prima del tempo venera, stupisci e levati, prima di
vedere aperti i veli, e precedendo il coro degli angeli, sali verso il cielo” (Epistula ad 1 Corinthios
homilia, 36,5; Patrologia graeca, 61,313). I1 velo della porta regale, secondo 1’anafora greca di san Giacomo, e simbolo della carne del Cristo che avvolgeva la Sua divinità, nascondendola agli occhi umani.

Ma è stato Teodoro di Mopsuestia, nella XV catechesi sul rito solennissimo dell’ingresso dei doni
per l’Eucaristia, a presentare una tipologia teologica che si ritroverà poi in molti autori e riti
orientali e occidentali. Egli, partendo dal suddetto passo della Lettera agli Ebrei, ricorda che,
durante la Passione, le potenze invisibili servivano il Signore; servizio che nella liturgia e compiuto
dai diaconi: “Secondo le Scritture, v’erano degli Angeli al lato del sepolcro, seduti sulla pietra, che
rivelarono alle donne la risurrezione e, tutto il tempo che Cristo giacque nella morte, rimasero là ad
onorare colui che era morto, finchè non videro la risurrezione; non ci si sbaglia quindi oggi [afferma
il grande catecheta] a riprodurre per immagini quella liturgia angelica. A ricordo di quegli angeli,
che durante la passione e la morte del Signore, venivano continuamente e si anteponevano, ecco che i diaconi lo circondano e agitano ventagli” (Tonneau e Devreesse, p. 503 sgg.).

Gesù stesso aveva manifestato la Sua libertà sovrana andando incontro alla Passione, quando, al
momento dell’arresto, ammonì che avrebbe potuto pregare il Padre per ricevere 1’aiuto di dodici
legioni di Angeli (Matteo 26,53). La partecipazione angelica vi fu, non per evitare ma per alleviare
la sofferenza e annunciare la vittoria. I diaconi dunque, con i ventagli (le ali) rappresentano gli
Angeli al sepolcro del Signore.

La rappresentazione angelica nelle liturgie orientali verrà continuamente riproposta dal VI al XIV
secolo da autori siriaci e greci come Narsai, Massimo il Confessore, Germano di Costantinopoli,
Abraham Bar Lipheh, pseudo Giorgio di Arbela, Nicola Cabasilas. Ma nessuno più di Dionigi
1’Areopagita, pseudonimo di un autore vissuto tra il V e il VI secolo che ha scritto in greco, non
senza attingere alle concezioni giudaiche apocalittiche, ha elaborato nelle opere De coelesti
Hierarchia e De ecclesiastica Hierarchia, la teoria del rapporto tra la gerarchia celeste e quella
ecclesiastica, come si manifesta massimamente nella liturgia.

Egli, nel tentativo di spiegare l’unione dell’uomo con Dio, è il primo a dire che imitando gli Angeli
il percorso verso Dio e possibile. Essi sono tali in quanto “1’illuminazione tearchica e
primieramente in essi e tramite loro ci vengono comunicate le manifestazioni superiori a noi” (De
coelesti Hierarchia, IV, 2, 180B). Dio ha comunicato i suoi voleri mediante gli Angeli, così vi ha
obbedito anche Gesù. La liturgia che celebra la massima obbedienza del Figlio al Padre con la
croce, non può non considerare gli Angeli quali ministri operanti. Anzi, poiché il Figlio ha
comunicato agli uomini tutto quello che aveva udito dal Padre, è 1’Angelo del Gran Consiglio (De
coelesti Hierarchia, IV, 4, 181C).

In base a una sua interpretazione della Sacra Scrittura, lo pseudo Dionigi ha enumerato nove ordini
di Angeli, raggruppati a loro volta in tre schiere o disposizioni gerarchiche illuminate da Dio, la
prima direttamente, la seconda attraverso la prima, la terza mediante le prime due: la prima schiera, più vicina a Dio, è formata da Serafini, Cherubini e Troni; la seconda da Dominazioni, Virtù e Potestà; la terza di Principati, Arcangeli e Angeli (De coelesti Hierarchia, VI, 2, 200D).
La prima schiera è la più sublime perché vicina al trono di Dio: i Serafini, etimologicamente, che
ardono e riscaldano, possono librarsi verso l’alto per sconfiggere le tenebre. I Cherubini sono
protesi a conoscere e contemplare Dio dal quale ricevono la sapienza, che a loro volta effondono
incommensurabilmente all’ordine inferiore. I Troni sono tali perchè distaccati da ogni attrazione
terrestre.

E tesi verso l’alto, soprattutto portano Dio in trono, appunto, avendone ricevuto la visita in modo
perfettamente inalterabile e immateriale.

La seconda schiera manifesta le proprietà imitatrici di Dio perennemente conformi a Lui: le
Dominazioni indicano 1’assoluta libertà che si muove intorno a Dio. Le Virtù, le operazioni piene
di forza che si conformano a Lui. Le Potestà indicano il dominio sui nemici e la possibilità di
ricevere la grazia di Dio.

L’ultima schiera, dice Dionigi, è adornata dai Principati e dagli Arcangeli, che hanno il compito di
guida, e dagli Angeli che portano le rivelazioni e gli ordini di Dio agli esseri umani. In realtà
1’appellativo di Angelo si attribuisce anche alle schiere superiori, quando svolgono un annunzio,
come ricorderà san Gregorio Magno (Omelia, 34, 8-9; Patrologia latina, 76, 1250-1251).
L’angelologia di Dionigi, con i nomi dei diversi cori, è ancora presente nella liturgia romana; il
Prefazio che introduce la grande preghiera eucaristica li menziona spesso, per gruppi, quasi a
indicare il loro concorso al momento solenne della Divina Liturgia, che è la discesa del Verbo in
mezzo agli uomini, come mediante una scala per la quale salgono e scendono.

Tuttavia, quanto alla conoscenza di Dio sulla terra, gli uomini la ricevono attraverso i simboli, mentre gli Angeli vedono Dio direttamente. Dagli spiriti più vicini a Dio, infatti, procede una iniziazione nei confronti di quelli più lontani. Infine l’Areopagita afferma che la Sapienza di Dio si è manifestata proprio nell’aver creato esseri sapienti come gli uomini e gli Angeli. Non solo, anche la Potenza è distribuita gerarchicamente a partire dagli Angeli (De Divinis nominibus, VI, 3, 857B). Certamente le liturgie orientali, con l’intento di “portare” il cielo sulla terra, hanno tradotto più da vicino la teoria dionisiana: gli Angeli e le Virtù sono parte di questo compito di comunione.
L’universo simbolico della liturgia bizantina, testi, inni, icone, ridonda massimamente della
presenza e del ministero angelico.

La preghiera della “Piccola Entrata”, la processione
dell’Evangelario nella prima parte della Messa bizantina, menziona gli Angeli che celebrano nel
cielo la liturgia eterna e che si uniscono ora ai fedeli per la Divina Liturgia: “Maestro e Signore
nostro Dio, che hai stabilito nei cieli gli ordini e gli eserciti degli angeli e degli arcangeli per
celebrarvi la liturgia della tua gloria, fa che con la nostra entrata abbia luogo 1’entrata dei santi
angeli che, con noi, celebrano e glorificano il tuo amore, perchè a te conviene ogni gloria e ogni
adorazione”.

Avviene un’irruzione del celeste nel terrestre, gli Angeli celebrano nel cielo la liturgia
eterna e partecipano a quella degli uomini, che è un inserirsi nel tempo dell’adorazione perpetua,
condizione normale di ogni creatura. E’ il tema iconografico Divina Liturgia che raffigura il Cristo
all’altare, in vesti pontificali, circondato da Angeli celebranti vestiti da preti e diaconi.
Il tempo dell’adorazione è segnato dal Trisagion recitato sacerdote e ripreso dal coro: ”Dio Santo,
Dio Forte, Dio Immortale abbi pietà di noi”; indica ancora una volta la sinergia tra le schiere
angeliche: “Dio Santo, che abiti nel santo dei santi, che sei lodato dai serafini al canto dell’inno tre
volte santo; che sei glorificato dai cherubini e adorato da tutte le potenze celesti (...)”. Se la liturgia
è pontificale, il vescovo avanza durante il canto tenendo nella mano sinistra il dikèrion (candelabro
a due ceri incrociati, simbolo delle due nature del Cristo) e nella mano destra il trikèrion
(candelabro a tre ceri, simbolo della Trinità) e benedice il popolo incrociando due immagini,
cristologica e trinitaria.

“Noi, che misticamente rappresentiamo i cherubini e cantiamo alla vivificante Trinità l’inno tre
volte santo, deponiamo ogni sollecitudine mondana per ricevere il Re dell’universo, invisibilmente
scortato dagli eserciti angelici. Alleluia, alleluia, alleluia”. E’ l’inno cherubico intonato dal diacono
all’inizio della “Grande Entrata, la processione del pane e del vino, cioè i doni per 1’Eucaristia;
nell’ attesa di questo evento 1’anima deve accordarsi con il canto delle potenze celesti. Questa
processione di offertorio, che è una rappresentazione liturgica dell’arrivo del Cristo a Gerusalemme,
condotto al sacrificio, rifulge ancora di più in un altro canto per 1’ingresso dei doni, forse più
antico, nella liturgia greca di san Giacomo, cantato dai Bizantini il Sabato Santo: “si avanza per
essere sacrificato e per essere dato in nutrimento ai suoi fedeli. Egli è preceduto dal coro degli
angeli, con tutti i principati e le dominazioni, i cherubini dai molti occhi e i serafini dalle sei ali, che
si velano la faccia e cantano 1’inno Alleluia”.

Nel rito armeno un’antifona, che nel rito caldeo si ritrova come “antifona dei misteri”, o hagiologia,
è cantata dal diacono: “La moltitudine degli angeli e delle schiere celesti discesero dal cielo con
1’Unigenito re, cantando e dicendo: ’Ecco il Figlio di Dio!’
Tutti noi diciamo: ’Giubilate cieli ed esultate fondamenta del mondo, perchè il Dio eterno è apparso
sulla terra ed ha conversato con gli uomini, per dare la vita alle nostre anime (...) Venite, popoli,
cantiamo le lodi insieme agli angeli, dicendo: Santo (...)’”.

La visione dei Serafini nel libro di Isaia
è richiamata nel rito caldeo, così pure nella liturgia siro-antiochena e in quella maronita.
Alla comunione il diacono apre,in silenzio, la porta regale, simbolo della pietra del sepolcro rotolata
dall’Angelo Gariele: come il Cristo risorto,appare il prete con il calice.

Prima dell’elaborazione tipologica del “Grande Ingresso” in Teodoro di Mopsuestia, si era delineata
in alcuni Padri, per esempio lo pseudo Crisostomo (Patrologia greca, 62,722-4), una riflessione
teologica sulla discesa del Cristo agli Inferi, celebrata come fase del mistero pasquale nei riti
orientali. Nella santa e grande Parasceve, infatti, il Cristo è preceduto dalle Virtù – un coro non
menzionato dallo pseudo Dionigi – che acclamano: “Aprite le porte” e queste vengono infrante
(Salmi 23). Il diacono nel rito bizantino ha proprio la funzione di riprodurre, tra la navata e il
santuario, la funzione dell’Angelo, messaggero di quanto si va preparando a celebrare e guida della
preghiera.

L’Angelo della pace, fedele conduttore e custode delle anime e dei corpi, viene invocato da Dio
nella litania dopo l’ingresso dei doni: è la dimensione pasquale applicata all’escatologia individuale.
Nel rito siro-caldeo, è invece l’Angelo della misericordia e della guarigione per i malati e per quanti
cadono in tentazione.

Una commemorazione speciale delle potenze celesti e angeliche, che fanno parte integrante del
cielo, è introdotta nel ciclo settimanale bizantino all’ufficio di preghiera del lunedì; i loro cori
acclamano continuamente: “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore” (Salmi 118,26). E’
un’acclamazione che nell’Eucaristia romana e bizantina è stata aggiunta al Sanctus, mutando la
formula conclusiva della benedizione (berakah) degli Angeli nella liturgia della sinagoga:
“Benedetta sia la Gloria di Jahweh dal luogo della sua dimora” (Ezechiele 3,12). Si potrebbe risalire
così, nella liturgia di Gerusalemme, al rito della azkarah-epiclesi allo Spirito Santo, al quale
assistono gli Angeli.

Secondo san Paolo, Essi, sempre presenti durante la liturgia, devono incutere
rispetto nelle donne che vi partecipano (1 Corinzi 11,10). Nell’iconografia romana e bizantina, gli
Angeli sono spesso simbolo del cielo o dei vari cieli. In alcune scene della Creazione, affiancano in
numero di sette il Creatore, rappresentando ciascuno i sette giorni. Le loro principali insegne sono
le ali; tutti gli spiriti angelici hanno due ali, i Serafini e i Cherubini ne hanno sei; talvolta le hanno
anche Gesù, quale “Angelo del Gran Consiglio”, Giovanni “il Precursore” ed Elia “il profeta
immortale”. Gli Angeli, in quanto messaggeri, recano anche una verga lunga e sottile, fiorita spesso
in un fiordaliso.

Quando hanno le mani velate, è in segno di rispetto per le cose sacre che portano. Il
loro rapporto con la liturgia è indicato dalla pròsfora (il pane dell’offerta eucaristica) tonda, con una
linea ondulata a indicare la lievitazione del pane; è spesso tenuta innanzi al petto da Michele,
circondato da altri Angeli.

Nella liturgia romana, che si distingue dalle altre per la sobrietà dei riti, gli Angeli sono tra i
testimoni del confiteor, il riconoscimento delle colpe nell’atto penitenziale. Sono menzionati per
gruppi, spesso insieme ai Santi, nella conclusione del Prefatio, la proclamazione introduttiva della
preghiera eucaristica: “E noi uniti agli Angeli e alla moltitudine dei cori celesti, cantiamo con gioia
1’inno della tua lode”; oppure: “uniti agli Angeli e agli Arcangeli, ai Troni e alle Dominazioni e alla
moltitudine dei cori celesti. A te inneggiano i Cieli, gli Spiriti celesti e i Serafini, uniti in eterna
esultanza”.O altre espressioni come: “Per questo mistero si allietano gli Angeli”; “1’assemblea
degli Angeli e dei Santi (...) nell’eternità adorano la gloria del tuo volto”. “Per mezzo di lui tutti gli
Angeli proclamano la tua gloria. Al loro canto concedi o Signore che si uniscano le nostre umili
voci”.

L’Angelo, dunque, indica l’unità della liturgia terrena e di quella celeste. Riprendendo
sant’Ambrogio (De Sacramentis, 4,6,26) il Canone Romano Lo menziona nella formula di epiclesi
per la transustanziazione, in cui non è invocato lo Spirito Santo: “Ti supplichiamo, Dio onnipotente:
fa’ che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo, sia portata sull’altare del cielo davanti alla
tua maestà divina, perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare, comunicando al santo
mistero del corpo e sangue del tuo Figlio, scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione del
cielo”.

Anche nella liturgia della festa dei santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, il 29
settembre, nel calendario romano, si ricorda che gli Angeli e gli uomini sono chiamati a cooperare
al disegno della Salvezza divina (orazione colletta); 1’orazione sulle offerte dichiara: “Per le mani
dei tuoi angeli sia portata davanti a te”; infine, nella preghiera dopo la comunione si auspica che
“sostenuti dagli angeli avanziamo nella via della salvezza”. La memoria degli Angeli custodi (2
ottobre) Li invoca come segno della Provvidenza, inviati a custodia e protezione dell’uomo; si
esprime con ciò la speranza di essere sempre sorretti dal loro aiuto e di raggiungere la gioia eterna
insieme a Loro.

Nella liturgia bizantina, la “sinassi dei principi degli angeli Michele, Gabriele e delle altre potenze
incorporee” si celebra, invece, 1’8 novembre, data della dedicazione di una chiesa a Costantinopoli.
Esisteva anche una festa minore, il 6 settembre, in relazione a un miracolo attribuito all’
“arcistratega” Michele a Colossi; è una prova dell’esistenza del culto degli Angeli nel IV secolo. A
Roma, è accaduto analogamente, nel VI secolo, per il 29 settembre, data della dedicazione a san
Michele della chiesa romana. Il titolo Dedicatio è conservato anche per 1’8 maggio, festa del
santuario sul Gargano, che coincide con 1’Apparitio san Michaelis Archangeli, nel calendario
romano precedente la riforma del 1970. Le feste degli Arcangeli Gabriele e Raffaele furono
introdotte nel calendario romano da Benedetto XV nel 1921; sono state unificate nel 1970 con
quella di Michele al 29 settembre.

Quanto agli Angeli custodi una festa propria appare nel XVI secolo in Spagna e in Francia, ma la
Santa Sede, pur avendo concesso alla diocesi di Valenza la festa nel 1582, non 1’aveva inserita nel
breviario del 1568. Clemente XI nel 1667, fissandola alla prima domenica di settembre, su richiesta
di Ferdinando II, la estese alle chiese del regno; nel calendario romano rimane ancora al 2 ottobre,
dove fu spostata da Clemente X. Questa memoria evidenzia un’altra missione degli Angeli: Essi
svolgono un’assistenza fraterna presso ogni essere umano: “con misteriosa provvidenza Dio manda i suoi angeli a nostra custodia”.

Le Scritture del Vecchio Testamento ricordano spesso l’intervento degli Angeli per guidare i
Patriarchi nel loro esodo o per proteggere il popolo di Israele nell’ingresso alla terra di Canaan; i
Salmi lo documentano ampiamente. Tra le innumerevoli menzioni degli Angeli si veda il Salmo 90
dove si afferma: “Il Signore manda i suoi angeli sul nostro cammino. Sulle loro mani ti porteranno,
affinché non inciampi il tuo piede”. Anche Gesù parla della premura degli Angeli per gli uomini,
ricordando in specie la dignità dei fanciulli: “I loro angeli nel cielo vedono continuamente il volto
del Padre mio” (Matteo 18,10).

La scala tra cielo e terra “approntata” nelle liturgie è dunque custodita e presidiata dagli Angeli, in
particolare da Michele, il condottiero degli eserciti celesti, la guida delle anime e il vincitore di
Satana nel grande combattimento alla fine dei tempi. A questo convincimento si è alimentata la
pietà popolare espressasi peraltro in alcune preghiere; la prima fa parte del Catechismo di san Pio
X: “Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui
affidato dalla pietà celeste. Amen”.

Nota è anche quella che papa Leone XIII ordinò di recitare a
conclusione della Messa: “san Michele Arcangelo, difendici nella lotta; sii tu il nostro aiuto contro
la malizia e le insidie del demonio. Dio lo domini. Te ne preghiamo supplici: e tu, principe della
milizia celeste, ricaccia nell’inferno, col divino potere, Satana e gli altri spiriti maligni, che si
aggirano per il mondo a rovina delle anime. Amen”.

Infine, un’invocazione che accomuna i tre
Arcangeli o arcistrateghi, come li chiamano i Latini e i Bizantini: “Sancte Gabriel cum Maria,
sancte Raphael cum Tobia, sancte Michael cum omni coelesti hierarchia, adsitis nobis in viam”.



[SM=g1740733]
Caterina63
00mercoledì 9 settembre 2009 16:33


[SM=g1740733]




Forse per questo la chiamano simile alla Messa gregoriana...sentite il canto che segue... [SM=g1740717]



Inno del Cherubico

Οι τα Χερουβίμ μυστικώς εικονίζοντες
και τη ζωοποιώ Τριάδι
τον τρισάγιον ύμνον προσάδοντες
πάσαν την βιοτικήν αποθώμεθα μέριμναν
ως τον βασιλέα των όλων υποδεξόμενοι,
ταις αγγελικαίς αοράτως δορυφορούμενον τάξεσιν.
Αλληλούια

Mentre misticamente vediamo i Cherubini
e la Trinità che dona la vita,
cantando l'inno tre volte santo,
abbandoniamo ogni umana cura,
per accogliere il Re di tutte le cose,
invisibilmente scortato dagli ordini angelici.
Alleluia.





Caterina63
00giovedì 2 giugno 2011 23:35

I Papi e gli angeli (parte I)


Intervista a don Marcello Stanzione, autore di un libro sull'argomento


di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 5 maggio 2011 (ZENIT.org).- Gli angeli sono una invenzione umana per rassicurare le persone o realtà concrete che intervengono nella storia di ognuno?

A questa ed altre domande cerca di rispondere il libro di don Marcello Stanzione dal titolo “I Papi e gli angeli” (Gribaudi editore).

Autore già di numerosi volumi sull'argomento, don Stanzione organizza ogni anno un meeting annuale sugli angeli.

Nel libro in questione che sarà presentato dal dott. Angelo Scelzo, sottosegretario vaticano delle Comunicazioni Sociali e Nerea de Giovanni, presidente internazionale dei critici letterari, venerdì 6 maggio a Roma alle 17,30 presso la libreria Paolo VI (in via di Propaganda Fide), don Marcello traccia un ritratto originale dei Pontefici e del loro rapporto con gli angeli.

Di ogni Pontefice riporta una breve biografia, l’analisi della personalità, gli scritti e soprattutto l’esperienza dell’angelo custode che ne ha guidato i passi.

Per conoscere gli aneddotti e la devozione che i Papi hanno nutrito nei confronti degli angeli, ZENIT ha intervistato don Marcello Stanzione.

Alcuni credono che il culto degli angeli sia una pratica per bambini, mentre lei sostiene nel suo libro che c’è una grande venerazione dei Papi per gli angeli. Cosa ha scritto in proposito?

Don Marcello: Da San Pietro, primo Papa, fino all’attuale Benedetto XVI sono ben 265 i Papi avvicendatisi sulla cattedra romana: diversi per provenienza, nazionalità, cultura, personalità e valore, furono tutti testimoni di una identica fede e di una medesima protezione angelica. Sant’Anselmo chiama il Papa “angelo del gran consiglio”. Santa Veronica Giuliani in una delle sue mirabili estasi vide e scrisse che il vicario di Cristo è sempre circondato, riverito e assistito da uno stuolo di dodici angeli custodi, quasi una sorta di collegio angelico che richiama quello apostolico e che gli fa costantemente da corte invisibile. A questo riguardo la vicenda del primo Papa della storia, San Pietro, è assai significativa; infatti l'angelo del Signore liberò il Capo degli Apostoli dal carcere, ben due volte. Nei Padri apostolici, in particolare Papa Clemente, troviamo allusioni agli angeli in riferimento al servizio di Cristo e degli uomini. Un Concilio tenutosi a Roma nel 745, sotto Papa Zaccaria, proibisce di invocare i nomi di Uriel, Raguel, Tofoas, Sabaoth e Simile, dichiarando che questi presunti angeli sono in realtà diavoli. Possono essere legittimamente invocati i nomi di origine biblica, Michele, Gabriele e Raffaele. La stessa sede romana, a volte, a partire dalla fine del VI secolo, veniva definita “angelica”. In questo periodo Papa Leone viene designato con questo termine dal diacono Porfirio durante il Concilio di Calcedonia, e nella corrispondenza dei Vescovi orientali, durante lo scisma di Acacio, spesso si annuncia al Papa l’invio di messaggeri alla sua “sede angelica”.

La spiegazione di quest’aggettivo va senza dubbio rintracciata in una lettera di Remigio di Reims, il quale spiega al suo corrispondente che i Vescovi sono angelici perché sono quegli “angeli delle chiese” di cui si parla nel libro dell’Apocalisse di san Giovanni. Ma nel maggio 519, un Vescovo di Prevalitana, che scriveva al Papa Ormisda come a un “maestro eguale agli angeli per merito”, preannunciava senz’altro l’uso del termine più tardo “coangelico”, di ispirazione greca, che, comparso forse alla fine del VI secolo, fu riservato esclusivamente ai Papi, e che è simboleggiato dalla loro veste bianca.   

E’ vero che Attila decise di ritirarsi perchè vide a fianco di Papa Leone I un angelo guerriero che gli intimò di fermarsi?

Don Marcello: Leone ha la stoffa dei grandi Papi, dei grandi amministratori e dei grandi santi. Il lungo pontificato di Papa Leone I durò 21 anni, dal 29 settembre del 440 al 10 novembre del 461, giorno della sua morte. Con un assiderante coraggio, egli decise di andare, scortato solamente da alcuni sacerdoti, davanti ad Attila, e di chiedergli di risparmiare Roma ed i Romani.

Missione impossibile, probabilmente mortale. Per ricordarlo al Pontefice, vi era l’esempio, non molto vecchio, del Vescovo di Reims, Nicasio, massacrato dagli invasori Vandali che voleva pacificare; era nel 407, ieri, ed i Barbari dell’epoca non erano certo più malvagi degli Unni...

Leone I non si lascia dissuadere dalla sua cerchia, ma, prima di andare incontro ad Attila consacra solennemente la Città a San Michele. E l’incredibile si realizza: Attila si lascia sedurre dal bottino che gli offre il Papa ed accetta di risparmiare Roma. Nella famosa Leggenda Aurea di Jacopo da Varaggine è scritto che quando i due capi si affrontarono sul Mincio, trovatisi l’uno di fronte all’altro, scesero da cavallo per accordarsi. All’improvviso Attila si gettò ai piedi del Pontefice dicendogli di chiedere qualunque cosa volesse. Il Papa lo invitò ad abbandonare l’Italia e di rilasciare i prigionieri. La cosa fu fatta all’istante. Quando poi i guerrieri unni chiesero al loro capo la ragione di quella decisione, Attila rispose di aver visto accanto al Pontefice “un soldato fortissimo, in piedi, con la spada sguainata che diceva: 'se non ubbidisci a quest’uomo, tu e tutti i tuoi morirete'”.  

In rendimento di grazie, una chiesa fu innalzata all’arcangelo sulla Via Salaria, all’uscita di Roma, sotto il nome di San Michele e dei Santi angeli (non resta più nulla oggi di San Michele della Via Salaria, salvo la festa della sua dedicazione, il 29 settembre,  che era la data di elevazione al pontificato di Leone I e che è divenuta, poi, la festa liturgica di San Michele per tutta la Chiesa universale). Non è che un inizio. Nel 1754 Papa Benedetto XIV lo proclamò Dottore della Chiesa. Leone fu il primo Pontefice che prese il titolo di Magno. Le sue spoglie furono sepolte dapprima nell’atrio di San Pietro e successivamente all’interno.

Cosa può dirci a proposito di Papa Gregorio I, la peste che flagellava Roma e la statua che da allora è in cima a Castel Sant’Angelo?

Don Marcello: Secondo la leggenda vi fu un’apparizione dell’arcangelo al Papa San Gregorio Magno che a causa di una grave epidemia di peste che aveva colpito Roma aveva indetto una grande processione penitenziale partita dalla basilica di Santa Maria Maggiore. Una volta arrivati nei pressi del Mausoleo di Adriano, infatti, il Papa avrebbe avuto una visione di San Michele in alto sulla torre nell’atto di rinfoderare la spada, segno che la peste era ormai terminata. Da allora in poi, il culto di san Michele a Roma si svilupperà sempre più e addirittura nelle vicinanze tra il Vaticano e la Mole Adriana, poi ribattezzata Castel Sant’Angelo, saranno erette ben nove chiese e cappelle dedicate al Capo degli angeli. Venerdì 20 maggio proprio in una di queste chiese, quella dei santi Michele e Magno, conosciuta anche come la Chiesa di san Michele dei Frisoni, cioè degli olandesi, alle ore 18,00 terrò una conferenza su san Michele ed i Papi. Invito tutti i lettori romani di ZENIT a parteciparvi.

Anche il beato Giovanni Paolo II era molto devoto degli angeli, non è vero? Può narrarci qualche aneddoto in proposito?

Don Marcello: Certamente san Michele, l’angelo protettore del papato, e le schiere angeliche lo custodirono amorosamente nei quasi suoi 27 anni di pontificato,  infatti in uno dei suoi libri autobiografici, Giovanni Paolo II confidò: “Ho una particolare devozione per l’Angelo Custode. Sin da bambino, probabilmente come tutti i fanciulli, ho ripetuto tante volte l’invocazione: 'Angelo di Dio, che sei il mio Custode, illumina, custodisci, reggi e governa me'. Il mio Angelo Custode sa che cosa sto facendo. La mia fiducia in lui, nella sua presenza protettrice, si va in me costantemente approfondendo. San Michele, San Gabriele, San Raffaele sono gli Arcangeli che spesso invoco nella preghiera”.







I Papi e gli angeli (parte II)


Intervista a don Marcello Stanzione, autore di un libro sull'argomento


di Antonio Gaspari

ROMA, venerdì, 6 maggio 2011 (ZENIT.org).- Giovanni Paolo II è il Pontefice che in tutta la storia della Chiesa è intervenuto più volte per parlare degli Angeli. E ' quanto sostiene don Marcello Stanzione, Presidente dell'Associazione Milizia di San Michele Arcangelo.

La prima parte dell'intervista è stata pubblicata il 5 maggio.

Quali sono stati i Pontefici che hanno nutrito una devozione più profonda per gli Angeli, e qual è il significato teologico della presenza degli Angeli nella storia e nella dottrina cattolica?

Don Marcello: Tutti i Papi ovviamente sono stati devoti degli spiriti celesti. In questa mia intervista voglio però limitarmi solamente a quelli più recenti. Papa Pio XI (Achille Ratti, 1922-I939) rivelò a un gruppo di pellegrini che, all'inizio e al termine di ogni giornata, invocava il proprio Angelo custode, sottolineando che di frequente ripeteva tale invocazione Angelica durante le attività quotidiane specialmente quando c’erano grossi problemi. Ma da dove nasceva questa profonda devozione di Pio XI all'Angelo custode? Il Papa rivelò che, fin da bambino, aveva compreso, grazie ai suoi illuminati genitori ed educatori, i meravigliosi pensieri di San Bernardo da Chiaravalle riguardo al rispetto fiducioso e all'amore da nutrire verso l'Angelo custode. Pio XI raccomandava la devozione Angelica particolarmente ad alcune categorie come i missionari, i nunzi apostolici, gli insegnanti e gli scout. In un bel discorso del 1923 agli esploratori cattolici il Pontefice dichiarò:  “…sempre agli esploratori noi raccomandiamo la devozione agli Angeli. L'esploratore è spesso abbandonato alle sue sole forze, ai soli suoi mezzi. Non dimentichi allora che egli ha una guida celeste, che l'Angelo di Dio veglia su di lui. Tale pensiero gli darà il coraggio e la fiducia di un aiuto prezioso". Anche i collaboratori più stretti di Pio XI furono sempre edificati dal profondo amore del Papa verso gli Angeli. Il cardinale Carlo Confalonieri, nella sua biografia “Pio XI visto da vicino”, così scrive: “Era devotissimo degli Angeli custodi, del suo personale in primo luogo, e di quelli che riteneva preposti agli uffici ecclesiastici e alle varie circoscrizioni territoriali. Quando doveva compiere qualche delicata missione, pregava il suo Angelo di preparare e facilitare la strada, predisponendo gli animi. Anzi, in circostanze di particolare difficoltà, pregava pure l'Angelo dell'altro interlocutore, perché illuminasse e rabbonisse il sua protetto. Entrando nel territorio della Diocesi di Milano, si era inginocchiato a baciare la terra che il Signore gli affidava e aveva invocato la protezione dell'Angelo della Diocesi".

Anche Papa Pio XII (Eugenio Pacelli ,1939-1959) parlò spesso della missione degli Angeli nella vita della Chiesa. Il Pastor Angelicus, come era chiamato, era parti­colarmente devoto dell'ArcAngelo Michele che, nel 1949, costituì Patrono e Protettore dei radiologi e radioterapeuti e anche celeste Patrono di tutta l'amministrazione italiana della Pubblica sicurezza, in quanto l'ArcAngelo guerriero è dotato di divina fortezza contro le potestà delle tenebre. Nell'anno santo del 1950 Papa Pacelli, con l'enciclica Humani generis ribadì la dottrina tradizionale sugli Angeli, deplo­rando che alcuni arrivino a mettere in discussione il loro essere creaturale personale, riducendoli a figure mitiche e vaporose. I1 3 ottobre 1959, il Papa rivolse una meravigliosa allocuzione a un folto gruppo di cattolici americani, nella quale, dopo aver ricordato le bellezze della realtà visibile, passò a quelle invisi­bili, popolate dagli Angeli. "Essi erano nelle città che avete visitato... erano i vostri compagni di viag­gio".

Poiché talvolta si limita il compito degli Spiriti celesti a un ministero di difesa sul piano fisico, il Papa ricorda che gli Angeli hanno cura anche della nostra santificazione, essi sono maestri di ascesi e di mistica. Pio XII in conclusione invitava quei pellegrini a mantenere una certa familiarità con gli Angeli, che si adoperano con costante sollecitudine per la salvezza umana perché: “A Dio piacendo passerete un'eternità di gioia con gli Angeli: imparate fin da ora a conoscerli”.

Ancora di più Papa Giovanni XXIII (Angelo Roncalli 1959-1963), il cui nome di battesimo era dedicato agli Spiriti beati, era assai devoto all'Angelo custode. Mons. Loris Capovilla, suo segretario particolare, ha riferito un episodio assai significativo a riguardo. Giovanni XXIII aveva iniziato alla domenica a recitare dal balcone del palazzo apo­stolico la preghiera dell'Angelus, seguita dall'invocazione all'Angelo custode e dall'Eterno riposo ai defunti. Il segretario ricorda che un prelato fece rilevare a1 Papa che forse si poteva non fare l'invocazione all'Angelo, in quanto l'affidamento di ogni essere umano a uno spirito celeste non era un dogma definito dalla dottrina cattolica. A questa osservazione, Papa Giovanni, con una punta di umorismo, commentò: “Bravo questo teologo. Per fare un piacere a lui io dovrei fare un dispetto al mio Angelo custode”.  

A diciotto anni, il futuro Papa, nel suo diario di seminarista, aveva scritto: “Un Angelo del cielo nientemeno, mi sta sempre accanto ed insieme è rapito in una continua estasi amorosa con il suo Dio. Che delizia al solo pensarci! Io dunque sono sempre sotto gli occhi di un Angelo che mi guarda, che prega per me, che veglia accanto al mio letto mentre dormo...".   

Mons. Roncalli, quando era nunzio in Francia, in una lettera alla nipote suora confidò il suo amore agli Spiriti celesti:  “Che consolazione sentircelo ben vicino questo celeste guardiano, questa guida dei nostri passi, questo testimone anche delle più intime azioni. Io recito ‘l’Angele Dei’ almeno cinque volte al giorno e sovente converso spiritualmente con lui, sempre però con calma e in pace. Quando debbo visitare qualche personaggio importante per trattare gli affari della Santa Sede, lo impegno a mettersi d'accordo con l'Angelo custode di questa persona altolocata, perché influisca sulle sue disposizioni. È una piccola devozione che mi insegnò più di una volta il Santo Padre Pio XI". In cinque anni di pontificato il "Papa buono” commentò, non meno di 40 volte, i compiti degli Angeli custodi, raccomandandone sempre la devozione. Papa Giovanni è passato alla storia perché ha indetto il Concilio Ecumenico Vaticano II; ebbene, in una confidenza fatta ad un vescovo canadese, il Papa attribuì l'idea del Concilio a un'ispirazione che Dio gli aveva dato nella preghiera, tramite il suo Angelo custode.

Paolo VI (G.B. Montini, 1963-1978) è stato il Papa che ha portato avanti e concluso le fasi del Concilio. Quanto al fatto che il Vaticano II abbia parlato poco degli Angeli e dei demoni, ciò è avvenuto perché il suo scopo era soprattutto ecclesiologico pastorale e non dogmatico; comunque il Concilio non manca di menzionare gli Angeli in quanto venerati dai cristiani (Lumen Gentium, 50); ricordando che gli Spiriti celesti saranno con Cristo quando egli tornerà nella gloria (Lumen Gentium, 49) e lascia intravedere come la Madonna sia stata esaltata al di sopra di essi (Lumen Gentium, 61). 

È necessario fare un’osservazione di contestualizzazione storica in quanto, durante gli anni del Concilio, in ambiente teologico cattolico la problematica sugli Angeli e i demoni non era così attuale come poi lo sarà dopo il 1966-67. Nella dichiarazione sul "Nuovo Catechismo Olandese" la commissione cardinalizia, nominata, nel 1967, da Paolo VI, affermava che l'esistenza degli Angeli è una verità di fede: "Bisogna che il Catechismo dichiari che Dio ha creato, oltre al mondo sensibile nel quale viviamo, anche il regno dei puri Spiriti che chiamiamo Angeli". I membri della commissione vaticana rinviavano al I° capitolo della costituzione Dei Filius del Concilio Vaticano I e ai numeri 49 e 50 della costituzione Lumen Gentium del Vaticano II. Paolo VI, in una famosa lettera al cardinale Alfring, primate d'Olanda, segnalò fra le indispensabili aggiunte da introdurre nel Catechismo olandese, la dottrina dell'esistenza degli Angeli fondata sui Vangelo e la Tradizione della Chiesa. Nella "Professione dà fede", del 30 giugno 1968, per la chiusura dell'anno della fede, il Papa nominò a due riprese gli Angeli, all'inizio: “Noi crediamo in un solo Dio, Padre, Figlio, Spirito Santo, Creatore delle cose visibili e delle cose invisibili quali sono i puri spiriti, chiamati altresì Angeli".

Al termine della professione, il sommo pontefice evoca le anime che contemplano Dio in cielo dove, in gradi diversi, sono: "Associate agli Angeli Santi nel governo divino". 

Il pontificato di Papa Montini, fu molto sofferto per le contestazioni da parte di alcuni teologi alla dottrina tradizionale della Chiesa, ma il Papa nella famosa allocuzione del 15 novembre 1972, riguardo agli Angeli affermò decisamente: "Esce dal quadro dell'insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerli significativi per la comprensione della storia della salvezza umana e quindi esistenti nel senso inteso dalla tradizione della Chiesa".

Giovanni Paolo I (Albino Luciani 1912-1978) guidò la Chiesa per solamente 33 giorni (morì nella notte fra il 28 e il 29 settembre, festa dei tre ArcAngeli) ma, quando era patriarca di Venezia affermò che gli Angeli sono: "I grandi sconosciuti del nostro tempo" e aggiunse: "Sarebbe invece opportuno ricordarli più spesso come ministri della provvidenza nel governo degli uomini".

Papa Giovanni Paolo II, è il pontefice che, nella bimillenaria storia della Chiesa, ha parlato più di tutti gli altri Papi degli Angeli, ai quali ha dedicato un ciclo delle catechesi del mercoledì dell'estate del 1986. Per questo motivo Giovanni Paolo II verrà più volte citato. 

Il Papa polacco affermò: “Oggi, come nei tempi passati, si discute con maggiore o minore sapienza su questi esseri spirituali. Bisogna riconoscere che la confusione a volte è grande, con il conseguente rischio di far passare come fede della Chiesa sugli Angeli ciò che alla fede non appartiene, o viceversa, di tralasciare qualche aspetto importante della verità rivelata".

Giovanni Paolo II intervenne quindi per dire la verità autentica sugli Angeli perché, in tal modo, la Chiesa: “Crede di recare un grande servizio all'uomo. L'uomo nutre la convinzione che in Cristo, Uomo-Dio è Lui (e non gli Angeli) a trovarsi al centro della divina rivelazione. Ebbene, l'incontro religioso con il mondo degli esseri puramente spirituali, diventa preziosa rivelazione del suo essere non solo corpo ma anche spirito, e della sua appartenenza ad un progetto di salvezza veramente grande ed efficace entro una comunità di esseri personali che per l'uomo e con l'uomo servono il disegno provvidenziale di Dio".

 

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