L'arcivescovo belga De Merode, che cambiò il volto della Roma di Pio IX

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Caterina63
00venerdì 30 ottobre 2009 18:19
Sulla scia di questo approfondimento storico:
Le armi del cardinale Ercole Consalvi tra la Rivoluzione Francese e l'Impero napoleonico

ve ne offriamo un altro altrettanto interessante.....

L'arcivescovo belga che cambiò il volto della Roma di Pio IX

L'intelligenza pratica del soldato de Merode



Pubblichiamo gli interventi di due relatori presenti all'incontro "Monsignor de Merode (1820-1874) e la Roma del suo tempo", tenuto venerdì 30 ottobre a Roma presso l'Academia Belgica.

di Johan Ickx


Frederick François-Xavier de Merode nasce a Bruxelles il 26 marzo 1820. Era il nipote del conte Félix de Merode (1791-1851), uno dei politici più in vista nel nuovo regno del Belgio. Uno dei suoi antenati, Charles William (1762-1830) era stato nominato ciambellano da Federico Guglielmo ii, re di Prussia, e sotto il regno di Napoleone fu ambasciatore a L'Aia, membro del Senato imperiale francese e sindaco di Bruxelles, nonchè Gran Maresciallo della Corte dei Paesi Bassi. Un vero cittadino europeo, quindi:  è stato successivamente austriaco, belga, prussiano, francese e olandese. Philippe-Félix, il padre di François-Xavier, nacque a Maastricht nel 1791. Era un leader del regno cattolico dei Paesi Bassi e del Belgio:  nel 1831, dopo la rivolta contro il re Guglielmo ii d'Olanda, nella quale perse la vita suo fratello Federico, il primo re del Belgio indipendente lo nominò ministro di Stato.

Si sposò due volte:  nel 1809 con Rosalia de Grammont e nel 1831 con Philippine de Grammont, sorella della prima moglie, che curò l'educazione del giovane Xavier quando perse la madre all'età di tre anni.

François-Xavier compie gli studi classici presso il Collegio dei Gesuiti a Namur ed in seguito, dal 1834 al 1838, nel famoso collegio Juilly, vicino a Parigi. Iscrittosi nel 1839 all'università di Lovanio, dopo alcuni mesi passa all'Accademia militare di Bruxelles. Destinato alla carriera militare, dietro sua richiesta nel 1844 diventa addetto estero particolare dello Stato Maggiore del generale Thomas Robert Bugeaud, governatore d'Algeria.

Alla fine del 1845 torna in Belgio da tenente; nel dicembre 1847, secondo in comando, si dimette dall'esercito per seguire una vocazione di cui aveva già parlato al famoso conte Charles de Montalembert, diventato suo cognato nel 1836. Il 14 dicembre 1846 in una lettera indirizzata al conte, che egli ammirava moltissimo, de Merode confessa il suo disgusto per il mondo e parla del suo desiderio, segreto ma probabilmente molto sincero:  "Così, ogni giorno mi sento più trascinato verso un pensiero di cui ho parlato con voi tra Gibilterra e Ceuta, se non mi sbaglio. È questo il pensiero del quale mi sarebbe piaciuto parlare con voi, se avessi potuto incontrarvi presto, come avrei voluto. Voi siete riuscito a convincermi ad andare alla guerra in Algeria, invece avreste fatto meglio a mandarmi per la Chiesa e Gesù Cristo".

Nel marzo 1847 de Merode perde la sua seconda moglie, Philippine de Grammont. Nell'inverno dello stesso anno prende una decisione importante, cercando il sostegno e la direzione nel cognato Montalembert, in padre Gerbet e in padre Ventura. Nel mese di ottobre dello stesso anno Francesco Saverio, 27enne, parte per la città eterna:  vi è accolto da monsignor Pieter Aerts, rettore dell'appena eretto Collegio belga, e da padre Janssens, della Compagnia di Gesù. Si iscrive intanto al Collegio Romano, ammirato dai giovani sacerdoti del Collegio belga. Il futuro canonico Dubois di Tournai scrive al suo vescovo, il 26 luglio 1848:  "Monsieur le Comte de Merode ci ha insegnato ad usare il bastone, perché di recente qualcuno ha cercato di inviare un cane alle calcagna, ma la bestia, come Ella sente bene, non si è degnata nemmeno di alzare la testa ed aprire gli occhi".

Dopo l'assassinio del primo ministro Pellegrino Rossi (avvenuto il 16 novembre del 1848), pugnalato sulle scale del Palazzo della Cancelleria, François-Xavier partecipa all'attacco al Quirinale. Il 23 dicembre 1848 - mentre il Papa è in esilio a Gaeta - François-Xavier prende gli ordini minori. Celebra la sua prima Messa a San Pietro il 23 settembre 1849. Il giovane ecclesiastico avrebbe potuto ben presto cominciare la "sua" battaglia per la Chiesa.

Durante l'assedio di Roma del 1849 si distingue per il suo coraggio disinteressato. Dopo che le truppe francesi avevano riportato l'ordine a Roma, de Merode partecipa attivamente al restauro del governo pontificio, iniziando da cappellano militare. Di ritorno da Gaeta Pio IX, nel mese di aprile 1850, lo nomina uno dei suoi camerieri partecipanti. Durante i primi dieci anni della sua carriera nella Curia si distingue sia per la generosità verso i poveri, sia per le doti d'intelligenza pratica nelle opere, alle quali dedica molto del suo tempo libero e gran parte delle proprie risorse.

L'abate de Merode guadagnò rapidamente il favore del Papa per la sua natura perspicace e decisa, la sua pietà, la sua devozione, la sua profonda conoscenza di tutto ciò che riguardava l'alta politica dei Paesi al di là delle Alpi, e la sua esperienza istituzionale, amministrativa e finanziaria. Anche le istituzioni nazionali belghe a Roma non mancavano di chiamarlo in loro aiuto. Il 6 maggio 1851 divenne provvisore della Fondazione Lambert Darchis, dove conobbe il banchiere Terwange e il pittore, più tardi imprenditore, Pietro Monami.

Merode fu risolutamente devoto alla causa del potere temporale del Papa, promuovendo nel contempo l'ammodernamento dell'amministrazione pontificia, cercando così di eliminare una delle obiezioni principali avanzate dai liberali contro la sovranità del Pontefice.

Un tale personaggio non poteva mancare all'appuntamento con la storia. Il 17 aprile 1859 diventa canonico di San Pietro e un anno dopo, nel 1860, Pio IX lo nomina pro-ministro delle armi. "Pro-ministro" invece di "ministro":  è facile concepire quanto fosse delicata la posizione di questo prelato belga presso la Curia, vis-à-vis con gli esponenti politici ed ecclesiastici predominanti nella città papale, in primo luogo il cardinale Antonelli, segretario di Stato, che nutrì non poca invidia per la sua posizione.
Da quella data François-Xavier de Merode comincia ad organizzare, in stretta collaborazione con il generale dell'esercito pontificio La Moricière, la campagna bellica, avviata troppo presto nelle sanguinose campagne di Castelfidardo e Ancona. Dopo il fallimento dei suoi zuavi, perché contrastato dal cardinale Antonelli geloso della sua influenza e della sua attività, a causa di intrighi organizzati contro di lui, ma anche a causa della sua "impertinenza", vale a dire la sua incapacità di adeguarsi alle sottigliezze del gioco politico, il pro-ministro è costretto a dimettersi nel 1865. Accetta però una carica nuova, quella di cappellano papale, e il 22 giugno 1866 il Papa gli conferisce la dignità di arcivescovo titolare di Militene.

Tra il 1865 e il 1870 Xavier de Merode mostra straordinaria attività nel campo della carità, dell'educazione e nella pianificazione urbana. Erede delle idee dei grandi progettisti d'Europa, non solo ha lanciato un programma di rinnovamento e di trasformazione di Roma, ma ne diresse e organizzò egli stesso l'esecuzione. Grazie alla sua iniziativa conosciamo la prima bonifica dei terreni agricoli intorno alla città, ma ancora più incisiva è stata la creazione e l'attuazione della piazza Termini e di piazza Esedra; la progettazione e realizzazione della Via de Merode, in seguito via Nazionale, e di tutto il quartiere intorno, come strada di collegamento della zona di Termini e delle Terme di Diocleziano, fortemente vittima del degrado sociale, con piazza Venezia, il centro di Roma, elevando così i ceti bassi della società fino ad allora rintanati nei loro "settori". Con particolare attenzione si impegna al contempo per rendere più umane le condizioni di vita dei carcerati.

L'avvento di Porta Pia pose fine a questa "impresa de Merode", che qualcuno ha considerato mera speculazione, dimenticando i vantaggi che la città di Roma e la sua gente ne ha ricavati.
L'apertura degli archivi della Congregazione per la Dottrina della Fede, ci ha permesso di scoprire la prova di un altro danno psicologico inflitto all'arcivescovo di Militene. Accusato dal preposito generale della Compagnia di Gesù, il belga Beckx, di non aver accettato la definizione di infallibilità, e dopo che Pio IX ordinò al Sant'Uffizio di esaminare l'affare, monsignor de Merode ne uscì umanamente umiliato e ferito, ma la sua fama non ne subì alcun danno.
 
Tuttavia dopo il 1870, non si è fermata la sua opera caritativa e di acquisizione. Un anno dopo, nel 1874, lo troviamo con un suo amico di vita, Giovanni Battista De Rossi, alla scoperta delle catacombe di Santa Domitilla. Ma forse proprio questa visita alle catacombe ha causato, nel giugno 1874, una polmonite acuta. Recentemente presso il castello di Trélon abbiamo avuto modo di consultare, attraverso la disponibilità della principessa de Merode e della sua famiglia, e l'aiuto della archivista, le ultime lettere scritte dall'arcivescovo. A Roma, intanto, si vociferava che lui fosse un candidato alla porpora cardinalizia per l'imminente concistoro.



Nell'ultima lettera al fratello, datata 5 luglio 1874, de Merode scrive:  "Io continuo a stare meglio (...) non scrivo a te domani, se non vi è nulla di nuovo nella mia condizione". Due giorni dopo, però, la malattia peggiora e il 10 luglio François-Xavier muore.

Pio IX lo va a trovare, mentre lo assiste la sorella Anne, Madame de Montalembert.

"Nessuno lo ha conosciuto meglio di Pio IX e nessuno lo ha forse più amato" disse di lui Veuillot. È vero che l'arcivescovo de Merode poteva contare sul favore del Papa, che era affezionato a questo leale, austero e gioioso prelato belga ed aveva potuto apprezzare la sua dedizione e disinteresse personale.

Il 18 febbraio 1875 Pio IX scrisse a Werner de Merode:  "Ho avuto la Consolazione di veder terminata tutta la gestione di Mons. Fra(ncesco) Saverio instancabile gestore, Che però ha voluto spesso camminare per vie difficili, e non poteva far a meno di inciampare".
Come valutare il silenzio sui rapporti tra questo personaggio e il Risorgimento italiano?

Oltre alle monografie di La Potevin e di monsignor Besson, ci sono gli studi del canonico Aubert e questo è tutto. Ci sono diversi motivi che giustificano questa mancanza di interesse da parte degli storici della Chiesa. La damnatio memoriae è probabilmente causata dagli eventi storici in Italia, ma la ragione ancora più importante è probabilmente la mancanza di materiale d'archivio che ha impedito a storici italiani e colleghi belgi di affrontare con successo uno studio approfondito e una biografia completa di de Merode, e valutare le sue numerose attività.

Abbiamo seguito per anni il compianto John Puraye di Liegi, solerte provvisore della Fondazione Darchis a Roma, nella ricerca delle lettere e dei documenti di François-Xavier de Merode, ma i risultati di questo suo lavoro, purtroppo, non sono mai emersi. Siamo lieti di poter completare il suo testamento spirituale, attraverso la disponibilità di tutti i membri della famiglia de Merode a metter a disposizione queste preziose fonti storiche. Gli archivi del Vaticano sono stati così arricchiti di una vera miniera d'oro per il ricercatore.



(©L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2009)

Caterina63
00venerdì 30 ottobre 2009 18:22
Fede, opere e attenzione ai «marginali»

Il rinascimento voluto
dal cognato di Montalembert


di Roberto Regoli

La Roma papale è conosciuta per la bellezza della città, i suoi musei, gli scavi archeologici, la maestosità architettonica e l'imponenza sacrale delle sue cerimonie. È tappa obbligatoria dei tour neoclassici e romantici. La Roma città, però, è anche altro. È una rete di persone, relazioni e istituzioni. Esiste una Roma meno conosciuta, quella dei bisognosi, dei malati e dei prigionieri. Esiste una Roma rete di istituzioni caritative ed educative. È la città che conobbe e nella quale visse monsignor François-Xavier de Merode.

Nella Roma del periodo si ha un incremento costante della popolazione, al cui interno il clero costituisce mediamente il 3,5 per cento della popolazione, con tendenza a salire da metà secolo al 1870, anche per l'afflusso di religiosi provenienti dagli Stati gradualmente annessi al Regno d'Italia.

La significativa presenza del clero rende unica al mondo la città, arricchita ulteriormente da una rilevante presenza religiosa femminile. È una città in crescita tanto demografica, quanto urbanistica. Ciò è dovuto soprattutto all'afflusso dalle campagne romane. La plebe costituisce circa il 90 per cento della popolazione, essendo poco incisiva la presenza del ceto medio e numericamente poco significativa l'aristocrazia. Le autorità governative si sforzano per garantire l'alimentazione di una città sovraffollata e improduttiva. Seguendo le descrizioni dei forestieri, che facevano confronti con le loro città, il costo della vita a Roma è ritenuto basso. Tra gli stranieri, risulta significativa la presenza di francesi ed inglesi. Questi ultimi formano una specie di colonia, nella quale alcuni di loro si imparentano con la nobiltà romana. In un contesto più ampio, bisogna ricordare il costante accorrere delle folle alle grandi celebrazioni papali:  si va a Roma non soltanto per visitare le tombe dei martiri, ma per incontrare il Papa Pio IX. La città continua ad essere meta di pellegrinaggi. La rete romana di locande, osterie e alberghi non può che beneficiarne.

A livello abitativo, qualcosa comincia a muoversi nella Roma dell'ultimo Pio IX, nel quadro di un lento processo di trasformazione cittadina, per cui si abbattono e si ricostruiscono case, sempre più alte, con nuove tipologie di appartamenti e servizi, nuovi materiali e nuove apparenze esterne. Di nuovo c'è la stazione ferroviaria di Termini (1863) e l'inizio di un quartiere nei suoi pressi (piazza dell'Esedra). Permangono comunque i gravi problemi della carenza di abitazioni (diffuso il fenomeno del subaffitto).

La città si modernizza. Nel 1854 si fa gran festa per l'illuminazione a gas della "Strada papale" (piazza Venezia e del Gesù, del Corso). Negli anni Sessanta, si studiano nuovi sistemi di trasporto urbano:  appaiono i primi servizi con i cavalli. Roma offre spazio sicuro all'impiego statale, alla clientela professionale e, in misura variabile, all'artigianato e al commercio. Durante il pontificato di Pio IX, si realizzano alcune opere, quali il tabacchificio di piazza Mastai, l'espansione urbanistica a ridosso di Termini, i restauri di molte chiese, le case popolari nei quartieri più degradati, l'apertura effettiva del cimitero del Verano e l'inaugurazione della ferrovia Roma-Frascati.

Il governo promuove l'attività industriale, che va dall'arte del doratore alle fabbriche di argille e mattoni (1864). Nello stesso periodo si avvia un graduale processo di imborghesimento della città, che costituirà uno dei caratteri peculiari dell'ultimo decennio di governo dei papi.

A livello di occupazione lavorativa, possono essere forniti dei dati significativi. Nel 1798-1799 più di 70.000 abitanti (46,6 per cento) sono bisognosi di aiuto, nel periodo 1809-1814 se ne hanno 30.000 (22 per cento della popolazione), mentre appena dopo il 1870 si hanno ben 112.000 romani (cioè metà della popolazione) che dichiarano alle sbigottite autorità italiane di non avere alcuna occupazione e risorsa. Gli storici, però, ritengono che in realtà solo un terzo della popolazione abbisognasse di lavoro o pane. Da secoli Roma era rifugio di vagabondi, oziosi, miserabili ed accattoni. A quest'ultimo degrado umano, si può associare quello urbano. Colpiscono, infatti, le condizioni di sporcizia in cui sono lasciate strade e piazze, con noncuranza delle norme igieniche.
Per andare incontro alle esigenze dei poveri e non semplicemente degli accattoni, lo Stato interviene costantemente. Si cerca di creare lavoro tramite il collaudato sistema pontificio dei lavori pubblici, soprattutto a partire dall'inizio del pontificato di Pio IX (1846).

Non solo lo Stato interviene, ma anche i privati:  individui, famiglie, congregazioni religiose, confraternite, istituti pii e corporazioni. Il peso principale, però, viene sostenuto dalla finanza e dall'organizzazione dello Stato. La stessa cassa privata del Pontefice interviene in elargizioni ufficiali. Particolarmente l'Elemosineria Apostolica, ufficio alla cui testa venne posto monsignor de Merode, distribuisce soccorsi di vario genere alle famiglie povere.

Esemplificando, nel 1842, operano 65 istituzioni, di cui alcune erano a carico di privati (le famiglie Torlonia, Doria, Odescalchi), riuscendo ad assistere 27.193 persone. Le vicende politiche dell'Ottocento portarono a un eccezionale aumento dell'esercito pontificio, perciò vengono aperti due ospedali per militari malati:  uno nel 1841 e uno nel 1867, l'anno di Mentana, per i soldati pontifici, francesi e anche garibaldini. Per quest'ultimo ospedale si deve molto a de Merode, che, in più, volle completare il suo istituto stabilendo a Borgo Santo Spirito una scuola per le figlie dei militari. Nel 1860 viene istituito il primo gerontocomio di Roma, nel 1869 l'ultimo ospedale della Roma papale, quello del Bambin Gesù, primo ospedale pediatrico di Roma, e vengono creati nuovi istituti specializzati. Tra il 1862 ed il 1870 circa il 4,6 per cento della popolazione è ricoverata annualmente presso gli istituti di carità.

Per quanto riguarda le malattie, la malaria è al primo posto, seguono le malattie respiratorie (come la tubercolosi), intestinali e della circolazione. È anche diffusa la sifilide. Il colera colpisce nel 1854-1855 e nel 1867-1868, il vaiolo gravemente nel 1866. Dinanzi alle epidemie coleriche, Pio IX erige lazzaretti ed elargisce soccorsi e sussidi.

Durante l'epidemia del 1854 de Merode si contraddistinse per lo zelo caritatevole. Ogni giorno, dopo aver prestato il suo servizio presso Pio IX, andava a visitare gli ospedali, sostando presso ogni letto, incoraggiando gli ammalati e distribuendo aiuti. Riuscì persino a persuadere il Papa ad andare a visitare lui stesso l'ambulatorio di sant'Andrea, destinato alla cura dei soldati. La visita fece molto scalpore a Roma e contrariò il cardinale Antonelli.

A proposito delle opere assistenziali, ne esistono alcune specializzate, come quelle per le "traviate", tese alla riabilitazione morale e alla rieducazione delle povere peccatrici. In questo ambito, un ricovero per condannate e anche per mendicanti fu aperto nel 1868 da de Merode nella villa Altieri.

Attento a ogni forma di marginalizzazione sociale, si occupa anche della riforma delle prigioni, in un contesto delicato, in quanto, a metà Ottocento, gli omicidi a Roma sono più frequenti che in altre grandi città dell'epoca. Ciononostante, decide di affidare agli ordini religiosi la conduzione dei prigionieri.

De Merode è assai operativo nella carità pratica. In ciò deve essere stato aiutato dall'educazione familiare. Dalle testimonianze di Montalembert, cognato del giovane monsignore, sappiamo che i nonni di François-Xavier "sono consacrati al sollievo e all'educazione dei poveri dei dintorni" del loro castello, così anche la madre è dedita alla beneficenza. Al castello di Villersexel, residenza della famiglia de Merode "tutto è per i poveri" scrive Montalembert.

Nella città eterna del XIX secolo non mancano gli istituti per l'educazione della gioventù. Esistono numerose scuole elementari, diversi collegi e due università. Gli strumenti per la formazione culturale non sono pochi. Si può riconoscere a Roma un ambiente culturalmente significativo, soprattutto nel campo dell'arte, dell'archeologia, per la presenza di importanti ed uniche biblioteche.

Estendendo lo sguardo all'intero Stato pontificio e considerandone il livello di istruzione, la valutazione è piuttosto positiva. Fra gli Stati italiani pre-unitari, quello pontificio è tra quelli che più rapidamente recuperano ampie fasce di ignoranza:  nel 1858 il tasso di scolarità generale è del 27 per cento, mentre nel 1870 il tasso di analfabetismo della sola provincia romana è del 60 per cento, inferiore a quello di Sicilia, Sardegna, Campania e Toscana, che già da almeno un decennio erano parte del Regno d'Italia.
Nel 1870, gli studenti assistiti dal clero sono più di 19.000 (l'8,5 per cento della popolazione), dei quali solo il 23,5 per cento paga per l'insegnamento ricevuto. A questo livello riforma l'Istituto delle "Zoccolette", come anche altri istituti destinati all'infanzia (per esempio, la scuola di San Luigi Gonzaga).

De Merode è un uomo che ha inciso nella vita cittadina del suo tempo, intento a innovare prigioni, scuole, ospedali e istituti caritativi; in questo è un rappresentante tipico della sua epoca. Ma siamo già al 1870.

La Roma papale tramonta, mentre sorge la capitale del Regno d'Italia. Il nuovo governo cittadino, anche dopo la morte del prelato (1874), accoglierà e realizzerà i suoi progetti urbanistici.



(©L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2009)

Caterina63
00sabato 6 febbraio 2010 19:37
Dalle carte Soderini-Clementi dell'Archivio Segreto Vaticano
riemerge un'opera inedita su Pio IX e il Risorgimento italiano

Papato e modernità
al trapasso del potere temporale


Nel volume Dall'Archivio Segreto Vaticano. Miscellanea di testi, saggi e inventari, iv (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2009, pp. 279-434, Collectanea Archivi Vaticani 70) è contenuto il saggio La mancata pubblicazione dell'opera "Pio IX e il Risorgimento italiano" di Giuseppe Clementi ed Edoardo Soderini. L'autore, vescovo prefetto dell'Archivio Vaticano, ne ha sintetizzato i contenuti per il nostro giornale.

di Sergio Pagano

Nel 1956 venivano depositate presso l'Archivio Segreto Vaticano le 98 buste - più 14 scatole contenenti un prezioso schedario onomastico - dell'attuale fondo Carte Soderini-Clementi, relative, per lo più, al materiale preparatorio all'opera Pio IX e il Risorgimento italiano, curata dal conte Edoardo Soderini e da don Giuseppe Clementi, rimasta a tutt'oggi inedita. Soltanto pochi fascicoli delle Carte riguardano bozze e minute di un lavoro del conte Soderini su Leone XIII, opera che, rimasta anch'essa incompleta, aveva parzialmente visto la luce nel 1932-1933 per i tipi della casa editrice milanese Mondadori, con il titolo Il Pontificato di Leone XIII. Altra documentazione riguarda il contenzioso che avrebbe contrapposto in maniera irreparabile Soderini a Clementi. Queste carte - per lo più memorie e allegazioni giuridiche prodotte dalle parti nel processo civile istruito per l'attribuzione della paternità delle opere - costituiscono una fonte primaria per ricostruire la tribolata collaborazione tra i due autori.

Edoardo Soderini (1853-1934), romano, rampollo di una famiglia esponente della nobiltà "nera", dopo aver iniziato la carriera sotto Pio IX (nel 1890 fu prefetto delle date della Dataria Apostolica), fu fra gli aristocratici più vicini a Leone XIII, anche per l'amicizia che legava i Soderini ai Pecci di Carpineto Romano, congiunti del pontefice. Cattolico impegnato, nel 1885 fu chiamato dal cardinale Domenico Jacobini a far parte dell'Unione per gli Studi Sociali. Dopo la Rerum novarum - alla stesura della quale si vuole abbia avuto una qualche parte - ebbe un ruolo di primo piano nell'Opera dei Congressi accanto a Giuseppe Toniolo, sostenendo in più occasioni la "controrivoluzione intellettuale" dei cattolici nei riguardi dei liberali anticlericali.

Giuseppe Clementi (1865-1944), nato a Osimo (Ancona), fu ordinato sacerdote nel 1889. Insegnante nei licei romani, non trascurava i suoi interessi storiografici né un certo impegno "politico". Nella capitale si legò agli ambienti cattolici modernisti, dando vita, nel 1902, assieme a Giovanni Semeria e a Giovanni Genocchi e Giuseppe Valdambrini, missionari del Sacro Cuore, alla Pia Società di San Girolamo per la diffusione dei Vangeli, dalla quale fu costretto ad allontanarsi a causa della sua amicizia con don Romolo Murri, non gradita in Curia.

Soderini e Clementi iniziarono la loro faticosa collaborazione nel 1900. Il conte chiese infatti a don Clementi di aiutarlo per il completamento del suo Leone XIII, lavoro che - nonostante gli speciali privilegi goduti da Soderini nell'accesso agli Archivi Vaticani, ottenuti grazie alla sua amicizia con il pontefice - subì dei ritardi per il convincimento di Clementi di dover far precedere a quell'opera un lavoro sul pontificato di Pio IX - ultimo vero "sovrano pontefice" - che spiegasse "in quali condizioni Leone XIII, divenendo Papa, avesse trovato i rapporti tra la Chiesa e lo Stato in Italia". Il lavoro sul Pio IX non avrebbe però mai visto la luce per una serie di complicazioni e per i dissapori sorti tra i due autori:  da una parte Soderini, impaziente di dare alle stampe le sue fatiche; dall'altra Clementi che, oltre al suo rigore storiografico, fonte di continui ripensamenti e approfondimenti, rivendicava a sé la paternità non solo del Pio IX, al quale aveva lavorato quasi esclusivamente, ma anche di talune parti dell'opera su Leone XIII.

Si aggiungevano al personale dissidio tra i due i timori non troppo velati della Curia Romana che paventava le eventuali ripercussioni negative derivanti alla diplomazia vaticana e a uomini di curia da un'opera "contemporanea"; per il tramite della Segreteria di Stato, dunque, Pio X e i suoi successori, diffidarono a più riprese il conte Soderini, lasciato troppo libero sotto Leone XIII di utilizzare documenti ancora chiusi alla consultazione e che, con una prassi quanto mai singolare, il conte poteva addirittura portare a casa propria.

Le successive iniziative del Soderini, che unilateralmente, sin dal 1921, prese a trattare con la casa editrice Zanichelli per la pubblicazione del primo volume del Pio IX, suscitarono il risentimento di Clementi, che il conte voleva tener buono con un irrisorio compenso economico, misconoscendo il suo fondamentale apporto alla stesura dell'opera. Del resto, lo status clericale, non solo esponeva il sacerdote a eventuali richiami o censure ecclesiastiche, ma impediva, di fatto, la presenza del suo nome nel frontespizio dell'opera, soggetto com'era all'imprimatur ecclesiastico, che egli, per maggiore obiettività storica, non avrebbe voluto. Troppo poco durarono i successivi accomodamenti a cui i due autori giunsero ricorrendo alle vie legali. La successiva causa, iniziata nel 1927 e giunta a sentenza in Cassazione tre anni più tardi, condannava don Giuseppe Clementi al risarcimento dei danni derivati dalla mancata pubblicazione del Leone XIII; la Corte tuttavia non entrava nel merito della questione legata al Pio IX.

Nel 1932, dopo la pubblicazione del terzo volume del Leone XIII, dedicato ai rapporti della Santa Sede con la Germania, l'uscita del tomo successivo - relativo al Belgio - suscitò la preoccupazione della Curia, avvertita da alcuni storici cattolici belgi del rischio di trattare l'annosa "questione scolastica", tanto cara ai fiamminghi. Nel 1933 l'allora segretario di Stato Eugenio Pacelli, vivente ancora Soderini, fece intervenire l'erudito gesuita Pietro Tacchi Venturi presso il conte, e quest'ultimo si disse disposto a far rivedere in Segreteria di Stato le bozze del suo imminente volume. Ma tanti timori non avevano fondamento, essendo il lavoro "una fedele rievocazione storica a base di documenti, in armonia all'indole e alle finalità di tutta la pubblicazione".
 
La morte del Soderini (1934) e la malattia ultima di Clementi (deceduto nel 1944) fecero sì che tutto l'enorme materiale dattiloscritto di quella vasta, benemerita quanto sfortunata opera qual era appunto il Pio IX, rimanesse nelle mani della vedova del conte, Marianna Frankenstein, e della professoressa Fernanda Gentili, collaboratrice per lunghi anni di don Clementi.

Nell'ottobre del 1945 la vedova Soderini e la dottoressa Gentili pregarono la Santa Sede di avallare la pubblicazione della grande opera su Papa Mastai, addossandosi, per parte loro, le spese necessarie alla stampa degli otto volumi previsti. Marianna Frankenstein-Soderini non taceva però all'intermediario vaticano, il padre Mariano Cordovani, i difetti dei dattiloscritti:  "l'opera è stata aggiornata l'ultima volta circa 25 anni fa; sta in gran disordine, ma la prof.ssa Gentili si sente sicura di poterla ordinare e far dattilografare in perfetto ordine". Il cardinale Giovanni Mercati, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, richiesto dal Papa di un parere, dopo aver analizzato per circa un anno i dattiloscritti, reputò non valesse la pena di sobbarcarsene la pubblicazione. Più tardi, fra il 1947 e il 1951, la Segreteria di Stato, pur di evitare la pubblicazione integrale di uno studio su cui gravavano molte incognite, manteneva aperta la trattativa con le due donne al fine di acquistare tutti i manoscritti, sia per l'opera ancora inedita su Leone XIII che per quella del tutto sconosciuta su Pio IX; a tal fine l'allora sostituto monsignor Giovanni Battista Montini richiese perizie al gesuita Pietro Pirri - che però non poté occuparsi della cosa perché troppo impegnato nei suoi studi - e a Paolo Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, del Pontificio Museo Lateranense, entrambi noti studiosi di Pio IX e del Risorgimento italiano.

Fu solo nel dicembre del 1955 che, dietro congruo compenso, la Santa Sede acquisì da Fernanda Gentili e Brianna Carafa d'Andria - erede della contessa Frankenstein-Soderini, nel frattempo deceduta - le Carte Soderini-Clementi. Tutta la pratica fu condotta dal padre Anselmo Albareda allora prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana e futuro cardinale. Il prelato, prima dell'acquisto, espresse un giudizio positivo sul valore "editoriale" e intrinseco dell'opera:  "si può dire che per la Santa Sede il materiale Clementi-Soderini-Gentili riveste un valore negativo e uno positivo. Dato il criterio con cui l'opera è stata elaborata e la grande quantità di documenti della Segreteria di Stato ancora riservati negli originali, sarebbe un bene che la Segreteria di Stato entrasse in possesso di "tutto" questo materiale, comprese le diverse stesure e le copie relative. In sé stesso è un materiale di nessun valore; tuttavia conviene sottrarlo a eventuali speculazioni (...) Il valore positivo per la Santa Sede è costituito dalle 10.300 pagine dattiloscritte, che sono il frutto dell'enorme lavoro di ricerca, redazione e revisione compiuto specialmente dal Clementi, ma anche dal Soderini e dalla Gentili.

Quest'opera, pur incompiuta e non scevra da gravi difetti, è veramente una ricchissima miniera per la conoscenza della storia moderna della Chiesa e dell'Italia. Gli schedari, onomastico e bibliografico, che constano di oltre 30.000 schede, e le copie di numerosi documenti sia dell'Archivio della Segreteria di Stato, sia di archivi particolari, possono essere pure annoverati tra gli elementi di valore positivo per la Santa Sede".

Al momento del trasporto del materiale in Vaticano, i quattro volumi del Soderini relativi al Leone XIII furono depositati nell'archivio della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari e di qui, nel tempo, vennero in Archivio Vaticano; il resto del materiale relativo all'opera Pio IX e il Risorgimento italiano fu subito sistemato nei locali del medesimo Archivio Segreto Vaticano.
 
Da un appunto stilato all'atto di ricevere in Archivio le Carte Soderini-Clementi risulta che dalla casa della prof.ssa Fernanda Gentili provenivano 13 buste "contenenti il materiale preparatorio e la stesura di diversi capitoli dell'opera; lavoro dovuto in grandissima parte al Clementi"; 7 buste "contenenti appunti, riassunti e trascrizioni di documenti"; un grosso pacco di documenti tratti dai fondi o riguardanti "Roncalli, Coppi, Valle, Tizzani, Manabrea, Antonelli, Berardi, Antonelli"; piccoli pacchi "contenenti punti particolari della vita di Pio IX, agenda perpetua, itinerario e attività del Mastai"; "grosso pacco contenente:  effemeridi dal 1813 al 1831, documenti relativi all'episcopato di Mons. Mastai a Spoleto 1827-33, materiali raccolti dal Conte Soderini relativi alla sua vertenza con il Clementi"; un pacco contenente "serie dei Delegati Apostolici 1801-1870, serie degli Ambasciatori 1801-1870, elenco dei soprannomi e pseudonimi della Carboneria"; 97 cartelle "contenenti la stesura di altrettanti capitoli dell'opera, riveduti dalla Prof.ssa Gentili, in totale 10.300 pagine dattiloscritte"; "manoscritto autografo corrispondente al numero precedente"; "schedario onomastico contenuto in 14 scatole e formato da circa 30.000 schede"; "schedario bibliografico contenuto in 3 scatole e in qualche piccolo pacco, in totale oltre 2.000 schede".

Dalla casa degli eredi Soderini provenivano 67 cartelle "contenenti copie di documenti dal 1844 al 1878, divisi per anni (l'anno 1848 per mesi); "copia in parte dattilografata e in parte manoscritta della stesura dell'opera, riveduta dal Conte Soderini".

Considerato nel suo insieme, questo lavoro consta di 103 capitoli, per un totale di circa 8850 pagine dattiloscritte, e avrebbe dovuto venir stampato in dieci volumi. La divisione dell'opera compiuta dalla Gentili in questi corposi volumi consentiva di ridurre le gravose spese di stampa. La vastissima opera, intessuta di corpose note e di documenti vaticani e d'altra natura - anche rari a trovarsi oggi negli originali - prende avvio dall'"alba del pontificato" di Papa Mastai Ferretti nel 1846 (capitolo i) e giunge fino alla morte del Papa nel 1878 (capitolo ciii).

L'opera avrebbe dovuto essere ambientata nel clima del declinante potere politico del papato romano con un volume prodromo, anch'esso scritto da Clementi e composto di 22 capitoli; il titolo era già pronto:  I primordi della crisi del potere temporale (anni 1798-1846). Assai preziosi sono questi capitoli, che si conservano fra le Carte Soderini-Clementi, perché testimoniano la particolare visione storiografica di Clementi sul potere temporale dei Papi.

Non meno preziose dei dattiloscritti del Pio IX sono le circa 30.000 schede - già segnalate, come abbiamo visto, dal cardinale Mercati - che, con infinita pazienza Clementi - assieme ai suoi collaboratori - aveva redatto e aggiornato man mano che procedeva nel suo lavoro. Il sacerdote osimano don Carlo Grillantini, quando visitava il suo concittadino nella sua casa romana, aveva modo di vedere "lunghissimi schedari pieni colmi di schede tutte di uguale dimensioni, di colori diversi, e tutte a loro volta ricche di particolari riferentesi anche agli apparentemente più insignificanti episodi, ma che il diligente raccoglitore conservava al fine di illustrare, a un certo momento, caratteri e stati d'animo di personaggi meno noti o meno studiati fino ad allora". Infatti le schede si riferiscono con precisione a tutti i personaggi nominati nel Pio IX:  ogni personaggio è brevemente identificato - nome, cognome, eventuali sue funzioni, sporadicamente data di nascita o di morte - quindi vengono compiuti i riferimenti al testo con brevi ma utilissime annotazioni dell'oggetto; in moltissimi casi è dato il curriculum vitae del personaggio secondo cadenze annuali e in questo caso, quando vi siano riferimenti, questi sono relativi a manoscritti o ad opere edite. Questo prezioso schedario onomastico, che potrebbe quasi costituire uno strumento a sé per la ricerca sul Risorgimento italiano e su Pio IX, fu ceduto anch'esso dall'erede di don Clementi alla Santa Sede con le altre carte.

Fino agli anni 1970-1980 le Carte Soderini-Clementi, così come lo schedario, restarono intatte nei loro pacchi sistemati ai "soffittorni" dell'Archivio Vaticano; successivamente, nel tentativo di renderle fruibili ai ricercatori, si provvide a condizionare i vari capitoli dell'ultima stesura dell'opera già ordinati dalla professoressa Gentili, mentre il resto del fondo fu lasciato nei pacchi approntati all'atto del versamento. Dell'intero fondo è stato da me redatto un inventario in parte analitico, avvertendo che il materiale dattiloscritto del Pio IX si presenta ancora, per sua intrinseca natura, nello stato di confusione in cui lo lasciarono don Clementi e Soderini. Si apre così ai ricercatori, l'accesso a una storia documentatissima quanto sconosciuta sul Risorgimento italiano.



(©L'Osservatore Romano - 7 febbraio 2010)

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