L'inno di Ambrogio per san Giovanni apostolo

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Caterina63
00sabato 27 dicembre 2008 18:34
L'inno di Ambrogio per san Giovanni apostolo

Lanciato l'amo nell'acqua profonda
pescò il Verbo di Dio



di Inos mons. Biffi

"San Giovanni, quale amico cercato ed eletto da Cristo, per così dire con più sonora tromba rivelò gli eterni misteri. Tutto ciò che ha detto è mistero" (De sacramentis iii, 2, 11); "egli più pienamente penetrò i divini misteri" (Expositio evangelii secundum Lucam, x):  così sant'Ambrogio scriveva del quarto evangelista.

Non sorprende allora che egli lo abbia celebrato in un inno affettuoso, in cui nuovamente propone e canta il mistero della divinità di Gesù Cristo, che contro l'eresia ariana gli stava sempre sommamente a cuore, e che Giovanni nel suo prologo aveva luminosamente insegnato e illustrato.
Anche in quest'inno in onore di un santo "romano", ma certamente celebrato nella liturgia di Milano, il vescovo fonde, a edificazione della fede della sua Chiesa, la precisione del dogma cristologico e l'ispirazione dei suoi versi, mentre il ricorrere del tema degli "arcani di Dio (arcana Dei)", e del "petto di Cristo (Christi pectus)", su cui Giovanni si è piegato, rivela l'inclinazione "mistica" che percorre un po' tutti gli scritti di sant'Ambrogio:  in questa inclinazione si risolvono alla fine la vivace e delicata sensibilità ambrosiana per le immagini e l'attrattiva per il mondo esteriore che le provvede, e sarebbe esatto parlare di teologia contemplativa di Ambrogio.

L'inno - dottrinalmente rigoroso, pur non trattenendosi dall'indulgere "anche al pittoresco e a una certa levità di tono" (Giacomo Biffi) - trova certamente la sua ragione nel dies natalis dell'apostolo - il 27 dicembre, sexto kalendas ianuarias -.

Egli è il discepolo prediletto del Signore - e la prima ragione della sua nobiltà - e il "figlio del tuono", colui che ha penetrato e rivelato la vita divina più intima e segreta:  "Giovanni, figlio del tuono, / celebre per l'amore di Cristo, / con ispirata parola / svelò gli arcani di Dio".
Galla Placidia, la figlia di Teodosio, già partecipe della vita liturgica di Milano, non dimenticò i primi due versi di quest'inno - Amore Christi nobilis / et filius tonitrui - e li farà incidere nell'abside della chiesa dedicata a san Giovanni a Ravenna, per essere scampata a una tempesta nell'Adriatico.

Con un procedimento che unisce "semplicità e sottigliezza" (Jacques Fontaine), i versi proseguono a descrivere l'attività di Giovanni pescatore:  coi pesci pigliati procurava da vivere al vecchio padre e, pur fluttuando sulle onde, si mantenne fermo e immobile nella fede:  "Pescatore, con la sua preda / la vecchiaia del padre sostentava:  / lui, che ondeggiava sul mare agitato, / fu saldo poi nella fede".
La saldezza nella fede e il Verbo di Dio sono i motivi che percorrono un po' tutto l'inno, che, non senza "arditi accostamenti" (G. Biffi), prosegue:  "Lanciato l'amo nell'acqua profonda, / pescò il Verbo di Dio:  / nei flutti gettando la rete, / ne trasse la Vita di tutti".

Il pesce pescato è, dunque, l'Ichthus - acrostico di "Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore" - e quindi è la fede nicena nella divinità di Gesù.
"Ambrogio ha associato in maniera personale l'immaginario simbolico del pescatore e del pesce a una nuova affermazione dottrinale, implicitamente antiariana, della piena divinità del Verbo incarnato" (Jacques Fontaine). "Sant'Ambrogio, secondo il suo stile, ama ripetere se stesso" (Luigi Biraghi), e, infatti, gli stessi motivi ritornano in prosa:  "Il pescatore, mentre cerca nel mare il proprio guadagno, trova la vita di tutti. Ha abbandonato una barchetta, ha trovato il Verbo; ha sciolto le vele, ha stretto la fede. Questo pescatore, mentre lui stesso è sballottato dal mare agitato, ha fissato sui fondamenti di pietra le menti che vacillavano in una posizione malferma" (De virginitate, 20, 132).
 
In tal modo, la pesca sul lago appare più una metafora o un simbolo:  di là dal gesto e dal suo frutto visibile, in realtà la rete cattura il "Verbo di Dio" e la "Vita di tutti", proclamati dall'evangelista nel Prologo:  "Pesce buono è la fede devota, / che sovrasta i marosi del mondo / e, riposando sul petto di Cristo, / nello Spirito Santo proclama:  / In principio era il Verbo / e il Verbo era presso Dio, / e il Verbo era Dio, / che in principio era presso Dio / e tutto fu per mezzo suo creato". In questi brevi versetti - a giudizio di Ambrogio - "il nostro pescatore ha rigettato tutte le eresie" (De fide, 1, 8)

"Il prologo del quarto vangelo, nel suo splendido inizio - commenta Giacomo Biffi - è, con qualche acrobazia metrica, incastonato nella composizione, a richiamare la contemplazione giovannea del mistero divino come ragione determinante della grandezza dell'Apostolo":  "Da sé si lodi Giovanni e si esalti; / e, dallo Spirito cinto di alloro, / degli stessi suoi scritti si coroni".

Gli ultimi accenti sono un richiamo al martirio incompiuto dell'apostolo, che pure "fu legato / dagli empi e messo nell'olio bollente:  / così deterse del mondo la polvere / e vinse impavido l'invidioso", o il demonio, roso dall'invidia.
Nel Commento al salmo 118 (ii, 8) Ambrogio mette in bocca all'anima dell'evangelista queste parole:  "Sono bella per l'olio spirituale con cui mi sono detersa la polvere e la sporcizia di questa terra".

Ma, se la consumazione del martirio è mancata, la sua gloria oltrepassa quella dei martiri. Proclamando Gesù come Verbo di Dio, egli ha infuso il vigore e il coraggio nei martiri:  "Comune a molti è lo strazio / e il sangue sparso che il peccato lava; / sopra la morte dei martiri eccelle / chi ha suscitato i martiri".

Ed è come dire che l'origine e la resistenza del martire è Gesù stesso, perché è Figlio di Dio. Per quanto sia nobile, un Cristo ariano è sempre una creatura, che non meriterebbe una testimonianza fino all'effusione del sangue.

Ambrogio comprende che una Chiesa, in cui la professione della divinità di Gesù Cristo sia annebbiata o estinta, fatalmente è destinata a svanire.
Per questo, avendo ereditato dopo Aussenzio una comunità segnata dall'eresia di Ario, tutta la sua opera pastorale fu tesa a fare nuovamente risplendere il volto divino di Gesù, con il quale la familiarità di Ambrogio fu intensa e tenerissima.

Egli pose al servizio di Cristo non solo tutta la soavità della sua parola, che incantava il gusto raffinato di un retore come Agostino - "La soavità della sua parola, scriveva nelle Confessiones, mi incantava" (v, 13, 23)" -, ma anche tutta la sua felice vena poetica e musicale, perché il suo popolo imparasse e gustasse la fede.



(©L'Osservatore Romano - 27-28 dicembre 2008)
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