LA CHIESA E' IL CORPO DI CRISTO

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Caterina63
00martedì 23 dicembre 2008 22:47


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Caterina63
00domenica 24 gennaio 2010 21:35
[SM=g1740733] Angelus di Benedetto XVI 24.1.2010

Cari fratelli e sorelle!

Tra le letture bibliche dell’odierna liturgia vi è il celebre testo della Prima Lettera ai Corinzi in cui san Paolo paragona la Chiesa al corpo umano.

Così scrive l’Apostolo: "Come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito" (1 Cor 12,12-13).

La Chiesa è concepita come il corpo, di cui Cristo è il capo, e forma con Lui un tutt’uno. Tuttavia ciò che all’Apostolo preme comunicare è l’idea dell’unità nella molteplicità dei carismi, che sono i doni dello Spirito Santo. Grazie ad essi, la Chiesa si presenta come un organismo ricco e vitale, non uniforme, frutto dell’unico Spirito che conduce tutti ad unità profonda, assumendo le diversità senza abolirle e realizzando un insieme armonioso.

Essa prolunga nella storia la presenza del Signore risorto, in particolare mediante i Sacramenti, la Parola di Dio, i carismi e i ministeri distribuiti nella comunità. Perciò, è proprio in Cristo e nello Spirito che la Chiesa è una e santa, cioè un’intima comunione che trascende le capacità umane e le sostiene.


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Caterina63
00giovedì 22 aprile 2010 18:52
[SM=g1740717] STUPENDO!!!
fate conoscere....

Domenica Giornata Mondiale per le Vocazioni e un video indovinato... [SM=g1740738]


Un passeggino

Un transformer

Vorrei un cellulare

Per chiamare le mie amiche

Un cavallo

Dei gioielli e una cucina giocattolo

Una vera pistola a piombini

Dei pattini

Un cassetta degli attrezzi per lavorare insieme a papà

Una chitarra

Una piscina

Vorrei un mucchio di caramelle

Dei coccodrilli

E io vorrei più preti

È super-importante!

Ci sono un sacco di ragazzi che vogliono diventare preti

Vanno alla scuola per preti

Seminarista

Sarebbe un regalo fantastico da fare ai preti

Se volessi diventare sacerdote mi piacerebbe tanto essere aiutato

Ecco!

Buona festa per i preti!

95 seminaristi della Comunità dell'Emmanuele si preparano a diventare sacerdoti.

Sono i nostri sacerdoti di domani.

Sosteniamoli


accueil.emmanuel.info/




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it.gloria.tv/?media=69486


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Caterina63
00mercoledì 4 aprile 2012 20:51
Perché credo nella Chiesa del Cristo

di Girolamo Grillo
03-04-2012


Proseguiamo con le riflessioni tratte dall'ultimo libro di mons. Girolamo Grillo
"Perchè credo. I miei interrogativi sulla fede" (Marietti, pp. 300 euro 28), con prefazione di mons. Luigi Negri.

Perché nel Credo o Simbolo Apostolico si usa l’espressione «Credo la Chiesa» e non nella Chiesa? La domanda non è superflua, ma di grande importanza. Si deve partire, infatti, da una esatta concezione della Chiesa per capirne il significato. La Chiesa, in realtà, in una chiara concezione teologica è anzitutto la sposa di Cristo, che Egli, morendo sulla croce, dalla quale è nata, ha lavato con il suo sangue, al fine di poterla amare con una infinita tenerezza nuziale. Ecco perché essa diventa subito il suo corpo mistico, attraverso il quale tutti gli uomini possono attingere alla sua vita e quindi raggiungere la salvezza. In secondo luogo la Chiesa è quel popolo di sacerdoti, re e profeti, di cui si diventa parte con il battesimo e di cui si diviene annunciatori e messaggeri nel mondo.

Evidentemente la Chiesa è nata da una volontà esplicita di Gesù, la qual cosa ci consente di poterla amare, prima ancora e al di là delle strutture e delle istituzioni gerarchiche, anche se queste ultime, come vedremo, sono state volute dallo stesso Gesù. La Chiesa realizza, inoltre, il mistero trinitario, nel senso che le tre Persone divine concretizzano magnificamente anche il sogno di ogni comunità umana, familiare o politica, che è quello di costituire un’unità, pur restando molti: l’unità nella diversità. È con grande stupore che, guardando così la Chiesa, si può vedere in essa un’unica comunità, nella quale sono salvaguardate le personalità dei singoli e l’unità di tutti. La Chiesa, in altri termini, è l’immagine della santissima Trinità.

Ecco perché Gesù
, nella preghiera dell’ultima Cena, rivolgendosi al Padre, eleva un’invocazione angosciante: «Che siano tutti una cosa sola, come Tu e io siamo una cosa sola» oppure «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 27,21). Ed ecco perché ogni cristiano autentico, quando pronuncia le parole «credo la Chiesa», deve sentirsi inondato da una forza misteriosa, cioè dal mistero della santissima Trinità, che è un oceano d’amore. Vivere la Chiesa è come vivere in seno al mistero trinitario, mistero che illumina l’intera condizione umana. Come ciascuna delle tre Persone divine trova la sua pienezza nelle altre, così anche noi credendo la Chiesa e vivendo la Chiesa siamo immersi in un grande abisso d’amore, che ci libera da ogni tristezza e ci assicura la vera gioia.

Abbiamo ritenuto opportuno
insistere su questa premessa proprio per fare notare quanto sia inesatta l’espressione udita spesso sulla bocca di molti nostri contemporanei: «Credo in Cristo, ma non nella Chiesa». Di certo, la cosa non può che rattristarci, se l’espressione, più che alla Chiesa, dovesse riferirsi ad uomini di chiesa che non sempre si comportano dignitosamente. Gli scandali e i tradimenti nella Chiesa, purtroppo, ci sono sempre stati, fin dall’epoca Apostolica. Ma se la Chiesa, nonostante tali scandali, come una barca, è rimasta sempre a galla, ciò sta a dimostrare chiaramente che essa è veramente di origine divina. La Chiesa, infatti, è nata da una volontà esplicita di Gesù. Non risponde affatto a verità quanto nel 1902 ha affermato Alfred Loisy in L’Évangile et l’église e cioè che «Gesù annunziò il Regno e invece nacque la Chiesa», per iniziativa dei suoi seguaci, i quali crearono delle strutture per cercare di affrontare meglio la fine del mondo che essi ritenevano imminente. No!

Basterebbe rileggere un tantino le ben note “parabole del Regno”, in cui la Chiesa è descritta da Gesù come una realtà destinata a svilupparsi lentamente. Egli ricorre, ad esempio, alla parabola del “granello di senapa”, che è il più piccolo di tutti i semi, ma dal quale spunterà un grande albero; alla parabola del “campo”, dove bisogna lasciare crescere il grano e la zizzania fino al giorno della mietitura, e a quella della “rete da pesca” destinata a pescare pesci buoni e pesci cattivi. Gesù ha inoltre la coscienza che i suoi discepoli vivranno a lungo sulla terra, come si può dedurre dal fatto che Egli li invia nel mondo a predicare la buona novella a tutte le creature, cosa che certamente non avrebbe potuto realizzarsi dalla mattina alla sera.

Non si può pretendere
, pertanto, di scindere Cristo dalla sua Chiesa, di credere all’uno, senza credere alla sua Sposa e al suo Corpo. Non si può credere a Cristo, quindi, senza credere alla sua Chiesa. Così il Regno di Dio annunziato da Gesù si inserisce nella storia, facendo irruzione nel presente e nell’attualità; ragion per cui il Regno è creatore di vincoli che tendono progressivamente a conquistare tutta la famiglia umana. Ecco perché i cattolici hanno sempre identificato la Chiesa e il Regno, conferendo alla comunità cristiana le caratteristiche stesse del regno di Dio. Il Concilio Vaticano II ha percepito chiaramente questa prospettiva, quando nella Lumen Gentium ha affermato che la Chiesa costituisce in terra il germe e l’inizio di questo regno (cfr. n. 5).

http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-perch-credo-nella-chiesa-del-cristo-4977.htm

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Caterina63
00domenica 5 agosto 2012 10:28

Ostie tra le mani. Vite 'diverse' e precarie, vite preziose.

 

Ogni tanto accade che si finisce all’ospedale. Non è mai bello, né piacevole, ma forse è più dura quando, a soffrire, non siamo noi, ma un figlio. Magari piccolo piccolo, tanto da apparirci totalmente disarmato dinnanzi al dolore. Quando un figlio si ammala, sentiamo cosa significa voler più bene ad un altro, che a noi stessi.
 
In ogni modo, tutto è bene ciò che finisce bene, e così anche la permanenza del mio piccolo al san Matteo di Pavia, è già solo un ricordo. Forte rimane invece, nella memoria, un’altra esperienza. Accade che la dottoressa Gloria, che ha operato il mio piccolo, il giorno prima delle dimissioni, una domenica, mi porti vicino Pavia, a Tortona: “Vieni con me a vedere il piccolo Cottolengo…”.
 
Parto, senza sapere cosa incontrerò. Di questa istituzione non avevo mai sentito parlare. Conoscevo il Cottolengo di Torino, la storia straordinaria di questo sacerdote piemontese dell’Ottocento che aveva iniziato ad ospitare i malati rifiutati dagli ospedali civili. Ma di una struttura analoga, per bambini, non sapevo nulla.
 
“Qui – mi spiega Gloria, per prepararmi, prima di mostrarmi dal vivo la realtà- vengono accuditi bambini, di solito con bassa aspettativa di vita, che abbisognano di cure sub-intensive e che gli ospedali non possono tenere”.
 
Arrivati nella casa, ci apre suor Gabriella, un volto dolce e gentile. Ci porta subito a perlustrare la struttura. Non sa neppure chi sono, ma c’è in lei il desiderio di mostrarmi qualcosa che le è caro come la pupilla dei suoi occhi; e di far vedere alla dottoressa i piccoli pazienti, per qualche suggerimento, qualche consiglio, eventuali bisogni.
 
Il primo incontro è struggente: una bimba, malata di Sla, che mi sorride, dalla sua poltroncina, sui cui vive, immobilizzata… Sorride soprattutto ai maschi, mi dicono scherzando… Ma io non sono abituato ad una scena del genere, e non riesco a non piangere. Mi vengono in mente, subito, le parole di Gloria, la mia accompagnatrice, e medico: “Di fronte ai malati dobbiamo metterci in ginocchio”. E collego queste parole, comprendendole per la prima volta in vita mia, alla grande storia della carità cristiana, a tutti i santi che hanno accudito malati e sofferenti, dichiarandosi loro “servi”, sostenendo di vedere in ognuno di loro Cristo stesso sofferente. Capisco quello che scriveva suor Scolastica Piano meditando la missione cottolenghina: “Nella Piccola Casa o si è ostie o ostie si hanno tra le mani, tutto il giorno”.
 
Di fronte a quella bambina vorrei inginocchiarmi, baciarle le manine e i piedini: in quella sua sofferenza innocente vorrei di lavare la mia miseria; vorrei pregare lei, crocifissa al legno di una sedia, di pregare per me. Dopo di lei, ne vedo tanti altri: sono italiani, rumeni, marocchini… La suora me li presenta tutti, li guarda con amore, così come fa Gloria, che li abbraccia, vigorosamente, con somma naturalezza. Io, invece, sono lì, impacciato, come bloccato di fronte alla loro “diversità”: ci vuole un po’ ad abituarsi, a capire che dietro la malattia o la deformità fisica, c’è una bellezza, non immediata, da ammirare e scoprire. “Bisogna guardarli come fossero ‘normali’ – mi spiegherà Gloria, nel viaggio di ritorno-; bisogna fare sentire loro affetto, perché se li prendi in braccio con gioia loro lo sentono, si rilassano, sono contenti…se invece sei uno stecco, loro non si sentono accolti, e rimangono perplessi”. “Loro, proseguirà, ascoltano il tono della nostra voce, capiscono chi gli vuole bene, provano dolore, ma anche gioia e sollievo…”. Mi è più chiaro, ora, quello che ci hanno mostrato con orgoglio la suora ed il giovane fisioterapista, entrambi così attenti alle “ostie” che hanno tra le mani: il prato dove i bambini incapaci di muoversi vengono sdraiati, perché provino sollievo fisico; la sala per la musica, per rilassarli; la vasca modernissima, in cui i bambini vengono distesi e avvolti da teli che contengono acqua e che in modo incredibile sollevano e avvolgono il corpo, impedendogli di percepire la gravità e rendendolo per un po’ leggerissimo…
 
Ripenso a quei bimbi: non sono abbandonati in un angolo, quasi si aspettasse la loro morte (che certo, per molti, è dietro l’angolo). Vengono lavati, puliti, vestiti decorosamente; e poi ci sono i volontari che li abbracciano, gli parlano…; i medici come Gloria che accorrono, magari per curare solo un piccolo “dettaglio” curabile; i donatori che permettono alla struttura, con le loro offerte, di sopravvivere…


Tanto dolore e tanto bene, nello stesso luogo. Lo scandalo della croce e la letizia cristiana, che si guardano. Scandalo e follia, certamente, come la condizione umana. Croce e resurrezione; prova e speranza; dolore e amore; sacrificio e gioia. Io, lì, vorrei baciare senza posa quella bimba che per prima ho incontrato. Vorrei baciare le mani di quella suora che passa lì, tutta la sua vita, certa che l’amore non è mai inutile; certa che quei corpi malati avvolgono anime immortali, di fratelli immortali. E vorrei baciare anche la dottoressa che ha sacrificato la domenica per me e per quei bimbi. Ma non sta bene, per cui mi limito a baciare la tomba di don Orione, subito fuori dalla casa, nella Chiesa lì accanto. San Luigi, prega per me.
Francesco Agnoli
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Il Foglio, 2 agosto, 2012 by Libertà e Persona

Caterina63
00sabato 1 dicembre 2012 10:34
con Pietro


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Caterina63
00sabato 1 dicembre 2012 19:38

La fede che rende adulti. Il catechismo per la nuova evangelizzazione (Nicola Bux)


Il catechismo per la nuova evangelizzazione


La fede che rende adulti


di Nicola Bux


Il Papa nel corso del suo viaggio apostolico in Francia (12-15 settembre 2008) ebbe a osservare come per molti Dio sia diventato il «grande Sconosciuto».

Un'affermazione dettata dalla preoccupazione -- che Benedetto XVI ripete con insistenza -- per il futuro della fede, la cui fiamma sembra quasi spegnersi in non poche regioni della terra. Soltanto poco più di un mese fa, in occasione del Giovedì santo, ha denunciato come si sia dinanzi a un rinnovato «analfabetismo religioso». Purtroppo, però, questo “credere a modo mio”, sembra alle volte anche incentivato da maître à penser che dall'interno della Chiesa, hanno seminato il loro verbo piuttosto che il Verbo divino. La stessa Italia sta diventando un Paese “genericamente” cristiano. Viene auspicata, dunque, una nuova evangelizzazione, grazie anche all'impulso del Pontificio Consiglio appositamente istituito dal Papa.

Da dove cominciare? Forse proprio dalla liturgia, dal canto sacro e dai nuovi edifici di culto, purché innanzitutto commissionati a persone che coniughino fede e talento, per proporre forme che parlino di Dio.
La fede e la sua dottrina: qui sta il punto. Una fede semplice come quella dei pastori, delle donne e degli uomini incontrati da Gesù. E non quella di chi, per esempio, afferma che la risurrezione di Gesù è solo frutto dell'elaborazione dell'esperienza dei discepoli.

Perciò il Papa ha indetto un Anno della fede in cui riprendere in mano gli insegnamenti del Vaticano II e più popolarmente il catechismo. I libri di pastorale e quelli di sociologia religiosa, di per sé, non hanno mai convertito nessuno. Ci vuole, invece, la conoscenza di Gesù persona storica, umana e divina, che fonda la nostra fede. Nei nostri occhi sono i fatti, dice sant'Agostino, nelle mani gli scritti: e i primi sono molto più importanti di questi ultimi. Così, in controtendenza, il cristianesimo rinasce e dimostra che contro la Chiesa, divino-umana per volontà del Fondatore, le forze infernali non praevalebunt.
Si accennava, dunque, all'analfabetismo religioso additato dal Papa e dai vescovi, e dell'esigenza di combatterlo con la dottrina cristiana, la “dottrina della fede”. Il dicastero vaticano che ha ricevuto questo titolo da Paolo VI è strumento imprescindibile per la nuova evangelizzazione. Benedetto XVI ha chiesto a tutti -- vescovi, sacerdoti e religiosi, suore e laici impegnati -- di muoversi all'unisono, oltre i programmi o piani pastorali particolari, con il Catechismo della Chiesa cattolica.

In missione non si va in ordine sparso, ma tutti, insieme al Papa; se si vuol combattere la secolarizzazione che ha incentivato l'analfabetismo religioso, bisogna che ci misuriamo con Gesù che ha detto: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato» (Giovanni, 7, 16). Per questo va diffuso il catechismo, dice Benedetto XVI: «Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo servitori». Soprattutto però l'anima cristiana deve attingere al cuore di Cristo per toccare i cuori della gente, come hanno fatto i santi che, proprio per questo, sono tanto amati.
Tuttavia, c'è chi sostiene che il cristianesimo non serve per salvarsi l'anima.

Perciò, il Papa nell'omelia della messa crismale, ha usato un'espressione fuori moda: lo zelo per la salvezza delle anime. «Noi non ci preoccupiamo soltanto del corpo, ma proprio anche delle necessità dell'anima dell'uomo». Ha detto Gesù: «A che serve all'uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l'anima?». Così, si dovrà comprendere il valore e l'importanza dei sacramenti, che dalla nascita alla morte servono a salvare le anime. I sacerdoti avranno ancora abbastanza zelo per accorrere da un moribondo al fine di dargli confessione, unzione e comunione per la salvezza dell'anima? L'anima dell'uomo sta a ricordare che non appartiene a se stesso ma a Dio. Così i preti non appartengono a se stessi ma a Gesù Cristo. C'è bisogno di dottrina della fede, fatta di conoscenza, competenza, esperienza e pazienza. C'è bisogno di un rinnovato slancio apostolico. Il dono della fede non è separato dal battesimo.

Il Papa al clero romano, infatti, ha recentemente ricordato che, se l'atto del credere è «inizialmente e soprattutto un incontro personale» con Cristo, come ci descrivono i Vangeli, «tale fede non è solo un atto personale di fiducia, ma un atto che ha un contenuto» e «il battesimo esprime questo contenuto».
San Cirillo di Gerusalemme ricorda che la nostra salvezza battesimale dipende dal fatto che è scaturita dalla crocifissione, sepoltura e risurrezione di Cristo, veramente avvenute nella sfera fisica: si chiama grazia, perché la riceviamo nel sacramento senza patire i dolori fisici. Per questo, ammonisce Cirillo: «Nessuno pensi che il battesimo consista solo nella remissione dei peccati e nella grazia di adozione, come era il battesimo di Giovanni che conferiva solo la remissione dei peccati. Noi invece sappiamo che il battesimo, come può liberare dai peccati e ottenere il dono dello Spirito Santo, così anche è figura ed espressione della Passione di Cristo», come proclama Paolo (Romani, 6, 3-4).

«Noi sappiamo», dice il santo vescovo di Gerusalemme: all'incontro personale col Signore e alla sequela di lui per la salvezza, segue necessariamente la dottrina che si trasmette attraverso la Scrittura e la Tradizione della Chiesa. Tutto questo è riassunto nel catechismo. Bisogna rinnovare la catechesi e la liturgia affinché Dio sia conosciuto e amato. Ciò vuol dire una vera devozione, quella che necessita nella liturgia odierna, nella celebrazione dei sacramenti. La devozione o pietas è costituita dall'offerta di sé a Dio: cosa che si esprime con l'insieme di gesti e riti percepiti come significativi per la propria vita: partecipare alla messa, chiedere di celebrarla per le proprie intenzioni, confessarsi e fare la comunione, assistere ad altre funzioni, pregare e cantare inni, frequentare la catechesi, fare le opere di misericordia, fare visita a un luogo dove è venerata una immagine sacra o il sepolcro di un santo taumaturgo, lasciare un'offerta, accendere un cero, partecipare alla processione, portare a spalla la sacra immagine. In sostanza, sono questi segni d'invocazione, di protezione, di ringraziamento che fanno la vera devozione che manifesta la fede, che sola fa giusti davanti a Dio e ci salva.

L'Anno della fede sarà un tempo propizio.

Lo studio del contenuto della fede -- come sottolineano specialmente i movimenti ecclesiali -- è necessario all'interno dell'esperienza della fede, per diventare adulti nella fede, superando la fanciullezza che spinge molti ad abbandonare la Chiesa dopo la cresima, diventando così incapaci di esporre e rendere presente la filosofia della fede, di rendere ragione di essa agli altri. Essere adulti nella fede però non vuol dire dipendere dalle opinioni del mondo, emancipandosi dal magistero della Chiesa.
Perché occuparsi ancora di questo? Perché non è soltanto un pensiero teologico, ma è diventato una pratica che ha permeato pian piano non pochi settori della vita ecclesiale.

Uno dei più clamorosi è la dottrina sacramentaria: oggi, il sacramento non viene più sentito come proveniente dall'esterno, dall'alto, ma come la partecipazione a qualcosa che il cristiano già possiede. E visto che oggi si ama guardare a Oriente, si deve dire -- almeno per correttezza ecumenica -- che per la teologia orientale la svolta antropologica è una pista falsa imboccata dalla teologia occidentale; l'unico tema fondamentale di tutta la teologia di tutti i tempi è, e deve rimanere, l'Incarnazione del Verbo, il principio umano divino che è entrato nel mondo «per noi uomini e per la nostra salvezza». L'uomo staccato da Dio non ha possibilità di sopravvivenza. Altrimenti a furia di parlare dell'uomo, come è accaduto, non si parla più di Dio.



(©L'Osservatore Romano 16 maggio 2012)

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