Caro direttore,
leggo la Croce per un sacco di buoni, ottimi motivi, uno su tutti perché mi mette speranza. La speranza assaporata in questi ultimi dieci giorni la devo a Paola Belletti, a Federica Thistle, a Marco Luscia e a tutti quelli che hanno scritto di matrimoni in crisi e non, e l’hanno fatto con delicatezza, con tenerezza e con l’autorevolezza che nasce non già dalla presunzione di sapere, quanto dal tentativo, riuscito, di provare a capire con la testa e con il cuore (arte difficilissima!), la testa e il cuore del loro prossimo, condividendone le sofferenze.
Provo ad aggiungere un tassello, mutuato dalla mia esperienza. Lo faccio in punta di piedi, perché non ho nulla da insegnare, ho solo da raccontare ciò che sto vivendo sulla mia pelle. La mia è una storia tristemente uguale a tante.
Sono separata da un anno e mezzo, dopo 17 anni di matrimonio e due figlie. Si tratta di una separazione che ho subìto.
Una sorte che mai avrei immaginato potesse capitare a me. Un fulmine a ciel sereno, uno tsunami che ha travolto la mia vita mandandola in frantumi.
Non sono rassegnata e spero che mio marito torni sui suoi passi, che rinsavisca dalla sbandata per la quale si è giocato tutto.
Sapete come vanno queste cose: ti amavo, andavamo d’accordo, ma la passione è svanita, quelle sensazioni che tu non sapevi più darmi con lei le ho ritrovate. La strada della mia felicità è lì, non con te. Ho mentito a me stesso fino ad ora, mi sono ingannato facendomi andare bene una vita che non era quella vera.
Quella vera comincia adesso. A quaranta e rotti anni è la mia volta di essere finalmente felice. Arrivederci e grazie. Anzi arrivederci e basta. Non ce l’ho con te. Capiscimi. Io volevo una vita normale, con te non la era più, perciò fatti da parte. Non mi devo giustificare con nessuno. Se io sono felice tutti lo saranno, prima o poi. Tu fattene una ragione. Trovatene un altro.
E io da parte mi ci sono fatta. L’ho lasciato andare. Ma c’è un ma. E il ‘ma’ si chiama amore, un amore che il dolore purifica, come un crogiolo, che il cuore custodisce, nonostante tutto e a motivo di tutto, come un tesoro prezioso e che la volontà (perché amare è anche un fatto di testa) sublima. C’è la mia fede in un Sacramento che quell’amore ha consacrato e che è continuamente foriero di una Grazia che dà forza, che mi fa forte. Ed è per questo che ho deciso liberamente, felicemente e faticosamente che ‘sto’: sto al mio posto, sono fedele, lo aspetto e l’ho perdonato. Ci vorrà tempo? Non basterà il tempo di una vita, di quel che resta della mia vita?
L’ho messo in conto. Non sono una sognatrice. Io ho deciso di vegliare sul nostro amore. Di essere casa per le nostre figlie, una casa che, sperando contro ogni speranza credo, a dispetto di tutto, fondata sulla roccia. Non è una passeggiata, è un martirio, che scelgo ogni giorno con la pace nel cuore, lavorando soprattutto di rosario.
In tanti mi dicono che sembro ringiovanita, immaginando che abbia un nuovo amore in saccoccia, e a pensarci bene è proprio così.
Al Dio dell’impossibile chiedo per mio marito il miracolo di una conversione che parta dal sentirsi amato incondizionatamente e smisuratamente da Lui. Ché questa è la gioia. Diversa da quella del mondo, eppure così piena per stare perfettamente a proprio agio nel mondo. Ho davanti a me un orizzonte nuovo, infinito, altro, rispetto alla cultura del provvisorio.
La mia unica, benedetta urgenza abita lo spazio di un’invocazione al mio Signore, al quale chiedo la vita eterna per me, per il mio sposo e per le mie figlie. E’ questa la mia vocazione di diversamente, eppure credo mai così veramente, sposa.
Buon lavoro a tutti voi.
Giovanna Barbieri
Genova
RISPONDE MARIO ADINOLFI
Cosa posso dirti cara Giovanna? L’esperienza più bella che sto vivendo dirigendo questo quotidiano consiste nel sentire la vicinanza di tanti di voi, tanti che raccontano le loro storie e lo fanno come se fossero al pub bevendosi una birra con un amico. Invece lo sapete che ci leggono in migliaia, qualche giorno in decine di migliaia, il tavolino del pub è piuttosto affollato e non deve essere facile mettersi a nudo come fate in molti ogni giorno.
Voi donne poi siete stupefacenti, vi riesce di mettervi qui, senza protezione, esposte alle critiche di tutti, ai sorrisini e alle commiserazioni. Certamente è il caso tuo Giovanna, certamente è il caso di Paola che non per coincidenza citi nell’articolo. La verità è che scegliendo di raccontare senza corazza, dimostrate la forza assolutamente caratteristica dell’essere femminile, la sua tenacia, la sua capacità di rispondere ad ogni avversità.
Tra i motivi per cui sono così duro con l’ideologia gender, con chi racconta l’identità sessuale come un cambio d’abito sempre possibile, c’è proprio il non cogliere le caratteristiche assolutamente uniche del genere femminile. Voi donne, mi verrebbe da dire voi femmine, siete capaci di dare lezioni di vita definitive a noi maschietti.
Che non a caso finiamo sempre per essere innamorati della mamma. Cara Giovanna, la storia che mi racconti è composta da un dolore denso, soffiato appena dentro l’involucro di forza e di speranza che ne compone di fatto anche lo scheletro. Io non so dirti se tuo marito tornerà a casa. Sono anche io un uomo di quaranta e rotti anni, conosco storie e effetti, strazi e difetti di questa strana età, anche per esperienze direttamente personali. Poiché sono più goffo e meno coraggioso di te le mie non te le racconterò. Posso dirti però che conosco le forme e anche la sostanza del tuo dolore, avendo giocato nell’altra metà del campo. La tua scelta mi sembra la più salda, la più chiara, la più cristallina possibile. Per questo alle amiche sembri ringiovanita.
Chi sceglie per il bene, cioè per la vera libertà, non può che trarne beneficio. Sei ancora la salda roccia messa a fondamento della tua famiglia, cara Giovanna. Lo sei per fedeltà a te stessa, lo sei per fedeltà al tuo ruolo di madre, lo sei in paradossale fedeltà a tuo marito. Ma noi sappiamo che la Croce stessa è paradosso e ad essa non possiamo che umilmente parametrarci. Non so dirti se tuo marito tornerà, te lo ripeto. Anzi, so dirti che se tornerà vorrà dire che è in condizione di bisogno. Sceglierà, ma per contrarietà, con un livello di libertà meno limpido del tuo.
Il fatto che tu sia pronta sempre e comunque a riaccoglierlo e ad amarlo ti rende pienamente donna, perché la donna è accogliente. Perdonate la stupidità di noi maschietti, guidati dal demone meridiano, capaci di attimi di grandezza e abissi di miseria. Incarni l’intelligenza e la libertà, cara Giovanna: non a caso due sostantivi che si declinano al femminile. Ora forza, che il percorso sarà duro, ci saranno attimi di sconforto. Anche tristezza è un sostantivo femminile, anche malinconia. Maria ti guiderà e ti aiuterà in quei frangenti addolorati.
Poi cammina, ieri a Genova come a Roma c’era uno splendido sole, è quasi primavera e talvolta basta anche solo un po’ di tepore per scacciare il freddo che rischia di ghiacciarci l’anima.
04/03/2015