LA MENZOGNA - catechesi di Sant'Agostino

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 15:26
                                            AGOSTINO DI IPPONA   - LA MENZOGNA


                    

Introduzione.


1. 1. Riguardo alla menzogna c’è un grosso problema: un problema che spesso anche nei comportamenti della vita di ogni giorno ci crea pensieri. Succede infatti che noi a cuor leggero chiamiamo menzogna ciò che menzogna non è, mentre poi riteniamo lecito il mentire quando si tratta di una menzogna giustificata, come quando è detta a fin di bene o per misericordia. Tratteremo il problema con premura e attenzione, mettendoci alla ricerca insieme con quanti come noi cercano la verità. Se poi abbiamo o no trovato qualcosa, non lo diremo noi parlando con leggerezza, ma al lettore attento lo rivelerà sufficientemente la stessa trattazione. È infatti, il presente, un problema assai oscuro, che nei suoi meandri cavernosi sfugge spesso all’acume dell’investigatore; e succede che a volte ti vedi sfuggire di mano ciò che avevi trovato, mentre a volte te lo vedi riapparire per poi dileguarsi di nuovo. Alla fine tuttavia la nostra disamina, raggiunta una certezza maggiore (per dire così), ci consentirà di delineare la soluzione che adottiamo. E se in questa ci sarà qualcosa di errato (è infatti proprio della verità liberare da ogni errore, mentre la falsità è inclusa in ogni errore), io ritengo che non si sbagli mai con più cautela di quando si sbaglia per l’eccessivo amore alla verità e per un eccesso di zelo nel rigettare la falsità. Questo procedimento è ritenuto un’esagerazione dagli ipercritici, ma, se si interrogasse proprio la verità, essa direbbe che non si è ancora abbastanza in regola. Orbene, chiunque tu sia che vieni a leggere, astieniti dalle critiche prima che abbia letto l’opera intera; così sarai meno severo nel giudicare. Non fermarti poi a sottilizzare sulla forma letteraria, poiché abbiamo speso molto lavoro sul contenuto, volendo anche terminare in breve tempo un’opera così necessaria allo svolgimento della vita quotidiana: motivo per cui la rifinitura dell’eloquio è stata limitata o quasi trascurata del tutto.

Menzogna e non menzogna.


2. 2. È doveroso fare eccezione per lo scherzo, che di fatto nessuno mai ha considerato una menzogna. Lì infatti è manifesto in maniera evidentissima il senso che ha in animo colui che sta scherzando: lo si ricava dalla pronunzia e dall’umore di chi parla, che appunto non è quello di uno che voglia ingannare, sebbene non proferisca la verità [completa]. Una questione diversa è stabilire se un’anima perfetta possa far uso di un tal modo d’esprimersi; ma ora non intendiamo risolvere questo problema. Eccettuiamo dunque lo scherzo, e vediamo per prima cosa come non si debba considerare bugiardo colui che di fatto non dice menzogne.

Definizione di menzogna.

3. 3. Occorre dunque precisare cosa sia la menzogna. In effetti non tutti quelli che dicono delle falsità mentiscono: tale è colui che crede o suppone essere vero ciò che afferma. C’è poi una differenza tra il credere e il supporre: chi crede a volte s’accorge di non conoscere la cosa che crede, sebbene non nutra dubbi di sorta sulla cosa che sente di non conoscere, se in essa crede con assoluta certezza. Viceversa, chi su qualcosa fa supposizioni ritiene di conoscere una cosa che invece non conosce. Ad ogni modo, chi afferma una cosa che nel suo animo o crede o suppone, anche se la cosa in sé è falsa, egli non dice una menzogna. Infatti nel suo parlare asserisce ciò che ha nell’animo e lo asserisce adeguandosi alla sua convinzione, e di fatto considera le cose come egli afferma. Ma anche se non mentisce, non è esente da colpa, se presta fede a cose da non credersi o se pensa di conoscere le cose che viceversa non conosce, anche se si tratta di cose in sé vere. Egli infatti ritiene di conoscere ciò che invece non conosce. mentisce poi sicuramente colui che nell’animo ha una cosa mentre a parole o con qualsiasi mezzo espressivo ne dice un’altra. Per questo, si suol dire che il bugiardo è doppio di cuore, cioè ha due [diversi] pensieri: uno quello che sa o ritiene come vero ma non ne parla, l’altro quello che invece del precedente proferisce con le labbra sapendo o congetturando che è falso.

Ne segue che uno, senza mentire, può affermare una cosa falsa, inquanto crede che le cose stiano proprio come egli dice, sebbene di fatto non stiano così. Parimenti può accadere che uno, pur mentendo, dica la verità: come quando uno crede falsa una cosa che egli afferma essere vera, sebbene effettivamente le cose stiano com’egli asserisce. Riteniamo infatti che una persona sia sincera o bugiarda in base al giudizio della sua mente e non in base alla verità o falsità della cosa in sé. Pertanto di uno che dice il falso in luogo del vero, in quanto lo ritiene effettivamente vero, possiamo dire che sia nell’errore o magari che sia un illuso, ma non che sia un mentitore. Nel suo parlare infatti egli non ha in cuore la doppiezza e non intende imbrogliare ma è vittima dell’inganno. La colpa del mentitore sta invece nel desiderio di ingannare, quando dichiara il suo animo, sia che riesca a ingannare, perché si crede alla sua falsa dichiarazione, sia che di fatto non inganni, vuoi perché non gli si crede, vuoi, nel caso che con il desiderio di ingannare dica vero, ciò che non crede vero. In questo caso egli non inganna chi gli crede, sebbene abbia avuto intenzione d’ingannarlo, a meno che nel mentire non arrivi al punto di fargli credere che lui stesso conosce od opina secondo quel che dice a parole.

3. 4. A questo punto ci si potrebbe chiedere (ma si tratta d’una questione quanto mai sottile!) se quando manca l’intenzione di trarre in inganno, manchi del tutto anche la menzogna.

Chi mente?, colui che asserisce il falso con l’intento di non ingannare o colui che dice il vero con il proposito di ingannare?

4. 4. Che diremo infatti di uno che dice il falso su una cosa che ritiene falsa ed egli si comporta così proprio perché ritiene che non gli si presterà fede e col far ciò voglia tener lontano da false conclusioni il suo interlocutore, che peraltro sa per nulla disposto a credergli? Se è menzogna affermare una cosa di cui si sa o si suppone che sia diversa, costui mente, sia pur senza l’intenzione di trarre in inganno. Se invece non si dà menzogna se non quando si afferma una cosa con l’intenzione di ingannare, non commette menzogna colui che, pur sapendo o pensando che la cosa asserita è falsa, dice il falso senza il proposito d’ingannare la persona con cui parla. Egli infatti sa che l’altro non gli presterà fede, e parla così proprio perché sa o congettura che l’altro non crede alle sue parole. Può dunque risultare con chiarezza, almeno in linea dei possibili, che ci sia chi dice il falso per non trarre in inganno il suo interlocutore, e che viceversa ci sia qualche soggetto che dica la verità con l’intenzione d’ingannare. Così, uno che dice la verità perché è convinto che la gente non gli crede, se dice la verità lo fa certo per ingannare: egli in effetti sa di sicuro, o almeno suppone, che quanto da lui detto può esser preso per falso proprio perché lo dice lui.

E pertanto, dicendo la verità perché la si prenda come una falsità, egli dice, sì, la verità ma nell’animo vuole ingannare. Si impone quindi la domanda: Chi mente?, colui che asserisce il falso con l’intento di non ingannare o colui che dice il vero con il proposito di ingannare? In effetti il primo sa o immagina di dire il falso, il secondo sa o pensa di dire la verità. Al riguardo abbiamo già sopra affermato che non mente colui che non conosce la falsità delle sue asserzioni, da lui ritenute vere; è invece mentitore colui che dice cose vere credendole false. L’uno e l’altro li si deve giudicare dalle convinzioni che hanno nell’animo. Riguardo agli individui che abbiamo ora elencato la questione non è semplice: e questo dico in primo luogo di uno che sa, o pensa, di dire una cosa falsa, ma la dice allo scopo d’evitare l’inganno. Ecco, ad esempio, uno che, riguardo a una strada, sa che essa è infestata da briganti; e nello stesso tempo egli teme che per quella strada s’incammini una persona la cui salute gli è cara. Sapendo che questa persona non gli presterà fede, egli le può dire che i briganti non ci sono, affinché costui non passi per quella strada, credendola infestata da briganti, per il fatto che a dirgli di no è stato uno al quale egli non presta fede ritenendolo un bugiardo.
C’è poi un altro che sa, o crede di sapere, che una cosa è vera, eppure la dice per trarre in inganno. Tale, ad esempio, è colui che a uno che non gli presta fede dice che in una certa via ci sono i briganti conoscendo che lì davvero ci sono; e se gli dice così è perché chi lo ascolta si diriga effettivamente verso quella strada credendo false le parole del collega: di fatto però egli si imbatte nei briganti. Orbene, quale di questi due è mentitore? Colui che preferisce dire il falso per non ingannare o colui che dice la verità con l’intenzione d’ingannare? Colui, dico, il quale dicendo una menzogna ha fatto sì che il suo interlocutore raggiungesse la verità ovvero l’altro che dicendo la verità ha fatto sì che l’interlocutore fosse indotto in errore? Non sarà piuttosto esatto dire che hanno mentito tutti e due: il primo perché volle affermare una falsità, il secondo perché intese trarre in inganno? O diremo per caso che nessuno dei due ha mentito: il primo perché gli mancò l’intenzione d’ingannare, il secondo perché intese affermare la verità? Non discutiamo infatti adesso il problema se l’uno o l’altro abbia peccato ma solo se abbia detto menzogne. Quanto al peccato infatti a prima vista sembrerebbe averlo commesso colui che dicendo la verità ha fatto sì che quello sventurato incappasse nei malandrini, mentre non avrebbe peccato, anzi avrebbe fatto un’opera buona, colui che dicendo il falso ha sottratto quel tizio alla disgrazia. Ma questi esempi si possono invertire, e quindi esserci qualcuno che, non volendo ingannare il prossimo, fa questo per esporlo a una disgrazia più grave.

Molti infatti conoscendo la verità di certe cose andarono in rovina poiché le cose erano proprio tali che sarebbe stato meglio se non le avessero mai conosciute. L’altro invece, che vuole ingannare il prossimo, può farlo affinché costui ne tragga un qualche vantaggio: ad esempio certuni si sarebbero suicidati se avessero conosciuto una qualche sciagura capitata realmente ai propri cari; credendo invece a quella falsità si trattennero dal suicidio. In tal modo fu utile a questi ultimi essere stati ingannati, come fu dannoso ai primi l’aver conosciuto la verità. Non si tratta dunque di appurare quali siano stati i sentimenti con cui l’uno ha detto il falso per non lasciar cadere in inganno e l’altro ha detto il vero volendo ingannare: se cioè volevano giovare o nuocere. Escludendo per ora la questione dei vantaggi o dei danni derivati a coloro cui si parla, vogliamo limitarci a considerare la verità e la falsità delle affermazioni in se stesse e vedere quale dei due soggetti sia reo di menzogna, o se per caso lo siano tutti e due o nessuno dei due. In effetti se è menzogna parlare con l’intenzione di dire il falso, ha mentito naturalmente colui che ha inteso dire una falsità dicendo poi quel che gli è piaciuto dire e dicendolo magari con l’intenzione di non ingannare.

Se al contrario è menzogna ogni affermazione fatta con l’intenzione d’ingannare, non ha mentito il primo fra i due ma l’altro, cioè colui che anche dicendo la verità intendeva trarre in inganno. Se poi è menzogna un’affermazione detta col proposito di mescolare il vero con il falso, hanno mentito tutti e due: l’uno perché intese come falsa la sua affermazione, l’altro perché dalla sua affermazione vera intese farla prendere per falsa. Se finalmente la menzogna consiste nell’affermare il falso con l’intenzione d’affermarlo per trarre in errore, non è stato bugiardo nessuno dei due: non il primo in quanto dicendo il falso si riprometteva di indurre alla verità; non il secondo in quanto per indurre alla falsità affermava cose vere. Sarà dunque assente ogni doppiezza ed ogni falsità se affermiamo a tempo e luogo ciò che riteniamo per vero riconoscendolo anche come tale, e ciò che affermiamo è quello che vogliamo richiamare alla mente altrui.
Ma si danno casi diversi, quando cioè noi tentiamo di proporre solamente quello che diciamo con le labbra, ma noi stessi crediamo vero ciò che è falso o diamo come noto ciò che ci è sconosciuto o non crediamo a ciò che si dovrebbe credere o affermiamo ciò che non si dovrebbe affermare. In questi casi c’è, sì, l’errore della sconsideratezza ma in nessun modo la menzogna. Non si deve infatti temere nessuna delle suddette definizioni quando l’animo dentro di sé è convinto di affermare una cosa che sa di essere vera, o almeno così opina o crede, e così pure se non vuol far credere altro se non quello che afferma.


Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 15:27
[SM=g1740758] Se si diano menzogne che, almeno a volte, siano utili.

4. 5. Molto più importante e necessaria di questa è la domanda se si diano menzogne che, almeno a volte, siano utili. Può quindi rimanere dubbio il problema se dica menzogne uno che non abbia la volontà d’ingannare o magari si dia da fare perché non cada in errore colui al quale parla, sebbene abbia consentito che si ritenessero false le sue parole da colui al quale egli voleva proporre solo la verità; e così può dubitarsi se mentisca colui che deliberatamente dice la verità con l’intenzione d’ingannare. Nessuno certo dubita che mente colui che dice il falso volendo ingannare. Ne segue che certamente dice una menzogna colui che asserisce il falso allo scopo d’ingannare. È dunque cosa evidente che la menzogna è una affermazione falsa proferita con l’intenzione d’ingannare. Se poi soltanto in questo caso ci sia la menzogna, è un’altra questione.

Se qualche volta non sia utile dire il falso con l’intenzione di trarre in inganno.

5. 5. Esaminiamo adesso il genere di menzogne, sul quale tutti sono d’accordo, e cioè se esistano casi in cui sia utile dire il falso anche con l’intenzione di trarre in inganno. Così infatti ritengono alcuni, i quali per convalidare la loro dottrina ricorrono a testimonianze [scritturistiche]. Citano l’esempio di Sara, che avendo riso [della promessa divina], agli angeli disse che non aveva riso. Così Giacobbe: interrogato dal padre, egli rispose dicendo d’essere il suo figlio maggiore, Esaù. Così le ostetriche d’Egitto: perché non fossero uccisi i bambini ebrei che nascevano ricorsero alla menzogna, che lo stesso Dio approvò ricompensando con doni il loro operato. Scegliendo i numerosi episodi [narrati dalla Scrittura], ricordano gli esempi di quegli uomini che nessuno oserebbe dichiarare colpevoli, con la conclusione di farti riconoscere che almeno in certi casi la menzogna può essere non solo non meritevole di biasimo ma anzi meritevole di elogio. E portano anche delle altre prove, volendo convincere non solo gli uomini che hanno familiarità con i Libri sacri ma tutti gli uomini forniti di comune buon senso.

Dicono: Se viene da te uno che tu con la tua bugia potresti sottrarre alla morte, ti rifiuteresti di mentire? Se un malato ti chiede un’informazione che tu sai essergli per niente affatto utile e d’altra parte t’accorgi che a non dargli alcuna risposta sarebbe ancor peggio, tu oserai dire a lui la verità con suo grave danno oppure te ne rimarresti in silenzio, quando con una bugia - in questo caso incolpevole, anzi pietosa - potresti invece contribuire alla sua salute? Con numerosi argomenti di questo genere, o non molto diversi da questi, credono di dover necessariamente concludere che, se c’è un motivo valido che lo esiga, a volte almeno è lecito mentire.

La menzogna nell’Antico Testamento.

5. 6. Quanti son persuasi che mai si deve mentire reagiscono con grande energia, e prima di tutto adducono la prova di autorità desunta dalla divina Scrittura. Nel decalogo infatti si dice: Non dire falsa testimonianza, che è un’espressione generica comprendente ogni sorta di menzogne. In realtà quando si proferisce una parola si rende testimonianza di ciò che ci passa nell’animo. Ma qualcuno potrebbe obiettare che non tutte le menzogne meritano d’essere chiamate «falsa testimonianza». Ebbene cosa potrà costui replicare all’affermazione: La bocca menzognera uccide l’anima? E perché non si pensi che l’espressione sia compresa nel giusto senso anche quando si eccettua il caso di qualche mentitore, si vada a leggere quell’altro passo dove è detto: Tu mandi in perdizione tutti coloro che proferiscono menzogne. Per questo il Signore di sua propria bocca affermò: Sia sulla vostra bocca il sì, sì, e il no, no. Il di più viene dal maligno. In questo senso anche l’Apostolo, quando prescrive di spogliarsi dell’uomo vecchio, denominazione che abbraccia tutti i peccati, con logica stringente pone al principio questa ingiunzione: Pertanto gettate via la menzogna [e] parlate [dicendo] la verità.

In che senso i libri dell’Antico Testamento non insegnano a mentire.

5. 7. Costoro affermano di non sentirsi spaventati dagli esempi di menzogna che si ricavano dai libri dell’Antico Testamento. Infatti quanto accadeva a quei tempi, sebbene realmente accaduto, poteva avere anche un senso figurativo; e quanto avviene o si narra in senso figurato non costituisce menzogna. In effetti ogni affermazione è da rapportarsi a ciò che con essa si afferma; e quindi tutto ciò che accade o viene detto con linguaggio figurato afferma ciò che la figura presenta alla comprensione dell’ascoltatore. Questo è da credersi nei riguardi di quegli uomini che al tempo delle antiche profezie vengono descritti come personaggi autorevoli: e cioè che quanto è scritto nei loro riguardi essi lo hanno fatto o detto con valore profetico. Parimenti non avevano un minor valore profetico le cose che loro accadevano se dallo Spirito profetico furono ritenute meritevoli d’essere ricordate a memoria o trascritte in libri. Quanto alle ostetriche, siccome non è possibile dire che abbiano parlato mosse da Spirito profetico al fine di rappresentare la verità futura, si afferma, è vero, che esse furono approvate e ricompensate da Dio per aver detto al faraone una cosa per un’altra; ma si trattò d’una ricompensa relativa. A loro insaputa poi lo Spirito diede un significato ulteriore al gesto da loro compiuto. Se infatti uno, abituato a mentire per procurare danni al prossimo, in un secondo momento arriva a mentire per fare del bene, certamente ha compiuto un grande progresso. E poi una cosa è presentare come lodevole un gesto in se stesso e un’altra è quando si dice che un atto è migliore di un altro che risulti peggiore. Una cosa infatti è congratularsi con una persona perché sta bene [in salute], e un’altra è congratularsi con un malato perché è migliorato. Del resto, nelle stesse Scritture si dice che anche Sodoma fu giustificata se la si paragona con le nefandezze commesse dal popolo d’Israele. A questa norma rimandano [i sostenitori della presente teoria] in ogni caso di menzogna che si desume dall’Antico Testamento e che ivi non viene biasimato. Lo stesso se non è possibile biasimarla, anzi se viene approvata in vista dei proficienti e della speranza [di farli progredire], ovvero se non si tratta in alcun modo di menzogne dette con qualche significato recondito.

Nessuna menzogna nei libri del Nuovo Testamento.


5. 8. Nei libri del nuovo Testamento ci sono, è vero, espressioni con senso figurato poste sulla bocca del Signore; ma, eccettuate queste e considerando la vita e i comportamenti dei santi, come anche i loro fatti e detti, non si può citare alcun esempio che, se imitato, induca alla menzogna. Tale la simulazione di Pietro e Barnaba: essa non è soltanto raccontata ma anche disapprovata e corretta. Non è infatti vero, come pensano alcuni, che ricorrendo a una tale simulazione lo stesso Paolo circoncise Timoteo o celebrò personalmente alcuni riti del cerimoniale giudaico; ma, al contrario egli fu sempre mosso da quella libertà di opinione per cui predicava che la circoncisione come non giovava in nulla ai pagani così in nulla nuoceva ai giudei. Per questo egli riteneva che, se non si dovevano costringere i pagani ad osservare le costumanze dei giudei, non bisognava distogliere i giudei dalle usanze dei padri. Ne fan testo le sue parole: Uno è stato chiamato da circonciso? Non si rifaccia il prepuzio. Un altro è stato chiamato col prepuzio? Non si lasci circoncidere. La circoncisione infatti non è nulla, come nulla è il prepuzio: quello che vale è la osservanza dei comandamenti di Dio.

Ciascuno rimanga nella condizione di quando fu chiamato. Come si potrebbe rifare il prepuzio quando lo si è asportato? Dice: Non si rifaccia nel senso di «non viva come se si fosse rifatto il prepuzio», e cioè: «Non viva come se su quella parte del corpo, che ha scoperto, protenda di nuovo la pelle», quasi che abbia cessato di essere giudeo. Con lo stesso senso dice altrove: La tua circoncisione s’è mutata in prepuzio. Tutto questo l’Apostolo dice non per costringere i pagani a conservare il prepuzio o i giudei a seguire per forza il costume dei loro padri. Egli non voleva imporre né agli uni né agli altri il comportamento opposto, avendo tutt’e due le genti la facoltà, non la necessità, di rimanere nelle consuetudini di prima. Se pertanto un giudeo avesse voluto, senza recare scandalo ad alcuno, abbandonare le costumanze del giudaismo, l’Apostolo non l’avrebbe certo ostacolato. Che se egli diede ai giudei il consiglio di attenersi alle loro pratiche, lo fece per timore che essi, turbati in cose superflue, non giungessero ad incamminarsi per quelle vie che alla salvezza sono necessarie. E se un pagano avesse voluto farsi circoncidere con l’intenzione di mostrare che non rifuggiva quella pratica come dannosa [per la salvezza] ma la riteneva solo un segno ormai sorpassato nel tempo e quindi per lui del tutto indifferente, certo l’Apostolo non gli avrebbe proibito di circoncidersi. Se è vero infatti che dalla circoncisione non derivava in alcun modo la salvezza, nessun timore che da essa derivasse la rovina. Per questo motivo l’Apostolo circoncise Timoteo. Egli fu chiamato dal popolo degli incirconcisi ma era nato da madre giudea. Ora Paolo per conquistare [alla fede] i suoi connazionali doveva loro mostrare che nella disciplina della Chiesa cristiana non aveva imparato a rigettare sdegnosamente i riti sacri dell’antica legge. Comportandosi così, [Paolo e Timoteo] dimostravano ai giudei che, se i pagani non si sottoponevano a tali pratiche, non era perché fossero cose cattive, e quindi i patriarchi le avevano osservate a loro danno.

Egli intendeva solo insegnare che esse non erano più necessarie per la salvezza, dopo la realizzazione di quel grande mistero che tutta la Scrittura dell’Antico Testamento per tanti secoli aveva gestato e messo al mondo con profetici simboli e figure. Egli, Paolo, dietro le pressioni dei giudei avrebbe circonciso anche Tito se non ci fossero stati quei falsi fratelli che, intrufolatisi fra i cristiani, avevano sparso la diceria che egli aveva ceduto di fronte a loro. Riconoscendo in loro la verità, egli si sarebbe arreso di fronte a quei tali che predicavano che secondo il Vangelo la speranza di salvarsi era riposta nella circoncisione della carne e nelle altre pratiche simili ad essa, e che senza queste pratiche Cristo non avrebbe arrecato alcun giovamento all’umanità. La verità, viceversa, era che Cristo non giovava a nulla a coloro che si facevano circoncidere con la convinzione che in tale rito si trovava la salvezza.
Perciò dice: Ecco io, Paolo, vi dico questo: Se vi circoncidete, Cristo non vi gioverà a nulla. Con tale libertà Paolo osservò le pratiche in uso presso i padri, badando solo a questo - e così anche predicando -, che cioè non si credesse annullata la salvezza di cui godono i cristiani perché venivano escluse le antiche osservanze. Pietro al contrario con la sua simulazione costringeva i pagani a vivere da giudei come se la salvezza si trovasse nel giudaismo. Lo attestano le parole di Paolo, che gli disse: Come puoi costringere i gentili a farsi giudei? Non si sarebbe potuto dire che erano costretti se non l’avessero visto osservare quei riti ritenendo che senza di loro non c’era salvezza. Quindi la simulazione di Pietro non ha nulla di simile con la libertà di [coscienza predicata da] Paolo. Noi quindi dobbiamo amare Pietro che volentieri si lasciò riprendere da Paolo, ma non possiamo in alcun modo difendere la [liceità della] menzogna in base all’autorità di Paolo. Costui alla presenza di tutti richiamò al dovere Pietro, per impedire che per il suo esempio i pagani venissero costretti a vivere da giudei. Inoltre Paolo fu coerente con la sua predicazione quando, di fronte a quelli che lo giudicavano nemico delle tradizioni dei padri, in quanto non voleva che venissero imposte ai gentili, non ricusò di rispettarle lui stesso celebrando i riti dell’antico cerimoniale. Ciò facendo, mostrò con sufficiente chiarezza che, dopo la venuta di Cristo, tali pratiche sopravvivevano in queste dimensioni: per i giudei non erano dannose, per i pagani non erano obbligatorie, per nessuno erano necessarie in ordine alla salvezza.


Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 15:30
[SM=g1740758] Nessun argomento valido a favore della menzogna dai libri sacri.

5. 9. Nessun argomento valido a favore della menzogna si può quindi ricavare dai libri sacri. Non dall’Antico Testamento, perché non è menzogna ciò che si deve prendere come figura, tanto se si tratta di fatti quanto di detti, ovvero anche perché non si propone alla imitazione dei buoni ciò che nei cattivi, incamminati verso il meglio, si loda rapportandolo con cose peggiori. Non si ricava nemmeno dai libri del Nuovo Testamento, nei quali ci si invita ad imitare il ravvedimento di Pietro più che non la [colpa della] simulazione, come, dello stesso Pietro, dobbiamo imitare le lacrime e non la negazione.

La menzogna è peccato grave.

6. 9. Quanto agli esempi desunti dalla vita ordinaria, asseriscono con la più grande sicurezza [questi dottori] che non vi si deve prestar fede. Nel loro insegnamento infatti essi partono dal principio che la menzogna è un’iniquità; e ciò provano con molti testi della sacra Scrittura, primo dei quali il passo: Tu, Signore, hai in odio quanti commettono azioni inique, mandi in perdizione quanti dicono la menzogna. Infatti, come di solito fa la Scrittura, con lo stico seguente si chiarifica il precedente; e così, siccome la parola «iniquità” ha un significato assai ampio, dobbiamo intendere che, quando si nomina la menzogna, l’autore ha voluto presentarla come una specie nel genere della iniquità. Ovvero se fra menzogna e iniquità c’è una qualche differenza, tanto peggiore è da ritenersi la menzogna quanto più è severa la parola mandare in perdizione rispetto a odiare. Può darsi infatti che Dio abbia in odio qualcuno in maniera piuttosto blanda, cioè non al punto di dannarlo; riguardo al dannato viceversa, tanto più forte è l’odio divino quanto più severa è la punizione inflitta. Orbene, quanti operano l’iniquità egli li odia; invece tutti coloro che dicono menzogne egli addirittura li manda in perdizione. Ammesso questo, chiunque accetta un tale principio come potrà lasciarsi impensierire dagli esempi addotti da quei tali che dicono:»Se viene da te un uomo che con una menzogna tu potresti liberare dalla morte, come ti comporteresti?». Eppure quella morte, temuta stoltamente dagli uomini che non temono il peccato, è una morte che uccide il corpo, non l’anima, come insegna il Signore nel Vangelo, dove appunto ordina di non temerla. La bocca che proferisce menzogna, viceversa, uccide non il corpo ma l’anima. È scritto in termini quanto mai espliciti: La bocca che dice menzogne uccide l’anima. Come quindi non sarà un’enorme perversione affermare che per conservare ad uno la vita del corpo un altro possa lecitamente morire nello spirito?

Infatti l’amore del prossimo ha come punto di riferimento l’amore verso se stessi. Dice: Amerai il prossimo tuo come te stesso. In che maniera dunque potrà uno amare un altro come se stesso, se per dare a costui la vita temporale, egli personalmente si gioca la vita eterna? In realtà, se per dargli la vita temporale uno compromettesse la sua vita temporale non sarebbe questo un amare come se stesso, ma più di se stesso. E ciò oltrepassa la norma imposta dalla sana dottrina. Molto meno sarà lecito perdere la propria vita eterna dicendo menzogne, per [salvare] all’altro la vita temporale. Ovviamente il cristiano non esiterà a sacrificare la propria vita temporale per la vita eterna del prossimo: in questo ci ha preceduti con l’esempio il nostro Signore quando ha dato la vita per noi. Egli infatti diceva a questo riguardo: Questo è il mio comandamento: che vi amiate l’un l’altro come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i suoi amici. A questo proposito nessuno vorrà essere così scervellato da dire che il Signore abbia inteso provvedere ad altro che alla salvezza dell’uomo quando compiva di persona le opere che comandava o quando comandava di compiere le opere che lui faceva. Se pertanto col mentire si perde la vita eterna, è evidente che mai è lecito mentire per giovare in qualsiasi modo alla vita temporale di chicchessia. Che dire infatti di questi tali, che si indispettiscono e vanno sulle furie quando qualcuno si rifiuta di uccidere la propria anima con la menzogna, perché un altro nel suo corpo giunga a vecchiaia? Che dire, insisto, se qualcuno potrebbe scampare la stessa morte mediante un nostro furto o adulterio? Potremo, per ottenere un tale risultato, rubare o commettere adulterio? Costoro non si rendono conto di dover per forza tirare questa conclusione: se un uomo, corda in mano, voglia farsi da te stuprare, affermando ripetutamente che, se non gli si concede quanto richiesto, egli si legherà la corda al collo. In tal caso, dicono costoro, per liberare la sua vita [dalla morte] bisogna acconsentire [alla sua richiesta].

Ebbene, se un tal gesto è assurdo e delittuoso, perché si dovrebbe concedere ad uno di deturpare la propria anima con la menzogna affinché l’altro conservi la vita del corpo? Poiché, se per lo stesso scopo abbandonasse alla corruttela il proprio corpo quel tale sarebbe, a giudizio di tutti, condannato come reo di esecranda turpitudine? In conclusione, su questo problema nulla si deve considerare all’infuori del fatto se la menzogna sia o no una cosa illecita. Ora siccome, stando ai documenti citati sopra, la risposta è affermativa, è da porsi il problema se si possa mentire per salvare una persona come si porrebbe quello se sia lecito commettere il peccato per salvare qualcuno. Si sa però che la salvezza dell’anima non consente questa scelta, poiché non ci si salva se non con la giustizia; anzi la stessa salvezza esige che la collochiamo al di sopra della salute temporale non solo degli altri ma anche di noi stessi. Di fronte a ciò - dicono costoro - cosa concludere se non che, indubbiamente, non si deve mai assolutamente mentire? Non si può infatti affermare che fra i beni d’ordine temporale ce ne sia qualcuno più grande o più prezioso della vita e della salute fisica. E se nemmeno questi beni son da preporsi alla verità, quale motivo possono addurre coloro che ritengono che a volte sia lecito mentire, per dimostrare efficacemente questa loro sentenza?


Non si può mentire nemmeno per difendere il pudore.

7. 10. E veniamo ora al rispetto del corpo. Ecco, fa’ che ti si presenti una persona degna della massima stima e ti chieda insistentemente che tu dica una menzogna perché la insidia uno stupratore che si potrebbe tenere lontano con una menzogna. In questo caso -dicono certuni - si deve mentire senza alcun dubbio. È facile la risposta: non c’è pudicizia del corpo se non quella che deriva dall’integrità dell’anima. Se s’infrange quest’ultima, necessariamente cade anche l’altra, sebbene all’apparenza essa sembri rimanere intatta. Questo, perché non la si collochi fra i beni corporali, per cui la si possa strappare anche a chi ha volontà contraria. Ne consegue che l’anima non deve in alcun modo contaminarsi con la menzogna per giovare al proprio corpo, sapendo che il corpo rimane intatto se la corruzione non intacca l’anima. Infatti tutto ciò che il corpo subisce per una violenza esterna senza alcuna libidine antecedente deve chiamarsi sopraffazione, non corruttela. O, ammettendo che ogni sopraffazione sia corruttela, non ne segue che ogni corruttela sia riprovevole e viziosa! Lo è soltanto quand’è provocata da affetto libidinoso o quando con tale affetto ad essa si consente. Orbene, quanto l’anima è superiore al corpo, altrettanto più grave è il delitto di chi la corrompe. Là dunque si può conservare la pudicizia dove non ci può essere corruzione che non sia volontaria. Ma ecco che il corpo di una persona viene aggredito da uno stupratore che non si riesce ad ostacolare né opponendogli la forza né ricorrendo a persuasioni o menzogne. In tal caso, dobbiamo confessarlo, la pudicizia del violentato non è compromessa dalla sporca passione dell’aggressore.

E siccome non c’è alcun dubbio che l’anima è superiore al corpo, all’integrità del corpo va preferita l’integrità dell’anima: quell’integrità che potremo conservare per sempre. Ora, chi oserà dire che l’anima di colui che proferisce menzogne è integra? Questa in effetti è la definizione esatta della libidine: Appetito dell’anima per il quale ai beni eterni si preferiscono i beni temporali, di qualsiasi genere siano. Ne segue che nessuno può addurre ragioni valide per sostenere che almeno qualche volta è lecito mentire: fino a quando almeno non avrà dimostrato che con la menzogna si può conseguire qualche bene eterno. Ma se è vero che l’uomo tanto più si allontana dall’eternità quanto più si allontana dalla verità, è cosa quanto mai assurda asserire che uno allontanandosi dalla verità possa conseguire un qualsiasi bene. Ovvero, se c’è un qualche bene che sia eterno senza che rientri nella verità, questo non è un vero bene, e pertanto, siccome è un bene falso, non è nemmeno un bene. E come si deve stimare più l’anima che il corpo, così la verità deve stimarsi più dell’anima, con la conseguenza che essa deve essere desiderata dall’anima non solo più del corpo ma anche più di se stessa. Ciò facendo, in quanto gode dell’immutabilità propria della verità più che non della propria mutevolezza, l’anima ci guadagna in integrità e castità. Si pensi a Lot. Essendo talmente giusto da ospitare in casa sua anche gli angeli, diede ai sodomiti le proprie figlie perché abusassero di loro e in tal modo si violassero corpi di femmine e non di maschi 22. Ebbene, con quanto maggiore oculatezza e tenacia non dovrà conservarsi la castità dell’anima perché resti nella verità, se è certo che l’anima stessa è superiore al corpo più di quanto non lo sia un corpo maschile rispetto a un corpo di donna?

Non è lecito mentire per procurare ad alcuno la salvezza.

8. 11. Ci potrà essere chi ritenga lecita la menzogna detta ad uno a vantaggio di un altro per farlo vivere, ovvero perché non venga contrariato nelle cose che gli stanno molto a cuore, e così possa raggiungere, attraverso l’apprendimento, la verità eterna. Costui non si rende conto, prima di tutto, che non c’è nefandezza a commettere la quale non ci si possa costringere quando si avverano le stesse condizioni, come è stato esposto sopra. Inoltre è chiaro che l’autorità stessa della dottrina è eliminata e cessa totalmente se in coloro che vorremmo condurre alla verità, con la nostra menzogna creiamo la persuasione che qualche volta sia necessario mentire. Tener presente che la dottrina rivelata risulta composta di cose che in parte son da credersi mentre altre son da comprendersi: soltanto che alle verità da comprendersi non si può arrivare senza prima credere a quelle che debbono essere credute. Orbene, come si può credere a uno che ritiene, almeno qualche volta, necessaria la menzogna, senza pensare che egli menta anche quando ci ingiunge di credergli?
In base a che si può dedurre con certezza che egli non abbia anche in quel caso un qualche motivo per dire una menzogna»officiosa», come egli la considera? Egli infatti potrebbe pensare che l’interlocutore, spaventato dal racconto falso [che gli viene fatto], si astenga dagli atti di libidine; e pertanto come non dire che in tal modo egli con la sua menzogna abbia anche contribuito a farlo progredire spiritualmente? Notiamo tuttavia che, una volta ammesso e approvato un tale comportamento, va a rotoli tutta la normativa della fede e, scomparsa questa, non si arriva nemmeno alla comprensione [della verità], per ottenere la quale la fede nutre la mente dei piccoli. Pertanto, se si apre il varco per ammettere in qualche situazione la menzogna (anche quella chiamata «ufficiosa”), viene tolta di mezzo ogni norma di verità, la quale è costretta a ritirarsi di fronte alla falsità anche nelle sue forme più stravaganti.

Chiunque mente infatti antepone alla verità i vantaggi temporali, o propri o di qualche altro: ma ci può essere qualcosa più perversa di questa? Può anche darsi che uno ricorrendo alla menzogna intenda condurre un altro all’acquisto della verità; costui però nello stesso tempo gl’impedisce il raggiungimento della verità.

Volendo infatti conseguire la verità ricorrendo alla menzogna, si rende inattendibile anche quando dice la verità. Pertanto, o non si deve credere ai buoni, o bisogna credere a coloro che ritengono lecito dire menzogne, almeno in qualche caso, o bisogna credere che i buoni non dicano mai menzogne. Di queste tre ipotesi, la prima è perniciosa, la seconda insipiente. Si conclude che i buoni non debbono in nessun caso mentire.


Mentire per evitare mali peggiori.

9. 12. A questo punto la questione della menzogna potrebbe dirsi esaminata e risolta da entrambi i lati, ma la conclusione non deve trarsi con faciloneria. Occorre ascoltare quei tali che dicono non esserci azione così cattiva che non si possa commettere per evitare un male peggiore: e fra queste azioni umane sono da annoverarsi non solo gli atti che gli uomini compiono ma anche quelli che subiscono condiscendendovi. Ci si chiede, ad esempio, se non sia un motivo valido per cui il cristiano possa offrire incenso agli idoli quello di non consentire allo stupro che il persecutore gli minaccia in caso di rifiuto. Alla pari sembra [loro] lecito domandarsi se non sia lecito mentire per evitare la stessa infame sconcezza. Dicono costoro che il consenso prestato nell’offrire incenso agli idoli piuttosto che subire lo stupro non è una passione ma un semplice gesto : per non fare quella sconcezza ecco che uno preferisce offrire l’incenso. Ebbene, con quanto maggiore facilità non avrebbe dovuto scegliere la bugia se con essa gli fosse stato possibile sottrarre il corpo ad una oscenità così mostruosa?

Si critica questa argomentazione.

9. 13. Riguardo a questa argomentazione si possono fare diverse domande. E cioè: se un tale consenso può essere preso come un [semplice] fatto; se si può parlare di consenso dove non ci sia anche l’approvazione; se sia un’approvazione dire: «È meglio subire questo [male] che fare quest’altro»; se abbia agito bene colui che per non subire lo stupro ha offerto incenso agli idoli; se finalmente sia preferibile mentire piuttosto che offrire incenso, qualora capitasse una tale occasione. Orbene, se tale consenso è da ritenersi un fatto, sono omicidi anche coloro che preferiscono farsi uccidere anziché dire una falsa testimonianza; anzi il loro omicidio è più grave [perché commesso] contro se stessi. Perché infatti non dire che essi hanno ammazzato se stessi, se hanno scelto essi stessi che l’atto venisse compiuto contro di loro per non dover cedere alla costrizione? Ovvero, se si ritiene che uccidere un altro sia più grave che uccidere se stesso, che dire se a un martire venisse fatta la seguente proposta: tu non vuoi dire una falsa testimonianza su Cristo né immolare sacrifici ai demoni; ebbene dinanzi ai tuoi occhi ti viene ucciso non un qualsiasi uomo ma tuo padre, e lo si uccide mentre egli scongiura te, suo figlio, di non permettere col tuo persistere che una tale sventura gli accada.

Non è del tutto chiaro in questo caso che, se quel tale rimane saldo nella sua determinazione di dare una testimonianza di assoluta fedeltà [a Cristo], quegli altri, cioè coloro che gli uccidono il padre, sono certo degli omicidi, ma lui stesso non è un parricida? Egli non è stato corresponsabile di quell’enorme delitto avendo preferito che suo padre, uomo magari sacrilego la cui anima stava per andare in perdizione, venisse ucciso da gente estranea anziché macchiare la propria fede con una falsa testimonianza. Il suo consenso non lo ha infatti reso corresponsabile di così enorme delitto se lui personalmente non voleva compiere il male, e di fatto non l’ha compiuto, qualunque cosa abbiano poi fatto gli altri. In effetti, i persecutori che cosa dicono se non: Fa’ tu il male perché non abbiamo a farlo noi? E se davvero avendo fatto noi il male essi non lo facessero, nemmeno in questo caso noi dovremmo dare ad essi l’appoggio del nostro consenso.


Ma ecco che essi, pur non dicendo cose come queste, fanno il male: ora perché si dovrebbe essere detestabili malfattori e loro e noi, e non loro soli? In effetti il nostro operare non può chiamarsi consenso, poiché noi non approviamo quello che essi fanno, ma cerchiamo sempre [il bene] e, per quanto sta in noi, ci sforziamo d’impedire che facciano [il male] e, quanto all’azione cattiva, non solo non la compiamo insieme con loro ma la condanniamo detestandola con tutto il nostro animo, per quanto ci è possibile.


Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 15:33
[SM=g1740758] Evitare la collaborazione al peccato.

9. 14. Tu replichi: Come si fa a dire che quel tale non compie la tal opera se gli altri non l’avrebbero fatta qualora l’avesse fatta lui? In questa maniera siamo noi che sfondiamo la porta insieme con i predoni, poiché se noi non la tenessimo chiusa loro non la forzerebbero; siamo noi che uccidiamo la gente con gli assassini se per caso sappiamo che ciò essi avrebbero fatto, poiché se noi li avessimo uccisi prima [del delitto], essi non avrebbero ucciso nessuno. Supponiamo ancora che qualcuno ci confessi l’intenzione di commettere un parricidio. Noi siamo suoi conniventi se, potendolo, non lo uccidiamo prima che egli passi all’azione, ammesso che noi non possiamo trattenere l’omicida né impedire [il suo gesto] in altre maniere. In poche parole si può dire: Tu hai commesso [il delitto] insieme con lui, poiché egli non avrebbe potuto commetterlo se tu avessi posto quell’altro atto. Veramente, io non avrei voluto commettere nessuno dei due mali, ma son riuscito ad evitare soltanto quello che era in mio potere. Quanto all’altra parte dell’altrui colpa, io non potendola escludere con un atto della mia volontà, non dovevo impedirla con una colpa mia. Non approva quindi il colpevole colui che si rifiuta di peccare al posto di un altro, e nessuno dei due elementi peccaminosi approva colui che non si compiace di nessuno dei due, ma quello che era in sua facoltà lo esclude anche intervenendo, mentre l’altro lo disapprova solo con la volontà. E ora il caso dell’offerta dell’incenso.
A chi fa ad un cristiano la proposta: «Se tu non offrirai l’incenso, ti capiterà questo e questo», egli può rispondere: «Io non scelgo nessuna delle due cose a me proposte, le disapprovo di cuore tutt’e e due e non vi acconsento in alcuna maniera». Con queste parole o simili, certamente vere, si esclude da lui ogni consenso, ogni approvazione; e qualsiasi pena egli subisca da parte loro, è da considerarsi un maltrattamento da lui subìto mentre negli altri un reato commesso. Ma allora, dirà qualcuno, quel tizio doveva subire lo stupro piuttosto che offrire l’incenso? Se domandi che cosa fosse tenuto a compiere, egli non era tenuto a compiere né l’una né l’altra cosa. Se infatti ti dicessi che era tenuto a farne una delle due, dimostrerei che l’approvo; invece io le disapprovo tutt’e e due.

Può invece porsi la domanda: Quale delle due cose doveva evitare colui che non poteva evitarle entrambe ma solo una? Risponderei: Doveva evitare quella che era peccato per lui personalmente più che non quella che era peccato per l’altro, e questo anche se il suo peccato era più leggero e quello dell’altro più grave. Salvo una ricerca più approfondita, ammettiamo in via provvisoria che lo stupro sia un peccato più grave che non l’offerta dell’incenso; nel nostro caso però fare l’offerta è un peccato commesso in prima persona, mentre lo stupro un peccato commesso da un altro, anche se subìto dallo stesso soggetto. Ora il peccato è di chi compie l’opera [cattiva]. Infatti, per quanto l’omicidio sia una colpa più grave del furto, è tuttavia cosa peggiore commettere un furto che subire l’omicidio. Supponiamo dunque che ad un tizio venga proposto di rubare. Se non lo farà, verrà messo a morte, cioè si compirà un omicidio contro di lui. Non potendo evitare tutti e due i mali, egli dovrà evitare quello che è peccato suo piuttostoché quello che è peccato degli altri. Questo non diventerà peccato suo per il fatto che è stato commesso contro di lui e nemmeno perché lo avrebbe evitato se avesse commesso il suo peccato personale.


Mentire per evitare le profanazioni del corpo.

9. 15. Il nocciolo della presente questione si riduce a questo: sapere se nessuno dei peccati altrui, sebbene commesso contro di te, sia imputabile a te qualora tu possa evitarlo con un tuo peccato più leggero e non l’hai fatto. Non si dovrà per caso fare eccezione per le sudicerie con cui ci si imbratta il corpo? In effetti nessuno oserà dire che l’uomo è insudiciato quando lo si uccide o lo si getta in prigione o lo si incatena o lo si flagella o colpisce con altri strumenti di tortura o di strazio. Lo stesso se lo si proscrive o danneggia nelle forme più gravi fino a ridurlo all’estrema nudità, se lo si priva di ogni titolo onorifico e gli si scarica addosso tutta una serie di insulti e vituperi. Qualunque sofferenza fra quelle elencate uno abbia subìto ingiustamente, nessuno sarà così pazzo da dire che egli ne è stato contaminato. Ma poniamo il caso che uno venga coperto di escrementi o che roba come questa gli si sbatta in faccia o cacci in bocca o si abusi di lui come di una prostituta. Il sentimento di tutti, o quasi, aborrisce queste cose, e di chi le ha subite si dice che è stato contaminato e reso immondo.

Le conclusioni che derivano da tutto questo sono le seguenti: nessuno deve evitare mediante peccati propri i peccati altrui, qualunque essi siano, eccettuando quelle cose che rendono immondo colui sul quale si commettono; e quindi non si può peccare né per la propria né per l’altrui utilità, ma si deve affrontare il male e sopportarlo con fortezza. Se pertanto non è lecito evitare il male commettendo un qualsiasi peccato, non lo si può evitare nemmeno con la menzogna.
Riguardo poi alle aberrazioni che si commettono sull’uomo rendendolo impuro, le dobbiamo evitare anche con peccati nostri: i quali, essendo commessi per evitare appunto tale contaminazione, non meritano nemmeno il nome di peccato.
Non è infatti peccato ciò che, se non si facesse, ci attirerebbe [giusti] rimproveri. Si deduce da questo che le cose che si fanno perché non c’è alcun modo di evitarle non sono nemmeno da chiamarsi contaminazione. Anche in tale ipotesi infatti colui che le subisce ha un qualcosa di buono da compiere, e cioè sopportare con pazienza ciò che non gli è possibile evitare. Ora nessuno che fa il bene può essere contaminato dal contatto materiale con qualsiasi cosa [impura]. Dinanzi a Dio è impuro chi commette ingiustizie, mentre il giusto (qualsiasi giusto) è puro; e se non lo è dinanzi agli uomini, lo è certamente dinanzi a Dio, che giudica con verità. Pertanto, quando l’uomo subisce tali affronti, se ha facoltà di evitarli e non li evita, non viene reso impuro dal contatto materiale con le cose ma dal peccato per il quale, dandoglisi la possibilità, non ha voluto evitarli. Qualunque cosa poi sarà stata compiuta per evitarli, non sarà peccato; e quindi, se per evitarli uno fosse ricorso alla menzogna, non avrebbe peccato.


Illecite tutte le menzogne che nuocciono agli altri.

9. 16. Ma non bisognerà per caso eccettuare alcune menzogne, per le quali sia preferibile subire la contaminazione piuttosto che mentire? Se così fosse, ne risulterebbe che non tutto quello che si fa per evitare le sudicerie di cui sopra è esente da colpa. Lo dico di certe menzogne, commettere le quali è più grave che non subire l’oltraggio. Ecco uno, che un disonesto ricerca per violentarlo sessualmente e che invece con una menzogna si potrebbe tenere nascosto. Chi oserà dire che nemmeno in questo caso è lecito mentire? Ma se per occultarlo bisogna ricorrere a una menzogna che lede la fama altrui, incriminando falsamente questo secondo della contaminazione a cui si voleva sottoporre quell’altro? Se si dicesse, [ad esempio], a quel perverso il nome di un uomo casto e del tutto estraneo a simili disordini: «Va’ dal quel tizio, e lui ti procurerà senz’altro come qualmente tu possa scapricciarti a tuo piacimento. È infatti uno che conosce l’ambiente e ci gongola»? Ammesso che con tali parole si possa distogliere quell’uomo dal perseguire la persona ricercata, non saprei dire se si possa ledere con la menzogna la fama di uno per impedire che sia profanato dalla libidine di quel malintenzionato il corpo d’un altro. In realtà mai bisogna dire menzogne che rechino vantaggio a uno, se un altro ne viene danneggiato, anche se il danno di costui sia inferiore a quello dell’altro, che tu impedisci con la tua menzogna. Fa’ conto che si tratti del pane: se uno si rifiuta di darlo ed è in ottima salute, tu non glielo puoi togliere per sfamare un affamato. Così tu non puoi fustigare un innocente, che non voglia subire la pena, per evitare che un altro [innocente] venga ucciso. Se essi liberamente accettassero la cosa, la si faccia! Accettando loro personalmente, non c’è più lesione.

10. 16. Ci si chiede ora se si può macchiare la fama di una persona anche consenziente attribuendole falsamente il peccato di stupro per impedire che un’altra persona sia stuprata nel corpo. È una questione spinosa, e io non saprei dire se facilmente si possa trovare un motivo per concludere che è giusto macchiare con l’accusa d’uno stupro inventato la fama d’una persona consenziente piuttostoché macchiare col medesimo stupro il corpo di chi vi si oppone.

In fatto di religione la menzogna è sempre illecita.


10. 17. Ora ripensiamo a quel tale a cui si proponeva d’offrire l’incenso agli idoli piuttosto che subire delle sfrenatezze postribolari. Se per evitare questi abusi qualcuno si permettesse d’offendere con la menzogna il buon nome di Cristo, con questo suo comportamento si dimostrerebbe persona del tutto impazzita. Dico di più: egli sarebbe pazzo se per evitare un atto di libidine commesso da un altro, per impedire cioè che si compia un atto che egli subisce senza alcuna sua voglia libidinosa, falsificasse il Vangelo di Cristo lodando Cristo con lodi menzognere. Così facendo, dimostrerebbe di voler evitare la contaminazione del proprio corpo da un estraneo più che evitare di contaminarsi da se stesso nella dottrina che santifica le anime e i corpi. Pertanto occorre assolutamente evitare ogni sorta di menzogne quando si tratta di dottrina religiosa e di tutte quelle espressioni in cui si enunzia la dottrina religiosa, tanto nell’insegnarla quanto nell’apprenderla. Non si pensi che per un qualche verso si possano trovare motivi che autorizzino a mentire in questa materia, se è vero, com’è vero, che nella dottrina religiosa non è lecito mentire nemmeno per rendere più facile l’adesione ad essa. Vanificato o soltanto sminuito di un po’ il peso della verità, tutto rimarrebbe dubbio, perché certe cose, se non le si crede vere, non le si può ritenere nemmeno certe. Pertanto a un espositore o trattatista o predicatore delle verità eterne, o anche a un narratore o banditore di cose temporali che mirano ad edificare l’uomo nella religione o nella santità, sarà lecito tenere occulto per un certo tempo ciò che si ritiene dover restare occulto, ma non sarà mai lecito mentire e nemmeno occultare [la verità] ricorrendo alla menzogna.

Da escludersi tutte le menzogne che recano danno.

11. 18. Una volta stabilito con assoluta fermezza quanto or ora detto, si può con maggiore tranquillità indagare sulle altre menzogne. E come conseguenza logica segnaliamo subito che è da escludersi qualsiasi menzogna che ingiustamente leda la persona altrui. A nessuno infatti è lecito recare un danno, anche se leggero, per allontanare da un altro un danno magari più grave. Né si debbono tollerare quelle menzogne che, sebbene non nuocciano ad alcuno, non giovano a nessuno mentre nuocciono a chi le proferisce senza un perché. Chi mente così, propriamente merita il nome di impostore. C’è infatti differenza fra mentitore e impostore. È infatti mentitore anche chi mente contro voglia; impostore invece è colui che ama mentire e dentro l’animo in modo abituale si diletta della menzogna. Sono da prendersi in considerazione anche coloro che nel mentire si propongono di accattivarsi il plauso della gente. Costoro non danneggiano né offendono nessuno (questo genere di mentitori li abbiamo già condannati!), ma agiscono così per essere piacevoli nel loro discorrere. Questi tali differiscono dalla categoria degli impostori, di cui parlavamo sopra, perché questi provano gusto nel mentire godendo della falsità della cosa stessa, mentre questi altri intendono piacere per il loro parlare faceto ma vorrebbero piacere più ancora per la verità che dicono. Non trovando facilmente cose vere con cui rendersi graditi agli uditori, preferiscono dire menzogne anziché tacere.

È comunque difficile che questi bugiardi riescano una qualche volta a imbastire un racconto del tutto falso; in genere essi mescolano il falso con il vero, quando viene loro a mancare la vena del dire. Queste due specie di menzogna non danneggiano chi vi presta fede, poiché non lo si imbroglia nella dottrina concernente la religione o la verità né in qualcosa che gli rechi profitto o emolumento. A chi crede così è, infatti, sufficiente poter concludere che quanto gli viene raccontato sia potuto realmente avvenire, e in tal modo conservi fiducia nel narratore che non si può prendere per bugiardo senza validi motivi. Che pregiudizio infatti mi reca supporre che il padre o il nonno d’un tale sia stato una buona persona mentre non lo era? O che uno, facendo il soldato, sia arrivato magari in Persia, mentre di fatto non si è allontanato mai da Roma? Tali menzogne però son di grave danno a coloro che le dicono. Nuocciono agli uni perché si allontanano dalla verità per godere della falsità; nuocciono agli altri perché al piacere proprio della verità antepongono il loro piacere personale.


La menzogna che arreca vantaggi.

12. 19. Condannate senza esitazione di sorta queste specie di menzogna, saliamo gradatamente verso il meglio e consideriamo quella menzogna che la gente dice esser propria dei buoni e dei bendisposti: quando cioè chi la proferisce non solo non nuoce a nessuno ma a qualcuno procura vantaggi. Riguardo a questo genere di menzogne, tutta la controversia sta nel decidere se chi offende la verità per giovare a un altro non rechi danno a se stesso. È pacifico, certo, che merita il nome di verità solo quella che illumina le menti con la sua luce interiore e immutabile; tuttavia chi agisce così agisce contro un qualcosa di vero. Pur ammettendo infatti che i sensi del corpo si ingannano, è indubitato che si pone in contrasto con la verità colui che di una cosa asserisce che è così, o non così, senza che tale conclusione gli venga presentata o dalla ragione o dai sensi o da personali congetture o persuasioni. Stabilire quindi se un’affermazione che giova a un altro non nuoccia a chi la dice o non gli nuoccia, perché il danno è compensato dal vantaggio che si reca al prossimo, è una gran questione. Se fosse vero questo, ne seguirebbe che uno può anche procurare vantaggi a se stesso con una menzogna che non nuoce a nessuno. Son questioni collegate fra loro; e se le si accetta, ne derivano conseguenze che lasciano molto sconcertati. Ci si potrebbe chiedere infatti quale danno derivi a un uomo che nuota nell’abbondanza di beni superflui se dagli innumerevoli mucchi di frumento gli si sottragga un moggio, con il quale il ladro possa procurarsi il necessario per vivere.
La conseguenza sarebbe che si può impunemente anche rubare e dire falsa testimonianza senza commettere peccato. Ma quale conclusione potrebbe essere più sballata di questa? Ancora: si potrà ammettere che un tizio rubi quel moggio [di frumento] sotto i tuoi occhi e tu, interrogato del fatto, per favorire il povero possa dire una menzogna a coscienza tranquilla, mentre saresti colpevole se rubassi per rimediare alla tua povertà? Quasi che tu debba amare più il prossimo che non te stesso!... Se ne deduce che le cose sono tutt’e due sconvenienti, e quindi da evitarsi.


Menzogne oneste: ci sono? e quando ci sono?

12. 20. Forse qualcuno vorrà qui aggiungere una qualche eccezione e sostenere che ci siano menzogne innocenti: quelle cioè che, senza nuocere ad alcuno, recano anche dei vantaggi. Si escludono evidentemente quelle dette per occultare o difendere le azioni criminose. È infatti senz’altro riprovevole la menzogna che, pur senza danno per alcuno, anzi con utilità del povero, tuttavia serve ad occultare un furto; ma se non danneggiasse nessuno e a qualcuno recasse utilità né vi si nascondesse o difendesse alcuna azione peccaminosa, diremo che è cosa disonesta? Facciamo l’esempio che tu veda un tizio che sta nascondendo il proprio denaro per non farselo rubare o portar via per forza. Interrogato del fatto, tu dici una menzogna, che non reca danno a nessuno mentre è utile a colui che occulta il denaro. Col tuo mentire non commetteresti peccato, come non è peccato nascondere i propri averi di cui si teme la perdita. Ma se mentendo non pecchiamo in quanto non occultiamo alcuna colpa, né rechiamo danno ad alcuno né a qualcuno rechiamo vantaggi, come la metteremo nei confronti di quel peccato che è la menzogna di per se stessa? Dove sta scritto infatti: Non rubare, sta anche scritto: Non dire falsa testimonianza. Sono cose proibite tutt’e due. Perché dunque dovrebbe essere illecita la falsa testimonianza quando serve a nascondere il furto o qualche altro peccato, ed essere esente da colpa quando la si dice solo per mentire e non per difendere una qualche colpa? Il furto e gli altri peccati sono colpe di per se stessi: che quindi sia lecito fare il peccato, mentre è illecito occultarlo?

Menzogna e falsa testimonianza.

12. 21. È questa una conclusione assurda: e allora che diremo? Che non ci sia falsa testimonianza se non quando si mente per attribuire a qualcuno un delitto, o per nascondere il delitto commesso da qualcuno, o in qualsiasi modo per incolpare qualcuno in tribunale? Il testimone infatti sembra esser necessario al giudice per essere informato sul processo. Ma se la Scrittura facesse menzione del testimone solo a questo riguardo, l’Apostolo non direbbe: Noi risultiamo essere falsi testimoni di Dio se contro Dio abbiamo attestato che egli ha risuscitato Cristo dai morti, mentre invece non l’ha risuscitato. Con tali parole mostra che la falsa testimonianza è una menzogna, anche quando la si dice per elogiare falsamente qualcuno.

Falsa testimonianza e menzogna.

13. 21. Chiediamo se dica una falsa testimonianza colui che mente attribuendo a qualcuno un peccato o nascondendolo, ovvero se in qualche modo reca danno a qualcuno. Se infatti è riprovevole una menzogna che si dice per nuocere alla vita temporale di qualcuno, quanto maggiormente non lo sarà quella che danneggia la vita eterna? Tale è ogni menzogna che verte circa la dottrina religiosa, per cui l’Apostolo chiama falsa testimonianza la menzogna che tocca la persona di Cristo, anche se le parole sembrano contenere una sua lode. Ma supponiamo che si tratti di menzogne dette non per attribuire a qualcuno un peccato o per nasconderlo, menzogne che esulano da inchieste giudiziarie, menzogne dalle quali deriva dell’utile a qualcuno senza che nuocciano ad alcuno. Diremo forse che non sono false testimonianze né menzogne meritevoli di biasimo?

Se mente chi occulta un omicida o un innocente accusato di reato.

13. 22. Che dire pertanto se in casa di un cristiano si rifugi un omicida, o se un cristiano veda dov’egli si è rifugiato, quando di questo venga interrogato da colui che vuol mettere a morte quell’omicida? Dovrà per caso mentire? E se mente, non sarà forse per occultare il peccato, dal momento che quel tale per cui si mente ha commesso una scelleratezza? [Non peccherà] forse perché non gli vien chiesto qualcosa sul fatto peccaminoso ma solo nel luogo dove si è nascosto? Sarebbe dunque un male dire una menzogna per occultare il peccato che uno ha commesso e non sarebbe un male dirla per occultare colui che l’ha commesso?
Proprio così, dirà qualcuno. Non si pecca infatti quando si sfugge alla pena capitale ma quando si commette il peccato per cui si merita quella pena. Nella dottrina cristiana poi s’insegna a non disperare del ravvedimento di nessuno e a non chiudere ad alcuno l’accesso alla penitenza. Che dire però dell’evenienza che tu, condotto alla presenza del giudice, venga da lui interrogato proprio del luogo dove quel ricercato si nasconde? Risponderai per caso che non lo sai, mentre invece sai che è in quel luogo? Ovvero dirai: «Non lo so, non l’ho visto «pur sapendolo e avendolo visto? Vorrai dunque dire una falsa testimonianza, uccidendo la tua anima, perché non venga ucciso l’omicida? Vorrai dunque mentire finché non ti trovi di fronte al giudice, mentre quando il giudice ti farà un’esplicita domanda dirai finalmente la verità per non essere un falso testimone? Con il tuo palesare la cosa, tu allora ucciderai quell’uomo! La Scrittura divina infatti condanna severamente colui che rivela il colpevole. Diremo quindi che non ci si renda colpevoli di denunzia quando si risponde con verità al giudice inquirente, mentre si sarebbe rei palesando di propria iniziativa un colpevole per farlo condannare a morte? E che diremo se tu, informato del luogo dove si nasconda un cittadino giusto e innocente, venga interrogato da un giudice, mentre a condannarlo a morte sia un’autorità superiore [al giudice], per cui chi ti interroga sia un esecutore della legge e non il legislatore stesso? Forse che il mentire a pro’ dell’innocente non dovrà dirsi falsa testimonianza, perché a interrogarti non è il [vero] giudice ma un esecutore della legge? Che diremo quindi se ti interrogasse il legislatore in persona o un giudice [competente], il quale perché iniquo stia cercando di condannare a morte l’innocente? Che farai in tal caso? Dirai la falsa testimonianza o rivelerai quell’uomo? E poi, sarà veramente un delatore colui che di sua spontanea volontà indica a un giudice giusto il nascondiglio dell’omicida e non lo sarà colui che, interrogato da un giudice iniquo dove si nasconda l’innocente, da lui perseguitato a morte, rivela colui che si era messo fiduciosamente nelle sue mani? Rimarrai dunque dubbioso e incerto fra il delitto di falsa testimonianza e quello di delazione? Forse che stando in silenzio o ripromettendoti di non dir nulla potrai esser certo di aver evitato tutt’e due i mali? Perché allora, prima di comparire davanti al giudice, non vorrai evitare la menzogna? Evitando la menzogna, eviterai anche la falsa testimonianza, tanto se qualsiasi specie di menzogna è anche falsa testimonianza quanto se non lo è; se invece eviterai ogni falsa testimonianza, intesa come tu vuoi, non eviterai ogni specie di menzogna. Con quanto maggiore fortezza e nobiltà di spirito dirai dunque: Non lo denunzierò e non mentirò!


Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 15:35
[SM=g1740758] L’esempio del vescovo di Tagaste, Fermo.

13. 23. Questo fece or non è molto un vescovo di Tagaste che si chiamava Fermo e che nella volontà fu ancora più fermo. Egli aveva nascosto con massima solerzia un uomo che si era rifugiato presso di lui. Richiesto per ordine dell’imperatore, che aveva spedito delle guardie a prelevare quell’uomo, il vescovo rispose che non poteva né mentire né rivelare il nascondiglio del ricercato, e sopportando molti tormenti corporali (in quel tempo gli imperatori non erano cristiani) restò saldo nella sua decisione. Quando più tardi fu tradotto in presenza dell’imperatore, si mostrò d’una virtù così ammirabile da chiedere e ottenere lui stesso senza difficoltà la grazia all’uomo che aveva tenuto presso di sé. Cosa si potrebbe fare di più forte e coraggioso d’un tale gesto? Ma qualcuno, più pauroso, potrebbe obiettare: Io sarei disposto a tollerare ogni sorta di tormenti e ad affrontare la stessa morte per evitare il peccato; ma se non è peccato mentire quando non si reca danno a nessuno, non si dice falsa testimonianza e si fa del bene a qualcuno, è una stoltezza, anzi un grave peccato, sottoporsi inutilmente a tormenti volontari e gettar via di fronte a nemici imbestialiti la salute e la vita, che forse potrebbero risultare ancora utili. A costui domando perché tema la parola della Scrittura: Non dire falsa testimonianza e non tema quell’affermazione rivolta a Dio: Tu mandi in perdizione tutti coloro che proferiscono menzogne. Risponde: «Non è scritto: Ogni menzogna»; ma io lo intendo come se dicesse: «Tu mandi in perdizione tutti coloro che proferiscono falsa testimonianza». Infatti nemmeno in questo caso si dice: Ogni falsa testimonianza. Dice ancora: «Questa però è collocata fra quegli atti che sono cattivi sotto ogni punto di vista». «Ma non sarà così anche di quel testo che dice: Non uccidere?». Che se l’uccidere è in tutti i casi un’azione cattiva, come scusare da colpa quei giusti che, dopo che fu promulgata la legge, uccisero tante persone? Ti risponde che non uccide di persona colui che è esecutore materiale d’un precetto giusto. Il timore di questi obiettori io lo accetto, ma credo che quell’uomo encomiabile che non volle mentire né denunziare il suo protetto capì meglio la parola della Scrittura e mise in pratica con più coraggio ciò che aveva compreso.

Come rispondere a chi ti chiede dove si nasconde un ricercato.


13. 24. A volte si arriva al caso che non ci si domandi dove si trova colui che è ricercato né siamo costretti a rivelare dove si nasconda colui che, se noi non lo indichiamo, non può essere facilmente scoperto; ma ci si chieda soltanto se stia o meno in quel determinato posto. Se noi lo sappiamo, col nostro stesso tacere lo denunziamo, e così pure se diciamo che non riveleremo mai se egli sia o non sia in quel luogo. Da ciò infatti l’investigatore ricava che effettivamente egli si trova lì, poiché se non vi si trovasse, la persona interrogata che non volesse né mentire né rivelare il nascondiglio risponderebbe semplicemente: Non c’è. In questo modo sia con il nostro silenzio sia con le parole che diciamo riveliamo dove si trovi quell’uomo, e così colui che ne va in cerca entra nel nascondiglio, se ne ha il potere, e lo scopre. Con una nostra menzogna invece avremmo potuto impedire che lo trovasse. In conclusione, se non sai dove si trova non hai motivo per nascondere la verità, ma dovrai confessare che non conosci la cosa. Ecco invece che tu sai dove si trova colui che è ricercato, tanto se lo si cerchi là dove effettivamente si trova quanto se lo si cerchi altrove. Se a te si chiede se sia in quel luogo o in un altro, a questa richiesta (dove sia o dove non sia) tu non devi rispondere: Non ti dirò mai quello che tu cerchi, ma risponderai: So dove si trova, ma a te non lo indicherò mai. Se infatti nel rispondere non dirai niente del posto dichiarando però che dici così perché non lo vuoi rivelare, è come se mostrassi a dito il posto stesso. Susciti infatti un sospetto che non lascia dubbi. Se invece cominci col dire che tu conosci dove si trova ma non vuoi dirlo, può darsi che l’inquirente si tenga lontano da quel posto ma ti carichi di domande perché tu manifesti il suo nascondiglio. E se tu avrai da sopportare qualcosa per essere coscienzioso e benevolo e lo farai con fortezza, nessuno dirà che sei colpevole, ma tutti che meriti lode. Si escludono evidentemente i casi in cui chi ha da soffrire qualcosa lo fa non per motivo di fortezza ma di lussuria e disonestà. Questo tipo di menzogna è l’ultimo, e ne dovremo trattare con più accuratezza.

Si elencano otto specie di menzogna.

14. 25. La prima specie di menzogna, quella che è necessario evitare e fuggire sopra ogni altra, è quella che riguarda la dottrina religiosa. La si deve escludere da tutti senza alcun cedimento. Seconda è quella che danneggia ingiustamente qualcuno: che cioè è tale che a nessuno reca vantaggi mentre nuoce a qualcuno. La terza specie è data da quelle menzogne che, mentre a qualcuno giovano, ad altri recano danno, non però contaminando il corpo sì da renderlo immondo. La quarta è di quelle menzogne che si dicono solo per la voglia di mentire e trarre in inganno, cioè le bugie pure e semplici. La quinta specie è data da quelle menzogne che si dicono per il desiderio di farsi belli per l’arguzia nel parlare. Tutte queste specie di menzogna bisogna assolutamente evitare e disapprovare. C’è poi una sesta specie, che è quella in cui la falsità non arreca danno a nessuno mentre a qualcuno reca vantaggi. È il caso di uno che sa dove si trovi il denaro di un altro, e a chi vuol sottrarglielo ingiustamente dice, ricorrendo alla menzogna, che non lo sa, chiunque sia colui che lo interroga. Settima specie è quella menzogna che, senza nuocere ad alcuno, giova a qualche altro, e chi interroga non è il giudice. Ad esempio, uno mente per impedire che sia condannato a morte un ricercato, non solo se buono e innocente ma anche se colpevole. Rientrano infatti nella dottrina cristiana le massime che non bisogna disperare del ravvedimento di nessuno e che non si deve precludere ad alcuno l’accesso alla conversione. Riguardo a queste due specie di menzogna di solito vengono sollevate grandi controversie, ma di questo noi abbiamo già trattato a sufficienza mostrando la soluzione che preferiamo. È questa: gli uomini e le donne forti, muniti di fede e amanti della verità, debbono evitare anche questi due tipi di menzogna, sostenendo a tal fine le inevitabili molestie, che occorre sopportare con animo retto e grande fortezza. L’ottava specie di menzogne è quella in cui il mentire non danneggia nessuno e giova a qualcuno, preservandolo dall’essere contaminato nel corpo con una di quelle lordure che sopra abbiamo elencate, e non altre.

Infatti i giudei ritenevano che fosse una contaminazione anche il mangiare senza lavarsi le mani. Che se qualcuno chiamasse impurità anche questo, io non la ritengo tale che per evitarla si possa mentire. Se però si trattasse d’una menzogna che danneggia qualcuno, anche nel caso che ti preservi da quella contaminazione che la gente aborrisce e detesta [io mi chiederei ancora]: Si deve anche in tal caso dire una menzogna dalla quale non deriva un disordine che rientri tra quelle sudicerie di cui ora stiamo trattando? Ma è una questione diversa. Non si fa più infatti una ricerca sulla menzogna, ma ci si chiede se anche senza mentire si possa procurare a qualcuno un danno per eliminare una contaminazione da una terza persona. Per parte mia, io penserei che ciò non sia affatto lecito, anche se si trattasse di piccolissimi danni, come quello che sopra ho ricordato, cioè la perdita di un solo moggio. È pur vero che lascia molto perplessi il fatto che non dobbiamo arrecare a nessuno nemmeno il più piccolo torto, quando facendolo una qualche persona potrebbe essere riparata o protetta contro la minaccia di uno stupro. Ma questa, come ho detto, è un’altra questione.

Se è mai lecito mentire.


15. 25. Ora occupiamoci della questione accennata: è lecito o no mentire se ci si trovi nella situazione ineludibile o di dire una menzogna o di subire uno stupro o un’altra contaminazione altrettanto esecrabile, anche nel caso che con la menzogna non si danneggi nessuno?

Passi della sacra Scrittura che proibiscono la menzogna.

15. 26. Su questo argomento si aprirà un qualche spiraglio utile alla nostra considerazione quando avremo esaminato i libri dotati di autorità divina che proibiscono la menzogna. In effetti se essi non ci danno alcun fondamento è inutile che noi cerchiamo altrove le soluzioni. Bisogna infatti attenersi ad ogni costo al comando di Dio e seguire di buon grado la sua volontà anche se, per eseguire i suoi comandi, dobbiamo affrontare dei patimenti. Se viceversa rimanesse aperto un qualche varco, in tal caso non sarebbe obbligatorio rifuggire dalla menzogna. Le divine Scritture infatti descrivono non solo i precetti di Dio ma anche la vita e il comportamento dei santi, e così, qualora il senso di un qualche precetto risultasse oscuro, diventerebbe comprensibile attraverso l’agire dei santi. Bisogna tuttavia eccettuare quegli avvenimenti che si possono prendere in senso allegorico, sebbene non si possa dubitare che si tratti di fatti realmente avvenuti. Tali appunto son quasi tutti gli avvenimenti narrati dai libri dell’Antico Testamento. Chi infatti oserà dire che una qualche narrazione ivi contenuta non rientri fra le prefigurazioni simboliche? In tal senso anche l’Apostolo dice che i figli di Abramo raffigurano i due Testamenti, sebbene essi fossero nati e vissuti secondo l’ordine naturale con cui si propaga una stirpe, come è facilissimo rilevare. Non nacquero infatti in modo tale da poter essere presi come portenti o esseri straordinari, e così indurre l’animo di qualcuno ad attribuire loro un valore simbolico. Lo stesso diciamo di quel dono stupendo conferito da Dio al popolo d’Israele, quando lo liberò dalla schiavitù che l’opprimeva in Egitto, e dei castighi con cui lo punì per i peccati commessi durante la traversata [del deserto], sebbene Paolo affermi che ciò avveniva con valore di simbolo. Quali fatti dunque potrai tu trovare per considerarli una eccezione a questa regola e sui quali oserai affermare con sicurezza che non si possono prendere come una figura? Esclusi pertanto questi avvenimenti, gli altri, cioè le opere dei santi del Nuovo Testamento nelle quali c’è un richiamo chiarissimo perché ne imitiamo la condotta, vanno presi come esempi per comprendere quei passi delle Scritture che contengono precetti.

Porgere l’altra guancia.


15. 27. Leggiamo nel Vangelo: Hai ricevuto uno schiaffo? Presenta l’altra guancia. Orbene, della pazienza noi non troviamo un esempio più forte e sublime di quello datoci dal Signore stesso; eppure egli, quando fu schiaffeggiato non disse: «Eccoti l’altra guancia», ma: Se ho parlato male rimproverami del male; se invece ho parlato bene perché mi percuoti? Con ciò dimostra che l’offerta dell’altra guancia è da farsi nel cuore. È questa una cosa di cui anche l’apostolo Paolo era ben cosciente. Infatti quando fu preso a schiaffi dinanzi al pontefice non disse: «Percuoti anche l’altra guancia», ma: Il Signore ti percuoterà, o muro imbiancato! Tu [che] siedi per giudicarmi secondo la legge, e contro la legge mi fai colpire di percosse... Egli penetrava a fondo nella realtà che il sacerdozio giudaico era ormai diventato tale che, mentre all’esterno rifulgeva per il titolo, all’interno s’era insudiciato con desideri di fango. Dicendo quelle parole, egli illuminato dallo Spirito prevedeva che quell’istituzione sotto i colpi dell’ira divina stava per tramontare; eppure aveva il cuore pronto non solo a ricevere altri schiaffi per amore della verità ma anche a sopportare ogni genere di tormenti, amando sempre coloro da cui li riceveva.

Evitare il giuramento.

15. 28. Sta scritto ancora: Io però vi dico di non giurare in alcun modo; eppure l’Apostolo nelle sue lettere ricorre al giuramento, mostrando in tal modo come si debbano intendere le parole: Vi dico di non giurare in alcun modo. Significano che non deve succedere che a forza di giurare si passi alla facilità nel far uso del giuramento, dalla facilità nel giurare all’abitudine, e dall’abitudine si scivoli poi nello spergiuro. Per questo non si trova che Paolo abbia giurato altrove fuorché nei suoi scritti: qui infatti un’attenta considerazione impedisce alla lingua d’uscire in espressioni incontrollate. Con ciò egli si teneva lontano dal male, di cui è detto: Il di più viene dal male: non il male proprio certamente ma della fragilità di coloro nei quali anche in questo modo si sforzava di generare fiducia. Che egli abbia proferito giuramenti anche quando parlava e non scriveva, non so se la Scrittura ce ne dia una qualche notizia. Quanto invece al Signore, siccome egli dice di non giurare in alcun modo, nemmeno a chi scrive permette di giurare. Ma anche riguardo a Paolo, è delitto affermare che egli abbia colpevolmente trasgredito un comando [del Signore], specialmente perché le sue lettere sono scritte e propagate per la vita spirituale e la salvezza delle genti. Pertanto intenderemo l’espressione del Vangelo: In alcun modo come pronunciata nel senso che tu, per quanto sta in te, non ammetta, non ami, non desideri con compiacenza il giuramento come se fosse un bene.

Non preoccuparsi del domani.

15. 29. Vale qui quanto diciamo per le parole: Non preoccupatevi del domani, e per le altre: Non preoccupatevi del mangiare, del bere e del vestire. Vediamo in effetti che il Signore aveva una borsa dove venivano depositate le offerte che gli si davano, perché fossero serbate per gli usi necessari giorno per giorno; e negli Atti degli Apostoli leggiamo che gli apostoli erogarono molto denaro ai fratelli che erano nell’indigenza, e questo non per un giorno ma durante la carestia che si protrasse per un tempo assai lungo. Da ciò risulta con sufficiente chiarezza che quei precetti [del Signore] debbono essere intesi nel senso che noi non dobbiamo fare alcun’opera come costretti da necessità, né per l’avidità d’accumulare beni temporali né per il timore d’essere ridotti in miseria.

L’apostolo deve trarre sostentamento dal Vangelo.

15. 30. Nello stesso senso fu detto agli apostoli di non portare nulla con sé nei loro viaggi e di ricavare il vitto dal Vangelo. In un testo lo stesso Signore spiegò il motivo delle sue parole aggiungendo: Poiché l’operaio è degno del suo compenso. Dicendo così mostra chiaramente che si tratta di una concessione, non di un comando, per cui se uno avesse fatto ciò, se cioè nel predicare la parola avesse preso da coloro a cui si rivolgeva qualcosa necessario per vivere, non doveva pensare d’aver commesso una illegalità. Avrebbe potuto, naturalmente, rinunciarvi (e ciò sarebbe stato ancor più encomiabile), come appare evidente nell’apostolo Paolo, il quale tuttavia scriveva: Colui che viene istruito nella parola renda partecipe il catechista di tutti i suoi beni. E in molti altri testi ancora mostra che ciò veniva fatto fruttuosamente da coloro ai quali annunziava la parola, sebbene dica: Io di questa facoltà non mi sono mai avvalso. Il signore dunque, dicendo quelle parole, diede un permesso, non obbligò con un comando. Conclusione: Quando nelle parole non riusciamo a capirne il senso, dall’operato dei santi ricaviamo come bisogna intenderle, mentre se non fossimo trattenuti dai loro esempi, saremmo facilmente portati ad interpretazioni diverse.



Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 15:38

[SM=g1740758] La bocca del cuore.

16. 31. Si pone la domanda a quale bocca volesse riferirsi l’autore sacro quando scriveva: La bocca che mente uccide l’anima. Spesso infatti la Scrittura quando nomina la bocca si riferisce agli intimi recessi del cuore, dove si accetta con godimento e si determina ciò che si proferisce con la voce, allorché parliamo secondo verità. Ne segue che quanti godono della menzogna, nel cuore sono mentitori. Potrebbe invece non mentire col cuore colui che, dicendo a parole ciò che non ha nel cuore, lo fa sapendo di commettere del male ma si comporta così per evitare un male maggiore, spiacente di tutt’e due i mali [che gli si presentano]. Coloro che sostengono questo principio dicono che in tal senso bisogna intendere anche la parola della Scrittura: Colui che pronunzia la verità nel suo cuore. Col cuore infatti si deve sempre dire la verità, ma non sempre la si dice con le labbra: ad esempio, se a dire con la voce cose diverse da quelle che si hanno nell’animo costringa il motivo d’evitare un male maggiore. Che effettivamente anche il cuore abbia una bocca lo si comprende dal fatto che là dove ci sono parole non si può escludere che ci sia anche una bocca. Pertanto non sarebbe corretta l’espressione: Colui che parla nel suo cuore, se non si intendesse (e giustamente) che anche il cuore ha una bocca. Anzi, quello stesso testo dove è scritto che la bocca menzognera uccide l’anima, se si bada bene al contesto non lo si deve (forse) riferire ad altro che alla bocca del cuore. È oscura infatti una risposta quando rimane celata agli uomini: i quali non possono ascoltare [quanto dice] la voce del cuore se non risuona anche sulla bocca del corpo. Dice però la Scrittura nel testo citato che tale voce giunge all’orecchio dello Spirito del Signore, che riempie tutta la terra.

Nello stesso brano la Scrittura parla anche di labbra, di voce e di lingua; ma dicendo che son note al Signore non consente altro significato se non quello che si riferisce al cuore. Quando poi di quel suono si dice che colpisce il nostro orecchio, significa che esso non resta celato nemmeno agli uomini. Così infatti sta scritto: Lo Spirito della sapienza è amico dell’uomo e non libera il maldicente dalle sue parole. Dio infatti è testimone dei suoi sentimenti, indagatore verace del suo cuore e ascoltatore della sua lingua. Poiché lo Spirito del Signore riempie tutto l’universo, e colui che contiene tutte le cose [ne] conosce la voce. Per questo, l’uomo che dice cose cattive non può rimanere nascosto, né lo risparmierà il giudizio che viene a punire. Si farà un’indagine sui pensieri dell’empio: l’ascolto dei suoi discorsi verrà effettuato dal Signore, che lo castigherà delle sue azioni inique. Infatti l’orecchio geloso ascolta tutto, né gli è nascosto il chiasso delle mormorazioni. Guardatevi pertanto dalla mormorazione, che non giova a nulla, e impedite alla lingua d’essere maldicente, poiché anche una risposta segreta non rimarrà senza effetto. La bocca che mente poi uccide l’anima. Sembra quindi che le minacce siano rivolte a coloro che ritengono sia nascosto e segreto ciò che pensano e rimuginano nel cuore. Il testo sacro viceversa dimostra che ciò è talmente palese all’orecchio di Dio da chiamarlo addirittura un chiasso.

La bocca del cuore secondo il Vangelo.

16. 32. Anche nel Vangelo troviamo apertamente menzionata la bocca del cuore, tanto che in uno stesso luogo vediamo il Signore far menzione della bocca del corpo e di quella del cuore. Dice: Anche voi siete tuttora privi d’intelligenza? Non capite come tutto ciò che entra per la bocca va nel ventre e si scarica nella fogna? Quanto invece esce dalla bocca proviene dal cuore e questo sì che contamina l’uomo. Dal cuore infatti escono fuori i pensieri cattivi, gli omicidi, gli adulteri, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. E queste sono le cose che contaminano l’uomo. Se interpreti questo brano pensando a un’unica bocca, cioè quella del corpo, che senso darai alle parole: Le cose che escono dalla bocca provengono dal cuore? Dalla bocca del corpo infatti viene fuori anche lo sputo, anche il vomito. Né vorrai dire che non si venga contaminati col mangiare un cibo immondo, mentre ci si contamina col vomitarlo. Ma se questo è cosa quanto mai assurda, dobbiamo concludere che quando il Signore dice: Ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore, le sue parole vanno riferite alla bocca del cuore. Pensiamo qui al furto. Esso può essere compiuto (e spesso di fatto lo è) nel silenzio, senza cioè che si levino voci del corpo o della bocca; e sarebbe proprio roba da matti intendere la cosa nel senso che uno si contamina col peccato di furto quando lo confessa o lo rivela, mentre rimane incontaminato quando lo commette in silenzio. Se però le parole del Signore le riferiamo alla bocca del cuore, non c’è alcun peccato che si possa commettere senza parlare. Nessuna colpa infatti si commette senza che esca da quella bocca interiore.

Astenersi dalla mormorazione.

16. 33. Come ci si chiede quale sia la bocca di cui è detto: La bocca che mente uccide l’anima, così ci si può chiedere di quale menzogna si tratti. Sembra infatti che propriamente parli della menzogna detta per detrarre, poiché dice: Astenetevi dalla mormorazione, che non giova in alcun modo, e trattenete la lingua dalla detrazione. Ora questa detrazione si ha quando uno, mosso da malevolenza, con la bocca e la parola proferisce una cosa inventata ai danni di qualcuno; non solo, ma anche quando in silenzio vuole che quel tale sia creduto così. E questo è detrarre servendosi della bocca del cuore, cosa che, come ivi è detto, non può essere celata o nascosta a Dio.

Non voler proferire alcuna menzogna.

16. 34. Quanto è scritto in un altro passo, e cioè: Non voler proferire alcuna menzogna, dice qualcuno che non equivale a non dire mai alcuna menzogna. Qualche altro invece afferma che in forza di questa testimonianza della Scrittura tutte le specie di menzogna son da disapprovarsi. Infatti la cosa è detta in una forma così generica che, se uno volesse mentire, anche se poi di fatto non mentisca, sarebbe da condannarsi per la stessa sua intenzione. A tale interpretazione conduce il fatto che non vi si dice: «Non proferire alcuna menzogna», ma: Non voler proferire alcuna menzogna. Per cui nessuno dovrà mentire, non solo, ma nessuno dovrà avere la volontà di mentire dicendo falsità.

Elenco di menzogne da cui astenersi.

17. 34. Ecco ora venire un altro che dice: Ma certo!, per il fatto che dice: Non voler proferire alcuna menzogna impone l’obbligo di escludere e tener lontana ogni menzogna dalla bocca del cuore, e lo fa con parole tali che da certe menzogne occorre tenersi lontani anche con la bocca del corpo. Queste sono soprattutto le menzogne riguardanti la dottrina religiosa. Ce ne sarebbero poi altre da cui non ci si dovrebbe astenere dal proferirle con la bocca del corpo, quando lo richiede la necessità di evitare un male maggiore, mentre con la bocca del cuore dobbiamo in ogni caso astenerci da qualsiasi menzogna. In tal caso le parole: Non volere vanno interpretate nel senso che la stessa volontà è identificata con la bocca del cuore, per cui quando mentiamo contro voglia per evitare un male maggiore, la cosa non riguarda la bocca del cuore. C’è poi una terza interpretazione da dare alle parole: Non volere, la quale ti consentirebbe di mentire, escludendo però alcuni tipi di menzogna. Sarebbe come se ti si dicesse: «Non voler credere ad ogni uomo», dove non ti si dice di non credere a nessuno ma di non credere a tutti, sebbene a qualcuno tu possa credere. Riguardo poi alle parole con cui il testo prosegue, e cioè: La frequenza a mentire non arreca alcun bene, a quanto sembra, esse starebbero a significare che non è proibita la menzogna in sé ma la frequenza nel mentire, cioè l’abitudine e la voglia di mentire. In questo abuso cadrebbe evidentemente chiunque ritenesse lecito l’uso indiscriminato di qualsiasi menzogna, non evitando nemmeno quelle che si dicono in materia di fede e di dottrina religiosa.

Ma dove potremmo trovare un’enormità più grave di questa, non solo fra le menzogne ma anche fra tutti i peccati? In essa cadrebbe colui che con la volontà acconsente a dire una qualsiasi menzogna, magari semplice, magari innocua, ma la dice non contro voglia, per evitare mali maggiori, ma di proposito, per il gusto di mentire. Il testo in parola dunque può essere inteso in tre modi: primo, non solo non dire alcuna menzogna ma non aver la volontà di dire menzogne di sorta; secondo, non voler dire menzogne nemmeno contro voglia, sebbene ci sia da evitare un male più grave; terzo, non voler dire qualsiasi menzogna ma, escludendo alcuni casi in cui la menzogna è proibita, negli altri sarebbe permessa. Una di queste interpretazioni è sostenuta da coloro che non accettano in nessun caso la menzogna, le altre due sono accettate da coloro che pensano che a volte almeno si può mentire. Sulle parole che seguono [nel testo, e cioè]: La frequenza a mentire non arreca alcun bene, non saprei se le si possa prendere a sostegno della prima fra queste interpretazioni, a meno che non si ritenga che il non mentire affatto e la volontà di escludere ogni sorta di menzogna sia un precetto riguardante i perfetti, mentre la frequenza nel mentire sia un divieto che vale anche per i proficienti. Questo, perché se a tutti fosse ingiunto di non mentire mai e perfino di non nutrire la volontà di mentire, la cosa sarebbe contraddetta da esempi dove almeno alcune menzogne sono approvate da documenti assai autorevoli. Si potrebbe rispondere così: riguardano i proficienti i divieti di mentire ove ci sia di mezzo l’uno o l’altro dei doveri di carità da praticarsi nella vita presente, ma in generale ogni sorta di menzogna è un male, da evitarsi a tutti i costi dai perfetti e spirituali. Tant’è vero che la frequenza a mentire non è lecita nemmeno ai proficienti. Si è già parlato delle ostetriche egiziane, le cui menzogne furono approvate per l’intenzione che avevano di rendersi utili. C’è infatti un certo avvicinamento nell’amare la vera ed eterna sapienza quando si mente mossi da bontà d’animo, sia pure per procurare a qualcuno la salute nel solo ambito della vita mortale.

Dio disperde tutti i mentitori.

17. 35. Riguardo alle parole della Scrittura: Tu disperdi tutti coloro che proferiscono menzogne c’è chi dice che in esse non viene eccettuata nessuna menzogna ma tutte sono condannate. Al contrario qualcuno dice: Certo che è così, ma si parla solo di coloro che proferiscono menzogne con il cuore, come è stato esposto nel paragrafo antecedente. In effetti dice la verità con il cuore chi detesta la necessità di dover mentire ritenendola una punizione che grava sulla presente vita mortale. Un altro dice: Dio disperde tutti coloro che proferiscono menzogne, ma non tutte le menzogne. Il profeta infatti lascia sottintendere una particolare menzogna, sulla quale a nessuno si concede perdono. È quando uno non solo non riconosce il suo peccato ma lo difende, rifiutandosi di farne penitenza. Gli sembra roba da poco agire male, che anzi, pur volendo apparire giusto, non si sottopone alla medicina della confessione. La differenza stessa delle parole usate non sembrerebbe richiedere altra spiegazione [che questa]. Dice infatti: Tu hai in odio tutti coloro che operano il male, ma non li disperdi se pentiti dicono la verità nella loro confessione e operando la verità vengono alla luce, come è detto nel Vangelo di Giovanni: Chi fa la verità viene alla luce. Al contrario nell’altro testo dice: Tu disperdi tutti coloro che non solo compiono opere da te odiate ma anche proferiscono menzogne, pretendendo una falsa giustizia e ricusando di confessare la colpa e ravvedersi.

Sulla falsa testimonianza.

17. 36. Ora un cenno sulla falsa testimonianza, ricordata tra i dieci comandamenti. Al riguardo non si può in alcun modo sostenere che basti conservare nel cuore la verità mentre con la bocca si dice una falsa testimonianza ai danni di colui per il quale la si dice. Quando si parla con Dio basta certo esser fedeli alla verità con il cuore, ma quando si parla agli uomini occorre dire il vero anche con la bocca, perché all’uomo non è dato penetrare nel cuore. Riguardo però alla testimonianza in se stessa, non è assurdo chiedersi chi sia colui dinanzi al quale si è testimoni. Non siamo infatti testimoni con tutti quelli a cui parliamo, ma solo con coloro a cui compete, o è doveroso, conoscere la verità o credere, per mezzo nostro, alla verità. Tale è il giudice, perché non incorra in errore quando giudica; tale è colui che viene istruito sulla dottrina religiosa, perché non commetta errori nella fede o perché non abbia a dubitare e a restare perplesso sull’autorità del suo insegnante. Se viceversa viene a interrogarti o a chiederti informazioni uno che va in cerca di cose che non lo riguardano o non giova che lui le sappia, costui è uno che vuol trovare non un testimone ma un delatore. Se pertanto a costui rispondi con una menzogna, forse non avrai proferito una falsa testimonianza, ma sei certamente reo di menzogna.

Se una qualche volta sia lecito mentire.

18. 36. Assodato che non è mai lecito proferire una falsa testimonianza, si pone il quesito se una qualche volta sia lecito mentire. Se poi qualsiasi menzogna è una falsa testimonianza, è da vedersi se ammetta qualche compensazione che consenta di mentire per evitare più gravi peccati. È come per il precetto scritturale: Onora il padre e la madre. Lo si trasgredisce senza colpa quando urge un dovere superiore. Pensiamo a quel tale che il Signore chiamava per annunziare il regno di Dio: a lui fu dal Signore stesso proibito di tributare al proprio padre l’estrema onoranza della sepoltura.

Si discute su Prov 29, 27.

18. 37. Esaminiamo ora il passo della Scrittura che dice: Il figlio che accoglie la parola sarà molto lontano dalla perdizione; quando l’accoglie, l’accoglie per sé e nessuna falsità esce dalla sua bocca. Qualcuno afferma che nel testo citato, e cioè: Il figlio che accoglie la parola, il termine «figlio «non è da riferirsi ad altri che al Verbo di Dio, che è la verità. Pertanto il figlio che accoglie la parola, sarà molto lontano dalla perdizione va riferito a quell’altro testo: Tu disperdi tutti coloro che proferiscono menzogne. Quanto al seguito della frase: Quando l’accoglie, l’accoglie per sé, cosa vi si insinua se non quanto diceva l’Apostolo con le parole: Esamini dunque ciascuno la sua opera e così avrà la gloria in se stesso e non in altri? Chi infatti accoglie la parola, cioè la verità, non per se stesso ma per piacere agli uomini, non la conserverà integra qualora si accorga che con la menzogna può rendersi loro accetto. Se al contrario uno accoglie la parola per sé, mai alcuna falsità potrà uscire dalla sua bocca poiché, per quanto agli uomini possa piacere la menzogna, non si lascerà mai indurre a mentire colui che ha accolto per sé la verità, non quella per cui si piace alla gente ma a Dio. Non si può dire pertanto nel nostro caso che Dio disperde, sì, tutti coloro che proferiscono menzogne ma non ogni menzogna in quanto tale. Viceversa tutte le menzogne nel senso più ampio della parola sono riprovate nel testo: E nulla di falso esce dalla sua bocca. A questo punto qualcuno dirà che il testo potrebbe essere preso nel senso in cui l’apostolo Paolo prese la parola del Signore: Ma io vi dico di non giurare affatto. È questa infatti un’affermazione che esclude ogni giuramento. Lo esclude però dalla bocca del cuore, per cui non è mai consentito approvarlo con la volontà. Può essere invece reso lecito dalla necessità di andare incontro alla debolezza altrui, cioè da un male che affligge il prossimo, al quale non pare ci sia altra possibilità di fargli accettare quanto diciamo se non lo confermiamo col giuramento.

La liceità può dipendere anche da quel male che è in noi in quanto, rivestiti come siamo dall’involucro della mortalità, non riusciamo ad esternare il nostro cuore. Se avessimo questo potere, certo non dovremmo ricorrere al giuramento. Inoltre nella presente espressione presa globalmente [è consentito prendere] le parole: Il figlio che accoglie la parola sarà molto lontano dalla perdizione come dette della stessa Verità ad opera della quale tutto è stato creato, la quale resta sempre immutabile. E siccome l’insegnamento della religione mira a condurci alla contemplazione della Verità, può supporsi che le parole: E dalla sua bocca non esce alcuna falsità siano dette affinché non si dica alcunché di falso in ciò che riguarda tale insegnamento. È infatti, questa specie di menzogna, tale che non si deve ammettere alcun motivo che valga a giustificarla; la si deve anzi evitare radicalmente e con somma cura. Quanto alle parole: Nessuna falsità, è assurdo interpretarle come non riferite ad ogni specie di menzogna. E le altre: Dalla sua bocca, secondo l’esposizione precedente, cercherà di riferirle alla bocca del cuore colui che ritiene che in qualche caso sia ammesso mentire.

Gli uomini errano nella valutazione dei beni.


18. 38. La discussione su questo punto si presenta, certo, diversificata. Alcuni infatti sostengono che mai è lecito mentire, e a prova della loro asserzione citano testimonianze dei libri divini; contraddicono altri, i quali ricercano fra le testimonianze degli stessi libri divini parole favorevoli alla menzogna. Nessuno tuttavia può affermare che negli esempi o nelle espressioni scritturali si trovi qualcosa, anche solo apparente, da cui si possa concludere che sia consentito amare la menzogna o soltanto non odiarla. Al massimo si può ricavare che a volte è lecito, ricorrendo alla menzogna, fare qualcosa che si odia, per evitare un male ancora più detestabile. Facendo così però l’uomo cade nell’errore in quanto subordina cose preziose ad altre meno apprezzabili. Ammesso infatti che si possa tollerare un qualche male perché non abbia a succederne un altro più grave, ciascuno classificherà questi mali non secondo la norma della verità ma secondo le sue inclinazioni e consuetudini, e riterrà più grave non ciò che in realtà è da sfuggirsi con maggiore impegno ma ciò che personalmente ciascuno detesta di più. È questo un vizio prodotto in noi dal disordine nell’amare. Sono infatti due le nostre vite: la vita eterna, promessa da Dio, e la vita temporale che viviamo adesso. Se dunque uno comincia ad amare la presente vita temporale più della vita eterna, si riterrà in dovere di fare ogni cosa per la vita che predilige, e concluderà che non ci sono peccati più gravi di quelli che ledono questa vita o che ingiustamente e illecitamente le sottraggono un qualche vantaggio o la sopprimono del tutto mediante la morte.
Odiano pertanto i ladri, i sequestratori, i diffamatori, i torturatori e gli omicidi più che non i dissoluti, gli ubriaconi, gli sporcaccioni, se questi non recano molestia ad alcuno. Non comprendono, o non vogliono prendere veramente sul serio, il fatto che costoro offendono Dio, non perché nuocciano a lui ma perché danneggiano gravemente se stessi rovinando in se stessi i doni, anche di beni temporali, ricevuti da lui e compromettendo con i loro abusi gli stessi beni eterni. Questo vale soprattutto per coloro che son diventati tempio di Dio, come dice l’Apostolo nei confronti di tutti i cristiani: Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Chi profanerà il tempio di Dio, Dio lo abbatterà. È infatti santo il tempio di Dio, e questo tempio siete voi.




Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 15:42
[SM=g1740758] Varie specie di peccati.

18. 39. Abbiamo elencato peccati con i quali si danneggia la gente nei beni di questa vita e peccati con cui l’uomo si degrada ma non reca danno a nessuno che opponga resistenza. Ebbene tutti questi peccati, per quanto sembrino arrecare un qualche piacere o vantaggio per la presente vita temporale (senza tale intenzione o finalità nessuno li commetterebbe!), tuttavia nei riguardi della vita eterna sono un impedimento assoluto per coloro che ne sono avviluppati. E di essi alcuni creano impedimento solo a chi li commette, mentre altri sono d’impedimento anche per coloro a danno dei quali si commettono. Quando infatti si sottraggono agli iniqui i beni che si vuol conservare in vista dell’utile che arrecano nella vita presente, peccano soltanto coloro che commettono il male, estraniandosi così dalla vita eterna, e non coloro a danno dei quali si commette il male. Se pertanto uno si lascia togliere tali beni sia per non compiere il male sia per non subire conseguenze più gravi nei riguardi degli stessi beni, non solo non commette peccato ma agisce, nel primo caso, con fortezza e in modo encomiabile; nel secondo con profitto e senza cadere in colpa. Quanto invece ai beni che si tutelano per motivi di santità o di religione, se gli iniqui vorranno sottrarceli ricorrendo alla violenza, potremo salvaguardarli anche ricorrendo a peccati più piccoli, ma non certo recando del danno al prossimo, qualora questa condizione venga posta e ci sia possibilità [d’agire diversamente]. In tal caso quanto si compie per evitare i peccati più gravi cessa d’essere peccato. In questo senso, quando si tratta d’un qualche bene utile, come il denaro o qualche altro oggetto che risulti vantaggioso per il corpo, noi non parliamo di danno se si perde qualcosa per ottenere un guadagno più cospicuo. Allo stesso modo nelle cose sacre non chiamiamo peccato ciò che si compie per non commettere un peccato più grave. Che se si chiama danno anche ciò che si perde al fine di non perdere il di più, potrà anche quella perdita chiamarsi peccato, ma nessuno dubiti che lo si possa commettere per evitare il danno più grave, come nessuno dubita che occorre tollerare un danno minore al fine di evitarne uno maggiore.

Verecondia, castità, verità.


19. 40. Per conseguire la santità dobbiamo esser forniti di queste tre doti: la verecondia del corpo, la castità del cuore, la verità della dottrina. Quanto alla verecondia del corpo, nessuno può violarla senza il consenso e l’approvazione dell’anima. Non è infatti impudicizia una cosa, qualunque sia, che ci raggiunga nel corpo per una violenza esterna senza che noi diamo alcun consenso, anzi restando contrari. Riguardo a questo, possono esserci dei motivi per permettere la cosa ma nessuno per acconsentirvi. Vi acconsentiamo quando approviamo il male e lo vogliamo; non lo vogliamo invece ma solo lo permettiamo quando lo facciamo per evitare una qualche sconcezza più grave. Se al contrario si acconsente all’impudicizia del corpo, un tale atto viola anche la castità del cuore. In effetti la castità del cuore consiste nella volontà rivolta al bene e nell’amore sincero, che non è violato se non quando amiamo e desideriamo ciò che la Verità ci insegna di non dover amare o desiderare. Occorre dunque conservare la nitidezza della dilezione tanto verso Dio quanto verso il prossimo, poiché è con essa che viene consacrata la castità del cuore. Con tutte le forze e con devote suppliche ci si deve impegnare affinché, quando fosse insidiata la pudicizia del nostro corpo, nessuna attrattiva venga a toccare i sensi dell’anima, nemmeno quelli che, essendo più all’esterno, sono collegati con la carne. Se questo non sarà possibile, si conservi la castità del cuore negando il consenso [a tali moti].

Nella castità del cuore è poi importante conservare i requisiti dell’innocenza e della benevolenza, per quel che riguarda l’amore del prossimo, e la pietà per quanto riguarda l’amore di Dio. L’innocenza sta nel non nuocere ad alcuno, la benevolenza si ha quando ci rendiamo utili a chi ci è possibile; la pietà consiste nell’onorare Dio. Quanto alla verità della dottrina, della religione e della pietà, è questa che si viola quando si dicono menzogne, poiché la Verità in se stessa, la Verità somma e nascosta nell’anima che è all’origine della dottrina, non la si può in alcun modo violare. Ad essa si potrà giungere e con lei rimanere ed a lei aderire soltanto allorché questo corpo corruttibile avrà rivestito l’incorruttibilità e questo corpo mortale avrà rivestito l’immortalità. Ma siccome nella vita presente la pietà consiste totalmente in un esercizio con cui si mira ad acquistarla, a questo esercizio fa da guida la dottrina [della fede], che propone e inculca la stessa verità con parole umane e con segni concreti carichi di portata sacramentale. A tal fine anche questa dottrina, che di per sé può essere falsata dalla menzogna, dev’essere con la massima cura conservata incorrotta; e se in tale castità del cuore si fosse violato qualcosa, si procuri in ogni modo di rimediarvi. Se invece anche la dottrina venisse alterata nella sua autorevolezza, non potrebbe esserci più via né di andata né di ritorno per raggiungere la castità del cuore.

La salvaguardia della verecondia non autorizza menzogne.

20. 41. Da tutto quello che è stato detto si ricaverebbe la conclusione che per conservare la verecondia corporale si possa tollerare la menzogna, almeno quella che non lede né la dottrina della fede, né la pietà, né la rettitudine, né la benevolenza. Ma supponete che uno si proponga d’amare la verità, non solo quella che si vede nel contemplare ma anche quella che sta nel dire ciò che è vero in ogni circostanza. Supponete anche che costui con la bocca del corpo ritenga di non dover proferire alcuna parola che non sia stata concepita e vagliata nel proprio animo, preferendo la bellezza genuina derivante dalla fede non solo all’oro, all’argento, alle pietre preziose, ai campi fioriti ma anche alla stessa vita temporale e a tutti i beni del corpo. Non saprei dire come in questo caso ci possa essere chi ragionevolmente dica che ciò facendo egli è in errore. E se egli preferisse quel bene a tutte quelle altre cose e lo valutasse più di loro, lo dovrebbe anche per giustizia preferire ai beni degli altri uomini, che con la sua innocenza e benevolenza deve aiutare a salvarsi. Così amerebbe quella fede perfetta con cui non solo si crede integralmente a ciò che viene detto da autorità superiori e degne di fede, ma anche si proferisce con fedeltà quanto ciascuno giudica [di dover dire] e dice di fatto. In latino infatti la fede è chiamata fides per il fatto che quanto si dice si fa (= fit).
Ora uno che mente è chiaro che non mostra una tal fede; e se questa fede viene lesa di meno quando uno mente perché gli si creda, senza che ci siano peraltro conseguenze moleste per se stesso o dannose per gli altri e si ha, inoltre, l’intenzione di proteggere la salute o la pudicizia del corpo; tuttavia essa è sempre violata, e la violazione avviene proprio là dove è da conservarsi la castità e la santità del cuore. È dunque necessario anteporre la fede perfetta alla stessa pudicizia corporale; e a questa conclusione ci induce non l’opinione dell’uomo, che spesso è dominata dall’errore, ma la Verità stessa, che è assolutamente invincibile. La castità del cuore consiste infatti nell’amore ben ordinato, che non fa porre i beni maggiori al di sotto dei beni minori.

Ora bene minore è tutto ciò che può essere violato nel corpo rispetto a ciò che può essere violato nell’anima. E quando uno mente per salvaguardare la pudicizia del corpo, s’accorge certamente che solo la passione sregolata d’un estraneo, non la propria, minaccia di ledere il suo corpo, se egli la respinge per non partecipare alla colpa prestando il consenso. Ebbene, questo consenso dove risiede se non nell’anima? Anche la pudicizia corporale, quindi, non la si può deturpare se non all’interno dell’anima, poiché se l’anima non consente né dà il suo benestare, non si può propriamente parlare di violazione della pudicizia corporale, qualunque oltraggio a danno del corpo si commetta dalla libidine altrui. Se ne deduce che la castità dell’anima deve essere rispettata con cura tanto maggiore [che non quella del corpo] poiché nell’anima si custodisce anche la pudicizia del corpo. Concludendo: per quanto sta in noi, occorre che mettiamo al sicuro, con quelle mura e siepi che sono i buoni costumi e la condotta [irreprensibile], tutt’e due le cose, in modo che non vengano lese da agenti esterni. E se tutt’e due non le si può garantire, chi non vede quale sia quella che occorre sacrificare all’altra? Sappiamo infatti cosa è da valutarsi maggiormente, e cioè l’anima più del corpo, e non il corpo più dell’anima. Come dunque non vedere che la castità del cuore è da anteporsi alla pudicizia del corpo, e non la pudicizia del corpo alla castità del cuore? E riguardo al peccato, cosa si dovrà evitare con più cura: la tolleranza d’una colpa altrui o un’azione cattiva commessa da noi?

Riassunto.

21. 42. Dall’insieme delle discussioni fatte risulta con estrema chiarezza che dalle testimonianze scritturali addotte non ci viene altro monito all’infuori di quello di non mentire mai e poi mai. In realtà nella condotta dei santi e nelle loro opere non si trova alcun esempio di menzogna che debba essere imitato. Questo dico a proposito dei libri che non consentono accezioni figurate o simboliche, ad esempio i racconti riportati negli Atti degli Apostoli. Quanto invece ai fatti e ai detti del Signore narrati nel Vangelo, che ai meno colti sembrano menzogne, sono da prendersi in senso figurato. E così le parole dell’Apostolo: Mi sono fatto tutto a tutti per guadagnare tutti. È esatto interpretarle non nel senso che egli le abbia dette per mentire ma per adeguarsi ai deboli, mosso da tanta carità nel desiderio di liberarli come se egli stesso si trovasse in quel male di cui voleva fossero guariti gli altri. Non si deve dunque mentire quando è in gioco la dottrina religiosa: ciò sarebbe un grave delitto.
È questa la prima specie di menzogne, ed è quanto mai detestabile. Non si debbono proferire menzogne della seconda specie, perché non è lecito danneggiare nessuno. Non si debbono proferire menzogne della terza specie, perché non si possono recare vantaggi a uno con danno di un altro. Non si deve mentire con la quarta specie di menzogne, e cioè solleticati dalla voglia di mentire, cosa viziosa di per se stessa. Non si deve mentire con la quinta specie di menzogne, poiché, se non è lecito dire la verità con il solo intento di incontrare il plauso della gente, quanto meno sarà lecito proferire la menzogna, quella menzogna che di per se stessa, appunto perché è menzogna, è cosa disonesta? Non si deve nemmeno mentire con la sesta specie della menzogna; non è infatti cosa ben fatta distorcere la verità della testimonianza, anche se si trattasse di provvedere all’utilità e alla salute temporale di qualsiasi persona. Quanto poi alla salute eterna, nessuno può esservi addotto con l’ausilio della menzogna. Non è infatti possibile che uno si converta alla vita buona per la condotta riprovevole di chi lo porta a conversione, poiché se verso il proselito si potesse agir male, lo stesso convertito potrà poi fare lo stesso verso gli altri; e così egli non è convertito per compiere azioni buone ma cattive, dal momento che all’imitazione di lui, una volta convertito, si presenta quel falso che gli fu offerto perché si convertisse.

Non si deve mentire dicendo menzogne del settimo tipo. Infatti né i vantaggi temporali né la stessa salute di alcuno possono preferirsi al progresso nella fede. Che se anche ci fosse qualcuno che dalle nostre opere buone venisse spinto a un male così brutto da rovinarsi nell’anima e allontanarsi seriamente dalla [vera] religione, neanche per questo dovremmo cessare dal compiere il bene. Dobbiamo anzi tenere ben saldi quei valori a cui siamo obbligati a chiamare e invitare coloro che amiamo come noi stessi. E con animo altamente risoluto dobbiamo sorbire quella massima dell’Apostolo: Per alcuni siamo odore di vita per la vita, per altri siamo odore di morte per la morte: e chi mai è capace di questo? Non si debbono nemmeno dire menzogne dell’ottavo tipo, poiché, se si tratta di beni, è superiore la castità del cuore alla pudicizia del corpo; se si tratta di mali, ciò che noi facciamo è più importante di ciò che subiamo. In queste otto specie di menzogna, uno commette un peccato tanto più lieve quanto più si avvicina all’ottavo tipo, tanto più grave quanto più scende verso il primo. Se poi qualcuno pensasse che esista una qualche specie di menzogna che non sia peccato, mentre si ritiene un onesto truffatore del prossimo, cadrebbe lui stesso in un bruttissimo inganno.

La cecità dei paladini della menzogna.

21. 43. Ma c’è di più. Una cecità così assoluta ha invaso l’anima di alcuni uomini che a loro sembra roba da poco sostenere che certe menzogne non sono peccato, che anzi dicono che a volte è peccato non ricorrere alla menzogna. Difendendo poi l’onestà della menzogna son giunti a dire che lo stesso apostolo Paolo è ricorso a quella prima specie di menzogna, che fra tutte è la più esecrabile. Si riferiscono alla lettera ai Galati, uno scritto che, come gli altri libri biblici, fu composto per l’insegnamento della fede e della vera pietà, e dicono che egli abbia mentito in quel passo dove, parlando di Pietro e Barnaba, dice: Vedendo che non si comportavano rettamente, conforme cioè alla verità del Vangelo. Essi vogliono scusare Pietro dall’errore e da quella distorsione di comportamento in cui era caduto; ma nel loro tentativo, spezzando e distruggendo l’autorità delle Scritture, sovvertono la stessa via della fede, nella quale è riposta la salvezza di tutti gli uomini.

E non s’accorgono che facendo così riversano sull’Apostolo non solo la colpa d’una menzogna ma anche quella dello spergiuro, e questo nell’insegnamento stesso della fede, cioè in una lettera in cui annunzia il Vangelo. In essa infatti prima di giungere al fatto da noi ricordato dice: Riguardo a quello che vi scrivo, ecco, dinanzi a Dio io non mentisco. Con questo poniamo termine alla nostra dissertazione. Nel valutare le varie cose che sono state dette e in qualsiasi elaborazione delle medesime, più di tutto il resto si abbia in mente, e nella preghiera, quanto è espresso dal medesimo Apostolo con le parole: Dio è fedele e non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche una via d’uscita perché voi possiate resistere.


[SM=g1740771]


Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 16:33



AGOSTINO DI IPPONA
CONTRO LA MENZOGNA

Introduzione.


1. 1. Consenzio, fratello mio carissimo, tu mi hai mandato un abbondante materiale perché io lo legga. Sì, è proprio molto quel che mi hai mandato a leggere, e io già stavo preparando la risposta. Sono però stato impedito da varie altre occupazioni più urgenti, e così è trascorso un anno intero. Ora son messo alle strette, dovendoti rispondere ad ogni costo per non trattenere più a lungo il latore [del tuo scritto], che, sopraggiunta la stagione favorevole per la navigazione, desidera tornare in patria. Pertanto tutti i documenti che per tuo incarico mi ha recato il servo di Dio Leona, come li sfogliai e lessi quando mi furono recapitati, così li ho riletti più tardi, quando mi son deciso a dettare l’opera presente, valutando ogni cosa con quell’attenta riflessione che mi è stata possibile. Mi ha arrecato molto piacere la forma letteraria dello scritto, e così pure la tua conoscenza delle Sacre Scritture, l’acume del tuo ingegno, il dispiacere che ti spinge ad attaccare certi cattolici negligenti e anche lo zelo con cui inveisci contro gli eretici, compresi quelli che si tengono nascosti. Tuttavia non mi garba l’idea che per scovarli dai loro nascondigli si ricorra alla menzogna. Per qual motivo infatti cerchiamo di tenerli d’occhio e di scoprirli se non per sorprenderli e tirarli fuori in campo aperto, e così insegnar loro la verità o, quanto meno, perché essi, convinti dalla verità, non abbiano a nuocere agli altri? E questo facciamo perché la loro menzogna scompaia o sia evitata, e tragga incremento la verità di Dio. Orbene, come potrò con la coscienza a posto combattere le menzogne ricorrendo alla menzogna? Si potrà forse combattere il latrocinio con il latrocinio, il sacrilegio con il sacrilegio, l’adulterio con l’adulterio? Se infatti fosse vero che mediante la mia menzogna abbonderà la verità di Dio, diremo forse anche noi: Facciamo il male perché ne scaturisca il bene? La qual cosa vedi tu stesso come sia disapprovata dall’Apostolo.

Che vuol dire infatti quel tuo: “Mentiamo per riportare alla verità gli eretici mentitori” se non: Facciamo il male perché ne scaturisca il bene? O dovremo per caso ritenere che la menzogna qualche volta sia una cosa buona o che, almeno qualche volta, essa non sia un male? Perché dunque è stato scritto: Tu, Signore, hai in odio chi commette iniquità; condanni alla rovina tutti coloro che proferiscono menzogna? Non ha infatti eccettuato nessuno né ha detto in maniera generica: Tu condanni alla rovina chi proferisce menzogna, espressione che potrebbe intendersi riferita a qualcuno e non a tutti. Al contrario egli pronunzia una sentenza universalmente valida, dicendo: Tu condanni alla rovina tutti coloro che proferiscono menzogna. O che forse per non aver egli detto: “Tu condanni tutti coloro che dicono ogni sorta di menzogna” o “che proferiscono qualsiasi menzogna” dovremo ritenere che abbia concesso facoltà di dire delle menzogne? E cioè: Ci sarà per caso una qualche menzogna che, quando la si dicesse, Dio non condanna, mentre egli condanna tutti coloro che dicono la menzogna ingiusta, di fronte alla quale ci sarebbe anche la menzogna giusta, che noi dovremmo ritenere non una colpa ma un atto lodevole?


I priscillianisti difendono la loro opinione con testimonianze scritturistiche.

2. 2. Come puoi non accorgerti del profitto che la nostra discussione arreca a quegli stessi che cerchiamo di conquistare (considerando il risultato come una caccia grossa!) ricorrendo noi stessi alla menzogna? Questo comportamento è adottato dai priscillianisti, i quali, come tu personalmente hai rilevato, pretendono di dimostrarlo con testimonianze scritturistiche, ed esortano i loro adepti a mentire anche in base a presunti esempi dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli e degli stessi angeli. Non dubitano anzi di poter inserire in tale elenco lo stesso nostro Signore Gesù Cristo, in quanto ritengono che per dimostrare la veracità della loro falsità non c’è altro motivo se non dire che la stessa Verità ha proferito menzogne. Son metodi da disapprovare, non da imitare. E noi non dobbiamo condividere l’errore per il quale riteniamo i priscillianisti peggiori degli altri eretici. Si constata infatti che loro soltanto, o almeno loro principalmente, difendono l’onestà della menzogna quando serve ad occultare la verità di cui essi si stimano possessori. Quindi ritengono che un male così grande sia legittimo, insegnando che la verità basta conservarla dentro il cuore, mentre dire il falso alla gente non costituisce peccato. Quanto al testo scritturale: Colui che nel suo cuore dice la verità, esso, secondo loro, dovrebbe essere inteso nel senso che, sebbene uno con la bocca dica menzogne, rimane nella giustizia se ad udire tali menzogne non ci sia un amico intimo ma un estraneo qualunque. Secondo loro sarebbe questo il motivo per cui anche l’apostolo Paolo, dopo aver detto: Lasciata da parte la menzogna, dite la verità, aggiunge subito: Ciascuno al suo prossimo, perché siamo membra l’uno dell’altro. In altre parole, se si parla a gente che non ci è vicina per la mancanza della verità e non è unita a noi come membro del nostro corpo, è lecito, anzi è doveroso, dire menzogne.

L’errore dei priscillianisti vanifica ogni martirio.

2. 3. Un’affermazione come questa offende i santi martiri, anzi nega ogni martirio cristiano. A loro avviso, i martiri avrebbero agito con maggiore santità e saggezza se dinanzi ai persecutori non avessero confessato d’essere cristiani, impedendo che a motivo proprio della loro confessione i persecutori diventassero omicidi. Con la loro menzogna, cioè negando quel che realmente erano, essi avrebbero salvaguardato l’incolumità del proprio corpo e il proposito della propria volontà, e non avrebbero permesso ai persecutori di attuare l’omicidio progettato nel cuore. Costoro infatti non erano vicini al martire per la [comune] fede cristiana, perché si dovesse manifestare a loro con parole la verità della quale i martiri parlavano dentro il proprio cuore. Si trattava anzi di persone nemiche della verità. Come esempio di liceità nel mentire, gli eretici con sagacia tirano fuori, tra gli altri, quello di Iehu che con una menzogna affermò d’essere un devoto di Baal, al fine di uccidere i seguaci di questa divinità. E da perversi qual sono, argomentano: Con quanto maggior giustizia in tempo di persecuzione i seguaci di Cristo possono con una menzogna dire che sono adoratori dei demoni, perché gli adoratori dei demoni non uccidano i servi di Cristo? E se quel tale offrì sacrifici a Baal per uccidere degli uomini, con quanto maggior ragione i cristiani possono sacrificare agli idoli per impedire che degli uomini siano uccisi? Stando dunque all’eccellente insegnamento di questi linguacciuti, che danno ci sarebbe nel dire col corpo menzogne riguardanti il culto del diavolo, se nel cuore ci si conserva fedeli al culto di Dio? Ma non in questa maniera intesero l’Apostolo i martiri veri, i martiri santi. Fissarono nei loro occhi e ritennero fermamente le parole della Scrittura: Col cuore si crede per [ottenere] la giustizia, con la bocca si professa [la fede] per [ottenere] la salvezza, e le altre: Non si è trovata menzogna sulla loro bocca. In tal modo se ne sono andati con animo esente da colpa là dove non dovranno più guardarsi dalle tentazioni che ci procurano i mentitori, dal momento che nelle loro abitazioni celesti non avranno né lontani né vicini quanti dicono menzogne. Essi non avrebbero certamente imitato la condotta di Iehu nell’inquisire gli empi e i sacrileghi per ucciderli ricorrendo a un’empia menzogna e commettendo un cruento sacrilegio, nemmeno se la stessa Scrittura avesse tralasciato di dirci che razza di uomo fosse costui.

Siccome poi troviamo scritto che il cuore di lui non fu retto dinanzi a Dio, cosa gli giovò l’avere egli conseguito una ricompensa limitata e transitoria qual era il regnare per un certo tempo? Fu infatti per una tale ricompensa che egli obbedì all’ordine di distruggere totalmente la casa di Acab, mentre in realtà era animato dal desiderio di dominare. Ti esorto dunque, fratello, a sostenere come vera la scelta operata dai martiri, e cioè a non voler essere, nei riguardi dei mentitori, un maestro di menzogna ma un assertore della verità. Ti scongiuro di badare attentamente a ciò che ti dico: devi cioè convincerti di come sia da scartarsi l’idea che, per uno zelo certo lodevole ma tutt’altro che assennato, contro gli eretici possa adottarsi la dottrina [dell’inganno] al fine di prenderli nel laccio e così correggerli o, quanto meno, evitarli.

La menzogna è disdicevole ai cristiani cattolici.

3. 4. Molte sono le specie di menzogna, e noi le dobbiamo odiare tutte, senza distinzioni, poiché non c’è menzogna che non sia in contrapposizione con la verità. Verità e menzogna sono infatti cose contrarie fra loro come luce e tenebre, pietà ed empietà, giustizia e ingiustizia, peccato e opere buone, salute e infermità, vita e morte. Quanto più dunque amiamo la verità, tanto più dobbiamo odiare la menzogna. Tuttavia ci sono delle menzogne che, se le si crede, non recano alcun danno, per quanto l’intenzione di ingannare anche con questo tipo di menzogne non è esente da danni: i quali però ricadono su chi mente e non su chi gli presta fede. Se, ad esempio, quel nostro fratello, servo di Dio che era Frontone, nell’indicarti le cose che ti disse avesse proferito (Dio liberi!) una qualche menzogna, avrebbe recato danno a se stesso, non a te, anche ammesso che tu senza malizia avessi creduto a tutto quello che egli ti raccontava. In effetti, tanto se le cose fossero andate così [com’egli diceva], quanto se fossero andate diversamente, siccome esse non contenevano nulla che a crederle avvenute in un modo (mentre erano avvenute diversamente), chi vi prestava fede non doveva ritenersi reo di colpa per aver trasgredito una qualche norma della verità o la dottrina della salvezza eterna. Se viceversa uno mente in cose che a crederle si cade nell’eresia riguardo agli insegnamenti di Cristo, tanto più grave è la colpa del mentitore quanto più misera è la condizione di chi gli presta fede. Vedi dunque quanto grande colpa sia mentire, trasgredendo l’insegnamento di Cristo, in una materia che a crederla si va in perdizione, anche se ciò facciamo per tirare dalla nostra i nemici della dottrina di Cristo.

Noi intenderemmo condurli alla verità allontanandoci noi stessi da ciò che è vero; e non ci accorgiamo che, mentre vogliamo attirare gli impostori ricorrendo alla menzogna, insegniamo loro falsità ancora più gravi! Infatti quello che dicono quando mentiscono è ben diverso da quello che dicono a causa dell’errore in cui cadono. Ed effettivamente quando predicano la loro eresia essi palesano l’errore in cui si trovano, quando invece asseriscono o dottrine che non hanno o di non avere le dottrine che hanno, essi dicono delle falsità. È vero tuttavia che se uno non presta fede alle loro parole, sebbene non li riporti alla fede, lui almeno non va in perdizione. Non si allontana infatti dalla fede cattolica uno che prende per cattolico un eretico che mentendo fa professione di verità insegnate dalla Chiesa cattolica. Ciò che fa non lo danneggia poiché l’errore che commette riguarda l’interno dell’uomo (che rimanendo nascosto non può giudicarlo) e non la dottrina rivelata da Dio, che egli ha ricevuto e deve custodire [inalterata]. Se al contrario gli eretici si mettono a insegnare la loro eresia, chi presta loro fede e considera vera la loro dottrina condividendo il loro errore, incorre nella stessa condanna da loro meritata. Sì, va in perdizione chiunque presta fede alle dottrine perniciose che gli eretici propagandano con verbosità, tratti in inganno dal loro errore mortifero. Quando invece noi cattolici predichiamo i dogmi della religione cattolica, che riteniamo essere alla base della retta fede, allora chi li crede, se era andato perduto viene salvato.

Ecco ora il caso dei priscillianisti che per nascondere i loro veleni si camuffano da cattolici: se uno dei nostri crede alle loro parole sebbene essi se ne stiano nascosti, costui rimane cattolico. Diverso è il caso dei cattolici che, per smascherare gli eretici, ricorrendo alla menzogna dicono di essere priscillianisti: costoro dovranno per forza elogiare i dogmi insegnati dagli eretici facendoli passare per nostri. E allora chi ci crede o si rafforzerà nell’adesione alle loro dottrine o passerà subito alla loro setta, magari temporaneamente. Chi infatti può sapere con certezza ciò che recherà il futuro?, se cioè in seguito essi saranno condotti a libertà, quando noi diremo la verità, dopo che in antecedenza sono stati ingannati dalle nostre menzogne? Come daranno ascolto al nostro insegnamento quando si saranno accorti che noi siamo dei bugiardi? Chi ci assicura un risultato positivo? Chi non s’avvede che la cosa è del tutto incerta? Da tutto questo si conclude che è più perniciosa o, per essere più benevoli, più pericolosa la menzogna detta dai cattolici per convincere gli eretici che non quella che dicono gli eretici per sfuggire ai cattolici. In effetti, se uno presta fede ai cattolici che per attirare all’errore ricorrono alla menzogna, diventa eretico o si conferma nell’eresia. Al contrario, se uno presta fede agli eretici che con menzogna occultano la loro identità, non cessa di essere cattolico. Per chiarire queste affermazioni vogliamo esporre alcuni casi a modo di esempio, e li prenderemo soprattutto dagli scritti che tu mi hai mandato perché li leggessi.

Immaginiamoci ora un indagatore.

3. 5. Immaginiamoci ora un indagatore che furbescamente si mette in contatto con un tizio del quale ha sentito dire che è priscillianista e, ricorrendo alla menzogna, gli decanta le opere del vescovo Dittinio, nell’ipotesi che l’abbia conosciuto, o la sua rinomanza se non l’ha conosciuto di persona. È questa una cosa ancora tollerabile poiché costui, come ordinariamente si crede, era cattolico e si ravvide dell’errore in cui era caduto. Continuando poi nella sua strategia di usare l’inganno, gli parlerà con accenti di devota ammirazione di Priscilliano, persona empia e detestabile, condannato per le sue perniciose malefatte e i crimini commessi. Si metterà quindi a celebrarlo come uno che meriti venerazione: per cui, se quel tale che si vuol prendere al laccio non fosse stato per caso un priscillianista convinto, ascoltando questi elogi sarà confermato [nell’errore]. A questo punto il ragionamento dell’inquisitore si spingerà oltre e dirà che lui personalmente prova compassione per quanti dal principe delle tenebre sono stati avvolti dalle tenebre di errore così grave da non riconoscere più la dignità della propria anima e lo splendore della figliolanza divina. Procedendo ancora, colmerà di elogi il libro di Dictinio, intitolato Libra. Lo si chiama così perché si svolge in trattati concernenti dodici problemi, quasi fossero dodici once.
In tale Libra son contenute orribili bestemmie, ma quel conquistatore improvvisato dichiara che il libro è assai più prezioso di molte migliaia di libre d’oro; e così l’astuzia di chi ricorre alla menzogna uccide l’anima di quell’altro, se è credente, ovvero, se è già stato ucciso, lo sprofonda ancor di più nella morte e ve lo seppellisce. Ma tu replichi: Più tardi egli si libererà. E se questo non avvenisse? Potrebbe infatti sopraggiungere un qualche ostacolo che impedisca di portare a compimento il cammino iniziato, ovvero potrebbe riemergere l’ostinazione per cui la mente dell’eretico ricominci a negare le verità che, almeno in parte, aveva cominciato a confessare. Ciò accadrà più probabilmente se egli verrà a sapere che è stato provocato da un estraneo [alla setta]. In tal caso egli tenterà di occultare i suoi sentimenti ricorrendo alla menzogna e lo farà con maggiore audacia, avendo appreso anche dall’esempio del suo cattivo istigatore la certezza che può mentire senza incorrere in alcuna colpa. E noi con che coraggio oseremo disapprovare un tal comportamento in un uomo convinto che si può ricorrere alla menzogna per nascondere la verità? E come faremo a condannare una cosa che noi stessi insegniamo?

Chi segue il convincimento dei priscillianisti sulla menzogna, si allontana dal vero.


3. 6. Ma continuiamo! Noi seguendo la vera fede, senza esitazione alcuna condanniamo ciò che i priscillianisti, stando alla detestabile falsità della loro eresia, insegnano su Dio, sull’anima, sul corpo e tutte le altre cose; quanto invece alla loro opinione sulla liceità della menzogna per occultare la verità, ecco che noi saremmo disposti ad accettarla (Dio liberi!) come una dottrina nostra e loro. Orbene questo è un male così grave che, quand’anche il nostro tentativo di conquistarli e convertirli con la nostra menzogna conseguisse il reale successo di conquistarli e convertirli, non sarebbe questo un risultato di tanto valore da compensare il danno che ne è derivato: cercando il loro emendamento, infatti, ci siamo noi stessi pervertiti diventando simili a loro. In realtà con tale menzogna ci siamo noi stessi, almeno in parte, allontanati dal vero, ed essi si son ravveduti solo a metà, poiché non c’è stata correzione in quel che essi ritengono sulla liceità della menzogna quando si tratta di raggiungere la verità. Quanto poi a noi, ecco che diciamo e insegniamo quanto insegnano loro e imponiamo tale metodo come necessario per poter avvicinare gli avversari e farli ravvedere. Purtroppo invece non li costringiamo al ravvedimento in quanto non togliamo loro la falsa idea di credere lecita la menzogna per nascondere la verità. Ciò facendo, anzi, ci macchiamo noi stessi di colpa andando in cerca di loro per la via della falsità. Non troveremo motivi per credere che si siano veramente convertiti, se quand’erano fuori strada li abbiamo avvicinati con delle menzogne. Essi, una volta catturati [da noi], faranno verosimilmente quel che hanno subìto nella loro cattura, e lo faranno non solo perché erano abituati a fare così, ma anche perché trovano lo stesso comportamento presso di noi, nelle cui file dovranno entrare.


Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 16:34

[SM=g1740758] Con una menzogna si toglie la credibilità a tutta la dottrina.

4. 7. C’è poi una cosa ancora più brutta: che cioè loro, entrati ormai su per giù nel numero dei nostri, non possono trovare un motivo valido per prestarci fede, poiché nasce in loro il sospetto che anche nell’esporre il dogma cattolico noi ricorriamo alla menzogna per occultare non so quali altre cose da noi ritenute come vere. A un uomo che nutre tali sospetti tu certo dirai: “Ho fatto questo per trarti dalla mia”. Ma se costui ti replica: “Ebbene, come farò a sapere che non fai la stessa cosa anche al presente per non essere conquistato da me”, cosa risponderai? Si potrà forse cacciargli in testa che un uomo che mente per convincere gli altri, non menta per impedire d’essere accalappiato dagli altri? Vedi dove sfocia il male della menzogna! Esso porta logicamente a rendere sospetti non solo noi agli eretici e loro a noi, ma rende ogni fratello sospetto al suo fratello; e così, mentre si ricorre alla menzogna per insegnare la fede, si ottiene, al contrario, che non si abbia più fede in alcuno. Se poi nel mentire diciamo cose false nei riguardi di Dio, qual male altrettanto grave si potrà trovare in qualsiasi altro genere di menzogna, per cui lo si debba evitare assolutamente come la massima delle scelleraggini?

La menzogna è piú grave nel cattolico che nell’eretico.

5. 8. Nota ora come sia più tollerabile la menzogna nei priscillianisti che non in noi cattolici: essi sanno di parlare dicendo falsità, noi crediamo che con la nostra menzogna li possiamo liberare dalle falsità in cui si trovano a causa del loro errore. Ecco, il priscillianista insegna che l’anima è una particella di Dio e quindi della stessa sua natura e sostanza. È questa una grossa bestemmia che tutti detestiamo, poiché da ciò seguirebbe che la natura divina può essere imprigionata, ingannata e tratta in errore, che è soggetta a turbamenti e può insudiciarsi, essere dannata e soggetta a tormenti. Se pertanto la stessa cosa vien detta da colui che con parole di menzogna vuol liberare quell’uomo da un male così grave, consideriamo un istante la differenza che esiste fra i due bestemmiatori. “Grandissima!”, dirai tu. Infatti il priscillianista ciò afferma perché effettivamente lo crede, il cattolico lo afferma senza crederci, sebbene si esprima con le stesse parole. Dunque l’uno dice bestialità senza saperlo, l’altro con consapevolezza; l’uno peccando contro la scienza, l’altro contro la coscienza. Il primo è cieco perché ha idee false ma nel dirle ha almeno l’intenzione di dire la verità, il secondo nel suo intimo conosce la verità ma intenzionalmente proferisce la falsità. Tu replicherai: “Ma il primo parla così per indurre chi lo ascolta a condividere il suo errore e la sua rabbiosa acrimonia, l’altro per liberare la gente dall’errore e dall’insensatezza”. Sopra ho già mostrato quale disastro sia il fatto stesso di credere vantaggiosa una cosa del genere; ma ora vagliamo un pochino le cose come sono al momento presente, e come esse siano un male per le due persone che le fanno: in effetti il bene che il cattolico si ripromette per il futuro, cioè il ravvedimento dell’eretico, è cosa incerta. Orbene, chi dei due pecca gravemente: colui che inconsapevolmente inganna il prossimo o colui che con consapevolezza offende Dio?

Naturalmente, quale dei due mali sia peggiore lo comprende chiunque animato da sincera e operosa pietà antepone Dio all’uomo. Ma c’è di più. Se è lecito offendere Dio per indurre la gente a lodarlo, ecco che noi, di conseguenza, con l’esempio e l’insegnamento la incoraggiamo non solo a lodare Dio ma anche a bestemmiarlo, poiché mentre ci ingegniamo a condurla a lodare Dio ricorrendo a un parlare blasfemo, quando poi l’avremo condotta alla meta che ci prefiggevamo, essi impareranno da noi non solo a lodarlo ma anche ad offenderlo. Tale il bel regalo che rechiamo a coloro che vogliamo staccare dagli eretici usando metodi che non ignoriamo ma sappiamo bene essere blasfemi. In contrasto con l’Apostolo, che consegnava a satana certe persone perché imparassero a non bestemmiare, noi cerchiamo di strappare a satana la gente perché impari a bestemmiare, e ciò non in forza della sua ignoranza ma della scienza che ha raggiunto. Atteggiandoci a loro maestri, noi conseguiamo questo disastroso risultato: volendo conquistare gli eretici noi iniziamo col diventare noi stessi colpevoli di bestemmia contro Dio (e questo è cosa certa); quanto poi all’intenzione di istruirli nella verità e così liberarli dall’errore, la cosa è del tutto incerta.

Quanto grande è il male degli eretici quando ricorrono alla menzogna.

5. 9. Noi dunque insegniamo ai nostri di offendere Dio per ottenere che i priscillianisti li credano dei loro. Ebbene, proviamo a vedere quanto grande sia il male degli eretici quando ricorrono alla menzogna perché noi li crediamo dei nostri. Eccoli scomunicare Priscilliano e a detestarlo come faremmo noi: affermano che l’anima è una creatura di Dio e non una sua particella; deprecano i falsi martiri dei priscillianisti; esaltano con lodi sperticate i vescovi cattolici da cui quell’eresia è stata messa a nudo, osteggiata e repressa; e così via. Orbene, essi nella menzogna a cui ricorrono dicono la verità: non perché possa essere simultaneamente vera una cosa che in se stessa è menzogna, ma perché essi, se per un verso mentiscono, per un altro sono nella verità: mentiscono nel dire che sono dei nostri, ma dicono la verità su ciò che concerne la fede cattolica. Pertanto essi per non apparire priscillianisti dicono la verità; noi al contrario per volerli conquistare non solo parliamo con doppiezza, volendo dimostrare che siamo dei loro, ma diciamo delle falsità: di quelle che abbiamo conosciuto esser patrimonio della loro dottrina erronea. Quando dunque loro s’adoperano perché noi li crediamo dei nostri, ciò che dicono è in parte falso, in parte vero: è falso che loro siano dei nostri, è vero che l’anima non è una particella di Dio.

Quando invece noi vogliamo far credere che apparteniamo alla loro setta, le cose che diciamo son false tutt’e due, cioè che noi siamo priscillianisti e che l’anima è una particella di Dio. Ne segue che essi, quando si camuffano, lodano Dio, non lo bestemmiano; quando poi non si nascondono ma fan propaganda aperta delle loro dottrine, non sanno di bestemmiare, e quindi, se accade che si convertano alla fede cattolica si consolano con le parole dell’Apostolo, il quale, dopo aver detto fra l’altro: Un tempo io fui un bestemmiatore, aggiunge: Ho ottenuto misericordia perché agivo nell’ignoranza. A noi capita esattamente l’opposto quando, credendola giusta, ricorriamo alla menzogna per ingannare i priscillianisti al fine di conquistarli. Certamente noi diremo di appartenere a quella setta di blasfemi che sono i priscillianisti, e perché essi ci credano ecco che proferiamo delle menzogne. Nel far questo però non abbiamo la scusa dell’ignoranza: difatti in nessun caso il cattolico che bestemmiando vuol farsi prendere per un eretico potrà dire: Agivo nell’ignoranza.

Rinnega Cristo dinanzi agli uomini colui che lo rinnega con la menzogna.

6. 10. In questioni come la presente occorre ricordare sempre con timore, fratello, le parole: Chiunque mi rinnegherà dinanzi agli uomini, io lo rinnegherò dinanzi al Padre mio celeste. O pensiamo forse che non rinneghi Cristo dinanzi agli uomini colui che lo rinnega dinanzi ai priscillianisti al fine di metterli allo scoperto e con una menzogna blasfema attirare coloro che volevano restare sconosciuti? E chi potrebbe dubitare - dimmelo, per favore - che si rinnega Cristo quando di lui si dice che non è quello che è per davvero, e si dice che è quale lo credono i priscillianisti?

Obiezioni e repliche.

6. 11. Mi replicherai: In altra maniera noi non potremmo mai scovare quei lupi nascosti che si vestono di pelli di pecora e dai loro nascondigli assaltano il gregge del Signore recandogli gravi danni. Orbene, dimmi: Come si è giunti alla conoscenza dei priscillianisti prima che si escogitasse questa caccia basata sulla menzogna? Come si è giunti alla tana del loro fondatore, certo più astuto e quindi più nascosto? Come si è potuto mettere allo scoperto quei tanti loro personaggi ragguardevoli che poi sono stati condannati o quegli altri innumerevoli che in parte si sono corretti o, in parte, considerati come corretti sono stati misericordiosamente ammessi nella Chiesa? In effetti, quando il Signore vuole usare misericordia offre molte vie per giungere alla loro identificazione, e, fra queste, due sono più meravigliose delle altre, e cioè quando a manifestarli sono i loro stessi compagni, a loro volta ravveduti e convertiti: quegli stessi, cioè, che essi volevano adescare o che di fatto avevano già attirato a sé.
Questo si ottiene con più facilità se per abbattere il loro errore pestilenziale si ricorre non a raggiri menzogneri ma a dispute basate sulla verità. A mettere in iscritto opere di questo genere tu devi dedicarti, dal momento che il Signore ti ha dato la capacità di farlo; e vedrai come questi scritti salutari con cui si demolisce la loro insana aberrazione si divulgheranno con un continuo crescendo e diverranno di pubblico dominio fra i cattolici: tanto fra i vescovi, per i discorsi che tengono al popolo, quanto fra gli studiosi che hanno a cuore la causa di Dio. Tali scritti saranno le reti sante con le quali gli eretici saranno presi per il loro vero bene, senza che debbano essere accalappiati in trame di menzogna. Conquistati in tale maniera, confesseranno spontaneamente ciò che sono stati e, d’accordo [con noi], spingeranno al ravvedimento coloro che hanno conosciuti quand’erano nella loro setta o, mossi da sentimenti di pietà, ce li presenteranno. Se poi per caso si vergogneranno di dire in pubblico ciò che per lungo tempo hanno simulato e nascosto, a risanarli ci penserà Iddio, che agendo occultamente con la sua mano arrecherà loro la medicina.

Le menzogne sono da schivarsi per amore della verità, sono da uccidersi con le armi della verità.

6. 12. Risponderai: Ma è molto più facile per noi entrare nei loro meandri se fingendo diciamo d’essere dei loro. Se questo fosse lecito o vantaggioso, Cristo avrebbe potuto comandare alle sue pecore di andare dai lupi vestite di pelle di lupo e scovarli ingannandoli con questo sotterfugio. Eppure lui non ha detto così, nemmeno quando predisse che le avrebbe mandate in mezzo ai lupi. Replicherai: Ma lì non si trattava di andarli a cercare, essendo lupi oltremodo palesi; si doveva piuttosto subire la ferocia dei loro morsi. E cosa suggerì quando, annunziando i tempi successivi, disse che sarebbero venuti lupi affamati in veste di pecora? Non era forse lì il caso di suggerire quel che pensi tu e dire: Anche voi per riuscire a trovarli mettetevi addosso la veste dei lupi; internamente però restate pecore? Ma egli non disse nulla di questo; anzi, dopo aver detto: Molti verranno da voi vestiti da pecore ma dentro sono lupi rapaci, non aggiunse: [Li riconoscerete] attraverso le vostre menzogne, ma disse: Li riconoscerete dai loro frutti. Le menzogne sono da schivarsi per amore della verità, sono da imbrigliarsi con la rete della verità, sono da uccidersi con le armi della verità. Dio ci guardi dal vincere le chiacchiere blasfeme della gente ignorante ricorrendo consapevolmente a discorsi blasfemi; ci guardi dall’evitare il male dei mentitori imitando i loro comportamenti. Come infatti eviteremo il male se per evitarlo lo commettiamo? Se infatti per adescare colui che bestemmia nell’ignoranza mi metterò a bestemmiare nella consapevolezza, quello che io faccio è peggio di ciò che acquisto col farlo. Se per catturare uno che nega Cristo senza saperlo io rinnegherò Cristo sapendo [ciò che faccio], colui che così conquisto sarà uno che mi segue nella perdizione. Io già quando lo ricerco sono perduto, prima di lui.

Rinnega Cristo anche chi con la bocca asserisce cose a cui nel cuore non crede.

6. 13. Dovrà dirsi per caso che chi s’adopera di scovare i priscillianisti ricorrendo alla menzogna non rinnega Cristo, perché con la bocca asserisce cose a cui nel cuore non crede? Quasi che (come notavo sopra) dopo le parole: Con il cuore si crede [per avere] la giustizia, siano state aggiunte senza alcun significato le altre: Con la bocca si professa la fede per [avere] la salvezza! Non è forse vero che quasi tutti coloro che rinnegarono Cristo dinanzi ai persecutori conservarono nel cuore la fede in lui, e tuttavia, siccome con la bocca non lo confessarono per avere la salvezza, per questo andarono in rovina, almeno quelli che non tornarono in vita facendo penitenza? Ci potrà essere qualcuno così insipiente da pensare che l’apostolo Pietro nel rinnegare Cristo avesse in cuore ciò che diceva con la bocca? Non c’è dubbio che egli nella sua negazione conservò in cuore la verità, mentre all’esterno proferiva la menzogna. E allora, perché volle lavare con le lacrime le parole uscite dalla sua bocca, se per essere salvo gli fosse bastato ritenere quel che aveva nel cuore? Perché, pur conservando la verità con il cuore, volle punire con un pianto così amaro la falsità pronunziata con la bocca? Non lo fece forse perché si rendeva conto della grande rovina che s’era procurato allorché, pur credendo con il cuore (e così avere la giustizia), con la bocca non aveva confessato la verità per avere la salvezza?

Non giova avere la verità sulla bocca, se non si crede a ciò che si dice.

6. 14. In conseguenza di ciò, il detto scritturale: Colui che dice la verità nel suo cuore, non dev’essere inteso nel senso che sia sufficiente conservare la verità dentro il cuore, mentre con la bocca si possono dire menzogne. Lo si dice, al contrario, perché potrebbe accadere che uno dica la verità solo con le labbra: la qual cosa non gli gioverebbe in alcun modo se non la conservasse anche dentro il cuore, se cioè quando parla non crede per fede a ciò che dice. È quanto fanno gli eretici e segnatamente i priscillianisti, i quali non credono alla verità della fede cattolica, ma ne parlano per farsi credere che sono dei nostri. Costoro certo dicono la verità con la bocca ma non l’hanno nel cuore, e per questo occorreva fossero separati da colui del quale si dice: Colui che dice la verità nel suo cuore. Quanto invece al cattolico, egli ha nel cuore la verità perché realmente così crede; e pertanto deve averla anche sulla bocca per proclamarla. Riguardo poi alla falsità, che alla verità si oppone, egli non può averla né in cuore né sulle labbra, se veramente in cuore crede al fine di ottenere la giustizia e con le labbra fa la professione di fede per conseguire la salvezza. Non per niente infatti in quel medesimo salmo, dopo le parole: Colui che dice la verità nel suo cuore, si aggiunge subito: Non commette falsità con la sua lingua.

Nel proporre la verità occorre discernimento.

6. 15. Vanno ricordate anche le parole dell’Apostolo: Spogliandovi della menzogna, dite la verità ciascuno al suo prossimo, poiché siamo membra l’uno dell’altro. Non sia mai che le interpretiamo nel senso che ci sia permesso ricorrere alla menzogna quando trattiamo con coloro che ancora non sono, insieme con noi, membra del corpo di Cristo. Esse al contrario vanno interpretate nel senso che ognuno di noi deve considerare l’altro come desidera che divenga, sebbene ancora non ci sia divenuto, come ci mostrò il Signore quando di quel samaritano, che era uno straniero, disse che fu il prossimo di colui al quale usò misericordia. È dunque da considerarsi prossimo, non estraneo, colui con il quale stiamo lavorando perché non rimanga a noi estraneo; e se, per il fatto che non è ancora partecipe della nostra fede e dei nostri sacramenti gli si debbono tener nascoste certe verità, tuttavia non è mai lecito dirgli delle imposture.

Senso di Phil 1, 15-18.


6. 16. Anche nell’epoca apostolica ci furono certuni che predicavano la verità non secondo la verità, cioè non con sincerità di cuore: gente di cui l’Apostolo dice che annunciavano Cristo non con animo casto ma mossi da invidia e voglia di litigare. Anche allora dunque si dovettero tollerare alcuni che predicavano la verità con animo non retto; mai però risulta che siano stati lodati coloro che predicavano la falsità facendolo con animo retto. Di loro è detto: Tanto se Cristo è predicato perché ci siano pretesti quanto se lo si fa per amore della verità; ma in nessuna maniera è detto: Si rinneghi pure Cristo; basta che poi lo si annunzi.

6. 17. Ci son dunque molti modi per mettersi sulle piste degli eretici senza denigrare la fede cattolica e senza lodare l’empietà degli eretici stessi.



Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 16:35
[SM=g1740758] Non c’è buona intenzione che giustifichi la menzogna.

7. 17. Ammettiamo per un istante che per tirar fuori dalle sue spelonche l’empietà degli eretici non ci sia assolutamente altro mezzo che l’uscire dal sentiero della verità da parte della lingua del cattolico. Dico che sarebbe più tollerabile lasciar nascosta quell’empietà che non far cadere un fedele nel precipizio [della falsità]; sarebbe più tollerabile che le volpi restassero occulte nelle loro tane anziché, per prenderle, i cacciatori cadessero nel baratro della bestemmia; sarebbe più tollerabile che la perfidia dei priscillianisti rimanesse occultata dal velo della verità, piuttosto che la fede cattolica fosse rinnegata dai cattolici che la professano. E questo, anche se viene fatto per impedire ai priscillianisti di lodarla con parole di menzogna. Ma supponiamo che possano essere giustificate le menzogne, non dico quelle ordinarie ma quelle che suonano bestemmia, per il fatto che le si dicono allo scopo di smascherare gli eretici occulti. In questo modo, se cioè li si commette con buona intenzione, dico che sarebbero onesti anche gli adultèri. Che dire infatti se una delle tante male femmine dei priscillianisti s’incanti a guardare un Giuseppe cattolico e gli prometta di rivelargli i nascondigli degli eretici, se da lui otterrà di soddisfare la passione che le arde in corpo, né si possa dubitare che, ottenuto il consenso, lei manterrà il suo proposito? Penseremo che sia cosa ben fatta? O non penseremo piuttosto che per un risultato di questo genere non sia lecito pagare un prezzo così alto? Perché dunque non ci permettiamo di scovare gli eretici e catturarli abbandonando il corpo all’adulterio, mentre ci crediamo autorizzati a farlo consentendo alla bocca di prostituirsi con la bestemmia? Infatti o dobbiamo difendere alla pari le due cose e non qualificarle come illecite, perché nessuna delle due è stata compiuta con l’intenzione che renderebbe gli uomini ingiusti; ovvero, se la verace dottrina della fede proibisce di aver con donne disoneste almeno rapporti corporali (per non parlare della mente), evidentemente non ci permetterà nemmeno di diffondere la sporca dottrina degli eretici o di incriminare la genuina fede dei cattolici ricorrendo a falsità dette a voce (anche se non condivise con la mente) allo scopo di attrarre gli eretici. In effetti la decisione della mente, alla quale deve obbedire ogni atto inferiore dell’uomo, non sfuggirà alla disapprovazione che merita tutte le volte che fa qualcosa di illecito, lo si faccia con un organo del corpo o lo si faccia per mezzo della parola. Infatti anche quando il male si compie con la parola, lo si compie con un membro del corpo, in quanto la lingua di cui ci si serve per parlare, è una delle nostre membra. Non c’è azione che si effettui con una delle nostre membra che non sia stata prima concepita nel cuore; anzi, ogni nostro atto è una realtà concreta già quando lo si pensa dentro e dentro si acconsente ad esso, e poi, quando lo si compie con le membra, viene soltanto messo alla luce. Pertanto l’anima non è scusata, quasi che non abbia commesso il fatto, se una cosa, sebbene non si compia direttamente con l’anima, tuttavia non la si farebbe se l’anima non avesse deliberato di farla.

Le cose di cui si sa che sono peccati non si possono fare per nessun motivo.

7. 18. Di somma importanza è certamente stabilire il motivo, il fine e l’intenzione per cui ogni opera si compie; tuttavia le cose di cui si sa che sono peccati non si possono fare per nessun motivo: né per ottenere un buon risultato né per raggiungere un fine giudicato buono né quando esiste una qualche intenzione ritenuta buona. In realtà, riguardo agli atti umani che di per sé non sono peccati, essi sono o buoni o cattivi secondo il motivo, buono o cattivo, che li determina. Così, ad esempio, dare il cibo ai poveri è un’opera buona se la si compie per misericordia mossi da retta fede. Così i rapporti sessuali fra coniugi: son buoni se li si compie per procreare, intendendo inoltre procreare figli perché siano rigenerati [nel battesimo]. Queste azioni, e tante altre simili a queste, sono buone o cattive secondo le loro cause; e pertanto le stesse opere qui menzionate si cambiano in peccato se fatte con motivazioni cattive; se, ad esempio, si sfama il povero per mettersi in mostra, se si sta con la moglie per soddisfare la libidine o se si generano figli perché siano allevati non secondo Dio ma al servizio del diavolo. Se poi si tratta di opere che di per se stesse sono peccato, come il furto, lo stupro, la bestemmia e così via, chi mai oserà dire che le si possa compiere per una giusta causa, ottenendo che esse non siano più peccato o, quel che è più assurdo, supponendo che possano essere peccati onesti e legittimi? Supponiamo che uno dica: Andiamo a rubare ai ricchi per avere qualcosa da dare ai poveri, ovvero: Spacciamo false testimonianze, specialmente di quelle che non danneggiano gli innocenti e con le quali si possono sottrarre i colpevoli alla condanna dei giudici. Che dire al riguardo? In realtà con la diffusione di tali menzogne si ottengono due risultati buoni: il denaro, lo si prende per sostentare il misero; il giudice viene tratto in inganno per impedire che un uomo sia punito.

Ma allora, se ci si dà la possibilità, perché non facciamo scomparire i testamenti legittimi e ne tiriamo fuori dei falsi, affinché le eredità o i lasciti non vengano in mano degli indegni, che non ci farebbero niente di bene, ma piuttosto li ottengano coloro che li useranno per nutrire gli affamati, coprire i nudi, accogliere i pellegrini, riscattare i prigionieri, costruire le chiese? Perché, dico, in vista di tali beni non si dovranno compiere quelle cattive azioni, le quali, appunto perché ordinate a dei beni, non sono neppure cattive in se stesse? Orbene facciamo il caso che delle donne corrotte e facoltose si mostrino pronte a sborsare denaro dandolo ai loro amanti e drudi. Perché in tal caso un uomo dall’animo compassionevole non dovrebbe accettare le loro concessioni tanto ben congegnate, quando se ne può servire per una causa così buona com’è quella di soccorrere i bisognosi? È evidente però che egli non darebbe ascolto all’Apostolo, che dice: Colui che rubava non seguiti a rubare ma al contrario si dedichi al lavoro, e con le proprie mani si procuri un capitale per avere di che soccorrere chi è nel bisogno. In effetti, se un’azione cattiva compiuta allo scopo di fare il bene fosse buona, non solo non sarebbe cosa cattiva ma buona il furto; e lo sarebbero anche la falsa testimonianza, l’adulterio e ogni altra azione cattiva. Ma chi oserà affermare cose come questa all’infuori di coloro che si propongono di sconvolgere la vita dell’uomo e ogni sorta di morale e di legalità? In effetti, ammesso che in ogni mala azione umana si debba ricercare non l’atto che si compie ma il motivo per cui lo si compie, di quale delitto, anche il più efferato; di quale sconcezza, anche la più turpe; di quale sacrilegio, anche il più esecrando, non si dirà che è giusto e normale che lo si compia? E lo si compirà non solo sfuggendo alla pena ma anche ottenendone gloria, e perpetrandolo non s

olo non si avranno supplizi da temere ma ci saranno premi da sperare! Tutto questo ogni volta che trovandoci di fronte ad azioni cattive ma compiute per motivi buoni, per questo le riteniamo non più cattive [ma buone]. Ecco tuttavia che la giustizia umana punisce, e giustamente, il ladro, anche quello che afferma e dimostra d’aver preso al ricco soltanto roba a lui superflua e d’averlo fatto per dare al povero quanto gli era necessario. E punisce ancora e giustamente il falsario, anche quello che proclama d’aver modificato l’altrui testamento, perché diventasse erede non colui che non avrebbe fatto nessuna elemosina ma colui che avrebbe largheggiato in elemosine. E [la stessa giustizia] punisce giustamente l’adultero anche quando riesca a dimostrare d’aver commesso l’adulterio per motivi di misericordia, ad esempio perché mediante l’opera della sua ganza egli può liberare dalla morte una persona. E finalmente, per avvicinarci all’argomento che c’interessa, ecco che la giustizia condanna, e giustamente, un uomo che ha relazioni adulterine con una donna consapevole della depravazione dei priscillianisti, anche se egli lo fa per individuare i loro nascondigli. Ma, per favore, non dice forse l’Apostolo: Non offrite le vostre membra al peccato perché siano armi di iniquità? Ne segue che non dobbiamo usare per delle azioni illecite, neanche con l’intenzione di identificare i priscillianisti, né le mani né gli organi della generazione né qualsiasi altro membro del corpo. Qual è dunque il torto che ci ha fatto la nostra lingua, o la bocca, o gli organi della voce perché li mettiamo al servizio del peccato, e di peccato così grande qual è quello di bestemmiare il nostro Dio, senza l’attenuante dell’ignoranza, col pretesto di sottrarre alle bestemmie che nell’ignoranza dicono i priscillianisti che siamo riusciti a catturare?

La diversa gravità dei diversi peccati.

8. 19. Qualcuno obietterà: Non c’è dunque differenza fra il ladro comune e il ladro che ruba con l’intenzione di compiere opere di misericordia? Non è questo che si afferma, ma soltanto che dei due l’uno non è buono perché l’altro è peggiore. È certamente peggiore colui che ruba per avidità di denaro che non colui che ruba per motivi umanitari; ma se è vero che ogni furto è peccato, bisogna evitare ogni furto. Chi infatti oserà dire che si può peccare perché, mentre un peccato merita condanna [eterna], un altro è suscettibile di perdono? Ecco ora della gente che ha commesso questo o quel peccato, e noi vogliamo appurare non chi abbia commesso una colpa più grave e chi una più leggera, ma chi abbia peccato e chi non abbia peccato. In effetti, considerando i vari furti, non c’è dubbio che il furto, qualunque esso sia, è dalla legge punito con minore severità che non lo stupro. Sono, è vero, tutti e due peccati, ma ci sono peccati più leggeri e peccati più gravi; e pertanto il furto, anche quello commesso per la voglia d’arricchire, è colpa più leggera che lo stupro commesso per soccorrere [chi è in necessità]. Se si rimane sulla stessa specie di peccati, quelli che, a quanto pare, si commettono con buona intenzione sono più lievi degli altri della stessa specie; ma paragonati con peccati di altra specie, essi risultano più gravi di quelli che nella loro specie son di minore gravità.
È pertanto colpa più grave commettere un furto per avidità di danaro che commetterlo per motivi di compassione; è più grave commettere uno stupro mossi da lussuria che mossi da motivi di filantropia; comunque, è più grave commettere l’adulterio, magari a scopo di beneficenza, che non rubare per avarizia. E noi al presente non discutiamo sulla gravità maggiore o minore dei vari peccati, ma su che cosa sia peccato e che cosa non lo sia. Nessuno infatti oserà dire che è lecito peccare quando risulta chiaro che una cosa è peccato. Quel che vogliamo asserire noi è soltanto questo: ammesso che questa o quella cosa sia peccato, la si deve tollerare o no?
Esame di casi problematici riportati nella Sacra Scrittura.
9. 20. Occorre qui confessare che effettivamente si legge di certi peccati “compensativi”, di fronte ai quali la coscienza dell’uomo rimane turbata al punto da ritenerli meritevoli di lode o, quanto meno, da chiamarli azioni ben fatte. Chi infatti potrà mettere in dubbio che sia un grave peccato se un padre prostituisce le figlie offrendole alle brame lussuriose di uomini empi? Eppure ci fu un motivo sufficiente per cui un uomo giusto si ritenne autorizzato a comportarsi così, e fu perché i sodomiti, mossi da uno scellerato impulso di libidine, facevano ressa per abusare dei suoi ospiti. Egli disse: Io ho due figlie non ancora maritate. Vi concederò queste perché ne usiate come vi pare; voi però non dovete commettere iniquità su questi uomini, essendo entrati nella mia capanna. Che dire al riguardo? Non restiamo forse inorriditi di fronte al delitto che i sodomiti tentavano di compiere sugli ospiti di quell’uomo giusto, a tal segno da giustificare qualunque cosa che gli fosse stato possibile fare affinché quel male non si facesse? A questa conclusione ci spinge fra l’altro la persona che compiva quell’azione: persona che appunto per la sua giustizia veniva liberata da Sodoma. Siccome dunque è male minore lo stupro commesso su una donna rispetto a quello commesso su un uomo, si potrebbe dire che rientrava nella giustizia di quell’uomo giusto anche l’avere scelto che si abusasse delle sue figlie piuttosto che dei suoi ospiti.
E questa cosa egli non soltanto volle in cuor suo ma anche la suggerì a parole e, se loro avessero accettato la proposta, l’avrebbe compiuta nei fatti. Se però noi apriamo questa via, che cioè noi possiamo commettere peccati minori perché gli altri non ne commettano di maggiori, passando per un’apertura così larga com’è questa, anzi essendo scomparsa ogni delimitazione e abbattuti e rimossi tutti i confini, tutti i peccati avranno libero ingresso e stabiliranno [in noi] il loro dominio. Ammesso infatti che noi possiamo commettere un peccato più leggero per impedire che un’altra persona ne commetta uno più grave, sarà lecito impedire a un altro lo stupro con un furto commesso da noi, l’incesto con un nostro stupro; e se esiste un’empietà che [a noi] sembri peggiore dell’incesto, si dirà che noi possiamo commettere anche l’incesto se in questo modo si otterrà che quella empietà non venga perpetrata da quell’altra persona. In questo modo, nell’ambito di ogni singolo peccato, si crederà lecito commettere furti per furti, stupri per stupri, incesti per incesti, sacrilegi per sacrilegi; crederemo lecito commettere noi i peccati anziché farli commettere agli altri, e non solo peccati più leggeri in luogo di più gravi ma anche (venendo alle estreme e più gravi conseguenze) un minor numero di peccati anziché un numero più considerevole. Così, almeno, quando la piega dei fatti ci porta a concludere che gli altri non si tratterranno dal peccato se noi stessi non commetteremo peccati, magari più leggeri ma sempre peccati.

Ecco ad esempio, un nemico che, avendone il potere, viene a dirti in maniera risoluta: “Se tu non vorrai perpetrare quella scelleraggine, io ne combinerò una maggiore”, ovvero: “Se tu non commetterai quel delitto, io ne commetterò parecchi di più”. In tal caso potrebbe sembrarci lecito commettere noi stessi il delitto volendo che l’altro si astenga dai suoi. Ebbene, ragionare in questo modo cos’altro è se non sragionare o, meglio, vaneggiare? Io infatti ho l’obbligo d’evitare la condanna che deriva a me dalla mia colpa, non dalla colpa altrui, sia che il male venga perpetrato contro di me che contro altri. Dice infatti: L’anima che pecca, lei [e non altri] morrà.

Esempio di Lot e di Davide.

9. 21. È dunque certo che noi non dobbiamo peccare personalmente per impedire che gli altri commettano peccati più gravi contro di noi o contro qualunque altro. Pertanto ci si impone una valutazione sull’operato di Lot, per stabilire se costituisca per noi un esempio da imitare o non piuttosto da fuggire. E qui è da considerarsi e da notarsi in primo luogo - come sembra - il male spaventoso che incombeva sopra i suoi ospiti per la scelleratissima empietà dei sodomiti: male che Lot voleva impedire, ma non ci riusciva. In tale frangente anche l’animo di quel giusto poté essere turbato al segno da voler fare un’opera che, stando non ai dettami dell’oscura procella causata dal timore umano ma alle esigenze della serena tranquillità della legge divina, questa, se da noi consultata, ci avrebbe gridato che non lo si doveva fare. Ci avrebbe senz’altro comandato di astenerci da ogni peccato nostro personale e di non cedere in alcun modo al peccato per il timore dei peccati che potrebbero commettere altri. In realtà quell’uomo giusto era spaventato per i peccati di altri (sebbene essi deturpino la coscienza soltanto di colui che vi acconsente), e nel suo turbamento non badò al peccato che egli stesso commetteva concedendo le proprie figlie alla lussuria di quegli empi. Quando nella sacra Scrittura leggiamo cose come questa, non dobbiamo pensare che, siccome le riteniamo cose realmente avvenute, possiamo concludere che anche a noi sia lecito farle. Ciò ammesso infatti, per imitare certe azioni, finiremmo col violare i comandamenti [del Signore]. E ora vediamo il caso di Davide, quando giurò d’uccidere Nabal, ma poi considerando la cosa con animo più pacato si astenne da quella uccisione. Diremo dunque che dobbiamo imitare Davide giurando con leggerezza di fare una certa cosa che più tardi ci accorgiamo di non dover fare? Ma osserviamo. Quando Lot si proponeva di prostituire le figlie, il suo animo era turbato dal timore; quando Davide giurò a cuor leggero, era turbato dall’ira. E se ci fosse consentito d’indagare su tutt’e due i personaggi e domandare loro perché abbiano fatto quelle cose, il primo ci potrebbe rispondere: Sono piombati su di me timore e spavento e le tenebre mi hanno avvolto; e Davide ci direbbe: Il mio occhio era annebbiato dall’ira. E dopo ciò, non resteremmo meravigliati che l’uno nelle tenebre del timore e l’altro avendo l’occhio ottenebrato [dall’ira], non riuscirono a vedere ciò che era doveroso vedere per non compiere atti che non si dovevano compiere.

Considerazione sull’operato di Lot e di Davide.


9. 22. Veramente a quel santo che era Davide bisognava dire, e molto giustamente, che non si doveva in alcun modo adirare, nemmeno contro quell’ingrato che gli ripagava il bene con il male; ma se in quanto uomo si lasciava prendere dall’ira, questa passione non doveva dominarlo al segno da fargli giurare una cosa che se fatta sarebbe stata una crudeltà, non facendola egli avrebbe commesso uno spergiuro. Lot al contrario si trovava di fronte alle voglie insane di quei luridi sodomiti. Orbene, in tale situazione chi avrebbe osato dirgli parole come queste: Ecco tu hai fatto entrare in casa tua questi ospiti, persuadendoli con la dolcissima violenza della tua disponibilità. Ebbene, anche se li vedrai afferrati e oppressi da quella gente sfrenata e divenuti oggetto di abusi innominabili, tu non devi per nulla spaventarti, non ci devi far caso né allontanarti o inorridire o metterti a tremare? Chi avrebbe osato dire cose come queste all’uomo timorato di Dio che ospitava quelle persone? Neppure un connivente di quegli uomini scellerati! Con perfetta ragionevolezza gli si sarebbe dovuto dire: “Fa’ tutto il possibile per impedire che si compia il male che giustamente ti impaurisce, ma questo timore non deve spingerti a fare nelle tue figlie di tua iniziativa quel male che, se fossero loro stesse a volerlo fare, commetterebbero una disonestà; se invece spinte da te si rifiuteranno di farlo, dovranno subire una violenza da parte dei sodomiti. Non crederti autorizzato a fare tu stesso un grave peccato per l’orrore che ti incute un peccato più grave commesso da altri. Sebbene infatti sia diverso quello che fai tu e quello che fa l’altro, il primo è colpa tua, il secondo colpa di un altro”. Ma per discolpare quell’uomo virtuoso qualcuno potrebbe cacciarsi nella strada stretta dicendo: Siccome è preferibile subire un danno anziché farlo e quegli ospiti di Lot non erano loro a danneggiare gli altri ma subivano il danno, quell’uomo essendo giusto, preferì che il danno lo subissero le sue figlie anziché i suoi ospiti. Un certo diritto infatti lo costituiva padrone delle sue figlie, ed egli sapeva che in quell’operato le figlie non commettevano peccato ma al contrario subivano la violenza dei peccatori, senza peccare personalmente in quanto ad essi non acconsentivano. In realtà non erano loro che offrivano allo stupro, in luogo degli ospiti, il loro corpo femminile in vece del corpo maschile.

Se si fossero regolate così, sarebbero state colpevoli anche loro: non perché soggiacevano alla lussuria di quei prepotenti, ma perché loro stesse vi prestavano il consenso della propria volontà. Quanto al loro padre, egli non avrebbe tollerato che l’abuso si commettesse contro lui stesso, se ciò avessero tentato di fare quegli sciagurati in balia dei quali egli ricusava d’abbandonare gli ospiti, sebbene fosse un male minore quello perpetrato contro un uomo solo anziché contro due. Lo vediamo resistere con tutte le forze perché lui stesso non si macchiasse di colpa dando il proprio consenso; se al contrario non avesse consentito, sebbene lo avesse sopraffatto con la violenza fisica la ferocia libidinosa di quei forsennati, trattandosi d’un atto commesso da estranei egli non si sarebbe macchiato di colpa. Egli non peccava nemmeno prestando le figlie, le quali non avrebbero commesso peccato. Siccome sarebbero state violentate senza acconsentire, egli non le induceva a commettere il peccato ma a sopportare la malvagità dei peccatori. Era come se avesse messo a disposizione di male intenzionati i suoi schiavi perché fossero picchiati e così ai suoi ospiti si risparmiasse il danno delle percosse. Di questo argomento qui non voglio discutere, poiché si andrebbe per le lunghe a stabilire se un padrone agisca rettamente qualora, usando del diritto che lo costituisce padrone dei suoi schiavi, si permetta di fustigare lo schiavo innocente perché non venga bastonato da persone violente e perverse un suo amico, anch’egli innocente, che si trova in casa sua.
Quanto a Davide, certamente bisogna dire che in nessun modo fece bene ad affermare con giuramento una cosa che s’accorgeva di non poter poi attuare. Da questo si conclude con certezza che noi non siamo autorizzati a ripetere nella nostra condotta tutte le azioni che nella Scrittura leggiamo essere state compiute dagli uomini, anche se santi e giusti. Dobbiamo anzi imparare quanto ampia e universale sia la parola dell’Apostolo: Fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso, per non cadere anche tu in tentazione. Precedenti della colpa sono infatti tutte quelle cause per cui si pecca non vedendo lì per lì il da farsi, o quando uno, pur vedendolo, si lascia vincere: quando cioè si commette il peccato perché non si è raggiunta la verità o quando a peccare siamo sospinti dalla nostra fragilità.



Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 16:36

[SM=g1740758] Si può occultare il vero ma non si deve dire il falso. Abramo e Isacco non sono stati bugiardi.

10. 23. Fra tutte le nostre azioni quelle che più turbano anche i buoni sono quelle in cui peccato e buona azione si bilanciano al segno che, se ci sono motivi adeguati per compierle, non le si considera peccato, anzi si ritiene peccato il non farle. Questa opinione si è affermata nella mentalità comune soprattutto per quel che concerne le diverse menzogne: le quali a volte son ritenute non peccati ma azioni virtuose. Così, ad esempio, quando si mente per recare dell’utile a uno che dall’inganno trae vantaggio o quando lo si fa per impedire che nuoccia uno che sembra intenzionato a nuocere se non lo si ostacolasse con la menzogna. Per giustificare menzogne di questo tipo si crede di poter ricorrere all’appoggio di esempi (sarebbero moltissimi) tratti dalle Scritture. Bisogna tuttavia ricordare che non è lo stesso nascondere la verità e proferire la menzogna. Sebbene infatti tutti coloro che mentiscono vogliono nascondere la verità, non tutti coloro che vogliono nascondere la verità dicono menzogne, essendo numerosissimi i casi in cui per nascondere la verità non si mente ma si tace soltanto. In questo senso non mentiva il Signore quando affermava: Avrei molte cose da dirvi ma voi adesso non siete in grado di portarle. Taceva la verità, non diceva il falso, giudicando i discepoli non ancora capaci d’ascoltare ciò che era vero. Se una tal cosa non l’avesse loro palesata, che cioè non erano in grado di accogliere quanto egli si rifiutava di dire, egli avrebbe naturalmente celato una parte della verità, ma noi forse non avremmo saputo che ciò può farsi innocentemente o, quanto meno, non avremmo potuto appoggiarci su un esempio di così grande autorità. Ne segue che quanti propugnano che in qualche caso si debba mentire non fan bene a citare come esempio l’operato di Abramo quando di Sara disse che era sua sorella. Egli infatti non disse: “Non è mia moglie”, ma soltanto: È mia sorella; e ciò era vero poiché gli era così strettamente imparentata da poterla chiamare sorella senza incorrere nella menzogna. Questo confermò più tardi quando la donna fu a lui ricondotta da quel tale che gliel’aveva prelevata. Rispondendo a quell’uomo, disse: Veramente è mia sorella per parte di padre, sebbene non per parte di madre, cioè: Non appartiene alla famiglia di mia madre ma solo a quella di mio padre. Quando dunque la chiamò sorella, senza dire che era sua moglie, tacque una parte della verità, ma non disse alcunché di falso. Lo stesso fece suo figlio Isacco, che, come sappiamo, si prese in moglie una sua parente. Non si ha dunque menzogna quando si tace qualcosa per nascondere la verità ma quando nel parlare si proferisce una falsità.

Quello che fece Giacobbe non è una menzogna ma un mistero.

10. 24. Riguardo a quello che fece Giacobbe per istigazione della madre al fine di trarre in inganno suo padre, se lo si considera con attenzione e sorretti dalla fede, non è una menzogna ma un mistero. Se infatti diciamo che sono menzogna cose come questa, allora tutte le parabole e le figure che si usano per significare qualsiasi cosa da non intendersi in senso proprio, ma da quella cosa se ne deve ricavare un’altra, dovranno chiamarsi menzogne. Ma questo evidentemente è un’assurdità. In effetti, a pensare così, questa ingiusta denominazione si potrebbe riversare su molti nostri modi di parlare, e con fondatezza si potrebbe chiamare menzogna la stessa metafora, come la si chiama, cioè il traslato per cui una parola si porta arbitrariamente a significare una cosa impropria invece di quella sua propria. Ad esempio: noi diciamo che le messi ondeggiano, che le viti emettono gemme, che la gioventù è nel fiore, che sulla testa del vecchio è nevicato. Ora, siccome non riscontriamo né le onde né le gemme o il fiore o la neve in quei soggetti ai quali applichiamo le parole che abbiamo mutuato altrove, questo nostro modo di parlare potrebbe da qualcuno essere preso per menzogna. E se si dice che Cristo è una roccia, che i giudei ebbero un cuore di pietra, o, ancora, se di Cristo si dice che è un leone e che leone è anche il diavolo, e così tante altre espressioni simili a queste, si dovrà dire che esse sono tutte menzogne. E che dire poi di quell’uso linguistico che nel parlare traslato si spinge fino alla cosiddetta antifrasi, per cui di una cosa che non c’è diciamo che abbonda, di ciò che è acido diciamo che è dolce, di ciò che non riluce diciamo che è chiarore?

E non parliamo di Parche per il fatto che non perdonano? Non diversamente suonano le parole che secondo la Scrittura il diavolo rivolse al Signore parlando di Giobbe, e cioè: [Vedi] se non ti benedirà in faccia. La quale parola è da intendersi: “Se non ti maledirà”. Si usa quindi la stessa parola che usarono gli accusatori di Nabot per presentare calunniosamente il delitto da loro inventato. Dissero infatti che egli aveva benedetto il re, cioè che lo aveva maledetto. Tutti questi modi di dire dovranno ritenersi menzogne se ogni detto o gesto figurativo va chiamato menzogna. Se invece non sono menzogne, in quanto si riferiscono alla comprensione della verità prendendole in un significato diverso da quello ordinario, allora non è menzogna quanto disse o fece Giacobbe per essere benedetto dal padre. E non lo è nemmeno quanto Giuseppe disse ai fratelli prendendosi quasi gioco di loro, né l’operato di Davide quando simulò d’essere pazzo, e così tante altre cose di questo genere. Son tutte espressioni o azioni profetiche, da riferirsi ad una [più profonda] comprensione della verità. E se sono celate nel velo della figura, lo sono per esercitare l’interesse del pio ricercatore e perché non vi si passi sopra considerandole cose ovvie e a portata di mano.
È vero che in altri passi noi troviamo le stesse cose presentate con parole chiare e in modo palese, ma quando noi le estraiamo dai loro nascondigli, è come se nella nostra conoscenza si rinnovassero, e, così rinnovate, procurano maggiore dolcezza. Per il fatto poi che tali cose vengono nascoste dall’oscurità, non è detto che vengano sottratte a chi le voglia apprendere, anzi le si inculca di più in quanto, essendo riposte nel segreto, le si fa desiderare con più ardore e, appunto perché desiderate, le si scopre con maggior godimento. Ad ogni modo, le parole che si usano sono vere, non false, poiché significano cose vere, non false: e noi intendiamo certamente affermare quello che esse significano. Le si dovrebbe ritenere menzogne se non le si intendesse dette per significare cose vere ma si pensasse che vi siano asserite delle falsità. Per chiarire le cosa con degli esempi, poni mente all’operato stesso di Giacobbe. Egli effettivamente coprì le mani con pelli di capretto. E se badiamo alla causa prossima [del suo comportamento] dobbiamo dire che egli mentì; ma se il suo operato lo riferiamo al significato reale per cui fu compiuta quell’azione, ecco che nelle pelli di capretto troviamo un simbolo che rappresenta i peccati e nella persona che se ne coprì un simbolo di colui che prese su di sé non i peccati suoi ma i nostri. Se dunque quanto significano le parole è vero, non si può in alcun modo parlare di menzogna. E quanto si dice dell’operato va detto anche delle parole. Il padre gli chiese: Chi sei tu, figlio?, ed egli rispose: Io sono Esaù, il tuo primogenito. Se queste parole le applichiamo a quei due gemelli, sono, almeno all’apparenza delle menzogne; ma occorre intendere con esse quanto con tali gesti e affermazioni si voleva significare allorché il racconto fu posto in iscritto.
E quindi vi intendiamo, presentato nel suo corpo che è la Chiesa, colui che parlando di tali cose diceva: Quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, mentre voi sarete cacciati fuori. E verranno da Oriente e Occidente, da Settentrione e da Mezzogiorno e sederanno nel regno di Dio. Ed ecco, i primi saranno ultimi e gli ultimi saranno i primi. In questo modo Giacobbe privò il fratello maggiore del diritto di primogenitura e se ne appropriò lui stesso. Essendo dunque [queste espressioni] così vere in sé e così esatte nel loro significato, come pensare che in esse ci sia stata o sia stata narrata una menzogna? Se infatti le cose significate non sono prive di verità, sia che riguardino il passato o il presente o il futuro, il loro significato è senza dubbio vero, e non c’è [in esso] alcuna falsità. Sarebbe tuttavia assai lungo sviscerare tutte le cose in dettaglio in questo campo delle espressioni profetiche nelle quali la verità ottiene la palma, perché, come furono proferite per significare qualcosa in anticipo, così divennero chiare col succedersi degli avvenimenti.

I priscillianisti mentono in verità che toccano la fede.

11. 25. Con il mio dire non mi son proposto cose di questo genere. Ciò riguarda piuttosto te, che ti sei messo a scovare i nascondigli dei priscillianisti in ciò che riguarda i loro dogmi falsi e aberranti. Fa’ in modo di non dare l’impressione che, quando noi indaghiamo su questi dogmi, lo facciamo quasi che volessimo insegnarli, mentre invece vogliamo confutarli. Impégnati dunque affinché le dottrine che investigando hai portato alla luce siano debellate e stese a terra, poiché non deve succedere che, mentre vogliamo raggiungere quegli uomini mentitori, lasciamo sopravvivere le loro falsità considerandole ostacoli insormontabili. In effetti noi dobbiamo distruggere le falsità che si celano nel cuore degli eretici più che non smascherare i falsari passando sopra ai loro falsi dogmi. Tra questi dogmi, che noi dobbiamo abbattere, c’è sicuramente anche quello per cui affermano categoricamente che la persona di fede, per nascondere questa sua fede, è tenuta a mentire. È doveroso mentire - dicono - non soltanto su cose che non riguardano la dottrina religiosa ma anche in fatto di religione quando occorre per non farla conoscere agli altri. Cioè: affinché il cristiano possa rimanere nascosto in mezzo ai suoi nemici, gli è lecito rinnegare Cristo.
Ti scongiuro di voler estirpare anche quella dottrina empia e perversa in base alla quale gli eretici sogliono argomentare, e cioè quel loro collezionare dalle Scritture testimonianze da cui sembrerebbe che le menzogne vanno non solo accettate e permesse ma anche onorate. Quanto poi a te stesso, nel confutare la loro setta detestabile devi mostrare come nelle citate testimonianze scritturali non si insegnano menzogne, nemmeno in quei testi che si potrebbero ritenere menzogne. Basta intenderli nel senso come debbono essere intesi. Se poi ci son testi dove la menzogna è manifesta, tu insegnerai che non si tratta di cose da imitare. E finalmente, per presentare anche questo caso estremo, almeno nei passi che riguardano la religione, tu insegnerai che lì non si deve assolutamente mentire. In questo modo, mentre si distruggono i loro nascondigli, vengono sradicati completamente anche gli eretici: nel senso che facendoli confessare che sono bugiardi nell’occultare la loro eresia, con ciò stesso si dovrà concludere che non li si deve affatto seguire ma piuttosto evitare con somma cura.

Questa persuasione si deve abbattere in primo luogo; questa loro comoda roccaforte, diciamo così, si deve perforare con i colpi della verità; questa si deve rovesciare. Né si deve fornire ad essi un nuovo ricettacolo per rifugiarvisi, nuovo perché prima non lo avevano. Non deve accadere che, se vengono scoperti da quelli che essi cercavano di sedurre ma non ci riuscivano, dicano: Li abbiamo voluti tentare, poiché certi cattolici dotati di sapienza ci hanno insegnato che questo è un metodo legittimo per scoprire gli eretici. Ed ora io voglio dirti in maniera più esplicita il motivo per cui mi sembra esser questo il metodo da usarsi nelle dispute contro quelli che per avallare le loro menzogne vogliono appoggiarsi sulle divine Scritture. È un procedimento a tre risvolti: in primo luogo dobbiamo mostrare che certe affermazioni che sembrerebbero menzogne, a comprenderle bene non sono quello che sembrano essere. Se poi è inequivocabile che si tratta di menzogne, [la conclusione è che] non le dobbiamo imitare. In terzo luogo, opponendosi a tutte le opinioni di tutti gli uomini che pensano esser consentito, anzi doveroso, all’uomo perbene dire, a volte almeno, una qualche menzogna, dobbiamo a tutti i costi ritenere che, quando si tratta di dottrina religiosa, non è assolutamente lecito mentire. Queste tre regole ti ho già prima raccomandato di seguire; anzi in certo qual modo te l’ho ingiunto.

La simulazione di Pietro e Barnaba.

12. 26. Vogliamo dimostrare come quelle parole della Scrittura, che si pensa siano menzogne, in realtà, se le si comprende bene, non sono ciò che si crede. Al riguardo non ti sembri argomento di poco valore contro gli eretici il fatto che tali esempi di menzogna li trovano non fra gli scritti degli apostoli ma in quelli dei profeti. In realtà tutti quei passi che dettagliatamente essi elencano come contenenti menzogne si leggono in quei libri nei quali sono riportati non solo detti ma anche molti fatti figurativi, poiché realmente erano accaduti con valore di figure; e nelle figure quanto viene detto con parole che sembrerebbero menzogne, se lo si comprende bene s’avverte che è la verità.
Quanto poi agli apostoli, essi nelle loro lettere si sono espressi in un linguaggio del tutto diverso, e in maniera pure diversa sono stati scritti gli Atti degli Apostoli; e questo perché tutto quello che nei profeti era nascosto nel velo del simbolismo è stato svelato dal Nuovo Testamento. Effettivamente, fra le tante lettere scritte dagli apostoli e in quell’ampio libro dove vengono narrate, con la verità propria dei libri canonici, le loro gesta, non si riscontra un solo personaggio da cui gli eretici possano trarre l’esempio per sostenere la legittimità della menzogna.

C’è al riguardo la ben nota simulazione di Pietro e Barnaba in forza della quale i pagani sarebbero stati costretti a comportarsi da giudei. Essa però fu giustamente ripresa ed emendata, perché non recasse danno ai contemporanei e non fosse per i posteri un esempio da imitare. Ecco infatti l’apostolo Paolo che, vedendo come i due non procedessero rettamente, cioè secondo la verità del Vangelo, disse a Pietro alla presenza di tutti: Se tu, che sei giudeo, vivi da pagano e non da giudeo, come puoi costringere i pagani a conformarsi ai giudei? E poi si cita anche l’operato dello stesso Paolo, quando si attenne ad alcune osservanze legali entrate nella consuetudine dei giudei, e così fece per non apparire come nemico della Legge e dei Profeti.
Lungi da noi il pensiero che egli lo abbia fatto cadendo nella menzogna. A questo riguardo infatti ci è più che nota la sua sentenza, secondo la quale egli aveva deliberato che non si doveva proibire ai giudei divenuti credenti in Cristo di conservare le tradizioni dei loro antenati, ma non si doveva neppure costringere all’osservanza delle medesime i pagani passati al cristianesimo.

In altre parole, quei riti figurativi che risultavano ordinati dal Signore non dovevano essere schivati come pratiche sacrileghe, ma, dopo la rivelazione del Nuovo Testamento, non dovevano essere ancora considerati necessari a tal segno che chi si fosse convertito a Dio non poteva senza di essi conseguire la salvezza.

Alcuni infatti, pur avendo accolto il Vangelo di Cristo, ritenevano e insegnavano proprio questo; e ad essi, per quanto simulatamente, avevano aderito anche Pietro e Barnaba, i quali in tal modo costringevano i pagani a vivere da giudei. Era infatti un costringere la gente il predicare che le osservanze giudaiche erano talmente necessarie che, anche accolto il Vangelo, non c’era per i convertiti alcuna salvezza in Cristo se si fossero escluse tali pratiche. Questo pensavano erroneamente certuni; temendo costoro, Pietro si lasciò andare alla simulazione; di questo comportamento lo rimproverò Paolo, assertore della libertà.

Se poi egli ebbe a dire: Mi son fatto tutto a tutti per guadagnare tutti, fu per condiscendenza, non per [voglia di] mentire. Uno infatti diventa pari a colui che vuol soccorrere quando lo soccorre con tanta carità quanta ne gradirebbe lui stesso se lo si dovesse soccorrere in una identica condizione di disagio. Così facendo, egli s’immedesima con l’altro non perché lo inganna, ma perché mette se stesso alla pari di lui. A ciò si riferisce anche quel detto dell’Apostolo da me sopra ricordato: Fratelli, se uno [di voi] viene sorpreso in qualche mancamento, voi che siete spirituali, istruitelo con spirito di mansuetudine, badando a te stesso per non essere tentato anche tu. Se poi disse: Io mi son fatto giudeo con i giudei, e con coloro che erano sotto la legge come uno che si assoggetta alla legge, non per questo si deve credere che egli con animo menzognero fece sue le simbologie dell’antica legge. In caso contrario, si dovrebbe anche pensare che egli, sempre per mentire, accettò alla stessa maniera l’idolatria dei pagani, dal momento che dice d’essersi fatto un senza legge per coloro che non avevano ricevuto la legge, al fine di guadagnare anche costoro. Ma è certo che una tal cosa egli non la fece.

Non risulta infatti in nessun luogo che egli abbia sacrificato agli idoli o che abbia adorato i simulacri; anzi, da vero testimone di Cristo, mostrò con estrema libertà che quegli idoli erano da detestarsi e fuggirsi. Pertanto gli eretici non possono citare alcun detto o fatto degli apostoli che sia esempio da imitare per quanto riguarda il ricorso alla menzogna. Quanto poi ai detti e ai fatti desunti dai profeti, essi immaginano d’avere del materiale probativo poiché ritengono menzogne le prefigurazioni simboliche, che con la menzogna hanno una qualche somiglianza. Tuttavia se riferiamo questi atti o detti all’oggetto per cui furono effettivamente compiuti, riscontriamo che questi significati sono sempre conformi a verità, e quindi in nessun modo sono menzogne. La menzogna infatti si ha quando si falsifica il significato [delle parole] con l’intenzione d’ingannare; ma questo significato falso non c’è quando, sebbene con una cosa se ne indichi un’altra, tuttavia quel che si vuol significare, se lo si comprende bene, corrisponde a verità.


Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 16:38
Passi del Vangelo addotti per giustificare la menzogna.

13. 27. Alcune cose di questo genere si trovano anche nel Vangelo, e a compierle è lo stesso nostro Salvatore, il quale, pur essendo il Signore dei profeti, s’è degnato di diventare lui stesso un profeta. Tra queste si citano le parole che rivolse alla donna affetta da perdite di sangue: Chi mi ha toccato?, e anche le altre dette al sepolcro di Lazzaro: Dove l’avete posto? Queste sue domande sembrano di uno che non sapesse quelle cose, mentre certamente le sapeva. Finse quindi di non saperle per significare qualche altra cosa attraverso quella sua apparente ignoranza. Ora siccome quel che egli intendeva significare era vero, non si può certo parlare di menzogna. La donna affetta da emorragia e colui che era morto da quattro giorni erano infatti figure di coloro che per qualche verso sfuggivano alla conoscenza anche di colui che conosce ogni cosa. La prima infatti era il simbolo del popolo pagano, del quale antecedentemente era stata pronunciata la profezia: Il popolo che non conoscevo mi ha servito; e, quanto a Lazzaro, egli con un avvicinamento allegorico, per il fatto che era segregato dai viventi, giaceva, per così dire, là dov’era anche colui che emette quella voce: Sono stato gettato lontano dai tuoi occhi. E quindi, quasi a dire che da Cristo non era conosciuto né chi fosse l’uno né dove fosse collocato l’altro, si è voluto presentare le cose con la figura dell’interrogazione, e mediante la verità della cosa significata viene esclusa ogni menzogna.

Alcuni racconti del Vangelo, in sé fittizzi ma reali nell’oggetto significato.


13. 28. Rientra in questo discorso anche quello che, stando alla tua relazione, sogliono dire i priscillianisti a proposito del Signore Gesù, quando dopo la resurrezione percorse un tratto di strada con due dei suoi discepoli e, arrivati ormai al villaggio dov’erano diretti, egli finse di voler andare oltre. Dice infatti l’evangelista: Egli finse di voler proseguire, e usa precisamente la parola che piace moltissimo ai mentitori perché possano mentire con coscienza tranquilla, quasi che sia menzogna tutto ciò che si dice fingendo, mentre son tante le finzioni che si usano, restando sempre nella verità, per indicare con parole diverse delle realtà diverse. Se pertanto Gesù con il suo fingere di voler andare più lontano non avesse significato nient’altro, si potrebbe giustamente parlare di menzogna, ma se si comprende bene la cosa e la si riferisce a ciò che egli intendeva significare, c’è da concludere che si tratta di un mistero.
Altrimenti si dovrà dire che sono menzogne tutte le cose che si raccontano come realmente accadute, mentre non sono accadute ma somigliano in qualche modo a quelle che vogliamo indicare con esse. Tale è quel racconto, assai ampio, dei due figli nati all’unico padre, dei quali il maggiore restò a casa con il padre mentre il minore andò vagando in terre lontane. In questo genere di racconti immaginari gli uomini sono andati anche più avanti, attribuendo fatti e detti umani agli animali, privi di ragione, e alle cose inanimate. Con tali racconti, in sé fittizi ma reali nell’oggetto significato, si è voluto inculcare più marcatamente l’oggetto dell’insegnamento. Così negli autori profani, come in Orazio, troviamo che il topo parla con il topo e la donnola con la volpe, evidentemente affinché attraverso il racconto inventato si colga il senso vero delle cose, come realmente accadono. Lo stesso è delle favole di Esopo, che sono raccontate con identica finalità. Nessuno certo, per quanto possa essere ignorante, vorrà pensare che siano menzogne. Così è dei libri sacri.

Ad esempio, nel libro dei Giudici gli alberi si cercano un re e rivolgono il discorso all’olivo, al fico, alla vite e al rovo. È tutta una narrazione fittizia per giungere all’oggetto che si ha di mira. A questo scopo si usa un linguaggio immaginario, il cui significato però non è menzogna ma risponde a verità. Tutto questo discorso l’ho fatto in riferimento alle parole del Vangelo, dove parlando di Gesù è scritto: Egli finse di voler proseguire, affinché nessuno basandosi su queste parole pretenda d’affermare la liceità della menzogna e lo sostenga dicendo che lo stesso Cristo non rifuggì dal mentire. Chi poi volesse approfondire che cosa egli con quel suo fingere abbia voluto significare, badi a ciò che egli compì nelle sue azioni successive, quando egli si spinse assai lontano, cioè al di sopra di tutti i cieli, senza peraltro abbandonare i suoi discepoli. Per significare quest’azione che in seguito avrebbe compiuto con virtù divina, allora egli finse di compiere quel gesto a livello umano. In quel fingere di Gesù fu anticipato questo senso reale dei fatti; nella successiva dipartita tenne dietro la verità di quanto prima raffigurato.
Si può quindi concludere che Cristo con quel suo fingere abbia mentito, solo se si nega che egli nella realtà compì quanto aveva voluto significare in antecedenza.

Non tutti gli esempi di personaggi dell’A. Testamento son da imitarsi.

14. 29. I nostri eretici, amanti del mentire, non trovano dunque negli scritti del Nuovo Testamento esempi di menzogna che possano imitare. Per sostenere quindi la loro polemica a sostegno della tesi sulla liceità della menzogna si sentono quanto mai equipaggiati di materiale ricorrendo agli antichi libri profetici. Immaginano di trovare in essi molte menzogne e le adducono come prove [contro di noi], per il fatto che l’oggetto significato da quei detti o fatti, in sé certo veritieri, non appare con chiarezza se non a quei pochi che riescono a capirlo. Ma per il fatto che col desiderio rincorrono certi esempi di menzogna al fine di ricopiarli e così sentirsi in qualche modo protetti, ingannano se stessi, e l’iniquità perpetra menzogne a suo danno. Ci sono poi nella Scrittura persone di cui non siamo obbligati a credere che abbiano voluto presentarsi come profeti quando con volontà d’ingannare espressero qualcosa con detti o fatti. Anche dai loro fatti o detti si può, è vero, desumere un qualche contenuto profetico, seminato e disposto in anticipo dall’onnipotenza di Colui che nella sua sapienza sa ricavare il bene anche dalle cattiverie degli uomini; tuttavia, per quanto riguarda loro personalmente, si deve dire senza esitazione che tali persone hanno mentito; e non si deve concludere che siano persone da imitarsi perché nominate in quei libri che giustamente chiamiamo libri santi e divini.

Questi libri infatti riportano azioni cattive e azioni buone compiute dagli uomini: le une perché le evitiamo, le altre perché le ricopiamo. E nei riguardi di queste azioni, di alcune se ne dà anche la valutazione; di altre invece se ne omette il giudizio e vengono lasciate al giudizio della nostra coscienza, poiché noi non dobbiamo soltanto nutrirci con verità palesi, ma anche tenerci in allenamento con la [ricerca delle] verità nascoste.

Evitare di aprire il varco sia ai peccati piccoli come anche a tutte le delinquenze.

14. 30. Gli eretici credono sia bene imitare Tamar nel dire menzogne. Perché allora non si dovrebbe imitare anche Giuda nel fornicare con lei? Tutte e due le cose infatti si leggono nella Scrittura e, delle due, non è che una sia condannata e l’altra elogiata. Il libro sacro si limita a raccontare i due fatti e lascia a noi il compito di valutarli; ma sarebbe certamente strano pensare che abbia permesso a noi di ripeterli senza che ne veniamo condannati. Sappiamo infatti che Tamar mentì non per passione lussuriosa ma perché voleva avere figli. E inoltre quanto alla fornicazione, sebbene non sia stata di questo genere quella di Giuda, si potrebbe pensare a quella che un uomo commette perché un altro sia liberato, come la menzogna di quella donna fu detta perché un uomo fosse concepito. Cosa diremo dunque? Che all’uomo sia lecito fornicare per lo stesso motivo per cui alla donna fu lecito mentire? Quale poi sia in concreto il giudizio che dobbiamo emettere in caso di peccati, non è cosa da prendersi in considerazione solo quando si tratta di menzogna ma sempre, in qualunque atto umano in cui capitano i cosiddetti “peccati di compensazione”. Dobbiamo sempre badare che non si apra il varco non solo ai peccati piccoli e ordinari nella vita, ma anche a tutte le delinquenze, e così non esista più alcun delitto o sconcezza o sacrilegio per i quali non si trovi un causa per giustificarli. Ma con questa dottrina viene sovvertita ogni moralità nella vita dell’uomo.

Il caso delle levatrici ebree e di Raab.

15. 31. Chi afferma che ci sono menzogne da ritenersi giuste non merita giudizio diverso da quello di chi dice che ci sono peccati giusti o, più esplicitamente, che sono giuste anche alcune delle cose ingiuste. Ora, ci può essere cosa più assurda di questa? Perché mai infatti una cosa è peccato se non perché è in contrasto con la giustizia? Si dica pure, certo, che ci sono peccati gravi e peccati leggeri. È la verità; e non si deve dar retta agli stoici che sostengono la parità fra tutti i peccati; tuttavia dire che alcuni peccati sono cosa cattiva e altri cosa buona, che significa se non dire che alcune delle azioni inique sono inique mentre altre sono giuste? Ma l’apostolo Giovanni afferma: Chi fa il peccato fa anche iniquità e [ogni] peccato è iniquità. Non ci può essere quindi un peccato che sia giusto, a meno che col nome di peccato non vogliamo chiamare qualche altra cosa, compiendo la quale non si pecca ma si fa o subisce qualcosa che ha riferimenti col peccato. Ci sono, ad esempio, sacrifici detti “per il peccato” e a volte si chiamano peccati le pene subite per il peccato. Queste cose possono, certamente, qualificarsi come peccati giusti, poiché il titolo di giusto ben si addice ai sacrifici e alle punizioni. Quanto invece alle azioni contrarie alla legge di Dio, è impossibile che siano giuste. Fu detto infatti a Dio: La tua legge è verità; e pertanto ogni cosa che sia in contrasto con la verità non può essere giusta. Ora chi vorrà mettere in dubbio che ogni genere di menzogna è in contrapposizione con la verità? È impossibile quindi che ci siano menzogne giuste. Parimenti, chi non vede con chiarezza che tutto ciò che è giusto proviene dalla verità? Ma Giovanni esclama: Qualsiasi menzogna non viene dalla verità; e quindi non c’è menzogna che sia giusta.
Quando dunque si citano esempi di menzogna presi dalla Sacra Scrittura, o non si tratta di menzogne, ma le si ritiene tali perché non le si capisce, o, se davvero sono menzogne, non le si deve imitare, perché non possono essere azioni [moralmente] giuste.

Sui benefici concessi da Dio alle ostetriche ebree.

15. 32. Su quanto afferma la Scrittura, cioè che Dio concesse benefici alle ostetriche ebree e a Raab, prostituta di Gerico, occorre tener presente che non furono loro concessi perché avevano mentito, ma perché avevano usato misericordia ad uomini di Dio. Non si ricompensò quindi il loro inganno ma la loro larghezza di cuore, non la colpa delle loro menzogne ma la generosità della loro intenzione. Non sarebbe stata infatti cosa sorprendente o assurda che Dio, in vista di opere buone compiute successivamente, abbia voluto loro perdonare delle azioni cattive commesse eventualmente in tempo anteriore.
Allo stesso modo non ci si deve stupire che Dio, vedendo in uno stesso tempo e in uno stesso comportamento le due cose, e cioè l’opera di misericordia e la colpa della falsità, ricompensò il bene e, in vista di quel bene, passò sopra a ciò che era male. In effetti, se per il merito di opere di misericordia compiute in seguito vengono rimessi i peccati che si commettono non per misericordia ma per soddisfare la concupiscenza carnale, perché per il merito della misericordia non dovrebbero essere rimessi i peccati commessi proprio per essere misericordiosi? È infatti più grave il peccato che si commette col proposito di nuocere che non quello che si commette con l’intenzione di soccorrere. Se pertanto l’uno viene cancellato dall’opera di misericordia compiuta dopo il fatto, perché quest’altro, che è più leggero, non dovrebbe essere cancellato dalla stessa opera di misericordia compiuta dall’uomo prima di peccare o durante lo stesso peccato?
La cosa potrebbe sembrare esatta; tuttavia una cosa è dire: “Certo, non dovevo peccare, ma adesso farò delle opere di misericordia con cui cancellerò il peccato commesso”, e un’altra cosa è dire: “Debbo peccare perché diversamente non potrei essere compassionevole”. Ripeto: una cosa è dire: “Siccome abbiamo peccato, ora facciamo il bene”, e un’altra è dire: “Pecchiamo per fare il bene”. Nel primo caso si dice: “Siccome abbiamo fatto il male, ora facciamo il bene”, nel secondo: Facciamo il male perché ce ne derivi il bene. Insomma lì si cerca di vuotare il bidone dei peccati, qui si afferma la riprovevole dottrina che induce al peccato.

La pazienza di Dio verso le ostetriche ebree e Raab.

15. 33. È lasciato a noi il compito d’intendere come a quelle donne, in Egitto o a Gerico, in compenso della loro generosità e compassione fu dato un compenso, certamente temporale ma capace di raffigurare un qualcosa di eterno mediante un significato profetico da loro ignorato. Infatti il problema se almeno quando ne va di mezzo la salvezza di una persona sia qualche volta lecito mentire è un problema su cui tuttora si scervellano uomini anche dottissimi senza riuscire a risolverlo. Esso quindi superava di molto le capacità di donnicciole cresciute in quei popoli ed assuefatte a quei modi di vivere. Questa loro ignoranza Dio tollerava nella sua pazienza, come tollerava diverse altre cose che allora la gente ignorava, ma che non possono essere ignorate da coloro che non appartengono più al mondo presente ma a quello futuro. In tal senso Dio concedeva loro, in premio della generosità umana usata verso i suoi servi, dei premi terreni, per quanto carichi di significati celesti. Quanto a Raab in particolare, essa fu tratta fuori da Gerico e passò nel popolo di Dio, dove, crescendo [nella fede], avrebbe potuto raggiungere i beni eterni e immortali. I quali tuttavia non si debbono mai ricercare facendo ricorso alla menzogna.


Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 16:49
Liceità della menzogna in casi estremi.

16. 33. Allorché Raab compì quell’opera buona e, secondo la condizione della sua vita, meritevole di elogio a favore degli esploratori israeliti non aveva raggiunto quel livello spirituale per cui si potesse pretendere da lei quanto prescritto [nel Vangelo]: Sulla vostra bocca il sì sia sì e il no sia no. E riguardo alle ostetriche ebree, se ebbero in cuore soltanto mire carnali, cosa giovò loro, o che gran premio fu per loro quella ricompensa per la quale potevano farsi un casato di ordine temporale? A meno che, progredendo spiritualmente, non siano giunte a far parte di quella casa della quale si canta a Dio: Beati coloro che abitano nella tua casa, ti loderanno in eterno e per sempre. In verità si deve riconoscere che è molto vicino alla giustizia e, sebbene non nella realtà dei fatti, ma certo nella speranza e nelle disposizioni, l’animo di colui che mai ricorre alla menzogna se non quando si tratta di giovare a qualcuno e non si rechi danno ad alcuno. Ma noi, nel porci il problema se all’uomo virtuoso qualche volta sia lecito mentire, non ce lo poniamo nei riguardi di colui che ancora fa parte dell’Egitto, o di Gerico, o di Babilonia, o magari di quella Gerusalemme terrena che è schiava insieme a tutti i suoi figli. Noi ci riferiamo a colui che è cittadino della città superna, che è libera ed è l’eterna nostra madre nei cieli. Se ci mettiamo a indagare su tale questione, ci si risponde: Nessuna menzogna viene dalla verità. In effetti i figli di quella città son figli della verità; sono figli dei quali sta scritto: Sulla loro bocca non si trova menzogna. Dei figli di quella città è scritto ancora: Il figlio che accoglie la parola sarà molto lontano dalla perdizione; egli la riceve e la tiene dentro di sé; e dalla sua bocca non esce alcuna falsità. Siccome però anche questi figli della Gerusalemme celeste, della santa ed eterna città, sono uomini, se ad essi capita d’incorrere in una qualche falsità, ne chiedono umilmente perdono, non vi vanno a cercare un titolo maggiore di gloria.

Norme di interpretazione scritturale.


17. 34. Qualcuno potrebbe obiettare: Dunque quelle ostetriche e Raab avrebbero fatto meglio se, per non mentire, si fossero rifiutate d’usare misericordia? Tutt’altro! Quelle donne ebree, se fossero state del numero di quelle a proposito delle quali ci ponevamo la questione se a volte sia lecito mentire, si sarebbero certo rifiutate di dire alcunché di falso e con loro liberissima scelta avrebbero ricusato di compiere quel detestabile servizio che era l’uccidere i bambini. Ma dirai che sarebbero state uccise. Però osservane le conseguenze! Esse sarebbero state messe a morte, ma si sarebbero meritate di entrare nella dimora celeste, che è una ricompensa incomparabilmente più grande che non quella di procurarsi delle case costruite qui in terra. Affrontando la morte per l’innocenza e la verità, sarebbero morte per vivere nella beatitudine eterna. E della donna di Gerico cosa diremo? Avrebbe forse potuto fare la stessa cosa? Non è forse vero che, se non avesse ingannato i suoi concittadini ricorrendo alla menzogna ma avesse detto la verità, lei avrebbe denunziato gli ospiti che teneva nascosti presso di sé? Interrogata, avrebbe potuto rispondere: So dove si trovano ma, siccome sono una timorata di Dio, non ve lo dico? Se fosse stata già una vera israelita in cui non c’è falsità, avrebbe certo potuto rispondere così; ma ciò divenne solo più tardi, quando per l’azione di Dio misericordioso fu accolta nella città di Dio. Dirai: In questo caso però, quei tali, insospettiti, udendo le sue parole l’avrebbero uccisa e messo a soqquadro la casa.

Ma avrebbero anche scoperto gli esploratori che lei aveva nascosto con tanta diligenza? In effetti quella donna, quanto mai furba, aveva previsto anche questo, e li aveva sistemati in un luogo dove potevano restare nascosti anche se non si fosse creduto alla sua menzogna. In questo modo lei, supposto che fosse stata uccisa dai suoi compatrioti per l’opera di misericordia che aveva compiuta, avrebbe concluso la vita presente, destinata di per se stessa a finire, con una morte preziosa agli occhi del Signore; e il suo intervento a vantaggio degli esploratori non sarebbe rimasto senza risultato. Replicherai: Che dire però se i ricercatori degli israeliti, setacciando per ogni dove, fossero giunti a scoprire il posto dove la donna li aveva nascosti? La domanda si può formulare anche così: Che dire se quella gente di fronte a una donna nota per la sua vita squallida e oltremodo turpe non avesse voluto prestar fede, non solo se lei fosse ricorsa alla menzogna ma anche se avesse spergiurato? In effetti anche con questo espediente poteva ottenere il risultato per il quale intimorita usò la menzogna. Ma dove intendiamo noi collocare la volontà e l’onnipotenza di Dio? Diremo forse che Egli non aveva mezzi per sottrarre ad ogni sventura quegli uomini, che erano dei suoi, e anche quella donna che aveva deciso di non mentire ai suoi compaesani e nemmeno denunziare gli uomini di Dio? Se egli li protesse dopo che la donna ebbe mentito, avrebbe potuto certamente difenderli anche se lei non fosse ricorsa alla menzogna. Non dobbiamo dimenticare che un intervento di questo genere ebbe luogo a Sodoma quando uomini accesi di sfrenata lussuria omosessuale non riuscirono a trovare la porta della casa dove si trovavano i ricercati. Fu allora che Lot, uomo giusto, trovandosi in un frangente del tutto simile, si rifiutò di mentire per la salvezza dei suoi ospiti, che egli non sapeva fossero angeli, ma temeva che dovessero subire una violenza più grave della stessa morte.
Egli certamente avrebbe potuto dire ai ricercatori le stesse cose che disse la donna di Gerico. In effetti del tutto identica era stata la domanda da loro presentata. Invece quell’uomo, che era giusto, non volle che per salvaguardare il corpo dei suoi ospiti, la sua anima si macchiasse di menzogna; preferì piuttosto che fossero violentati dalla malvagità di quegli accecati da libidine i corpi delle sue figlie. L’uomo dunque faccia tutto quel che gli è possibile per salvare anche la salute fisica dei suoi prossimi; ma se si giungesse a quell’estremo che a tale salute non si può provvedere se non attraverso il peccato, si convinca che a lui non resta nulla da fare, se veramente sente in coscienza che quanto potrebbe ancor fare non sarebbe cosa buona. Pertanto si tributino lodi anche a Raab, la donna di Gerico, e venga imitata dagli stessi cittadini della Gerusalemme del cielo. Essa infatti ospitò gli uomini di Dio stranieri in quella terra; per accoglierli incorse in vari pericoli, credette nel loro Dio, li nascose con diligenza dove le fu possibile, con estrema sincerità diede loro il suggerimento di tornare a casa passando per una via diversa. Quanto al fatto della menzogna, si potrebbe, lavorando d’ingegno, rilevare un qualche contenuto profetico; non sarebbe però mai saggio proporre il fatto alla imitazione [dei fedeli]. Quanto a Dio, egli premiò il bene compiuto da quella donna e volle che fosse ricordato; riguardo poi al male della insincerità, egli lo perdonò con un tratto della sua clemenza.

Se di una cosa si crede che realmente è cosí, bisogna mostrare che non è una menzogna.


17. 35. Stando a queste premesse, poiché si andrebbe troppo per le lunghe a voler trattare tutte le cose che nella decantata Libra di Dictinio vengono addotte come esempi di menzogne da potersi imitare, io son d’avviso che non solo in tali cose ma anche in tutte le altre simili a queste si deve stare alla norma seguente: se di una cosa si crede che realmente è avvenuta come è descritta, bisogna mostrare che non è una menzogna. Può darsi che vi si taccia la verità ma non vi si dice il falso; può darsi che il vero significato si lasci comprendere ricavandolo da un senso diverso: in realtà di detti o di fatti che hanno valore figurativo son pieni i libri profetici. Se poi ci si dovrà persuadere che effettivamente si tratta di menzogne, bisogna mostrare che son riferite non perché le imitiamo, ma se anche a noi capita di dirle, come si fa per gli altri peccati, non dobbiamo considerarle come opere di giustizia ma ne dobbiamo chiedere perdono [a Dio]. Questa è la mia opinione, e a concludere così mi costringono tutti gli argomenti esposti in precedenza.

La menzogna in caso di malattia.

18. 36. Noi però siamo uomini e viviamo fra gli uomini e, quanto a me, confesso di non essere ancora fra coloro che non provano alcuna esitazione di fronte ai peccati commessi a fin di bene. Nell’ambito delle realtà umane spesso mi vince il sentire umano, e non so cosa opporre quando mi si dice: “Guarda! C’è un malato grave: è veramente tra la vita e la morte; e se gli si andasse a dire che è morto l’unico suo figlio, da lui amato teneramente, le sue forze non reggerebbero di fronte a tale notizia”. Or ecco che questo malato ti chiede se il figlio vive, mentre tu sai che è morto. Cosa gli risponderai? La tua risposta dovrà per forza essere una di queste tre: “È morto”; “vive”; “non lo so”. Qualunque altra risposta tu volessi dare, egli non penserà ad altro se non che è morto, notizia che, come anch’egli comprende, tu hai paura di dargli, mentre però vorresti evitare la menzogna. Lo stesso vale per l’ipotesi che tu restassi nel più assoluto silenzio. Orbene, delle tre risposte sopra elencate due sono false: “Egli vive” e “Non lo so”; e tu non puoi darle se non mentendo. Se al contrario dirai quella che è l’unica notizia vera, e cioè che è morto, sconvolgendo la mente di quel malato tu ne procurerai la morte; e la gente griderà che sei stato tu ad ucciderlo.
E chi riuscirà mai a tenere a freno la gente che propensa com’è ad ingrandire il male che si fa quando per evitare una menzogna apportatrice di salvezza le si preferisce una verità apportatrice di morte? Nel contrasto rimango profondamente turbato, ma rimarrei ugualmente sorpreso se dicessi che il mio turbamento è conforme a sapienza. Voglio pertanto porre dinanzi agli occhi del mio cuore (siano come siano) l’intelligibile bellezza della verità, dalla cui bocca non emana alcuna falsità. Sebbene la verità, quanto più splende con i suoi raggi dinanzi ai miei occhi, tanto più la mia palpitante debolezza viene respinta.
Ed ecco, io mi sento così infiammato d’amore per la sua eccezionale bellezza, che non posso non disprezzare ogni realtà umana che mi allontani da lei. È però importante che questa attrattiva sia stabile, perché la meta conquistata non abbia a sfuggirmi all’arrivo della tentazione. Elevato così alla contemplazione di quel bene luminoso in cui non sono tenebre di menzogna, io non rimango turbato dal fatto che a noi che ci rifiutiamo di mentire e agli uomini che muoiono per avere udito la verità, questa verità venga presentata come omicida. Fa’ il caso di una donna depravata che ti aspetti per avere con te un rapporto carnale, e che tu ricusi di consentire alle sue voglie. Se sconvolta dalla ferocia del suo amore ella ne muore, forse che sarà omicida anche la castità? Inoltre leggiamo le parole: Noi siamo il buon profumo di Cristo in ogni luogo. Lo siamo in quelli che si salvano e in quelli che periscono: negli uni odore di vita che conduce alla vita, negli altri odore di morte che conduce alla morte. Oseremo chiamare omicida anche il profumo di Cristo? Noi però siamo uomini, e in problemi e casi dibattuti come questi il più delle volte prende il sopravvento la sensibilità umana e ne usciamo affaticati. In vista di ciò Paolo aggiunge: Ma chi è capace di tutto questo?.


Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 16:50

[SM=g1740758] Nessuno ci venga a dire che giusta è la menzogna, dove c’è di mezzo il nome di Dio o il suo sacramento.

18. 37. C’è da aggiungere una conseguenza molto brutta e deplorevole. Ammettiamo un istante che per garantire la salute di quel malato noi avremmo dovuto mentirgli sulla vita del figlio. In tal modo però il male della menzogna un po’ per volta a piccoli passi aumenta; e con piccole aggiunte, che si introducono gradatamente, ne viene fuori un cumulo enorme di menzogne delittuose, né mai si riuscirà a stabilire con precisione dove si possa porre un riparo a una pestilenza così grave sviluppatasi smisuratamente con l’assommarsi di colpe insignificanti. Al riguardo con molta preveggenza fu scritto: Chi disprezza le cose piccole, un po’ alla volta va in rovina. Che dire infatti se gente di questo tipo, attaccata alla vita presente, non esitasse a preferire la stessa vita alla verità e per impedire che un uomo muoia (meglio: per ottenere che un uomo, destinato a morire, muoia qualche tempo dopo) ci volesse spingere non solo a mentire ma anche a spergiurare? Se volesse, dico, che noi per non abbreviare a qualcuno la salute della vita presente, così fugace, ricorriamo con leggerezza al nome del Signore nostro Dio? Eppure tra loro ci sono dei cervelloni che stabiliscono le norme e determinano i confini del giurare il falso e del non giurarlo. Ahimè! Dove mai vi siete cacciate, o sorgenti delle nostre lacrime? E allora? Cosa faremo? Dove ci rifugeremo? Dove ci nasconderemo per ripararci dalla collera della verità, se non soltanto trascureremo di evitare la menzogna, ma addirittura oseremo farci maestri di spergiuro? Pertanto coloro che si ergono ad assertori e paladini della menzogna vedano un po’ quale, o quali, specie di menzogna piaccia loro di considerare esente da colpa.
Vogliano almeno concedere che non si deve mentire quando ne va di mezzo il culto di Dio; vogliano almeno astenersi dallo spergiuro e dalla bestemmia. Che nessuno osi mentire o lodare la menzogna o insegnarla o imporla, e nessuno ci venga a dire che giusta è la menzogna, dove c’è di mezzo il nome di Dio o il suo sacramento, dove Dio è testimone, dove si proclama o si discute una parola che riguarda la santa religione. Quanto alle altre specie di menzogna, se a qualcuno sta proprio a cuore la causa della falsità, si scelga quella specie che ritiene la più leggera ed innocua. Son convinto però di una cosa, e cioè che anche chi insegna la legittimità della menzogna vuole presentarsi come uno che insegna la verità. Supposto infatti che si vada ad insegnare la falsità, chi vorrà prendere sul serio una dottrina in sé falsa, quando colui che la insegna è un falsario e sarebbe un gabbato colui che l’apprende? Se quindi per accalappiare un qualche discepolo il maestro afferma di dire la verità, ma nello stesso tempo insegna la liceità della menzogna, come sarà possibile che dalla verità scaturisca la menzogna, quando l’apostolo Giovanni asserisce: Nessuna menzogna deriva dalla verità? Non è dunque vero che a volte è lecito mentire. E se ciò non è vero, in nessun modo lo si può suggerire a chicchessia.

Facile passare dalla menzogna allo spergiuro.

19. 38. Ma la debolezza umana si fa avanti per sostenere la sua parte, e con il plauso di moltissima gente proclama che la causa, inoppugnabile, sta proprio in questi termini; e con l’intento di contraddire, afferma: “Fra gli uomini capita senza dubbio che mediante l’inganno si venga sottratti alla rovina o propria o altrui. Ma come si può andare incontro a gente in pericolo se il nostro sentimento di umanità non ci inclina a mentire?”. Se questa moltitudine di gente schiava della mortalità e della miseria umana avrà la pazienza di ascoltarmi, io cercherò di dare una qualche risposta in difesa della verità. Non c’è dubbio che la castità, per essere un valore religioso, autentico e degno di chi è santo, non può derivare che dalla verità: per cui chi la trasgredisce si pone evidentemente in contrasto con la verità. Perché mai dunque, mancando qualsiasi modo di soccorrere diversamente chi è in pericolo, non commetto uno stupro, cosa che essendo contraria alla castità è anche contraria alla verità?
Come dunque, trattandosi sempre d’andare in aiuto a gente in pericolo, potrò permettermi di dire una menzogna, cosa che evidentissimamente è allo stesso modo in contrasto con la verità? Qual è il merito che rende così pregevole la castità, e qual è la colpa per cui la verità ci è diventata così nemica? Ogni specie di castità deriva infatti dalla verità; e la verità è castità, non del corpo ma dell’anima. Del resto la stessa castità del corpo risiede nell’anima. Un’ultima riflessione, che ho già espressa ma ora voglio ripetere: tutti coloro che mi contraddicono volendo difendere una qualche specie di menzogna e cercando di persuadermi [di fare altrettanto], che cosa dicono se non dicono la verità? Ebbene, se io li debbo ascoltare perché dicono la verità, in che modo essi pretenderanno che io diventi menzognero dicendo la verità? In che modo la menzogna potrà appellarsi alla verità perché le faccia da patrona? O che forse costei vorrà riportare una vittoria che avvantaggi la sua nemica, dandosi lei stessa per vinta? Chi oserebbe ammettere una tale assurdità? Noi pertanto mai diremo che quanti affermano che in certi casi è lecita la menzogna, sono veridici in questa loro affermazione. Ciò infatti equivarrebbe a dire che la verità ci insegna ad essere mentitori: conclusione la più assurda e insipiente che si possa pensare. In effetti nessuno mai imparerà dalla castità a commettere adulteri; nessuno imparerà dalla pietà ad ingiuriare Dio; e nessuno dalla bontà imparerà a danneggiare il prossimo. Sarà quindi mai possibile che dalla verità impariamo a mentire? Se tale non è l’insegnamento della verità, non è cosa vera; se non è cosa vera, non la si deve imparare; se non la si deve imparare, la conclusione è che mai si deve mentire.

Nessuna concessione si deve accordare alla menzogna che arrivi fino allo spergiuro e alla bestemmia.

19. 39. Qualcuno dice: Il cibo solido è per i perfetti. E in realtà molte cose vengono attenuate per condiscendenza avuto riguardo alla fragilità umana, sebbene non siano per nulla accette all’assoluta trasparenza della verità. Dica pure cose come queste colui che non teme quali brutte conseguenze possano derivare se in qualche caso si permetterà la menzogna di qualsiasi specie essa sia. Questa concessione poi non la si deve in alcun modo accordare alla menzogna che arrivi fino allo spergiuro e alla bestemmia; né si può nel modo più assoluto presentare una qualche ragione che consenta di spergiurare o, cosa ancor più detestabile, di bestemmiare contro Dio. Non è vero infatti che non si bestemmi, perché si bestemmia mentendo. Allo stesso modo, praticamente, si dovrebbe dire che non si commette spergiuro allorché mentendo si giura il falso. Ma chi potrebbe spergiurare usando della verità? Ugualmente nessuno può bestemmiare mosso dalla verità. È vero tuttavia che il giurare il falso è colpa più leggera in colui che non sa nulla della falsità della cosa, anzi crede che sia vera la cosa su cui giura. In questo senso fu più scusabile la bestemmia che Saulo diceva quand’era nell’ignoranza. La bestemmia poi è peccato più grave dello spergiuro, poiché nello spergiuro si prende Dio a testimone d’una cosa falsa, nella bestemmia invece si attribuiscono a Dio dei nomi falsi. Ogni spergiuro e ogni blasfemo è tanto più inescusabile quanto più si rende conto o sospetta che siano false le cose che afferma spergiurando o bestemmiando. E ora torniamo a quel tale che sostiene essere doverosa la menzogna, quando ne va di mezzo la salute o la vita d’un uomo a rischio. Chiunque ammettesse questo si allontanerebbe completamente dal sentiero della salute eterna e della vita, se dicesse, inoltre, che in tale frangente è lecito anche giurare nel nome di Dio e dire bestemmie contro Dio.

Si potrà mentire per la salvezza eterna di qualcuno?

20. 40. Capita a volte che l’obiezione a noi presentata venga tratta dal pericolo della stessa salvezza eterna, e ci si gridi che quando tale pericolo non può essere eliminato in altra maniera, si deve farlo con la menzogna. Esempio: un tale, che dovrebbe ricevere il battesimo, si trova in potere di empi e infedeli, e ad amministrargli il lavacro della rigenerazione non si può giungere senza ingannare i custodi con la menzogna.
È un grido molto insidioso che vorrebbe costringerci a mentire, non per accumulare sostanze o conseguire cariche onorifiche in questo mondo che passa e nemmeno per salvare la vita temporale di qualcuno, ma proprio per ottenere la salvezza eterna di un uomo. Di fronte a questo gridare, a chi ricorrerò se non a te, o Verità? E tu mi rispondi ancora con un richiamo alla castità.
In effetti, supponendo che noi con la fornicazione potessimo adescare tali guardiani perché ci concedano di battezzare quell’uomo, noi tuttavia non lo faremmo perché è cosa contraria alla castità. E faremo quanto è contrario alla verità, potendoli ingannare con la menzogna?
Eppure non c’è dubbio che nessuno può amare santamente la castità se non ce lo ordinasse la verità. Si ingannino quindi con la menzogna quei guardiani per giungere a battezzare quell’uomo, se ciò ordina la verità. Ma com’è possibile che la verità ci comandi di mentire per amministrare il battesimo a un uomo, se la castità per lo stesso motivo del battesimo non ci consente di fornicare? E perché la castità non ci ordina di fare così, se non perché così non insegna la verità? Noi dunque non potremo far nulla all’infuori di quanto insegna la verità. Ora, se la verità ci insegna che nemmeno per battezzare una persona si può fare quanto si oppone alla castità, come potrà insegnarci, per lo stesso motivo del battezzare quella persona, a fare quanto si oppone alla verità in se stessa? Ricordiamo tuttavia quanto succede agli occhi: essi non sono così resistenti da fissare il sole, ma fissano volentieri gli oggetti illuminati dal sole.
Ci sono cioè anime in grado di godere della bellezza della castità ma non ugualmente capaci di valutare debitamente la verità, dalla quale la castità riceve luce. Ne segue che, se si presenta il caso di compiere un qualche atto contrario alla verità, essi non lo evitano né lo detestano come eviterebbero e detesterebbero una cosa contraria alla castità che fosse loro proposta. Quanto però al figlio [sapiente] che accettando la parola [di Dio] vuol tenersi molto lontano dalla perdizione e non si permette che dalla sua bocca esca alcuna falsità, egli ritiene cosa vietata battezzare un uomo ricorrendo alla menzogna allo stesso modo che così lo riterrebbe se costretto a farlo commettendo un adulterio. E il Padre celeste esaudisce chi lo prega per poter andare incontro ai bisogni di quell’uomo senza ricorrere alla menzogna: sempre che lo stesso Padre, i cui propositi sono imperscrutabili, disponga che si vada in suo aiuto. Un tal figlio dunque si astiene dal mentire come si astiene da ogni peccato.
Non per nulla infatti nella Scrittura a volte col nome di menzogna si indica il peccato in genere, come quando si dice: Ogni uomo è mentitore, espressione che equivale a: “Ogni uomo è peccatore”. E così l’altro testo: Se con la mia menzogna ho abbandonato la verità di Dio. Pertanto, se uno per il fatto d’essere uomo mente, per questa stessa sua umanità pecca, e soggiace a quella sentenza che suona: Ogni uomo è mentitore, e ancora: Se diciamo d’essere senza peccato inganniamo noi stessi e non è in noi la verità. Nell’ipotesi invece che nulla di falso esca dalla sua bocca, egli sarà conformato a quella grazia di cui è stato detto: Chi è nato da Dio non pecca. Se infatti fosse in noi quest’unica nascita, nessuno peccherebbe; e quando essa sarà la sola, nessuno peccherà più. Ma ora ci portiamo appresso il prezzo della corruttibilità in cui siamo nati, anche se, in quanto siamo rinati, con la vita buona veniamo rinnovati interiormente ogni giorno. Solo quando questo nostro essere corruttibile si vestirà dell’incorruttibilità, la vita lo assorbirà tutto e non resterà più alcun pungiglione di morte. Pungiglione di morte è il peccato.

Epilogo.

21. 41. Quanto alla menzogna dunque, o la si evita comportandoci rettamente, o la si confessa e ci si pente. Né deve succedere che la si faccia proliferare rendendo miserabile la nostra vita e, tanto meno, che la si moltiplichi insegnandola ad altri. Se qualcuno ritiene lecito mentire quando si tratta di soccorrere il prossimo in pericolo per la salute tanto fisica che spirituale, scelga pure qualsiasi tipo di menzogna; ma che almeno anche costoro ci concedano che per nessun motivo si può giungere fino allo spergiuro e alla bestemmia, delitti che riteniamo più gravi o certo non più leggeri della violenza carnale. Bisogna infatti tener presente che spessissimo gli uomini esigono il giuramento dalle loro mogli, che sospettano cadute nell’adulterio: una cosa che non farebbero di sicuro se non fossero persuasi che chi non ha temuto di commettere l’adulterio potrebbe invece aver paura di cadere nello spergiuro. In effetti, ci sono state delle donne disoneste che non esitarono ad ingannare i loro mariti concedendosi relazioni illecite, ma di fronte agli stessi mariti gabbati ebbero timore di prendere Dio a testimone della falsità.

Ci sarà dunque motivo per cui un uomo casto e religioso ricuserà di commettere l’adulterio, ritenuto necessario per battezzare una persona, mentre vorrà ricorrere allo spergiuro, cosa di cui gli stessi adulteri hanno paura? E se è delitto fare una cosa per cui si debba ricorrere allo spergiuro, non lo sarà di più se si dovesse giungere alla bestemmia? Non sia mai dunque che un cristiano rinneghi Cristo e lo bestemmi per poter fare cristiana una qualche persona. Non sia mai che qualcuno, per ritrovare chi è perduto, vada in perdizione lui stesso. Che se poi desse a lui insegnamenti come questi, manderà in perdizione anche colui che ha trovato. Pertanto, è tuo dovere confutare e distruggere il libro intitolato Libra, ben sapendo che come primo passo bisogna tagliare quella testa in forza della quale gli eretici sentenziano che si deve mentire quando occorre per nascondere la propria religione.

Quanto poi a quei testi dei libri santi che essi tentano di sfruttare a sostegno della menzogna, tu devi dimostrare che alcuni non sono menzogne, mentre di altri, che lo fossero, devi dire che non li si deve imitare. E se, finalmente, l’umana fragilità giungesse ad avanzare la pretesa che le siano permesse cose che la verità disapprova, tu ad ogni modo devi ritenere e difendere con incrollabile fortezza che quando si tratta di materia religiosa mai e in nessun modo è lecito ricorrere alla menzogna. Riguardo poi agli eretici occulti, non li dobbiamo ricercare servendoci della menzogna per il fatto che essi sono mentitori, né per mezzo della bestemmia per il fatto che sono blasfemi, come non si possono indagare gli adulteri commettendo adultéri, né gli omicidi commettendo omicidi, né gli stregoni ricorrendo a malefizi. Tutto questo, in conformità con gli argomenti che abbiamo esposti nel presente volume. I quali sono stati tanti da render difficile arrivare alla fine dell’opera; ma noi, come programmato, finiamo qui.



[SM=g1740771]

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 10:40.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com