LA PILLOLA DI ERODE (da Zenit di Cesare Cavoni)

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Caterina63
00lunedì 31 agosto 2009 17:10

La pillola di Erode (I)


di Cesare Cavoni*

ROMA, domenica, 30 agosto 2009 (ZENIT.org).- La pillola abortiva RU486 resta sotto i riflettori dei media e nel dibattito politico dopo la sua recente approvazione da parte dell'Aifa, l'agenzia italiana del farmaco.

Da settembre, salvo sorprese, le donne che decideranno di sottoporsi ad aborto potranno quindi scegliere attraverso quale metodo farlo; se attraverso la via chirurgica o per mezzo dell'RU486.

Di fatto questa pillola, a cui se ne associa un'altra, antiulcera, che provoca l'espulsione del feto-figlio, sembra contrastare nettamente con la legge 194 sull'aborto che prevede il ricovero della donna. Nel caso dell'RU486, infatti, non si sa con certezza quando si verificherà l'aborto, se in tre o più giorni. Se la donna decide di lasciare l'ospedale prima dell'aborto nessuno può obbligarla a restare. Ecco quindi aggirata la legge 194 ed ecco riportato l'aborto in una dimensione, privata, di estrema solitudine e di rischio sia fisico che psicologico.

Ma va detto anche che nel nome della terapia, l'RU 486 porta davanti agli occhi di tutti un elemento, peraltro poco o nulla rilevato, come una specie di lettera rubata, a nostro avviso terrificante: per la prima volta constatiamo la messa a punto di un farmaco il cui obiettivo non è di curare una malattia, bensì di porre fine ad una vita umana. O, meglio, sembrerebbe che la gravidanza venga annoverata, più o meno esplicitamente nel sentire comune, come una patologia, nella misura in cui una donna, non scegliendola, è costretta a subirla. L'aborto, allora, potrebbe configurarsi, secondo questa visione, come la liberazione da una malattia o, più propriamente, da un male di vivere.

Un farmaco è, tuttavia, per definizione un mezzo che viene utilizzato per lenire, se non per debellare, una malattia.

L'altra parola magica che si lega a questo concetto è sperimentazione.  E, nel caso specifico dell'RU 486, da decenni si sperimentano sulle donne farmaci tossici di cui non si conoscono o non si percepiscono fino in fondo i rischi a breve, medio e lungo termine. Di norma, si può agire così quando non vi siano ragionevoli alternative, quando cioè non usare una terapia sperimentale avrebbe come unica alternativa la morte della persona. Ma in questo caso - non trattandosi di malattia - il termine "sperimentale" cade per definizione.

 

Un altro motivo che ci porta a raccontarvi qualcosa sull'RU 486 consiste in un secondo elemento, anch'esso storico e inedito: a consentire ricerche e sperimentazioni, a decretare la necessità che occorresse investire su questa molecola, è stata l'azione tempestiva e anticipatrice dei mezzi di comunicazione. Senza la stampa, l'RU 486 sarebbe rimasta nei cassetti dei ricercatori. Senza i media non avremmo assistito ad alcuna sperimentazione. Senza la stampa i Governi (specie quello americano e quello francese) non sarebbero mai intervenuti nella vicenda. Senza i titoli a nove colonne, che andavano annunciando una rivoluzione farmacologica senza pari in seguito all'invenzione degli anticoncezionali, i ricercatori che posero mano all'RU 486 non avrebbero probabilmente avuto credito per proseguire nelle proprie ricerche.

Sono stati i media in generale, infatti - prima ancora che vi fossero evidenze scientifiche ragguardevoli, che si sapesse a cosa mirasse la nuova pillola, e che gli stessi ricercatori si entusiasmassero per le proprie scoperte -, a proporre qualcosa che non conoscevano, e che nessuno conosceva, come una rivoluzione positiva della quale la società avrebbe avuto bisogno e presto avrebbe fruito.

Una ragione ulteriore a fondamento della riflessione risiede nel panorama in certo modo "sconsolante" dei media, soprattutto italiani, che sui rischi legati agli effetti collaterali di questa sostanza hanno quasi sempre taciuto o tirato via.

Ecco perché l'analisi parte dai media italiani, i quali avrebbero dovuto ricostruire la storia di questo farmaco, metterne in evidenza pregi e difetti e non sposare tesi precostituite senza, peraltro, degnarsi di vagliare appropriatamente una materia così complessa e delicata, riguardante non solo la salute delle donne ma anche i cambiamenti a cui la nostra società viene sottoposta attraverso il controllo della generazione umana.

In Italia, con l'eccezione dei quotidiani Il Foglio e Avvenire, era ed è impossibile far arrivare all'opinione pubblica un'informazione corretta e articolata sull'RU 486.

Infine, un ultimo motivo. Il destino dell'RU 486 non è affatto compiuto. E questo sia nel caso essa sparisca dalla faccia della terra sia che venga adottata da tutte le donne del mondo. La ragione è semplice, anche se non immediatamente percepibile: il suo obiettivo primario non era, forse non è mai stato, quello di favorire un aborto farmacologico, considerato meno invasivo; al contrario, fin dalle prime ricerche sugli ormoni, era addirittura, ed è tuttora, quello di giungere alla messa a punto di una pillola che agisca prima della contraccezione e prima di un aborto, in sostanza permettendo alle donne di inibire il ciclo mestruale e di riprenderlo solo nel momento in cui scelgano di avere un figlio.

Sarebbe interessante e auspicabile, oltre che necessario, che qualcuno, prima o poi, decidesse di scrivere una storia della contraccezione.  Una storia "non guidata", nella sua compilazione, da interessi se non esclusivamente scientifici. Ne uscirebbe un quadro inedito, e rattristante, in cui le donne si accorgerebbero, forse, di quale tipo di sperimentazione è stata condotta sulla loro pelle.

Allo stesso modo sarebbe interessante rendersi conto di come e quanto i media hanno fatto da grancassa ad una divulgazione di notizie riguardo alla contraccezione. Notizie che hanno avuto il "merito" non di informare correttamente le donne, bensì di propagandare ciò che un certo sistema industriale farmaceutico, in un dato momento, voleva che venisse propagandato.

Tuttavia, in attesa che qualcuno trovi inchiostro "non sponsorizzato" per mettersi all'opera, ci sembra altrettanto interessante delineare fatti, pareri e notizie sull'RU 486, che fino ad oggi sono stati esenti da polemiche e dibattiti sulla pillola abortiva. C'è un convitato di pietra nella storia di questa pillola, un protagonista senza memoria del quale non si capisce per quale motivo conduca ogni sforzo nel favorire la commercializzazione e l'uso della stessa. Il convitato di pietra è la stampa.

L'RU 486, mentre negli Stati Uniti e in Europa, dove è in uso, continua a far parlare di sé quasi unica mente per le potenti controindicazioni e le morti che ha provocato, in Italia è invece al centro di un dibattito scientifico e politico, dal momento che non è ancora in vendita e che dal 2002, dopo varie traversie, è stata oggetto di una sperimentazione.

Per chi conosce, seppur per grandi linee, la storia di questo farmaco, la cui denominazione tecnica è mifepristone, tutta la disputa italiana può apparire come un deja-vu dai contorni anacronistici.

Per chi, invece, ignora le diatribe del passato a livello internazionale che lo hanno visto protagonista, la discussione su di esso può apparire come un'innovazione, se non una rivoluzione, a cui tendere per modificare lo sguardo della società italiana in relazione all'aborto.

L'obiettivo dei sostenitori dell'RU 486 è, ed è sempre stato, quello di introdurre un'alternativa all'aborto chirurgico. O almeno: questo è ciò che essi, per anni, hanno ripetuto in una monocorde litania "scientifica" e in un'ampia e articolata opera di convincimento socio-politico-culturale.

Questo è ciò che i media hanno sempre messo in evidenza: bisognava, cioè, sostituire l'aborto chirurgico svincolando la donna dalla costrizione di un potere medico di tipo paternali stico, nonché dalla crudezza e dalla pericolosità - così veniva detto - dell'aborto chirurgico stesso.  Quantomeno, l'auspicio di un'ampia rappresentanza di media, scienza e politica era di mettere le donne in condizione di poter scegliere.

Ecco, il criterio della scelta aiuta a capire meglio la piega che la storia dell'RU 486 ha preso nel corso del tempo. Scegliere cioè se, come e quando avere una gravidanza. Mai come in questo caso la parola planning ("pianificazione") diventa calzante: pianificare la propria vita e decidere il momento in cui mettere al mondo un figlio. 

In realtà l'obiettivo dei sostenitori dell'RU 486 era ed è quello di demedicalizzare, togliere il più possibile dalla competenza e dall'influenza del medico l'aborto volontario, per trasformarlo in un fatto del tutto privato e personale; magari senza più essere costretti a chiamarlo "aborto", appunto, cioè senza più esprimere il concetto utilizzando la parola corrispondente, foriera solo di dolore e di tristezza, perché quell'esperienza veniva considerata sì un diritto, sì una scelta, ma talmente dura che il solo nominarla generava sgomento. Si capisce in questo senso la locuzione the early option pill ("la pillola dell'opzione precoce"), usata per propagandare la nuova metodica. Questo da un parte.

Chi volesse approfondire l'argomento può leggere il volume di Cesare Davide Cavoni e Dario Sacchini "La vera storia della pillola abortiva RU486", edito da Cantagalli.


* Cesare Cavoni, giornalista professionista per l'emittente televisiva della Conferenza Episcopale Italiana SAT2000, dove conduce da anni trasmissioni di scienza e bioetica, è Laureato in Letterature Comparate alla Sapienza di Roma, master in Bioetica presso l'Istituto Giovanni Paolo II dell'Università Lateranense, Perfezionato in Bioetica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, dottorando di ricerca in Bioetica sempre presso la Cattolica, docente di Bioetica e Mass media per i corsi di perfezionamento in Bioetica dell'università di Roma e Campobasso.

La seconda parte dell'articolo verrà pubblicata domenica, 6 settembre.


Caterina63
00venerdì 18 settembre 2009 19:19
Vita prenatale e setaccio genetico

Ma c'è qualcuno che si domanda
cosa davvero vogliono le donne?



di Carlo Bellieni


Due paradossi gravano nella nostra società sul mondo della conoscenza della vita prenatale. Da una parte, avanza la scoperta della profonda umanità del nascituro, dall'altra c'è un forte impulso a stendervi sopra una cortina di pesante e imbarazzato silenzio, tanto che sui media quasi non se ne parla, per non sembrare anti-abortisti. Ma oggi molti segnali dicono che questo silenzio ha le ore contate:  vediamone alcuni.
 
Una donna nello Stato del Vermont ha chiesto, pochi giorni or sono, che i suoi due "feti" morti per un incidente d'auto venissero riconosciuti legalmente come bambini, perché chi ha causato l'incidente se ne assumesse le reali responsabilità. A chi nega il valore umano della vita prenatale questa richiesta di una semplice mamma non piacerà. Così come non piacerà leggere che nel South Dakota la giudice Karen Schreier ha imposto che a chi vuole abortire venga spiegato che l'aborto è la fine di una vita; e non piacerà che in Germania per gli aborti tardivi i medici, dal maggio 2009, siano obbligati a spiegarne le conseguenze psicologiche, illustrare cosa vuol dire la vita con un bimbo disabile e offrire delle alternative. Ma non piacerà nemmeno che nella laica Francia, da un anno circa, la legge permetta alle donne che perdono un bambino non ancora nato non solo di poterne avere il corpicino e seppellirlo, ma anche di dargli un nome e iscriverlo all'anagrafe, indipendentemente dall'età gestazionale del piccolo. Insomma si coglie nell'aria un vento di riconoscimento del valore e dell'essenza della vita prenatale. 


Il secondo paradosso è che alla conoscenza dell'umanità prenatale fa da contraltare la contemporanea ricerca ansiosa di nuovi sistemi per passare al setaccio genetico tutti, ma proprio tutti, i bambini non ancora nati e di nuovi sistemi rapidi per interrompere le gravidanze. Si cerca di avere notizie genetiche sul nascituro sempre più precocemente - ora anche sul suo sesso direttamente dal sangue della madre - e si richiedono sistemi per abortire in modi sempre più rapidi, come se l'evidenza scientifica e umana di un aborto si facesse sentire di meno se si fa in modo più spiccio.

Ma esiste un'evidenza scientifica inesorabile che nasce da studi fatti da ricercatori in ogni parte del mondo e che mostra la piena umanità del nascituro. Recentemente il "Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition" (marzo 2009) riportava un'analisi della letteratura scientifica in cui si mostrava chiaramente come addirittura i nostri gusti alimentari si formino prima della nascita a seconda di quello che la mamma mangia e arriva attraverso il liquido amniotico al bambino, facendoglielo assaporare per lungo tempo prima della nascita. Anche l'istituto National Geographic ha realizzato un bellissimo video (In the Womb) con forti immagini nella cosiddetta tecnica "a 4 dimensioni" sullo sviluppo del bimbo prenatale, recensito con calore dal "New York Times" e disponibile, in parte, sul web. La medicina prolifera di congressi dal titolo "Il feto come paziente" - l'ultimo si è svolto nel marzo scorso a Sydney - e si moltiplicano libri, riviste e fondazioni dedicati alla medicina prenatale. Basti, ad esempio, ricordare che la rivista pediatrica "Early Human  Development"  ha  come sottotitolo "Rivista internazionale sulla continuità della vita fetale e postnatale", e il "British Medical Journal" edita una rivista pediatrica che ha una "Fetal and Neonatal Edition".

Negare l'umanità di chi non è ancora nato porta anche delle conseguenze che riguardano i bambini ormai nati e in piena crescita dopo la nascita, come la difficoltà nell'attaccamento prenatale. Il rapporto psicologico e affettivo tra mamma e bambino inizia ben prima della nascita; ogni mamma sa che può addirittura dialogare col proprio bambino non ancora nato.

La psicologa parigina Catherine Dolto ha scritto un breve saggio sulla possibilità di sfruttare questo contatto, detto aptonomia, nella quale si può coinvolgere anche il padre nel dialogo complice ed affettivo fra la madre e il "feto".

Sappiamo anche che il livello di attaccamento affettivo prenatale predice il livello di attaccamento tra mamma e bambino dopo la nascita (Anver Siddiqui, in Early Human Development, Amsterdam, Elsevier, 2000).

Esiste anche il problema della scarsa protezione fetale. "Anche se il feto non è una persona giuridica, ha lo stesso il diritto di essere non fumatore". Sono le parole di Michel Delcroix, docente di ostetricia a Lille riportate da "Le Figaro" del 21 gennaio scorso e la dicono lunga. Fumo, alcol e stupefacenti in gravidanza mettendo a gravissimo rischio la salute del "feto", rischiano di rovinare la vita di chi nasce.

Ma si fa abbastanza per mettere in guardia le donne? Si fa abbastanza per garantire loro un ambiente ecologicamente sano in gravidanza, mentre sostanze come pesticidi, solventi, metalli pesanti le circondano e ne mettono a rischio la fecondità e la prole? Sarebbe davvero facile far passare questi messaggi se si partisse dall'evidenza che in loro abita un bambino di cui sono la prima dimora, e che la mamma e la società devono garantire al piccolo ospite il massimo comfort.

C'è anche un aspetto che chiamerei il "lutto defraudato". La perdita di un bambino prima della nascita è un trauma per la madre e per il padre. Ma troppo spesso chi lo subisce non viene aiutato a elaborare il lutto, condizione forte per aiutare la salute psichica della persona. Evidentemente non si può elaborare un lutto per la morte di "qualcuno che non esiste". E questo genera traumi che talora richiedono cure particolari.

Infine, si arriva, nell'epoca della ultraspecializzazione in medicina, al paradosso che il medico della mamma deve sobbarcarsi anche della diagnosi e cura del bambino in utero, il quale solo alla nascita avrà diritto ad un proprio pediatra.

Dunque non si tratta di un problema sentito solo da chi è contrario all'aborto, ma è una questione che riguarda la salute pubblica. Anche perché di recente la rivista "Lancet" (Si deve offrire alle donne un'assistenza psicologica post-aborto, 23 agosto 2008) ha mostrato che far nascere un bambino da una gravidanza indesiderata non genera problemi psicologici maggiori che abortirlo; dunque crolla anche il mito dell'aborto come presunta salvaguardia della salute mentale.

La scienza, insomma, mostra l'umanità della vita fetale, mentre dall'altra parte la nostra società ricerca ansiosamente sempre più raffinati strumenti chirurgici o chimici per farla scomparire. È un paradosso della mentalità occidentale che offre risposte standard senza l'elasticità di ascoltare bene le richieste e talora senza fare i conti con i dati di fatto.

Ma c'è qualcuno che si domanda cosa davvero vogliono le donne? Vogliono forse sempre più strumenti per abortire o piuttosto - e tante donne lo reclamano - sempre più risorse - economiche, culturali, sociali - per abbracciare il figlio, per riconoscere la compagnia del piccolo bimbo che portano dentro di sé? Le tragiche parole della mamma del Vermont a cui sono morti i due figli-feti, sono significative e non necessitano commenti:  "Per me sono bambini:  hanno capelli, occhi, naso, labbra perfettamente formate. Hanno dita, unghie. Non so come lo Stato del Vermont possa dire che non sono bambini".


(©L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009)



       
Caterina63
00giovedì 1 ottobre 2009 13:03



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La pillola di Erode (II)



di Cesare Cavoni*



ROMA, domenica, 6 settembre 2009 (ZENIT.org).- Le lobbies pro aborto “non desideravano” spaventare quella fetta di società ancora dubbiosa, se non ostilmente contraria, ad una scelta netta e radicale come quella dell’aborto medico; una scelta che mira, fondamentalmente, a separare ancora di più la sessualità dalla procreazione, e a togliere l’accesso all’aborto dall’ambito di controllo statale, medico e scientifico per concederlo “gentilmente” alla sfera privata, casalinga (nel vero senso della parola) e, se ella lo desidera, familiare (nell’accezione più ampia possibile) della donna. Ironia della sorte! Si è fatto il percorso esattamente inverso alla socializzazione/medicalizzazione dell’aborto volontario, alla sua emersione dal privato, sostenuta da chi voleva legiferare in materia di “interruzione volontaria di gravidanza” per strappare le donne, si diceva, dalle peraltro tristi (talora mortali), circostanze dell’aborto clandestino.

Un cambiamento, insomma, davvero profondo, ma che ha avuto bisogno di oltre venti anni per potersi assestare in maniera sufficientemente convincente. Se non fosse stato per le morti (sedici quelle segnalate a fine 2007) verosimilmente correlate all’assunzione del mifepristone, il castello di sabbia dell’RU 486 sarebbe ancora, forse, tutto intero in riva al mare degli effetti collaterali. Sono venuti i dati ad avvelenare i sostenitori della “pillola magica”. S’era detto che gli aborti sarebbero diminuiti e diventati più sicuri e che nessuno avrebbe più scelto l’aborto chirurgico di fronte alla semplice prospettiva di assumere una pasticca che sostava, familiarmente, sul comodino. Ma i dati, appunto, hanno portato cattive nuove: gli aborti calavano da soli; solo un’esigua percentuale di donne sceglieva l’RU 486, perché il suo iter si rivelava troppo lungo e gravoso, fisicamente e psicologicamente. Di sicurezza, poi, come poter parlare con sicurezza?! Emorragie, gravidanze non risolte, morti da shock settico e, nel migliore dei casi, il tonfo sordo del materiale ovulare (embrione incluso) nello scarico igienico dopo giorni di attesa, scandivano un tempo che assomigliava, più che al tempo di una liberazione, a un tempo di morte e basta. Dunque, cos’era meglio? Far finta di non vederla o non vederla proprio, sotto anestesia, col vecchio metodo operativo? Dieci minuti di “black out” e via: domani è un altro giorno! E poi le fandonie sul costo: meno caro, dicevano, per le donne e per le casse pubbliche.

In realtà per le donne non era cambiato granché, forse qualche euro di differenza, a volte in meno, spesso in più. Per la sanità pubblica: un risparmio di medici dedicati solo a quel servizio, così poco ambìto; costretti a metter toppe sugli sbagli degli altri; più letti a disposizione; ma, di sicuro, un costo non proprio lieve se uno Stato avesse deciso di passare gratuitamente un farmaco che, solo nel primo periodo, la vecchia azienda produttrice voleva piazzare, all’epoca, a non meno di 500 franchi francesi. Allora, come convincere le autorità ad approvarlo, a metterlo sul mercato; quale la via più breve e più legale? Ad esempio, facendolo diventare un farmaco compassionevole per malati senza alternativa oltre la morte. Certo, ma per poter giungere ad un approdo simile, sarebbe stato necessario tirar su un altro castello (di sabbia?) pieno di malattie, dimostrando per giunta come il principio mifepristonico si stesse dando da fare nell’intercettare queste ultime. Ecco allora spuntare fibromi, meningiomi, endometriosi, cancro alla mammella e alla prostata, e un mucchio e una sporta di altre patologie su cui le sperimentazioni mediche – i cosiddetti trials clinici –, con la somministrazione dell’RU 486, and vano via via attestandosi in percentuali definite promettenti.

Dunque, la via che avrebbe condotto all’approvazione dell’RU 486 per un uso davvero terapeutico e, poi, fuori prescrizione (off label), a scopo abortivo, stava per essere asfaltata. Nello stesso tempo, come in un effetto a forbice, ci si preparava a perorare la causa di un “aborto non aborto”, non ritenendo giusto definire come abortiva un’early option pill, una pillola che contrasta all’inizio, anzi anticipa, una gravidanza quando non, addirittura, un suo accenno. Ma ciò avrà avuto pure un senso, se quello che è considerato, a torto, fonti alla mano, il padre dell’RU 486, Etienne-Emile Baulieu, inventò, quello sì, il termine “contragestativo” per il metodo in oggetto. Mezzo contraccettivo e mezzo abortivo, fino a farlo diventare quasi esclusivamente “preventivo”: se preso ogni mese, potrebbe inibire le mestruazioni; e, quindi, va’ poi a sapere se l’ovulo “era” o “stava per essere” fecondato! Chi potrebbe dirlo? Forse nessuno, dal momento che le autorità regolatorie francesi decisero a loro tempo di approvare il farmaco solo come alternativa all’aborto chirurgico e, in più, sotto stretto controllo medico. Ma come?! Non era la pilloletta da comodino, la pillola spazzacamino di medici e ospedali, nonché del potere “machocratico” sul corpo delle donne? Perché mai nella patria del Secolo dei Lumi si andava prescrivendo un farmaco così liberante e liberatorio ponendo limiti alla scienza?

Il paradosso più grande fu che, fin dalle prime sperimentazioni, i diversi ricercatori che misero mano all’RU 486 dichiararono comodamente, senza alcun velo, di puntare all’utilizzo della stessa come “nuovo contraccettivo”, talmente nuovo da giustificare anche un nuovo termine per poterne esprimere la portata: contragestazione. Anzi, sulle prime, l’aborto sembrava rappresentare un palliativo per una scoperta che intendeva rivoluzionare sessualità e procreazione; in sostanza: avere il controllo totale della popolazione. Quella di abortire o meno, infatti, non era più la scelta vera da compiere, poiché, vista in un’ottica di liberazione, essa esisteva già attraverso la legalizzazione dell’aborto. No, la scelta vera era quella di poter prendere una pasticca, a casa propria, per sopprimere il ciclo mensile e riprenderlo, eventualmente, solo e quando – ecco il punto – si fosse deciso di avere una gravidanza. In questo clima di speranzosa liberazione, i media lanciarono subito il cuore oltre l’ostacolo. Ma lo lanciarono così oltre che non tennero minimamente conto degli studi scientifici e della praticabilità di un mezzo, di un farmaco ancora non testato a sufficienza e sul quale perfino gli stessi scopritori andavano cauti. Lo stupore per tutto questo – prima ancora che dell’opinione pubblica, su cui si riversarono un mare di promesse scientifiche e di mutamenti epocali nella vita delle donne e, per riflesso, nella vita della società – fu proprio degli scienziati, ben lontani dall’attendersi tanto clamore per qualcosa che ancora non era stato inventariato completamente e di cui essi stessi ignoravano gli sviluppi precisi.

Vi si adeguarono presto, certo, perché, in fondo, fama e finanziamenti fanno gola a tutti, ma di sicuro avvertirono l’enorme peso, la responsabilità per una proposta le cui aspettative stavano giocando troppo d’anticipo sul ritmo dei laboratori. D’altra parte, le ricerche sugli abortivi farmacologici erano già state avviate fin dai primi anni ’70 del XX secolo, indirizzate a risolvere malthusianamente la sovrappopolazione nei Paesi in via di sviluppo. Siccome tutti i nodi vengono al pettine, forse per una strana coincidenza di eventi o forse per una combinata strategia che mescolava interessi economici, politici e sociali, al sorgere degli anni ’80 tutte le teorie e le ricerche sull’argomento dell’aborto medico si incrociarono: dall’uso delle prostaglandine, somministrate da sole o proprio col mifepristone, alla combinazione con l’antitumorale Methotrexate. Insomma, l’RU 486 ha costituito la miccia per far esplodere ricerche tenute nel cassetto ed in cui l’opinione pubblica non era stata ancora costretta dai media a ficcare il naso. Perché – vale la pena di sottolinearlo, pur rischiando di essere pedanti e ripetitivi –, senza l’intervento dei mass media, certe ricerche, non solo, com’è ovvio, non avrebbero occupato la scena della pubblica opinione, ma, forse, non avrebbero proprio avuto luogo e seguito. Sarà lo stesso presunto scopritore dell’RU 486, Baulieu, a scriverlo a chiare lettere nel proprio libro memoriale sulle intricate vicende della pillola abortiva. Ma, come abbiamo visto in questi anni, lo scarto tanto atteso tra l’aborto prima e l’aborto dopo la pillola, non c’è mai stato. C’è stata prevalentemente la cavalcatura di questo remunerativo cavallo di Troia.

Tutti elementi oggi ancor più rintracciabili, specialmente dopo la richiesta, giunta nel novembre del 2007 dall’azienda francese produttrice, la Exelgyn, di mutuo riconoscimento dell’RU 486. Una richiesta che, se accettata dalle autorità italiane, porterà allo sbarco della pillola abortiva anche nel nostro Paese. Per tutte queste ragioni, dunque, dopo aver esaminato gli aspetti generali di ordine scientifico e di ordine etico sull’RU 486, concentreremo l’attenzione su una comparazione a distanza tra i media italiani e quelli statunitensi, che ci è utile per almeno tre motivi: primo, per mettere a confronto il dibattito sul tema da parte dei media USA con quello da parte dei media nazionali del 2002 e del 2005; secondo, perché tali media sviscerano sin dall’inizio linee di pensiero e obiettivi che vanno molto al di là della semplice utilizzazione dell’RU 486 come metodo abortivo, mostrando e anticipando temi fondamentali con cui poi dovranno fare i conti; terzo, in quanto il panorama editoriale è carente di studi del genere. L’aborto viene di fatto tolto dalla sfera della medicalizzazione, ricondotto totalmente nella sfera privata dell’individuo e, quindi, anche svincolato da ogni responsabilità sociale (oltre che morale) in nome di un nuovo concetto di “privacy”, il quale è applicato a qualsiasi decisione riguardo al proprio corpo.

Così si spalancano le porte ad un’assolutizzazione del principio di autonomia (il rispetto dell’autodeterminazione del soggetto), togliendo ogni diritto al nascituro e investendo anche la relazione con l’altro (l’embrione, il feto, il figlio) in base a tale principio. L’aborto può essere compiuto nel chiuso della propria casa. E compare fin da subito l’opzione contraccettiva dell’RU 486, vista come il migliore anticoncezionale, sul quale si scatenano (e si scateneranno) interessi commerciali e guerre aziendali. L’analisi delle informazioni sull’RU 486 veicolate dai media ci occorre dunque per capire se al centro delle dispute politiche e farmaceutiche sia stato messo il diritto delle persone ad essere informate. E ci serve per capire se, di fronte ad un argomento così importante, si siano forniti all’opinione pubblica i mezzi necessari per maturare un’opinione seria ed argomentata. In definitiva, per poter scegliere avendo come obiettivo il vero bene dell’uomo.


[La prima parte è stata pubblicata il 30 agosto scorso]




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* Cesare Cavoni, giornalista professionista per l'emittente televisiva della Conferenza Episcopale Italiana SAT2000, dove conduce da anni trasmissioni di scienza e bioetica, è Laureato in Letterature Comparate alla Sapienza di Roma, master in Bioetica presso l'Istituto Giovanni Paolo II dell'Università Lateranense, Perfezionato in Bioetica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, dottorando di ricerca in Bioetica sempre presso la Cattolica, docente di Bioetica e Mass media per i corsi di perfezionamento in Bioetica dell'università di Roma e Campobasso.


Caterina63
00giovedì 22 ottobre 2009 21:06

Dieci buone ragioni contrarie all’aborto chimico


Decalogo contro la pillola RU486


ROMA, giovedì, 22 ottobre 2009 (ZENIT.org).- La questione della vita è al centro della Dottrina sociale della Chiesa, come ha chiaramente indicato Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate.

E’ al centro perché riguarda in modo radicale la dignità  della persona e perché da come si affronta il tema del rispetto della vita umana dipendono tutte le altre questioni sociali. Su cosa  si costruirà la vita comunitaria se la nostra coscienza è «ormai incapace di conoscere l’umano?» (Caritas in veritate  n. 75) e se cediamo all’«assolutismo della tecnica».

L’Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa propone un Decalogo contro la pillola RU486, che considera espressione di una cultura disgregativa, che distrugge la passione per la vita e colpisce fin nelle origini il significato dello stare insieme.

di Monsignor Giampaolo Crepaldi

Presidente dell’Osservatorio




 * * *

1.       Un aborto è sempre un aborto. La modalità – chimica o chirurgica – con cui si realizza non cambia la sua natura di  “delitto abominevole”, poiché non varia la volontarietà di provocare la eliminazione di un essere umano innocente.

2.       L’ aborto chimico non è meno pericoloso per la salute della donna. Le notizie accertate di 29 morti riferibili direttamente all’uso dell’Ru 486 sono un dato che mostra come questa metodica sia dieci volte più pericolosa di quella chirurgica per la salute della donna. Ovviamente, entrambe sono ugualmente letali per la vita del concepito.

3.       Sembra una medicina, ma è solo un veleno. Il mifepristone, chiamato Ru486 dall’industria farmaceutica Roussel-Uclaf che la studiò e la produce, compare in letteratura nel 1982 ed è un ormone steroideo sintetico che va a sostituirsi al progesterone, l’ormone che sostiene la gravidanza, rendendolo inefficace: di conseguenza l’embrione muore o, se sopravvive, il più delle volte ha gravi danni nello sviluppo e gravi handicap: questo è il motivo per cui, in Francia, le donne firmano un modulo che le impegna a ricorrere all’aborto chirurgico se la “pillola” non dovesse fare effetto completamente. L’associazione di mifepristone e prostaglandine non ha alcuna azione terapeutica, non cura nessuna malattia, non svolge alcuna azione benefica; ha un solo scopo: eliminare tramite la sua morte un embrione umano.

4.       La “pillola” per abortire banalizza l’aborto. Utilizzare un prodotto chimico, per giunta catalogato come farmaco, induce due drammatici errori: ritenere che l’aborto sia un cosa facile e che rientri nell’ambito delle terapie mediche. Che non sia facile lo dimostrano le esperienze raccontate dalle donne, le tante sofferenze che restano  sconosciute e possono manifestarsi anche dopo molti anni. Ed è una grave menzogna indurre a pensare che la gravidanza sia una “malattia” da potersi “curare”, ovvero da eliminare, attraverso una opzione medica. Una gravidanza è la presenza di un nuovo essere umano, non è un mal di testa o un raffreddore: non si trattano allo stesso modo!

5.       L’ RU486 costringe la donna alla solitudine. Il mifepristone viene consegnato alla donna che lo assume personalmente; dopo qualche ora insorgono dolori ed emorragia che devono essere gestiti e monitorati personalmente, da riferirsi ad una successiva visita, durante la quale viene prescritta una seconda “pillola” che aiuta la definitiva espulsione dell’embrione. Il periodo di tempo in cui avviene il tutto può andare da tre a quindici giorni, con grande variabilità individuale dei sintomi dolorosi, per i quali comunque possono essere prescritti farmaci antidolorifici, sempre da autosomministrarsi. Impensabile che tutto il percorso sia realizzabile in ospedale, visti quali sarebbero i costi altissimi di un ricovero così prolungato: e questo pone la donna totalmente sola nella gestione dell’aborto, come avveniva e ancora avviene nell’aborto “clandestino”.

6.       C’è poco tempo per una adeguata riflessione.  Le pillole vengono consegnate alle donne in tempi necessariamente brevi, dovendosi assumere entro i primi 49 giorni della gravidanza per essere efficaci, non consentendo una articolata riflessione sulla decisione definitiva. La legge 194/78, che in Italia regolamenta l’aborto volontario, prevede che sia lasciato un tempo adeguato alla valutazione delle situazioni, delle possibili alternative e aiuti che la donna con gravidanza difficile può ricevere. L’RU 486 mette fretta, accorcia i tempi, appare anche nella sua tempistica come una “soluzione” rapida, quasi un automatismo: sono incinta – non lo voglio – prendo la pillola.

7.       Svolge un’azione diseducativa. Quale può essere l’esito educativo di una mentalità di banalizzazione delle azioni, se non la deresponsabilizzazione? Se è possibile tecnicamente, non censurabile eticamente, accettato con disinvoltura e addirittura chiamato “progresso” e “conquista di civiltà” il fatto che, di fronte ad una difficoltà nella gravidanza, il modo più semplice per risolvere i problemi sia quello di “prendere una pastiglia”, come è possibile educare alla responsabilità?

8.       Rappresenta una ideologia. L’auspicio, neppure troppo nascosto, è che questa modalità chimica diventi la normale via per abortire e che addirittura possa sostituirsi alla contraccezione, così da potersi ricorrere ad essa abitualmente. La mentalità di ricorso all’aborto tutte le volte in cui la contraccezione fallisce è uno degli effetti collaterali più pericolosi del cosiddetto “controllo delle nascite”. In un prossimo futuro, se davvero fosse utilizzata l’RU486 al primo insorgere delle gravidanze, l’aborto diventerebbe, ancor più di oggi, il mezzo di pianificazione familiare consueto, con una gravissima perdita di percezione della dignità della vita umana.

9.       Non essendo un farmaco, non si può imporre ai medici di prescriverla.Spesso si associa il diritto all’obiezione di coscienza del medico e dell’operatore sanitario esclusivamente ad un intervento diretto. La somministrazione di farmaci è tendenzialmente vista come indifferente nella valutazione etica, poiché ciascuno sceglie e agisce in prima persona nell’assunzione di una medicina; questa “pillola” non è un farmaco e tantomeno un “salvavita”, anzi: perciò è il suo effetto (l’aborto diretto e volontario) che cade pienamente sotto la valutazione della coscienza di ciascuno. In particolare, ogni medico deve essere libero di dissociarsi e di rifiutarne la prescrizione, la quale sarebbe una attiva e consapevole cooperazione ad un atto reputato ingiusto e illecito.

10.   Un aborto è sempre e solo un aborto. Nonostante la diffusione, nonostante i numeri tanto imponenti da oscurarne la percezione reale, nonostante l’inganno semantico di cambiarne il nome (interruzione volontaria della gravidanza), nonostante gli sforzi per renderlo inavvertito, banale, routinario, l’aborto resta un atto gravemente ingiusto, un lutto da elaborare, una ferita da guarire. Perderne consapevolezza non cambia la realtà dei fatti: un fatto è un fatto. In barba a tutte le ideologie.




FATEVI PORTAVOCE DI CHI NON HA VOCE E DI CHI, CONCEPITO, VIENE UCCISO ED OBBLIGATO AL SILENZIO: NON UCCIDERE ED ANCHE TU, DONNA, EVITA DI FARTI DEL MALE UCCIDENDO TUO FIGLIO, EVITA DI FARTI DEL MALE ASSUMENDO FARMACI CHE TI FARANNO DOPPIAMENTE MALE...LA VITA VALE LA PENA DI ESSERE VISSUTA PER TE E PER TUO FIGLIO.....
                                          




Caterina63
00giovedì 5 novembre 2009 14:38
La direttrice di una clinica abortista si converte
(e i Media tacciono! [SM=g1740733] )



Una campagna negli USA rivendica 542 vite salvate e 8 abortisti pentiti




di Genevieve Pollock



BRYAN, mercoledì, 4 novembre 2009 (ZENIT.org).- Abby Johnson, ex direttrice di un centro di Planned Parenthood negli Stati Uniti, ha abbandonato questa organizzazione abortista dopo aver visto l'aborto di un bambino, e ora lavora con quanti pregavano per la sua conversione.

La Johnson, 29 anni, ha lavorato per Planned Parenthood per otto anni fino a che ha visto, attraverso una trasmissione per ultrasuoni, un feto “strizzato” mentre veniva aspirato dal ventre materno nel settembre scorso.

Il 6 ottobre ha lasciato il suo lavoro di direttrice del centro di Bryan (Texas) e si è recata alla Coalition for Life (Coalizione per la Vita), un gruppo pro-vita che in quel momento stava partecipando in varie città statunitensi alla campagna “40 Giorni per la Vita”.

David Bereit, direttore nazionale di “40 Giorni per la Vita”, ha spiegato a ZENIT che nell'ultima campagna, terminata questa domenica, altri sette lavoratori di cliniche abortiste hanno abbandonato il proprio ruolo, e sono state salvate 542 vite.

“E questi sono solo i casi di cui siamo a conoscenza”, ha aggiunto, riassumendo i risultati immediati della campagna, che ha unito 212 città di 25 Stati, 5 province canadesi e la Danimarca.

Il programma attuale dei “40 Giorni” è iniziato alla clinica di Bryan nel 2004 come iniziativa basata sulla preghiera e sul digiuno.

I collaboratori pro-vita si sono riuniti di fronte a questo centro dell'organizzazione Planned Parenthood per sei campagne fino a questo momento, celebrando una preghiera di un giorno intero per chi difende l'aborto.

“Dalla prima campagna nel 2004 abbiamo pregato per Abby – e per tutti coloro che lavorano nel settore dell'aborto – perché potesse arrivare a vedere che cos'è realmente l'aborto e abbandonasse questo affare di morte”, ha detto Bereit.

“In questo caso, le nostre preghiere sono state ascoltate – ha aggiunto –. Siamo molto orgogliosi del coraggio di Abby nel lasciare l'industria dell'aborto e annunciare pubblicamente le ragioni per cui l'abbandonava”.

Il direttore ha anche sottolineato che la storia della conversione della Johnson “dimostra l'importanza di una presenza orante costante e pacifica di fronte alle strutture abortiste”.

Punto di rottura

La Johnson, che ora sta comparendo in programmi radiofonici e televisivi di tutto il Paese, ha detto di aver sperimentato un “cambiamento del cuore riguardo alla questione”, ha reso noto “40 Giorni per la Vita”.

“Negli ultimi mesi – ha confessato –, avevo visto un cambiamento nelle motivazioni dell'impatto finanziario degli aborti e sono arrivata davvero al punto di rottura dopo aver assistito a un aborto concreto attraverso gli ultrasuoni”.

“Ho pensato soltanto 'Non posso più farlo', ed è stato come un flash che mi ha colpito”, ha detto a KBTX.com.

La Johnson, episcopaliana, ha descritto questo momento come una “conversione definitiva” del cuore, una “conversione spirituale”.

Ha anche spiegato che, pur essendosi unita all'inizio a Planned Parenthood perchè voleva auitare le donne, era in dubbio perché il centro stava cambiando il suo modo d'agire.

“Il denaro non era speso per la prevenzione”, ha denunciato, “ma per gli aborti”.

La Johnson ha segnalato a FoxNews.com che attualmente riceveva istruzioni dai suoi capi regionali per incrementare il numero di aborti realizzati, per aumentare i profitti.

“In ogni riunione si diceva: 'Non abbiamo abbastanza denaro, dobbiamo aumentare gli aborti' – ha rivelato –. E' un affare molto lucrativo e per questo vogliono aumentare i numeri”.

Anche se l'ex luogo di lavoro della Johnson praticava aborti solo due giorni al mese, il medico era lì ogni giorno e poteva farne più di 40.

Ora la Johnson aiuta le donne, ma dall'altro lato. Ha iniziato a pregare con i volontari all'esterno di Planned Parenthood per quelli che una volta erano suoi colleghi.

Il potere della preghiera [SM=g1740722]

Il direttore di Coalition for Life, Shawn Carney, ha affermato: “Questa è davvero una testimonianza del potere della preghiera e del coraggio di Abby di lasciare un lavoro che sentiva di non poter portare avanti in coscienza”.

“Per tutti noi volontari che abbiamo pregato fuori dalla clinica per la conversione di chi ci lavorava, è stata una gioia essere testimoni del fatto che le conversioni avvengono realmente”, ha aggiunto.

Anche se la Johnson non ha ancora trovato un altro lavoro, collabora da vicino con Carney e con altri membri della Coalizione.

Bereit ha detto a ZENIT che “la gente pro-vita sta accogliendo queste persone che lavoravano nel campo dell'aborto con amore e a braccia aperte”.

La pagina web della sua organizzazione, ricorda, ha pubblicato sui suoi blog centinaia di commenti di persone di tutto il mondo che esprimono il proprio sostegno ad Abby.

Bereit ha sottolineato che questa conversione avrà risultati di grande portata. “Incoraggerà davvero altre città a svolgere molteplici campagne '40 Giorni per la Vita', e presenze oranti regolari”, anche quando il programma non è in svolgimento.

“Ci siamo impegnati a esercitare pressioni fino a quando nessuna donna piangerà più e nesusn bambino morirà”, ha dichiarato.

Ha anche riferito a ZENIT che sono state organizzate due nuove campagne per il 2010, una durante la Quaresima, che inizierà il 17 febbraio, e l'altra in autunno, dal 22 settembre al 31 ottobre.

“Oltre a questo – ha concluso –, '40 Giorni per la Vita' sta sviluppando attivamente strumenti e risorse per formare e dare autorità ai pro-vita locali per ampliare ed espandere l'impatto dei loro sforzi”.



[SM=g1740717] [SM=g1740720]

Caterina63
00giovedì 26 novembre 2009 12:16
[SM=g1740722] Gino ha postato un ottima notizia in Dialoghi generali:


Senato ha fermato la procedura per permettere l'ingresso in Italia della Ru486, la cosiddetta "pillola dell'aborto facile". È stata così accolta la mozione presentata dal presidente Antonio Tomassin i(Pdl) che chiedeva lo stop della procedura di commercializzazione della pillola abortiva Ru486 da parte della Commissione Sanità del Senato, in attesa di un parere tecnico del ministero della Salute circa la compatibilità tra la legge 194 e la RU486..
Il PD ha votato contro.

Il 30 luglio 2009 la RU-486 era stata approvata dall'Agenzia italiana del farmaco con 4 voti favorevoli su 5 ed era quindi entrata a far parte dei farmaci utilizzabili in Italia. Fino ad oggi, quando la commissione del Senato ha approvato il testo del Pdl che domanda al governo di intervenire, bloccare l’Aifa e fermare la messa in vendita della pillola abortiva.

Quella sulla Ru486 è una battaglia che dura da mesi, portata avanti con caparbia dal sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella che ha sempre sollevato dubbi sull'effettiva utilità del medicinale, visto che in alcuni casi ha provocato la morte delle madri. Rispetto ai metodi abortivi tradizionali, la Ru486 non rende indispensabile l'ospedalizzazione. Ha però numerose controindicazioni e in alcuni casi, ha provocato la morte delle donne che l'hanno assunta.

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[SM=g1740722] [SM=g1740721] bene, bene...MAI DISPERARE...ma sempre sperare....

vi rammento che in molte Chiese sono stati fatti TURNI DI PREGHIERA affinchè il Senato non riconoscesse l'utilità di questa legge...
e poichè noi non crediamo al caso, diciamo GRAZIE al nostro Signore e nostro Dio che almeno per oggi una grave ingiustizia ci è stata risparmiata...

ad ogni giorno basta la sua pena, oggi godiamo della benevolenza di Dio...

[SM=g1740717] [SM=g1740720]


Caterina63
00mercoledì 31 marzo 2010 12:41
Intervista al Prof. Giuseppe Noia, Ginecologo e professore universitario.

Claudia venne qui, da sola, nel 1992, a 18 settimane di gravidanza e mi disse:

- "Professor Noia, varie persone mi hanno fatto il suo nome, perchè lei mi può dire se questo bambino ha i reni o no." - "Va bene" - rispondo - "facciamo alcuni esami". E lei: "Fate tutto il necessario, perché io devo decidere". Fatti gli esami, il risultato era chiaro: - "I colleghi che l'hanno inviata da noi avevano ragione, la mancanza di tutti e due i reni è confermata". E lei: " Che sarà di questo bambino?". - "Crescerà dentro di lei, lei si legherà a lui col suo amore, ma il bambino, non avendo la possibilità di urinare, non svilupperà il sistema che porta alla maturazione dei polmoni. Come conseguenza, dopo la nascita il bambino vivrà solo alcune ore". Claudia: "Allora, se è così, vado a fare l'aborto volontario".

Ribatto: "La legge 194 mi permette di fare un'opera di dissuasione, per cui le vorrei offrire un'opzione diversa, soprattutto dal punto di vista medico- psicologico". - "In che senso?". - "Ha mai sentito parlare della sindrome post-abortiva? È una sindrome grave che colpisce le donne che scelgono l'interruzione di gravidanza". - "E allora cosa mi propone?". - "Le propongo di accompagnare il bambino". - "Ma cosa significa?". - "Lei fa le cose che fanno tutte le altre mamme, le visite, i controlli, gli esami". Lei: "Ma si rende conto di quello che mi chiede?. Lei mi propone di accompagnare una creatura a cui io mi legherò moltissimo, pur sapendo che la perderò... È una cosa sovrumana".

- "Non è sovrumana, anzi è estremamente umana. Se per esempio venisse un ematologo e le dicesse che purtroppo il suo bambino di tre anni è inguaribile e tra qualche mese morirà, lei lo curerebbe e accompagnerebbe, non è vero?". Claudia: "Ma in quel caso...." Io: "Cosa cambia se ha tre anni o tre mesi?". Lei: "Vorrei evitare che questo bambino soffra". Io: "La prima sofferenza è quella di togliergli la vita. Ma soprattutto di togliergli l'amore, perché lei soffrirà se accompagna il bambino, ma soffrirà in modo molto maggiore se lo uccide. Con la differenza che nel primo caso lei soffre accompagnandolo, ma poi il dolore si stempera nella consapevolezza di aver amato suo figlio fino alla fine, e questo le farà un bene che non può immaginare. Ricordi che le parlo in nome di esperienze che ho conosciuto personalmente. Nell'altro caso, lei avrà distrutto suo figlio, il suo progetto, sarà quasi come una separazione da una parte di sé stessa, per questo poi arriva la depressione". Claudia: "No, non ce la faccio. Non ce la faccio". E se ne va a fare l'interruzione.

Si ripresenta dopo nove anni: - "Si ricorda di me?". - "Il viso credo di sì, ma noi vediamo centinaia di persone a settimana...". Claudia: "Sono quella donna che anni fa se ne andò un po' irritata con lei perché, per il caso di genesia renale della mia bambina, mi propose l'accompagnamento invece dell'aborto. Me ne andai irritata perché mi sembrava, inizialmente, che lei volesse coartare la mia scelta di autodeterminazione come donna, impedendomi di scegliere in libertà, per una vita in fondo inutile e che avrebbe avuto gravi sofferenze".

- "Innanzitutto qui non si obbliga nessuno, si propone, tanto è vero che lei poi ha fatto l'interruzione di gravidanza, è stata una scelta sua. Ho voluto evidenziare i danni, non solo dal punto di vista etico, che magari tengo per me, ma anche dal punto di vista scientifico-psicologico". - "E aveva ragione". Allora mi fermo. Era partita quasi attaccando... - "Ho sperimentato sulla mia pelle cosa significa la sindrome post-abortiva. Ci ho messo nove anni per ripetere una gravidanza. E ogni volta che ci riprovavo ripensavo a quella bambina che avevo ucciso e mi bloccavo. Ho avuto anche un aborto spontaneo - il rifiuto psicologico, il sentirsi inadeguata da parte della madre può produrre aborti spontanei -, ma adesso sono di nuovo incinta". - "Va bé, lasci stare il passato signora e stia serena, senza arrovellarsi. So che lei soffre soprattutto per non sapere dov'è la sua bambina e per non avergli potuto dare un nome".

- "Le due domande che mi faccio sono come sarebbe stata e dov'è adesso". - "Signora, la sua bambina è nel suo cuore, starà sempre con lei". Ma lei ribatte: "Sì, ma adesso sono incinta e ho di nuovo una bambina senza reni". Seguono due lunghissimi minuti di silenzio. Claudia percepisce il mio stato di disagio. - "Professore, lei ha parlato nove anni fa, adesso parlo io. Il mio pregiudizio culturale mi ha fatto rifiutare una proposta eticamente e medicalmente corretta. Pensavo che lei non parlasse come medico, ma come cattolico, per propormi la sua visione della vita e togliermi libertà e autodeterminazione. Niente di più falso. Lei parlava in maniera corretta, sia su base giuridica che su base medica. E questo mio errore l'ho pagato sulla mia pelle. Ma adesso non voglio sbagliare di nuovo, voglio accompagnare la mia bambina. Però ad una condizione: che sia lei ad accompagnare tutti e due". - "Signora, qui io sono proprio l'accompagnatore ufficiale".


Ridiamo un po' per stemperare la tensione. - "Professore, voglio venire al suo studio privato, però". - "Signora, stia tranquilla, la tratterò ugualmente bene anche qui, solo che non paga".

- "Non mi interessa il problema di pagare. Al suo studio c'è più privacy". - "Allora mi permetta di non farla pagare anche se viene allo studio". - "Professore, lei non ha capito niente; io alla mia bambina devo dare tutta la dignità che le avrei dato se avesse avuto i reni. Quindi voglio venire a fare le visite, pagare le ecografie, tutto quello che c'è da fare normalmente. Perché se non dò io a mia figlia senza reni la dignità che le spetta come essere umano, in questo mondo di morte chi vuole che gliela dia?". Ammutolisco. Nei mesi successivi Claudia viene allo studio, fa tutte le visite, partorisce Alice, che dopo quattro ore vola in cielo. - "Professore, devo ringraziarla per aver accompagnato me e la mia bambina, proprio come volevo. Sono tornata da lei grazie alla mia bambina precedente, che mi ha guarito il cuore. Soprattutto, professore, la voglio ringraziare perché aiutandomi ad accompagnare Alice in questi nove mesi mi ha permesso di riscattare nove anni della mia vita".

Claudia, molto serena, ha già il desiderio di iniziare una terza storia, per cui la avviso che prima è necessario fare una valutazione genetica della probabilità che si ripeta il problema. Scopriamo che la probabilità è del 25 per cento. Tempo dopo nasce Sofia, che sta benissimo.

(fonte: www.debbysblog.splinder.com)

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A chi giustifica l'aborto , l'omicidio contro un essere che nascerà malato perchè, si dice, sarebbe condannato a morire, vi rammento che OGNI VITA CHE NASCE, compresa la nostra che viviamo è destinata a questo passaggio...la Morte NON può essere esorcizzata con un omicidio volontario mascherato da atto pietoso e compassionevole...è una aberrazione diabolica!
La vita, OGNI VITA, VA VISSUTA FINO ALLA FINE, FINO A QUANDO QUELLA VITA SI SPEGNERA' DA SOLA...

L'Uomo è votato a difendere la Vita, a salvarla, a proteggerla....ogni sforzo tende in senso naturale a questo, ogni altra giustificazione che porta a decidere sulla vita degli altri, se non è per legittima DIFESA, è un omicidio....

Grazie Professore per averci condiviso questa esperienza!
                                                 


Caterina63
00martedì 27 aprile 2010 17:29

L'aborto ha fatto nel '900 più morti di Stalin ed Hitler



Hitler? Stalin? Mussolini? I tagliagola africani o talebani? I terremoti? La guerra mondiale? Hiroshima?No, cari amici: il vero sterminio dell'ultimo secolo non è stato firmato dai signori o dagli eventi sopracitati, ma dall'aborto reso legale.

Dall'aborto che diventa un diritto della donna, non più un tragico epilogo (di una vita umana) da cercare in tutti i modi - a suon di carezze, certo - di fermare. I numeri usciti nei giorni scorsi sono terrificanti: con 2milioni 863mila 649 aborti praticati e censiti ogni anno in Europa (più di un milione e 200mila nella sola Ue), nel nostro continente l'aborto sta diventando la principale causa di morte. Più del cancro. Più dell'infarto. Più degli incidenti stradali (in 12 giorni viene soppresso un numero di embrioni, che io preferisco chiamare bambini, pari a quelli dei morti in incidenti stradali lungo l'intero anno).

Volete ulteriore dati? In Europa si praticano 6.468 aborti al giorno, 327 ogni ora, 1 ogni 11 secondi. Quando avrete finito di leggere queste poche righe, almeno a tre bambini sarà stato impedito di nascere. Si dirà: ma l'aborto è sempre esistito. Certo. E sempre esisterà, temo.
 
Ma il punto della questione è un altro: l'uomo moderno ha deciso di istituzionalizzarla l'interruzione di gravidanza. Hanno cominciato i regimi totalitari, poco alla volta ci siamo adeguati tutti. E allora, io non ce la faccio a non stupirmi e a non piangere di fronte a 3milioni di bambini che non facciamo nascere in Europa ogni anno. Morti ammazzati, posso dirlo? E attenti bene, non chiedo la testa degli 'assassini' (ci sono tante mamme, tanti uomini, che hanno solo bisogno di un aiuto, di misericordia). Chiedo solo di riflettere bene su quanto stiamo facendo.

Massimo Pandolfi (Fonte: il Resto del Carlino, 03/03/2010)




                                                              

Per approfondire la storia dell'Aborto, vi invito a leggere questo sito: CENTRO SAN GIORGIO

"Una persona civile rispetta la meraviglia e il prodigio della vita, e non può tollerare il brutale omicidio di bambini senza colpa. Con ogni mezzo lecito è giusto continuare a ricordare e a mostrare ciò che l'edonismo borghese ha mascherato da conquista civile. Non si tratta di accusare le donne che magari in preda alla difficoltà, sole e abbandonate, o pressate da altre persone, commettono questa grave azione. Preghiamo per tutte le mamme in difficoltà, ma nessuna giustificazione può esistere per l'uccisione volontaria di una vita innocente... Riportiamo un documento molto interessante che riassume il percorso di inciviltà che ha portato le nazioni a legalizzare l'omicidio di Stato."

Caterina63
00sabato 3 luglio 2010 15:09


[SM=g1740733] Dal Bollettino salesiano giugno 2010

Ru486. Caro direttore, […] Può dare un chiarimento sulla Ru486 che fa tanto discutere? […]

Marco, Bologna e molti altri

Vi faccio rispondere dal Preside della facoltà teologica S. Tommaso e direttore della Scuola Superiore di Bioetica di Messina.

La pillola Ru 486 non è un semplice farmaco. Il fatto che dal dicembre 2009 è autorizzata l’immissione in commercio, non indica che è una prescrizione farmaceutica tra le altre. Non è neppure un contraccettivo, ma un contragestativo, cioè un mezzo che ha la funzione di interrompere la gestazione. In Italia l’interruzione volontaria della gravidanza è normata dalla legge 194, che pertanto coinvolge anche questo tipo di aborto («chimico» e non chirurgico). Ma l’aborto volontario è sempre aborto, ha importanza relativa la modalità. Sull’argomento non c’è pace né scientifica né pubblica e le stesse aziende produttrici del farmaco (in origine una francese e successivamente alcune tedesche) hanno rinunciato alla produzione per tutta una serie di contenziosi giuridici.

La RU 486 apre la strada alla «privatizzazione» dell’aborto, spostandolo in fase precoce, con i rischi inevitabili della autoprescrizione o di un’autogestione che può comportare gravi problemi per la salute della donna e per la sua salute riproduttiva in genere. La letteratura sull’esperienza di oltre 20 anni è eloquente. La prescrizione della RU 486 non può avvenire senza le regole della legge sull’aborto in genere (la legge 194). Rimane sempre il male dell’aborto e per di più autogestito con gli effetti collaterali di una sostanza (il mifepristone) che ha notevoli aspetti problematici a livello di alterazioni dell’umore, di depressione e di emorragie e, in alcuni casi, di rischio per la vita della donna. Il farmaco è utilizzato in campi extra-ginecologici con rapporti clinici non confortanti.

L’obiezione di coscienza sull’aborto in genere deve valere anche per la RU 486: in una società democratica sarebbe una grave violazione della libertà di coscienza (medico, farmacista, infermieri, operatori sanitari). Liberi da intransigenze discriminanti, una società evoluta non deve nascondersi dietro difese apologetiche o ideologiche. La RU 486 rimane un aborto, con la possibile aggravante rischiosa del «fai-da-te», che riduce i costi per i ricoveri, come anche le complicazioni di tipo psicologico. P. Gulisano ha notato che le ragazze, che non usano abitualmente un metodo contraccettivo (perché non vogliono farsi scoprire dai genitori) o che hanno dei rapporti occasionali definiti «non protetti» sono il target commerciale perfetto: nessun problema, il pronto intervento può evitare «spiacevoli» conseguenze ad una serata di piacere. Di fatto si cerca di creare una deresponsabilizzazione dei giovani, all’insegna del fate ciò che vi pare, purché non ne abbiate conseguenze. Ma le coscienze e la responsabilità per una vita innocente perduta non rispondono bene ai calmanti (Prof. Giovanni Russo).

Caterina63
00lunedì 6 settembre 2010 18:51
Don Maurizio Gagliardini – Fondatore dell’Associazione “Difendere la vita con Maria”.

Fra le inedite sfide che questo nostro tempo pone alla Chiesa emergono, sopra tutte, la violazione della vita e la soppressione della vita nascente.

Su questo gravissimo problema, evidente a tutti ma paradossalmente disconosciuto e spesso rimosso, ha levato la sua voce il Papa Giovanni Paolo II con l’importante enciclica “Evangelium vitae”, nella quale, con forza, fa appello per una generale mobilitazione delle coscienze a favore di una nuova cultura della vita, rivolta a tutti gli uomini di buona volontà, cominciando dalla comunità dei Credenti.

La risposta a queste sfide inedite, fin dall’inizio del suo pontificato, Giovanni Paolo II l’aveva individuata in una nuova evangelizzazione che ha in Maria la “Stella” che la orienta e l’”Avvocata” che la difende.
Con la generale mobilitazione delle coscienze il Papa invocava, come necessaria, anche “Una grande preghiera per la vita che attraversi il mondo intero”, come forza soprannaturale in grado di contrastare il maligno, che in questa epoca ha costruito una cultura dell’egoismo e della morte e ha messo in atto grandi strategie contro la vita attraverso l’inganno di un apparente progresso, che nella realtà dei fatti, si è riversato addirittura contro l’uomo più debole, il concepito, nelle prime fasi dell’esistenza: il bambino già ammalato nel grembo, l’essere umano portatore di handicap, colui che non è in grado di produrre…

Per questo il magistero contenuto in Evangelium vitae continua a ricordare che l’origine della grave violazione della vita umana innocente nel grembo materno non è di natura puramente sociale, politica e culturale, ma ha la sua origine nel mondo soprannaturale del male.

Fin dall’inizio del suo cammino, l’Associazione Difendere la vita con Maria ha immaginato la Santa Casa di Nazareth come il luogo più significativo per promuovere, con la forza della preghiera, la difesa della vita, perché proprio lì la Vergine Maria, “incomparabile modello di accoglienza e di cura della vita” (E.V. 102), ha pronunciato il suo “Sì” alla Vita. Così la Chiesa, noi crediamo, guardando a Lei, troverà l’Amore per rinnovare il suo “Sì” alla vita per ciascun uomo che viene in questo mondo. Allo stesso modo ogni famiglia, guardando all’esempio della famiglia di Nazareth, troverà il coraggio e la forza di accogliere ed amare la vita come dono, superando le difficoltà di quei “perché” che alcuni trasformano in ragioni per negare l’inviolabile diritto alla vita.

Sarebbero tanti i passi da narrare, gli incontri su cui soffermarci a partire dall’inizio del nostro cammino. Un cammino cominciato, ma anche promosso ed ispirato dieci anni orsono, nel 1995, dall’Evangelium vitae. Da allora la “preghiera per la vita” si è alimentata di fede, sacrifici e buona volontà fino a diffondersi capillarmente e portarci alla Santa Casa di Loreto. In tutti questi passi, comunque, emerge la sollecitudine provvidenziale di Maria che, incisiva ed umile, com’è nel suo stile, ha sempre accompagnato, suggerito e sostenuto i momenti fondamentali del nostro impegno per rispondere all’appello dell’urgente preghiera. Sì! In questo cammino, Maria, ha guidato i nostri passi oltre ogni attesa e nonostante le nostre povertà.

Ora, con Lei, il tragitto vuole proseguire, innanzitutto dall’invio degli Apostoli della preghiera per la vita compiuto da Mons. Angelo Comastri, allora Arcivescovo della Basilica della Santa Casa di Loreto. Fu la stessa occasione in cui avvenne l’inaugurazione della “Preghiera Universale per la vita” sotto l’egida della Santa Sede con la presenza di S.Em. il Cardinale Alfonso Lopez Truijllo, Presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia.

Nutriamo ora la certa speranza che, se corrisponderemo all’invito di Maria, sarà lei stessa a scegliere, chiamare e formare dei veri apostoli della preghiera per la vita. Saranno cristiani che, attingendo alla fonte della spiritualità battesimale vivranno con perseveranza la vita filiale nell’amore del Padre, come veri fratelli di Gesù, a lui totalmente uniti da un amore unico, personale, ardente e fedele e con il cuore colmo del fuoco dello Spirito Santo.
Come Gesù desidereranno accendere questo fuoco in tutti gli uomini, a vantaggio della Chiesa e per la salvezza del mondo, perché abbia la Vita, e, questa, in abbondanza. Sull’esempio del Cristo, obbediente alla Madre a Nazareth e a Cana, saranno docili a Maria con cuore di figli, vivranno in intimità con Lei, alla quale Gesù sul Calvario consegnò la Chiesa nascente e quella di ogni tempo.

Ameranno la consacrazione al suo Cuore Immacolato, vivendola ogni giorno. Il cuore di Maria è il primo cuore totalmente ardente del fuoco che Gesù è venuto a portare. Guarderanno a Maria, domandando a Lei, tabernacolo dell’Altissimo, Modello di riferimento della Chiesa e porta del cielo, consiglio in ogni circostanza.

Gli “Apostoli della preghiera” per la vita vivranno quotidianamente alla scuola della Madre, che incessantemente invita ciascuno a percorrere il proprio cammino di santità al fine di riparare ed intercedere, attraverso la preghiera, la conversione e la testimonianza, allo scopo di guarire la fede di molti credenti intaccata dalle gravi insidie della secolarizzazione, della sfiducia, dello smarrimento e infine dalla cultura di morte che il maligno, con grandi strategie, ha messo in atto, soprattutto in questi ultimi due secoli, diffondendo il rifiuto di Dio attraverso ideologie atee e fenomeni di massa consumistici.

Gli “Apostoli della preghiera” si formeranno alla Scuola del grande insegnamento offerto dal Papa, aprendosi con la fortezza della fede e l’ottimismo della speranza alle sfide inedite della nuova evangelizzazione, promovendo con generosità la Pastorale della vita.

• Ameranno la vita dal concepimento alla gloria, come supremo dono del Padre Celeste Creatore, del Figlio Redentore e Signore, dello Spirito Santo Vivificatore; la custodiranno dal grembo materno della carne al grembo materno dello Spirito – la Madre Chiesa – difendendo l’umanità intera, che geme come nelle doglie del parto, fino a che non nasca a quella Vita nuova, totalmente liberata dal male e risplendente della gloria divina.

• Difenderanno e soccorreranno la vita.

• Saranno insieme il santo braccio snudato che difende la vita e la mano accogliente che, attingendo alla provvidenza divina, che apre la mano e sazia ogni vivente, nutre i piccoli e i bisognosi.

• Onoreranno i “santi innocenti” e con speciale amore e pietà, mediante il seppellimento, tutti i bambini morti prima di nascere.

• Promuoveranno la cultura della vita e, specialmente, lo statuto e la dignità dell’embrione umano.

• Per edificare la Chiesa collaboreranno in modo costruttivo, con spirito di cristiana e pentecostale comunione con tutte le Istituzioni ecclesiali e anche con tutte le espressioni della buona volontà degli uomini, al fine di promuovere la nuova cultura della vita.

• E dopo tutto questo, consacreranno ancora a Maria il proprio lavoro per la causa della vita, affidando a Lei ciò che ancora manca, ed intendendo ogni volta, con questo atto, unirsi nuovamente a Lei per proseguire con efficacia rinnovata l’impegno.

Per concludere (o meglio per continuare) occorre ora immergerci profondamente nell’intento con tutto il nostro essere, “con la forza della preghiera”, perché le attese e le speranze formulate prendano corpo e la risposta all’invito, già accolto, porti frutto abbondante.
Preghiamo così Maria, con gioia e fiducia, come all’inizio del nostro cammino:

Oh Maria, [SM=g1740752]
aurora della nuova umanità cui è affidata la causa della vita,
noi ci rivolgiamo a Te portando le aspirazioni
e le attese di ogni uomo e della Chiesa intera, popolo della vita.
Ti salutiamo Madre del vero Dio per cui tutto vive,
Madre di Gesù e Madre nostra, donna vestita di sole,
segno di consolazione e di sicura speranza.
Come il discepolo prediletto ai piedi della croce
anche noi, oggi, ti accogliamo e ti diciamo:
“Tu sei la nostra madre”.
Con questo Atto di Consacrazione
rinnoviamo le promesse del nostro battesimo
e l’impegno a percorrere la strada della santità,
come Te, con Te e con il Tuo aiuto.
Pronunciamo ora il nostro sì a Dio
accogliendo il Suo progetto e la sua volontà.
Siamo consapevoli che la vita
è costantemente al centro di una grande lotta.
Il maligno, omicida fin dall’inizio,
attenta continuamente alla vita dell’uomo e dell’umanità.
A te, è affidato il compito
di difenderci dal dragone infernale
fino al giorno in cui il Frutto Benedetto del Tuo seno
riporterà la vittoria definitiva.
Accogli, dunque, oh Maria, la nostra consacrazione,
il nostro amore e il nostro impegno perché con Te possiamo
efficacemente lavorare nella
promozione e nella difesa della vita.
Amen



[SM=g1740750]

(Preghiera di affidamento e consacrazione dell’Associazione
Difendere la vita con Maria a SANTA MARIA DELLA VITA,
pronunciata per la prima volta da
S. Em. Rev. il Cardinale Norberto Rivera Carrera,
Arcivescovo di Città del Messico, al Santuario di Guadalupe
in occasione del Congresso mondiale The Guadalupan Appeal)

Desidero concludere questa mia breve riflessione sull’urgente preghiera per la vita con la proposta che, proprio in questi mesi estivi, si è definita a partire da un importante incontro avvenuto a Fatima nello scorso mese di giugno con padre Luigi Condor, direttore spirituale di suor Lucia per circa cinquant’anni! La preghiera universale per la via unita alla grande promessa di Fatima.

La Vergine Maria, apparendo a Fatima, ai tre pastorelli, dal maggio all’ottobre del 1917, nel mese di luglio, confidò in modo speciale a Lucia la grande promessa dei primi cinque sabati, come una celeste scuola di preghiera, attraverso la quale, i cuori generosi avrebbero potuto riparare alle gravi offese che trafiggono come spine il suo Cuore di Madre e ottenere così la conversione dei peccatori e la pace nel mondo. Questa promessa è più che mai attuale perchè la sorte di tanti nostri fratelli, fra tutti i più piccoli e indifesi, come i bambini concepiti e non desiderati, è l’obiettivo di una guerra tanto feroce quanto vissuta in una incosciente e superficiale indifferenza ideologica. Questa, è propria di chi non vuole riconoscere il concepito come uno di noi e che innalza nella coscienza quel “muro di inganni e menzogne che nascondono agli occhi di tanti nostri fratelli e sorelle la natura perversa di comportamenti di leggi ostili alla vita”(E.V.100).

Penso che la scuola degli “Apostoli della preghiera” per la vita non ha riferimento più autorevole di quello indicato dalla Vergine stessa: “Il mio Cuore immacolato sarà la strada che vi condurrà a Dio”.

Grazie per l’invito e il vostro intenso e partecipato ascolto.



[SM=g1740738]
Caterina63
00sabato 20 novembre 2010 00:36

La straordinaria testimonianza del ginecologo Antonio Oriente, abortista pentito.


Mai più morte, fino alla morte
Martedì 16 Novembre 2010



di Sabrina Pietrangeli Paluzzi
In principio fu Bernard Nathanson. Parliamo del famoso ginecologo statunitense che al suo attivo collezionò circa 75.000 aborti, fino a quando non si rese conto dell’“umanità” del feto e non fece un vero cammino di conversione che lo portò a scrivere il libro The hand of God (“La mano di Dio”).

Da quel momento in poi, il suo lavoro è divenuto totalmente a favore della vita nascente. Ma “la mano di Dio” continua ad operare in ogni continente, e anche in Italia, abbiamo il nostro Nathanson: è il dottor Antonio Oriente (foto). Anche lui, come Nathanson, viveva la sua quotidianità praticando aborti di routine. Abbiamo ascoltato la sua testimonianza nel corso di un convegno dell’AIGOC. Sì, perché lui oggi è il vicepresidente e uno dei fondatori di questa Associazione Italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici… Praticamente una totale inversione di tendenza, rispetto al modo precedente di vivere la sua professione.


La sua testimonianza inizia così: “Mi chiamo Antonio Oriente, sono un ginecologo e, fino a qualche anno fa, io, con queste mani, uccidevo i figli degli altri”. Gelo. Silenzio. La frase pronunciata è secca, senza esitazione, lucida. La verità senza falsi pietismi, con la tipica netta crudezza e semplicità di chi ha capito e già pagato il conto. Di chi ha avuto il tempo di chiedere perdono.

Due cose colpiscono di questa frase e sono due enormi verità: la parola “uccidevo”, che svela l’inganno del termine interruzione volontaria, e la parola “figli”. Non embrioni, non grumi di cellule, ma figli. Semplicemente. E questa sua pratica quotidiana dell’aborto, il dottor Oriente la riteneva una forma di assistenza alle persone che avevano un “problema”.


“Venivano nel mio studio – racconta – e mi dicevano: Dottore, ho avuto una scappatella con una ragazzetta… io non voglio lasciare la mia famiglia, amo mia moglie. Ma ora questa ragazza è incinta. Mi aiuti… Ed io lo aiutavo. Oppure arrivava la ragazzina: Dottore, è stato il mio primo rapporto… non è il ragazzo da sposare, è stato un rapporto occasionale. Mio padre mi ammazza: mi aiuti!”. Ed io la aiutavo. Non pensavo di sbagliare”.
Ma la vita continuava a presentare il conto: lui, ginecologo, i bambini li faceva anche nascere. Sua moglie pediatra i bambini degli altri li curava. Ma non riuscivano ad avere figli propri. Una sterilità immotivata ed insidiosa era la risposta alla sua vita quotidiana. “Mia moglie è sempre stata una donna di Dio. È grazie a lei e alla sua preghiera se qualcosa è cambiato. Per lei non avere figli era una sofferenza immensa, enorme. Ogni sera che tornavo la trovavo triste e depressa. Non ne potevo più. Dopo anni di questo calvario, una sera come tante, non avevo proprio il coraggio di tornare a casa. Disperato, piegai il capo sulla mia scrivania e cominciai a piangere come un bambino”.
E lì, la mano di Dio si fa presente in una coppia che il dottor Oriente segue da tempo. Vedono le luci accese nello studio, temono un malore e salgono. Trovano il dottore in quello stato che lui definisce “pietoso” e lui per la prima volta apre il suo cuore a due persone che erano solo dei pazienti, praticamente quasi degli sconosciuti. Gli dicono: “Dottore, noi non abbiamo una soluzione al suo problema. Abbiamo però da presentarle una persona che può dargli un senso: Gesù Cristo”. E lo invitano ad un incontro di preghiera. Che lui dribbla abilmente.
Passano dei giorni ed una sera, sempre incerto se tornare a casa o meno, decide di avviarsi a piedi e, nel passare sotto un edificio, rimane attratto da una musica. Entra, si trova in una sala dove alcune persone (guarda caso il gruppo di preghiera della coppia che lo aveva invitato) stanno cantando. Nel giro di poco tempo, si ritrova in ginocchio a piangere e riceve rivelazione sulla propria vita: “Come posso io chiedere un figlio al Signore, quando uccido quelli degli altri?”.
Preso da un fervore improvviso, prende un pezzo di carta e scrive il suo testamento spirituale: “Mai più morte, fino alla morte”. Poi chiama il suo “Amico” e glielo consegna, ammonendolo di vegliare sulla sua costanza e fede. Passano le settimane e il dottor Oriente comincia a vivere in modo diverso. Comincia anche a collezionare rogne, soprattutto tra i colleghi nel suo ambiente. In certi casi il “non fare” diventa un problema: professionale, economico, di immagine.
Una sera torna a casa e trova la moglie che vomita in continuazione. Pensa a qualche indigestione ma nei giorni seguenti il malessere continua. Invita allora la moglie a fare un test di gravidanza ma lei si rifiuta con veemenza. Troppi erano i mesi in cui lei, silenziosamente, li faceva quei test e quante coltellate nel vedere che erano sempre negativi... Ma dopo un mese di questi malesseri, lui la costringe a fare un esame del sangue, che rivela la presenza del BetaHCG: sono in attesa di un bambino!
Sono passati degli anni. I due bambini che la famiglia Oriente ha ricevuto in dono, oggi sono ragazzi. La vita di questo medico è totalmente cambiata. È meno ricco, meno famoso, una mosca bianca in un ambiente dove l’aborto è ancora considerato “una forma di aiuto” a chi, a causa di una vita sregolata o di un inganno, vi ricorre. Ma lui si sente ricco, profondamente ricco. Della gioia familiare, dei suoi valori, dell’amore di Dio, quella mano che lo carezza ogni giorno facendolo sentire degno di essere un “Suo figlio”.

Fonte:
L'Ottimista
Caterina63
00venerdì 8 luglio 2011 23:20

MESSAGGIO A UN GIOVANE

CARLO TERRANEO - carloterraneo@libero.it

Sono papà!https://w4yt6w.bay.livefilestore.com/y1mYlQo4ozgMoqsEiKSWjRGgatzawaZoErYgdEZj-RW8rR6ZgzabMlCujEavPD9adqACedAtu6HXZHh4Rp0DZNQCsS5fnm1480yOXU906I3iZxjUWJLSyy4tN1POnt31nc48tWB3wubAcGoX960Z3nG6w/pap%C3%A0.bmp

Ahahahahah!!!!!

Emozione? Vagito? Mancanza di “self control”?

Scoppio di gioia. Sono papà! Mi sento vulnerabile, friabile, addirittura impalpabile, leggero come una farfalla. Sto vivendo uno stato d’animo intenso.

È nato. Sono rinato.

C’è. Mi mancava. Sono cambiato.

Mi sento completo, maturo. Un flusso di vitalità, un’energia impensata ritrovo in me dopo tanto attendere.

Nove mesi. Attesa? Ansia? Fretta?

Chi sa perché la parola nove non mi richiama un numero, ma un aggettivo “nuovo”.

Da oggi tutto è nuovo.

È come se mi fossi messo a dieta, perché mi sta solo a cuore che mangi lui.

Anche il volto di mia moglie è più bello, più dolce, più tenero, più disteso, materno.

Sono papà!

Imparo a coccolare le parole.

Mi dico, senza farmi sentire: “lui incomincia dove finisco io”. È la mia immortalità. Sento il mio corpo come il prolungamento del suo, quasi fossi la sua protesi.

Le mie mani a cucchiaio sono sufficienti per farlo sentire sicuro.

Lo sollevo in alto come una corolla al sole.

Sono io a sentirmi su di giri.

Mi fa sentire piccolo con tanta voglia di carezze.

Ha svegliato il bimbo nascosto in me.

Ripeterai tutto quello che dirò?

Farai tutto quello che farò?

È una carta assorbente.

Mi sento impegnato, responsabile, garante.

Insieme faremo tanto, a incominciare dalle piccole cose, con umili gesti, giorno dopo giorno.

La felicità è un viaggio che inizia da piccoli.

Voglio essere felice.

Insieme vinceremo le nostre battaglie corpo a corpo.

Siamo un cuore solo e un’anima sola.

Voglio essere tuo

Insieme. L’amore è un andirivieni che ci rivela e ci nutre.

Voglio essere noi: io tu e la mamma. http://img.over-blog.com/300x203/4/12/44/85/bimbo-che-ride1.jpg

Sappi che d’ora in avanti il cuore di papà e mamma sono il giaciglio dei tuoi sogni.

Tu pensa a sognare e faremo di tutto per non svegliarti.

Papà e mamma sognano ad occhi aperti.

È un grande dono il primo giorno di vita.

Insiemelo faremo durare tutta la vita.

 


Caterina63
00sabato 30 marzo 2013 18:56
[SM=g1740722] Nella storia del Perù non vi è mai stata una Marcia così imponente come quella di Sabato 23 marzo a Lima: oltre 100.000 persone hanno marciato a favore della Vita e contro l'aborto nel proprio Paese.

www.gloria.tv/?media=422522



[SM=g1740717]


[SM=g1740757]

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