La Congregazione per l'educazione Cattolica parla ai Rettori dei Seminari ed ai seminaristi

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Caterina63
00venerdì 12 giugno 2009 01:46

Un anno speciale per rimettere i preti a nuovo

L'ha indetto Benedetto XVI per rafforzare l'identità spirituale del clero e anche per ripulirlo dalla "sporcizia".  Sui seminari, l'impietosa diagnosi del segretario della congregazione per l'educazione cattolica

di Sandro Magister





ROMA, 10 giugno 2009 - Tra pochi giorni, venerdì 19, festa del Sacro Cuore di Gesù, avrà inizio lo speciale Anno Sacerdotale voluto da Benedetto XVI.

Le finalità sono state indicate da papa Joseph Ratzinger ai cardinali e vescovi che compongono la congregazione per il clero, riuniti lo scorso 16 marzo in assemblea plenaria.

La congregazione per il clero si chiamava fino al 1967 congregazione "del Concilio". Era stata costituita infatti dopo il Concilio di Trento per curare l'applicazione delle indicazioni conciliari da parte del clero in cura d'anime.

Il profilo di prete delineato dal Concilio di Trento ha caratterizzato la vita della Chiesa cattolica fino alla metà del Novecento. Ne è stato un modello il santo Curato d'Ars, Giovanni Maria Vianney, di cui ricorre il 150.mo anniversario della morte.

Negli ultimi decenni, però, l'identità del prete cattolico si è in varia misura mutata, offuscata, sbriciolata, sotto i colpi della secolarizzazione, fuori e dentro la Chiesa.

L'intento dell'Anno Sacerdotale è appunto quello di ricostruire nel prete una forte identità spirituale, fedele alla sua missione originaria. Ciò comporta anche un'energica opera di eliminazione della "sporcizia" che ha inquinato una parte del clero, quantitativamente limitata ma disastrosa sul piano della sua immagine globale.

A questo proposito va notata una coincidenza. Con l'inizio dell'Anno Sacerdotale avrà inizio anche la visita apostolica ordinata dalle autorità vaticane dentro la congregazione dei Legionari di Cristo. Questa congregazione si distingue per l'abbondanza delle vocazioni e il gran numero di nuovi preti. Nello stesso tempo, però, rischia di crollare così come è già crollata la figura del suo carismatico fondatore, il sacerdote Marcial Maciel, la cui doppia vita gravemente immorale - venuta definitivamente allo scoperto - è diventata oggi un terribile scandalo prima di tutto per quelli che furono i suoi più ferventi discepoli.

Ricostruire l'identità spirituale del clero implica quindi anche una speciale cura della sua formazione. Come i seminari sono stati una pietra miliare della riforma della Chiesa voluta dal Concilio di Trento, così oggi è nei seminari che si forgia l'identità dei nuovi preti.

La congregazione del clero non si occupa dei seminari. Prende cura di essi la congregazione per l'educazione cattolica.

Anche quest'ultima, quindi, dovrà operare perché l'Anno Sacerdotale porti frutto. Qualcosa, anzi, ha già fatto, a giudicare dal discorso tenuto dal suo segretario, Jean-Louis Bruguès, ai rettori dei seminari pontifici convenuti a Roma nei giorni scorsi.

Monsignor Bruguès, 66 anni, domenicano, era fino al 2007 vescovo di Angers. Oltre che segretario della congregazione per l'educazione cattolica è vicepresidente della pontificia opera delle vocazioni sacerdotali e membro della commissione per la formazione dei candidati al sacerdozio. È inoltre accademico della pontificia accademia San Tommaso d'Aquino.

Il discorso che ha rivolto ai rettori di seminario non ha nulla del linguaggio curiale. È di una franchezza non comune. Descrive e denuncia senza mezzi termini i guasti del dopoconcilio, in particolare in Europa, compresa l'impressionante ignoranza sui punti elementari della dottrina che oggi si riscontra nei giovani che entrano in seminario.

Questa ignoranza è a tal punto che, tra i rimedi, monsignor Bruguès auspica che si dedichi un anno intero di seminario a far apprendere il Catechismo della Chiesa cattolica.

Il Catechismo "ad parochos" fu un'altra delle pietre miliari della riforma tridentina. Quattro secoli dopo, si è di nuovo lì.

Ecco qui di seguito il discorso del segretario della congregazione per l'educazione cattolica ai rettori dei seminari pontifici, reso pubblico da "L'Osservatore Romano" del 3 giugno 2009:



Formazione al sacerdozio, tra secolarismo e modelli di Chiesa

di Jean-Louis Bruguès



È sempre rischioso spiegare una situazione sociale a partire da una sola interpretazione. Tuttavia, alcune chiavi aprono più porte di altre. Da molto tempo sono convinto del fatto che la secolarizzazione sia diventata una parola-chiave per pensare oggi le nostre società, ma anche la nostra Chiesa.

La secolarizzazione rappresenta un processo storico molto antico, poiché è nato in Francia a metà del XVIII secolo, prima di estendersi all'insieme delle società moderne. Tuttavia, la secolarizzazione della società varia molto da un paese all'altro.

In Francia e in Belgio, per esempio, essa tende a bandire i segni dell'appartenenza religiosa dalla sfera pubblica e a riportare la fede nella sfera privata. Si osserva la stessa tendenza, ma meno forte, in Spagna, in Portogallo e in Gran Bretagna. Negli Stati Uniti, invece, la secolarizzazione si armonizza facilmente con l'espressione pubblica delle convinzioni religiose: l'abbiamo visto anche in occasione delle ultime elezioni presidenziali.

Da una decina d'anni a questa parte è emerso tra gli specialisti un dibattito molto interessante. Sembrava, fino ad allora, che si dovesse dare per scontato che la secolarizzazione all'europea costituisse la regola e il modello, mentre quella di tipo americano costituisse l'eccezione. Ora invece sono numerosi coloro i quali - Jürgen Habermas per esempio - pensano che è vero l'opposto e che anche nell'Europa post-moderna le religioni svolgeranno un nuovo ruolo sociale.


RICOMINCIARE DAL CATECHISMO


Qualunque sia la forma che ha assunto, la secolarizzazione ha provocato nei nostri paesi un crollo della cultura cristiana. I giovani che si presentano nei nostri seminari non conoscono più niente o quasi della dottrina cattolica, della storia della Chiesa e dei suoi costumi. Questa incultura generalizzata ci obbliga a effettuare delle revisioni importanti nella pratica seguita fino ad ora. Ne menzionerò due.

Per prima cosa, mi sembra indispensabile prevedere per questi giovani un periodo - un anno o più - di formazione iniziale, di "ricupero", di tipo catechetico e culturale al tempo stesso. I programmi possono essere concepiti in modo diverso, in funzione dei bisogni specifici di ciascun paese. Personalmente, penso a un intero anno dedicato all'assimilazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che si presenta come un compendio molto completo.

In secondo luogo occorrerebbe rivedere i nostri programmi di formazione. I giovani che entrano in seminario sanno di non sapere. Sono umili e desiderosi di assimilare il messaggio della Chiesa. Si può lavorare con loro veramente bene. La loro mancanza di cultura ha questo di positivo: non si portano più dietro i pregiudizi negativi dei loro fratelli maggiori. È una fortuna. Ci troviamo quindi a costruire su una "tabula rasa". Ecco perché sono a favore di una formazione teologica sintetica, organica e che punta all'essenziale.

Questo implica, da parte degli insegnanti e dei formatori, la rinuncia a una formazione iniziale contrassegnata da uno spirito critico - come era stato il caso della mia generazione, per la quale la scoperta della Bibbia e della dottrina è stata contaminata da uno spirito di critica sistematico - e alla tentazione di una specializzazione troppo precoce: precisamente perché manca a questi giovani il background culturale necessario.


Permettetemi di confidarvi alcune domande che mi sorgono in questo momento. Si ha mille volte ragione di voler dare ai futuri sacerdoti una formazione completa e d'alto livello. Come una madre attenta, la Chiesa desidera il meglio per i suoi futuri sacerdoti. Per questo i corsi si sono moltiplicati, ma al punto di appesantire i programmi in un modo a mio parere esagerato. Avete probabilmente percepito il rischio dello scoraggiamento in molti dei vostri seminaristi. Chiedo: una prospettiva enciclopedica è forse adatta per questi giovani che non hanno ricevuto alcuna formazione cristiana di base? Questa prospettiva non ha forse provocato una frammentazione della formazione, un'accumulazione dei corsi e un'impostazione eccessivamente storicizzante? È davvero necessario, per esempio, dare a dei giovani che non hanno mai imparato il catechismo una formazione approfondita nelle scienze umane, o nelle tecniche di comunicazione?

Consiglierei di scegliere la profondità piuttosto che l'estensione, la sintesi piuttosto che la dispersione nei dettagli, l'architettura piuttosto che la decorazione. Altrettante ragioni mi portano a credere che l'apprendimento della metafisica, per quanto impegnativo, rappresenti la fase preliminare assolutamente indispensabile allo studio della teologia.
Quelli che vengono da noi hanno spesso ricevuto una solida formazione scientifica e tecnica - il che è una fortuna - ma la loro mancanza di cultura generale non permette ad essi di entrare con passo deciso nella teologia.


DUE GENERAZIONI, DUE MODELLI DI CHIESA


In numerose occasioni ho parlato delle generazioni: della mia, di quella che mi ha preceduto, delle generazioni future. È questo, per me, il nodo cruciale della presente situazione. Certo, il passaggio da una generazione all'altra ha sempre posto dei problemi d'adattamento, ma quello che viviamo oggi è assolutamente particolare.

Il tema della secolarizzazione dovrebbe aiutarci, anche qui, a comprendere meglio. Essa ha conosciuto un'accelerazione senza precedenti durante gli anni Sessanta. Per gli uomini della mia generazione, e ancor di più per coloro che mi hanno preceduto, spesso nati e cresciuti in un ambiente cristiano, essa ha costituito una scoperta essenziale, la grande avventura della loro esistenza. Sono dunque arrivati a interpretare l'"apertura al mondo" invocata dal Concilio Vaticano II come una conversione alla secolarizzazione.

Così di fatto abbiamo vissuto, o persino favorito, un'autosecolarizzazione estremamente potente nella maggior parte delle Chiese occidentali.

Gli esempi abbondano. I credenti sono pronti a impegnarsi al servizio della pace, della giustizia e delle cause umanitarie, ma credono alla vita eterna? Le nostre Chiese hanno compiuto un immenso sforzo per rinnovare la catechesi, ma questa stessa catechesi non tende a trascurare le realtà ultime? Le nostre Chiese si sono imbarcate nella maggior parte dei dibattiti etici del momento, sollecitate dall'opinione pubblica, ma quanto parlano del peccato, della grazia e della vita teologale?
Le nostre Chiese hanno dispiegato felicemente dei tesori d'ingegno per far meglio partecipare i fedeli alla liturgia, ma quest'ultima non ha perso in gran parte il senso del sacro? Qualcuno può negare che la nostra generazione, forse senza rendersene conto, ha sognato una "Chiesa di puri", una fede purificata da ogni manifestazione religiosa, mettendo in guardia contro ogni manifestazione di devozione popolare come processioni, pellegrinaggi, eccetera?

L'impatto con la secolarizzazione delle nostre società ha trasformato profondamente le nostre Chiese. Potremmo avanzare l'ipotesi che siamo passati da una Chiesa di "appartenenza", nella quale la fede era data dal gruppo di nascita, a una Chiesa di "convinzione", in cui la fede si definisce come una scelta personale e coraggiosa, spesso in opposizione al gruppo di origine. Questo passaggio è stato accompagnato da variazioni numeriche impressionanti. Le presenze sono diminuite a vista d'occhio nelle chiese, nei corsi di catechesi, ma anche nei seminari. Anni fa il cardinale Lustiger aveva tuttavia dimostrato, cifre alla mano, che in Francia il rapporto fra il numero dei sacerdoti e quello dei praticanti effettivi era restato sempre lo stesso.

I nostri seminaristi, così come i nostri giovani sacerdoti, appartengono anch'essi a questa Chiesa di "convinzione". Non vengono più tanto dalle campagne, quanto piuttosto dalle città, soprattutto delle città universitarie. Sono cresciuti spesso in famiglie divise o "scoppiate", il che lascia in loro tracce di ferite e, talvolta, una sorta d'immaturità affettiva. L'ambiente sociale di appartenenza non li sostiene più: hanno scelto di essere sacerdoti per convinzione e hanno rinunciato, per questo fatto, ad ogni ambizione sociale (quello che dico non vale dovunque; conosco delle comunità africane in cui la famiglia o il villaggio portano ancora delle vocazioni sbocciate nel loro seno). Per questo essi offrono un profilo più determinato, individualità più forti e temperamenti più coraggiosi. A questo titolo, hanno diritto a tutta la nostra stima.

La difficoltà sulla quale vorrei attirare la vostra attenzione supera dunque la cornice di un semplice conflitto generazionale. La mia generazione, insisto, ha identificato l'apertura al mondo col convertirsi alla secolarizzazione, nei confronti della quale ha sperimentato un certo fascino. I più giovani, invece, sono sì nati nella secolarizzazione, che rappresenta il loro ambiente naturale, e l'hanno assimilata col latte della nutrice: ma cercano innanzitutto di prendere le distanze da essa, e rivendicano la loro identità e le loro differenze.


ACCOMODAMENTO COL MONDO O CONTESTAZIONE?


Esiste ormai nelle Chiese europee, e forse anche nella Chiesa americana, una linea di divisione, talora di frattura, tra una corrente di "composizione" e una corrente di "contestazione".

La prima ci porta a osservare che esistono nella secolarizzazione dei valori a forte matrice cristiana, come l'uguaglianza, la libertà, la solidarietà, la responsabilità, e che deve essere possibile venire a patti con tale corrente e individuare dei campi di cooperazione.

La seconda corrente, al contrario, invita a prendere le distanze. Ritiene che le differenze o le opposizioni, soprattutto nel campo etico, diventeranno sempre più marcate. Propone dunque un modello alternativo al modello dominante, e accetta di sostenere il ruolo di una minoranza contestatrice.

La prima corrente è risultata predominante nel dopoconcilio; ha fornito la matrice ideologica delle interpretazioni del Vaticano II che si sono imposte alla fine degli anni Sessanta e nel decennio successivo.

Le cose si sono invertite a partire dagli anni Ottanta, soprattutto - ma non esclusivamente - sotto l'influenza di Giovanni Paolo II. La corrente della "composizione" è invecchiata, ma i suoi adepti detengono ancora delle posizioni chiave nella Chiesa. La corrente del modello alternativo si è rinforzata considerevolmente, ma non è ancora diventata dominante. Così si spiegherebbero le tensioni del momento in numerose Chiese del nostro continente
.

Non mi sarebbe difficile illustrare con degli esempi la contrapposizione che ho appena descritto.

Le università cattoliche si distribuiscono oggi secondo questa linea di divisione. Alcune giocano la carta dell'adattamento e della cooperazione con la società secolarizzata, a costo di trovarsi costrette a prendere le distanze in senso critico nei confronti di questo o quell'aspetto della dottrina o della morale cattolica. Altre, d'ispirazione più recente, mettono l'accento sulla confessione della fede e la partecipazione attiva all'evangelizzazione. Lo stesso vale per le scuole cattoliche.

E lo stesso si potrebbe affermare, per ritornare al tema di questo incontro, nei riguardi della fisionomia tipica di coloro che bussano alla porta dei nostri seminari o delle nostre case religiose.

I candidati della prima tendenza sono diventati sempre più rari, con grande dispiacere dei sacerdoti delle generazioni più anziane. I candidati della seconda tendenza sono diventati oggi più numerosi dei primi, ma esitano a varcare la soglia dei nostri seminari, perché spesso non vi trovano ciò che cercano.

Essi sono portatori d'una preoccupazione d'identità  (con un certo disprezzo vengono qualificati talvolta come "identitari"): identità cristiana - in che cosa ci dobbiamo distinguere da coloro che non condividono la nostra fede? - e identità del sacerdote, mentre l'identità del monaco e del religioso è più facilmente percepibile.

Come favorire un'armonia tra gli educatori, che appartengono spesso alla prima corrente, e i giovani che si identificano con la seconda? Gli educatori continueranno ad aggrapparsi a criteri d'ammissione e di selezione che risalgono ai loro tempi, ma non corrispondono più alle aspirazioni dei più giovani? Mi è stato raccontato il caso di un seminario francese nel quale le adorazioni del Santissimo Sacramento erano state bandite da una buona ventina d'anni, perché giudicate troppo devozionali: i nuovi seminaristi hanno dovuto battersi per parecchi anni perché fossero ripristinate, mentre alcuni docenti hanno preferito dare le dimissioni davanti a ciò che giudicavano come un "ritorno al passato"; cedendo alle richieste dei più giovani, avevano l'impressione di rinnegare ciò per cui si erano battuti per tutta la vita.

Nella diocesi di cui ero vescovo ho conosciuto difficoltà simili quando dei sacerdoti più anziani - oppure intere comunità parrocchiali - provavano una grande difficoltà a rispondere alle aspirazioni dei giovani sacerdoti che erano stati loro mandati.

Comprendo le difficoltà che incontrate nel vostro ministero di rettori di seminari. Più che il passaggio da una generazione ad un'altra, dovete assicurare armoniosamente il passaggio da un'interpretazione del Concilio Vaticano II ad un'altra, e forse da un modello ecclesiale a un altro. La vostra posizione è delicata, ma è assolutamente essenziale per la Chiesa.

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Il discorso del 15 marzo 2009 nel quale Benedetto XVI ha annunciato l'Anno Sacerdotale con inizio il 19 giugno:

> Alla plenaria della congregazione per il clero

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Altra documentazione sull'Anno Sacerdotale:

> Congregazione per il clero


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Caterina63
00domenica 14 giugno 2009 22:13
Una segnalazione importante dal sito amico Maranatha.it....
 
IMPORTANTE L'INTRODUZIONE ALL'ENCICLICA sotto indicata, cliccate sui titoli

http://www.maranatha.it/catesti/frontcover02.htm

Il Sacrificio di Gesù

La necessità del Sacrificio di Gesù

I negazionisti del Sacrificio di Cristo

Solo la gravità del Peccato Originale può spiegare il
    Sacrificio di Cristo

Il culto ebraico del Sacrificio

Il potere Redentivo della Croce

L'ira di Dio: la giustizia vuole che ognuno abbia ciò che si merita.

Il Culto Sacrificale è iscritto naturalmente nel cuore dell’uomo

L’intenzione del Sacerdote è necessaria per la validità
     della Messa

Il Sacerdote è chiamato da Dio ad offrire il Divino Sacrificio,
     sacrificando se medesimo

Il Sacerdozio Cattolico da 40 anni è malato!

Il Matrimonio e l’Ordine Sacro sono sorgenti di grazia
     se sorti dalla Morte

Sacerdote è vittima

La Liturgia da Sacra è diventata utile

L’immoralità, l’apostasia, il Male dilagano perché c’è il
     moltiplicarsi di Messe invalide

Le dichiarazioni dello Zollitsch

Le dichiarazioni di Arguello

Kiko celebra la pasqua ebraica

Gesù non ha celebrato la pasqua ebraica

Simbologia coercitiva associata all’Eucaristia del Cammino?

Una Messa INVALIDA!?





Caterina63
00domenica 14 giugno 2009 22:29
Dal Blog Messainlatino
 
Il Vescovo emerito di Cahors, Mons. Maurice Gaidon, raggiunta l’età della pensione e con quella, forse, la libertà di manifestare le proprie opinioni, ha pubblicato nei mesi scorsi un libro che ha disturbato non pochi suoi colleghi transalpini: Un évêque français entre crise et renouveau de l’Église, Ed. de l’Emmanuel, 2008 (Un vescovo francese tra crisi e rinnovamento della Chiesa).



Ecco, tratte dal suo libro e da noi fedelmente tradotte, le frasi che più hanno fatto discutere, poiché sono un pubblico riconoscimento di quel che è sotto gli occhi di tutti ma che la "linea ufficiale" del perbenismo episcopale vieta di pronunciare, a maggior ragione a qualcuno che provenga da quei ranghi. Le prendiamo dalla seconda parte del libro, che ha tre capitoli dai titoli ben eloquenti: Una traversata del deserto, Noi siamo dei codardi, Una Chiesa paralizzata?




*****



"Da dove viene questa impressione di strano torpore che percepisco al contatto con le nostre comunità disorientate, de nostri preti disincantati, dei miei fratelli vescovi dal silenzio pavido nelle nostre assemblee?"

"Io penso che il nostro linguaggio manchi di vigore e che il soffio profetico è troppo assente dai nostri testi sapientemente misurati e degni di risoluzioni votati alla fine di ‘meeting radical-socialisti’ [..] Un testo si diluisce quando è rivisto e corretto in un’assemblea di un centinaio di membri, alcuni dei quali non parlano mai mentre altri prendono la parola senza complessi. In un’assemblea in parte infiltrata da "grosse mitre" che preparano attentamente certe elezioni e si spartiscono i "posti chiave" dell’episcopato [..] Noi non amiamo uscire da un tono conciliante e cerchiamo prima di tutto il conforto di un consenso molle nei campi più sensibili, come lo sono i problemi di marale coniugale e le questioni di bioetica. Avevo già trovato queste esitazioni al momento della legge sull’aborto e constatato che non eravamo pronti a incrociare la spada con i politici. Risento la stessa impressione quando il governo si prepara a aprire i dibattiti sui contratti di unione tra due persone dello stesso sesso. Da dove viene questa paura allorché noi non esitiamo a far sentire la nostra voce in altri problemi sociali?"

"E alcuni di noi non la finiscono di tessere le lodi a questo regime degno di elogi... il che è un colmo. Non abbiamo a lodare un regime che tratta la Chiesa con tanta disinvoltura e non perde un’occasione di sollevare ostacoli alla diffusione del messaggio cristiano. Non dobbiamo incensare un potere politico il cui liberalismo morale contribuisce a degradare il clima della nostra società [..] Non dobbiamo passare la spugna troppo velocemente sulle scelte legislative che hanno portato alla banalizzazione dell’aborto [...] Pagheremo caro e a lungo queste decisioni alle quali abbiamo opposto una resistenza davvero mediocre e un discorso senza spigoli vivi e accenti vigorosi"



"Ho vissuto male "la riforma liturgica" imposta nel giro di una domenica e con un autoritarismo clericale insopportabile. [..] Ho l’impressione di aver vissuto questi anni come una lenta deriva, spinti dalle mode e dai linguaggi stabiliti nel nostro universo clericale e di ritrovarmi, all’ora della mia ultima tappa, in un doloroso smarrimento, invaso dal sentimento di aver subito passivamente le prese di posizione e le decisioni dei miei fratelli nell’episcopato e di aver seguito con loro la china dei compromessi anziché usare un linguaggio ruvido e profetico dei testimoni e degli annunziatori di una Parola che è ‘una spada’".



"La speranza non ha niente a che vedere con un ottimismo su comando che regna troppo sovente nelle officine ecclesiastiche che io frequento"

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Le parole di questo Vescovo non devono scoraggiarci, al contrario, egli stesso ci incoraggia a NON fare più questi errori...
queste parole si riallacciano con il discorso fatto ai Rettori dei Seminari da parte del segretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica, dal quale dipendono appunto i Seminari...

Così ammoniva san Gregorio Magno:


Ci siamo ingolfati in affari terreni...
Vi sono altre cose, fratelli carissimi, che mi rattristano profondamente sul modo di vivere dei pastori. E perché non sembri offensivo per qualcuno quello che sto per dire, accuso nel medesimo tempo anche me, quantunque mi trovi a questo posto non certo per mia libera scelta, ma piuttosto costretto dai tempi calamitosi in cui viviamo. Ci siamo ingolfati in affari terreni, e altro è ciò che abbiamo assunto con l'ufficio sacerdotale, altro ciò che mostriamo con i fatti.

Noi abbandoniamo il ministero della predicazione e siamo chiamati vescovi, ma forse piuttosto a nostra condanna, dato che possediamo il titolo onorifico e non le qualità. Coloro che ci sono stati affidati abbandonano Dio e noi stiamo zitti.
Giacciono nei loro peccati e noi non tendiamo loro la mano per correggerli. Ma come sarà possibile che noi emendiamo la vita degli altri, se trascuriamo la nostra? Tutti rivolti alle faccende terrene, diventiamo tanto più insensibili interiormente, quanto più sembriamo attenti agli affari esteriori. Ben per questo la santa Chiesa dice delle sue membra malate: «Mi hanno messo a guardiana delle vigne; la mia vigna, la mia, non l'ho custodita» (Ct 1, 6). Posti a custodi delle vigne, non custodiamo affatto la vigna, perché, implicati in azioni estranee, trascuriamo il ministero che dovremmo compiere.

Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa (Om. 17, 3. 14; PL 76, 1139-1140. 1146)


Fonte: Haerent Animo
Un testo molto attuale vero? sembra scritto per noi oggi...



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