La Devozione popolare mariana, fatti e storie, cultura di popoli

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Caterina63
00martedì 16 novembre 2010 19:20

La Festa della Madonna dell'Angelo in Caorle

 il Santuario della Madonna dell'Angelo







Un evento che si ripete ogni cinque anni, in una Caorle devota e trepidante: la Festa della Madonna dell'Angelo. Secondo la tradizione risalente almeno al secolo VIII, alcuni pescatori caorlotti intenti ad armeggiare con reti e remi poco distanti dalla spiaggia, videro in lontananza una statua della Vergine Maria in trono, che galleggiava sulla superficie del mare. I pescatori, dopo aver recuperato il prezioso simulacro con le loro reti, si curarono di trasportarlo alla Chiesa di San Michele, poi divenuta "della Madonnna dell'Angelo". Una leggenda popolare ricorda come la statua della Vergine fosse pesante, anche a causa di un grosso blocco di marmo fissato alla base del trono sui cui sedeva, e come solo alcuni bambini, con la loro innocenza riuscirono a trasportarla all'interno della Chiesa. L'attuale statua è del 1923 e sostituisce l'antica, bruciata durante un tentativo di furto.

Quest'anno, nella settimana che comprende l'8 settembre, come tradizione vuole, si sono svolti i solenni festeggiamenti con la grande processione su barche, dal Duomo di Caorle sino al Santuario. Presente anche il Patriarca di Venezia, il Cardinal Angelo Scola.


Altre notizie le trovate qui
http://it.wikipedia.org/wiki/Santuario_della_Madonna_dell'Angelo





  



immagini da Flickr (da angeloscola.it) e googleimmage
Caterina63
00venerdì 7 gennaio 2011 18:25
"Madonna del miele"

 
di VITTORIO SANTANDREA

Anche gli apicoltori...
   

Un’appropriata e calzante iniziativa dell’Arciprete di Pieve Cesato. Le numerose valenze simboliche attribuite all’imenottero.
  

È un omaggio agli apicoltori presenti nella comunità della parrocchia di Pieve Cesato, antica pieve dell’Esarcato, della Diocesi di Faenza, nella frazione del Comune di Faenza (Ra), e per la simbologia che l’ape riveste. Essa, infatti, è simbolo della vita, di una comunità, di regalità, di saggezza, di laboriosità per il bene comune, di zelo, di fedeltà, di prosperità. In Occidente l’ape è anche chiamata "Uccello del Signore" o "della Madonna" e si può considerare simbolo dell’anima. È anche per questo che l’attuale Arciprete ha commissionato una pregevole immagine della "Madonna del miele" (foto) in ceramica.

L’opera è stata realizzata con la particolare "Creta di san Cristoforo" che si trova nei calanchi di Brisighella nella proprietà di Umberto Santandrea, modellata dall’artista Benita Cappelli Tampieri e decorata a pennello con antichi smalti da Anna Gorra Stocchi, collaboratrici nella bottega del celebre ceramista faentino Pietro Melandri.

Si tratta di un pannello di cm 37 per cm 36. La Beata Vergine ha il capo coperto da un velo che nasconde, in parte, una folta capigliatura; il volto è sereno, ma un poco austero e preoccupato come quello di una mamma. Il bambino Gesù è sulle ginocchia saldamente tenuto dalla Madonna; volge il suo sguardo a lei mentre indica con la mano destra un’arnia di api che contiene miele. Cinque api stanno raccogliendo il polline dai vari fiori presenti nel prato e nei due mazzi collocati in alto.

Si tratta di un’opera di straordinaria bellezza e di fattura assai pregevole.

Gli apicoltori, così numerosi, a Pieve Cesato, ma anche in tutta Italia, da oggi possono rivolgersi alla "Madonna del miele", venerata con questo nuovo titolo e con la preghiera.

Va anche detto che nella parrocchia di Pieve Cesato il 29 giugno 2008, nel quarantesimo anniversario dell’ordinazione presbiterale dell’Arciprete, è stato inaugurato un pilastrino dedicato alla "Madonna dell’attenzione" con attorno 24 api in bronzo e con la dicitura: «Certatim apes volitant ad Virginis aram».

Preghiera

Maria, gli apicoltori ti onorano con il titolo di "Madonna del miele" perché sei stata scelta da Dio dalla «terra dove scorre latte e miele» (Es 3,8). Madre premurosa del tuo figlio Gesù, non hai certamente fatto mancare merende di miele, frutto del lavoro delle api. «Figlio mio, mangia il miele perché è buono; il tuo palato gusterà la dolcezza del favo» (Pr 24,13). "Madonna del miele": benedici tutti gli apicoltori con le loro api, proteggi le famiglie affinché siano sollecite ai bisogni dei fratelli; assisti i giovani: dalla laboriosità delle api, imparino presto a collaborare per il bene comune. Amen.

Vittorio Santandrea

Chi desidera informazioni, può contattare l’indirizzo mail: vittoriolapieve@inwind.it.

http://www.stpauls.it/madre/0910md/0910md18.htm

Caterina63
00sabato 8 gennaio 2011 21:19
 Un canto per Maria

 
a cura di MARIO MOSCATELLO e GIUSEPPE TARABRA

Un’antica preghiera litanica
   

«La musica? Veicolo quanto mai adatto alla comprensione e all’unione tra le persone e i popoli»
(Benedetto XVI).

  

Il canto religioso in genere, e quello liturgico in particolare, ha visto nell’immediato post-Vaticano II diversi tentativi di affiancare, in certi casi, o di creare nuove espressioni testuali e musicali, in altri, che hanno dato origine a un fiorire di canti che il tempo successivo si è incaricato di mantenere in vita, riconoscendone in qualche modo la validità, o di decretarne la morte una volta compiuta la sua funzionale e temporanea utilità. È stato ed è un percorso di rinnovamento continuo, come è giusto che sia, perché ogni epoca, anche attraverso il canto popolare, il canto liturgico e la musica religiosa in genere, "aggiorna" il suo modo di manifestare la fede, sotto l’egida, naturalmente, della legittima autorità ecclesiastica.

Una particolare attenzione va data al canto popolare e liturgico "mariano". Se è vero, come è vero, che l’immediato post-Concilio ha visto un calo non indifferente della devozione alla Vergine Maria (dovuto forse a un falso ecumenismo o alla preoccupazione, altrettanto erronea, di porre fine a un presunto eccessivo devozionismo), anche il campo del canto mariano ha avuto il suo inevitabile momentaneo affossamento: i canti in latino erano quasi automaticamente scartati, quelli in italiano rifuggiti istintivamente perché redatti in un linguaggio sorpassato, i nuovi…; i nuovi andavano creati andando un po’ contro corrente e facendo attenzione a non usare espressioni démodées o troppo à la page, per usare modi di dire in voga a quel tempo o, più semplicemente, "vecchie" o troppo "moderne", detto in italiano corrente.

Processione in onore della Madonna a Laconi (Oristano).
Processione in onore della Madonna a Laconi (Oristano).

Il canto Prega per noi di don Carlo Ambrogio Recalcati, presbitero paolino, è stato il tentativo di riproporre in forma più vicina al linguaggio del tempo, ma con il rigore biblico e liturgico indicato dal Concilio e successivamente dalla Marialis cultus di Paolo VI, quella preghiera litanica già in uso nella Chiesa da diversi secoli.

Semplice e popolare nella sua struttura musicale; essenziale e puntuale nella sua espressione verbale. Così, con le invocazioni tratte da un codice parigino del XII secolo, si è attinto a una antica tradizione, si è ricuperata una forma musicale-popolare altrettanto venerabile, e si è posta sulle labbra dei fedeli una melodia che non dispiaceva allora e che pare non dispiaccia nemmeno oggi.

Un canto che può coinvolgere il bambino, il giovane e l’adulto. Un canto davvero d’assemblea. Da utilizzarsi dopo la recita del rosario, durante le processioni popolari, negli incontri di preghiera e, comunque, in ogni circostanza in cui si vuole rendere onore alla Vergine Maria.

Pubblicato dalle Edizioni Paoline Musicali e Discografiche nella raccolta La Madre di Gesù.

d.c.
     

Per i collegati URM lo spartito è reperibile presso la Direzione di Madre di Dio (piazza San Paolo 12, Alba, CN. Tel. 0173-2961 begin_of_the_skype_highlighting              0173-2961      end_of_the_skype_highlighting).
  

PREGA PER NOI

O Maria, maestra di umiltà!
O Maria, sei madre di bontà,
sei la Madre di Dio e dell’umanità,
tu sei colei che ha detto "Sì".

Donna bellissima, prega per noi.
Specchio del Signore,
prega per noi.
Luce del mattino,
prega per noi.
Ospite di Dio, prega per noi.

O Maria…

Pura come gemma, prega per noi.
Inno dei cieli,
prega per noi.
Giardino fiorito,
prega per noi.
Orto fruttuoso, prega per noi.

O Maria…

Maestra di obbedienza, prega per noi.
Trionfo nel servizio,
prega per noi.
Discepola di Cristo,
prega per noi.
Guida alla saggezza, prega per noi.

O Maria…

Tempio dello Spirito, prega per noi.
Madre della grazia,
prega per noi.
Maestra dei santi,
prega per noi.
Regina dei cieli, prega per noi.

O Maria…


http://www.stpauls.it/madre/1001md/1001md24.htm
Caterina63
00sabato 8 gennaio 2011 22:05

Il grande abbraccio
   

Giovedì 12 novembre 2009, ad Assisi, nella Basilica di santa Maria degli Angeli, di fronte ai partecipanti dell’Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, ha rinnovato l’assoluta fedeltà al Papa e la consacrazione dell’Italia al Cuore immacolato di Maria.

Nel corso dell’omelia, nel Santuario che custodisce la Porziuncola, il Presidente della Cei ha espresso affetto e ubbidienza a Benedetto XVI.

«Nel cuore dell’Eucaristia – ha confessato – il nostro pensiero va al Santo Padre: il ricordo non viene dall’esterno, ma sorge dall’affetto che abbiamo per lui, la sua persona e il suo compito: "Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa"». «Nasce da quel vincolo di radicata e obbediente comunione che il divino Maestro chiede innanzitutto a noi, pastori della sua Chiesa», ha sottolineato.

«Davanti all’altare e sotto lo sguardo della Madre di Dio – ha affermato l’Arcivescovo di Genova – rinnoviamo il che abbiamo pronunciato un giorno, quello della nostra Ordinazione episcopale. È affiorato trepidante sulle nostre labbra, coscienti che per essere vescovi secondo il cuore di Dio avremmo dovuto farci in modo più deciso e amoroso discepoli di Cristo».

«Siamo qui – ha detto – anche per fare memoria del 50° anniversario della consacrazione dell’Italia al Cuore immacolato di Maria (13.9.1959), un evento che ha segnato coloro che l’hanno vissuto in prima persona e che ha segnato altresì la storia religiosa della Chiesa e del Paese». Il Porporato ha spiegato che i gesti che si compiono nel segno della fede non restano in superficie come dei gesti esteriori e convenzionali, ma scendono in profondità come dei semi buoni che, una volta deposti, portano frutto secondo i tempi e i modi che Dio solo conosce.

In questo contesto, il Presidente della Cei ha affermato come da un capo all’altro dell’Italia il numero sconfinato di chiese e santuari, di cappelle ed edicole dedicati alla Madonna siano come «un grande abbraccio, il segno visibile di una presenza che illumina e rassicura come lo sguardo di una madre».

Di fronte alla devozione del popolo alla Vergine, alle tradizioni radicate nel cuore della gente, non solo degli adulti, ma anche dei ragazzi e dei giovani, il Cardinale ha sostenuto che i vescovi sono «testimoni spesso commossi e grati».

Un   primo piano del card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e   presidente della Cei.
Un primo piano del card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei (foto Giuliani).

Il Presidente della Cei ha riconosciuto che «la devozione alla Madonna non subisce tracolli col tempo, è sempre fresca e profonda, irriga l’anima e orienta a Dio, supera indenne e feconda le temperie culturali più diverse».

Ha reso noto il messaggio di Benedetto XVI che in merito ha scritto: «I vescovi italiani vollero consacrare l’Italia al Cuore immacolato di Maria. Di tale atto così significativo e profondo, voi rinnoverete la memoria, confermando il particolarissimo legame di affetto e devozione che unisce il popolo italiano alla celeste Madre del Signore. Volentieri mi unisco a questo ricordo».

Facendosi guidare dall’esempio di Maria, la quale «è stata anche la prima e più fedele discepola», il Cardinale ha auspicato che «la devozione nostra e del nostro popolo tocchi l’anima e la vita, i sentimenti e le decisioni» di tutti i credenti.

«Tutti – ha riconosciuto – siamo esposti alla tentazione di correre sulle cose disperdendo quanto il Signore ci dona di ispirazioni, grazie, incontri, affetti. Anche noi vescovi corriamo questo rischio pressati da responsabilità molteplici e gravi».

Ma «il cuore della Vergine – ha continuato il Porporato – non è un semplice e geloso contenitore di ricordi, un puro esercizio di memoria: è anche il luogo della riflessione» perché «è storia di salvezza. La riflessione di Maria si rivela così desiderio e ricerca della volontà di Dio. Per questo è preghiera».

A questo proposito, dopo aver ricordato grandi mistici come Francesco d’Assisi, Teresa d’Avila, il Curato d’Ars e Teresa di Calcutta, il Cardinale ha concluso invocando la Madonna affinché «ci faccia crescere come pastori secondo il cuore di Cristo, ricordando le parole di Giovanni Maria Vianney: "Il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù"» (cf A. Gaspari, Zenit, 12.11.2009).

E a Redona… Il 17 e 18 febbraio 2009 si è tenuto nella località bergamasca un incontro organizzato dalla Provincia italiana dei Missionari monfortani sul tema: Insieme… per evangelizzare.

Nel suo intervento il monfortano Santino Epis ha ripercorso la storia della consacrazione dell’Italia al Cuore immacolato di Maria, illustrandone l’attualità e l’efficacia pastorale per l’oggi. Il religioso, chiedendosi alla luce delle sfide cui deve far fronte la Chiesa italiana quale significato assuma tale evento, ha sottolineato che non è tanto un’occasione per rinnovare, in forma magari solenne, un atto di fede e di amore, col pericolo che esso resti un gesto "formale". La consacrazione a Maria va rinnovata e vissuta soprattutto come tappa nel lungo e difficile itinerario della continua opera di conversione che impegna tutta la Chiesa italiana. Si tratta di prendere coscienza del ruolo di Maria in questo comune sforzo di conversione, riscoprendo l’insostituibilità della sua missione materna.

Inoltre, la ricorrenza può diventare un’occasione provvidenziale per riproporre una catechesi adeguata sul culto mariano in genere, e in particolare sulla consacrazione a Maria. Essa riveste tutti i caratteri di un’autentica forma di spiritualità, cioè di una vita cristiana non passivamente ricevuta, ma responsabilmente accolta; non dispersiva, ma unificata; non vissuta a intermittenze, ma coinvolgente tutta l’esistenza.

Don Giacomo Panfilo. Il Parroco di Clusone (Bergamo) ha accompagnato l’assemblea di Redona in un percorso mariano profondamente biblico e ricco di esperienza. Nel suo primo intervento su La consacrazione a Gesù per mezzo di Maria è partito dalla definizione della consacrazione come dono esplicito di sé a Dio. Consacrazione è riconoscere che si è suoi, che non ci si appartiene più, ma che si appartiene a lui e lasciare che questa verità segni la propria vita.

Così la consacrazione richiama con forza il Battesimo perché si radica nella connessione a Gesù Cristo che avviene nel Sacramento. Lì si diventa figli nel Figlio, consacrati nel Consacrato che mette se stesso nelle mani del Padre, scegliendo di essere una cosa sola con lui e che fa della sua volontà il suo cibo e la sua vita.

Il Battesimo è l’inizio di questo cammino che dovrà divenire sempre più consapevole e totale.

Il culmine della consacrazione di Gesù sarà la croce e anche il discepolo è chiamato ad unirsi alla sua obbedienza, a consacrarsi con lui e come lui.

E Maria? Lei è presente nel Battesimo e nel Battesimo il discepolo ancora una volta è affidato a Maria; è chiamato, con il suo aiuto materno e seguendo il suo esempio, a ridiventare sempre più del Signore.

Don Giacomo, poi, ha gettato una bella luce sul senso della ricorrenza della consacrazione dell’Italia a Maria. È una chiamata rivolta a noi perché viviamo veramente la nostra consacrazione. Così il nostro Paese sarà consacrato!

Nella seconda relazione, don Giacomo, a partire dal Vangelo, ha proposto alcuni atteggiamenti "mariani" che dovrebbero animare il fare pastorale. In particolare, riferendosi alle parole di Maria alle nozze di Cana, ha ricordato che Gesù va riconosciuto come il Signore, il punto di riferimento, il centro, il motore, la ragione di tutto quello che si fa da cristiani e come Chiesa.

Gesù Cristo è l’alfa e l’omega anche della pastorale e Maria porta a dipendere da lui (cf sito Internet; voce: Convegno Redona).

d.m.
   

«Come potremmo vivere il nostro Battesimo senza contemplare Maria, così accogliente del dono di Dio?».

Giovanni Paolo II



http://www.stpauls.it/madre/1003md/1003md00.htm


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Presentazione di P. Alessandro M. Apollonio FI sul Simposio Mariologico Internazionale sulla Consacrazione alla Vergine Maria,nel 50o della Consacrazione dell'Italia al Cuore Immacolata di Maria, tenutosi a Frigento (AV) dal 5 al 7 luglio 2010.

La serie delle 13 conferenze sono visibili sulla web TV dell'Immacolata

http://curiaffi.immaculatum.net/tvimmacolata/index.html



CLICCARE QUI PER IL VIDEO



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"Alma Mater"
Canta Benedetto XVI


   

«Senza la musica nessuna disciplina può considerarsi perfetta»
(sant’Isidoro di Siviglia).

  

Cari artisti, voi siete custodi della bellezza; voi avete la possibilità di parlare al cuore dell’umanità, di toccare la sensibilità individuale e collettiva, di suscitare sogni e speranze, di ampliare gli orizzonti della conoscenza e dell’impegno umano. Siate perciò grati dei doni ricevuti e pienamente consapevoli della grande responsabilità di comunicare la bellezza, di far comunicare la bellezza attraverso la bellezza! E non abbiate paura di confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza, di dialogare con i credenti, con chi, come voi, si sente pellegrino nel mondo e nella storia verso la Bellezza infinita! La fede non toglie nulla al vostro genio, alla vostra arte, anzi li esalta e li nutre, li incoraggia a varcare la soglia e a contemplare con gli occhi affascinanti e commossi la méta ultima e definitiva, il sole senza tramonto che illumina e fa bello il presente.

La   copertina di Alma Mater. Music from the Vatican.
La copertina di Alma Mater. Music from the Vatican.

È l’invito fatto da Benedetto XVI agli artisti, convocati nel «luogo solenne e ricco di arte e di memorie» che è la Cappella sistina, dove tutto parla di bellezza e richiama a colui che è autore e donatore di ogni bellezza. Un incontro che, sulla scia dei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, sente forte il bisogno di intrecciare un rapporto stretto, un dialogo sincero, uno scambio necessario della Chiesa con il mondo dell’arte: arte che si traduce in forme ed espressioni diversissime. La musica e il canto sono tra queste, ed è a tutti noto quanto Joseph Ratzinger sia un valente musicista e soprattutto ami e sappia esprimere lui stesso la dolce musica e il bel canto.

La pubblicazione Alma Mater (Multimedia San Paolo, € 20,50), è una traduzione concreta. Si tratta di un album musicale composto da un felice intarsio di parole del Papa e di motivi mariani accuratamente scelti, tra motivi popolari tradizionali, musica gregoriana e composizioni inedite, con l’esecuzione del coro dell’Accademia filarmonica romana, diretta da Pablo Colino, e dalla Royal Philarmonic Orchestra. Le musiche sono state scritte da Simon Boswell, Nour Eddine e Stefano Mainetti, sollecitati dall’ideatore del progetto, don Giulio Neroni, direttore artistico della Multimedia San Paolo. La scelta degli artisti, di formazione e fedi diverse, risponde al tono dell’incontro del Papa con gli stessi, aperto a tutti, perché l’arte vera supera ogni diversità e divisione e sa unire in armonica sinfonia. Alla composizione del cd ha concorso la voce del Papa che canta e prega in diverse lingue e alla sua voce si alternano e sovrappongono musiche e canti – gregoriano e musica sacra moderna – sullo stile di Abba Pater, realizzato in passato con Giovanni Paolo II.

Canto   gregoriano, Benedettini (Congregazione di Solesmes) dell'Abbazia di   Santo Domingo de Silos (Spagna).
Canto gregoriano, Benedettini (Congregazione di Solesmes)
dell’Abbazia di Santo Domingo de Silos (Spagna – foto Leto).

Lo scopo di questa realizzazione, i cui profitti saranno devoluti a una fondazione che promuove l’insegnamento della musica tra i bambini poveri, è di sperimentare, attorno all’ispirazione fondamentale delle parole del Papa dedicate a temi mariani, la possibilità di un nuovo linguaggio, quello musicale che supera tutti i confini. Il Papa si è dimostrato molto disponibile per questa realizzazione, come più volte si è dichiarato favorevole ad ogni ricerca fatta con intelligenza ed equilibrio di modi nuovi per annunciare il messaggio evangelico; i canti sono stati registrati nella Basilica di san Pietro e, secondo il giudizio dei tecnici, la voce di Benedetto XVI ha stupito per la sua «ottima tonalità».

Con un sottofondo musicale e al canto delle litanie, emerge la voce del Papa con l’affermare che «la fede è amore e perciò crea poesia e crea musica. La fede è gioia e perciò crea pienezza», nella convinzione che la grande musica, gregoriano, Bach o Mozart, nella Chiesa non sono cose del passato, ma vivono nella liturgia e nella vitalità della nostra esistenza.

Sancta Dei Genetrix, Mater Ecclesiae, Advocata nostra, Benedicta tu, Causa nostrae laetitiae, Auxilium christianorum, Regina coeli, Magistra nostra: sono alcuni dei canti proposti dalla raccolta Alma Mater, canti che – come si esprime il card. Comastri – entrano dentro l’anima «come l’acqua pulita e fresca di una sorgente di montagna».

 

 

Al Giubileo dei Vescovi del 2000

L’affidamento a Maria dell’umanità 
"a un bivio"

 

 

Geniale restauratore di attività religiose e sociali nella Francia rivoluzionaria, vide l’apostolato dei suoi figli spirituali come un prolungamento dell’opera di Maria nel mondo, una "alleanza" con Lei perché Cristo trionfi. Un solo carisma per molte missioni.

di BRUNO SIMONETTO

"La Chiesa oggi con la voce del Successore di Pietro, a cui s’unisce quella di tanti Pastori qui convenuti da ogni parte del mondo, cerca rifugio sotto la tua protezione materna ed implora con fiducia la tua intercessione di fronte alle sfide che il futuro nasconde".

L’Atto di Affidamento alla Vergine Maria della Chiesa e dell’umanità, pronunciato domenica 8 ottobre da Giovanni Paolo II insieme a oltre 1500 Vescovi rappresentanti dell’Episcopato mondiale, davanti alla statua della Madonna di Fatima, è stato non solo un nuovo tassello del composito mosaico mariano di questo straordinario Pontificato, ma un autentico sigillo sull’intero Grande Giubileo dell’Incarnazione. Il "Totus tuus" che caratterizza la spiritualità mariana di Papa Wojtyla è diventato così – in obbedienza al testamento di Cristo morente sulla Croce - un pressante invito al mondo perché si riconosca in questa formula quasi sacramentale della nuova consacrazione a Maria.

Il grande affidamento degli inizi di tutti i tempi, proclamato da Cristo: "Donna, ecco tuo figlio!", apre l’Atto pronunziato dal Papa, che successivamente, in modo significativo, lo muta in "Donna, ecco i tuoi figli!": "Madre, come l’Apostolo Giovanni, noi vogliamo prenderti nella nostra casa, per imparare da te a conformarci al tuo Figlio. "Donna, ecco i tuoi figli!". Siamo qui, davanti a Te, per affidare alla tua premura materna noi stessi, la Chiesa, il mondo intero".

Il  Papa affida alla Vergine di Fatima il mondo durante il Giubileo dei  Vescovi.
Il Papa affida alla Vergine di Fatima il mondo durante il Giubileo dei Vescovi.

Quasi un grido della Chiesa

Sfogliando fra le stupende immagini dei ricordi mariani che caratterizzano le tappe più salienti del grande Pontificato di Giovanni Paolo II, ci accorgiamo come ha spesso rimarcato il desiderio della Chiesa, già espresso nella ‘Gaudium et Spes’, di andare incontro ad ogni uomo. Egli, però, aggiunge che l’insegnamento del Concilio Vaticano II è maturato nell’atto di Paolo VI che ha definito Maria anche ‘Madre della Chiesa’. In questo modo – secondo Giovanni Paolo II – si comprende il senso dell’affidamento che la Chiesa è chiamata a fare ricorrendo al Cuore della Madre di Cristo e nostra. La consacrazione del mondo è un desiderio fortissimo, quasi un grido della Chiesa rivolto a questo cuore materno di poter annunciare liberamente ed efficacemente il Vangelo ad ogni popolo, ad ogni uomo: "Tutto attraverso Maria! Questa è l’autentica interpretazione della presenza della Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa, come proclama il capitolo VIII della Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’"(Omelia nel Santuario di Jasna Gòra, 4-6-1979).

Nel magistero mariano di Papa Giovanni Paolo II viene indicato un cammino di consacrazione con cui donare a Maria la propria vita – "Totus tuus!" -: tutto ciò che si è e si ha, impegnandosi in un servizio totale, senza limiti e senza riserve. Si tratta di una spiritualità mariana ispirata all’esempio e alla parola dei santi, primo fra tutti Luigi Maria Grignion de Montfort, ora candidato a diventare Dottore della Chiesa proprio per il suo insegnamento sulla "vera devozione" alla Madonna: "Prendere Maria come modello e consacrarsi a lei fino a vivere in lei, per vivere in Cristo".

Suore in preghiera davanti alla Vergine di Fatima
Suore in preghiera davanti alla Vergine di Fatima "ospitata"
nella cappella delle Clarisse all'interno della Città del Vaticano.

Come ben ricordiamo, l’Affidamento della Chiesa e del mondo a Maria ora compiuto dal Papa non è un atto inedito, perché già il 25 marzo 1984 il Santo Padre, anche allora di fronte alla statua della Madonna portata appositamente da Fatima in Piazza San Pietro, aveva pronunziato l’atto di consacrazione insieme con i Vescovi di tutto il mondo, ripetendo a sua volta nella sostanza l’atto già compiuto a Fatima il 13 maggio 1982. Allora aveva affidato e consacrato "in modo speciale quegli uomini e quelle nazioni" che di quell’affidamento e di quella consacrazione avevano "particolarmente bisogno".

Tre  bambini portoghesi, vestiti da pastorinbos, come i tre veggenti, offrono  fiori alla Madonna, alla presenza del Santo Padre, in piazza San  Pietro.
Tre bambini portoghesi, vestiti da pastorinbos, come i tre veggenti,
offrono fiori alla Madonna, alla presenza del Santo Padre, in piazza San Pietro.

Significato del riaffidamento alla Madonna

Sono successe nell’ultimo scorcio del secolo tante e tali cose che il nuovo fiducioso affidamento della Chiesa e del mondo a Maria acquista una pregnanza ulteriore di attualità e, soprattutto, un carico di intenzioni ancora più intenso, come esplicita il testo stesso della preghiera: "Siamo uomini e donne di un’epoca straordinaria, tanto esaltante quanto ricca di contraddizioni. L’umanità possiede oggi strumenti d’inaudita potenza: può fare di questo mondo un giardino, o ridurlo a un ammasso di macerie (…). Oggi come mai nel passato l’umanità è a un bivio. E, ancora una volta, la salvezza è tutta e solo, o Vergine Santa, nel tuo Figlio Gesù".

Il Papa vede in Maria, apparsa a Fatima, la Madre preoccupata e sollecita per la salvezza dei suoi figli che chiede che il mondo sia consacrato al suo Cuore Immacolato; ed è la stessa Madre che esorta con precise indicazioni a vivere degnamente il senso di tale consacrazione, perché tutto il mondo ritorni a Dio.

Di nuovo, anzi, dopo più di ottant’anni da quel lontano 13 maggio 1917, la storia del prodigio di Fatima si è rivestita della gioia e della gratitudine della Chiesa, per la particolare protezione accordata da Maria al suo supremo Pastore Giovanni Paolo II. Specialmente dopo il terzo pellegrinaggio del Papa, avvenuto il 13 maggio scorso, la beatificazione dei pastorinhos Francesco e Giacinta e lo svelamento del cosiddetto ‘terzo segreto’, Fatima è apparsa al mondo quasi un ‘crocevia’ della storia d’Europa e insieme della Chiesa del XX° secolo; ed anche come il ‘cuore’ da cui traggono origine i palpiti di bontà e di amore di una Madre che non si stanca di guardare ai suoi figli, vicini e lontani.

Piazza San Pietro e la Cova da Iria, Giovanni Paolo II e la ‘Bianca Signora’, la Chiesa e il mondo, il 13 maggio 1917 e l’8 ottobre del 2000: tutto avvolto come in un ‘unicum’ da un sole luminoso, quasi fosse una sola stessa giornata di fede radiosa.

Se tutti i Papi, chi più chi meno, con maggiore o con minore consapevolezza, sono accompagnati nel loro ministero dall’aiuto materno di Maria, è certo che Giovanni Paolo II spicca per quella totale fiducia con cui consegna a Maria tutti gli uomini: fiducia enorme! Questo è il timbro della spiritualità mariana di questo Papa e del Giubileo dell’Incarnazione che volge al termine. Sicché il significato dell’Affidamento a Maria è certamente molto alto, un evento straordinario dal quale osservare tutto il senso del Grande Giubileo, sigillo della storia del secolo XX°.

La  statua originale della Madonna di Fatima, giunta appositamente dal  Portogallo, viene portata in processione tra i fedeli accorsi a decine  di migliaia in piazza San Pietro per la recita del Rosario la vigilia  del Giubileo dei vescovi.

La statua originale 
della Madonna di Fatima, 
giunta appositamente dal Portogallo, 
viene portata in processione tra i fedeli
accorsi a decine di migliaia 
in piazza San Pietro 
per la recita del Rosario 
la vigilia del Giubileo dei vescovi.

Il quegli occhi la speranza del mondo

Ma è stato anche un evento familiare, con quella piccola, incantevole statua della ‘Bianca Signora’ nei cui occhi, cercati da migliaia di fedeli, brillava la speranza del Terzo Millennio. Ce lo hanno ricordato anche visivamente quel proiettile esploso nella stessa Piazza San Pietro il 13 maggio 1981, incastonato nella corona della Vergine, e quell’anello episcopale di papa Giovanni Paolo II infilato in una catenina che la Vergine stringe fra le mani, quasi un ex-voto del suo più grande devoto.

Ma l’affidamento a Maria ha per traguardo una proposta di salvezza per tutti; perciò l’evento ricusa ogni formalismo puramente ‘devozionale’ con il suo richiamo pressante a privilegiare gli esclusi dalla grande storia: "Ti affidiamo tutti gli uomini, a cominciare dai più deboli: i bimbi non ancora venuti alla luce e quelli nati in condizioni di povertà e di sofferenza, i giovani alla ricerca di senso, le persone prive di lavoro e quelle provate dalla fame e dalla malattia. Ti affidiamo le famiglie dissestate, gli anziani privi di assistenza e quanti sono soli e senza speranza".

Processione della statua della Vergine di Fatima dai cortili del  Vaticano alla piazza San Pietro.
Processione della statua della Vergine di Fatima
dai cortili del Vaticano alla piazza San Pietro.

Si poteva intonare un canto più umano di questo?

A far da corona all’abbraccio giubilare della Madonna di Fatima, prima e dopo l’Atto di Affidamento a lei dell’umanità, non c’erano soltanto i Vescovi, ma tante corone del rosario, consumate dalla forza quotidiana della preghiera. Quelle corone che, proprio in coincidenza con la festa della Madonna del Rosario, sono state sgranate da uomini e donne che hanno voluto far compagnia alla Vergine, senza lasciarla mai sola un istante: un rosario ininterrotto, un pellegrinaggio ininterrotto, guidato dall’Associazione ‘Gioventù Ardente Mariana’. Un ‘santo rosario’ la cui recita, verso l’ora del tramonto, in Piazza San Pietro, è poi stata presieduta dal Papa con i Vescovi, insieme con suor Lucia, in collegamento radiotelevisivo dalla sua clausura del Carmelo di Coimbra. Né si può tacere degli struggenti canti popolari scaturiti dalla profonda devozione mariana del popolo di Dio, convenuto da ogni latitudine, che hanno accompagnato la processione della statua. E non ha importanza se la Madonna di Fatima veniva salutata come ‘la Guadalupana’ o con altri titoli. Perché così nella Piazza San Pietro si respirava l’aria dei più celebrati Santuari mariani di tutto il mondo: Lourdes, Guadalupe, Czestochowa, Loreto o Fatima. Piazza San Pietro, cuore della cristianità e del Giubileo, è diventata per l’occasione una grande ‘Cova da Iria’.

Un ‘coro’ che, forse più che in altre pur solenni celebrazioni giubilari, ha coinvolto tutto il popolo di Dio. Dal Papa, ai Cardinali e ai Vescovi, dai Sacerdoti ai Religiosi, alle Religiose e ai laici, tutta la Chiesa ha pregato davanti alla Madonna pellegrina di Fatima. Era la voce orante della Cristianità che risuonava con gli accenti di una fede semplice, umile, autentica: la preghiera di un’umanità in cammino all’alba del Terzo Millennio, verso un futuro di speranza. Ripetendo senza fine, con le parole conclusive dell’Atto di Affidamento: "o Madre che conosci le sofferenze e le speranze della Chiesa e del mondo, assisti i tuoi figli nelle quotidiane prove che la vita riserva a ciascuno, e fa’ che, grazie all’impegno di tutti, le tenebre non prevalgano sulla luce. A Te, aurora di salvezza, consegniamo il nostro cammino nel nuovo Millennio, perché sotto la tua guida tutti gli uomini scoprano Cristo, luce del mondo e unico Salvatore, che regna con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen!".

Bruno Simonetto


Caterina63
00sabato 8 gennaio 2011 22:23

L’ora dell’Ave Maria
   

Conosciamo il celebre idillio che conclude La chiesa di Polenta del Carducci. Ma forse ignoriamo che il poeta toscano si ispirò a un autore inglese, George Gordon Noel Lord Byron, il quale nel poema Il Pellegrinaggio del cavaliere Aroldo evocò prima di lui la mistica suggestione dell’Angelus serale.

Lord Byron (1788-1824) viaggiò molto in Italia, prima di concludere la sua avventurosa esistenza a Missolungi (Grecia). A Venezia fu affascinato dalle tele di Tiziano e in Romagna, nella pineta di Ravenna, si commosse in presenza delle testimonianze dantesche. Ma fu la presenza di Maria che, in concomitanza con altri eventi familiari, determinò la sua conversione alla fede, dopo una giovinezza dissoluta. L’Ave Maria della sera, annunziata dai campanili della pianura padana, fu una delle esperienze che segnarono più a fondo la sua sensibilità e accompagnarono i suoi anni maturi.

Giosuè Carducci (1835-1907), premio Nobel per la letteratura, condivise con il poeta inglese la passione romantica per la storia nazionale, ma non altrettanto la sensibilità religiosa. Più che la Vergine Maria, nella celebre ode La chiesa di Polenta il Carducci cantò la chiesetta romanica, visitata un giorno con una giovane amica, in atteggiamento di pellegrino culturale. Quella chiesetta sull’Appennino, nel territorio di Guido da Polenta, ammirata come testimone di tragiche ed epiche vicende storiche, fu tuttavia il luogo di un incontro spirituale con la "Madre antica" che da lassù aveva visto trascorrere migrazioni incessanti di tribù nemiche, affratellate dalla fede. Nella evocazione di tali eventi, l’orgoglioso massone, cantore di Satana, era stato toccato nell’intimo dall’Ave Maria, e trovò persino il coraggio di difendere l’onore della Vergine contro uno scritto dissacrante di Gabriele D’Annunzio.

Riportiamo qui di séguito, a confronto, i due idilli, come omaggi paralleli resi a Maria da due autori, distanti fra loro e apparentemente estranei a temi devozionali.

Miniatura dei secc. XIV e XV, tratte dal volume La Bibbia di   Natale, Edizioni San Paolo.

Il canto del giorno morente (Byron)

Ave Maria! Sulla terra e sul mare
quest’ora più d’ogni altra celeste
è la più degna di te, Benedetta.
Ave Maria! Benedetta quest’ora,

Benedetto il giorno, il paese, il luogo
dove tante volte ho sentito in pienezza
questo annuncio scendere in terra
dalla campana della torre lontana.

Saliva leggero il canto del giorno morente;
non un soffio turbava l’aria tinta di rosa,
eppure le foglie sui rami trasalivano
vibrando in fremiti di preghiera.

Ave Maria! È l’ora di pregare.
Ave Maria! È l’ora di amare.
Ave Maria! È l’ora che il nostro spirito
si elevi fino a te, fino al tuo Figlio!

Ave Maria! Volto stupendo, occhi socchiusi
sotto l’ala della Colomba onnipotente!
Ti miro adesso in un’immagine dipinta?
Ma essa traduce in bellezza la Pura Verità.

Miniatura dei secc. XIV e XV, tratte dal volume La Bibbia di   Natale, Edizioni San Paolo.

Salve, chiesetta del mio canto (Carducci)

Salve, affacciata al tuo balcon di poggi
tra Bertinoro alto ridente e il dolce
pian, cui sovrasta fino al mar Cesena
donna di prodi,

salve, chiesetta del mio canto! A questa
madre vegliarda, o tu rinnovellata
itala gente da le molte vite,
rendi la voce

de la preghiera; la campana squilli
ammonitrice: il campanil risorto
canti di clivo in clivo a la campagna
Ave Maria.

Ave Maria! Quando su l’aure corre
l’umil saluto, i piccioli mortali
scovron il capo, curvano la fronte
Dante ed Aroldo.

Una di flauti lenta melodia
passa invisibil fra la terra e il cielo:
spiriti forse che furon, che sono
e che saranno?

Un oblio lene de la faticosa
vita, un pensoso sospirar quïete,
una soave volontà di pianto
l’anima invade.

Taccion le fiere e gli uomini e le cose,
roseo ’l tramonto ne l’azzurro sfuma,
mormoran gli alti vertici ondeggianti
Ave Maria.


http://www.stpauls.it/madre/1003md/1003md19.htm

Caterina63
00sabato 8 gennaio 2011 23:08

Il cuore dell’Austria mariana
   

«Grazie alla sua fedele obbedienza alla parola dell’Angelo, Maria è diventata il centro del piano divino di salvezza»
(Giovanni Paolo II).

  

«Con grande gioia metto oggi piede, per la prima volta dopo l’inizio del mio Pontificato, in terra d’Austria, in un Paese che mi è familiare a causa della vicinanza geografica al luogo della mia nascita. Il motivo della mia venuta è l’850° anniversario del luogo sacro di Mariazell. Tale Santuario della Madonna rappresenta in certo qual modo il cuore materno dell’Austria e possiede da sempre una particolare importanza per gli ungheresi e per i popoli slavi. È simbolo di un’apertura che non supera solo frontiere geografiche e nazionali, ma nella persona di Maria rimanda ad una dimensione essenziale dell’uomo: la capacità di aprirsi alla Parola di Dio ed alla sua verità».

Era questo il saluto di Benedetto XVI, giunto all’aeroporto di Vienna il 7 settembre 2007, dove esprimeva il desiderio di poter fare anche lui un vero pellegrinaggio, sottolineando il valore di questa esperienza nella quale anche i giovani trovano una via nuova di riflessione meditativa.

Anche Giovanni Paolo II si era portato pellegrino a Mariazell nel 1983, dopo aver partecipato all’assemblea dei cattolici mitteleuropei di Vienna. Quel giorno il Santo Padre si prostrò ai piedi della Vergine in filiale raccoglimento, per invocare da lei – alle soglie del XXI secolo – la materna benedizione sull’Austria, sull’Europa da riunire e da rigenerare alla fede cristiana e sul mondo intero.

La porta della pace. Situato in una verde conca della Stiria, questo antico Santuario rappresenta il cuore dell’Austria mariana ed è una delle più frequentate mete di pellegrinaggio dell’Europa centrale. Si calcola che ogni anno, sotto la Porta della pace della Basilica, passa oltre mezzo milione di pellegrini. Ogni sabato, intorno all’edificio sacro si svolge una suggestiva processione di luci, aperta dai Benedettini, custodi del Santuario fin dal 1157, anno della fondazione.

Secondo la tradizione, il 21 dicembre 1157 un monaco benedettino di nome Magnus, del monastero di san Lamberto, fu inviato in questa regione dal suo abate per predicare il Vangelo. Il monaco portava con sé una statua della Madonna in legno di tiglio, scolpita da lui stesso, e la poneva alla venerazione dei fedeli entro una piccola cella (zell): di qui in nome di Mariazell. La santità di vita del monaco, la presenza dell’immagine della Madonna e la fama di miracoli si diffusero presto, attirando pellegrini da diversi Paesi dell’Europa centrale ed orientale.

Nel XIII secolo il principe Enrico Vladislav di Moravia, in riconoscenza della propria miracolosa guarigione, vi costruì la prima chiesa per la Mater gentium slavorum: da allora Mariazell sarà sempre invocata come Madre delle genti slave.

Due secoli più tardi, nel 1370, fu meta di un altro importante benefattore del Santuario, il re d’Ungheria Luigi d’Angiò, che, in ringraziamento per un’insperata vittoria militare, fece erigere la sontuosa cappella nella quale si venera tuttora l’antica immagine, collocata al centro della chiesa, come nella Santa Casa di Loreto. La notorietà del Locus sanctus tra le montagne della Stiria e il conseguente maggiore afflusso conoscono un importante sviluppo attorno al secolo XVII, quando la corte imperiale organizzava il grandioso pellegrinaggio annuale di Vienna. Allo stesso periodo risalgono l’aspetto attuale del Santuario e la ricchissima decorazione interna: della chiesa gotica precedente si conserva il portale con la torre e la cappella di re Luigi. Sotto l’imperatore Giuseppe II e con le guerre napoleoniche che seguirono, il pellegrinaggio a Mariazell fu spesso impedito ed il Santuario subì più volte spogliazioni, ma ritornò sempre a fiorire.

Avvolta da un manto, secondo un’antica usanza, la statua della Madonna si trova nel mezzo della chiesa, dentro la Cappella delle Grazie, in stile gotico baroccato, con un grande arco all’ingresso e recintata da una cancellata d’argento, dono dell’imperatrice Maria Teresa. Questa Madonna del buon ritorno, dallo sguardo amabile e corona in capo, lo scettro in mano e il Bambino benedicente, è una delle più belle sculture della Basilica-Santuario.

La Magna Mater Austriae è oggi più che mai un simbolo della fede cristiana e questo limpido e verde luogo invita alla preghiera e alla contemplazione.

Giovanni Ciravegna

Caterina63
00venerdì 1 aprile 2011 16:53

La Tradizione nel mondo: la Corsica




Alla Redazione del sito messainlatino.

Vi scrivo questa mail per darvi in poche parole informazione sulla situazione in Corsica, Diocesi d'Ajaccio, del quale il vescovo è Mons. Jean-Luc Brunin, poco amico degli tradizionalisti.

La Diocesi è sempre in molte parrocchie legata a forme varie delle tradizioni cattoliche e anche della Tradizione, e alcune preti anziani hanno mantenuto, con l'aiuto di molte confraternite, molte espressioni della fede degli anziani, nei canti di chiesa, nelle processioni...ecc.

In Ajaccio la formazione di un gruppo stabile è stata facile ed ha permesso un'applicazione, ma limitata dal vescovo, del Motu Proprio, solo una domenica al mese da soltanto un anno e mezzo, nella bellissima chiesa di Sant'Erasmo (chiesa della confraternita eponima) [foto in alto], vicino al Duomo, che riunisce ogni volte un gran concorso di popolo e assai giovani. Ed è pure un giovane sacerdote diocesano che è incaricato di questa cerimonia, Don Alain Tomei, ben disposto e premuroso di fare benissimo, e di applicare tutta la liturgia tridentina e le sue rubriche.

Molte domande  per avere ora la messa antica ogni domenica sono state presentati al signor curato don Jean-Toussaint Micaletti, arciprete della Cattedrale, al Vicario Generale di Corsica Don Ange Valery, e all'Ordinario da molti mesi. C'e sempre un problema sollievato, per il luogo della cerimonia, per via dell'origine extra parrocchiale del gruppo stabile,  per le scelta del celebrante (pur essendo Don Tomei disponibile e volontario), cosicché non c'è mai risposta positiva alle domande del detto gruppo. Per ora, ci contentiamo di una Santa Messa al mese, in una terra così cristiana come è ancor oggi la Corsica !!!

Nella Diocesi c'è anche una cappella della Fraternità San Pio X, Sant'Antone della Parata, in Ajaccio, e il sacerdote è Don Alain Mercury , nativo della regione di Vico, paese che ha dato alla Chiesa tanti preti e vescovi (Mons. Casanelli d'Istria, Mons. Arrighi...ecc.). Don Mercury serve una comunità molto fedele, credente e attiva, in Ajaccio e pure in Bastia (ci sono seminaristi di Corsica ad Econe) ma ci sono sempre tensioni coll'Ordinario.

La FSSP è anche lei presente occasionalmente in alcuni paesi durante l'estate.

Oggi è la festa patronale di Ajaccio, la "Madunuccia" ossia Madonna della Misericordia, ed è il nuncio in Francia  Mons. Luiggi Ventura che preside le cerimonie: ecco alcune fotografie, ma dell'anno scorso.

Vi ringrazio per il vostro magnifico blog e vi saluto in Gesù e Maria, Madre di Misericordia e Regina di Corsica dal 1735.









segue l'Inno alla Madre di Dio Regina della Corsica....








Caterina63
00venerdì 1 aprile 2011 16:54
[SM=g1740717] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

Inno Maria Regina della Corsica
Dio vi salvi, Regina.

www.youtube.com/watch?v=zYoPJJfmGGw&feature=player_embedd...


[SM=g1740750]


[SM=g1740738]
Caterina63
00giovedì 19 maggio 2011 10:54



[SM=g1740750] il 24 Maggio si celebra la ricorrenza di "Maria aiuto dei cristiani" istituita da San Pio V dopo la battaglia di Lepanto e il cui culto è stato diffuso da S. Giovanni Bosco col titolo di "Maria Ausiliatrice".


Secondo il sogno delle due colonne di S. Giovanni Bosco, saranno la Madonna e il Papa a guidare la Chiesa alla vittoria nell'attuale battaglia contro il secolarismo.

"Figuratevi - disse - di essere con me sulla spiaggia del mare, o meglio sopra uno scoglio isolato, e di non vedere attorno a voi altro che mare. In tutta quella vasta superficie di acque si vede una moltitudine innumerevole di navi ordinate a battaglia, con le prore terminate a rostro di ferro acuto a mo' di strale. Queste navi sono armate di cannoni e cariche di fucili, di armi di ogni genere, di materie incendiarie e anche di libri. Esse si avanzano contro una nave molto più grande e alta di tutte, tentando di urtarla con il rostro, di incendiarla e di farle ogni guasto possibile.
A quella maestosa nave, arredata di tutto punto, fanno scorta molte navicelle che da lei ricevono ordini ed eseguiscono evoluzioni per difendersi dalla flotta avversaria. Ma il vento è loro contrario e il mare agitato sembra favorire i nemici.
In mezzo all'immensa distesa del mare si elevano dalle onde due robuste colonne, altissime, poco distanti l'una dall'altra. Sopra di una vi è la statua della Vergine Immacolata, ai cui piedi pende un largo cartello con questa iscrizione: "AUXILIUM CHRISTIANORUM; sull'altra, che è molto più alta e grossa, sta un'OSTIA di grandezza proporzionata alla colonna, e sotto un altro cartello con le parole: "SALUS CREDENTIUM".
Il comandante supremo della grande nave, che è il Romano Pontefice, vedendo il furore dei nemici e il mal partito nel quale si trovano i suoi fedeli, convoca intorno a sé i piloti delle navi secondarie per tenere consiglio [Concilio Vatic.I?] e decidere sul da farsi. Tutti i piloti salgono e si adunano intorno al Papa. Tengono consesso, ma infuriando sempre più la tempesta, sono rimandati a governare le proprie navi.
Fattasi un po' di bonaccia, il Papa raduna intorno a sé i piloti per la seconda volta, mentre la nave capitana segue il suo corso. Ma la burrasca ritorna spaventosa.
Il Papa sta al timone e tutti i suoi sforzi sono diretti a portare la nave in mezzo a quelle due colonne, dalla sommità delle quali tutto intorno pendono molte ancore e grossi ganci attaccati a catene.
Le navi nemiche tentano di assalirla e farla sommergere: le une con gli scritti, con i libri, con materie incendiarie, che cercano di gettare a bordo; le altre con i cannoni, con i fucili, con i rostri. Il combattimento si fa sempre più accanito; ma inutili riescono i loro sforzi: la grande nave procede sicura e franca nel suo cammino. Avviene talvolta che, percossa da formidabili colpi, riporta nei suoi fianchi larga e profonda fessura, ma subito spira un soffio dalle due colonne e le falle si richiudono e i fori si otturano.
Frattanto i cannoni degli assalitori scoppiano, i fucili e ogni altra arma si spezzano, molte navi si sconquassano e si sprofondano nel mare. Allora i nemici, furibondi, prendono a combattere ad armi corte: con le mani, con i pugni e con le bestemmie.

A un tratto il Papa, colpito gravemente, cade. Subito è soccorso, ma cade una seconda volta e muore. Un grido di vittoria e di gioia risuona tra i nemici; sulle loro navi si scorge un indicibile tripudio.
Senonché, appena morto il Papa, un altro Papa sottentra al suo posto. I piloti radunati lo hanno eletto così rapidamente che la notizia della morte del Papa giunge con la notizia della elezione del suo successore. Gli avversari cominciano a perdersi di coraggio.

Il nuovo Papa, superando ogni ostacolo, guida la nave in mezzo alle due colonne, quindi con una catenella che pende dalla prora la lega a un'ancora della colonna su cui sta l'Ostia, e con un'altra catenella che pende a poppa la lega dalla parte opposta a un'altra ancora che pende dalla colonna su cui è collocata la Vergine Immacolata.
Allora succede un gran rivolgimento: tutte le navi nemiche fuggono, si disperdono, si urtano, si fracassano a vicenda. Le une si affondano e cercano di affondare le altre, mentre le navi che hanno combattuto valorosamente con il Papa, vengono anch'esse a legarsi alle due colonne. Nel mare ora regna una grande calma ".

Cari amici, sono questi i tempi in cui siamo chiamati in modo speciale a testimoniare, a difendere e a diffondere la fede, con i due condottieri celesti: La Madonna e il Papa.

Se vorrete potrete unirvi al
Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org

e contattarci
info@sulrosario.org

ed insieme proseguire in questa missione comune a tutta la Santa Chiesa...

www.gloria.tv/?media=85287



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Caterina63
00lunedì 30 maggio 2011 09:36

GIACINTA E FRANCESCO UN CAPOLAVORO DELLA MADONNA DI FATIMA


Tratto dal Sito: Plinio Correa de Oliveira




"La vera direttrice spirituale di Giacinta, Francesco e Lucia fu, essenzialmente, la Madonna” – scrive il P. Demarchi. “La benevola Signora di Cova da Iria assunse l'incarico di realizzare questo capolavoro e, come non poteva essere altrimenti, lo portò a termine con pieno successo. Dalle sue mani sorsero tre angeli rivestiti di carne, che però, allo stesso tempo, erano tre autentici eroi. La materia prima era di una plasticità ammirevole, e cosa dire ancora sull'Artista? Alla sua scuola i tre piccoli montanari fecero, in breve tempo, passi da gigante nel cammino della perfezione. In essa si avverarono alla lettera le parole di un gran devoto di Maria, San Luigi Maria Grignion da Monfort. Egli ci conferma che alla scuola della Vergine, l'anima progredisce più in una settimana che nel corso di un anno fuori di essa. Infatti, la pedagogia della Madre di Dio non conosce confronti. In due anni la Vergine Santissima riuscì ad elevare i due fratellini - Francesco e Giacinta - sino alle più alte cime della santità cristiana.


Il ritratto di Giacinta delineatoci dalla mano ferma di Lucia è rivelatore. "Giacinta aveva sempre un portamento serio, modesto e amabile, che sembrava trasmettere la presenza di Dio in tutti i suoi atti, il che è proprio delle persone di età già avanzata e di grande virtù. Non vidi mai in lei quella eccessiva leggerezza e quell'entusiasmo dei bambini per i gingilli e gli scherzi". Non direi che gli altri bambini corressero appresso a lei, come lo facevano con me, forse perché la serietà del suo atteggiamento era assai superiore alla loro età. Se alla sua presenza qualche bambino oppure degli adulti diceva qualcosa o faceva qualunque azione meno che conveniente, li rimproverava dicendo: 'Non lo fate perché offende Dio, Nostro Signore, ed Egli è già tanto offeso'".

(Dal libro del Pe. Demarchi, "Era una Signora più brillante del sole…", Seminario delle Missioni della Madonna di Fatima, Cova da Iria, 3ª Edizione).


Analogia tra le azioni svolte dalla Madonna sui pastorelli di Fatima e sull'umanità

Questo brano illustra una grazia straordinaria, perché ci segnala diversi aspetti maggiori o minori dell'opera della Madonna in relazione a questi tre bambini. Però dobbiamo, anzitutto, considerare il valore simbolico dell'opera della Madonna sui bambini. Si sbagliano coloro che immaginano che un'opera come questa miri soltanto ai tre bambini; essa è un'opera che trasformò soavemente quei piccoli, da un momento all'altro, con il semplice fatto delle ripetute apparizioni della Madonna… Qui abbiamo qualcosa simile al Segreto di Maria [enunciato da San Luigi Maria Grignion da Montfort], cioè una di quelle azioni profonde della grazia sull'anima, che si sviluppano senza che uno se ne renda conto, sentendosi sempre più libera, ogni volta più disinvolta nel praticare il bene, mentre i difetti che la intralciano e la legano al male si dissolvono passo a passo. Quindi l’anima cresce nell'amor di Dio, nel desiderio di impegnarsi, nell'opposizione al male. Tuttavia, tutto questo accade in maniera meravigliosa all'interno dell'anima, in modo che essa non intraprende le grandi e metodiche battaglie dell'ammirabile ascesi al Cielo, alla virtù, alla santità come coloro che combattono secondo il sistema classico della vita spirituale; la Madonna invece la trasforma da un momento all'altro.


E se l'opera della Madonna di Fatima, specialmente con quei due bambini chiamati al Cielo , fu un'opera del genere, possiamo ben domandarci se non ha un valore simbolico, e non indica quale sarà l'azione di Maria Santissima su tutta l'umanità, quando Ella compirà le promesse fatte a Fatima … ; e, quindi, se non si dovrebbe vedere qui un inizio del Regno di Maria, cioè, il trionfo del Cuore Immacolato su due anime annunciatrici della grande rivelazione della Madonna, e che in seguito aiutarono tantissimo altre anime - con i loro sacrifici e preghiere in Terra e poi con le loro suppliche in Cielo - ad accogliere il messaggio di Fatima, facendolo ancor’oggi. Penso che questa prima osservazione ci porti direttamente a una deduzione: se così fosse, allora Francesco e Giacinta sarebbero gli intercessori naturali per chiedergli di ottenere dalla Madonna che intraprenda, al più presto, il Regno di Maria dentro di noi, mediante questa misteriosa trasformazione che è il Segreto di Maria. Quindi, dobbiamo chiedere con insistenza - sia a Giacinta che a Francesco - che comincino a trasformarci, ad ottenerci i doni che loro stessi hanno ricevuto, e che abbiano cura specialmente di coloro che, come noi, hanno la missione di diffondere il messaggio di Fatima. Credo che a questo proposito sarebbe molto importante dire una parola sul rapporto tra il messaggio di Fatima e noi.

È già stato detto mille volte tra noi, che la nostra vita spirituale cresce nella misura in cui prendiamo sul serio il fatto che il mondo attuale si trova in una deplorevole decadenza e che si avvicina alla sua rovina. Inoltre, che questa rovina significa la realizzazione dei castighi previsti dalla Madonna a Fatima e che, di conseguenza, quanto più ci collochiamo in questa prospettiva, tanto più la nostra vita spirituale si infervora. E che, al contrario, quanto più ci allontaniamo da questa ottica, tanto più la nostra vita spirituale decade… Dunque, per intercessione di Francesco e di Giacinta possiamo dire alla Madonna: Venga a noi il vostro Regno, o Signora, ma che questo vostro Regno venga con urgenza".

(Estratti di conferenza tenuta dal Prof. Plinio Corrêa de Oliveira, il 13 ottobre 1971


Read more: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com/#ixzz1NoqRiHnA


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Caterina63
00venerdì 8 luglio 2011 18:17
[SM=g1740733]

Il cuore di Siena

di MARIELLA CARLOTTI

Alla vigilia della battaglia di Montaperti, il 4 settembre 1260, che imprevedibilmente la vedrà vittoriosa sul ben più forte esercito fiorentino, Siena si consacra solennemente a Maria, dando forma definitiva a una coscienza civica lentamente maturata. La vittoria sui fiorentini segna l'inizio del momento aureo della città: Siena assume l'assetto attuale con la piazza del Campo e il Palazzo Pubblico che la chiude come una bellissima quinta; il duomo prende l'aspetto odierno, mentre di fronte acquista dimensioni grandiose l'antico Ospedale di Santa Maria della Scala.

Maria diventa l'ideale e la forma della città, il contenuto della sua autocoscienza e della sua immagine urbanistica, la ragione della sua festa nel Palio: Sena vetus, civitas Virginis ("Antica Siena, città della Vergine") viene inciso su ogni moneta che la Zecca senese conia per secoli.
All'inizio del Trecento, quasi in contemporanea, i due più grandi artisti di Siena, nei due edifici fondamentali della città, danno a questo omaggio alla Vergine forma estetica definitiva nelle loro celeberrime Maestà: Duccio di Buoninsegna, nel 1311, consegna alla città la sua grande tavola per l'altare maggiore del duomo; Simone Martini, nel 1315, porta a compimento l'affresco che ancora oggi decora la Sala del mappamondo in Palazzo Pubblico.
La grande tavola della Maestà per l'altare maggiore del duomo fu commissionata a Duccio di Buoninsegna il 9 ottobre 1308: il capolavoro venne ultimato nella primavera del 1311 e il 9 giugno di quell'anno fu portato processionalmente dalla bottega di Duccio, in località Stalloreggi, fino al duomo.

Le cronache dell'epoca hanno fissato per sempre il movimento di coscienza ed emozione che attraversò in quel giorno l'animo dei senesi per quella che sentirono come "la più bella tavola che mai si vedesse e facesse". La grande tavola - le cui dimensioni erano imponenti, probabilmente circa 370 centimetri per 450 - era dipinta su tutti e due i lati: il prospetto tutto dedicato a Maria, il retro a Cristo. Le storie di Cristo e della Vergine erano narrate in cinquantatrè scene alle quali vanno aggiunte altre cinque andate perdute ma che tutto rende legittimo ipotizzare fossero esistite: l'insieme costituiva dunque il più grande ciclo di storie di Gesù e di Maria mai esistito.

La storia del capolavoro di Duccio nei secoli segnala i grandi momenti di trapasso culturale della nostra civiltà: nel 1506, in pieno Rinascimento, la Maestà fu rimossa dall'altare maggiore e posta in uno laterale; nel 1771, nell'età dei Lumi, la tavola fu smembrata e gettata in una soffitta dell'Opera del duomo. Questi eventi determinarono la perdita totale della carpenteria della tavola, il danno irreparabile di molte parti che vennero malamente tagliate, la perdita di alcuni riquadri, la dispersione di altri, ora patrimonio di musei e collezioni estere. Nel 1878, vennero ricomposti, separatamente, i due scomparti centrali del prospetto (Madonna in trono col Bambino, angeli e santi) e del retro (ventisei Storie della Passione) e collocati, uno di fronte all'altro in una sala interamente del Museo dell'Opera del duomo. Nella stessa sala, vennero collocate le diciannove storie e i quattro profeti della predella e del coronamento, rimaste a Siena. Innanzitutto lo sguardo cadeva sul prospetto, tutto dedicato a Maria: dominava lo scomparto centrale con la Madonna nella gloria. La vita di Maria, dall'annunciazione al ritrovamento di Gesù nel tempio, era narrata nelle sette storiette della predella, intervallate da sei profeti e re dell'Antico Testamento; nel coronamento erano invece descritte le storie della morte di Maria.

Il tergo della grande tavola era invece tutto dedicato a Cristo: la narrazione prendeva le mosse, nella predella, dalle scene della vita pubblica di Gesù. Lo scomparto centrale, in ventisei riquadri, riproponeva il mistero della passione, della morte e della risurrezione di Cristo. Concludevano la narrazione le storiette del coronamento dedicate alle apparizioni di Cristo dopo la risurrezione fino alla Pentecoste.

Con l'immaginazione riportiamo la Maestà nel vasto spazio del duomo di Siena: sul pavimento intarsiato è rappresentata la storia umana, il tempo da cui si leva questo mirabile tempio. La fuga delle navate porta l'occhio verso la Maestà, la cui composizione prosegue l'architettura del luogo in cui e per cui è stata fatta: la luce che piove dall'alto incendia l'oro della grande tavola, che risalta sul rivestimento marmoreo a strisce orizzontali bianche e nere del duomo. "Quando la Maestà era nel luogo per il quale fu concepita era una sorta di cattedrale umana dipinta entro una Cattedrale di pietre e di marmi" (Enzo Carli). Immediatamente chi entrava era colpito dalla presenza di Maria, che lo disponeva ad accorgersi di Cristo, la cui storia, era narrata nel retro della grande tavola.

Viene in mente una terzina che Dante, alludendo alla Vergine, fa dire a san Bernardo nel XXXII canto del Paradiso: "Riguarda omai ne la faccia che a Cristo /più si somiglia, ché la sua chiarezza / sola ti può disporre a veder Cristo". Nel Trecento come oggi, questa è la strada attraverso cui un uomo diventa cristiano: incontrare e guardare una presenza umana, che porta nella sua fisionomia i tratti eccezionali di Cristo, il Verbo di Dio fatto carne.

Da ultimo, un particolare: sul gradino del trono della Vergine, Duccio ha voluto lasciare la sua firma come autore della pala in versi commoventi: Mater Sancta Dei, sis causa senis requiei / Sis Ducio vita, te quia pinxit ita ("Santa Madre di Dio, sii la causa della pace di Siena, /sii la vita di Duccio, perché ti ha dipinto così"). In questi versi c'è veramente tutta l'anima di un uomo medioevale che sente la sua opera parte di questo dialogo con la Madre di Dio, che prega per la sua città e chiede per sé la salvezza perché ha reso gloria alla Vergine dipingendola così bella.



(©L'Osservatore Romano 9 luglio 2011)



DA CRONACHE VATICANE DI ANGELA AMBROGETTI


“Ho avuto la fortuna di nascere nelle vicinanze di Altötting. Così i pellegrinaggi effettuati con i miei familiari fanno parte dei ricordi più belli della mia infanzia”. Benedetto XVI è il più famoso dei pellegrini bavaresi che ha frequentato il santuario mariano, ed è stato il secondo papa a visitarlo. Nel 1980 aveva accompagnato Giovanni Paolo II. All’epoca Jospeh Ratzinger era vescovo di Monaco e un po’ il “padrone di casa”. Poi l’11 settembre del 2006 ci tornò come papa. Eppure le emozioni davanti a quella piccola cappella al centro di una piazza su un’altura devono esser state sempre nuove e forti. Prima di arrivare nella piazza della Cappella delle Grazie alcuni cartelli ricordano che siamo sul Benediktweg, il cammino di Benedetto. Nei negozietti di articoli religiosi ti colpiscono le candele decorate da offrire sugli altari: sono nere, come la statua di Maria. Tra immaginette e rosari si trovano santini e quadretti di Giovanni Paolo II affiancati a quelli con Benedetto XVI.

 


Sul lato della Chiesa dedicata al frate santo Konrad c’è una fontanella. La gente si ferma con bottiglie e bicchieri. Non è proprio come l’acqua di Lourdes, ma qui si usa portare a casa l’acqua benedetta. Tutto sembra fermo a cento anni fa. Se non fosse per una grande insegna davanti all’edificio del Tesoro del santuario che ora si chiama Haus Papst Benedikt XVI. Tutto converge verso la Cappella delle Grazie, come ricorda Joseph Ratzinger: “Il luogo che mi dava le impressioni più forti era naturalmente la Cappella della Grazia, la sua misteriosa oscurità e la Madonna Nera nel suo prezioso vestito ... e gli ex voto... Tutto questo mi commuove oggi come in quei tempi. Qui si percepisce la presenza di una santa, salvifica bontà divina, la bontà della madre che ci ha comunicato la bontà di Dio.”
La storia del santuario ha radici antichissime, bisogna tornare al Settecento quando il vescovo missionario San Ruperto, evangelizzatore della Baviera, avrebbe battezzato proprio a Ötting il dica di Baviera. Alt, che in tedesco significa “vecchio” sarebbe stato aggiunto dopo che nel X secolo la città venne saccheggiata e gli abitanti si rifugiarono in quello che oggi si chiama Neu Ötting. Il nome divenne famoso, i miracoli mariani si moltiplicarono dopo i primi due del 1489 e con essi gli ex voto, piccoli dipinti di legno affissi nel portico della chiesetta con un frase ricorrente: “Maria ci ha aiutato”. Un bambino caduto in acqua, morto e rinato dopo essere stato portato sull’altare della cappella, e un piccolo caduto da cavallo e guarito per intercessione di Maria.

Secoli di storia quotidiana si leggono attraverso questi piccoli racconti per immagini. Appeso a una parete interna ce n’è anche uno davvero singolare. Ricorda il pellegrinaggio della Guardia Svizzera Pontificia del 2010. Si perché ormai i pellegrini lasciano il loro omaggio a Maria senza neanche attendere un miracolo. La Cappella delle Grazie di Altötting è solo il punto centrale di una serie di luoghi di devozione. Ai lati della piazza c’è la parrocchia dedicata ai Santi Philip e Jakob che quest’anno celebra il cinquecentenario. E poi la chiesa con il convento di San Konrad, frate francescano campione di carità, e la Basilica di Sant’Anna, il grande edificio che accoglie i pellegrini. E poi chiese, cappelle, case missionarie, e la Via Crucis ottocentesca fatta di piccole cappelle che da Altötting porta a Heiligenstatt. Quando il 7 giugno del 2006 a Benedetto XVI venne conferita la cittadinanza onoraria di Altötting, dal suo cuore sgorgarono i ricordi più belli. Il pellegrinaggio del padre di 68 anni da Traunstein a piedi per ringraziare la Madonna di aver riportato a casa i suoi ragazzi, la visita di Giovanni Paolo II nel 1980 in quella Cappella delle Grazie che il cuore mariano della Baviera, i pellegrinaggi pieni di gioia e di musica, la prima visita nel 1934 per celebrare la canonizzazione di padre Konrad che era avvenuta a Roma. “Sono molto grato - scriveva Joseph Ratzinger nel gennaio del 2005 nell’introduzione alla guida ufficiale della città - che Altötting anche dopo il Concilio sia rimasto com’era e come sempre deve essere: un luogo di fede e di preghiera, un luogo di rinnovamento del sacramento della Penitenza, un luogo di liturgie festose, un luogo dove viviamo la Chiesa come comunità materna che sostiene, un luogo di ospitalità”. Un luogo dove il pellegrino o il viandante può lasciare scritto, magari su un pezzetto di carta: Maria ci ha aiutato.

 

 





Caterina63
00giovedì 4 agosto 2011 18:28
La basilica di Santa Maria Maggiore dalla tradizione liberiana
alla realizzazione di Sisto III nel segno del concilio di Efeso

Neve ad agosto per un trionfo romano


 

di mons. TIMOTHY VERDON

Le chiese che nascono per la preghiera, sono anche frutti della preghiera, come suggerisce la storia di Santa Maria ad nives - Santa Maria Maggiore - di cui il 5 agosto si celebra la memoria.

Secondo un racconto riferito mille anni dopo gli eventi narrati da certo fra Bartolomeo da Trento, un ricco patrizio romano, il senatore Giovanni, insieme alla moglie avevano deciso di destinare alla Chiesa i loro beni terreni, non avendo figli.

Nella notte tra il 4 e il 5 agosto 358 la Vergine Maria apparve a Giovanni, e simultaneamente a Papa Liberio, chiedendo la dedicazione di una basilica a Roma, nel luogo dove, in quella stessa notte d'estate, sarebbe caduta abbondante neve.

Al mattino senatore e Pontefice si recarono sul Cispio, dove la prodigiosa nevicata s'era in effetti verificata, e Papa Liberio tracciò nella neve la forma dell'erigenda basilica: è il soggetto di un dipinto del secondo Cinquecento conservato alla Pinacoteca Vaticana in cui l'artista, Jacopo Zucchi, sottolinea l'intensa preghiera del patrizio Giovanni e della moglie, raffigurati insieme a Papa Liberio in primo piano.

Oltre alla sua storia particolare, Santa Maria Maggiore, come ogni chiesa, rappresenta l'intera storia del rapporto tra Dio e gli uomini, offrendosi quale figura di quell' "edificio della salvezza" che sant'Ireneo vedeva disegnato da Dio "come farebbe un architetto" (Contro le eresie, IV, 14, 2-3).

In Santa Maria Maggiore, ricostruita in forme monumentali ed abbellita nel V secolo, quarantatrè riquadri in mosaico sopra il colonnato della navata infatti narrano episodi "strutturanti" della fede giudeo-cristiana: storie di Abramo, di Mosè, di Giosuè. Così, avanzando verso l'altare, i credenti vengono inseriti in un processo storico e metastorico che li conduce verso la città "il cui architetto e costruttore è Dio stesso" (Ebrei, 11, 10). Alla fine di questo percorso, a destra e a sinistra della parete di fondo vediamo in effetti due città, "Hierusalem" e "Betlemme" come sono identificate da scritte, davanti alle cui porte aperte sono radunati piccoli greggi; dall'arco della porta aperta dell'una e dell'altra città pende una croce d'oro, e il viale d'ingresso è nobilitato da un colonnato simile a quello della stessa basilica di Santa Maria Maggiore.

Queste scene musive si trovano sull'arco che incornicia l'altare della basilica, così che le dodici pecore raffigurate diventano immagine del popolo cresciuto dal nucleo primitivo dei dodici apostoli. E di fatti il "gregge" che si raduna a pregare in Santa Maria Maggiore, come le pecore nel mosaico, guarda tra due file di colonne attraverso la "porta" del presbiterio verso il "tempio", Cristo, presente nell'Eucaristia.

Al centro dell'arco di trionfo che incornicia l'altare, un'iscrizione dedicatoria recita XIXtus episcopus plebi Dei ("Il Vescovo Sisto [ha fatto fare questo] per il popolo di Dio". Si tratta di Papa Sisto III (432-440), che ingrandì la basilica iniziata nel IV secolo da Papa Liberio, dedicandola alla Vergine dopo la solenne dichiarazione del concilio di Efeso, che nel 431 riconobbe a Maria il titolo di "Madre di Dio". E tra le scene dell'arco di trionfo, vediamo in effetti episodi della vita di Cristo in cui Maria ha un ruolo importante: l'Annunciazione e l'Adorazione dei Magi. La speciale dignità di Maria è sottolineata dalla veste splendida in cui l'artista la presenta nell'Annunciazione: non è solo la fanciulla di Nazaret che ha partorito Gesù, ma una figura simbolica, la Chiesa come Domina, Signora.

Nel registro sotto l'Annunciazione, ritroviamo questa stessa figura alla destra del piccolo Cristo in trono, mentre un'altra donna sta alla sinistra del trono, figura del popolo antico, la Ecclesia ex circumcisione. Questa indossa il nero vedovile, mentre Maria appare come la "sposa" descritta nel Salmo 45: "gemme e tessuto d'oro è il suo vestito. È presentata al re in preziosi ricami" (vv. 14-15).
A prescindere dalla fonte veterotestamentaria, quest'immagine è stranamente "contemporanea" con il periodo d'esecuzione del mosaico: Maria, figura della Chiesa, porta l'abito di corte di una principessa imperiale, e il piccolo Gesù siede in mezzo all'enorme trono come un imperatore bambino: esempio, questo, di una sovrapposizione del sacro cristiano al profano romano assai comune all'epoca. Altre "sovrapposizioni" sono la forma della Gerusalemme celeste, nel mosaico, che ricalca il colonnato di un tipico decumanus d'età imperiale, e il termine usato nell'iscrizione dedicatoria, plebi Dei.

Nella Roma un tempo repubblicana, dove pure sotto l'Impero la dignità politica dei cittadini veniva evocata col termine arcaico plebs - popolo unito, popolo capace di decisioni, di coraggio, di sacrificio - il vescovo dedica la nuova aula assembleare plebi Dei: a un popolo cui, oltre alle caratteristiche dei suoi antenati romani, vengono ora attribuite quelle del popolo condotto da Abramo, Mosè e Giosuè, per cui i cristiani di Roma si possono ormai chiamare col doppio appellativo plebs Dei.

Ma notiamo un'altra sottolineatura di questo primo grande programma mariano realizzato in Occidente, dove - come già detto - la Vergine "in veste tessuta d'oro" e con la corona in testa costituisce un'immediata risposta iconografica alla solenne dichiarazione del concilio di Efeso. Tale regalità non è limitata alla donna Maria ma ha un carattere collettivo sottolineato precisamente dall'iscrizione dedicatoria sopraccennata, Xistus episcopus plebi Dei: frase, questa, che suggerisce l'essenziale chiave di lettura di simili immagini, in cui Maria è concepita non in primo luogo come persona individuale, ma come figura collettiva del popolo, come Domina Ecclesia.

La più significativa sovrapposizione storica a Santa Maria Maggiore è la basilica stessa, la cui struttura - una vasta aula rettangolare sontuosamente decorata - doveva dare un senso di assoluta continuità col passato romano, anche se, paradossalmente, esprimeva anche l'epocale capovolgimento culturale costituito dal trionfo del cristianesimo. Come altri templi cristiani eretti dopo l'editto imperiale che levava la condanna sulla nuova fede, l'originale basilica Liberiana proclamava la vittoria della Chiesa là dove essa era stata messa alla prova.

Un testo del periodo servirà a evocare il clima: è il discorso di Eusebio di Cesarea per la consacrazione della nuova cattedrale di Tiro in Fenicia (316-319 circa), ricostruita esattamente dove una precedente chiesa era stata distrutta da persecutori pagani. Eusebio paragona la nuova basilica al tempio gerosolimitano ricostruito dopo l'esilio babilonese, citando la profezia di Aggeo secondo cui "la gloria futura di questa casa sarà più grande di quella di una volta".

Poi, pensando al passo di Isaia dove si legge che, nell'era futura, "gli afflitti di Sion" avranno "una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell'abito di lutto, canti di lode invece di un cuore mesto" perché "rialzeranno gli antichi ruderi, ricostruiranno le città desolate" (61, 3-4), Eusebio afferma che ormai la Chiesa "ha indossato la sua veste nuziale" e può dire, nelle parole d'Isaia: "io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli". Il vescovo di Cesarea ripete infine le promesse e le esortazioni divine, citando sempre Isaia: "Ecco io ti tolgo di mano il calice della vertigine, la coppa della mia ira; tu non lo berrai più; lo metterò in mano ai tuoi tormentatori". E ancora: "Svegliati, svegliati, rivestiti della tua magnificenza, alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si radunano, vengono da te. "Com'è vero che io vivo", dice il Signore, "ti vestirai di tutti loro come di ornamenti, te ne ornerai come una sposa"".

Nonostante il linguaggio biblico, il trionfo della Chiesa era tuttavia un trionfo "romano", concepito nel linguaggio comune del tardo impero. La cattedrale di Tiro, la basilica Liberiana, le altre chiese del tempo non avevano caratteristiche architettoniche specificamente "ecclesiastiche", cioè. Tutto ricordava piuttosto le aule dei magistrati o le sale d'udienza degli imperatori: le colonne, identiche a quelle delle basiliche civili; i rivestimenti marmorei, gli spazi ampli, la luminosità proveniente da grandi finestre.

Dice Eusebio che il committente della nuova cattedrale di Tiro, il vescovo Paolino, "aprì una porta ampia e molto alta per ricevere i raggi del sole mattutino, offrendo così anche a coloro che restavano fuori del cortile un panorama ininterrotto dell'interno, come per attirare verso l'ingresso gli occhi perfino dei non credenti, così che nessuno potesse passare in fretta senza riflettere con profonda commozione alla desolazione di prima e la miracolosa trasformazione ora. Egli sperava che la sola emozione davanti a questo spettacolo avrebbe toccato le persone, spingendole verso l'entrata".
Era un invito a contemplare l'azione di Dio nella contemporaneità della storia: a riconoscere la potenza del Risorto in un'inversione di rotta così profonda da non potersi esprimere superficialmente, in un cambiamento esterno delle cose, ma nel "miracolo" di una conversione di senso che lasciasse invariata l'esteriorità. Roma rimaneva Roma, le sue aule pubbliche rimanevano quelle, con la differenza che ora la plebs che affollava le aule era plebs Dei.

Come le altre basiliche romane del IV-V secolo, Santa Maria Maggiore in effetti fu concepita per accogliere un popolo numeroso, con una lunghezza di 86 metri. Non era tuttavia la più grande delle nuove chiese: San Pietro era lunga più di 120 metri, San Giovanni in Laterano 98, la basilica cimiteriale di San Sebastiano, sulla via Appia, era lunga 75 metri; l'originaria basilica di San Lorenzo sulla via Tiburtina era lunga 98 metri.

La prima rete costantiniana di grandi chiese includeva una basilica sulla via Labicana, attigua al martyrion dei santi Marcellino e Pietro contenente il mausoleo dell'Imperatrice Elena, e un'altra sulla via Nomentana, vicino alla memoria di Sant'Agnese, dove la figlia di Costantino, Constantia, aveva fatto costruire il suo mausoleo (l'attuale chiesa di Santa Costanza). Insieme alla basilica Vaticana costruita sulla tomba di san Pietro, queste strutture, realizzate in tempi record, formavano una prima, prestigiosa "rete" di chiese cristiane a Roma. Queste strutture colossali, mimetizzate sul piano stilistico con altri edifici pubblici, erano tuttavia distanziate dal centro dell'Urbe, situate lungo le vie di accesso (San Sebastiano, Santi Marcellino e Pietro, Sant'Agnese), fuori le porte (San Pietro in Vaticano, San Lorenzo) o nell'immenso parco della reggia imperiale (San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme).

Anche la memoria di san Paolo sulla via Ostiense era a venti minuti di cammino dall'omonima porta urbica (questa chiesa, San Paolo fuori le mura, verrebbe ricostruita a partire dal 384 dagli imperatori Valentiniano II, Teodosio e Arcadio in scala gigantesca, una basilica a cinque navate imitante San Pietro).



(©L'Osservatore Romano 5 agosto 2011)



Dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore. Il Papa: come Maria, doniamo Gesù al mondo (R.V.)

Dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore. Il Papa: come Maria, doniamo Gesù al mondo

Stamani a Roma nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, nel giorno in cui si ricorda la sua Dedicazione, si è svolta la Messa Pontificale con la tradizionale pioggia di fiori in ricordo del miracolo della neve. Il Papa, il 26 maggio scorso, vi ha presieduto il Rosario per i 150 anni dell’Unità d’Italia ricordando che si tratta del più antico santuario d'Occidente dedicato alla Madre di Dio. Il servizio di Sergio Centofanti:

Durante la Messa Pontificale, presieduta dal cardinale arciprete Bernard Francis Law, al momento del Gloria una pioggia di petali bianchi è caduta dal soffitto cassettonato sull’altare della Confessione: un rito che ricorda la nevicata estiva avvenuta sull’Esquilino, secondo la tradizione, il 5 agosto del 358. La Vergine, apparsa in sogno a Papa Liberio, esortò a costruire in quel luogo una chiesa. Sul tempio liberiano venne poi edificata nel V secolo l’attuale Basilica, per volontà di Papa Sisto III per commemorare le conclusioni del Concilio di Efeso che nel 431 confermò per Maria il titolo di Theotòkos: Maria è davvero Madre di Dio. Ma perché tra tutte le donne – si domanda Benedetto XVI - Dio ha scelto proprio Maria di Nazaret?

“La risposta è nascosta nel mistero insondabile della divina volontà. Tuttavia c’è una ragione che il Vangelo pone in evidenza: la sua umiltà … Sì, Dio è stato attratto dall’umiltà di Maria … ha accolto con fede Gesù e con amore l’ha donato al mondo. Questa è anche la nostra vocazione e la nostra missione, la vocazione e la missione della Chiesa: accogliere Cristo nella nostra vita e donarlo al mondo, ‘perché il mondo si salvi per mezzo di Lui’ (Gv 3,17)”. (Angelus, 8 dicembre 2006)

Ma Maria stessa – osserva il Papa – si sarà posta questa domanda: perché Gesù ha scelto di nascere nella povertà da una ragazza semplice come lei? La risposta l’ebbe dopo aver deposto nel sepolcro il corpo di Gesù, morto e avvolto in fasce:

“Allora comprese appieno il mistero della povertà di Dio. Comprese che Dio si era fatto povero per noi, per arricchirci della sua povertà piena d’amore, per esortarci a frenare l’ingordigia insaziabile che suscita lotte e divisioni, per invitarci a moderare la smania di possedere e ad essere così disponibili alla condivisione e all’accoglienza reciproca”. (Omelia, 1 gennaio 2009)

“Dio ha voluto essere il Dio con noi – afferma il Papa - e ha una madre, che è la nostra madre”, madre celeste, ma non lontana da noi:

“Proprio perché è con Dio e in Dio, è vicinissima ad ognuno di noi. Conosce i nostri cuori, può sentire le nostre preghiere, può aiutarci con la sua bontà materna e ci è data – come è detto dal Signore – proprio come Madre che ci sente sempre, ci è sempre vicina e, essendo Madre del Figlio, partecipa al potere del Figlio”. (Omelia, 15 agosto 2005)

Per questo Maria, Madre di Dio e Madre nostra, è fonte di speranza e di conforto per tutti i suoi figli:

“In mezzo alle prove della vita e specialmente alle contraddizioni che l’uomo sperimenta dentro di sé e intorno a sé, Maria, Madre di Cristo, ci dice che la Grazia è più grande del peccato, che la misericordia di Dio è più potente del male e sa trasformarlo in bene …Alla sua intercessione affido le necessità più urgenti della Chiesa e del mondo. Ella ci aiuti soprattutto ad avere fede in Dio, a credere nella sua Parola, a rigettare sempre il male e a scegliere il bene”. (Angelus, 8 dicembre 2010)

 Radio Vaticana




Santa Maria Maggiore celebra la sua fondazione con la tradizionale "nevicata" (Rome Reports)

Clicca qui per vedere il servizio in spagnolo. Qui in inglese.


Caterina63
00giovedì 22 marzo 2012 19:21
MA..... [SM=g1740733] ATTENZIONE AI FALSI DEVOTI...... come riconoscerli?


Presentiamo qui sotto un sonetto di mons. Andrea Gemma contro gli "apparizionisti":


FALSI DEVOTI

Una suorina tutta devozione,
s’è messa con impegno e con fervore
a far sì che io, vescovo e pastore,
mi convertissi a… quella “apparizione”

che non ha dalla Chiesa approvazione.
Le ho detto che a Maria dono il mio amore
senza nulla concedere al rumore
da cui son prese, ahimè, certe persone.

Non è devoto di Maria chi omette
di obbedire alla Chiesa e si permette
d’infastidir fratelli e superiori

perché assecondino i vani rumori
di devoti scomposti e interessati
che andrebbero piuttosto sconfessati.



http://www.andreagemmavescovo.it/archivio-articoli/archivio/314-falsi-devoti.html

[SM=g1740733] [SM=g1740721]


Caterina63
00lunedì 30 aprile 2012 11:49
[SM=g1740717] [SM=g1740720] 30 Aprile - San Pio V (Antonio Ghislieri)
Impegnatosi sin da giovane nella vita religiosa, entrò nell’ordine dei Domenicani a soli quattordici anni, assumendo il nome di Michele...

www.gloria.tv/?media=284252


... a lui, che non volle abbandonare l'abito, la Tonaca domenicana, le Sacre Lane domenicane, si dive il fatto che da allora il Pontefice veste di bianco... mentre fino ad allora vestiva di rosso come i cardinali...
Consiglio anche di approfondire il suo Documento sul Rosario, la Consueverunt Romani Pontifices:

difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...
e
www.gloria.tv/?media=159776







[SM=g1740717]

[SM=g1740717]


[SM=g1740757]
Caterina63
00sabato 19 maggio 2012 20:50
Attualità e riflessioni

L'Italia raccolta ai piedi di Maria

Nel mese di Maria continuano gli approfondimenti dedicati alla Santa Vergine. Oggi propongo un articolo di Giacomo Monti, tratto da “Radici Cristiane” n. 45 del giugno 2009, in occasione del cinquantesimo anniversario della Consacrazione dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria.

L’Italia raccolta ai piedi di Maria

La devozione al Cuore Immacolato di Maria ri­sale ai primordi della Chiesa ma ha un grande sviluppo teologico e liturgico nel corso dei se­coli, che trova un suo apice nella consacrazione del mondo nel 1942 da parte di Pio XII e, sempre da par­te di Papa Pacelli, nell’istituzione di una festa appo­sita per tutta la Chiesa nel 1944.
Questa crescita organica delle dottrine e degli atti devozionali della Chiesa è un fatto corrente nella sua storia due volte millenaria e indica un disegno della Provvidenza di Dio, la quale stimola i cristiani di ogni generazione perché, illuminati dalla Rivelazione e dal magistero ecclesiastico, approfondiscano sempre di più i contenuti su cui poggia la loro fede e la loro carità. Nel caso del culto al Cuore di Maria troviamo la sua sorgente nell’insegnamento dello Spirito Santo rac­contato nel Vangelo di san Luca. In esso, a proposito della contemplazione che Maria faceva del suo Divin Figlio durante la loro vita in comune, si afferma ben due volte che Maria «serbava tutte queste cose me­ditandole nel suo cuore» (Lc.2, 19,51). Poi i Padridel­la Chiesa, basandosi su queste affermazioni del Van­gelo, esplicitarono ulteriormente il loro profondo, qua­si insondabile significato.

Significato del Cuore
Quando il centurione, ci dicono i primi commen­tatori . squarciò con la lancia il Cuore di Gesù già mor­to sulla croce, si compì la profezia fatta a Maria dal vec­chio Simeone nella presentazione di Gesù al Tempio e. cioè, che anche a Lei una spada avrebbe trapassa­to l’anima (Lc. 235). Nel lessico biblico, l’anima è si­nonimo del cuore. Così si evidenziava ancora una vol­ta la profonda identificazione fra i cuori del Figlio e della Madre.
Che cuore era questo che per nove mesi aveva nu­trito e formato il Cuore di Gesù Cristo, che con Esso divenne così coincidente da venire trafitto allo stesso tempo? Che cuore era questo che serbava come in un prezioso scrigno i tesori infiniti di Dio e li meditava, spoppando ulteriormente questa impareggiabile identificazione?
Nel linguaggio della Bibbia – ci dice Guido Vignelli. in un suo libro sul Sacro Cuore – «il cuore viene in­ceso in senso simbolico e spirituale: ossia come principio e centro dell ‘intera vita umana. Per questo Dio esorta i fedeli dicendo “rivolgete sinceramente all’Altissimo il vostro cuore e servite a Lui soltanto ” e il Salmista gli risponde con questa preghiera: “Crea in me un cuore puro, o Dio, e rinnova in me un saldo spi­rito” (…)
Possiamo dire che il cuore è simbolo della perso­na, intesa come principio motore dei desideri, delle intenzioni e delle decisioni. E nel fondo del cuore che l’individuo elabora il proprio orientamento fondamen­tale, sceglie l’oggetto prima­rio del proprio amore (…) Insomma, poi­ché tutti i movi­menti delle tendenze presuppongono l’amore come primaria radice, alla radice del l’intera vita umana e’è appunto quel cuore che è l’organo dell’amore» (II Sacro Cuore: salvezza del­le famiglie e della società, Ed. Luci sull’Est, p.87).

Due cuori indissolubilmente legati
Il Cuore di Maria rappresenta dunque quella fornace d’amore dove si sono fusi i desideri, le in­tenzioni , i pensieri e la volontà del Figlio e della Madre. Dove le due mentalità sono diventate un tut-t’uno.
Perciò il grande dottore della devozione ai cuori di Gesù e Ma­ria nei tempi moderni, san Giovan­ni Eudes ( 1601 -1680), insegna che il culto al Cuore di Maria non può es­sere in nessuna maniera separato dal culto del Sacro Cuore di Gesù. Ed è pro­prio per questo che la Chiesa celebra la fe­sta del Cuore Immacolato di Maria all’indo­mani di quella del Sacratissimo Cuore di Cristo.
Innumerevoli sono i brani dell’Antico Testamen­to e del Nuovo Testamento dove il cuore rappresen­ta la sede dell’incontro dell’Uomo con Dio. Il Cuore di Maria era la sede dell’incontro della più perfetta del­le creature con il Creatore.
E se Maria, secondo l’insegnamento di san Gio­vanni Eudes – riaffermato in seguito dal sommo trat­tatista mariano, san Luigi Grignion di Montfort – è la strada più sicura per arrivare a Gesù Cristo, il voler far diventare il nostro cuore secondo il cuore di Lei costituisce il modo più perfetto per fonderci amorevolmente anche noi nella mentalità divina di Cristo, nei suoi pensieri e intenzioni, nella sua volontà. Maria risponde all’Angelo: «Si faccia di me, secondo la tua pa­rola» (Lc. 137), il che vuoi dire che Ella si è confor­mata subito e in modo totale alla volontà di Dio. La manie­ra ideale per unirci a Gesù Cristo già in questa vita ed essere meritori di condividere con Lui l’Eter­nità è quella di dimostrare un’analoga disponibilità ai suoi voleri. Una grazia che, secondo i san­ti appena citati, otteniamo nel modo più perfetto con la devozione a Lei, al suo Cuore Immacolato.

Al centro della più profetica apparizione moderna
Quando a Fatima la Madonna promet­te il trionfo del suo Cuore Immacolato, preannuncia sicuramente una realtà del­la gloria eterna ma, allo stesso tempo, preannuncia una grande conversio­ne dell’umanità che si era allontana­ta in modo riprovevole da questa sorgente di amore soprannaturale, dai pensieri e dai desideri di Cristo, insomma, dalla sua volontà.
Cioè, a Fatima la Madre di Die accenna a un tempo che sembra coincidere in tutto e per tutto con l’epo­ca benedetta di cui parla san Luigi Gri­gnion di Montfort, denominandola Regno di Maria.
Un rinnovare ogni cosa in Cristo, sia nella sua dimensione eterna che, nella misura del possibile, temporale. Allora i cuori degli uomini saranno modellati secondo il Cuore Im­macolato di Maria che batte all’unisono col cuore ci Cristo. È da supporre che è anche questa prospettiva che rende Fatima, secondo Benedetto XVI, «la più profetica delle apparizioni dei tempi moderni».
Ci dice dom Guéranger che la devozione al Cuore Immacolato di Maria – poggiata su una solida base nella Divina Rivelazione, approfondita da sant’Ambrogio e sant’Agostino, da san Giovanni Crisostomo e san Leone, da san Bernardo, san Bonaventura e san Bernardino, confermata dalle visioni mistiche di| santa Gertrude e santa Matilde nel Medioevo – trovò una nuova rifioritura con san Giovanni Eudes, «padre, dottore e apostolo del Culto al Sacro Cuore» ( Bolla di Canonizzazione).
Egli, munito dalle dovute autorizzazioni, inizia ad introdurla nella liturgia, componendo i testi per la Messa celebrata nella sua congregazione religiosa. Agli inizi del secolo XIX la celebrazione della festa del Cuore Immacolato fu autorizzata dalla Santa Sede in quele diocesi e congregazioni che ne facessero esplicita richiesta. Infine fu estesa a tutta la Chiesa da S .S. Pio XII nel 1944.

La pratica della consacrazione a Maria
San Giovanni Eudes nel suo trattato sul Cuore mirabile esclama: «Io ammiro, saluto e onoro il un Cuore verginale come un mare di grazia, un miracolo d’amore, uno specchio di carità, un abisso di umiltà, come il trono della misericordia, il regno della divina volontà, il santuario dell’amore divino, come il primo oggetto dell’amore della Santissima Trinità»
San Luigi Grignion di Montfort esplicita ulteriormente il ruolo unico della Madre di Dio nel portare per la via più perfetta, più rapida e sicura i fedeli all’unione con il suo Figlio, predicando nel suo celebre Trattato della Vera Devozione a Maria, la convenien­za di consacrarsi completamente a Lei per unirsi com­pletamente a Lui. Da questa intuizione del santo van­deano mutuerà S .S. Giovanni Paolo II il motto del suo pontificato: “Totus tuus”. Sono tutto tuo, tutto di Ma­ria Santissima.

Rifioritura della vera devozione a Maria
Nella terza apparizione a Fatima, il 13 luglio 1917, la Madonna dice ai pastorelli: «Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato» e chie­de la consacrazione della Russia nonché la comunio­ne riparatrice nei primi cinque sabati, tutto al fine di impedire una serie di catastrofi, tra le quali, la più gra­ve sembra la «diffusione degli errori» della stessa Rus­sia – che secondo le parole della Vergine – promuo­verà «guerre e persecuzioni alla Chiesa».
Fatima fornisce una nuova spinta alla devozione e alla consacrazione al Cuore Immacolato di Maria. Due concetti che nel linguaggio religioso sono perfet­tamente correlati: votarsi a qualcuno è consacrarvisi. In numerosi ambiti religiosi e civili è continuata d’al­tronde ad aumentare nel corso dei secoli XIX e XX la conoscenza della vera devozione a Maria predica­ta da san Luigi Grignion di Montfort, il cui manoscrit­to scomparve per circa cento anni in una cassapanca. Lo stesso santo aveva predetto sia questo misterioso oscuramento che un grande ruolo futuro del suo Trat­tato.
Così. anche il numero dei consacrati a Maria secon­do il metodo del santo vandeano andava crescendo in tulio il mondo man mano che si diffondeva il Trattato. Fu nel contesto di questa rifioritura mariana e ispi­rato dalla richiesta della Madonna a Fatima che Papa Pio XII decise di consacrare il mondo al Cuore Immacolato di Maria nel 1942. Afferma il padre Domenico Mondrone nella Civiltà Cattolica nel 1959 (vol.III) che non c’era in quel tempo atto di consacrazione a Maria che non si riferisse alla dottrina di san Luigi Grignon de Montfort, perché nessuno sapeva meglio di lui «insegnare e mettere in evidenza la legittimità, il valore, il significato, i corollari pratici e i frutti» di questa pratica e che lo stesso Papa Pio XII aveva eleva­to al suo magistero pontificio la dottrina montfortiana della consacrazione a Maria.
Nel 1958 il cardinale E. Tìsserant, delegato al Congresso Mariano intemazionale per i cento anni delle apparizioni di Lourdes, così si esprimeva: «Per corrispondere alla consacrazione del genere umano pronunciata da Pio XII, bisognerebbe che si compissero atti successivi di consacrazione delle diverse nazioni (…) Occorre perciò lavorare senza posa perché si affermi in mezzo ai cristiani che la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria degli individui, delle famiglie e delle nazioni è il solo rimedio efficace contro i mali presenti e futuri» (L’Osservatore Romano, 15-16 settembre 1958).

13 settembre 1959: l’Italia si consacra
Così si arriva alla decisione presa esattamente 50 anni fa dalla Conferenza episcopale italiana di consa­crare anche la nostra nazione al Cuore Immacolato di Maria, compiuta il 13 settembre 1959, nel corso del Congresso Eucaristico Nazionale a Catania.
Il solenne atto fu preparato da un trionfale pelle­grinaggio nazionale della statua della Madonna venu­ta dal Santuario di Fatima, con immenso concorso di folle da diversi luoghi della Penisola, con confessio­nali presi d’assalto e con innumerevoli fedeli che si ac­costavano all’Eucaristia.
Padre Mondrone sulla Civiltà Cattolica dice che nel volere dei vescovi detto atto aveva anche il signi­ficato di proteggere l’Italia, «il suo feudo perpetuo», da ogni sciagura e «particolarmente dal pericolo di ce­dere sotto il dominio del comunismo ateo».

Il contesto di una decisiva epoca storica
Oggi qualcuno potrà sorridere davanti a quest’ul­timo proposito. Ben diversa era però la prospettiva in quegli anni di Guerra Fredda. La potenza sovietica,
dopo aver schiacciato sanguinosamente la ribellione ungherese, si accingeva a lanciare il guanto di sfida a Cuba, a cento chilometri dalle coste americane. L’Occidente, per conto suo, si mostrava sempre più distratto dai suoi doveri, sempre più affamato di edonismo.
Secondo padre Mondrone, il successo del pellegrinaggio nazionale di Fatima non annullava assolutamente la validità di alcune considerazioni che lasciavano gli spiriti non superficiali nella perplessità e nella tristezza.
Converrebbe rileggersi i termini del suo franco sfogo davanti al panorama di allora, per vedere come molte di quelle apprensioni appaiono non solo giustificate, ma ampiamente confermate e persino molto aggravate. Egli, per esempio, si lamentava della diffusione sui media e nel costume di una cultura radicalmente contraria a quella tradizionale dell’Italia, nutrita dalla linfa del Cristianesimo.
In una Italia «dove il senso e l’orrore del peccato va scomparendo sotto l’invadenza di un edonismo aggressivo e sempre più attrezzato di mezzi di conquista», non si trattava, diceva, di far «propaganda di pessimismo» bensì di «prendere sul serio fatti estremamente seri».
Fu certamente benefico per innumerevoli famiglie il “miracolo economico” che proprio in quell’anno 1959 sbocciò, riempiendo di stupore il mondo che aveva visto la nazione italiana uscire stremata dalla Guerra Mondiale. Ma in mezzo al legittimo e persino necessario benessere, arrivavano anche le avvisaglie di una rivoluzione culturale che si sarebbe manifestata in pieno un decennio più tardi. La “commedia all’italiana”, l’ancora nascente TV, i rotocalchi, cercano di inculcare nella crescente borghesia un rapporto più emancipato con la fede, col potere e col sesso.

Il trionfo del Cuore Immacolato
Nel campo cattolico, qualcuno diceva che la secolarizzazione, che come una metastasi si espandeva sul corpo dell’Italia e dell’Occidente, non poteva essere debellata con la “passeggiata” di una statua della Madonna.
Eppure era quanto i vescovi – non certo illusi o ingenui – promuovevano, chiamando i fedeli «a raccolta ai piedi di Maria», sicuri che «non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati».
Pur consapevoli che «molti, forse la più parte, non risponderanno» essi «non cessano di invitare, di mandare avanti a Colei che ancora esercita tanta attrattiva sulle anime». «Il pellegrinare di Maria – ci dice ancora Padre Mondrone – è una misericordia che passa, una ricchezza di grazie che viene offerta, un andare alle anime e specialmente alle più lontane» perché «Maria passa come passò Gesù, il Figlio suo, nei giorni della vita terrena, per le vie ed i villaggi del suo paese (…) C’è in Lei un’ansia missionaria che riflette, come nessun altro apostolo, le ansie del Buon Pastore».
E la gerarchia ecclesiastica di allora, concludeva il sacerdote gesuita, sapeva bene che l’atto di consacrazione al Cuore Immacolato di Maria e il pellegrinaggio della statua della Madonna di Fatima, era «come soffiar la cenere che copre un fuoco non spento, il fuoco di una tenue devozione che può in poco diventare una fiamma».
Mezzo secolo dopo, innumerevoli fatti confermano sorprendentemente questa speranzosa realtà: sotto la cenere persiste infatti un fuoco non spento, che ben può diventare una fiammata. Anzi, questo fuoco non spento lo troviamo in settori anche giovanili, sempre più vasti, sempre più fiduciosi del trionfo del Cuore Immacolato di Maria promesso alla Cova de Iria.

Giacomo Monti (da Radici Cristiane n. 45 del giugno 2009).

Caterina63
00domenica 26 agosto 2012 10:25

[SM=g1740720] A difesa della fede cattolica [SM=g1740752]


Il santuario lombardo di Tirano


di Pina Baglioni


Veduta del santuario di Tirano. Accanto al campanile in stile romanico-lombardo,la maestosa cupola realizzata nel 1580

Veduta del santuario di Tirano. Accanto al campanile in stile romanico-lombardo,la maestosa cupola realizzata nel 1580

Non è un santuario come un altro quello di Tirano.
La facciata rinascimentale in puro stile bramantesco, la maestosa cupola e l’alto campanile in stile romanico-lombardo segnalano una particolarità: qui la Madonna, alle prime ore dell’alba del 29 settembre del 1504, non è apparsa in luogo sperduto di montagna, come tante altre volte è accaduto in queste terre lombarde. Ma in un lembo di terra, si direbbe oggi, geopoliticamente strategico: nel bel mezzo della Valtellina, con Bormio e il passo dello Stelvio sullo sfondo, allo sbocco della valle del Poschiavo. Dove l’itinerario trasversale delle Alpi si unisce a quello della strada di valle, la Valeriana, e a quello, non secondario, del passo dell’Aprica: uno snodo importante per raggiungere tutti i territori d’oltralpe, dove mercanti e soldati, eretici e santi si sono incontrati.

I valtellinesi devono tutto alla Madonna. Non solo ha guarito, resuscitato bambini nati morti, allontanato pestilenze e carestie e concesso una quantità impressionante di grazie. Sotto il suo sguardo vigile, Lutero, Calvino e le pratiche esoteriche, particolarmete diffuse in queste terre, hanno trovato in Lei un baluardo inespugnabile.

Anche oggi a Tirano tutto parla di Lei: le storie, le guide locali, le segnalazioni stradali. Gli alberghetti che fanno da corona alla grande piazza rettangolare, dove si erge maestoso il santuario, hanno sempre il tutto esaurito di pellegrini. Ogni giorno un treno rosso attraversa la città, si ferma alla contrada denominata “Madonna”, portando a destinazione centinaia di devoti. E poi prosegue per la Svizzera.
In questi cinquecento anni dopo l’apparizione si sono inginocchiati davanti alla sua statua lignea persone semplici e pellegrini di rango: re e regine, imperatori e ambasciatori, principi della Chiesa e santi. I cardinali Angelo Roncalli e Giovanni Battista Montini, futuri Giovanni XXIII e Paolo VI, solevano spesso farvi tappa in occasione delle vacanze estive. Nel 1968 vi sostò in preghera anche Aldo Moro, allora presidente del Consiglio della Repubblica Italiana.

L’icona lignea del santuario dell’Apparizione della Madonna di Tirano è tra le più belle che si siano mai viste: sulla sua testa splende una corona dorata: papa Alessandro VIII volle che il capitolo di San Pietro la incoronasse solennemente. E il manto di seta e oro che le avvolge le spalle è un ex voto dei valtellinesi offerto durante l’imperversare della peste nel 1746.

«Io sono la gloriosa Vergine Maria, non devi avere paura»
«Ubi steterunt pedes Mariae» ricorda la scritta sulla tavoletta conservata dietro l’altare della cappella dell’Apparizione, una vera chiesa nella chiesa: piccole statue dorate e dipinte ricordano l’evento miracoloso. È quel che rimane dell’antica pala rinascimentale dell’artista Giovan Battista del Majno, considerata al tempo la più bella d’Italia: nel 1798 purtroppo i funzionari della Repubblica Cisalpina saccheggiarono l’altare degli ornamenti d’argento, privando la pala in parte dell’antico splendore.

La riconoscenza dei graziati dalla Vergine ha depositato, secolo dopo secolo, quadretti e cuori d’argento, ricordi di sciagure evitate e malattie scomparse e una montagna di fotografie di persone d’ogni età. Soprattutto di neonati.
Quando Maria decise di far visita in Valtellina, pestilenze, grande povertà e disorientamento generale avevano messo a dura prova i valligiani: il ducato di Milano, al quale questa terra apparteneva, era ormai nelle mani di Luigi XII di Francia, che aveva oppresso il popolo a suon di tasse. C’erano anche i grigioni, un popolo della Svizzera meridionale, pronti a calare per impadronirsi della valle dell’Adda. Già lo avevano fatto nel 1486, quando Chiavenna, non distante da Tirano, era stata messa a ferro e fuoco.
Alle prime luci dell’alba della domenica del 29 settembre del 1504, festa di san Michele Arcangelo, un giovane di nobile famiglia, Mario Omodei, se ne stava andando verso la sua vigna a raccoglier frutta quando improvvisamente si sentì sollevare da terra e trasportare con dolcezza in un piccolo orticello non lontano da casa. L’orticello era proprio fuori dal borgo di Tirano, protetto allora dalle mura fatte erigere da Ludovico il Moro, presso il ponte sul torrente Poschiavino detto “della Folla”.

Terrorizzato per quanto gli stava capitando, Mario si trovò di fronte una giovanetta, di quattordici o quindici anni, di straordinaria bellezza avvolta da una gran luce e da un soavissimo profumo. Che prese a parlagli con tono affettuoso: «“Mariolo, Mariolo!” Et lui respose “Bene, Madona” con grande pagura. La prefata Madona si ge respose “Bene averastu. Sapi che io sono la gloriosa Vergine Maria, non voia havere pagura”». Quasi una cronaca in diretta fissata in lingua dialettale nel Libro dei miracoli, un prezioso manoscritto redatto da un anonimo autore tra il 1505 e il 1519, ritrovato per caso solo nel 1946 da padre Ambrogio Maria Rugginenti dei Servi di Maria, a quel tempo incaricati del servizio religioso del santuario. «Sapiathe, questo anno, si è comenso una grande mortalitate de homini et de bestiami» proseguì la Vergine «et anchora haverà a pesorare in masore mortalitate, salvo et reservato che qui in questo loco se avere a fare una ecclesia a honore mio; et tuti li personi li quali haverano a visitare questo sancto et benedeto loco, cum qualche bono et sancte elemosine, secondo la loro qualitate, sarano liberi e salvi da questa pestilentia e mortalitate». Stordito da quanto gli stava capitando, il ragazzo cadde in ginocchio. E Maria gli ordinò: «Va per tuto donda che tu puoi andare et notifica questa aparitione e miracolo». Sulla parete della navata di sinistra della basilica un ignoto pittore fissò, nove anni dopo l’apparizione, in immagini semplici, l’avvenimento: la Vergine con la mano destra indica al giovane il punto esatto dove costruire la chiesa in suo onore.

Veduta panoramica del santurario di Tirano posto nel mezzo della Valtellina

Veduta panoramica del santurario di Tirano posto nel mezzo della Valtellina

Mario prontamente ubbidì. Di corsa se ne tornò in città a riferire l’accaduto al cavalier Luigi Quadrio, uno dei personaggi più autorevoli della valle, l’uomo che sei anni prima aveva tentato di difendere quella terra dagli invasori. Era anche il proprietario dell’orto dove la Madonna era apparsa. Il ricco cavaliere donò con prontezza quel lembo di terra per l’edificazione della chiesa.
Considerata la “committenza” celeste, notabili e gente comune, solo undici giorni dopo il prodigio, in un clima di grande letizia, cominciarono a raccogliere denari per la costruzione del santuario. Da parte sua, la curia vescovile di Como autorizzava il culto e la costruzione di una cappella provvisoria. Intanto la notizia dell’apparizione s’era sparsa velocemente e la gente cominciò ad accorrere da tutta la valle, dalle regioni del Lario, del Bresciano e della Bergamasca. Ma anche dal Tirolo e dalla Baviera. Già il 25 marzo del 1505 ebbe luogo l’atto di fondazione e la posa della prima pietra della basilica.
La vita fino ad allora dorata del nobile Mario Omodei cambiò radicalmente: il giovane lasciò Tirano per esaudire il desiderio della Vergine, che gli aveva chiesto di andare di luogo in luogo, fino a che le sue forze glielo avessero permesso, a chiedere soldi per il santuario. Molte fonti e documenti ricordano i suoi numerosi viaggi. Morì a Trento, proprio mentre stava raccogliendo offerte.
E la Madonna lo ricompensò: oltre a salvare il fratello colpito dalla peste, gli salvò il figlio da una malattia gravissima. Il ragazzo poi ottenne anche il dono del sacerdozio che esercitò proprio presso il santuario di Tirano.

La resurrezione
dei bimbi nati morti
Le grazie intanto fioccavano a Tirano: la peste scomparve. Ma l’aspetto più commovente fu la particolare predilezione che Maria dimostrò nei confronti dei bimbi nati morti. Uno di questi miracoli è narrato per immagini su una tela esposta in basilica, dove è rappresentata la resurrezione dei gemellini di Christien Peterfeit di Bressanone e di Gioanni Rodio di Innsbruck avvenuta tra il 26 e il 27 marzo del 1505. Tra una folla di testimoni oculari, tra cui Luigi Quadrio che fa da padrino, la madre allatta il suo bambino tornato in vita, mentre l’altro bimbo miracolato riceve il battesimo.

Tra le tante grazie concesse, anche quella di un po’ di benessere. La Madonna aveva liberato dalla peste non solo le persone, ma anche le bestie. In segno di ringraziamento, a partire dal 1514, nel giorno dell’anniversario dell’apparizione, si terrà attorno alla chiesa la fiera internazionale del bestiame che tanta fortuna porterà a tutta la valle. Da allora, per i tiranesi la Vergine si chiamerà «Santa Maria de la Sanitate».

C’è poi un altro prezioso documento, più tardo rispetto al Libro dei miracoli, che arricchisce di particolari la storia. Si tratta de I miracoli della Madonna di Tirano scritto dal teologo tiranese Simone Cabasso, che fu anche parroco del santuario. Il celebre testo fu stampato nel 1601 a Vicenza. Qui il racconto dell’apparizione e di ciò che accadde dopo è scritto in uno stile più colto, con molti riferimenti dottrinali rispetto alla semplicità del primo. Il motivo è comprensibile: Cabasso infatti dovette combattere più di una tenzone teologica: in quel momento i rapporti con i protestanti d’oltralpe erano difficilissimi. Era stato proprio il vescovo di Como, Feliciano Ninguarda, a volere un teologo alla guida del santuario: Cabasso si era laureato presso il Collegio Elvetico di Milano, dove aveva studiato insieme con Nicolò Rusca, arciprete di Sondrio che morirà martire prigioniero dei protestanti. Lo stesso Cabasso rischiò la vita durante una disputa tenuta proprio a Tirano tra il 1595 e il 1597 con i riformati, quando definì blasfeme alcune affermazioni di Calvino, trasgredendo così ai patti di tolleranza che erano stati concordati tra cattolici e protestanti. Gli fu comminata la pena capitale, che fortunatamente non fu eseguita.

Alla luce di questi avvenimenti, il santuario di Tirano divenne il simbolo della lotta al protestantesimo dilagante, un baluardo del cattolicesimo tenuto in grandissima considerazione dai papi. Già Leone X, nel 1517, l’anno delle 95 tesi di Martin Lutero, con la bolla Ex commisso nobis aveva assicurato una rendita permanente trasferendo al santuario i beni degli antichi ospizi di Santa Perpetua e di San Remigio situati nelle immediate vicinanze della chiesa. E non solo il papato guardava con speranza alla Vergine di Tirano: a partire dal 1603, re Enrico IV di Francia ogni anno inviò una considerevole somma di danaro per far celebrare una messa settimanale all’altare della Madonna pro rege christianissimo. Così pure il potente cardinale Richelieu, nel 1636, donò preziosissimi paramenti sacri al santuario per raccomandare alla Vergine la salvaguardia della fede.

[SM=g1740717] San Carlo Borromeo ai piedi della Vergine

Tra il 27 e il 28 agosto del 1580 il cardinal Carlo Borromeo aveva passato l’intera notte in preghiera ai piedi della Madonna di Tirano. Era salito lassù per chiedere un bel po’ di grazie: intanto la pace per la Valtellina. I bellicosi grigioni, che infatti avevano abbracciato la riforma protestante, erano di nuovo pronti a scendere ed occupare la valle.

Il cardinale aveva scritto decine di lettere alle più alte personalità del tempo per tentare di sanare i continui contrasti con quel popolo che negli anni, ogni volta che era sceso in Italia, s’era portato dietro morte e distruzione. Poco più di un decennio dopo, anche Federico Borromeo, allora nunzio pontificio presso i cantoni svizzeri, andò a raccomandarsi alla Madonna perché tenesse lontano il nemico di sempre dalle valli lombarde.

Ma non erano stati solo i grigioni a spingere Carlo Borromeo verso la Vergine di Tirano in quella notte del 1580: prima del Concilio di Trento, soprattutto in Valtellina e in Valchiavenna, molte persone invece di affidarsi al Signore, a Maria e ai santi, avevano cominciato a praticare riti satanici mettendosi nelle mani di streghe e fattucchiere. San Carlo allora, negli anni tra il 1565 e il 1583, aveva istruito tutti i parroci lombardi che dipendevano da lui raccomandando una particolare azione per ostacolare la pericolosa perversione. In questo contesto, avviene la visita del santo arcivescovo di Milano a Tirano.

Col trascorrere degli anni purtroppo la crisi tra i valtellinesi e i grigioni divenne gravissima: fatti di sangue raccapriccianti ebbero luogo in tutta la valle fino ad arrivare all’atto conclusivo, definito «Sacro macello di Valtellina» dallo storico Cesare Cantù in un famoso volume del 1832, Il Sacro Macello di Valtellina. Le guerre religiose del 1620 tra cattolici e protestanti, tra Lombardia e Grigioni. La miccia era stata innescata proprio a Tirano il 19 luglio del 1620. In poco più di un mese furono trucidate quattrocento persone, di cui cento solo a Sondrio.

L’11 settembre dello stesso anno, sempre a Tirano, accadde un fatto prodigioso: durante la battaglia decisiva, detta del Campone, dall’alto della lanterna della cupola del santuario, la statua di san Michele, volgendosi verso il campo di battaglia, roteò la spada di fuoco, inequivocabilmente solidale con le forze di parte cattolica. Che finalmente riuscirono a ricacciare indietro l’esercito svizzero.
La fama del santuario di Tirano come roccaforte del cattolicesimo aumentò ancora tanto che nel 1787 la Sacra Congregazione dei riti riconobbe la Madonna del ponte della Folla come Patrona principalis della valle, concedendo l’officiatura liturgica propria, con l’obbligo d’uso nel giorno dell’anniversario dell’apparizione non solo nel santuario, ma in tutta la Valtellina fino a Poschiavo.

Oggi è commovente e significativo il fatto che la guida più diffusa ai santuari mariani in Valtellina e Valchiavenna, un’opera finanziata e autorizzata dalla Conferenza episcopale italiana, rechi nel frontespizio la foto di suor Maria Laura Mainetti e una dedica in sua memoria. La religiosa fu uccisa il 6 giugno del 2000 da giovani dedite, a quanto hanno rivelato le indagini svolte dagli inquirenti, a riti satanici. Qualche pagina dopo, lo scrittore Vittorio Messori ha scritto: «Penso che oggi i centri di resistenza del cristianesimo siano i santuari, in particolare quelli mariani. Sono essi i bastioni, le cittadelle erette contro l’espansione delle sette religiose, delle comunità “impazzite” e del New Age… Sono essi che permettono di vivere la fede nella sua doppia dimensione: ragione e sentimento».

[SM=g1740750] [SM=g1740752]

Caterina63
00lunedì 26 novembre 2012 16:20
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 La Madonna dei Mi lici di Scicli

Maria, «sul suo possente destriero bianco, guerriera che brandisce la spada, scesa in battaglia», un'icona davvero inconsueta.

AScicli (Ragusa), una delle tante piccole città della Sicilia sudorientale, tesori riconosciuti di ineguagliata arte barocca, la Vergine santa di Nazaret è, nella chiesa madre, su un poderoso cavallo, dalle narici dilatate e soddisfatte, che, con una misurata ma decisa impennata, si mostra pronto a scendere nel campo di battaglia dove divampa lo scontro tra cristiani e saraceni, con alla testa, i primi, il gran conte Ruggero il Normanno, e i secondi, il superbo e sprezzante emiro Belcane. Regalmente abbigliata, con la corazza a protezione del petto, con in capo la corona regale d'oro e nella mano destra la spada rilucente, Maria, la madre di Dio, ben salda sul suo possente destriero bianco, le cui redini stringe nella sinistra, si avvia ad accorrere in aiuto degli sciclitani che, devoti da sempre, l'avevano invocata ed implorata con accorate e sincere preghiere. Con negli occhi Maria, intrepida guerriera a cavallo, dalla chiesa madre, idealmente ci conduciamo nella lunga spiaggia di Donnalucata, dove, a migliaia, dall'imponente flotta di chelandie, erano sbarcati e accampavano i saraceni. Qui, in difesa dei propri beni, della libertà, della fede cristiana e della vita stessa, erano accorsi gli sciclitani, i quali confidavano più nella certezza della fede che nella forza delle armi.

il prof. Tommaso Claudio Mineo, ordinario di chirurgia toracica presso l'Università di Tor Vergata (Roma), nel suo studio, mostra la raccolta di immagini di Maria che allatta, altra passione dell'illustre cattedratico (foto G. GIULIANI).

il prof. Tommaso Claudio Mineo, ordinario di chirurgia toracica presso l'Università di Tor Vergata (Roma), nel suo studio, mostra la raccolta di immagini di Maria che allatta, altra passione dell'illustre cattedratico (foto G. GIULIANI).

Siamo nella Quaresima del 1091, nel sabato precedente la Domenica della Passione. I cristiani di Scicli e i militi di Ruggero, notevolmente inferiori di numero ma fiduciosi nell'aiuto divino, si affidano alle preghiere e a ricevere i sacramenti, come erano soliti i normanni prima di ogni battaglia. I fatti evolvono verso lo scontro e le armi vengono impugnate. Il superbo Belcane, viceré di Sicilia del sultano dei saraceni, rinnova le sue richieste troppo ingiuste e gravose per il popolo cristiano di Scicli che opp o n e , ancora una volta, il suo deciso rifiuto. L'infedele emiro è inamovibile; egli in cuor suo nutre l'ambizione di ampliare il dominio saraceno in Sicilia e dunque, sicuro della superiorità del suo esercito e della vittoria, non indugia ad accendere la battaglia incalzando al grido: «Non c'è più pietà; guerra, guerra!». Infaticabile paladino della cristianità e impavido condottiero, il gran conte Ruggero tenta più volte di mitigare l'impeto del bellicoso emiro; ma i suoi richiami trovano sordo il saraceno che, piuttosto, accresce la sua superbia e la sua sicumera. Ruggero, allora, non potendo evitare le armi, forse presagendo il peggio o forse come ultimo appello alla ragione dell'inflessibile emiro, non gli nasconde il suo ricorso all'aiuto «della bella Madre di Dio che non teme centomila Maometti». La battaglia divampa e gli assalti si susseguono; gli uomini si affrontano e in molti cadono colpiti dalle armi e nei corpo a corpo. La superiorità saracena non tarda a mostrarsi e i cristiani soccombono vieppiù quanto più trascorrono le ore. Ma ecco che, come apprendiamo dalla memoria più antica, Maria, invocata a gran voce dagli sciclitani, apertosi il cielo, appare in una nuvola splendente come il sole, su un cavallo candido come la neve, impugnando nella destra una lucente spada rivolta in alto, verso il cielo. «Eccomi scesa; sono presente, città mia diletta; ti proteggerò con la mia destra ». Così, come vuole l'antica tradizione, la Vergine irrompe nella battaglia. All'apparizione celeste le fila dei saraceni sussultano, sbandano, via via ripiegano, alla fine guadagnano le numerose chelandie e fuggono. I cristiani esultano: è la vittoria, della fede e della preghiera prima di ogni cosa.

La Madonna dei Milici, singolare opera in cartapesta, legata alla battaglia del 1091 tra normanni e saraceni, chiesa madre di Scicli (Ragusa).

La Madonna dei Milici, singolare opera in cartapesta, legata alla battaglia del 1091 tra normanni e saraceni, chiesa madre di Scicli (Ragusa).

Maria, vittoriosa accanto al suo popolo osannante, fa ritorno nel cielo e di questa sua presenza terrena ci lascia l'impronta del suo cavallo, ancora oggi ben visibile sulla roccia del Santuario dei Milici, posto su un'altura non molto distante dalla marina.

Un quadro raffigurante la Madonna dei Milici (collezione del prof. Tommaso Claudio Mineo).(foto G. GIULIANI).

Un quadro raffigurante la Madonna dei Milici (collezione del prof. Tommaso Claudio Mineo).(foto G. GIULIANI).

L'immagine di Maria a cavallo, guerriera che brandisce la spada come un vero e proprio condottiero d'altri tempi, scesa in battaglia a destreggiarsi tra i suoi figli che si combattono aspramente, è certamente inconsueta e non c'è da stupirsi se nel credente nasce stupore, meraviglia, finanche incredulità. Ma, se l'antica tradizione popolare ci richiede uno sforzo per immaginarla combattente tra i militi, non possiamo non intimamente gioire nel vederla pronta soccorritrice del suo popolo sofferente che l'ha invocata con fervide preghiere e con la forza della fede nella parola del Vangelo: «Perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda» (Gv 15,16). «Bella, matribus infesta: le madri rifuggono dalle guerre». Queste parole, con la sintesi propria dei latini, racchiudono tutto l'orrore e l'avversione delle madri per la guerra che le priva dei figli che, con amore e sacrificio, hanno allattato e cresciuto. Anche Maria è madre: madre di Cristo e madre di tutti noi aborrisce ogni guerra che è per lei fonte di profonda sofferenza e indicibile dolore.

La spiaggia di Donnalucata, frazione di Scicli (foto PALAZZOTTO).

La spiaggia di Donnalucata, frazione di Scicli (foto PALAZZOTTO).

Maria, da sempre e per sempre piena di grazia, madre che intercede, che protegge e che soccorre, non scende in campo di battaglia, come a Donnalucata, per schierarsi per gli uni contro gli altri. La Vergine si offre per tutti, per salvare gli uni e gli altri, perché tutti sono figli suoi, senza distinzione alcuna. «Io sono», dice Maria, «la difesa di coloro che a me ricorrono, e la mia misericordia è a lor beneficio ». La spada nella sua mano destra, rivolta sempre verso l'alto, è per la conversione dei cuori, per il trionfo della vita, per la sconfitta della discordia e del male, per la vittoria della pace. Maria è la regina della pace e, come dice Édouard Hugon, «è la gran paciera che ottiene da Dio e fa trovare la pace ai nemici». In questa prospettiva, è grazie alla discesa di Maria che gli sciclitani non hanno conosciuto il dolore e le sofferenze che fanno seguito alla sconfitta e alle sue ferite dilanianti, ma hanno conquistato la serenità e la gioia della pace. Il popolo cristiano di Scicli è salvo e come Mosè può elevare il canto al Signore come già il Salmista: «Esulteremo per la tua vittoria, spiegheremo i vessilli in nome del nostro Dio. Ora so che il Signore salva il suo consacrato, gli ha risposto dal suo cielo santo con la forza vittoriosa della sua destra. Chi si vanta dei carri e chi dei cavalli, noi siamo forti nel nome del Signore nostro Dio. Quelli si piegano e cadono, ma noi restiamo in piedi e siamo saldi. Salva il re, o Signore, rispondici quando ti invochiamo» (Sal 20,6-10).

Imitiamo, dunque, senza esitazioni, fiduciosi e saldi, Maria guerriera, Maria foriera della pace, come dice sant'Epifanio: «Per te pax caelestis donata est». Imitiamola, quando è necessario e se è necessario, con la spada della fede e della fiducia rivolta verso l'alto, verso il cielo dove risiedono la vera giustizia e la vera speranza.

Tommaso Claudio MINEO


IL SANTUARIO CITTADINO DELLA MADONNA DELLE MILIZIE

 
La fondazione, il titolo e la storia di questo Santuario si confonde con quello della stessa Città.
Secondo la tradizione sarebbe stato fondato ancor prima della dominazione araba della Sicilia, forse in periodo bizantino: traccia di questo passato potrebbe essere il fatto che il giorno della festa di questo Santuario è stato fissato sempre nei secoli fino al presente nel Sabato di Lazzaro, che è una denominazione liturgica bizantina ortodossa e non cattolica.
Comunque sia, è sicuro che fin dal 1100 il santuario è censito fra le chiese filiali della Matrice di Scicli, il duomo di San Matteo: la fondazione del Duomo e forse quella del Santuario sono collocabili in epoca Normanna.
Da sempre il luogo è stato legato alla devozione mariana verso la cosiddetta Madonna dei miracoli(il simulacro lapideo rinascimentale della Vergine ocn in braccio il Bambino e nella destra una colomba) e alla memoria di un intervento prodigioso della Vergine (di cui si conserva il vestigio di una impronta del suo piede sulla roccia) in favore della Città di Scicli contro i saraceni.
L’Università di Scicli (cioè i quattro Giurati del Governo della Città) da sempre ha avuto la cura per il luogo sacro e per il culto e l’incremento della devozione.
E’ a cura della Città che la chiesa è costruita, riparata, ingrandita, curata.
Il Magistrato e il Sindaco, tramite un Procuratore, pagano le spese per l’olio che arde davanti all’immagine della Vergine, per la cera delle candele, per il vino e le ostie per la messa, pagano il vitto e l’alloggio per il sacerdote che vi celebra.
Inoltre, in occasione della festa, a spese dell’università si tiene la Cavalcata dei Giurati per recarsi a Messa al Santuario e partecipare alla rievocazione dell’evento miracoloso, cui si aggiungono spari di mortaretti, luminarie e spese varie.
La responsabilità del culto è affidata al Parroco della Matrice di Scicli che la esercita tramite un cappellano da lui nominato ad hoc. Ingrandito il santuario nel ‘300, quella che è un’ufficiatura saltuaria diventa stabile nel’400: già dal 1479 in poi sappiamo che il Parroco della Matrice San Matteo tiene ai Milici una pianeta (come segno materiale di possesso del luogo secondo il diritto antico) per celebrarvi la messa la domenica e le feste. Dal ‘500 in poi il Cappellano nominato dal parroco della Matrice e stipendiato dal Comune sarà stabile.
Sarà il Carioti, nel ‘700 a rendere il Santuario chiesa “sacramentale”, concedendo, come Parroco Arciprete, la possibilità di conservarvi il Santissimo Sacramento.
Tale responsabilità condivisa tra Università e Matrice è dovuta al fatto della decisione di considerare la Madonna dei Milici come la Patrona di Scicli, come successo con San Guglielmo dal 1537: al Comune appartengono il Santuario dei Milici, la chiesa di San Matteo e la Cappella, l’urna e le reliquie di San Guglielmo. Sarà il Comune di Scicli a gestirne ogni aspetto, lasciando al Clero, tramite l’Arciprete, solo lo spazio per le celebrazioni liturgiche.
Tale situazione rimarrà invariata fino al ‘900.
Nel ‘600 la Vergine è invocata in questo Santuario dallo stesso vescovo di Siracusa contro l’invasione delle locuste. Scampato il pericolo, presso il santuario si raduna nuovamente un gruppo di eremiti per zelare la devozione della Vergine Patrona di Scicli.
Gli eremiti seguono la regola di San Pacomio: questo supporta una tradizione greca in favore del Santuario.
L’Università di Scicli provvede a ingrandire il Santuario per dare sistemazione agli eremiti.
Nei primi del ‘700 il Venerabile Girolamo Terzo, fondatore del santuario della Scala di Noto, è incaricato dal vescovo di Siracusa di riunire gli eremiti irregolari sotto un’unica disciplina diocesana: alle Milizie si adopera per dare migliore sistemazione ad eremiti e pellegrini grazie al contributo benefico di Domenico Serranton, Sergente Maggiore di Scicli.
Intanto la Chiesa è ingrandita ed abbellita dal Canonico Sanvito.
Nel 1708 la Città è preservata dal contagio della peste e dal rinnovato pericolo delle locuste grazie all’intercessione della Vergine delle Milizie: a lei la Città riconoscente dedicherà il Festino, la terza domenica di luglio, oltre alla tradizionale festa quaresimale.
Nel 1736 dal Papa è concesso l’Ufficio liturgico “prout S. Maria ad Nives” e la facoltà di trasferire il giorno di digiuno vigilare al 7 di settembre, vigilia della Natività di Maria.
Tra la fine del ‘700 e l’800, con la nuova fase politica, l’amministrazione della città passa di fatto alla famiglia Penna che curerà un ulteriore abbellimento ed ampliamento del santuario e dell’eremo.
Trovandosi fuori città, l’eremo poi accoglierà i malati del colera dei primi dell’800.
Intanto, come negli altri Comuni d’Italia, anche a Scicli (1820) viene creata dal Comune la Congregazione Di Carità: una fondazione che riunisce tutte le fondazioni di culto del Comune con le altre opere pie minori della città e che saranno gestite direttamente dall’amministrazione comunale: fra queste vi si trova l’Opera di Maria Santissima delle Milizieche ha ereditato dall’amministrazione  comunale settecentesca la gestione del Santuario e della festa.
Sarà questa Congregazione di Carità che  continuerà a gestire il Santuario, stipendiando i sacerdoti per la celebrazione delle messe, e la festa delle Milizie.
Fatta l’unità d’Italia, le leggi eversive incamereranno tutti i beni degli ordini religiosi, confraternite e collegiate, fatte eccezioni quelli delle parrocchie.
L’eremo viene incamerato: ma è un errore in quanto non appartiene né ad un ordine religioso né ad altre istituzioni ecclesiastiche destinatarie del provvedimento ma l’eremo appartiene all’Opera di Maria SS.ma delle Milizie inglobata nella Congregazione di Carità.
La Congregazione fa ricorso contro l’Intendenza di Finanza e lo vince e ottiene la restituzione della chiesa e della sacrestia (insieme alla statua della Madonna a Cavallo e agli arredi connessi al simulacro), mentre le celle e il terreno dell’eremo sono lottizzati e pronti per essere venduti a privati.
Paradossalmente, l’essere beni comunali e non ecclesiastici ha preservato sia il santuario ma anche la stessa statua e gli arredi e l’argenteria connessa, dall’essere incamerati dallo stato:gli abiti della Madonna che si trovavano conservati con la statua presso le suore di Valverde dovettero essere riconsegnati al Comune proprio per questo motivo.
E sempre paradossalmente proprio l’800 sarà il secolo del clou della festa, fatta conoscere in tutta Italia dagli scritti etnografici del Pitrè.
Chiusa la chiesa di San Matteo e distrutta Santa Maria la Piazza intanto fu eretta matrice di Scicli l’ex chiesa dei gesuiti: qui trovarono collocazione ad opera della Famiglia Penna la cappella di San Guglielmo e poi quella della Madonna delle Milizie.
Messi in vendita dallo Stato i locali dell’eremo, furono riacquistati dal P. Pisani ofm che, avendo avuto in uso la chiesa dal Comune tramite la Congregazione di Carità, adibì il convento a Noviziato dei frati minori.
Per l’occasione della riapertura vengono riportati da Scicli tutti i paramenti, i giogali, la campana e finanche il quadro che sarà rimesso sull’altare maggiore.
Sembra che il destino del Santuario sia così risollevato e nei cuori degli sciclitani si riaccende la speranza che la chiesa delle  Milizie possa ritornare il centro della devozione mariana cittadina. Ma è un fuoco che durerà poco.
La crisi dei primi del ‘900 costrinse i francescani a chiudere: nel 1918, il 1 luglio (atto Notaio Maltese), vendettero tutto il convento all’Opera Pia Busacca che intendeva farne un sanatorio.
Dopo i primi lavori la direzione dell’opera Pia Busacca per problemi di approviggionamento idrico optò per cambiare sito: il sanatorio fu costruito dov’è l’attuale ospedale Busacca e il convento e i terreni dell’eremo furono lottizzati e rivenduti tra il 1921 e il 1924 a privati.
Come dalla clausola risolutiva prevista nell’atto col Padre Pisani, venduto il Convento, la chiesa delle Milizie ritornò dalla gestione dei francescani alla gestione della Congregazione di Carità: dall’acquisto da parte dell’Opera Pia Busacca di tutto l’eremo infatti la chiesa era stata esclusa ed era rimasta in possesso della Congregazione: la chiesa così mantiene la sua destinazione di culto, come deliberato dalla Congregazione di Carità il 22 dicembre 1918 <<riconoscendo che il sottrarre al culto quel luogo pio consacrato al ricordo dell’apparizione della Vergine contro le orde Saracene e che per millenaria tradizione ogni anno aveva avuto solenni feste commemorative avrebbe offeso il sentimento religioso della cittadinanza>>.
Fallito il progetto del tubercolosario, la chiesa ritorna dunque alla gestione nuovamente della Congregazione di Carità: l’Opera Pia Busacca, che l’aveva avuta in affido qualora fosse stato costruito il tubercolosario per adibirla anche a cappella del nosocomio, riconsegna ufficialmente la Chiesa alla Congregazione della Carità il 16 febbraio 1921.
Ma già il 4 febbraio 1921, il Canonico Cottone da Scicli in via riservata scrive al vescovo di Noto per informarlo ufficiosamente dell’intenzione della Congregazione di carità di <<vendere la simpatica Chiesa dell’eremo delle Milizie per uso profano: magazzino o pagliaro>> in concomitanza alla vendita a lotti del convento da parte dell’opera Pia Busacca.
Quello che segue dopo è uno scambio epistolare tra Scicli e Noto che diamo di seguito in modo sintetico.
30 giugno 1921 – L’amministratore della Congregazione di Carità [in seguito detto   Commissario] scrive al Vescovo di Noto per proporgli la vendita della Chiesa.
4 luglio 1921 – Il Vescovo risponde pregando il Commissario di attendere il suo ritorno da Roma e dice di voler fare qualcosa perché il tempio rimanga aperto al culto.
11 dicembre 1921 – Il Vescovo non avendo disponibilità economica sufficiente, propone un atto di enfiteusi: il Commissario risponde dando la propria disponibilità a vagliare la proposta.
22 dicembre 1921 – Il vescovo propone la somma di £ 255 annue per il canone enfiteutico.
6 gennaio 1922 – Il Commissario comunica al Vescovo la trasmissione della proposta di enfiteusi alla Commissione Provinciale di beneficenza.
8 gennaio 1922 – Il Vescovo ringrazia il Commissario per il suo interessamento.
9 febbraio 1922 – Il Commissario comunica al Vescovo il parere positivo della Commissione provinciale di beneficenza.
11 febbraio 1922 – Il Vescovo ringrazia proponendo al Commissario di inviare la minuta dell’atto enfiteutico per prenderne visione e fare eventuali modifiche.
21 febbraio 1922 – Il Commissario manda la minuta al Vescovo.
24 febbraio 1922 – Il Vescovo manda la minuta in segreto al Parroco Calleri di Scicli perché la faccia esaminare da un legale di fiducia.
7 marzo 1922 – Il Calleri si consulta a Palazzolo col Comm. Italia e propone alcune osservazioni. Il Vescovo le gira al Commissario.
14 marzo 1922 – Il Commissario rinvia al Vescovo la bozza dell’atto corretta con le sue osservazioni.
25 marzo 1922 – Il Vescovo fa esaminare il tutto al Can. Dell’Arte. Si fanno osservazioni sull’atto tra il Pisani e la Congregazione.
28 marzo 1922 – Il Vescovo chiede al Commissario ulteriori spiegazioni.
30 marzo 1922 – Il commissario ricostruisce al Vescovo il passaggio della Chiesa tra Congregazione, Frati, Opera pia e di nuovo Congregazione.
7 aprile 1922 – Il Vescovo risponde chiedendo di appurare se veramente è avvenuta la cessione del Municipio alla Congregazione di Carità per sapere la controparte dell’atto di enfiteusi chi deve essere.
11 aprile 1922 – Il Commissario invia al Vescovo copia della riconsegna della Chiesa dal Ricevitore del Registro alla Congregazione fatta in data 18 agosto 1874 su decreto del Ministro del 23 maggio 1874.
18 aprile 1922 – Il Vescovo risponde dubitando se legalmente si possa dire proprietaria la Congregazione della Carità oppure l’Ente Morale Maria SS.ma delle Milizie che la Congregazione di Carità aveva inglobato in sè.
24 aprile 1922 – Il Commissario risponde ricostruendo le vicende della chiesa e dell’eremo.
3 maggio 1922 – Il Vescovo scrive al Ministro delle Finanze per avere delucidazioni.
6 maggio 1922 – Il Commissario scrive al Vescovo pregandolo di voler concludere l’atto.
8 maggio 1922 – Il Vescovo risponde pregando di pazientare ancora un po’ per avere idee più chiare.
25 maggio 1922 – Il Ministro delle Finanze risponde al Vescovo assicurando che la Chiesa delle Milizie è veramente di proprietà della Congregazione di Carità di Scicli.
16 luglio 1922 – Il Vescovo riscrive al Ministero delle Finanze per un ulteriore dubbio.
23 agosto 1922 – Il Ministero risponde dicendo che le leggi eversive con cui si requisirono i beni ecclesiastici si applicarono alla situazione del momento: siccome già all’atto della requisizione l’eremo e la chiesa erano della Congregazione di  Carità, all’atto della riconsegna si restituirono alla detta Congregazione. E questo già indica un titolo di proprietà sufficiente.
Per comprendere tutto questo scambio epistolare dobbiamo riandare alla situazione storica dell’epoca: da un lato c’è un governo anticlericale a livello  nazionale, ma a tutti i livelli di governo e di istituzioni pubbliche massoni e anticlericali si accordano per demolire l’immagine spirituale della Chiesa Cattolica, nonché anche il suo patrimonio mobile e immobile. In questo contesto il Commissario della Congregazione della Carità era stato incaricato di vendere e lottizzare tutti i beni della Congregazione (la maggior parte ex beni ecclesiastici sottratti a diverse opere pie di Scicli). Però il  Commissario, lo si evince dalle lettere, è uno dei ferventi  cattolici rimasti e vorrebbe far di tutto per non far vendere la chiesa ai privati (lui già sapeva chi erano gli interessati all’acquisto) che l’avrebbero ridotta a magazzino. E cerca di   farlo intendere in tutti i modi al Vescovo, accettando tutte le clausole per l’enfiteusi (che sarebbe stata solo un atto formale per salvaguardare il   Santuario passandolo alla Curia) e pregandolo di accelerare i tempi perché lui non sarebbe stato Commissario ancora per molto c’era il rischio che un altro Commissario massone avrebbe preso il suo posto e venduto direttamente il santuario senza dir niente al Vescovo.
Ma Mons. Vizzini, era lui infatti il Vescovo dell’epoca, non comprende niente di tutto ciò, e invece mira a far invalidare il titolo di proprietà della Congregazione: un riconoscimento della proprietà non del Comune ma dello Stato ad esempio, per alcune clausole di leggi successive a quelle eversive, avrebbe portato poi alla richiesta da parte della Curia della chiesa delle Milizie a titolo gratuito, ad esempio per farne una parrocchia.
Per far ciò il Vizzini non esita a scrivere a Don Sturzo e a Paolo Orsi, interessandoli della vicenda: vedremo cosa si diranno.  
 
27 agosto 1922 – Cambia il commissario prefettizio alla presidenza della Congregazione di Carità di   Scicli. Il nuovo commissario scrive al vescovo chiedendogli se finalmente vuole firmare l’enfiteusi o quali difficoltà incontra per non firmare.
16 novembre 1922 – il vescovo Vizzini scrive a Don Sturzo:
<< Nelle vicinanze di Scicli, e precisamente nella collina che sovrasta il villaggio marittimo di Donnalucata esiste una chiesa dedicata alla Madonna delle Milizie, perché ricorda secondo la tradizione l’ultima battaglia battaglia combattuta dai Normanni contro i Mori. Accanto alla chiesa si costruì col tempo un convento, che ora è stato venduto a famiglie private.  Anche la chiesa  stava per avere la stessa sorte quando io fui richiesto per comperarla per il culto. Se non che la Congregazione di   Carità pretende di darmela in enfiteusi con un canone non leggero che non posso facilmente accollare ai miei successori.
Mi è venuto quindi in mente che si potrebbe far dichiarare monumento nazionale evitando così la trasformazione del sacro edificio e assicurandone anche la conservazione. Prima però di mandare l’istanza la prego di farmi conoscere se è possibile riuscirci. In attesa pertanto di un suo pregiato riscontro…>>
25 novembre 1922 – Don Sturzo risponde dalla sede del Partito Popolare Italiano a Roma: <<In merito alla lettera di V.E. del 17 c.m., devo comunicarti che per poter far dichiarare Monumento Nazionale la chiesa dedicata alla Madonna delle Milizie nelle vicinanze di Scicli, è necessario che detto tempio abbia un valore veramente storico. E’ quindi opportuno che V. E. mi faccia tenere qualche precisa notizia al riguardo. Mi permetto anzi di consigliarle di voler richiedere un rapporto artistico e storico all’illustre Prof. Orsi, ritenendo che il parere favorevole di una  personalità autorevole possa giovare efficacemente per il raggiungimento di quanto V.E. desidera. Voglia gradire intanto i miei devoti omaggi. Il Segretario politico Luigi  Sturzo>>.
3 dicembre 1922 – Mons. Vizzini chiede al Canonico Augi di Scicli di raccogliere notizie storiche per la presentazione della richiesta per elevare l’Eremo a monumento Nazionale.
Contemporaneamente scrive all’Orsi allora direttore del Museo Archeologico di Siracusa quasi con le stesse parole scritte a Sturzo.
9 dicembre 1922 – Paolo Orsi risponde al vescovo dal Regio Museo Archeologico di Siracusa di cui era Direttore: << Eccellenza, sopra  Santa Maria delle Milizie presso    Scicli si è formata una leggenda di una battaglia fra Normanni e Saraceni, leggenda che non ritengo abbia fondamento storico; forse si tratta di uno sbarco di barbareschi nel sec. XVI. Se fosse vera la leggenda della vittoria riportata dal Conte ruggero e della conseguente fondazione della chiesa avuta ad opera sua, si dovrebbe trovare nella chiesa qualche traccia normanna. Disgraziatamente nelle mie visite ripetute visite a Scicli non ho mai trovato un momento per visitare S. Maria d. Milizie, ciò che confido fare in una prossima occasione. Trattanto V.E. potrà consultare il  volumetto: B. SPADARO, Relazioni storiche della città di Scicli (Noto 1845) che certamente trovasi in codesta Comunale: è un libretto acritico ma ricco di notizie. Voglia in tale incontro gradito, Eccellenza, gli attestati del mio massimo rispetto. Dev.mo Paolo Orsi>>.
Ma stranamente, tutto si ferma e non si conclude nulla.
8 novembre 1923 – dopo più di un anno di silenzio il Commissario della Congregazione di Carità di Scicli riscrive a Mons. Vizzini per chiedergli se abbia ancora intenzione di firmare l’enfiteusi o vi rinuncia.
13 novembre 1923 – il vescovo fa rispondere che trovandosi fuori diocesi ne riparlerà al suo rientro.
14 gennaio 1924 – il commissario, non avendo avuto finora risposta, sollecita nuovamente il vescovo.
12 aprile 1924 – ancora silenzio da parte del vescovo e nuovo sollecito da parte della Congregazione di Carità.
14 aprile 1924 – Mons. Vizzini sollecita dalla Biblioteca di Noto il prestito di un libro sulla chiesa delle Milizie.
27 marzo 1925 – Dopo un altro anno di silenzio la Congregazione di Carità si rivolge al Parroco Zisa di Santa Maria la Piazza di Scicli per sapere che senso dare al silenzio del vescovo e gli rinvia tutto l’incartamento per l’enfiteusi tramite il Parroco Zisa.
31 marzo 1925 – il vescovo ordina di farne delle copie e rispedisce gli originali alla Congregazione tramite il parroco Zisa.
Le trattative si interrompono così nuovamente nel silenzio senza addivenire ad alcunché di fatto.

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Caterina63
00lunedì 5 gennaio 2015 11:36
  Nel Santuario della Quercia gli angeli dipinsero Maria
di Margherita Del Castillo03-01-2015
Il santuario di Santa Maria della Quercia a Viterbo

In origine doveva essere una semplice “chiesola con umile campanile”. Queste erano state le parole di Paolo II all’indomani del riconoscimento del culto dell’immagine della Vergine dipinta su una tegola romana ed appesa al ramo di una quercia. Era il 1467. Neanche una manciata di anni più tardi, considerata la crescente devozione e la significativa somma di denaro raccolta attraverso spontanee donazioni, il Santo Padre emanò una seconda bolla con la quale sancì che si erigesse “una chiesa consona alla grande divinità del luogo”.

Non si conosce il nome dell’architetto del santuario di Santa Mariadella Quercia a Viterbo. Tra le ipotesi avanzate che hanno chiamato in causa, di volta in volta, un anonimo frate domenicano piuttosto che il celebre Donato Bramante, quella più accreditata attribuisce l’idea originaria a Giuliano da Sangallo. Presso la Galleria degli Uffizi di Firenze si conservano copie di suoi due disegni eseguiti dal nipote, Antonio da Sangallo il Giovane, che illustrano il progetto architettonico. Quest’ultimo fu generalmente rispettato dalle maestranze che diedero avvio alla costruzione. La facciata è preceduta da una scalinata e fiancheggiata da una robusta torre campanaria. I conci lisci del bugnato di peperino grigio sono ingentiliti dalle lunette, bianche azzurre, della terracotta invetriata di Andrea della Robbia che sovrastano i portali di accesso. Esse celebrano la Madonna affiancata dai principali Santi Domenicani. Nel rilievo del timpano i rami di una quercia proteggono due leoni, simbolo della città di Viterbo. 

Lo spazio interno è diviso in tre navate da colonne monolitiche sormontate da bellissimi capitelli. Ilgrandioso soffitto a cassettoni fu commissionato ad Antonio da Sangallo il Giovane e ricoperto interamente dell’oro zecchino donato da Carlo, imperatore di Spagna, a Paolo III, il cui stemma compare tra i cassettoni in posizione simmetrica a quello che ospita l’effigie della Madonna. All’incrocio dei bracci della croce si innalza la cupola sotto la quale il tempietto in marmo di Carrara , realizzato dallo scultore Andrea Bregno sul finire del XV secolo, custodisce la sacra immagine. Quest’ultima è attribuita ad un certo maestro Monetto che la realizzò, all’inizio del Quattrocento, su incarico di un privato cittadino per la sua personale devozione.

La pittura a tempera mostra Maria, dal dolcissimo sguardo, con in braccio il Figlio Gesù che tiene nella mano destra una rondinella. La leggenda vuole che mastro Monetto si addormentò mentre stava dipingendo il volto di Maria, sognando che angeli avrebbero terminato il dipinto. Al suo risveglio trovò, infatti, il quadro completato.  La tegola dipinta, dapprima appesa a una quercia per proteggere il terreno da furti e calamità, divenne protagonista di una serie di episodi miracolosi. Il santuario che le venne costruito intorno fu consacrato solennemente nel 1577, anno in cui la Madonna della Quercia fu proclamata ufficialmente co-patrona di Viterbo. La sacra immagine venne incoronata da San Giovanni Paolo II il 27 maggio 1984.






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