L'altro braccio è allungato dall'aiutante; gli stessi gesti si ripetono e gli stessi dolori. Ma questa volta - pensateci - Egli sa ciò che l'attende. Ora è inchiodato sul patibulum, a cui aderisce perfettamente con le spalle e le braccia. Ha già forma di croce: quanto e grande!
«Andiamo, in piedi!». Il carnefice ed il suo aiutante impugnano le estremità della trave e rialzano il condannato. dapprima seduto e poi in piedi; quindi facendolo camminare all'indietro, lo addossano al palo verticale. Ma questo avviene esercitando trazione sulle due mani inchiodate. Con un grande sforzo, a braccia tese (ma Io stipes non è molto alto), rapidamente, perché è molto pesante, essi incastrano con abile gesto il patibulum all'alto dello stipes. Alla sua sommità, con alcuni chiodi, è fissato il titulus scritto in tre lingue. Il corpo, stirando le braccia, che si allungano obliquamente, è un po' disceso. Le spalle ferite dalle fustigazioni e dal trasporto della croce, hanno strisciato dolorosamente sul legno ruvido. La nuca, che sovrasta il patibulum, l'ha urtato passando, per arrestarsi in corrispondenza della sommità del palo verticale. Le punte taglienti del grande cappello di spine hanno lacerato ancor più profondamente il cranio. La povera testa è inclinata in avanti, poiché lo spessore della corona le impedisce di riposare sul legno ; ed ogni volta che Egli la solleva, ne risveglia le punture.
Il corpo appeso è sostenuto soltanto dai chiodi piantati nei due carpi. E potrebbe bastare. Esso non cade in avanti. Ma è regola inchiodare anche i piedi. Per questo, non c'è bisogno di mensola ; basta piegare le ginocchia e stendere i piedi a piatto sul legno dello stipes. Perché, dal momento che non è necessario, dare lavoro ad un falegname? Non certo per alleviare le pene del crocifisso. Il piede sinistro è messo a piatto sulla croce e con un solo colpo di martello il chiodo penetra nella sua parte di mezzo, tra il secondo ed il terzo osso metatarsale. L'aiutante piega anche l'altro ginocchio ed il carnefice, riportando il piede sinistro davanti al destro tenuto piatto dall'aiutante, con un secondo colpo perfora questo piede nello stesso punto. Quest'operazione è facile; e poi a grandi colpi il chiodo è spinto nel legno. Qui, grazie a Dio, nulla più di un banale dolore ; ma il supplizio ha appena avuto inizio. Con due uomini, tutto il lavoro non è durato più di due minuti e le ferite hanno sanguinato pochissimo. Ci si affacenda allora attorno ai due ladroni ; e i tre patiboli sono approntati di fronte alla città deicida.
Non ascoltiamo tutti questi Giudei trionfanti che insultano il Suo dolore. Egli ha già perdonato « poiché non •sanno quel che si fanno ». Gesù a tutta prima si è accasciato. Dopo tante torture, per un corpo sfinito questa immobilità costituisce quasi un riposo, coincidendo con una diminuzione della sua capacità vitale. Ma Egli ha sete. Oh ! non l'ha ancora detto. Prima di distendersi sulla croce ha rifiutato la pozione analgesica, vino mescolato con mirra e fiele, che preparano le pie donne di Gerusalemme. La Sua sofferenza, la vuole completa; sa che la dominerà. Ha sete. Sì, « la mia lingua ha aderito al mio palato - Salmo XXI, 6). Non ha bevuto nulla ne mangiato da ieri sera. E' mezzogiorno. Il sudore del Getsemani, tutte le fatiche, la grave emorragia al Pretorio e quelle successive ed anche un po' di questo sangue che esce dalle piaghe, Gli hanno sottratto una gran parte della Sua massa sanguigna. Ha sete. I lineamenti sono tirati, il volto pallido è solcato di sangue che si coagula dappertutto. La bocca è semiaperta ed il labbro inferiore già comincia a pendere. Un filo di saliva scende dalla barba, mescolato al sangue che esce dal naso schiacciato. La gola è secca ed infuocata, ma Egli non può deglutire. Ha sete. In questo volto tumefatto, sanguinante e deformato, come sì potrebbe riconoscere il più bello dei figli degli uomini? (Salmo XXI, 6).
Sarebbe spaventoso, se non Vi si vedesse, malgrado tutto, risplendere la serena maestà del Dio che vuoi salvare i Suoi fratelli. Ha sete. E tra poco lo dirà, perché si adempiano le Scritture. Ed uno stupido soldato, nascondendo la sua compassione sotto lo scherno, Gli tenderà sulla punta d'una canna una spugna imbevuta nella sua acidula « posca » (« acetum » dicono i Vangeli).
Ne berrà anche solo una goccia? Si è detto che il fatto di bere determina in questi poveri suppliziati una sincope mortale. Come, dopo aver bevuto, potrà dunque parlare ancora due o tre volte? No, no : morirà alla Sua ora. Ha sete,
E tutto è appena incominciato. Ma dopo un attimo uno strano fenomeno si produce. I muscoli delle braccia si irrigidiscono spontaneamente, in una contrattura che andrà accentuandosi : i deltoidi, i bicipiti sono tesi e rilevati, le dita si incurvano. Si tratta di crampi!
Tutti, poco o tanto, abbiamo sofferto questo dolore, progressivo ed acuto, in un polpaccio, tra due coste, un po' dappertutto. Bisogna distendere, allungandolo, questo muscolo contratto. Ma guardiamo! Ecco, ora, alle coscie ed alle gambe gli stessi rilievi mostruosi rigidi e le dita dei piedi che s'incurvano. Si direbbe un ferito colpito da tetano, in preda a quelle orribili crisi che non si possono dimenticare. E' ciò che noi chiamiamo tetania, quando i crampi si generalizzano : ed ecco che questo avviene. I muscoli dell'addome si irrigidiscono in onde immobili ; poi quelli intercostali, quelli del collo e quelli respiratori. Il respiro si è fatto a poco a poco più corto e superficiale. Le coste, già sollevate per la trazione delle braccia, si sono ancora più sopraelevate; l'epigastrio si incava ed anche le infossature al di sopra delle clavlcole. L'aria entra fischiando ma non riesce quasi ad uscire. Egli respira con l'apice dei polmoni, inspira un po' ma non può più espirare. Ha sete d'aria ; come un enfisematoso in piena crisi d'asma: il suo volto pallido a poco a poco diventa rosso, poi passa al violetto purpureo e poi al cianotico. Colpito da asfissia, soffoca. I polmoni gonfi d'aria non possono più svuotarsi. La fronte è coperta di sudore^ gli occhi escono fuori dell'orbita. Quale atroce dolore deve martellare il suo cranio! Sta per morire! Ebbene, tanto meglio. Non ha dunque sofferto abbastanza?
No, la Sua ora non è ancora giunta.
Nè la sete, nè l'emorragia, nè l'asfissia, nè il dolore avranno ragione di Dio Salvatore e, se muore con questi sintomi, morirà veramente solo perché lo vuole, « avendo il potere di deporre la Sua vita e di riprenderla. - S. agostino^ Trattato sui Salmi. Salmo 63, vers. 3). Ed è così che risusciterà!
Che cosa avviene? Lentamente con uno sforzo sovrumano, ha preso punto d'appoggio sul chiodo dei piedi, sì, sulle Sue piaghe. Il collo dei piedi e le ginocchia si distendono a poco a poco ed il corpo, a piccoli colpi, risale alleggerendo la trazione sulle braccia (questa trazione, che era superiore ai novanta chili su ciascuna mano). Allora ecco che spontaneamente il fenomeno diminuisce, regredisce la tetania, i muscoli si distendono, almeno quelli del torace. La respirazione diventa più ampia e profonda, i polmoni si svuotano e ben presto il volto ha ripreso il suo primitivo pallore.
Perché tutto questo sforzo? Perché vuole parlarci: «Padre, perdona loro - Luca, 23, 34). Oh! sì, che Egli ci perdoni, noi che siamo i Suoi carnefici. Ma dopo un istante, il Corpo incomincia a riafflosciarsi e la tetania riprenderà. Ed ogni volta che parlerà (e sono state tramandate almeno sette delle Sue frasi), ogni volta che vorrà respirare, dovrà risollevarsi per ritrovare il respiro, tenendosi ritto sul chiodo dei piedi. Ed ogni movimento si ripercuote nelle Sue mani, in indicibili dolori. L'asfissia periodica dell'infelice che viene strozzato ed a cui si lascia riprender vita per soffocarlo più volte. A questa asfissia, Egli non può sfuggire per un istante, se non a prezzo di sofferenze atroci e con un atto di volontà. E questo durerà tre ore!