La Regola di san Benedetto (appunti di spiritualità Benedettina)

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Caterina63
00giovedì 21 maggio 2009 18:32
Appunti di spiritualità benedettina

La sofferta ricerca dell'abate ideale



Josep M. Soler
Abate di Montserrat


La Regola di San Benedetto, nel capitolo 2, 33-40, richiama l'abate alla grande responsabilità della sua missione. E per farlo il santo legislatore ricorda all'abate che "anzitutto non trascuri né sottovaluti la salvezza delle anime a lui affidate", e per ciò "non dia troppa importanza alle cose transitorie, terrene e caduche", inclusa la preoccupazione per l'economia del monastero. Il compito più importante dell'abate è il suo contributo al progresso spirituale dei monaci; il testo ne parla in termini di "salvezza" e dell'incarico "di guidare delle anime". Viene a lui affidata, dunque, la responsabilità principale sulla fedeltà della comunità e d'ognuno dei suoi membri al Vangelo e alla Regola.

Così vediamo, insieme a tanti altri passi della Regola, che l'abate a cui pensa san Benedetto si trova molto più vicino all'abate padre-spirituale della tradizione monastica antica anziché alla figura del paterfamilias che la restaurazione romantica dei secoli xix e xx le aveva attribuito. L'abate deve significare la presenza di Cristo in mezzo alla comunità (cfr. Regula Sancti Benedicti, 2, 2.4-5) testimoniando allo stesso tempo la sua bontà e le sue esigenze. È chiaro che questo richiede, da parte dell'abate, una profondità spirituale e una capacità di sintonia molto grande. Deve aiutare i monaci nel suo itinerario verso "la salvezza", verso Dio, e, dunque, deve vegliare per la loro guarigione e la loro salute spirituali applicando, ogni volta che ce ne sia bisogno, le terapie opportune con la saggezza di un buon medico spirituale (cfr. Regula Sancti Benedicti, 27, 2).

Questo deve farlo a un duplice livello. Da un lato, a livello comunitario, su tutto quanto fa riferimento alla vita collettiva; dall'altro, al livello personale, concreto d'ogni monaco. Questo, evidentemente, richiede la collaborazione dell'interessato, visto che per poter compiere questa missione a lui affidata con tanta premura e con tanta gravità, occorre l'apertura sincera dei monaci. Per ciò dall'inizio del capitolo 2 della Regola, san Benedetto si richiama all'importanza della fede per vivere questo rapporto, quando afferma che "si crede infatti che egli (l'abate) sia nel monastero il rappresentante di Cristo" nella sua missione; è di Cristo una mediazione umana, certo, non un oracolo infallibile. Nella missione di accompagnare la comunità verso la salvezza, l'abate non è solo; su questo punto è molto apprezzato l'aiuto dei collaboratori e dei consigli istituiti, tanto più quando questo aiuto si vive non soltanto nella comunione effettiva ma anche affettiva.
 
C'è, però, il pericolo di pensare che bisogna aspettarsi d'avere un abate ideale, o secondo il proprio modello, per trovare il momento d'aprirsi a lui. Nel frattempo - sia con scusa dei difetti o anche per il fatto di non voler disturbare o dare troppe preoccupazioni - si può trascorrere la vita senza che l'abate possa aiutare nel processo di crescita spirituale e, se ce n'è bisogno, di guarigione interiore. È questo un aspetto molto importante della spiritualità benedettina; senza dimenticare, però, che la stessa Regola prevede che si può trovare anche discernimento e guida in altri monaci "spirituali" che vivono in sincera comunione con l'abate.

Comunque, questo non toglie la responsabilità ultima che san Benedetto conferisce all'abate:  "L'abate sappia bene che qual è il numero dei fratelli affidati alla sua guida, di tante anime nel giorno del giudizio deve rendere conto al Signore, compresa, naturalmente, la sua". Per questo, mentre porta nella sua preghiera (cfr. Regula Sancti Benedicti, 49, 8) tutti i monaci a lui affidati (cfr. Regula Sancti Benedicti, 2, 33; 63, 2) anche lui ha bisogno della preghiera di tutta la comunità per il buon esercizio della sua missione.
 
È ovvio che gli abati ideali non esistono. Ma, come dice la tradizione dei Padri, se uno si apre umilmente al padre spirituale, per imperfetto e limitato che questo sia, Dio lo guida e lo benedice. Evidentemente, l'abate non è un essere perfetto, e questo lo dice chiaramente la Regola. Lui stesso costata i suoi limiti, i suoi errori e il suo peccato; vede bene l'itinerario spirituale che ancora deve percorrere.

L'abate vive la lotta della fede con gli sbalzamenti che essa comporta; come tutti, deve affrontare momenti di stanchezza, d'incertezza, di solitudine, di scoraggiamento; alle volte sperimenta come è difficile "porsi a servizio dei diversi temperamenti" (cfr. Regula Sancti Benedicti, 2, 31) e creare, nel dialogo personale con i monaci, un clima che renda più facile l'apertura del cuore. Di fronte a tutto questo, però, è incoraggiante e motivo di consolazione il versetto finale del capitolo 2:  "E mentre con i suoi ammonimenti provvede alla correzione altrui, (l'abate) si va lui stesso correggendo dai suoi difetti".

San Benedetto è ben consapevole del peso arduo, e allo stesso tempo pieno di sfide stimolanti - se si vive con fede - che deposita sulle spalle dell'abate, e per questo motivo parla in un altro momento su come i monaci devono tentare di rendere più facile e anzi gioioso (cfr. Regula Sancti Benedicti, 5, 14) l'esercizio della sua missione. Ancora, nel capitolo 72 chiede di amare l'abate "con affetto sincero e umile", come espressione concreta dei rapporti fraterni fondati nella sincerità dell'amore di carità e del vivere sul serio i gradini dell'umiltà (cfr. Regula Sancti Benedicti, 7). L'abate deve anche amare profondamente ognuno dei monaci; la tradizione liturgica arriva a usare il simbolismo sponsale per esprimere fino a che punto l'abate deve essere pieno d'amore fraterno verso la comunità, visto che non si trova al di sopra di essa, ma al centro della comunione fraterna che cerca di vivere nell'umiltà e nella purezza di cuore.



(©L'Osservatore Romano - 21 maggio 2009)
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