La grave situazione della Chiesa in Austria (riflessioni dal blog papalepapale.com)

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Caterina63
00venerdì 2 settembre 2011 20:05
[SM=g1740733]Vi forniamo tre interessanti riflessioni sulla situazione, disastrosa, della Chiesa in Austria.... sottolineando che NON vogliamo giungere ad alcuna conclusione, ma soltanto rendere palese una situazione che ha sforato davvero il limite del sopportabile....

Un grazie al sito PAPALEPAPALE.COM


Autopsia della Chiesa austriaca (Parte 1)

lug 9, 2011 by

 

 AUTOPSIA DELLA CHIESA AUSTRIACA 1

(…per tacer delle altre)

 

QUANDO SI SMETTE DI VIVERE COME SI PENSA

E SI FINISCE COL PENSARE COSÌ COME S’È VISSUTO

 Se il carnevale si sostituisce alla quaresima. Clero che “pretende” sempre ma non dà mai. Democrazia in nome del “popolo”: “ignorante e che non capisce”. Clericalismo: la fase terminale della metastasi progressista. La Gran Morta: bellissima fuori e marcia dentro: l’Austria.

 

(prima parte)

 

La sola riforma di cui abbisogna la chiesa in quelle terre è la riforma delle vite corrotte del clero. Dopodichè, avendo riformato le loro vite scandalose, si renderebbero conto che avrebbero riformato anche la chiesa, e che non c’è niente altro da riformare se non nel senso di ricapitolare ciò che si è dimenticato, ripristinare ciò che si è distutto, ricostruire certosinamente l’Edificio Santo, che nella furia iconoclasta della tentazione demoniaca, è stato grossolanamente decostruito

 

 

di Antonio Margheriti Mastino

 

SE IL CARNEVALE SI SOSTITUISCE ALLA QUARESIMA

In Austria non è più una fase. Non è più manco carnevale. Se dura, come dura, da ormai 50 anni buoni: il gioco è bello finchè dura poco. Non è più questione di ricreazione e di un giorno di mondo alla rovescia. Ma di carnevale che si è allargato e sostituito alla quaresima prima e alla stessa pasqua poi. Non passerà.

Non serve neppure più fare l’elenco ricchissimo degli scherzi da prete in questa apocalittica infinita ricreazione. Ormai non se ne viene più a capo. Diciamo solo le ultime in ordine di tempo: un sondaggio dice che l’80% del clero austriaco è per l’abolizione del celibato, oltre il 60% “non si sente allineato con Roma” su questioni di fede e pastorali; adesso pare che un certo prete Helmut Schuller, capo dell’ennesimo movimento noisiamochiesa style, “Iniziativa Parroci”, abbia raccolto 250 firme di pretame austriaco favorevole al sacerdozio delle donne. Si aggiungono le varie lagne canoniche del progressista medio europeo: la chiesa che deve “allinearsi di più al mondo” (dopodichè non la si riuscirebbe a distinguere da un qualsiasi ente no-profit dell’Unione Europea), una maggiore “formazione umana” dei seminaristi qualunque cosa voglia dire, e bla bla bla fino al colpo scuro finale: “Il Vaticano non può imporre le proprie convinzioni ai preti austriaci”.

Ci siamo: una provocazione aperta a Roma, che sotto le righe dice: lo scisma c’è, noi siamo noi e voi siete voi, che Roma ratifichi questo fatto compiuto. Praticamente, aspettano che la Santa Sede faccia la mossa ufficiale, perchè loro possano rendere effettivo e formale lo strappo imputandolo poi alla solita Roma, “corrotta” per Lutero (il capostipite) e “bigotta” per i suoi successori, non a caso teutonici entrambi. Attendono il casus belli famigerato. Siamo ben oltre il gallicanesimo storico. Cose che confrontate alle pignolerie dei lefebvriani che passano per “disubbidienze”, queste ultime fanno sorridere di tenerezza.

Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà.

Lo scisma c’è. Dovrei a questo punto ammettere l’evidenza: la chiesa cattolica romana non esiste più in Austria (citiamo solo questa, per tacer delle altre colleghe nordiche). Esiste ormai uno scisma che non è solo latente ma è anche conclamato, teorico e di fatto: manca solo la presa d’atto da parte di Roma. Così direi, se non fossi anche convinto che quella chiesa è presa in ostaggio da una elite, da un gruppo di ideologizzati furiosi, superstiti ed epigoni del progressismo più pazzo e sinistro d’Europa reduce dagli anni ’70, una minoranza di pretame e vescovame, e talora laicame clericalizzato, che tanto è “democratico” da ignorare l’intero popolo fedele. Ma infatti: dove sono queste quadrate legioni di tanto declamato “popolo di Dio”? Boh… qui si vedono solo un par de centinaia di gatti spelacchiati e soffianti.

 

PRETI CHE PRETENDONO SEMPRE MA NON DANNO MAI

Dicono: “I vertici della chiesa devono agire in fretta, perché la maggioranza dei parroci chiede riforme”.

Preti che pretendono, chiedono, reclamano. Ma giacchè il mondo è un dare e avere, è diritti e doveri, cosa hanno dato loro per pretendere qualcosa in cambio? Se dovessimo fare il conto delle uniche cose che avrebbero dovuto rettamente dare, avremmo soltanto un referto autoptico: crollo di matrimoni religiosi, crollo di battesimi, non parliamo delle cresime, vocazione vicine allo zero e se ce n’è ancora qualcuna se ne guarda bene dall’affidarsi ai lupanari dei seminari austriaci; e poi, abbandono in massa di messe diventate o circhi equestri o squallide riunioni di condomini di periferia disagiata, nessun sacrilegio risparmiato, dalle cattedre ai pulpiti (quando non li hanno mandati in frantumi) ai media tutto un certosino logorroico lavorio per demolire almeno due dogmi per volta, profanare le immagini e le cose più sante e venerabili; preti che in buona parte sono una manica di porci e sessuomani, che hanno fatto delle sacrestie case di appuntamento, molti dei quali in ufficiale concubinaggio con le loro sgualdrine. Questo, fin qui è quel che hanno dato: scandalo!

E con tutto questo curriculum vitae da casa chiusa, da prostitute del demonio pretendono “riforme”, anzi “di spingere le riforme sempre più in là, pena l’abbandono in massa della chiesa”. Più in là dove? Che c’è “più in là” di questo bordello? Soprattutto: che significa? Si pretende che il papa ratifichi la loro sporcizia morale dinanzi al fatto compiuto? E se il papa ratificasse, purificando e santificando il loro sacrilegio, apostasia, il loro meretricio, questo, tutto questo, avendo finalmente “spinto più in là le riforme”, questo riempirebbe le chiese che del resto loro stessi hanno svuotato?

Ma si sono mai veramente domandati perchè i fedeli in Austria hanno abbandonato le chiese? Perchè Roma è sempre quel che è stata sulla dottrina o perchè questi parroci son diventati ciò che hanno voluto? La cosa strana in Austria non è che un cattolico non vada in chiesa: strano sarebbe se ci andasse. Visto che in questa pretaglia e vescovaglia andava tanto di moda l’autoanalisi, l’autocoscienza, la psicoanalisi, il sociologismo, e tutti gli altri feticci della rivoluzione sessantottina, dovrebbero capire da soli che la chiesa austriaca l’hanno distrutta con le loro stesse mani, loro, i progressisti, con le false teorie, la scarsa fede, la menzogna mescolata alla verità, il cattivo esempio morale, il loro abbandono della pietà e della preghiera, il Depositum ridotto a opinione mondana. Non il papa, non la dottrina che è immutabile da sempre e non ha mai distrutto nessuno, non i tradizionalisti. Loro: ossia quelli che oggi reclamano “riforme”, come dire la soluzione finale d’una overdose nelle vene del relitto a cui è ridotta quella antica trionfante chiesa. Non sai se è più una richiesta di esperimenti su un moribondo o una vera proposta di eutanasia.

Aveva maledettamente ragione Gomez Davila, non mi stanco mai di ripeterlo: “O si vive come si pensa, o si finisce col pensare come si è vissuto”. E’ questo, giunti a tal punto di indecenza, che non vogliono capire. Che la sola riforma di cui abbisogna la chiesa in quelle terre è la riforma delle loro vite corrotte, e la vita corrotta corrompe la mente e il cuore. Dopodichè, avendo riformato le loro vite scandalose si renderebbero conto che avrebbero riformato anche la chiesa, con la santità dell’esempio, e che non c’è niente altro da riformare se non nel senso di ricapitolare ciò che si è dimenticato, ripristinare ciò che si è distutto, ricostruire certosinamente l’Edificio Santo, che nella tentazione demoniaca con la sua furia iconoclasta, è stato grossolanamente decostruito.

 

DEMOCRAZIA IN NOME DEL POPOLO. “IGNORANTE” E CHE “NON CAPISCE”

La maggioranza dei parroci chiede riforme”. Come la chiesa fosse roba loro. Già: i soliti “democratici”. E questi “democratici” a nome di chi parlano? Qualcuno del tanto declamato “popolo di Dio”, gli ha domandato nulla in proposito? E anzi, la domanda giusta è: hanno mai interpellato qualcuno? Tutto ci fa concludere, dall’arroganza e dalla spocchia delle loro pretese, che è la solita roba di elitari, quelli per cui basta mettere insieme due vecchi tromboni di cattedratici teologici, qualche burocrate delle opulente curie teutoniche, qualche corporato delle sacrestie che sta nel giro, qualche pretone o fratacchione istrionico completamente mondanizzato, laicizzato persino nello stile (ed è lecito supporre, anzi è una certezza, abbastanza sporcaccione), per dire: Noi siamo chiesa! No, voi non siete una amata mazza! Ricordano certi tromboni del concilio e postconcilio che volendo riformare tutto demolirono tutto per una maggiore “democrazia” nella chiesa: poi scoprivi che erano i soggetti con le fisime più intellettualoidi ed elitarie che quelle “riforme” le calarono dall’alto in testa al popolo fedele senza averlo mai ascoltato. Sempre in nome della “democrazia”. Non solo non lo ascoltavano il popolo del quale si riempivano la bocca, ma a giudicare dalle giustificanti addotte alla loro frenesia “riformista”, non lo conoscevano neppure, e ne provavano intimamente ribrezzo. Tutto fu ridotto al puro squallore, nella certezza che quel popolo fedele (che aveva con le sue mani callose costruito cattedrali e santuari, aveva decorato di splendore l’intero Occidente cattolico) fosse così ignorante, semplicione, sguaiato da non saperla apprezzare la bellezza; che tanto era la dabbenaggine plebea che non potevano rettamente intendere il senso del Mistero nel culto; il latino poi… non parliamone: sicuro che il “popolo” non poteva “capire”, non aveva studiato abbastanza, era “ignorante”, tanto valeva inserire il “volgare”, “volgare” almeno quanto questo “popolo”. Millenni di storia cristiana che dicevano il contrario a proposito della capacità di intendere e volere del “popolo” fedele, e cioè che intendeva e capiva benissimo. Prima di tutto perchè non era fatto di cretini, secondo perchè oltre il cervello utilizzava anche il cuore, e infine perchè erano educati alle cose sante da preti e famiglie veramente cristiani, Ma questo, tutto questo non contò niente ai loro occhi. Il popolo se era davvero popolo, doveva essere per forza “ignorante” e non poteva “capire”. Il trionfo della spocchia liberal-intellettualoide, in tempi di smanettamenti esistenzialisti sempre sull’orlo del suicidio un po’ perchè erano alla moda, un po’ perchè la passione per la vita che il dogma di Sartre aveva squalificato a “passione inutile”, era la passione più tenace del “popolo ignorante”, e che, offendendo il senso estetico dei “sapienti”, si ostinava a voler vivere: una ragione in più per disprezzarlo. Sembrano elucubrazioni: ma la psiche malata dei menagrami sussiegosi dell’epoca era questa. Demenza pura.

Così, perchè il popolo troglodita finalmente “capisse”, pensarono bene di demolire la bellezza, la lingua sacra, la liturgia e con esse il Mistero. Qualcuno ci capì qualcosa dopotutto? Manco per niente. Si lasciò il latino, si sputò sul catechismo di sempre e di Pio X, e si iniziò con le fumisterie sul sesso degli angeli, con le astrazioni para-filosofiche, para-teologiche, para-cattoliche, para-psicologiste. Per la prima volta il popolo fedele non fu mai tanto confuso. Per la prima volta nella storia della sua chiesa davvero non capì di che cosa si parlasse: era stato privato del Mistero e insultato col misterioso. La Madre parlava una lingua questa volta davvero oscura e diversa da quella dei suoi figli. Era stato tagliato fuori con disprezzo dalla Casa del Padre. Come ogni rivoluzione: parte in nome del popolo e poi si conclude sulle teste del popolo. Tutto questo in nome della “democrazia”, sempre lei.

 

CLERICALISMO: LA FASE TERMINALE DELLA METASTASI PROGRESSISTA

La maggioranza dei parroci chiede riforme”. Riflettiamoci ancora su questa dichiarazione. Sono partiti con lo striscione del popolo di Dio che “vuole riforme”, poi hanno cominciato a dire “noi chiesa” vogliamo riforme, adesso si son ridotti a un par di centinaio di preti che vogliono “riforme”. Alle solite: si parte dalla democrazia, si giunge all’oligarchia, ci si riduce infine al dispotismo di uno solo. O più semplicemente: farebbero ridere a parlare di “popolo” questa, dal momento che dietro non hanno più alcun popolo: se lo sono perso per strada grazie alla loro dissennatezza, o forse non lo hanno mai avuto al seguito. E se per assurdo ce lo avessero ancora dietro, ne proverebbero repulsione, e comunque sia (sempre in nome della “democrazia”) ciò che va bene a loro “va bene” per tutti. E allora tanto meglio pensare alla propria pancia, e soprattutto al basso ventre.

Guardate, il destino di questa gente è strano proprio: partono da preti contestatori, annunciano il rompete le righe, la “libertà” del clero e per tutti, la “condivisione”, e poi il risultato ultimo che sempre si può osservare nella fase terminale della metastasi progressista è il più bieco, torvo, tirannico clericalismo. Clericalismo puro. E duro: aggressivo, violento, ricattatore, punitivo, che non tollera alcuna defezione, nessuna opinione contraria, che bistratta con una furia selvaggia, che lascia tuttora attoniti, chi non la pensi come loro, il tradizionalista certo, ma soprattutto chi pretende (pochi) di essere ancora cattolico così come si è cattolici. Non è neppure un caso che la nuova e giovane generazione di cattolici ortodossi, tradizionalisti, conservatori, sia laici che preti, sono fondamentalmente degli anticlericali. Perchè rifiutano il lato peggiore del “clericalismo”, e nel clericalismo progressista c’è solo quello peggiore: sinistro e asfittico.

I gruppi di laici poi, che in genere discendono sempre da uno (qui pure: gestito da intellettualoidi della magnagrecia), ovverosia da “Noi Siamo Chiesa”, hanno gli stessi tic del loro compagni di merende consacrati, proprio per questo sono assolutamente clericalizzati. Un sol corpo: tirannici e prepotenti entrambi, ora tiranneggia (col ricatto in genere) l’uno sull’altro e ora viceversa, e tutti e due, benchè si riducano a un numero assai esiguo di residuati di ex sacrestie, o meglio di sale-riunioni di sacrestie, tiranneggiano su tutti gli altri.

Ha scritto saggiamente Vittorio Messori di queste dinamiche, che sono alla base dell’equivoco più disastroso del postconcilio: “Non preoccuparsi del fondamento, cioè, della fede, ma della istituzione clericale, alla ricerca ossessiva di strutture democratiche, egualitarie, aperte, liberanti, nondiscriminanti, dialoganti. Ciò che interessava era la carrozzeria ecclesiale, non il motore che tutto muoveva, erano i mezzi e non il fine, non era la fede ma le conseguenze sociali e politiche da trarne. E, per l’utopia delirante, nessuna riforma era mai sufficiente, c’era sempre uno più sognatore degli altri per annunciare Città del Sole sulle quali splendesse ancora più gloriosa la luce dell’eguaglianza e dell’impegno radicali. Impegno inteso come liberazione non dal peccato individuale, bensì da quello sociale, da quello portato dalle sovrastrutture politiche ed economiche dei nuovi Grandi Satana: dal capitalismo alle multinazionali, dai fascisti ai borghesi. Si dicevano, e in buona fede ci credevano, cristiani ma gridavano come se Gesù non ci avesse ammoniti che ogni male non proviene da fuori ma dall’interno dell’uomo; come se il compito del credente nel Vangelo non fosse innanzitutto l’impegno contro il peccato che è in lui, condizione indispensabile per tentare di costruire una società migliore, per quanto quaggiù è possibile

 

LA GRAN MORTA. BELLISSIMA FUORI E MARCIA DENTRO: L’AUSTRIA

Veramente, tentare di abbozzare un referto autoptico, manco più una prognosi riservata, ma autopsia, del corpo dilaniato della chiesa austiaca, fa mettere le mani nei capelli. Da dove cominci? Qual è la testa, il piede, la mano, il fegato, la pancia? Una macelleria umana e morale, un cadavere sventrato, squartato, in fermentazione cadaverica, dai miasmi nauseabondi, sinistro. Niente è più vicino all’immagine trasfigurata e ributtante del solo Regista che ispira questa messinscena macabra: Lui, l’ispiratore di ogni oscenità, dell’incesto e della calunnia, il patrono del sacrilegio, il corruttore della giustizia, l’usurpatore della giovinezza, il ladro della vita, così lo descrive l’Esorcismo Maggiore di Leone XIII.

Le ragioni di questo scempio sono tante, talune antiche: possiamo cercare solo di elencarne di sfuggita alcune.

Anzitutto la grande storia dell’Austria confrontata alla non-storia di oggi. Alla testa di un impero glorioso e mirabile, onnipotente, artefice e signora della storia degli ultimi due secoli dal ’700 sino all’Anschluss, e in fondo anche dopo dal momento che il Fuhrer era austriaco, d’improvviso si ritrova ad essere un moncone, una testa alla quale è stato asportato il corpaccione. Nulla. Metafisica. Fluttua solitaria in una storia senza più storia. L’Austria non è più niente. Non esiste come dimensione culturale e politica autonoma. E’ solo una nota a margine della Germania, un cuscinetto geografico che serve a separare i diversi stati dell’ex impero austro-ungarico, morto e sepolto da un secolo. Chi è andato in giro per Vienna ha notato la schizofrenia di questo scenario metafisico: miriadi di palazzi fra i più belli e sontuosi del mondo, spendori architettonici all’altezza della magnificenza di quell’impero magno, vuoti, completamente svuotati, chiusi, taluni ridotti a musei, ambasciate, a nulla. Priva ormai di qualsiasi ruolo, forza, influenza politica, senza più nulla da dire e da fare . Il corpo bellissimo di una morta nel fior della sua giovinezza. Morta di morte tragica, dopo lunga e dolorosa agonia. Il dramma dell’Austria parte da qui. Persino certi eccessi politici, fatti passare per “destra xenofoba”, come il fenomeno dell’haiderismo, non hanno spaventato nessuno, se non qualche moralista scandalizzato di professione, e sono precipitati subito nello zoo del folklore, in “colore”, e alla fine la favola nera di Haider l’austriaco ha avuto una conclusione, una morale all’austriaca: immorale, morto com’è morto fra alcool, orge e sodomia, cose tutte che si era caricato nella macchina che l’ha schiantato.

E infatti, un frequentatore abituale dell’Austria su questo paese ha detto qualcosa che suona apocalittico: “La sensazione che ho avuto sin dall’inizio, e poi la certezza che ho acquisito nelle successive visite in Austria è quella di un paese profondamente marcio, ma marcio dentro, marcito, putrefatto, gonfio di miasmi morali velenosi”. La Gran Morta bellissima e giovane fuori, è marcia e putrida dentro. Inutile e dannosa al contempo.

In questa capitale svuotata, in questa nazione senza più storia, si aggiunge un dramma che l’accosta al destino tragico e lacerante, che sta lambendo tutte quelle nazioni che son state tali proprio grazie al collante del cattolicesimo. Piccoli a grandi popoli cattolici che nei secoli si erano aggregati per distinguersi e difendersi dagli assalti degli stati vicini ebbri di Riforma protestante. O per essere la base dell’imperatore cattolico. Facciamo due esempi diversi dall’Austria.

Il Belgio. Che cos’è il Belgio se non l’unione di popoli diversi, i valloni, i fiamminghi e i germanofoni, che si unirono avendo in comune solo il cattolicesimo per staccarsi dai popoli riformati? Era questa la loro unica identità possibile, non avendo neppure una lingua comune. Venuto meno questo collante del cattolicesimo, dissolto e dalla fortissima influenza massonica della Vallonia e da un clero impazzito di progressismo il più cretino al seguito dell’eminenza grigia del concilio, cardinale Suenens, la storia belga è cessata, e si assiste a sempre più forti e comprensibili spinte centrifughe dei popoli che la componevano, e che prima o poi finirà con una triplice secessione. Lo stesso discorso vale per la Spagna: fra baschi, catalani, aragonesi, castigliani etc., tutti tenuti insieme dalla comune fede e dall’imperatore “cattolicissimo”. Negli ultimi anni, messo in discussione questo santo collante, soprattutto a causa del governo rivoluzionario di Zapatero, sono cominciate fortissime e talora sanguinose spinge centrifughe. Tramortendo l’identità condivisa della Spagna che fin lì la fede comune di quel popolo aveva contribuito a giustificare e tenere in piedi. Non è certo uno stato fantasma come ormai lo sono Belgio e Austria, anche perchè gli eccessi rivoluzionari hanno risvegliato in Spagna la reazione attiva dei cattolici.

E dunque, privata con le cattive, ad iniziativa del suo stesso clero rinnegato e fanatico, del suo cattolicesimo antico e identitario, cosa resta dell’Austria? Quel che vediamo: nulla e marciume. La morte della nazione.

PROSEGUE CON UNA SECONDA PARTE

Caterina63
00venerdì 2 settembre 2011 20:06

Autopsia della Chiesa austriaca (Parte 2)

lug 13, 2011 by

   AUTOPSIA DELLA CHIESA AUSTRIACA 2

(…per tacer delle altre)

 

INIZIANO CON LA SUPERSTIZIONE DEL RITORNO ALLA “CHIESA PRIMITIVA”. FINISCONO IN ASSOCIAZIONE A DELINQUERE DI STAMPO CLERICALE

 

La tragedia del cattolicesimo “imperiale”. L’esercito invasore in ritirata che avvelena i pozzi… dei seminari. Una associazione a delinquere di stampo clericale. La vera “vittima di abusi” era il cardinale Groer.

 

(parte seconda)

 

Si avverte in loro allarme e fretta. Un mix che secerne un furor teutonicus dal quale c’è solo da temere. Si ha l’idea che pensino a qualcosa assai affine all’indole di quella terra, come la storia testimonia, a qualcosa come una “soluzione finale”. Cosa è questa urgenza matta di spingere sempre più in là il gioco? Questo precipitarsi del clero progressista sui seminari austriaci attuali “dei quali sembrano scontenti”? Sa quasi della fretta piena di rabbia e livore di un esercito invasore in ritirata che per vendetta avvelena i pozzi.

  

di Antonio Margheriti Mastino

 

LA TRAGEDIA DEL CATTOLICESIMO “IMPERIALE”

Vi sarebbe anche un’altra cosa più complessa e delicata da dire. Un altro dramma di questo destino tragico e banale insieme dell’Austria. Accenniamone soltanto.

Il dramma dei paesi del cattolicesimo “imperiale”, dove il peggiore esempio è venuto proprio dalle tanto rimpiante corti. Anzitutto, premetto che non comprendo e affatto condivido in pieno l’entusiasmo talora bambinesco e insieme senile da passato che ha sempre il culo più roseo, di molti cattolici conservatori per i passati fasti e favoleggiata “protezione” della casa D’Asburgo sulla chiesa cattolica. Che quando si decise ad essere davvero tale, era ormai già troppo tardi (1849) e interveniva solo a riparare guasti e conflitti che gli stessi Asburgo avevano provocato nei rapporti fra impero austriaco e chiesa cattolica, minando, come vedremo, per i secoli a seguire la fede e la fedeltà del popolo austriaco. Fino all’ultimo ruggito del vecchio leone imperiale nel conclave che elesse Pio X, nel 1903, quando l’imperatore pose il veto all’elezione, quasi certa, del cardinale Rampolla del Tindaro… che poi questo capriccio imperiale risulterà provvidenziale, è un altro discorso.

Ma non dimentichiamo che sarà proprio sotto Giuseppe II D’Asburgo (e prima, sotto la madre, imperatrice Maria Teresa), circondato da giansenisti e da non poche influenze riformate provenienti dalla vicina imperial Prussia (riforma luterana della quale se gli imperiali erano indifferenti alle dottrine, di certo ne condividevano le motivazioni), che dilagò il giurisdizionalismo, il febronianesimo, il conseguente giuseppinismo, con i quali furono martoriati i diritti, la dignità, la libertà, l’autonomia interna della chiesa austriaca e del papa, furono soppressi ordini religiosi, laicizzato l’insegnamento e abolito quello cattolico; l’imperatore si arrogava il diritto di confermare o revocare le bolle papali sul suo territorio, la formazione del clero, la nomina dei vescovi. Soprattutto, ed è quello che ci interessa, la tendenza di fondo del giuseppinismo asburgico oltre che la persecuzione di molte realtà cattoliche, aveva mutuato dal febronianesimo la volontà di concentrare nella mani dello stato austiaco i poteri sul clero nazionale, sottraendoli al papa e ai suoi rappresentanti, i nunzi apostolici. Di fatto creando una sorta di nazionalizzazione del clero austriaco, un gallicenesimo peggiore e tutto verticale che non saliva dal basso, come talora era in Francia, ma che calava come una cappa di piombo dall’alto, dalle mani dell’imperatore stesso. Questa sarà una tendenza che resterà e coverà a lungo come fuoco sotto la cenere, nell’animo dei cattolici e del clero austriaco. Senza contare le infiltrazioni illuministe, e poi del positivismo scientista all’interno della corte in pieno ’800 (qualche spunto lo può fornire forse inconsapevolemente il bel film “The Illusionist”). Tutte tendenze che, per farla breve, si andarono più tardi a incastrare magnificamente con la rivoluzione. E l’elemento principe, oltre che la dipendenza delle alte gerarchie dal potere centrale, la loro cattività cortigiana, sarà proprio lo smagliamento dell’insegnamento cattolico nelle scuole e il vizio della strisciante “antiromanità” delle superiori gerarchie di quel cattolicesimo lì.

I cattolici austriaci, proprio grazie agli Asburgo, arrivarono faccia a faccia con le rivoluzioni senza avere più la preparazione culturale e religiosa necessaria per affrontarle. Ad un certo punto nessuno più seppe insegnare la sana dottrina. Il cardinale di Vienna Theodor Innitzer, già ministro del governo austriaco, in un primo tempo plaudì al nazismo. Il successore Franz Konig, assecondò completamente il secolo e lo spirito malato dei suoi tempi, non esente da connivenze massoniche. Dinanzi alla rivoluzione sessuale del ’68 il clero per primo cedette supinamente. E tuttora, con tutto l’anacronismo possibile e così tipico delle clericali passionacce ideologiche a scoppio ritardato, è in pieno fermento rivoluzionario: in loro vi è la summa di tutte e quattro le rivoluzioni catalogate da Plinio Correa de Oliveira.

C’è un altro punto. Questi cattolicesimi “imperiali”, che hanno avuto sino a tal punto la copertura delle strutture statuali e dinastiche, questo cattolicesimo ufficialissimo, in realtà spesso mascherava la superficialità della reale cristianizzazione di quei popoli e persino del clero e dei governanti stessi. Addobbato di prebende e patacche, di privilegi fatui ed etichette sclerotiche, spesso questo clero scaricava sulla forma il valore che dovrebbero avere la sostanza e i fatti. E ne aumenta la mollezza, la rilassatezza, l’accomodarsi sulle garanzie che offriva il potere costituito, in fatto di religione, dimenticando che il cattolicesimo è missione, conversione e riconversione continua. Del resto la storia ci ha dimostrato di quanto possa essere falsa, ingannevole, fittizia la professione di fede di intere categorie sotto un regime ufficialmente “cattolico”, pronta a scatenarsi in ribellione alla prima occasione buona, spesso quando quel potere centrale “ufficialmente” cattolico viene meno della sua forza. Se guardiamo alla storia spagnola e alla vicenda dei marrani, dei moriscos, della stessa pratica religiosa quotidiana di impiegati e funzionari statali “casomai si perdeva il posto” sotto gli imperatori o sotto Francisco Franco, ci rendiamo conto proprio di questo: che si incrementano gli ipocriti e più spesso si allevano serpi in seno, che poi, alla caduta del regime “ufficialmente cattolico”, passano dal segno di croce quotidiano a rovesciare le croci e crocifiggere i preti, fare strage di cattolici, dedicarsi a ogni orgia rivoluzionaria. Preti compresi.

Aveva detto con lucidità il famoso vescovo di Cremona Geremia Bonomelli, a proposito delle “protezioni” dell’imperatore sulla chiesa cattolica: “Erano protezioni che imponevano catene d’oro; catene d’oro, è vero, ma erano pur sempre catene”.

 

L’ESERCITO INVASORE IN RITIRATA CHE AVVELENA I POZZI. DEI SEMINARI

Nei sondaggi condotti fra la pretaglia austriaca, una cosa è più inquietante di altre, anche se apparentemente sembra la meno offensiva. Recita il sondaggio: “Il 92 % dei parroci intervistati, quindi quasi la totalità, ha espresso l’opinione che l’educazione delle nuove leve in seminario dovrebbe dare maggiore peso alla loro formazione umana. E’ come se i parroci fossero scontenti della nuova generazione di preti”.

Questo clero de facto scismatico ha dunque messo gli occhi sui seminari. Occhi iniettati di risentimento. Perchè? E’ evidente che temono qualcosa.

Quando un papa dà un esempio di come si fa il prete, contestato o meno, questo esempio che cade paternamente dall’alto, prima o poi sortisce il suo effetto anche subliminalmente su consacrati e aspiranti tali: se non sui vecchi scarponi incanutiti e irrecuperabili, certamente li ha sui nuovi seminaristi. I quali sono della generazione post-ideologica (se escludiamo l’ideologia dominante odierna: quella del political correctness), non hanno vissuto gli anni ’70 dove ci si svegliava ogni mattina a una nuova follia, sono immuni dai veleni modaioli di quegli anni devastanti, soprattutto son cresciuti sotto due pontificati, quello del papa polacco e del papa tedesco. Il secondo dei quali sta iniziando a ricapitolare e cosa è la dottrina e cosa è il prete. I seminaristi di nuova generazione sono insomma più diligenti, accorti, moderati, se non proprio ancora “conservatori” a questo approdo son diretti. E non pochi sono già tendenzialmente “tradizionalisti”, sicuramente più accorti alla liturgia, ai segni esteriori della propria appartenenza, alla natura autentica della loro missione, alla dottrina. Insomma, sebbene ancora malati di buonismo in molti casi, cominciano a non avere già nulla degli svitati dei loro predecessori.

Tutte cose che evocano fantasmi per gli apostati clericali austriaci. Ed è a questo punto che risulta emblematica l’attenzione sinistra rivolta ai seminari. Hanno cominciato la demolizione della chiesa dai seminari, ora rischiano, giunti alla loro età, di vedere a breve disfatto parte del loro capolavoro di rovine, proprio a partire dagli stessi seminari, per mano dei giovani epigoni che son venuti dopo, proprio da loro che dovevano rappresentare il compimento, la miccia della bomba confezionata pazientemente in 50 anni nel cuore della chiesa austriaca. Ma come? dai seminari è cominciata l’autodemolizione e l’autopersecuzione, nei seminari tutto stava per concludersi con l’asportazione dell’ultimo mattone, cosa che era in programma da anni, e proprio ora, giunti all’ultima tappa, proprio adesso si vuol rischiare che si ricominci a mettere i mattoni uno sull’altro di nuovo? Ecco quello sguardo da gufi che ci han posato sopra. L’orrore che i giovani seminaristi possano essere i loro figli degeneri, macchiarsi di parricidio e ricostuire il Santo Edificio, più piccolo certo, ma non per questo meno fastoso.

Se i seminari austriaci sono l’ennesimo cancro di quella chiesa, possono esserne anche l’ultima speranza. Ma non cediamo a facili ottimismi. L’esempio del papa non può bastare. L’insegnamento in quei seminari è impartito dai peggiori fanatici del progressismo, che ormai non hanno nulla di cattolico, e del resto il loro fine è planare nell’epoca post-cristiana. Nei seminari che essi comandano con estrema violenza, la pratica religiosa è completamente assente. Così l’insegnamento della morale cattolica, e circa i dogmi, insegnano soltanto il dovere di demolirli. Di liturgia meglio non parlarne: è persino molto meno delle “cene” luterane. Disciplina assente. Il livello culturale di consacrati e consacrandi è davvero squallido, e in nulla, ancora una volta, cattolico. Una scuola media-superiore da periferia proletaria, sarebbe più raccomandabile. Sia chiaro: non è che gli studenti vogliano questo: semplicemente vengono “diseducati” a questo, diseducati al cattolicesimo e alla disciplina ecclesiastica proprio dai loro stessi docenti. Che intendono allevare la nuova generazione di progressisti, gli eredi dello scisma in fieri, i primi profeti del post-cristianesimo. E nonostante ciò, qualcosa allarma sempre più la pretaglia e il vescovame progressista. Temono una ricattolicizzazione del clero nazionale venturo come la loro stessa morte.

 

UN’ASSOCIAZIONE A DELINQUERE DI STAMPO CLERICALE

Si avverte in loro allarme e fretta. Un mix che secerne un furor teutonicus dal quale c’è solo da temere. Si ha l’idea che pensino a qualcosa assai affine all’indole di quella terra, come la storia dimostra, a qualcosa come una “soluzione finale”. Cosa è questa urgenza matta di spingere sempre più in là il gioco? Questo precipitarsi sui seminari attuali “dei quali sembrano scontenti”? Sa quasi della fretta piena di rabbia e livore di un esercito invasore in ritirata che per vendetta avvelena i pozzi.

Non sono da sottovalutare. Perchè questi preti e laici clericalizzati loro affini, governano tutte le diocesi. Padroneggiano le burocrazie delle macchine curiali teutoniche, che, provviste di mastodontiche entrate basate su concordati economicamente vantaggiosissimi, hanno migliaia di impiegati, il cui assegno mensile dipende da questi signori. E siccome chi ha in soldi ha anche il potere, col tempo si sono forniti di tutti i megafoni possibili a spese del contribuente cattolico: giornali, case editrici, emittenti, giornalisti alle loro dipendenze. Strumenti tutti che devono soltanto amplificare l’eco e l’ego di questa elite di clericume progressista. Chi non è d’accordo non solo è ridotto al silenzio, ma anche alla fame e alla persecuzione. I media a loro disposizione naturaliter godono della simpatia di tutto il gotha massmediatico teutonico, in genere liberal, ateo e sempre tenacemente anticattolico, antipapista soprattutto. Entrambi si coccolano a vicenda e si scambiano favori. Per esempio, quando si tratta di aprire campagne scandalistiche contro un membro della chiesa conservatore, per distruggerlo e provocarne la morte sociale. Un meccanismo assai collaudato che fa sempre bingo da almeno una trentina d’anni. Un meccanismo infernale e demoniaco basato essenzialmente sulla minaccia e sul ricatto, in caso sulla calunnia, la gogna pubblica, l’assalto e la distruzione mediatica del non allineato del momento. Chi si adegua e fa da eco alle loro rivendicazioni, è premiato con cattedre professorali e vescovili, assunzioni nelle diocesi, nei giornali, i suoi libri contestari pubblicati dai loro editori… insomma, entra nel giro dei satrapi. I soldi che i cattolici secondo concordato versano nelle terre teutoniche a fiumi per le loro diocesi, finiscono nelle grinfie di questa autentica associazione a delinquere di stampo clericale.

Si spiega così il dispotismo unito alla sfacciata arroganza, e non di rado alla violenza, con la quale una elite spadroneggia su tutta la chiesa austriaca e tedesca. Chi ha i soldi in mano può.

E’ doveroso pure aggiungere una nota di scetticismo. All’inizio di questa inchiesta abbiamo spiegato che comunque sia, si tratta di una manica di generali senza esercito, se non le truppe mercenarie sulla loro busta paga: il vero popolo fedele latita. Si è perso strada facendo, in ogni caso nessuno, schifiltosi come sono questi capipopolo senza popolo, nessuno lo interpella, ma del resto danno per scontato che sia legge di natura, che essi, la casta progressista, gli eletti, possano parlare “in nome” del popolo e la loro opinione essere “volontà generale”: perchè no?…lo hanno sempre fatto tutti i rivoluzionari e tutti gli elitari di ieri di oggi di sempre. Occorre sottolineare che questi “generali”, questa casta, questi quattro gatti spelacchiati dalle unghie uncinate, che “Sono Chiesa”, fanno assai rumore, un enorme fracasso, per le ragioni sopra dette: hanno in mano tutti i mezzi di informazione direttamente e indirettamente. E tutto questo vociare lagnoso, questo belare carnevalesco e variopinto, può dare l’impressione che siano più numerosi di quel che non sono in realtà. Una illusione acustica.

 

IL CARDINALE GROER ERA LA VERA “VITTIMA DI ABUSI”

Si spiega così pure come riescano a piegare o distruggere vescovi o cardinali. Prendi il cardinale Hans Hermann Groer, scelto apposta nel 1985 da papa Wojtyla per la fedeltà a Roma di questo anomalo benedettino, il suo estremo fervore religioso, il suo conservatorismo, il carattere ferrigno, la rigidezza della sua spina dorsale, assolutamente indisponibile a piegarsi a chicchessia. Anzi: mirava a piegare lui i ribelli. Ma i ribelli non avevano alcuna intenzione.

Un arcivescovo così a Vienna, la polverosa capitale della ribellione, era, ai loro occhi, oltre che una dichiarazione di guerra un affronto insopportabile. La parola d’ordine fu lanciata: NON PASSERÀ!

Prima lo consigliarono, ma niente. Poi lo minacciarono, ma da quell’orecchio il cardinale non ci sentiva. Quando videro di che si trattava e s’accertarono che il porporato era indomabile, passarono alle vie di fatto. Il ricatto: neppure questo bastò. Era la guerra: scattò ad orologeria la campagna mediatica scandalistica, basata su antichissime presunte storie di “abusi” dell’allora giovane benedettino Groer su seminaristi e compagnia. Fatti oggettivamente indimostrabili, lontanissimi nel tempo. Ma proprio perciò prescelti come fendente. Chi erano gli accusatori? In genere sempre persone vicine alla loro cerchia, più preciamente uomini, in molti casi, che lavoravano nelle curie, il cui assegno mensile dipendeva proprio dai signori e padroni delle curie, i progressisti di “Noi Siamo Chiesa” e dintorni.

La campagna diffamatoria contro Groer fu implacabile, matta e disperatissima, atroce e senza misericordia, una battaglia campale che non si poteva perdere e che sarebbe suonata, una volta vinta, come monito terrificante negli anni a venire per chiunque non si fosse sdraiato sulla linea dettata dai gruppi progressisti e antiromani.

Groer non cedeva e neppure la Santa Sede cedeva. Gli accusatori rincararono la dose, cominciarono a compilare fasulle confessioni di loro sodali che dichiaravano di aver subito in passato, un remoto passato, molestie da Groer. Miravano a far aprire il processo in Vaticano, processo che, per come avevano impostato tutta la campagna mediatico-scandalistica contro il cardinale conservatore, ormai dilagata su tutti i media del mondo, poteva avere un solo esito. Il Vaticano non aveva altra scelta che aprire il processo e condannare Groer, diversamente la campagna si sarebbe ritorta contro il Vaticano stesso, che dal canto suo ben sapeva che progressisti e media avevano già pronti in tasca i titoloni strillanti la “complicità” della curia romana e magari del papa con gli “abusi”. Groer fu “condannato”. Dovette obbedire. Ma si rifiutò fino all’ultimo, fieramente, di assecondare le calunnie (oggi possiamo dirlo) e di “ammettere” di aver mai compiuto quegli “abusi”. Non voleva rendere il gioco facile sino a tal punto ai suoi nemici.

Quando arrivò a Vienna il nuovo arcivescovo, un giovanissimo Christoph Schonborn, con la fama infamante per i progressisti di “allievo e amico del Panzerkardinal”, capì subito che aria tirava. E del resto i malfattori gliel’avevano scandita bene la canzona. O si adeguava subito dando una prova di sangue, o avrebbe fatto brutta fine pure lui. L’immediata prova di sangue del novello presule fu dover prendere carta e penna a dire urbi et orbi: “Abbiamo raggiunto la certezza morale che le accuse contro il mio predecessore Groer siano nella sostanza plausibili”. Certezza morale, accuse plausibili: il successore di un vescovo impiccava dopo un processo sommario il suo predecessore al palo, piantanto come monito sotto il suo episcopio, delle certezze morali più o meno plausibili, e cioè delle chiacchiere e della calunnia, della vendetta e della ritorsione, ovverossia senza uno straccio di prova.

Sarà una strada senza ritorno per Schonborn, caduto per tutto lo spilungone che è nella rete dei progressisti. Un disgraziato, che agli occhi dei progressisti aveva il pregio di essere delicato di sentimenti: ovvero uno smidollato, senza spina dorsale, senza equilibrio stabile, fragile emotivamente, insicuro, tremebondo; così facilmente influenzabile da dar sempre ragione all’ultimo che ha gli ha parlato, soprattutto è assai pavido, si spaventa con niente, asseconda tutti e quindi sempre il più aggressivo, che è chi sembra suscitare più applausi. Un debole, neppure troppo intelligente. I progressisti senza troppi complimenti gli scrivono l’agenda, gli preparano per iscritto le eresie che deve pronunciare, quali parti della dottrina, disciplina, tradizione cattolica denunciare e demolire, quali vespai suscitare e chi accusare di bello ogni nuova mattina di “abusi sessuali” e “complicità e coperture”, lui manda a memoria, apre bocca e ripete a pappagallo. E quel che succede succede. Un pupazzo imbottito di tritolo, praticamente.

 

SEGUE LA TERZA E ULTIMA PARTE

Caterina63
00venerdì 2 settembre 2011 20:07

Autopsia della Chiesa austriaca (3^ ed ultima parte)

lug 13, 2011 by

AUTOPSIA DELLA CHIESA AUSTRIACA 3

 

(…per tacer delle altre)

 

CUPIO DISSOLVI

DAL POST-CONCILIO AL POST-CRISTIANESIMO

 

Morte del cardinal Franz König ultimo "principe" e non ultimo devastatore del cattolicesimo d'Austria

La sedizione delle conferenze episcopali nazionali. La scomunica non serve a niente se non a fagli un piacere. Mirano non a “riformare” il cattolicesimo ma a inaugurare l’era post-cristiana. Cosa resta da fare in Austria, dunque? Colpire i preti nel loro tallone d’Achille: il portafogli. Negando gli assegni mensili.

 

 

 

La Santa Sede non lo farà. Non condannerà. Non scoperchierà il vaso di Pandora. Perchè facendolo si troverebbe dinanzi all’abisso della realtà, all’abominio della sua “desolazione”. Perchè dovrebbe ammettere a se stessa l’evidenza: che ha davanti il deserto, un nulla solo pieno di aspidi e di scorpioni. La morte. Perchè se lo facesse con l’Austria lo dovrebbe poi fare con le sue sorelle di avventure Svizzera, Olanda, Belgio, parte della Germania, mezza Francia. Sarebbe una ecatombe. L’ammissione e la presa d’atto che la situazione nel centro-nord Europa è ampiamente fuori controllo. Che il cattolicesimo romano forse si è inabissato definitivamente in quelle terre. Che quel che non riuscì completamente a Lutero e a Calvino, a Napoleone e alle massorie, a Hitler e ai comunisti, è riuscito al clero stesso… Veramente nel fondo del loro animo c’è un desiderio di morte assoluta, una volontà di annientamento totale…

Cupio dissolvi!

 

(terza e ultima parte)

 

 

di Antonio Margheriti Mastino

 

LA SEDIZIONE DELLE CONFERENZE EPISCOPALI NAZIONALI

Così come queste corporazioni di potere sono padrone delle curie e dei mezzi di informazione “cattolici” e usufruiscono dei benefici del patto scellerato con la stampa laicista e anticattolica, così come manovrano i vescovi, va da sé che, alla stessa maniera la conferenza episcopale austriaca è saldamente nelle mani delle “cosche” progressiste. E nulla possono, a quanto pare, nunzi apostolici e papi, per scegliere vescovi che se non conservatori siano almeno cattolici. Niente da fare. Rivendicano il diritto di comportarsi unicamente come chiesa nazionale: i vescovi se li scelgono loro, cioè li sceglie la conferenza episcopale, che poi altro non vuol dire che vengono scelti sempre dalla stessa corporazione dei succitati progressisti fra i loro sodali. Un circolo vizioso che sembra non poter avere mai fine. L’episcopato è loro espressione, completamente sfuggito dalle mani di Roma, è fuori controllo totale.

Non che il papa non abbia tentato di mettere gente decente sulle cattedre vescovili: in qualche raro caso è riuscito a piazzare pure qualche vescovo ausiliare vagamente conservatore (ma un vescovo “conservatore” austriaco altro non è quel che in Italia sarebbe un vescovo piuttosto progressista). Ma l’eccezione conferma la regola. La regola è che di vescovi imposti da Roma non ne vogliono, e men che meno vescovi che non siano accesi progressisti, al limite deboli di carattere. Quando la Santa Sede ha tentato di piazzare manco come titolare di diocesi ma solo come ausiliare un prete saldamente ortodosso e magari in fama di “tradizionalista” (che è peggio di un pedofilo e nazista per loro), la reazione della casta progressista è stata di una violenza talmente inaudita e volgare, oltraggiosa persino, che lo stesso prete destinato vescovo senza il nulla osta della casta, ha persino non solo rinunciato alla diocesi, ha rinunciato proprio all’episcopato. E infatti i progressisti non erano disposti neppure a tollerare la sua semplice consacrazione episcopale. E’ il caso recente di mons. Gerhard Maria Wagner. Comandano loro, non Roma. A questo punto siamo arrivati!

Ah che danno fece Paolo VI a inventarsi la storia della conferenze episcopali! Si mise i nemici in casa, lanciò un messaggio sbagliato, favorì fraintendimenti ed equivoci, solleticò i tanti gallicanesimi striscianti e potenziali, compromise l’autorità di Roma. I risultati son questi che vediamo. Non che la sedizione delle conferenze episcopali sia un bubbone purulento solo in Austria: lo è dappertutto ormai. Finchè qualcuno non si deciderà a ridimensionarle e a spezzargli la spina dorsale, sarà sempre così e peggio di così. Ma forse la loro schiena è diventata troppo robusta, e Roma troppo debole, per poterla spezzare o solo piegare. Specie nelle terre toccate dalla Riforma, dai gallicanesimi, da velleità antiromane antichissime.

 

UNA SCOMUNICA NON SERVE A NIENTE

In questa situazione critica, anzi in questo rompete le righe generale, qualcuno invoca da Roma la scomunica o almeno sospensioni a divinis e riduzioni di massa allo stato laicale. Chi domanda ciò è fuori dal mondo, privo di senso della realtà, un inguaribile romantico.

Prima di tutto perchè la scomunica o le sospensioni avevano un senso quando c’era una disciplina nella chiesa. Ma gli austriaci negano esattamente l’esistenza di questa disciplina, e la liceità di qualsiasi altra.

Secondo, negano direttamente l’autorità di Roma a pronunciarsi sui “fatti loro”, sulle cose austriache: a casa loro comandano loro, e se servono se li prendono da sé i provvedimenti. E li prendono con puntualità: contro Roma, contro il Magistero Universale, contro conservatori e tradizionalisti, contro gente con troppe velleità religiose. E questi provvedimenti autoctoni sono immediatamente esecutivi. E Roma non può che ratificare.

Terzo, le scomuniche & c., erano efficaci una volta, quando la stessa Roma poteva contare, per imporle e renderle effettive, sul ferro e sul fuoco, per così dire, della sua riconosciuta autorità spirituale e concreta potenza temporale, garantita dall’allenza con i rispettivi troni nazionali. E garantita soprattutto dal consenso degli stessi fedeli, che erano sempre i primi a invocare, sostenere e rendere operativi fra loro i provvedimenti disciplinari contro le indecenze del clero, e verso i condannati praticavano l’ostracismo: era gente che ancora non solo ci teneva alla salute della propria anima, ma che ci credeva davvero. In Austria, Germania, Belgio, Olanda, Svizzera… chi c’è rimasto a credere a queste cose? Forse nessuno. Non ci credono in primis i preti. Per tacer dei vescovi. Insegnano persino nei seminari che non solo l’inferno “è vuoto”, ma che è anche una fantasia. Come il diavolo.

Quarto, a cosa serve la scomunica et similia, se non c’è la fede? Verso gente che non ne ha più? Che vede tutto in modo orizzontale? Che si è posta come compito principe quello di attaccare, relativizzare e infine distruggere l’idea stessa di peccato e di colpa, di penitenza e redenzione? Se non temono l’ira e il castigo divino, a maggior ragione non possono temere l’ira e il castigo papale.

Sarebbe un buco nell’acqua proseguire su questa linea.

Quinto, una mossa simile è quello che si aspettano da Roma, e provocano per ottenerla. Il casus belli, che sancirebbe ufficialmente lo scisma, facendolo apparire come provocato e ratificato dalla stessa Santa Sede, innocentissimi loro… gli austriaci.

La Santa Sede non lo farà. Non scoperchierà il vaso di Pandora. Perchè facendolo si troverebbe dinanzi all’abisso della realtà, all’abominio della sua “desolazione”. Perchè dovrebbe ammettere a se stessa l’evidenza: che ha davanti il deserto, un nulla solo pieno di aspidi e di scorpioni. La morte. Perchè se lo facesse con l’Austria lo dovrebbe poi fare con le sue sorelle di avventure Svizzera, Olanda, Belgio, parte della Germania, mezza Francia. Sarebbe una ecatombe. L’ammissione e la presa d’atto che la situazione nel centro-nord Europa è ampiamente fuori controllo. Che il cattolicesimo romano forse si è inabissato definitivamente in quelle terre. Che quel che non riuscì completamente a Lutero e a Calvino, a Napoleone e alle massorie, a Hitler e ai comunisti, è riuscito al clero stesso.

Questo realismo Roma lo ha nel sangue, e davanti agli occhi come un incubo diuturno. Sa che basta cavare via un mattone e quelli che sembravano solo scricchiolii d’assestamento di un antico sontuoso edificio, si rivelerebbero invece crepe profonde di una struttura fatiscente che si dissolverebbe in un gran polverone con morti e feriti.

 

MIRANO A INAUGURARE L’ERA POST-CRISTIANA

E loro? I contestatori pretenziosi, la pretaglia progressista e affini clericalizzati, ma cosa vogliono veramente? A che mirano oltre che allo scisma?

E’ un discorso terribilmente complesso, e doloroso per un cattolico… Possiamo solo accennarlo.

La verità è che qua non è solo questione di celibato, sacerdozio femminile, porcherie varie: altro non sono questi che fuochi fatui, intrattenimento, per distrarre dal vero obiettivo. Non è questione solo disciplinare. Questo altro non è che voler scaricare sulla struttura, il valore che dovrebbe avere la sostanza, il “Fatto” cristiano. E’ un problema dottrinale, che a sua volta è la conseguenza di un gravissimo problema che sta alla base: il problema di fede. E’ la fede che è vacillata in questi nordici signori della contestazione.

In questo clero e laici clericalizzati, in quest’atmosfera di smobilitazione generale, c’è qualcosa di sinistro, oscuro che è seguito al loro rompete le righe postconciliare. Un cupio dissolvi, cioè il desiderio di dissoluzione, di morte. Non è un caso che prendano ad esempio i luterani europei. Qualcosa di già visto durante il concilio. Quando scoppiò fra i soloni cattolici la protestantomania, come trafigurazione della modernità, quasi imago di una eterna giovinezza morale. Imitare, citare, studiare, fare prediche a loro ispirate, raccogliere da terra carponi e servili col cucchiaino qualsiasi boiata vergognosa ci sputassero i santoni protestanti europei, con infallibile aria di disprezzo come fossero oracoli, diventò una moda bruciante. E cieca. Se è vero come è vero che mentre calavano, facendosi implorare e lustrare le scarpe, nelle nostre chiese, a spiegarci come si doveva essere cattolici moderni, alle loro spalle, nelle loro scandinavie, germanie, olande, alle loro spalle dicevo, si lasciavano il deserto, la morte della religione in società radicalmente scristianizzate, dove oltretutto il vecchio e stanco protestantesimo nord-europeo, ormai decimato, per quel che ne restava, si era completamente assimilato, dissolto e fuso nella società secolare. Diventando religione civile. E scomparendo. Un guscio secco e vuoto: ma a tanti gonzi cattolici appariva quell’immagine di perdizione e di morte, quel disastro totale, come appunto il non plus ultra della modernità. Ciechi, ubriachi e minchioni.

Questo i contestatori di 40 anni fa, che avevano ancora un fondo di ingenuità, che sorgeva dal non-sperimentato. Per i contestatori attuali che li prendono ad esempio il discorso è diverso: tutto è stato già sperimentato, e tutto è già fallito magnificamente, modelli e imitatori. E laddove si è voluto sperimentare il cattolicesimo è morto. Ma allora che senso ha insistere su questa linea?

In realtà un senso c’è l’ha. Essi mirano esattamente alla dissoluzione della chiesa così come l’abbiamo conosciuta, prima e dopo il concilio, alla morte programmata del cattolicesimo romano. Ebbri, talora a livello subliminale, delle teorie più infami, da quelle vetero-protestanti all’agnosticismo, dall’umanesimo all’umanitarismo sino all’antropocentrismo, trovano la sintesi nell’affermazione deflagrante e svelata di un loro caposcuola teologico, il domenicano morto in fetore di eresia e apostasia Edward Schillebeekckx: “C’è la possibilità di un mondo senza Dio. Non si può dire che una società senza Dio manchi di etica e sia automaticamente ingiusta. Vi è la possibilità di un ateismo che non è negazione dell’etica. Diventa difficile per i cristiani far capire la necessità della fede in Dio. Non c’è necessità di Dio perchè una società sia giusta, morale, equilibrata: è possibile una società solo umanistica”.

Roba di museo dell’ameno anni ’70, sicuro, se non fosse che queste cose Schillebeekckx le ripeteva anche negli anni ’90, quando quegli schemi erano falliti ovunque, ma come per tutti gli ideologi, se la realtà dà torto allo schema, è la realtà ad essere sbagliata, non lo schema. Ma va sottolienato un particolare: in questa prospettiva tutta mondana, orizzontale, del Caposcuola, manca del tutto la prospettiva ultramondana, verticale: la città dell’uomo ha sostituito del tutto la Città di Dio, il “buon vivere” terreno ignora la salvezza ultraterrena.

Che queste teorie all’atto pratico portino all’implosione della chiesa e del cattolicesimo, non è un incidente di percorso, è il loro fine. E’ una intenzione. Solo così si potrà giungere alla loro terra promessa, che non è neppure il cristianesimo senza il papa. E’ qualcosa che va oltre: inaugurare l’era post-cristiana. L’ennesimo paradiso in terra: una civiltà basata su un umanesimo senza cristianesimo e senza Dio. Che pure questo, in fondo, sia stato sperimentato dalle ideologie e dalle rivoluzioni, e sia completamente fallito nel modo più disperato, deve essergli sfuggito. Allora veramente nel fondo del loro animo c’è un desiderio di morte assoluta, una volontà di annientamento totale. Non ne sono forse ancora consapevoli, ma ne è consapevole il loro occulto Maestro: colui che conduce coi suoi miraggi menzogneri gli uomini ad arenarsi nel deserto e nel nulla, soli e sperduti, desiderando solamente di morire, perchè tutto intorno non è altro che morte e nulla. Cupio dissolvi!

Resta con noi, Signore, ora che scende la sera. Ed è buio: tutto intorno e dentro”.

 

COSA RESTA DA FARE IN AUSTRIA? NEGARE GLI ASSEGNI MENSILI

Cosa resta da fare? Meglio riderci su, verrebbe da dire.

Visto che niente può convincere quel clero a desistere dalle sue intenzioni, che ormai sono ideologia, forma mentis seppure forgiata dall’inerzia, resta solo una cosa da fare. Niente scomuniche, niente sospensioni a divinis, riduzioni allo stato laicale forse solo qualcuna.

I preti se vuoi piegarli li devi colpire dritto nel loro tallone d’Achille: il portafoglio. Ritirargli l’assegno mensile. Andassero a lavorare! Tutto sommato cosa c’è di meglio e di più comodo che fare il prete in Austria? Ogni cittadino con un minimo di senso dei propri affari dovrebbe farlo. Perchè qua questi preti hanno scoperto il segreto di Pulcinella: che a fare il prete liberal non solo non devi lavorare, non solo puoi dire quel cazzarola che ti pare e mandare a fare in culo anche il papa, non solo i giornalisti ti intervistano, scrivi libri e diventi famoso, non solo puoi scopare con chi ti pare e piace gratis, uomini donne bambini, e magari pure metterti, come direbbe Sordi, “una estranea” in canonica (nel letto e in cucina, è chiaro), ma tutto questo è pure tutto già pagato da Roma con puntuale assegno mensile. A prescindere. Un bengodi! Magnano e sputano nel piatto nel quale magnano, a pancia piena, per dirla papalepapale. Ecco, una revisione dei concordati, che sono miniere d’oro, con quelle nazioni che spingesse veramente quella chiesa a diventare più povera, meno godereccia e spendacciona, più santa e umile, con tanto di riduzione di denaro e assegni mensili. Solo ritirare gli assegni mensili ai disobbedienti li ridurrebbe in men che non si dica all’obbedienza. Ma è utopia, lo so: gli assegni li gestiscono i vescovi austriaci. Che sono peggiori dei preti. Bisognerebbe ritirarla prima a loro la paghetta mensile.

Altro? Beh, si può sempre avere cristiana pazienza e pregare. Ma come diceva Marcinkus, uno che di magheggi se ne intendeva, “la chiesa non si governa solo coi paternostri”. Né con la sola pazienza. Anche perchè la pazienza spesso incoraggia la controparte a osare oltre, soprattutto concede tempo e respiro alla confusione. E in ogni caso: sono 50 anni che si pazienta con il clero austriaco, e le cose son andare di male in peggio. Prima o poi occorre impugnarlo lo scudiscio con cui Cristo stesso cacciò i mercanti dal tempio.

Dico di più. A mio avviso, l’errore più grave finora è stato lasciarli fare. Non si è intervenuti quando si poteva, quando si doveva, si è voluto fare i buoni ad ogni costo, seguire la via postconciliare del: “So’ ragazzi” e si è lasciato crescere un cancro interno alla chiesa che sta mostrando le sue prime, definitive metastasi. Quello che vediamo non è un fenomeno nuovo, non è un qualcosa che non si sarebbe in alcun caso potuto evitare, non è un qualcosa che non ci si sarebbe potuto aspettare. È un qualcosa che ha origine in un passato preciso, in un’omertà quasi mafiosa di chi avrebbe potuto fare e non ha fatto, e che grava su tutti noi intesi come Chiesa come una spada di damocle. Qualunque cosa si possa (e si debba) fare ora, sarà in ogni caso insufficiente e subirà da parte dei media torsioni degne di un contorsionista da circo. Passeremo per gli oscurantisti, per quelli “cattivi”, per i nemici di chissà quale supposta libertà. Non stiamo osservando nulla di nuovo nello scenario post-moderno della Chiesa… soltanto i frutti di un albero i cui rami stanno marcendo uno dopo l’altro e che Dio ci perdoni, se è dai frutti che li riconosceremo, qua è merda fino al collo.

Altre opzioni? Avere speranza e incoraggiare i pochi, soprattutto giovani seminaristi, che in questi ultimi tempi, sull’esempio del papa, si stanno sforzando di perfezionarsi, di crescere sani e ortodossi, ardenti di zelo per la Sua Casa, che altri hanno ridotto un circo o un lupanare. Se questi pochi non rinunciano ad essere il sale della terra che non ha perso il suo sapore condannato all’inutilità, ad essere schiacciato e disperso, allora ancora possiamo sperare. Si può sempre cominciare daccapo con questi pochi giovani coraggiosi: in definitiva gli apostoli erano solo 12.

In Austria, bisogna accettare la scommessa di tornare ad essere il “piccolo gregge”.


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