di Francesco Colafemmina
La nostra analisi del discorso di Barack Obama sarà incentrata sul retroterra filosofico e culturale da cui è animata la sua riflessione sulla contemporaneità e sui conflitti fra opinioni differenti, con maggiore riferimento a quello tra etica cattolica e ricerca scientifica.
Il discorso del Presidente degli Stati Uniti colpisce immediatamente per la sua tensione ideale, per l'impostazione non tanto razionalistica, quanto retorico-religiosa. I termini che più ricorrono nel testo sono infatti quelli cari al messianismo, ovvero a quella corrente religiosa che attende l'arrivo di un Messia, di un salvatore in grado di portare sulla terra il Regno di Dio. Un salvatore che non è evidentemente Cristo, ma è modellato piuttosto su esigenze e obiettivi meramente umani.
Queste parole afferiscono non solo alla dimensione del futuro, ma soprattutto a quella della possibilità. Particolarmente ricorrente è la parola "challenge" (sfida), emblema tipicamente americano dello slancio pragmatico nella costruzione di un "mondo migliore". Si parla anche di "speranza", di "cambiamento", di "new age" (una nuova era).
Passato e futuro
Il contrasto da cui parte Obama per proporre le sue ricette sociali è quello fra un passato vissuto con intensa tensione drammatica ed un futuro tutto teso idealmente alla realizzazione di un nuovo ordine mondiale e sociale.
Le caratteristiche del passato? Sperequazione, ingiustizia, incomprensioni, minacce, inquinamento, guerre. Quelle del futuro auspicato? Uguaglianza, diritti garantiti, solidarietà, ecologismo, pace.
Sappiamo perfettamente che questa tensione ideale non corrisponde alla realtà nè tantomeno alla dimensione politica dell'amministrazione Obama. Siamo tutti a conoscenza dell'estrazione sociale ed oligarchica di buona parte degli "uomini del Presidente", in grossa percentuale espressione dell'establishment di Wall Street, artefice dell'attuale crisi finanziaria. Sappiamo perfettamente che l'ambizione alla pace ed all'egualitarismo, nonchè alla solidarietà ed all'ecologismo, restano mere utopie evidentemente troppo distanti dalla realtà per poter essere proposte come obiettivi da incarnare in una amministrazione presidenziale. Nondimeno potremmo semplicemente accontentarci del notevole sforzo morale di un uomo che propone una nuova visione del mondo, meno pragmatica e più ideale. Forse è questo il vero nocciolo della politica.
Ma il punto è un altro.
Personalmente ritengo che questa enorme carica riformista non abbia a che vedere con un modello politico cui uniformare il governo degli Stati Uniti, bensì con una forma di artificio retorico ed ideologico per dar vita ad un modello culturale e sociale senza precedenti.
L'allarme lanciato da Obama si concentra specificamente sulla crescente diversità in un mondo sempre più piccolo, unificato dai mezzi di informazione. La diversità è dunque letta come fonte e ragione di ogni conflittualità e potenziale minaccia all'ordine civile di una Nazione. La diversità è alla radice delle contrapposizioni e degli intoppi all' "avanzamento" della Nazione. Dunque la diverstià, pur non dovendo essere obliterata, va smorzata o superata cercando un comune terreno di incontro fra le parti in causa.
E' qui che va svelato l' "inganno" o meglio l'origine di un erroneo sillogismo. Il sillogismo di cui parlo è quello: diversità=pericolo sociale quindi è necessario ridurre quanto più possibile le diversità di opinione. In particolare il discorso si riferisce a divergenze di carattere etico o meglio bioetico. E' qui che dovremo indagare meglio l'inganno logico introdotto da questo discorso, analizzando dettagliatamente il punto.
La ricerca sulle staminali embrionali ed il conflitto etico
Il discorso parte proprio da un esempio specifico: quello relativo alla modalità con cui si affronta la questione della ricerca sulle cellule staminali embrionali. Il Presidente parla di un conflitto fra chi non vuole questa ricerca perchè crede che l'uso di un embrione coincida con l'uccisione di una vita umana (seppure in uno stato germinale) e chi ritiene opportuna questa ricerca per curare persone sofferenti ed ammalate.
Così si evince che la diversità di opinioni è apparentemente una ragione di stallo, di insuperabile ostacolo all'avanzamento scientifico o alla risoluzione di problemi pratici che sembrano affliggere il mondo. In realtà non è affatto così.
L'enormità della differenza fra l'ostacolo posto dalla diversità di opinioni su tematiche bioetiche e gli "errori" che affliggono il mondo moderno è evidente anche ad un bambino. Retoricamente potremmo definirla un'iperbole. Il Presidente ha così introdotto la sua necessità di giustificare la decisione di finanziare con fondi pubblici la ricerca sulle staminali embrionali e quella di dare vita alla più liberale delle leggi abortiste condendola con toni apocalittici e sviando l'uditore dal reale contesto della bioetica per condurlo su quello delle minacce globali del mondo moderno.
L'aspetto più grave è tuttavia quello dell'introduzione della pericolosità di una diversità di fede o di opinione. Seguendo la logica del discorso infatti sembrerebbe che chi ha una specifica identità religiosa o culturale sia solo per questo una potenziale minaccia agli equilibri del mondo e che l'unico modo per assicurare pace, benessere e rispetto dell'ambiente, sia quello di sfumare le diversità in un unica dimensione sovra culturale e sovra religiosa, in una "mission" che è del tutto estranea alla realtà civile di un governo.
Come lo Stato necessita di esser separato dalla Religione, così è anche logico che esso non possa trasformarsi in Chiesa, assumendo su di sè o sulla sua più alta carica un potenziale "messianico" e salvifico superiore a quello fideistico.
D'altra parte va detto che anche relativamente ai temi bioetici il ruolo dello Stato dovrebbe essere quello di applicare le leggi e di legiferare tenendo presenti alcuni principi fondamentali. Questi principi sanciti dalle carte costituzionali di mezzo mondo sono caratterizzati dalla loro universalità.
Se la Chiesa Cattolica è poi contraria alla sperimentazione sugli embrioni lo fa non per una sua certezza di fede (quella per la quale si ritiene l'embrione un essere umano), ma in base ad un dubbio naturale ed universalmente condivisibile: se si possa uccidere il germe di una vita umana o meglio se quella vita umana che si sta formando sia un soggetto del diritto allo stesso livello di un uomo nato. Inevitabilmente questo dubbio ci riconduce alla spiegazione della vita al quid che crea la vita, alla domanda: cos'è la vita?
Una domanda alla quale neanche la scienza può offrire risposta. Lo Stato quindi non può valutare in maniera asettica e superiore il senso di questo dubbio, la realtà di queste domande. Piuttosto dovrebbe farle proprie ed ampliare sempre più le garanzie del diritto, soprattutto nei confronti dei più deboli e della vita ancora in formazione. La questione sollevata dalla Chiesa non è dunque meramente religiosa ma più coerentemente "civile": è un problema di natura universale che riguarda tutti gli uomini e riguarda il diritto.
Questo punto non è stato affatto toccato da Obama. Perchè? Perchè molto semplicemente il pregiudizio moderno prevede che la Chiesa non possa avere voce in capitolo su questioni "civili", ma debba occuparsi esclusivamente della salvezza delle anime. Perciò sulle staminali si preferisce affidarsi al responso super partes della scienza o meglio alle necessità "evolutive" della scienza stessa, quasi che il metodo scientifico sia depositario di una verità assoluta e preminente rispetto a quella della fede o dello spirito in generale.
Questo assunto è erroneo, perchè sebbene la scienza consenta l'analisi della realtà e rappresenti un metodo cognitivo fondamentale, essa non è infallibile in quanto è e resta umana. E inoltre non esaurisce nella sua ricerca tutte le dimensioni dell'umano, ma si limita alla dimensione materiale, dando per scontata l'inesistenza di una dimensione spirituale dell'uomo che non è semplicemente dimostrabile in base al metodo scientifico. L'homo religiosus è dunque considerato una sottospecie dell'homo scientificus, un essere non pienamente consapevole della realtà e presumibilmente ottuso nella sua accettazione illuminata del progresso e delle potenzialità dell'uomo sul mondo.
E' questo l'elemento essenziale, il nodo gordiano del discorso. Se non si recide questo nodo, se non si smentisce l'illogica sicumera scientista ed illuminista di cui il discorso è imbevuto, si rischia di creare una società priva di coscienza critica e totalmente affidata alla certezza fideistica della nuova e superiore Chiesa scientista.
Non è poi un caso se Obama nell'attrarre l'uditorio dalla sua parte cerchi di descrivere il suo approccio al cattolicesimo sotto un profilo meramente solidaristico. La solidarietà, uno dei tre principi rivoluzionari alla base anche della carta costituzionale statunitense, è l'aspetto del cristianesimo più spiccatamente "civico". E' quindi ciò che rende il cristianesimo accettabile e condivisibile. Ma non è la sua Verità, è semplicemente una derivazione della sua Verità. Ecco perchè Obama accosta le principali religioni mondiali nel principio del "vedere nel prossimo un altro me stesso". Perchè si ritiene che il confronto fra le religioni del mondo sotto il profilo della Verità sia impraticabile e foriero di conflitti, mentre quello sulle loro conseguenze civili sia invece auspicabile e da incentivare.
E quando il Presidente propone un modello di dialogo sulle tematiche legate all'aborto lo fa partendo dal presupposto che vi siano posizioni inconciliabili su questo tema. Giusto. Tuttavia è alquanto ipocrita per chi ha proposto in maniera netta una legge estremamente abortista, presentarsi ad un uditorio cattolico e parlare di moderazione delle posizioni su questo tema. Anche perchè sia su questo punto, sia su quello delle staminali embrionali, sia su quello dell'eutanasia, il meccanismo di propaganda attiva esercitato dai fautori di tali pratiche prevede di combattere i cattolici o più in generale gli umanisti (ovvero coloro che hanno a cuore la difesa dei più deboli) con i loro medesimi principi.
Così nel caso dell'aborto si parla delle sofferenze morali della donna. In quello delle staminali, si parla delle sofferenze dei malati, in quello dell'eutanasia, delle sofferenze di chi è costretto ad uno stato vegetativo. Il conflitto etico non viene affrontato, ma annullato da un nuovo conflitto etico. Il vero problema è però che tutte queste tematiche sono proposte non come possibilità o dubbi attivi, bensì come certezze che i cattolici, piuttosto che tutti coloro che a prescindere dalla propria fede disapprovano questi atti, dovrebbero semplicemente ratificare. E non ci si pone il dubbio che, indipendentemente dal suo valore morale e relativo alla salvezza delle anime che ha per il cristianesimo, l'atto dell'aborto (come quello dello sfruttamento di embrioni o l'eutanasia) possa essere un crimine reale, quindi semplicemente un fatto che riguarda lo Stato in quanto garante della vita dei suoi cittadini.
Piuttosto si da per scontato l' "abbaglio fideistico" della Chiesa e dei suoi seguaci. Anche allorchè il Presidente richiama la sua reazione alla lettera del medico critico sulle parole da lui usate per definire gli abortisti sul suo sito web, Obama non fa che confermare questo approccio. Tanto più che tutto il discorso è un elenco di buone intenzioni sui metodi, senza alcun accenno ai contenuti ed alle ragioni che dovrebbero indurre i cattolici a rivedere le proprie posizioni.
Ecco l'astuzia: diffondere fumo sul futuro, sulla speranza, sulla solidarietà, ma mai affrontare le questioni che potrebbero costargli il ruolo di Messia della Nuova America.
In ultima analisi però Obama ha detto una cosa giusta: la Chiesa è proprio un faro e un crocevia. Il problema è che il crocevia non può essere attraversato senza guardare a destra e a sinistra, solo confidando nella bontà della propria strada, nè tantomeno si possono ridurre i problemi bioetici a dei conflitti interiori degli uomini religiosi.
Concluedendo quindi non possiamo fare a meno di evidenziare il tono potentemente moralistico e quasi clericale, da sermone della domenica, del discorso. Anche l'estremo riferimento alla natura di pescatori di ciascuno di noi (chiara allusione evangelica) non fa che rincarare il tono religioso tenuto dal Presidente, degno di un pastore che predica dal suo ambone. Ma forse non ci è ancora chiaro a quale Chiesa appartenga questo predicatore chiamato Barack Obama.