La questione del "subsistit in" dal sito Disputationes Theologicae

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Caterina63
00lunedì 22 novembre 2010 09:22

La questione del "subsistit in" e la natura della Chiesa Cattolica

 

 

 

La questione del "subsistit in" - la nota espressione usata in Lumen Gentium per definire la Chiesa Cattolica - ha fatto correre fiumi d’inchiostro, così come aveva "profetizzato" G. Philips, inducendo l’autorità ecclesiastica ad una serie di pronunciamenti esplicativi.

Questi interventi tuttavia lasciano ancora aperta la discussione, perché non sembrano giungere ad affermazioni dirimenti. Evitano infatti spesso di utilizzare un linguaggio scolastico e lasciano alcuni punti nell’oscurità.

Lo stesso recentissimo testo della Congregazione della Fede - "Responsa ad quaestiones de aliquibus sententiis ad doctrinam de ecclesia pertinentibus", del 29 giugno 2007 - pur facendo importantissime precisazioni e stigmatizzando i gravissimi errori scaturiti da interpretazioni eretiche del testo, conserva una certa ambivalenza espressiva sui limiti visibili della Chiesa cattolica.

In spirito di sottomissione alle future dichiarazioni infallibili che la Santa Sede vorrà emettere, ci permettiamo in questa sede di esprimere alcuni dubbi su alcune opinioni teologiche, con una serie di articoli sullo spinoso problema. Non è nostra pretesa risolvere la questione, ma avremmo raggiunto lo scopo se solo avessimo contribuito a sollecitare il dibattito teologico. Restiamo persuasi che tante deviazioni potrebbero essere corrette da un intervento dell’autorità suprema, come fra le righe è stato recentemente auspicato al recentissimo convegno di Tolosa “Vaticano II, rottura o continuità”. Con grande coraggio un teologo presente disse che quel "subsistit in" aveva causato ben sette interventi del Magistero[1]; nessuno di essi si è rivelato dirimente la questione.

Il primo intervento si riferisce ai rapporti fra la Chiesa cattolica e non cattolici in relazione alla salvezza.

I non cattolici sono "membri" della Chiesa secondo il Vaticano II ?

Don Stefano Carusi

Introduzione

«Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità» dice San Paolo a Timoteo (I Tim, 2,4); Dio ha stabilito, almeno di volontà antecedente, di sopraelevare gli uomini alla visione beatifica per mezzo della grazia. E’ Gesù Cristo che ha meritato per tutti gli uomini; per noi infatti ogni grazia salvifica non può che passare dall’unione vitale a Cristo-capo, sorgente di ogni grazia. Questa comunicazione alla grazia capitale di Cristo avviene per mezzo d’un legame con il Suo Corpo mistico, la Chiesa. "Extra ecclesiam nulla salus", dice l’adagio attribuito a San Cipriano, che vuole sottolineare quanto necessario sia il legame tra la Chiesa e la salvezza eterna. Ci si può legittimamente domandare come i non cattolici possano allora salvarsi; come possano partecipare della grazia di Cristo, senza essere semplicemente “extra Ecclesiam”.

I teologi, fin dall’epoca patristica, si sono a lungo interrogati sull’argomento con posizioni a volte differenti. In tempi recenti tuttavia, in ragione del dibattito sollecitato dal Concilio Vaticano II, si sono moltiplicate le tesi interpretative. Alcune di esse si sono rivelate, pur appellandosi a documenti magisteriali, gravemente eterodosse, come lamentato anche dalla Congregazione della Fede, al punto da sollecitare ulteriori interventi, che, per ammissione dello stesso Dicastero, non hanno carattere esplicativo - come può averne un articolo di teologia -, ma si concentrano sulla condanna di un punto erroneo[2].

Dal punto di vista della teologia speculativa tuttavia, è necessario ampliare il discorso e porre particolare attenzione alla visione teologica che sembra essere alla base dei pronunciamenti citati. La soluzione più o meno esplicitamente proposta verte intorno alla nozione di “ordinazione alla Chiesa” di ogni uomo, secondo diversi gradi di “ecclesialità”. Questa strada, in sé tradizionale, fu in parte ritracciata con innegabile genialità - ma non senza qualche ardita novità - dal card. Journet. Essa fa uso della dottrina metafisica della partecipazione per attribuire ad ogni uomo una certa “ecclesialità”, con graduazioni diverse. Al seguito di alcuni studi è ormai chiamata abbastanza correntemente teoria dell’ “ordinatio”; si cercherà di esporla brevemente in prospettiva storica e speculativa, ispirandosi alla brillante sistemazione filosofico-teologica di alcuni ecclesiologi della scuola del citato Cardinale di Friburgo. Le intuizioni offerte sono di estremo interesse, ci permettiamo tuttavia di far presenti alcuni dubbi su talune conclusioni, a proposito delle quali vorremmo proporre alcune distinzioni. Non sembra possibile infatti sottoscrivere che la Chiesa cattolica si identifichi con la Comunione dei santi, né affermare che il non-cattolico in stato di grazia sia un “membro in atto imperfetto” della Chiesa cattolica.

La prospettiva della salvezza degli infedeli prima e dopo il 1492

Fin dall’epoca patristica e medievale si discute della possibilità della presenza della fede infusa e della carità anche nel non battezzato, questa possibilità di giungere alla salvezza è ammessa e spesso chiamata "battesimo di carità"[3]. Più tardi San Tommaso sviluppa, soprattutto nella Tertia Pars, la teologia del "battesimo di desiderio"[4].

Secondo l'Angelico nel caso di un selvaggio nell'ignoranza invincibile, Dio potrebbe causare un’ispirazione interiore che darebbe a quest’uomo la possibilità di credere ciò che è necessario alla propria salvezza. La Provvidenza potrebbe anche inviare un missionario per una predicazione esteriore[5]
. Secondo Padre Torrell, quest’ultima prospettiva col suo carattere “estrinsecista”, sembrerebbe essere preferita da San Tommaso; la ragione di questa preferenza deriverebbe dal panorama umano di un’epoca ancora molto lontana dalle future scoperte geografiche[6]
. Il giudizio storico può essere controverso, ma si deve tuttavia convenire che, dopo il 1492, i teologi si trovano di fronte alla realtà di un gran numero di uomini, che per secoli non avevano potuto conoscere Gesù Cristo, né la sua opera redentrice, senza nessuna colpa da parte loro. L’ignoranza, innegabilmente invincibile e niente affatto voluta, di questi individui non potrebbe esser causa di dannazione per ciascuno di essi. Quest’epoca nuova pone ai teologi delle questioni pressanti, che non avevano inquietato altrettanto i maestri dell’epoca precedente.

Se si vuol sostenere anche per questi uomini, la possibilità di salvarsi, bisogna risolvere il problema del loro legame con la Chiesa, al di fuori della quale non vi è nessuna salvezza. Qual è stata l’“ecclesialità” di coloro che si trovavano in America prima dell’arrivo dei missionari ? In quali termini si può parlare d’ “ecclesialità”? Si potrebbe aggiungere che questo discorso non vale solo per i precolombiani, ma concerne anche certi nostri contemporanei, in effetti oggi si moltiplicano quanti ignorano Gesù Cristo senza colpa, persino nelle società d’antica cristianizzazione.

Una parte della scolastica[7], al seguito di San Roberto Bellarmino, nel tentativo di risolvere la questione aveva proposto una distinzione : ci sarebbe un’appartenenza al corpo della Chiesa, per il battezzato cattolico, sia esso giusto o peccatore, ma ci sarebbe un’appartenenza solamente all’anima della Chiesa, per il non cattolico in stato di grazia. Questa idea, che ebbe una certa fortuna negli studi successivi, resta tuttavia in certa misura poco soddisfacente.

In effetti la relazione trascendentale tra anima e corpo, rende poco chiara l’analogia proposta dal Bellarmino. Si obietta infatti che seguendo fino in fondo la logica di questa distinzione, si potrebbe ammettere l’esistenza di due Chiese, una visibile e una invisibile. Nella prospettiva filosofica tomista questa visione è difficile da accettare: nel quadro dell’ilemorfismo aristotelico, se si appartiene all’anima di qualcosa è perché si appartiene anche al corpo al quale l’anima è unita. L’intuizione del Bellarmino non è tuttavia da rigettare in blocco, si potrebbe infatti intravedere una certa analogia con ciò che dice San Tommaso nella Tertia Pars[8], ma a prezzo di numerose distinzioni.

L’epoca contemporanea

Pio IX, in epoca contemporanea, pone le basi per rilanciare la problematica con la chiara affermazione che Dio non può punire coloro che vivono rettamente e ignorano la Rivelazione senza colpa[9], ma ribadisce, data l'incertezza della loro situazione, che la necessità di entrare nella Chiesa Cattolica resta impellente[10].
 
In seguito Pio XII in Summi Pontificatus, parlando di coloro che non appartengono all'insieme visibile della Chiesa, parla di una certa unione, fondata sui legami di carità o di fede infuse ("Nobis copulantur")[11], ma sulla natura di questo legame nulla di specifico è aggiunto.
Più tardi lo stesso Pontefice, trattando del problema in "Mystici Corporis", propone una distinzione tradizionale, ma con una formulazione specifica: coloro che hanno ricevuto il battesimo, professano la vera fede e sono gerarchicamente uniti al Papa, appartengono realmente alla Chiesa ("reapse")[12]; i dissidenti, invece, o i non cattolici in generale che hanno un sincero desiderio anche implicito ("inscio quodam voto")[13] di esser membri della Chiesa, devono esser considerati come "ordinati" al Corpo Mistico del Redentore ("ordinantur ad")[14].

La prospettiva di un legame ecclesiale desiderato, “in voto”, ritorna anche nella lettera all’Arcivescovo di Boston, precisando che “poiché si tratta dei mezzi di salvezza ordinati al fine ultimo dell’uomo”, è possibile che “ gli effetti salutari possano essere ottenuti, in certe circostanze, quando questi mezzi sono solo oggetto di voto o di desiderio. Questo punto è chiaramente stabilito dal Concilio di Trento, tanto a proposito del sacramento del Battesimo che a proposito della Penitenza”[15].

Gli effetti dell’appartenenza alla Chiesa possono essere applicati a colui che non è potuto divenire realmente - reapse - membro della Chiesa. E’ qui da mettere in valore il parallelo stabilito con il battesimo di desiderio, che, pur conferendo gli effetti del sacramento, non ne dona il “carattere sacramentale”. L’analogia utilizzata mette in parallelo l’appartenenza reale alla Chiesa, “reapse”, con la ricezione reale, visibile e fruttuosa di un sacramento (quindi con la res, il sacramentum e la res et sacramentum), ma mette in parallelo l’adesione di desiderio alla Chiesa - “in voto” - col desiderio inefficace di ricevere lo stesso sacramento (desiderio che può dare la “res” soltanto)[16]. Col desiderio si può ottenere la grazia, ma non la “visibilità” del rito battesimale né il “carattere” sacramentale. Si deve inoltre notare che il documento parla di questa unione "in voto" come la cosa in virtù della quale «qualcuno aderisce alla Chiesa»
[17]
. Il non battezzato può trovarsi in stato di grazia, dunque gradito a Dio, ma non per questo diventa un battezzato. Su questo punto di estremo interesse si tornerà in seguito.

I testi del Concilio Vaticano II

In più documenti conciliari è evocata la questione dell’unione alla Chiesa per coloro che non sono visibilmente uniti ad essa. I testi hanno il reale merito di sollevare dei veri interrogativi teologici, ma mancano spesso del rigore scolastico che in questi argomenti ci si aspetterebbe. L’espressione effettivamente è a volte vaga, tuttavia non sembra potersi affermare che il Concilio abbia detto in termini chiari che il non-cattolico in stato di grazia sia un membro “in atto” della Chiesa cattolica. E’ tuttavia vero che molto spesso lo lascia intendere, senza addurre ulteriori precisazioni teologiche.

Il n. 13 della costituzione Lumen Gentium (LG), che aveva per scopo “di esporre i principi d’unità e d’universalità del Popolo di Dio, prima di descrivere i diversi modi secondo i quali gli uomini sono legati al Popolo di Dio"[18], dà alcune indicazioni.

Si può leggere nel documento che “a questa unità cattolica del Popolo di Dio tutti gli uomini sono chiamati (vocantur) e a questa unità, in diversi modi essi appartengono o sono ordinati (variis modis pertinent vel ordinantur)”. Il principio è sviluppato al n. 16 dello stesso documento «coloro che non hanno ancora ricevuto il Vangelo sono in diversi modi ordinati al Popolo di Dio».
 
Al numero 14 si precisa che sono pienamente incorporati alla Chiesa, e per mezzo di essa a Cristo (“plene Ecclesiae societati incorporantur”), coloro che sono uniti visibilmente (“compage visibili”) nella professione della vera fede, nei sacramenti, nel legame gerarchico e di comunione, sottomessi al Romano Pontefice e ai vescovi a lui uniti. Alla fine dello stesso capitolo si fa menzione dei catecumeni, che chiedono espressamente di essere incorporati alla Chiesa (“ut Ecclesiae incorporentur expetunt”). E’ a questo titolo speciale di domanda esplicita di entrare nella Chiesa, che essi si uniscono in una maniera particolare al Corpo mistico (“hoc ipso voto cum ea coniunguntur »).
 
Il testo non precisa ulteriormente la natura di questa unione[19]. Il legame d’ordinazione è ancora sviluppato in LG n. 15, in cui l’ordinazione e la congiunzione sono previste sotto più aspetti: alcuni battezzati non cattolici in effetti conservano la Sacra Scrittura, la validità di certi o di tutti i sacramenti, il culto della Vergine Maria. Vi si afferma che in tali aspetti si possono rinvenire delle grazie attuali, che possono condurre, secondo le disposizioni del soggetto, ad essere uniti alla Chiesa in una comunione di benefici spirituali e di preghiera.

Questa unione è chiamata vera e profonda ("imo vera quaedam in Spirito Sancto coniunctio"), perché sembra riferirsi al legame ancorato nella grazia santificante. E’ in effetti un dogma di fede che ogni uomo in stato di grazia, anche non cattolico, è unito a Cristo, “Capo” della grazia, dal quale ogni grazia proviene. Commentando la lettera agli Efesini, San Tommaso dice : « Christus est caput omnium hominum (…) eorum qui uniuntur sibi per caritatem »[20]. Non si capisce tuttavia con chiarezza se il passaggio conciliare citato si riferisca solamente a quanto accennato o se voglia andare oltre, fino ad affermare che questa unione sarebbe sinonimo d’appartenenza alla società visibile costituita dalla Chiesa cattolica.

Unitatis Redintegratio (UR) al n. 3 dice che i non cattolici che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente il Battesimo, sono costituiti in una comunione imperfetta con la Chiesa cattolica ("cum Ecclesia catholica comunione, etsi non perfecta, constituuntur”). A proposito delle comunità cristiane separate e dei loro membri presi singolarmente, si aggiunge tuttavia che essi non gioiscono dell’unità che Cristo a dato solo alla Chiesa cattolica ("unitate illa non fruuntur").

L’ordinazione dei "cristiani separati" si fonda sul fatto che essi sono già in un certo modo legati alla Chiesa ("qui ad populum Dei iam aliquo modo pertinent"), ma ancora una volta la natura di questo legame non è specificata. Il testo continua precisando che la “piena incorporazione” è un bisogno che rimane malgrado questa unione ("plene incorporentur oportet"). Se questo bisogno permane significa che l’unione alla Chiesa non ha avuto luogo, la natura del legame citato è quindi debolissima, non essendo nemmeno sufficientemente specificato se, “aliquo modo”, si sta parlando o meno della comunione di grazia o di un’unione di altra natura[21].

L’ordinazione di ogni uomo alla Chiesa, anche di coloro che “non hanno accolto il Vangelo”, è analizzata in LG n. 16, in termini diversi e sotto un aspetto che si complica ulteriormente perché la distinzione non si concentra sui “non battezzati”, ma sulla mancata ricezione del Vangelo.

Il Catechismo della Chiesa cattolica ai numeri 836 e ss. riprende, sviluppandoli, i termini del Concilio, così come fa l’enciclica "Ut unum sint" del 1995.

Nel 2000 la dichiarazione "Dominus Jesus" sottolinea ulteriormente quest’aspetto di "ordinatio ad", distinguendo più nettamente una gerarchia d’ordinazione tra i cristiani separati. Per gli orientali si parla di una certa congiunzione alla Chiesa con l’uso del verbo "iunguntur" (n. 17), come in UR 14 e 15 ; riguardo le comunità sprovviste del sacerdozio e dell’eucarestia valida si parla di tensione verso la Chiesa “tendere ad” (n. 17), come in UR 22. Per i “non cristiani” si parla, al n. 20, di una possibile grazia di salvezza che viene da Cristo, di una relazione misteriosa con la Chiesa che non li introduce “formalmente”, ma rende tuttavia possibile la loro salvezza.

Il dato è molto interessante per l’uso del termine “formalmente”: se il termine è da intendere in senso tomista, colui che non è battezzato, benché abbia la grazia, non è considerato membro “in atto” della Chiesa cattolica. Lo stato di grazia non è sufficiente per rendere un uomo “formalmente” membro della Chiesa, lo rende membro “in potenza” per usare una terminologia che non è nel documento. Resta difficile, al seguito di tale giudizio, affermare che la Chiesa si identifichi con la Comunione dei Santi. In effetti l’uomo in grazia di cui si parla è fuori dalla Chiesa, ma ha la grazia, esso è quindi nella Comunione dei Santi. Il documento tuttavia non approfondisce la questione né sembra voler approfondire se anche per il battezzato non cattolico si possa utilizzare la stessa nozione di membro “in potenza”.

Questi documenti sembrano mettere l’accento sull’importanza di riconoscere in ogni uomo un legame con la Chiesa, secondo una partecipazione differente ai suoi benefici. In effetti Cristo sulla croce ha meritato a sufficienza e anche in abbondanza per la salvezza di tutti gli uomini; questo legame tra Cristo Redentore e l’uomo per essere efficace deve necessariamente passare per la mediazione della Chiesa. Bisogna quindi definire la natura di questo legame nel non cattolico, secondo gradi diversi, facendo appello alle nozioni di "ordine", “ordinatio”, “ordinare a”, così come i testi sembrano indicare, ma soprattutto – se si vuole evitare l’ambiguità e l’errore - secondo le nozioni di “atto” e “potenza”, con la maggiore chiarezza teologica che esse permettono.

[Fine della Prima Parte]




[1] Facciamo riferimento all’intervento orale di B.D. de la SOUJEOLE, Vocabulaire et notions à Vatican II et dans le magistère postérieur, in « Vatican II, rupture ou continuité », Congrés organisé par la Revue thomiste et l’Institut Saint Thomas d’Aquin, Toulouse 15-16 mai 2009, Atti in corso di pubblicazione.

[2] Congregazione Per la Dottrina della Fede, Articolo di Commento ai Responsa ad quaestiones de aliquibus sententiis ad doctrinam de Ecclesia pertinenti bus, Roma 29 giugno 2007.

[3] Questa prospettiva è evidente nell’autore del De Rebaptismate, 5, PL 3, 1238 ; S. Ambrogio ne parla nel De obitu Valentiniani, 62 , PL 16, 1375 ; S. Agostino ne parla nel De Baptismo, 4, 22,25, PL 43 173.

[4] S. Th., III, q. 68, a 2 corpus, q. 69, a. 4, ad secundum.[5] In III Sent., dist. 25, q. 2, qa 1, ad 1 ; J. P. TORRELL, Saint Thomas et les non-chrétiens, dans Revue Tomiste, T. CVII, n.1,2 janvier-juin 2006, p. 46.

[6] Ibidem, p. 42.

[7] Per uno status quaestionis cfr. I.B. FRANZELIN, Theses De ecclesia Christi, Romae, 1887, p. 379 e ss. T. ZAPELENA, De Ecclesia Christi, Romae 1954, t. II, p. 342.

[8] San Tommaso parla di una distinzione d’appartenenza mentaliter/corporaliter. Il catecumeno non apparterrebbe alla Chiesa anche in virtù della sua intenzione quindi mentaliter : S. Th., IIIa, q. 69, a.5, ad 1.

[9] H. DENZINGER (a cura di Peter Hunermann), Enchiridion symbolorum, Bologna 2003 (Denz.), n. 2866, 2867.

[10] Denz. nn. 2915, 2916, 2997, 2998.

[11] Lettera enciclica enciclica di S.S. Pie XII, Summi Pontificatus, 20 ottobre 1939, AAS 31 (1939), p. 419.

[12] Lettera enciclica di S.S. Pie XII, Mystici corporis, 29 giugno 1943, AAS 35 (1943), p. 202.

[13] Sul significato della formula e sul dibattito contemporaneo T. ZAPELENA, op. cit., t. II, p. 378 e ss.

[14] Ibidem, p. 243.[15] Denz., n. 3869.[16] B.D. de LA SOUJEOLE, Etre ordonné à l’unique Eglise du Christ, in Revue Thomiste, T. CII, n.1, janvier-mars 2002, p. 34.

[17] Denz., n. 3872.

[18] Relatio sul n. 13 della Costituzione Lumen Gentium, Acta Synodalia III/I, p. 200.

[19] Selon la distinction de Saint Thomas le catéchumène ne serait uni à l’Eglise que par son intention, donc mentaliter : S. Th., IIIa, q. 69, a.5, ad 1.[20] S. Th., IIIa, q.8, a. 3, corpus.[21] Sulla controversa interpretazione di Unitatis Redintegratio cfr: C. MOREROD, Unitatis Redintegratio entre deux herméneutiques, in L’Herméneutique de Vatican II, Actes du colloque organisé par l’ISTA à Toulouse les 15-16 mai 2009, Première Partie, Revue Thomiste, t.CX, n. 1, janviers mars 2010, p. 52-57, 68-70


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