La santità, il martirio la testimonianza dei Pontefici lungo la storia della Chiesa

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Caterina63
00giovedì 26 novembre 2009 19:30
Il profilo pastorale di Pier Francesco Orsini

Benedetto XIII (Papa domenicano)
(245° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1724 alla sua morte il 21 febbraio 1730)
e la santità dei Papi




Pubblichiamo quasi integralmente la conferenza tenuta dall'arcivescovo prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi giovedì 26 novembre a Roma, presso la Biblioteca Casanatense.



di Angelo Amato


Dando un fugacissimo sguardo alla lista dei Papi, si può rilevare come, soprattutto nei primi secoli, sono molti i pontefici martiri e santi. Tradizioni liturgiche e agiografiche della Chiesa di Roma considerano martiri tutti i successori di Pietro sino all'età di Costantino, e santi tutti quelli - ad eccezione di Papa Liberio (352-366) - sino al primo trentennio del VI secolo; e come santi sono tradizionalmente venerati altri 20 pontefici succedutisi sino al sesto decennio del IX secolo.

In questo periodo, quindi, su 105 Papi, compreso Pietro, sono venerati come santi ben 72 sommi pontefici. Si tratta di un'altissima percentuale di esemplarità evangelica, che ha dato frutti preziosi per la diffusione del Regno di Dio. Pur in mezzo a persecuzioni e conflitti politici e religiosi, i Papi, infatti, hanno edificato la Chiesa sia con il loro spirito missionario, dando grande impulso all'evangelizzazione dei popoli, sia con la loro personale santità, spesso testimoniata col martirio.

Dalla fine del primo millennio - e precisamente da san Niccolò I (858-867) - fino a Giovanni Paolo II, su 157 Papi soltanto sei figurano tra i santi e dieci tra i beati. I sei santi sono: sant'Adriano III (884-885); san Leone IX (1049-1054); san Gregorio VII (1073-1085); san Celestino V (5 luglio - 3 dicembre 1294); san Pio V (1566-1572); san Pio X (1903-1914). Tra Celestino V e Pio V, c'è un intervallo di 278 anni mentre tra Pio V e Pio X, l'intervallo è di 342 anni.

Ci sono stati, poi, numerosi riconoscimenti di culto da parte della Santa Sede. Ricordiamo, ad esempio, le conferme di culto di sei Papi, concentrate nell'ultimo trentennio del secolo XIX: quella di Urbano V (1870), di Eugenio III (1872), di Urbano II (1881), di Vittore III (1887), di Adriano III (1891), di Innocenzo V (1898).

A partire dalla canonizzazione di san Pio X, nel 1954, si nota un ritorno a una forte concentrazione di santità papale, con la beatificazione di Pio IX e di Giovanni XXIII, nell'anno duemila, e con l'introduzione delle cause di Pio VII, Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, il cui processo è stato iniziato a meno di due mesi dalla morte (2 aprile 2005).

Cosa dire di questa straordinaria serie di Papi esemplari? Si può avanzare un'ipotesi di lavoro.
La perdita del potere terreno ha svincolato i Papi da preoccupazioni eccessivamente temporali, per proiettarli verso la loro missione spirituale. Come nei primi secoli, anche il Novecento e il primo decennio del Duemila hanno posto alla Chiesa - sia con la crisi interna del modernismo, sia, soprattutto, con la devastante persecuzione del nazionalsocialismo e del comunismo - la sfida di una cultura atea, indifferente, relativista e sostanzialmente aliena al Vangelo di Cristo.

Le armi spirituali con cui i Papi hanno risposto a questa sfida sono state quelle della verità, della carità e della santità. Il loro magistero ha preso ispirazione e forza dall'annuncio di Cristo, verità e carità divina incarnata. Ma al magistero della parola essi hanno unito il magistero della loro vita personale. È stato il plusvalore della loro esemplarità virtuosa. Non sono stati solo dei maestri, ma anche dei testimoni. Non enunciano solo verità di fede, ma vivono di fede, di speranza e di carità. Ripercorrendo i loro volti, possiamo vedere che le loro diverse personalità esemplificano alcuni aspetti delle beatitudini evangeliche, come la mitezza, la misericordia, la giustizia, la pace, la fortezza nelle persecuzioni, la concordia tra i popoli.

Per questo, nella nostra società globalizzata e percorsa da forti pressioni di cultura atea e laicista, ai Papi oggi viene riconosciuto il ruolo di coscienza morale dell'umanità. Sono essi, infatti, a ricordare al mondo intero la dignità inalienabile della persona umana e della famiglia, richiamando le parole eterne dei dieci comandamenti e del Vangelo di Cristo.

Ma essi hanno risposto alle nostre società sempre più scristianizzate anche con il discernimento e il riconoscimento ufficiale delle virtù eroiche e della testimonianza martiriale dei fedeli. Nel 1867, ad esempio, Pio IX beatificò 205 martiri del Giappone, uccisi nelle persecuzioni tra il 1617 e il 1632. Pio X, nel 1906, beatificò le sedici carmelitane di Compiègne, ghigliottinate nel 1794, durante la rivoluzione francese. In questi ultimi decenni, martiri e confessori eroici della fede costituiscono una ricca galleria di santità cristiana. Giovanni Paolo II da solo ha proclamato oltre la metà dei beati e dei santi saliti agli onori degli altari negli ultimi quattro secoli. È una straordinaria testimonianza offerta dai fedeli ma anche dai pontefici romani, uniti tutti nella fedeltà eroica al Vangelo di Cristo.

In questo contesto, cosa dire di Benedetto XIII? La risposta è univoca. Tutti concordano - anche i suoi detrattori più palesi - nel riconoscerne la vita virtuosa, caratterizzata da un accentuato ascetismo fatto di povertà, penitenza e intenso zelo apostolico.
Pier Francesco Orsini nacque il 2 febbraio 1650, nel palazzo ducale di Gravina, in provincia di Bari. Era figlio primogenito di Ferrante degli Orsini, duchi di Gravina, e della duchessa Giovanna di Carlo Frangipani della Tolfa, la quale poi divenne monaca domenicana a cinquantadue anni, col nome di suor Maria Battista dello Spirito Santo.
Nonostante l'opposizione dei suoi parenti, il diciottenne Pier Francesco, nel 1668, emise la professione religiosa nell'Ordine domenicano, prendendo il nome di fra' Vincenzo Maria e rinunciando all'eredità e a tutti i suoi diritti a favore del fratello Domenico. Venne ordinato sacerdote nel 1671.

Nel 1672, a ventidue anni, fu creato cardinale, accettando tale nomina solo su insistenza del Maestro del suo Ordine e dello stesso Pontefice Clemente x. Nel 1675, fu nominato vescovo di Siponto (Manfredonia), in Puglia. Qui inaugurò il seminario, creò un ospedale per gli infermi e i pellegrini, abbellì la cattedrale. Nel 1680 fu trasferito alla diocesi di Cesena, dove riformò il clero e si distinse per l'efficacia del suo metodo pastorale e per la sua generosità.

Nel 1686 fu nominato arcivescovo metropolita di Benevento, al cui governo presiedette per 38 anni, anche - caso rarissimo - da Papa. Trovò una diocesi in piena decadenza. Il suo predecessore non vi aveva mai risieduto e la disciplina ecclesiastica, la religiosità e moralità pubbliche erano gravemente deteriorate, come disordinate erano le amministrazioni dei vari settori.

A ciò si aggiunse, nel giugno del 1688, un terribile terremoto, che devastò la città, provocando più di mille morti. Lo stesso Orsini uscì dalle macerie miracolosamente illeso. Ma si diede prontamente a organizzare i soccorsi, adoperandosi a sue spese per il restauro del duomo, del palazzo arcivescovile, dell'abbazia benedettina di Santa Sofia, del seminario e dell'acquedotto cittadino, colpiti dal sisma. Fondò l'Ospedale di San Diodato e il Monte Frumentario, che aiutava i braccianti a liberarsi dall'usura. Particolarmente precorritrice, in fatto di giustizia sociale, è proprio l'istituzione nel 1694 di questo Monte Frumentario, con una riserva iniziale di 1.000 tomoli di grano e di 12.663 ducati. Il suo fine era l'assistenza agli agricoltori poveri e lo sviluppo di altre iniziative benefiche, come il Monte dei pegni e il Monte dei maritaggi, che offriva annualmente le doti per le fanciulle povere (le elargizioni continueranno fino al 1925). Tutto ciò contribuì a stimolare lo sviluppo dell'economia agraria.

Le iniziative beneventane dell'Orsini sono impressionanti. È forse utile dare alcune cifre: visitò, personalmente o per commissione, quindici volte la diocesi di Benevento; consacrò 356 chiese e 1463 altari; organizzò due sinodi provinciali e numerosissimi diocesani; tenne più di quattromila prediche; fondò conventi domenicani e francescani; introdusse nell'arcidiocesi gli scolopi, i carmelitani scalzi, i chierici della dottrina cristiana, i chierici ministri degli infermi; fondò un Monte delle Fabbriche Ecclesiastiche, per finanziare la ricostruzione degli edifici distrutti o danneggiati nei due terremoti del 1688 e del 1702.

Lo storico Gaspare De Caro dà la seguente valutazione: "L'opera di riforma perseguita per quasi un quarantennio da Orsini nella provincia di Benevento difficilmente potrebbe essere sopravvalutata, se non nei risultati almeno nelle intenzioni e nella intensissima attività: prova che egli non fu così privo di esperienza delle cose amministrative e politiche e così dedito alle pratiche ascetiche, come poi fu spesso giudicato".

Il cardinale Orsini fu eletto Papa il 29 maggio 1724. "Andiamo a consumare il sacrificio!" così accolse con disagio la sua elezione, dopo un conclave durato quasi tre mesi. Era stato eletto all'unanimità, nonostante la sua contrarietà ad accettare sia per l'anzianità (aveva già 75 anni) sia per la scarsa conoscenza delle faccende di curia.

Scelse il nome di "Benedetto", che non era stato usato da tre secoli. Intendeva ricordare il beato Benedetto XI (1240-1304), domenicano, distintosi per umiltà e santità di vita. Papa Orsini era il quarto papa domenicano, dopo i beati Innocenzo V, Benedetto XI e san Pio V.

Il cardinale Juan Álvaro Cienfuegos, in una delle sue relazioni all'imperatore Carlo vi, nel corso del 1724, affermava che le intenzioni del nuovo Papa "sono rettissime e la vita sua lo canonizza per Santo". E continuava: "Non sono finzioni le opere di questo Papa, la cui politica è pura santità, non essendo egli avvezzo a trattare con doppiezza, ma bensì di lasciare scorrere dalle labbra ciò che nutrisce nel cuore".

Durante il suo breve pontificato, Benedetto XIII fu implicato, tra l'altro, nella controversia giansenista, che allora divideva il mondo cattolico. Due importanti prese di posizione concorsero a sbrogliare un poco l'intricata disputa teologica, che agitava quel periodo. Anzitutto il cardinale Ercole Andrea de Fleury, grande uomo politico e devoto alla Chiesa, intraprese diverse iniziative per essere fedele ai contenuti della Costituzione Unigenitus Dei Filius, emanata da Clemente XI nel 1713. In secondo luogo, anche l'arcivescovo di Parigi, il cardinale Louis-Antoine de Noailles, espresse la sua accettazione della Unigenitus, subito seguito dal Capitolo della cattedrale, dalla Sorbona e da alcune Facoltà teologiche.

Nel 1725 il Pontefice inaugurò il Concilio Provinciale Romano nella Basilica Lateranense, alla presenza di 115 padri. Il concilio durò dal 15 aprile al 29 maggio. Nei suoi decreti si ricordava ai vescovi il dovere della predicazione della parola di Dio e ai parroci l'impegno di istruire il popolo, di impartire i sacramenti, di visitare gli infermi, di dare esempio di vita virtuosa.
Sempre nel 1725, Benedetto XIII indisse il Giubileo, diciassettesimo della serie, disponendo che l'evento fosse celebrato senza sfarzo, ma in preghiera, penitenza e raccoglimento. Il Papa stesso si fece devoto pellegrino impegnandosi a visitare i carcerati, lavare i piedi ai poveri, confessare i fedeli.

Nell'ottobre del 1725 istituì una speciale Congregazione sull'Agricoltura, che doveva provvedere alla revisione del bilancio dell'Annona, alla concessione di crediti agrari e di esenzioni fiscali all'industria e al commercio, allo studio e realizzazione di provvedimenti atti a promuovere l'agricoltura, alla stipulazione dei trattati di commercio con altri Stati. Purtroppo l'economia dello Stato pontificio non si avvantaggiò molto di questa innovativa istituzione, per l'infedeltà di alcuni collaboratori.
Desideroso di annunciare il Vangelo alle terre lontane, Benedetto XIII promosse le missioni dei francescani in Messico, Perú, Cocincina e Cambogia; dei cappuccini nei Llanos, nel Bengala, nell'Indostan e nel Nepal; dei gesuiti nelle Indie sia Occidentali sia Orientali, dei domenicani nelle Piccole Antille.

Nel 1727 cercò di appianare il dissidio tra la Sede e gli Stati sardi, accordandosi con Vittorio Amedeo ii sulle immunità e la giurisdizione ecclesiastica. In tal modo si poté provvedere alla nomina per la sede arcivescovile di Torino, vacante dal 1713. Ovviamente, anche questo concordato fu criticato dal mondo politico romano, perché faceva concessioni in materia di immunità e di giurisdizione ecclesiastica.

A proposito della disputa sulle ordinazioni sacerdotali anglicane, intervenne condannando La Dissertation sur la validité des ordinations des Anglais, pubblicata in Belgio nel 1723, da Pierre François le Courayer, tesa a mostrare la validità di quelle ordinazioni.

Nel 1729, indebolito dai digiuni, dalle penitenze e anche dagli strapazzi, volle, ciononostante, tornare a Benevento per consacrare l'antica basilica di San Bartolomeo, ricostruita dopo i terremoti. Tornato a Roma, una fastidiosa influenza lo costrinse a letto. Estremamente debole, il 21 febbraio 1730, chiese il Viatico e verso le quattro del pomeriggio spirò serenamente. Il suo pontificato era durato cinque anni, otto mesi e ventitré giorni.

Benedetto XIII fu un Pontefice pio, semplice e rigoroso e lo si considerò subito in odore di santità. Infatti, nel 1755, fu depositato presso la Sacra Congregazione dei Riti, il "Processo Informativo", compilato nella curia vescovile di Tortona. Nella stessa diocesi si trova un altro processo, portato a termine nel 1931. Ciò costituisce una probante testimonianza della secolare continuità della fama di santità di Papa Orsini.

La vita di Papa Orsini si svolse tra la seconda metà del Seicento e il primo trentennio del Settecento, un periodo in cui, oltre alla controversia luterana e giansenista, era sempre in agguato lo spirito di prevaricazione dell'assolutismo regio. Nel frattempo si stava addensando la minaccia illuminista.

In questo contesto Papa Orsini, pur non trascurando il suo interessamento negli affari politici, privilegia l'aspetto pastorale e spirituale della sua missione.

È questa la sua vera identità. Egli volle essere la guida spirituale dei fedeli, più che un semplice sovrano temporale. Come tale, fu sollecito nella promozione della spiritualità e della purezza della vita religiosa, dell'amministrazione dei sacramenti e del decoro delle funzioni liturgiche. Si dice che, nei primi sei mesi di pontificato, abbia impartito tutti i sacramenti, come un parroco, e tutti gli Ordini, come un vescovo.
Questa sua intensa attività pastorale e liturgica, esercitata con zelo non disgiunto da cultura, fu essenziale per il rilancio della riforma cattolica. Anzi - a giudizio di Gabriele De Rosa - la cosiddetta "riconquista post tridentina" raggiunse la sua massima espressione proprio durante il pontificato di Papa Orsini e il concilio Romano da lui tenuto nel 1725.

Già durante i precedenti impegni episcopali, aveva attuato quegli indirizzi pastorali che avevano ottenuto unanime consenso: intensificazione delle visite pastorali e dei sinodi diocesani, cura della formazione del clero, condanna delle superstizioni, vigilanza sui beni ecclesiastici. Si ispirava in ciò alla Regula pastoralis di Gregorio Magno, e alle Visite pastorali di Carlo Borromeo.
L'attività pastorale dell'Orsini influì non poco sui ponderosi volumi dell'opera di Prospero Lambertini, De Synodo Dioecesana (Roma 1748). Per espresso incarico di Benedetto XIII, il Lambertini scrisse anche una istruzione sul dovere dei vescovi di recarsi a Roma, per riferire sullo stato delle loro diocesi, assolvendo così a quella Visitatio liminum apostolorum, così benemerita a tutt'oggi.

Anche per quanto riguarda la promozione dei santi il dinamismo di Papa Orsini non fu di secondaria importanza: "Pochi Papi - afferma il Pastor - hanno fatto tanto per il culto dei santi, quanto Benedetto XIII". Oltre ad alcuni beati, canonizzò undici nuovi santi: san Toribio de Mogrovejo, arcivescovo di Lima, san Giacomo della Marca dei Minori Osservanti di San Francesco, sant'Agnese di Montepulciano domenicana, san Pellegrino Latiosi dell'Ordine dei Servi di Maria, san Giovanni della Croce carmelitano scalzo, san Francesco Solano dell'Ordine dei Minori di San Francesco, san Luigi Gonzaga e santo Stanislao Koska gesuiti. Nel 1728 canonizzò santa Margherita da Cortona dell'Ordine Francescano e l'anno seguente san Giovanni Nepomuceno canonico della Chiesa di Praga, morto martire per non aver voluto violare il segreto della confessione. Sempre nel 1729 pubblicò il decreto di canonizzazione di santa Giuliana Falconieri.

Il suo innato senso di giustizia gli fece prendere misure apprezzabili in campo sociale, come, ad esempio, l'abolizione del gioco del lotto, maligna sanguisuga dei beni di persone poco sagge e troppo corrive. Si adoperò anche per alleggerire le imposte che gravavano sulle classi umili, soprattutto quelle sul macinato, sul vino e sulla carne. Con spirito preveggente, impose la separazione delle malattie infettive, fondando l'Ospedale di San Gallicano, riservato alla cura delle malattie della pelle; l'ospedale per disturbi nervosi; il penitenziario di Corneto per la riabilitazione dei detenuti.

Ovviamente queste iniziative attiravano l'accusa di compromettere il bilancio dello Stato. Tuttavia, il Muratori osservava, al riguardo, che un certo passivo del bilancio pontificio non era una cosa nuova: "Ne' tempi del Nepotismo niuno ardiva di aprir bocca; ma sotto sì umile Pontefice animosamente i ministri Camerali vollero [...] rappresentare lo stato delle cose, affinché dal di lui buon cuore non si aggiungessero nuove piaghe alle precedenti".
Non era assente nei giudizi poco lusinghieri l'astio che non pochi avevano nei suoi confronti per aver dato fiducia ai cosiddetti "Beneventani" e soprattutto a Niccolò Coscia, accusato di abusi e di illeciti guadagni. In realtà - come scrive Tobia Granieri - "sulla disonestà del Coscia ci sarebbe da discutere, e tutto il relativo discorso andrebbe inquadrato ed inserito nel panorama dell'opposizione di quelli che venivano estromessi dal potere e dal solito relativo maneggio di beni".

In ogni caso non si possono addebitare a Papa Orsini, totalmente assorbito dalla sua azione pastorale, eventuali colpe dei suoi collaboratori, nei quali aveva riposto la sua fiducia. La sua non fu debolezza o mancanza di prudenza, ma solo preferenza primaria al suo ministero spirituale e alla propria santificazione e a quella dei sacerdoti e dei fedeli.

Un giudizio sulla persona e sull'opera di Benedetto XIII fu dato da Papa Lambertini, uomo di ampia cultura giuridica e teologica e grande intenditore di santi: "Non sopportava, se non costretto dalla necessità, di separarsi dal suo amato gregge e di rimanerne a lungo lontano: ciò che dev'essere la principale cura del vescovo (...). Visitare ogn'anno una parte della diocesi; edificare o restaurare chiese magnifiche; consacrare altari per la celebrazione dei sacri misteri; stabilir pie confraternite; fondare ospedali pubblici ed ospizi per malati; sollevare i poveri, né solo con le rendite ecclesiastiche, ma il più spesso con denaro proprio; rompere alle anime affamate il pane delizioso della parola evangelica; radunare ora concili provinciali ed ora sinodi diocesani; pubblicare le leggi fatte negli uni e negli altri; amministrare egli stesso i sacramenti della confermazione; praticar le cerimonie della Chiesa; trovarsi assiduo a tutti gli uffici divini ed adempiere senza mai stancarsi tutte le funzioni del sacro ministero; tal era il suo piano di vita, tale fu sempre la sua pratica. Per tutto ciò, finalmente, si distinse egli tanto da trovarsene ben pochi che si possano a lui paragonare, e nessuno forse che abbia accoppiato sì gran pietà e zelo in tutto ciò che tocca il culto e il servizio divino".

È proprio la pastoralità la chiave più idonea per la comprensione della sua vita e della sua opera. Una pastoralità che, facendo leva sull'esemplarità della sua persona, mostra il lato spirituale eternamente valido del ministero petrino.

Papa Orsini, infatti, fu modello di vescovo, di cardinale e di Papa. Ineccepibile fu la sua condotta personale. Le sue passioni erano il Vangelo, il bene delle anime e lo splendore spirituale della Chiesa. La sua pastoralità non è un punto debole, ma un punto di forza della sua figura. Era una specie di Papa moderno, sgravato da eccessive preoccupazioni politiche e tutto dedito alla guida e alla istruzione del popolo di Dio. Anche per Papa Orsini, come per i Pontefici del nostro tempo, l'esemplarità della vita personale costituiva un supporto ineliminabile del suo magistero. Per questo la sua memoria resta in benedizione fino ai nostri giorni.



(©L'Osservatore Romano - 27 novembre 2009)


[SM=g1740733] alcune curiosità:

Il 7 marzo 1724 moriva Innocenzo XIII e si indiceva il quarto conclave al quale partecipava. Il consesso si aprì il 20 marzo, ma il 25 maggio ancora non si era raggiunto l'accordo. Rattristato, decise di fare una novena al santo a lui particolarmente legato (san Filippo Neri), affinché non tardasse l'elezione del nuovo papa. Prima che la novena fosse finita, vide con terrore che la persona sulla quale si convogliavano i voti maggiori era proprio lui. Tentò in tutti i modi di non farsi eleggere, ma non ci riuscì, e il 29 maggio 1724 fu eletto papa. Anche allora tentò di rifiutare, ma accettò quando si rese conto che un altro conclave avrebbe portato grossi problemi alla Chiesa cattolica. A malincuore obbedì e scelse in onore di Benedetto XI (papa domenicano), il nome di Benedetto XIV, che - però - in breve tempo corresse con Benedetto XIII, poiché Pietro de Luna che aveva già utilizzato tale nome tra il 1394 e il 1423 era scismatico, cioè antipapa.

Tra i suoi primi atti vi fu il rafforzamento della disciplina ecclesiastica. Impose una veste meno lussuosa e meno mondana ai cardinali. Durante il Giubileo del 1725 si dimise dalla carica di Gran Penitenziere e affermò che aveva seriamente pensato di ripristinare l'uso di penitenze pubbliche per alcune colpe gravi. Per favorire lo sviluppo di seminari diocesani, istituì una commissione speciale, la Congregazione dei seminari.

Durante il Concilio lateranense del 1725 , richiese un'incondizionata accettazione della bolla pontificia Unigenitus, nella quale si erano confutati tutti i principali fondamenti dell'eresia giansenista francese; e, sebbene con notevoli sforzi, riuscì a fare approvare tale deliberazione al cardinal de Noailles arcivescovo di Parigi nel 1728. Durante il pontificato visitò due volte la città di Benevento, della quale continuò - in via eccezionale - a dirigere la diocesi, mediante un vicario generale, negli anni 1727 e 1729.

Sempre nell'anno giubilare, inaugurò la scalinata di Piazza di Spagna a Roma, per congiungere la chiesa della Trinità dei Monti con la parte sottostante. Nel 1727 si impegnò per l'istituzione dell'Università di Camerino. Ebbe contrasti con il re del Portogallo, Giovanni V, che voleva nominare un cardinale di corona.

Uomo di grande cultura, fu un papa riformatore e si impegnò a porre un freno allo stile di vita decadente del clero italiano e dei cardinali. Fu l'ultimo membro della nobile famiglia Orsini a divenire papa.

Tutt'oggi la sua salma è conservata presso la Basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma.

Il comune di Gravina in Puglia ricorda il suo cittadino più illustre con una statua bronzea, posta nella piazza che porta il suo nome. Anche Benevento ricorda il suo secondo fondatore con una statua nella piazza intitolata a lui medesimo, antistante il Duomo.






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Caterina63
00martedì 19 giugno 2012 18:07

Beato Pio IX, "Il papa scomodo", di F. Cannone prefato da de Mattei

FABRIZIO CANNONE, Il Papa scomodo. Storia e retroscena della beatificazione di Pio IX, Ed. Ares 2012



Prefazione di Roberto de Mattei

L’8 febbraio 1878, don Giovanni Bosco scriveva: “Oggi alle 3.30 si estingueva il sommo e incomparabile astro della Chiesa, Pio IX. Roma è tutta in costernazione e credo lo stesso in tutto il mondo. Entro brevissimo tempo sarà certamente sugli altari” . (1).
Queste parole del santo piemontese riassumono i sentimenti del mondo cattolico alla notizia della morte di Giovanni Maria Mastai Ferretti, che con il nome di Pio IX aveva governato la Chiesa dal 1846 al 1878. Don Bosco era dotato di spirito profetico, ma la sua previsione sulla rapida canonizzazione di Pio IX si rivelò questa volta fallace. Fin dal 24 maggio 1878, giorno della festa, di Maria Auxilium Christianorum, i vescovi del Veneto indirizzarono al nuovo Pontefice Leone XIII, un’istanza canonica per avviare il processo di canonizzazione del defunto pontefice; molte furono le richieste che seguirono nel corso degli anni e dei decenni, ma fu solo nel 2000 che Papa Mastai, beatificato da Giovanni Paolo II, avrebbe iniziato la sua ascesa agli altari. Dopo la sua beatificazione si apre ora l’ultima fase, quella della canonizzazione, che gli darà ufficialmente il titolo di Santo.

La storia del processo di canonizzazione di Pio IX e della sua fama di santità è l’oggetto dell’approfondito studio di Fabrizio Cannone, frutto del suo dottorato di ricerca; uno studio che ci permette di dare all’iter processuale uno sguardo di insieme e ci offre nuovi elementi per una riflessione storiografica.
Segno di contraddizione durante tutto il suo lungo pontificato (1846-1878), Pio IX continuò ad esserlo anche dopo la morte. La traslazione delle sue spoglie da San Pietro presso la Basilica di San Lorenzo fuori le Mura, nella notte del 13 luglio 1881, suscitò reazioni furibonde. La processione notturna, a cui presero parte, oltre a numerosi prelati, uomini e donne del popolo, fu attaccata da facinorosi che tentarono di assaltare il carro funebre, per gettare al Tevere la salma di Pio IX. La notizia dell’oltraggio suscitò indignazione in tutto il mondo, non solo da parte dei cattolici, ed ebbe come conseguenza di accrescere la venerazione per il Pontefice. Il conte Giovanni Acquaderni, già in prima linea nella promozione del culto del Papa, prese l’iniziativa di erigergli un maestoso sepolcro nella basilica di San Lorenzo iniziando una raccolta di fondi su scala internazionale. È in questa sontuosa cappella che ancora oggi riposano le spoglie di Papa Mastai.
Papa Leone XIII non lesinò gli elogi pubblici al suo predecessore, ma malgrado l’aumento della devozione popolare e le numerose richieste, si mostrò reticente ad aprire la causa di canonizzazione, anche per non inasprire lo scontro con il nuovo Stato italiano. Non parve invece esitante san Pio X il quale, nel 1904, cinquantenario del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, promosse le inchieste preliminari sulla fama di santità (virtù in grado eroico e miracoli) del proprio predecessore e il 7 dicembre 1907 ne introdusse il processo di beatificazione.

Papa Sarto aveva abolito il “non expedit” piano, a cui si era attenuto anche Leone XIII, ma la sua linea di governo, per la chiara impostazione “religiosa”, ben diversa da quella “diplomatica” del predecessore, esprimeva una forte continuità con il pontificato di Papa Mastai. Mons. Antonio Cani, primo postulatore, registra l’universale fama di santità che da trent’anni circondava il Pontefice, “il che conferma anche meglio che la venerazione goduta dal Servo di Dio in vita era diretta alla santità, più che alla dignità che lo rivestiva” (art. 387) (2); e, come rileva Cannone, sembra esprimere una velata critica a Leone XII, affermando che “era riserbata al sovrano Pontefice regnante, erede del nome e delle virtù del gran Pio, la gloria di gettare la prima pietra per la piramide da innalzarsi a la santità di lui” (art. 395) (3) .

Il processo romano, detto ordinario, iniziato nel 1907 durerà sino al 1922, mentre accanto ad esso furono istruiti i processi regionali, detti rogatoriali, nei luoghi dove Pio IX visse e operò: a Senigallia dal 1908 al 1915, a Spoleto nel 1916, a Imola dal 1908 al 1916, a Napoli dal 1907 al 1913. Nel complesso si trattò di 243 testimonianze “de visu vel de auditu a videntibus”, tutte cioè di persone che avevano avuto rapporti col Servo di Dio o conservavano il ricordo di testimoni diretti, rilasciate da ecclesiastici e da non pochi laici. L’enorme materiale raccolto confluì quindi nei dodici poderosi volumi della Positio.
L’impulso dato da Pio X alla Causa di Papa Mastai si attenuò però sotto i suoi successori Benedetto XV e Pio XI. Non era in discussione la santità di Pio IX, ma l’opportunità politica di un gesto pubblico e solenne quale era e rimane la beatificazione di un Servo di Dio che abbia svolto un ruolo pubblico. Pio IX, pur italianissimo, era il Papa dell’“antirisorgimento”, mentre il Fascismo si presentava come una “Rivoluzione nazionale” che proprio nel Risorgimento gettava le sue radici. La beatificazione di Pio IX sarebbe apparsa un atto pubblico che avrebbe nuociuto al nuovo clima di collaborazione tra la Santa Sede e il Regime fascista.
Nel 1927, don Luigi Orione fu chiamato ad affiancare mons. Antonio Cani come Vice-Postulatore della causa di Pio IX. Alla morte di mons. Cani, però, il sacerdote di Tortona non fu nominato Postulatore, come molti si aspettavano, proprio perché, in concomitanza con la avvenuta Conciliazione, l’11 febbraio 1929, la causa fu nuovamente sospesa per volontà di Pio XI.
Don Orione continuò a promuovere la devozione verso Pio IX: ne parlò, ne scrisse, ne raccolse e diffuse le reliquie. Parlando ai novizi di Villa Moffa, il 4 dicembre 1937, spiegava le difficoltà che aveva incontrato, e stava incontrando la Causa di Pio IX con l’intervento del demonio: “La Causa di Beatificazione di Pio IX ha avuto un arresto. Il demonio tenta di impedire che la Causa di Beatificazione continui, perché non vuole la glorificazione del Papa dell’Immacolata”.

Fu sotto Papa Pio XII, dopo la guerra, che la causa riprese slancio, con la pubblicazione delle Positiones e del Decreto di Introduzione della Causa, emanato il 7 dicembre del 1954, a firma del cardinale Amleto Cicognani (AAS, XXII (1955) (4)). Questa fu celebrata dal 1955 al 1956 con 1’escussione d’altri 19 testi sulle virtù e sui “miracoli” di Papa Mastai. Il nuovo postulatore mons. Alberto Canestri, pubblicò un ragguaglio di ben 133 “miracoli” attribuiti all’intercessione del Servo di Dio Papa Pio IX. Ancora sotto Pio XII apparvero il Decreto sul non-culto (18 febbraio 1955) e il Decreto sulla validità del processo apostolico (15 maggio 1957). I1 25 ottobre 1956 ci fu un altro dei previsti adempimenti: l’esumazione e il riconoscimento della salma. Il corpo fu trovato intatto ed il fatto fu rilevato anche dai rappresentanti della stampa presenti.
Quando nel 1962 uscì la Nova Positio super Virtutibus, a cura del cardinale Ferdinando Antonelli, Pio XII era morto e gli era succeduto Giovanni XXIII, che sembrò manifestare interesse per la prosecuzione del processo di canonizzazione, autorizzando la presentazione della Causa davanti alla Congregazione preparatoria, il cui “Decretum ad ulteriora” fu emesso il 4 luglio del 1963, un mese dopo la morte del Papa, a cui era intanto succeduto Paolo VI. Sotto Papa Montini, il processo di canonizzazione di Pio IX conobbe però un nuovo rallentamento e sembrò arenarsi.

Al cardinale Gaetano Aloisi Masella successe come Ponente, o Relatore Generale il cardinale Francesco Carpino e al cardinale Antonelli, come Promotore della Fede, il padre Raffaele Perez Fernandez. Dopo che quattro cardinali (Pietro Parente, Sergio Guerri, Umberto Mozzoni e Pietro Palazzini) il 6 novembre 1973 inoltrarono una supplica al Papa Paolo VI perché disponesse la ripresa della causa, il padre Perez, sollecitato ancora dai card. Palazzini e Parente, fece conoscere le 13 obiezioni emerse durante le sedute antepreparatoria e preparatoria. Nella sua relazione del 19 aprile 1974, padre Perez afferma tra l’altro che “si rimane perplessi dinanzi alle incalcolabili conseguenze negative che derivarono per la vita della Chiesa in Italia dalla politica di irriducibile intransigenza alle aspirazioni italiane di unificazione e indipendenza nazionale e del non aver riconosciuto l’irreversibilità del fatto storico: una ‘miopia collettiva’ da cui non andò immune il Pontefice” (5).
La relazione si conclude con queste significative parole: “Si teme, da parte di alcuni Padri, che i tempi non siano ancora maturi, e che una eventuale glorificazione del Servo di Dio, pur tanto insigne e benemerito per la Chiesa, possa scatenare una nuova campagna da parte di liberali e altri anticlericali; potrebbe anche (a giudizio di alcuni) suonare biasimo alla giusta linea successivamente instaurata e promossa, non sempre corrispondente alla linea di pensiero e di azione segnata da Pio X” (6).

La posizione dubbiosa di padre Perez sembra riflettere quella di Paolo VI, che nel primo centenario della morte di Papa Mastai, commemorò il suo predecessore con una Messa solenne celebrata in San Petro il 5 marzo 1978. In questa occasione Paolo VI affermò però che la complessità dei fatti che si verificarono e i problemi che si posero nel corso del pontificato di Pio IX rendevano necessario “un ulteriore periodo di decantazione, perché la prospettiva si allarghi, perché si faccia maggior luce, perché si comprendano meglio gli avvenimenti e le loro motivazioni più profonde e più vere, in modo che, fugato ogni residuo di passionale animosità e di pregiudizio, la personalità di questo Pontefice possa emergere nella sua dimensione di autenticità umana, di irradiante bontà e di esemplare virtù” (7).

Altrettanto riduttiva fu la posizione dell’Avvocato della Causa, lo svizzero Carlo Snider, nominato nel novembre del 1976, secondo cui, per portare avanti con successo il Processo di Pio IX era necessario ammettere gli “errori” del Pontefice, anche se questi errori non avrebbero invalidato né il suo magistero né la sua ricerca di santità. “Pio X si è comportato con assoluta rettitudine di animo e propositi, e (…) questa rettitudine non è venuta meno neppure quando, per motivi indipendenti dalla sua volontà, il Papa ha seguito un indirizzo pratico rivelatosi poi poco opportuno” (8). Si trattava della nuova linea “post-conciliare”, che cercava di evitare ogni occasione di “scontro” tra Chiesa e mondo. Per gli stessi motivi, come mi confermò in un colloquio privato il Cardinale Palazzini, allora Prefetto della Compagnia per la Causa dei Santi, venivano bloccate le cause di beatificazione dei martiri della Rivoluzione Francese e della Guerra di Spagna e veniva rinviata quella del servo di Dio Carlo di Asburgo.

La difesa di Pio IX, in quegli anni in cui era difficile difendere l’ortodossia della fede, si deve soprattutto al postulatore mons. Alberto Canestri (1882-1970) e poi a mons. Antonio Piolanti (1911-2001), che ne raccolse l’eredità. Mons. Canestri pubblicò dal 1954 fino alla morte il bollettino “La Voce di Pio IX”, in cui, contro le nterpretazioni “minimaliste” che si facevano strada, non esitava a rivendicare la dimensione, anche pubblica, della figura di Pio IX. Nell’ultimo numero della sua pubblicazione, in un articolo, opportunamente ricordato da Cannone, dal titolo “Non spostiamo i periodi della storia" mons. Canestri indirizzava una “Lettera aperta ai cattolici che in una festa del 1970 si piegassero ad uno dei troppo opportunissimi adattamenti e ad un ecumenismo non religioso ma politico e mi volessero presentare un Pio IX in semplice mitra senza il vecchio triregno di sovrano temporale e padre dei popoli e principe dei suoi giorni (…) Questo è il Pio IX che non poteva essere assolutamente diverso il 20 settembre 1870! Non me lo cambiate in minigonna, in calzoni nel 1970! Nessun me lo camuffi da vessillifero che, cambiata la sua bandiera bianca e gialla, si era preso il tricolore. Questo sarebbe più sacrilego della invasione del 20 settembre: dipingere calunniosamente un Pio IX non Pio IX. Facciamone il santo coerente a sé stesso. Progressisti fate almeno un esame di coscienza, non dico sulla vostra fede, della quale ormai mi fate tanto dubitare, ma sulla virtù naturale della sincerità” (9).
Nel primo numero dell’ultimo anno di vita del bollettino, parlando della commemorazione di Pio IX celebrata dall’allora mons. Pietro Palazzini, si dice che “il venerando mons. Alberto Canestri (…) era rappresentato da mons. Antonio Piolanti, segretario della Pontificia Accademia Teologica Romana” (10). Fu proprio mons. Antonio Piolanti, già Rettore della Pontificia Università Lateranense, ad essere nominato postulatore della causa il 31 maggio 1971 e a prendere il testimone di mons. Canestri portando avanti, come ricorda Cannone, “con analoghi intenti e simile sensibilità teologica, ma con ben altra competenza, coinvolgimenti e dimensione culturale, la difesa dell’eredità di Papa Mastai, fino al definitivo successo, ottenuto con la beatificazione nell’anno del Grande Giubileo, a cui il Piolanti (che morì l’anno seguente), pur nella sua avanzata vecchiezza, poté essere testimone”.

Fu a mons. Piolanti che si deve la creazione, nel 1972, della rivista quadrimestrale “Pio IX. Studi e ricerche sulla vita della Chiesa dal Settecento ad oggi”, che si affermò come una pubblicazione di alto livello culturale, arricchita dalla collaborazione di noti storici italiani e stranieri. Poco dopo, nel 1975, fece la sua comparsa il primo volume della collana Studi piani, fondata anch’essa e diretta dall’infaticabile Postulatore.
Con la morte di Paolo VI, nel 1978, cambiò il clima culturale e la causa di beatificazione riprese il suo corso. Poté aver luogo allora la terza congregazione, quella generale, che 1’11 dicembre 1984 si pronunciò affermativamente sulla eroicità delle virtù. Giovanni Paolo II ordinò che il decreto che attribuiva a Pio IX il titolo di venerabile, fosse reso di pubblica ragione il 6 luglio 1985. Il 15 gennaio 1986 la Consulta medica della Congregazione per le cause dei Santi attestò l’inspiegabilità naturale e scientifica della guarigione di Sr. Marie-Thérèse de St-Paul, carmelitana di Nantes, miracolosamente guarita da grave malattia ossea. Quando tutto pareva ormai pronto, nel 1987, un ultimo scrupolo portò alla costituzione d’una nuova speciale commissione di 7 membri, presieduta dal cardinale Alfonso Maria Stickler, che avrebbero dovuto pronunziarsi sull’opportunità della beatificazione. Al termine della quarta seduta, la commissione passò alla votazione: 5 membri di essa furono per il si, uno per il si con riserva, con un solo voto nettamente negativo, quello del gesuita Giacomo Martina, considerato peraltro il più autorevole storico di Pio IX: bastò questo per bloccare di nuovo, se pur momentaneamente, la felice conclusione d’un iter quasi centenario.

Il 21 dicembre 1999 Giovanni Paolo II promulgò il decreto sul miracolo e finalmente, il 3 settembre 2000, iscrisse solennemente nell’albo dei beati Pio IX, assieme a Giovanni XXIII, all’arcivescovo Tommaso Reggio, al prete Guillaume-Joseph Chaminade e al monaco Colomba Marmion. Di Pio IX, Papa Wojtyla disse in quell’occasione: “In iatmezzo agli eventi turbinosi del suo tempo, egli fu esemmpio di incondizionata adesione al deposito immutabile delle verità rivelate. Fedele in ogni circostanza agli impegni del suo ministero, seppe sempre dare il primato assoluto a Dio e ai valori spirituali. Il suo lunghissimo pontificato non fu davvero facile ed egli dovette soffrire non poco nell’adempimento della sua missione al servizio del Vangelo. Fu molto amato, ma anche molto odiato e calunniato” (11). Il 4 aprile del 2000 nella Cripta della Basilica di S. Lorenzo, venne effettuato il rito che precede ogni beatificazione e canonizzazione: la ricognizione dei resti mortali del ven. Pio IX. La salma apparve composta e perfettamente conservata, come era stata riscontrata nella precedente ricognizione del 1956.

La beatificazione di Pio IX suscitò numerose polemiche (12). Per alcuni settori del cattolicesimo progressista la beatificazione di Pio IX si poneva in discontinuità con il Concilio Vaticano II, da essi considerato come “evento fondatore” di una nuova ecclesiologia. Eppure, per giustificare le “novità” del Concilio e vincere le resistenze conservatrici questi stessi settori, negli anni precedenti, avevano invocato la tesi della “continuità” del Concilio con la tradizione precedente. Ora, una volta, acquisite le riforme, il Concilio veniva presentato come come un “punto di non ritorno”. “Globalmente – affermava Giuseppe Alberigo – il Vaticano II a proposito del rapporto chiesa-storia ha segnato una macroscopica inversione di tendenza rispetto all’orientamento prevalente nel cattolicesimo da almeno quattro secoli” . Nella misura in cui è stato “un evento di transizione epocale”, il Vaticano II, infatti, “da un lato (…) è punto di arrivo e di conclusione del periodo posttridentino e controversista, e – forse – dei lunghi secoli ‘costantiniani’; da un altro è anticipazione e punto di partenza di un nuovo ciclo storico” (14).

In questa prospettiva la beatificazione di Pio IX, il Papa del Sillabo e della infallibilità pontificia appariva come un inaccettabile “ritorno” a quella tradizione che si pretendeva definitivamente abbandonata. Significativo è quanto annotava sul suo diario, il 14 ottobre 1962, il padre Yves Congar. Dopo aver appreso “che la beatificazione di Pio IX è veramente stata presa in seria considerazione: il Papa la vorrebbe per stabilire un collegamento tra Vaticano II e Vaticano I”, Congar aggiungeva: “Più ci penso, più trovo che Pio IX sia stato un uomo meschino e rovinoso. È il primo responsabile dell’orientamento negativo che ha pesato per 60 anni sul cattolicesimo francese. Quando gli eventi lo invitavano ad abbandonare l’orribile menzogna della ‘Donazione di Costantino’ e ad assumere un atteggiamento evangelico non ha avvertito questa chiamata e ha sprofondato la Chiesa nella rivendicazione del potere temporale. Fu un atteggiamento che fa ancora sentire tutto il suo peso sulla Chiesa di oggi: un apparato pesante e costoso, grandioso e infatuato di sé stesso, prigioniero del proprio mito di grandezza temporale; tutto questo, che rappresenta la parte non cristiana della Chiesa romana e che condiziona, anzi impedisce l’apertura a un compito pienamente evangelico e profetico, tutto questo viene dalla menzogna della Donazione di Costantino. In questi giorni lo posso vedere in modo evidente. Nulla avverrà di decisivo finché la Chiesa romana non avrà COMPLETAMENTE abbattuto le sue pretese feudali e temporali. È necessario che tutto questo sia DISTRUTTO E LO SARA’” (15) . Queste sorprendenti parole del futuro cardinale ci fanno comprendere il clima arroventato di quegli anni e le cause delle polemiche che seguirono la beatificazione di Pio IX.

Avendo Giovanni Paolo II deciso la beatificazione, si trattava di ridurre la portata del pontificato di Pio IX, seperando in lui la dimensione privata da quella “pubblica”, presentandolo come santo sul piano personale ma politicamente sprovveduto sul piano pubblico.
Questo sdoppiamento di personalità della cultura liberale è privo di fondamento. Ogni gesto pubblico di Pio IX, anche politico e sociale, scaturì dalla sua profonda vita interiore e può essere compreso solo all’interno di una intima e corrente armonia fra vita interiore e vita pubblica. “Non esiste, infatti – ha ricordato mons. Gherardini, iltimo postulatore – un Pio IX politico diverso dal Pio IX Papa, ma il Papa Pio IX che trattò sempre la politica da Papa” (16). Il mito del “Papa liberale”, fu una indebita scomposizione dell’unità di personalità di Pio IX, del suo essere Papa e del suo agire da Papa.

Lo sforzo di Papa Mastai di conformare alla volontà di Dio ogni sua azione, pubblica e privata, è stato riconosciuto come eroico dalla Chiesa e confermato soprannaturalmente dal miracolo richiesto per la beatificazione. D’altra parte non possiamo dimenticare che Giovanni Maria Mastai Ferretti, come Vicario di Cristo e Capo della Chiesa universale, ha occupato la più alta carica visibile sulla terra all’interno del Corpo Mistico di Cristo. Il suo pontificato di 32 anni, non è stato una passeggera esperienza, ma il momento centrale e culminante della sua vita, ed è in tutte le sue espressioni che dobbiamo cercare le ragioni della sua santità.
La santità di Pio IX è legata dunque proprio all’esercizio del suo pontificato, al ruolo pubblico che egli svolse nella Chiesa universale tra il 1846 e il 1878. Egli è stato beatificato innanzitutto per la virtù eroica dimostrata nello svolgere le funzioni caratteristiche del Papa, che sono quelle di pascere, reggere e governare la Chiesa universale.
La beatificazione di Pio IX, il 3 settembre, non riguarda solo uno spicchio della personalità del Pontefice, ma tutto l’uomo, nella vita, negli scritti, nelle opere, passate al vaglio di una minuziosa e severa inchiesta canonica, culminata nel decreto con cui, il 6 luglio del 1985, Giovanni Paolo II decretava l’eroicità delle virtù di Giovanni Maria Mastai Ferretti, riconoscendogli il titolo di Venerabile.

La beatificazione del 3 settembre 2000 ha illuminato di nuova luce non solo gli atti culminanti del suo pontificato, come la proclamazione del dogma dell’Immacolata e l’indizione del Concilio Vaticano I, ma tutti i suoi gesti privati e pubblici: le riforme politiche, sociali e amministrative e il Sillabo, lo straordinario impulso missionario che impresse alla Chiesa e la rinascita culturale e morale del cattolicesimo nell’ottocento.

La beatificazione di Pio IX, avviata da san Pio X e realizzata da Giovanni Paolo II, assume perciò lo stesso valore della canonizzazione di san Pio X, realizzata da Pio XII: si tratta di un atto che, come ogni beatificazione e canonizzazione, implica una “politica religiosa”. Lo studio dell’iter processuale delle cause di beatificazione aiuta a comprendere non solo le figure dei beati e dei santi elevati agli Altari, ma anche la visione della Chiesa e della società dei Pontefici che li elevano.

Roberto de Mattei


___________________________
1. Giovanni Bosco, Epistolario, Torino 1955-59, vol. III, p. 294.
2. Processo romano per la causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio Papa Pio IX, Torre del Greco 1903.
3. Ivi
4. Ivi
5. Novissima Positio super virtutibus, Roma 1984, p. 13.
6. Novissima Positio super virtutibus, Roma 1984, p. 15.
7. Omelia in vol. XVI (1979=), pp. 179-187, riportata in OR, 7 settembre 2000).
8. Novissima Positio super virtutibus, p. 200.
9. “La Voce di Pio IX”, LXXXXIV (1970), pp. 1-2.
10. Ibidem , XCII (1970), p. 1.
11. Giovanni Paolo II, Omelia del 3 settembre 2000 in Insegnamenti, vol. XXIII/2 (2002), p. 309.
12. Cfr. l’articolo di mons. Brunero Gherardini, Pio IX. Una parola chiara, in “Divinitas” XLIV (2001), pp. 91-108, ora in Il beato Pio IX, cit.
13. Cfr. Giuseppe Alberigo, Transizione epocale?, nell’opera da lui diretta, Storia del Concilio Vaticano II, Il Mulino, Bologna, vol. 5, p. 614 (616-636).
14. Ivi, p. 631,
15. Yves Congar, Diario del Concilio, vol. I, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, pp. 152-153.
16. Brunero Gherardini, Il beato Pio IX. Studi e ricerche, Ed. Pro Verbo, Prato 2001, p. 239.

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