Lasciatevi abbracciare dai libri. Utilità e inutilità della Biblioteca

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Caterina63
00giovedì 8 gennaio 2009 23:36
Utilità e inutilità di una biblioteca

Lasciatevi abbracciare dai libri.
Parola di Efrem il Siro


di Cesare Pasini

Le biblioteche conservano i libri per l'uso di gruppi di persone che ne hanno bisogno. Così le biblioteche di università o di altri istituti scolastici vogliono dare un supporto agli studenti e ai loro  insegnanti;  le biblioteche di certe comunità  intendono  poi  anche conservare documenti e testimonianze legate alla vita di quella comunità.
E in modo analogo si possono pure pensare le biblioteche nazionali o cittadine o rionali, che cercano di servire a comunità meno caratterizzate ma ugualmente distinguibili in un territorio più o meno ampio.

C'è quindi un rapporto fra ogni biblioteca e i suoi utenti. Per precisare meglio questo rapporto utilizzerò un suggerimento che viene dalla Biblioteca Vaticana e un altro che prendo dall'Ambrosiana:  una biblioteca deve "servire" lo studente e lo studioso, ma anche facilitare il lavoro d'équipe. Non si dà valida ricerca senza la messa in comune di competenze e specializzazioni:  non si può infatti sapere tutto. Federico Borromeo all'inizio del Seicento fondò l'Ambrosiana costituendo un Collegio di dottori (in Vaticana ci sono gli Scrittori, ma lo scopo è analogo), perché studiassero e ricercassero ciascuno secondo la propria specializzazione ma unendo i risultati, come in un lavoro di équipe, non solo tra di loro ma con altri studiosi e ricercatori di svariata provenienza.
 
Ovvio che fosse necessaria una biblioteca per questo; la biblioteca raccoglieva insieme i volumi per facilitare un lavoro fatto insieme.
Le sale, in particolare l'originaria sala di lettura, erano poi arricchite da numerosi ritratti di uomini di cultura, di artisti, di governanti, di personaggi ecclesiali e di santi di tutti i tempi:  la comunione di ricerca con i contemporanei si allarga quindi nella comunione in spirito con i grandi del passato, di cui i libri parlano o che hanno essi stessi scritto quei libri.

La biblioteca quindi, anche quando non organizza una ricerca comune e sembra paga di distribuire i volumi ai singoli utenti in modo apparentemente individuale, con la sua sala di lettura dove ci si può fermare a leggere gomito a gomito, con il suo legame a un'istituzione scolastica e a una congregazione religiosa, con la sua indubbia caratteristica sociale, richiama in ogni caso che leggere, capire, studiare e ricercare, conoscere la realtà e accostarsi alla verità, non sono un affare individuale ma si muovono in un contesto di collaborazione e di condivisione, di confronto e di verifica, di comune raccolta dei frutti  e  delle fatiche:  comunque e sempre un intreccio  di più voci. La biblioteca dice "socialità".

È quindi utile sia per il suo servizio complessivo sia per il suo richiamo specifico alla ricerca comune. Ma qui possiamo finalmente passare alla domanda che sta alla base della nostra riflessione sulle biblioteche.
Il libro, di cui le biblioteche si compongono, è a sua volta "utile"? Altrimenti perché raccoglierlo nelle biblioteche e darsi da fare a utilizzarlo in un lavoro a più soggetti? Chi scrive i libri e ci permette di leggerli, ci aiuta a crescere? Come si rapporta il nostro crescere alla lettura dei libri? Anticipo subito che tocchiamo solo un aspetto delle molte questioni sottese a questa domanda, considerando il libro come aiuto alla conoscenza della realtà e come invito alla ricerca della verità:  elementi fondamentali per "crescere" nella vita.

Per affrontare questa ulteriore - fondamentale - domanda, mi rivolgo a un poeta del iv secolo, Efrem il Siro:  teologo cristiano che si esprime in una riflessione semplice, spesso comunicata attraverso immagini fresche e immediate. L'antichità cristiana - e classica - conosce il mondo latino e quello greco, e siamo stati invitati tante volte a non dimenticare il "polmone" greco-bizantino accanto a quello latino occidentale:  due polmoni, quindi, per esprimere un'unica tradizione culturale. Esiste tuttavia anche un terzo ambito (non possiamo dire un terzo polmone!), quello siriaco, estremamente vivo e originale, che completa gli altri due e che ha sviluppato una preziosa tradizione giunta fino a noi nelle comunità cristiane sire diffuse tutt'oggi nel Vicino e Medio Oriente (in Siria, in Turchia, in Iraq) e nella diaspora europea e americana.

Il teologo poeta Efrem il Siro è convinto che noi capiamo e conosciamo - e quindi cresciamo! - grazie a due libri che ci si squadernano dinnanzi:  il libro della natura e il libro delle Scritture. Ce lo spiega in alcune strofe del suo quinto Inno sul Paradiso:  "Tanto la natura quanto il Libro possono rendere testimonianza al Creatore:  la natura mediante il suo uso e il Libro mediante la sua lettura. Essi sono testimoni che giungono in ogni luogo, si trovano in ogni tempo, sono presenti in ogni ora".
Vuol dire che, se voglio capire, devo guardare, indagare anzitutto il libro della natura, che mi si squaderna dinnanzi ovunque e sempre; devo anche farne uso - rispettosamente - e così scoprirne le potenzialità. Giungerò allora a capire molte cose:  in ultima analisi arriverò a cogliere il Creatore, di cui la natura è opera e frutto.

Quindi la natura rende testimonianza al Creatore. Lo stesso lavoro fa il Libro:  Efrem pensa al libro delle Scritture, alla Bibbia, ma noi non facciamo un'applicazione indebita se pensiamo, in collegamento, anche a ogni libro che abbia qualcosa da dirci:  appunto il Libro ci farà conoscere e riflettere, pensare, intuire, agganciare elementi e provocare domande e suggerire risposte. Ci accosterà quindi alla realtà, ci provocherà a sondarla nella direzione della verità. Anche qui, in ultima analisi, ci condurrà a intuire e a scoprire il Creatore.

Se poi il Libro è quello delle Scritture Sacre, della Bibbia, il percorso è ancor più specifico e illuminante in quella direzione.

Nelle strofe seguenti Efrem descrive come si apre e si legge un libro:  precisamente come si aprono le prime pagine della Bibbia, cioè la Genesi con il racconto della creazione e la descrizione del paradiso terrestre.
Ma anche qui Efrem insegna qualcosa che vale per tutti i libri che si rispettino e per tutti i lettori che rispettano i libri. In queste strofe troviamo anche le immagini vive e simpatiche che solo un poeta sa suggerire. Infatti tutto si anima, anche le linee della scrittura che si aprono verso di me lettore in un gentile abbraccio, anche i versetti che si passano il testimone del racconto l'uno all'altro.

"Presi a leggere l'inizio di quel Libro e trasalii di gioia:  i suoi versi e le sue linee stavano a braccia aperte, e il primo, venutomi incontro desideroso, mi baciò protendendomi verso il suo compagno. Quando poi giunsi alla linea nella quale è descritta la storia del paradiso, essa mi prese e mi lanciò dal grembo di quel Libro al grembo del paradiso".
Vuol dire che il libro mi porta dentro nel suo contenuto, non mi lascia spettatore, mi coinvolge. A un certo punto non ho davanti il libro, ma sono entrato nel suo messaggio. Come?

"Mediante le linee, come per un ponte, occhio e spirito sono passati entrando insieme nel racconto del paradiso. L'occhio fece passare lo spirito mediante la lettura, e lo spirito, a sua volta, ha fatto riposare l'occhio dalla lettura:  una volta letto il Libro ci fu riposo per l'occhio e lavoro per lo spirito" scrive Efrem.

L'occhio scorre le parole fermandosi come alla porta, lo spirito (lo spirito di me lettore) varca la porta, e io entro nella narrazione del testo. Se poi il testo mi parla del paradiso, leggendo entro in paradiso:  "In quel Libro ho trovato sia il ponte sia la porta del paradiso, e passando vi entrai. L'occhio rimase fuori e il mio spirito entrò dentro. Presi a girovagare in esso senza Libro. Quella cima  è limpida, tersa, magnificente e bella. Il Libro  la chiama Eden perché è la cima di tutti i beni".

Quando l'occhio ha svolto il suo compito, lascia quindi il posto allo spirito, il quale ormai è entrato nel paradiso che è il contenuto del libro. Il libro non mi serve più, è diventato inutile. Era utile, insieme al libro della natura, ma ora è inutile perché ha svolto il suo compito.

Si potrebbe aggiungere un terzo "libro", che Efrem descrive altrove, e cioè il libro della storia. Pure questo libro insegna, anzi sa fare giungere il suo insegnamento persino a quanti non hanno voglia di leggere i libri scritti, in particolare le Scritture Sante con i loro ammaestramenti e le richieste di conversione che - ricordiamolo - sono lì a disposizione di tutti.
Per questo, ricorda Efrem nel terzo Inno su Nisibi, ai cittadini di Nisibi in quegli anni - precisamente nel 338, nel 346 e nel 350 - erano stati mandati tre assedi compiuti dai Persiani:  tre duri "libri" come avvertimenti da non dimenticare, grazie ai quali riflettere sulla realtà e comprendere la verità della vita.

"Le angustie da te subite siano come libri per le tue memorie! I tre assedi infatti possano divenire per te libri, affinché tu possa meditare ogni momento le loro storie. Poiché tu hai disprezzato di leggere nei due Testamenti la tua salvezza, proprio per questo Egli scrisse per te tre duri libri, affinché tu leggessi in essi le tue punizioni".

In altri termini, se non si leggono adeguatamente i libri, in particolare il libro delle Scritture, poi si dovrà leggere, magari penosamente, il libro della storia. Ma si può vedere anche questo approccio in senso positivo:  attraverso la storia, attraverso le esperienze della vita, mi accosto alla realtà e ancora una volta sono chiamato a inoltrarmi nella ricerca della verità; per non dire che la storia mi reca - attraverso la sua tradizione - il succo delle conoscenze antiche affidate allo spirito dei popoli, delle culture, delle religioni.

Grazie a Efrem il Siro abbiamo quindi intuito che esistono sia i libri veri e propri sia altri libri di conoscenza, quello della natura e quello della storia. Vuol dire allora che tutti insieme, in collaborazione, mi fanno crescere, e sarei certamente più povero se dal novero di questi tipi di libro ne escludessi l'uno o l'altro.

In un certo senso il libro scritto ha un ruolo prevalente:  è il libro vero e proprio a recarmi, spesso, anche le conoscenze del libro della natura e del libro della storia; ma in un altro senso debbo ricordare che se non contemplo direttamente la natura e non ascolto onestamente la storia antica e la mia attuale esperienza di vita, lo stare chino sui libri potrebbe rattrappirmi nelle molte conoscenze - pure nozioni - e non favorirmi lo sviluppo della crescita.

In ogni caso ogni libro mi è utile strumento, non è lui il vertice:  quando ha parlato al mio spirito, sarà poi il mio pensiero a procedere "senza libro" con un compito che è tutto suo e che valuta e riflette e discerne e accoglie:  solo allora quella Verità è diventata mia, è penetrata in me e io in lei. Crescere, mi pare, è questo processo complesso e completo, che non trascura nessuno di questi elementi.

C'è un ultimo passo avanti - o meglio verso l'Alto - da considerare. È ancora Efrem a suggerirlo nel suo primo Inno sulla perla:  per lui la perla è Cristo, il Verbo incarnato, il suo Regno, la fede, la Parola di Dio, l'Eucarestia. A questo punto quindi la riflessione è squisitamente cristiana, ma vale la pena di affrontarla per concludere senza aver trascurato nulla.

"Come la manna da sola saziò il popolo con i suoi sapori al posto dei sapori del cibo, così la perla saziò anche me, al posto dei libri, della loro lettura e della loro interpretazione"; come a dire che Cristo si sostituisce ai libri:  basta lui, visto che lui è tutto, è la Parola nella sua pienezza e completezza.

Viene in mente quell'episodio di cui è fatto protagonista ad Alessandria d'Egitto abba Serapione, sempre nel iv secolo. Vedendo un povero intirizzito dal freddo, gli diede la sua tunica rimanendo totalmente spogliato. A chi lo vide in quel modo con in mano il suo piccolo vangelo, rispose:  "Ecco chi mi ha spogliato".
Vedendo poi un poveraccio condotto in prigione per un debito, vendette anche il vangelo per riscattarlo. E anche qui, alla domanda dove fosse mai il suo piccolo vangelo, rispose:  "L'ho venduto e dato via per aver più fiducia in lui".

Nella trama abituale della vita queste narrazioni devono continuamente indicare la direzione, insegnare anche un distacco da tutto a favore di Cristo, ma senza far cadere in radicalismi estremi:  chi per principio buttasse i libri e si estraniasse dalla natura in cui vive e chiudesse gli occhi sulla storia e sulle vicende di questo mondo, rischierebbe semplicemente di smarrire la via che conduce a Cristo stesso, perché "ora" si giunge a lui per queste strade.

Però è vero che nel momento escatologico il libro delle parole e della natura e della storia dovrà lasciare il posto a Colui che riassume tutte le parole e tutti i pensieri e tutta la Verità, senza più bisogno di alcuna mediazione, quando Cristo sarà tutto in tutti (cfr Corinzi, 15, 28), e si chiuderanno per sempre le biblioteche e si lasceranno definitivamente i libri.

Curiosamente però in quel momento si apre ancora un libro:  il libro della vita (cfr Apocalisse, 5, 1-5; 20, 12). Quando il libro dell'Apocalisse ce ne parla, si richiama agli antichi registri che recensivano i nomi di quanti avevano ricevuto l'onore della cittadinanza romana:  li recensivano fino alla loro morte, poi i nomi venivano cancellati. Il libro della vita invece recensisce i nomi di quanti hanno vinto e superato la morte e sono per sempre stabili in questa nuova comunità:  infatti non saranno cancellati mai dal libro della vita.

Arrivati in fondo pensavamo di fare a meno del libro:  ci troviamo beatamente stabiliti per sempre proprio in un libro che non si deteriora; pensavamo che non sarebbero più state necessarie le biblioteche per coordinare la ricerca comune della Verità:  ci troviamo però tutti insieme accomunati non nelle scaffalature di un magazzino ma nelle pagine stesse dell'unico Libro della Vita.



(©L'Osservatore Romano - 4 giugno 2008)
Caterina63
00venerdì 6 maggio 2011 19:00
Videomessaggio di Benedetto XVI a Santo Domingo

Il compito
di un buon libro

 

Pubblichiamo una traduzione italiana del testo del videomessaggio che Benedetto XVI ha inviato in occasione dell'apertura della XIV Fiera internazionale del libro che è stata inaugurata il 4 maggio a Santo Domingo e resterà aperta fino a domenica 22.

Saluto cordialmente il Signore Presidente della Repubblica, le autorità presenti, i partecipanti all'atto inaugurale della quattordicesima Fiera Internazionale del Libro di Santo Domingo e tutta l'amata nazione dominicana. Ringrazio i responsabili di questa iniziativa per il cordiale invito che hanno rivolto alla Santa Sede a parteciparvi come ospite d'onore, proprio in questo anno in cui si commemora il quinto centenario dell'erezione canonica della diocesi di Santo Domingo, una delle prime tre in terra americana. Questo prestigioso evento darà senza dubbio l'opportunità a una moltitudine di persone di osservare un significativo saggio della produzione letteraria della Chiesa cattolica e il suo grande contributo alla cultura e al popolo dominicano, che si apprezza in figure come quella di monsignor Francisco Arnáiz e padre José Luis Sáenz, ai quali la fiera attribuisce un posto rilevante.

Diceva il Venerabile Papa Pio XII che il compito di un buon libro è educare a una comprensione più profonda delle cose, a pensare e a riflettere.
Dio stesso ha voluto che il Verbo assumesse la nostra debole natura per rendersi comprensibile e vicino agli uomini, e ha disposto che l'unica ed Eterna Parola divina si esprimesse, per ispirazione dello Spirito Santo, in parole umane che potessero essere plasmate in forma di libro affinché, attraverso le Sacre Scritture, potesse giungere a tutti la Buona Novella della Salvezza. Che Egli conceda a tutti di contribuire efficacemente a conservare e a diffondere anche la parte migliore dello spirito umano attraverso i libri, lascito perenne per tutti gli uomini. Chiedo all'Onnipotente di far produrre abbondanti frutti a questa Fiera del Libro e di benedire i figli e le figlie di questo Paese
.



(©L'Osservatore Romano 7 maggio 2011)
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Quella storia iniziata
cinque secoli fa

 

di FIDEL GONZÁLEZ
Pontificie Università Urbaniana e Gregoriana

La capitale della Repubblica Dominicana ospita quest'anno la "XIV Feria internacional del libro", il maggiore evento culturale del Centro America. La Santa Sede è quest'anno l'invitata d'onore del governo locale; Papa Benedetto XVI ha mandato come suo rappresentante il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, accompagnato da un nutrito gruppo di esponenti culturali vaticani, coordinato dal direttore della sezione americana del Pontificio Consiglio, padre Miguel Angel Reyes Arreguín, che ha lavorato all'allestimento del padiglione della Santa Sede in cui sono esposti libri sia originali che in facsimile, provenienti dai Musei Vaticani, dalla Biblioteca Apostolica e dagli Archivi Vaticani, come le prime bolle pontificie guardanti il Nuovo Mondo. La "Feria" si è aperta all'indomani della beatificazione di Giovanni Paolo II, che iniziò proprio da Santo Domingo il suo programma di viaggi missionari.

La storia cattolica americana è profondamente vincolata a quest'isola. La manifestazione si ricollega alla celebrazione del quinto centenario di un evento particolarmente significativo per la storia dell'evangelizzazione del Nuovo Mondo, l'erezione delle prime diocesi del Continente americano: Santo Domingo, La Vega e Puerto Rico nel 1511, da parte di Papa Giulio II, dietro richiesta del re Fernando il Cattolico di Spagna.
A partire da quel momento si consolidò "la chiamata evangelica, si fortificarono i cammini della fede e si aprirono le conoscenze e le forti chiamate in favore dei diritti delle genti" come ha sottolineato il ministro della Cultura dominicano nel suo discorso inaugurale, facendo sì che questo Nuovo Mondo fosse "al centro stesso della storia della salvezza".
Infatti, ha ricordato il ministro, precisamente in quell'anno, il 1511, il frate domenicano fra Antón de Montesinos, a nome dei suoi confratelli appena arrivati, pronunciò il famoso Sermone di Avvento difendendo i diritti dei nativi contro i soprusi degli encomenderos, in ciò che oggi viene riconosciuto come il primo "grido di denuncia" a favore dei diritti umani. Ci troviamo all'inizio di quanto porteranno avanti in seguito specialmente i domenicani e la Scuola di Salamanca di Francisco di Victoria (e che porterà alla "legislazione delle Indie" da parte della Corona spagnola).

La "XIV Feria internacional del libro" continuerà per tutto il mese di maggio: in cartellone ci sono più di 1579 incontri e conferenze, mentre i 655 espositori provengono da 33 Paesi diversi. Alla fine della cerimonia d'apertura il cardinale Ravasi ha tenuto un intervento sul valore della scrittura e del libro come "l'espressione più alta della mente e del cuore" (perché, come ricorda lo scrittore francese Daniel Pennac, "il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere"). Il presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura ha ricordato come il libro si trovi "al centro delle tre grandi religioni monoteiste" e che l'anima che regge la fede cristiana è "precisamente la Parola di Dio che si esprime nella Bibbia, termine greco che indica "i libri", chiamata anche la Sacra Scrittura per eccellenza. La stessa Bibbia - ha continuato Ravasi - presenta Dio come uno scrittore. Tanto è vero che le due tavole della legge divina che Mosè consegna a Israele sono state scritte dal dito di Dio".

Il cardinale Ravasi ha poi introdotto il video-messaggio inviato per l'occasione da Benedetto XVI. Questa celebrazione, ha sottolineato il Papa, potrà aiutare a mettere ancora in una luce più nitida il notevole contributo che la Chiesa ha dato alla formazione culturale dell'America con le sue numerose opere.


Il Papa ha ricordato le figure di due eminenti gesuiti spagnoli, ma dominicani di adozione, il vescovo Francisco Josè Arnaiz e il padre Josè Luis Sàez, educatori di generazioni di dominicani e notevoli scrittori, citando le parole di Pio XII:

"L'ufficio di un buon libro è quello di educare alla migliore comprensione delle cose, a pensare e a riflettere".

Dio ha voluto che l'unica Parola divina si esprimesse per ispirazione dello Spirito Santo con parole umane; la fede diventa sempre giudizio culturale e fattore di trasformazione della vita del popoli. Un chiaro esempio di questo è la storia dell'evangelizzazione in America Latina, iniziata proprio da Santo Domingo. Non risulta che nel 1492, quando Cristoforo Colombo arrivò a questo Nuovo Mondo sconosciuto agli europei, portasse con sé dei sacerdoti. Non ne aveva bisogno, in quanto si trattava di un viaggio di esplorazione o al massimo di un viaggio commerciale. Ma ben presto tutti si resero conto che si trattava di un mondo da evangelizzare e che servivano sacerdoti missionari che proclamassero la fede ad altri popoli. Un tema trattato esplicitamente nella lettera inviata da Colombo al re Fernando il Cattolico di Spagna il 14 marzo 1493.

La storia delle prime diocesi appartiene al processo fondamentale dell'evangelizzazione del Continente. Giovanni Paolo II nel suo primo viaggio a Santo Domingo concluse una sua omelia del "novenario di anni" precedenti al quinto centenario proprio con la preghiera che recitavano all'alba i navigatori di Colombo: "Benedetta sia la luce / e la santa Vera Croce / e il Signore della verità e la Santa Trinità / Benedetta sia l'alba / e il Signore che ce la manda / Benedetto sia il giorno / e il Signore che ce lo manda".



(©L'Osservatore Romano 7 maggio 2011)

Caterina63
00martedì 1 maggio 2012 14:01

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Il valore della buona lettura dal 1988





[SM=g1740771]

Caterina63
00sabato 27 aprile 2013 23:41

[SM=g1740758] Presentazione di Rino Cammilleri  dal suo Antidoti

TAMARO

Credo che la cifra di comprensione dell’ultima fatica di Susanna Tamaro stia tutta in questa citazione:
«Più l’esistenza quotidiana si faceva disarmonica, più io mi buttavo tra le braccia della mineralogia, della malacologia, dell’entomologia. E più le loro braccia mi accoglievano, più mi rendevo conto che dovevo invertire l’ordine delle domande. Non più: Chi comanda il mondo? Ma piuttosto: Da dove vengono la fisica, la chimica, la matematica? Da dove scaturiscono le leggi che permettono alle cose di esistere nella loro concreta stabilità? Stavano lì da qualche parte sospese nell’oscurità delle tenebre, in attesa che qualcuno si decidesse a usarle, o erano nate per caso?».
La risposta è nella seconda metà della citazione:
«La mia personale esperienza di persona alquanto disordinata mi suggeriva però il fatto che dalla casualità difficilmente poteva sorgere l’ordine. E allora? Dal caso potevano nascere forme perfette come la struttura elicoidale di una conchiglia?».
Ed ecco la conclusione, dettata dalla forza dell’evidenza:
«E quella struttura così sorprendente non conteneva forse in sé anche un altro principio, quello della bellezza? E la bellezza cos’altro era se non il soprassalto dello stupore? A un tratto c’è qualcosa che non mi aspetto e questo qualcosa colpisce direttamente il mio cuore. Ancora non lo sapevo, ma fin dal principio sono stata un’anima assetata di bellezza. E non sapevo neanche che la bellezza porta con sé, come discreta ancella, la sete di verità».

Susanna Tamaro, triestina, è autrice di una ventina di libri ma il suo successo più travolgente è Va’ dove ti porta il cuore, venduto in milioni di copie (oltre al film che ne è stato tratto e le traduzioni all’estero). La sua produzione, dopo essere stata in catalogo per vari editori, è recentemente approdata alla Bompiani, che ha mandato in libreria la sua ultima fatica: Ogni angelo è tremendo.
Si tratta di un’autobiografia in cui l’autrice racconta la sua infanzia difficile e gli eventi dolorosi che l’hanno segnata.
Parla di una bambina troppo sensibile e una famiglia divisa. Parla di un’infanzia in zone che hanno attraversato la grande storia e in cui la grande storia lasciato ricordi amari. Zone che hanno conosciuto, eccome, ambedue le guerre mondiali ma amano parlare solo della prima, perché i segni della seconda non si sono ancora rimarginati (e chissà se lo saranno mai). Parla anche del suo background familiare, mezzo ebreo e mezzo mitteleuropeo, mezzo italiano e mezzo austriaco. E poi degli anni «formidabili» a Roma, a studiare regia cinematografica e televisiva in un ambiente che aveva, allora, Marx o Trotzky come orizzonte unico e fisso.

Infine, dopo un curriculum di studi piuttosto arzigogolato ma segnato, tutto sommato dall’insoddisfazione, ecco l’approdo che potremmo dire “genetico” (Italo Svevo, celebre e celebrato scrittore triestino, era il padre di una sua prozia) alla letteratura e il successo. Il racconto narra di una vita complicata, di certo parecchio singolare, epperò segnata da quella assillante, talvolta disperata, ricerca del buono, del bello e del vero. Ciò per cui tutti, in fondo, siamo stati creati. Ma che un’abile scrittrice sa affidare alla parola scritta e farsi leggere quasi con avidità, “volendo vedere come va a finire” anche se già lo si sa.


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