Le Omelie del Papa nelle Messe Pontificie

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Caterina63
00domenica 17 marzo 2013 12:46



SANTA MESSA CON I CARDINALI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Cappella Sistina
Giovedì, 14 marzo 2013

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In queste tre Letture vedo che c’è qualcosa di comune: è il movimento. Nella Prima Lettura il movimento nel cammino; nella Seconda Lettura, il movimento nell’edificazione della Chiesa; nella terza, nel Vangelo, il movimento nella confessione. Camminare, edificare, confessare.

Camminare. «Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,5). Questa è la prima cosa che Dio ha detto ad Abramo: Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile. Camminare: la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa non va. Camminare sempre, in presenza del Signore, alla luce del Signore, cercando di vivere con quella irreprensibilità che Dio chiedeva ad Abramo, nella sua promessa.

Edificare. Edificare la Chiesa. Si parla di pietre: le pietre hanno consistenza; ma pietre vive, pietre unte dallo Spirito Santo. Edificare la Chiesa, la Sposa di Cristo, su quella pietra angolare che è lo stesso Signore. Ecco un altro movimento della nostra vita: edificare.

Terzo, confessare. Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio.

Camminare, edificare-costruire, confessare. Ma la cosa non è così facile, perché nel camminare, nel costruire, nel confessare, a volte ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino: sono movimenti che ci tirano indietro.

Questo Vangelo prosegue con una situazione speciale. Lo stesso Pietro che ha confessato Gesù Cristo, gli dice: Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non parliamo di Croce. Questo non c’entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la Croce. Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore.

Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti.

Io auguro a tutti noi che lo Spirito Santo, per la preghiera della Madonna, nostra Madre, ci conceda questa grazia: camminare, edificare, confessare Gesù Cristo Crocifisso. Così sia.  

 

Caterina63
00domenica 17 marzo 2013 22:15




SANTA MESSA NELLA PARROCCHIA SANT'ANNA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

V Domenica di Quaresima, 17 marzo 2013

[Video]

E’ bello questo: prima, Gesù solo sul monte, pregando. Pregava solo (cfr Gv 8,1). Poi, si recò di nuovo nel Tempio, e tutto il popolo andava da lui (cfr v. 2). Gesù in mezzo al popolo. E poi, alla fine, lo lasciarono solo con la donna (cfr v. 9). Quella solitudine di Gesù! Ma una solitudine feconda: quella della preghiera con il Padre e quella, tanto bella, che è proprio il messaggio di oggi della Chiesa, quella della sua misericordia con questa donna.

Anche c’è una differenza tra il popolo: C’era tutto il popolo che andava da lui; egli sedette e si mise ad insegnare loro: il popolo che voleva sentire le parole di Gesù, il popolo di cuore aperto, bisognoso della Parola di Dio. C’erano altri, che non sentivano niente, non potevano sentire; e sono quelli che sono andati con quella donna: Senti, Maestro, questa è una tale, è una quale … Dobbiamo fare quello che Mosè ci ha comandato di fare con queste donne (cfr vv. 4-5).

Anche noi credo che siamo questo popolo che, da una parte vuole sentire Gesù, ma dall’altra, a volte, ci piace bastonare gli altri, condannare gli altri. E il messaggio di Gesù è quello: la misericordia. Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore: la misericordia. Ma Lui stesso l’ha detto: Io non sono venuto per i giusti; i giusti si giustificano da soli. Va’, benedetto Signore, se tu puoi farlo, io non posso farlo! Ma loro credono di poterlo fare. Io sono venuto per i peccatori (cfr Mc 2,17).

Pensate a quella chiacchiera dopo la vocazione di Matteo: Ma questo va con i peccatori! (cfr Mc 2,16). E Lui è venuto per noi, quando noi riconosciamo che siamo peccatori. Ma se noi siamo come quel fariseo, davanti all’altare: Ti ringrazio Signore, perché non sono come tutti gli altri uomini, e nemmeno come quello che è alla porta, come quel pubblicano (cfr Lc 18,11-12), non conosciamo il cuore del Signore, e non avremo mai la gioia di sentire questa misericordia!
Non è facile affidarsi alla misericordia di Dio, perché quello è un abisso incomprensibile. Ma dobbiamo farlo! “Oh, padre, se lei conoscesse la mia vita, non mi parlerebbe così!”. “Perché?, cosa hai fatto?”. “Oh, ne ho fatte di grosse!”. “Meglio! Vai da Gesù: a Lui piace se gli racconti queste cose!”. Lui si dimentica, Lui ha una capacità di dimenticarsi, speciale.
Si dimentica, ti bacia, ti abbraccia e ti dice soltanto: “Neanch’io ti condanno; va’, e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11). Soltanto quel consiglio ti da. Dopo un mese, siamo nelle stesse condizioni… Torniamo al Signore. Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono. E chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere perdono, perché Lui mai si stanca di perdonare. Chiediamo questa grazia.

* * *

 Parole al termine della Santa Messa

A conclusione della Celebrazione Eucaristica, il Parroco di Sant’Anna in Vaticano, P. Bruno Silvestrini, O.S.A., e il Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano, Card. Angelo Comastri, hanno rivolto il loro saluto a Papa Francesco.
Quindi il Santo Padre ha concluso con queste parole:


Ci sono alcuni che non sono parrocchiani: questi preti argentini, uno è il mio vescovo ausiliare, ma per oggi saranno parrocchiani. Ma voglio farvi conoscere un prete che viene da lontano, che è venuto, un prete che da tempo lavora con i ragazzi di strada, con i drogati. Per loro ha aperto una scuola, ha fatto tante cose per far conoscere Gesù, e tutti questi ragazzi e ragazze di strada oggi lavorano con lo studio che hanno compiuto, hanno capacità di lavoro, credono e amano Gesù.
Io ti chiedo, Gonzalo, vieni per salutare la gente: pregate per lui. Lui lavora in Uruguay, è il fondatore del Liceo Jubilar Juan Pablo II: lui fa questo lavoro. Non so come oggi sia arrivato qua: lo saprò! Grazie. Pregate per lui.

 


Caterina63
00lunedì 18 marzo 2013 16:29

DOMANI MESSA DI INIZIO DEL MINISTERO PETRINO DEL VESCOVO DI ROMA

Città del Vaticano, 18 marzo 2013 (VIS). Questa mattina, il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi, S.I., ha dedicato il consueto briefing con i giornalisti a due temi in particolare: le prime udienze del Papa Francesco e la Messa di inizio del Ministero Petrino del Vescovo di Roma.

Padre Lombardi ha informato che il Santo Padre è in questo momento a pranzo con la Presidente dell'Argentina, Signora Cristina Fernández Kirchner, che ha ricevuto questa mattina nella Casa Santa Marta "in un incontro privato durato circa 20 minuti, per salutare successivamente gli altri membri della Delegazione argentina". Questa mattina alle 10:00, Papa Francesco ha avuto un incontro con il Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, e nel pomeriggio di ieri, ha avuto due incontri molto cordiali con il Vescovo di Albano, Marcello Semeraro e con il Padre Adolfo Nicolás Pachón, Preposto Generale della Compagnia di Gesù.

La Conferenza stampa è stata dedicata, soprattutto, a spiegare come si svolgerà la Messa di inizio del Ministero Petrino del Vescovo di Roma. "Questo è il nome giusto della cerimonia - ha detto Padre Lombardi - non è intronizzazione, né inaugurazione. Il Papa è, come Successore di Pietro, il Vescovo di Roma e la Chiesa di Roma, presiede le altre nella carità. Inoltre la celebrazione presenta molti simboli che ricordano il vincolo del Papa con San Pietro, quale suo Successore, iniziando dal luogo, la Tomba e la Piazza, che, secondo la tradizione, è il luogo del martirio di Pietro".

Il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede ha spiegato inoltre la disposizione delle persone in Piazza San Pietro e sul Sagrato: "Sul Sagrato a sinistra Arcivescovi e Vescovi (250 circa), ecclesiastici e Delegazioni di altre Chiese e confessioni cristiane. Sul Sagrato a destra le Delegazioni dei diversi Paesi guidate dai Capi di Stato, ministri e così via. Nel Reparto San Pietro: (a destra), le delegazioni delle altre religioni, ebrei e musulmani e altre religioni; poi sacerdoti e seminaristi (1200); nel Reparto San Paolo: (a sinistra) il Corpo diplomatico e altre autorità. Nel resto della Piazza le persone in piedi, senza biglietti. Si prevede la partecipazione di moltissime persone.

Il Papa lascia alle 8:45-8:50 la Casa Santa Marta e inizia con la jeep il giro fra la folla nella Piazza, nei vari reparti. Poi rientra verso le 9:15 nella Sacrestia presso la Pietà, per indossare i paramenti sacri. L'inizio della Messa è previsto alle 9:30.

La celebrazione inizia con l'ingresso del Papa in Basilica che si reca alla tomba di San Pietro, sotto l'altare centrale, mentre si odono gli squilli delle trombe d'argento e il "Tu es Petrus". Il Papa venera la Tomba di San Pietro insieme con i Patriarchi e gli Arcivescovi Maggiori delle Chiese orientali cattoliche (sono 10, di cui 4 Cardinali). Nei pressi della Tomba di San Pietro sono posti il Pallio, l'Anello e l'Evangeliario.

Successivamente il Santo Padre risale dalla Confessione al piano della Basilica e di qui muove la processione. Si cantano le "Laudes Regiae" (il Re è Cristo), con alcune invocazioni tratte dal documento del Concilio Vaticano II "Lumen Gentium". Si invocano poi i Santi, fra cui occorre notare in particolare, dopo gli Apostoli, i molti Santi Romani Pontefici, fino al più recente San Pio X. "Si pronuncia il nome soltanto dei Papi Santi, non dei Beati", ha precisato Padre Lombardi. La processione fa il suo ingresso sul sagrato della Basilica di San Pietro.

"Concelebrano con Papa Francesco - ha informato Papa Lombardi - tutti i Cardinali presenti a Roma, a cui si aggiungono i Patriarchi e Arcivescovi maggiori orientali presenti (6), il Segretario del Collegio Cardinalizio e due Padri Generali religiosi, quello dei Francescani Minori, Padre José Rodríguez Carballo - che è Presidente dell'Unione dei Generali - e quello dei Gesuiti, Padre Adolfo Nicolás Pachón, che è Vicepresidente dell'Unione dei Generali, La processione esce sul Sagrato. I concelebranti si dispongono dal lato di sinistra, davanti agli ecclesiastici non alle Delegazioni di autorità.

Prima dell'inizio della Messa hanno luogo i riti specifici dell'inaugurazione del Pontificato.

L'imposizione del Pallio, posto sulle spalle, fatto di lana di agnelli e pecore, ricorda il Buon Pastore che porta sulle spalle la pecora smarrita, quello del Papa ha croci rosse, mentre quello dei Metropoliti ha croci nere. È lo stesso che usava Benedetto XVI. "È imposto dal Cardinale Protodiacono Jean-Louis Tauran e dopo l'imposizione vi è una preghiera recitata dal Cardinale Protopresbitero Godfried Danneels".

La consegna dell'"Anello del Pescatore" (Pietro è l'Apostolo pescatore: "pescatore di uomini") è fatta dal Cardinale Decano, Primo dell'Ordine dei Vescovi, Cardinale Angelo Sodano.

L'ANELLO DI PAPA FRANCESCO

 

Città del Vaticano, 19 marzo 2013 (VIS). Di seguito riportiamo Informazioni sull'anello del Pescatore che da oggi Papa Francesco porterà al dito anulare della mano destra.

 

L'Arcivescovo Pasquale Macchi (morto nel 2006), Segretario particolare di Papa Paolo VI, conservava il calco in cera di un anello fatto da Enrico Manfrini per Paolo VI, che rappresenta Pietro con le chiavi. Manfrini aveva fatto diverse medaglie ed altri oggetti artistici per il Pontefice della "Populorum Progressio". L’anello non era mai stato fuso in metallo, e Paolo VI non lo aveva mai utilizzato, perché portava sempre l’anello fatto in occasione del Concilio Ecumenico Vaticano II.

 

L'Arcivescovo Macchi ha lasciato questo calco, insieme ad altri oggetti, a Monsignor Ettore Malnati, suo collaboratore per lungo tempo. Monsignor Malnati ha fatto fare dal calco in cera un anello di argento dorato, [SM=g1740733] che è stato proposto al Papa dal Maestro delle Cerimonie, Monsignor Guido Marini insieme ad altri possibili, grazie ai buoni uffici del Cardinale Re. Il Papa ha scelto questo anello, di argento e non d'oro, come suo "anello del Pescatore".



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"La 'obbedienza' è fatta da sei cardinali, due per ordine, fra i primi dei presenti. Ricordiamo che tutti i Cardinali elettori l'hanno già fatta nella Cappella Sistina alla fine del Conclave, e che tutti i Cardinali hanno potuto incontrare il Papa nell'udienza successiva nella Sala Clementina. Padre Lombardi ha precisato che in occasione della "presa di possesso della Cattedrale di Roma - San Giovanni in Laterano - che è la Cattedrale del Papa quale Vescovo di Roma - si prevede che l'obbedienza venga prestata da rappresentanti delle diverse componenti del popolo di Dio".

La Messa è quella della Solennità di San Giuseppe. Con le sue letture proprie (quindi non sono letture direttamente connesse al rito dell'Inaugurazione del Pontificato). Il Vangelo è annunciato in greco, come nelle solennità più grandi, per manifestare che la Chiesa universale è composta dalle grandi tradizioni di Oriente e di Occidente. "Il latino - ha detto Padre Lombardi - è già abbondantemente presente nella altre orazioni e parti della Messa".

Il Papa terrà l'omelia in italiano, ma "sappiamo che è nel suo stile mantenersi libero di aggiungere considerazioni in modo spontaneo".

"Si prevede che la durata della celebrazione non sarà più di due ore. Sempre per semplificare e non rendere il rito troppo lungo, non vi è processione offertoriale. Le offerte eucaristiche vengono portate all'altare dai ministranti che preparano l'altare. Non vi è distribuzione della Comunione da parte del Papa, ma da parte dei diaconi sul Sagrato e dei sacerdoti nei diversi Settori".

Riguardo alla musica è da notare che all'ingresso del Papa in Basilica si udranno squilli trombe di argento e il "Tu es Petrus". Canto delle "Laudes Regiae" nella processione dalla Tomba di San Pietro al Sagrato. Insieme di 14 Ottoni che suona in diversi momenti della celebrazione. All'Offertorio: Mottetto "Tu es pastor ovium - Tu sei il pastore delle pecore", composta da Pierluigi da Palestrina proprio per l'Inaugurazione del Pontificato. "Te Deum" finale a versetti alternati: gregoriano e melodia di Da Vitoria. Non è prevista la recita dell'Angelus perché la celebrazione si svolge di giorno feriale".

"Alla fine della celebrazione il Papa, deposte le vesti liturgiche, andrà davanti all'altare centrale della Basilica per salutare i Capi delle Delegazioni ufficiali dei diversi Paesi, che passeranno davanti a lui. Successivamente Papa Francesco si recherà alla Casa Santa Marta per il pranzo. Alcune Delegazioni che si fermeranno a Roma potranno incontrare il Segretario di Stato, Cardinale Tarcisio Bertone, S.d.B., e il Segretario per i Rapporti con gli Stati, Arcivescovo Dominique Mamberti, il mercoledì seguente (ad esempio la Presidente del Brasile Signora Dilma Rousseff in vista della Giornata Mondiale della Gioventù). Il Papa, come sappiamo, riceverà in udienza mercoledì le Delegazioni delle Chiese e comunità cristiane e delle altre religioni.

Le Delegazioni principali finora previste:

Chiese e confessioni cristiane: 33 Delegazioni, 14 Orientali; 10 occidentali, 3 organizzazioni cristiane; altri).

Segnaliamo la presenza del Patriarca ecumenico Bartolomeo I; Catholikos armeno di Etchmiadzin Karekin II; Metropolita Hilarion del Patriarcato di Mosca. Molti Metropoliti, Arcivescovo anglicano di York, John Tucker Mugabi Sentamu; il Segretario del Consiglio Ecumenico delle Chiese Fyske Tveit, e così via.

Importante Delegazione ebraica (16 membri: Comunità ebraica di Roma, Comitati Ebraici internazionali; Gran Rabbinato di Israele; World Jewish Congress; Anti-Defamation League). Saranno presenti anche Delegazioni musulmana, buddista, sikh, jainista.

Hanno annunciato la loro presenza Delegazioni di 132 Paesi di diversa ampiezza e livello.

"Le Delegazioni - ha informato Padre Lombardi - vengono a Roma in seguito a 'informazione' sull'avvenimento inviata dalla Segreteria di Stato, non vi sono 'inviti'. Tutti coloro che vogliono venire sono bene accolti. Nessuno è privilegiato o rifiutato. L'ordine dipende dal protocollo e dal livello della Delegazione. È importante che ciò sia ben chiaro".

Le delegazioni più significative sono quelle dell'Argentina, guidata dalla Presidente Signora Cristina Fernández Kirchner e quella italiana, guidata dal Presidente Giorgio Napolitano e dal Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti, con il Presidente del Senato, della Camera e della Corte Costituzionale.

Assisteranno 6 Sovrani regnanti (Belgio, Monaco). 31 Capi di Stato (Austria, Brasile, Cile, Messico, Canada, Polonia, Portogallo, Unione Europea). 3 Principi ereditari (Spagna, Olanda, Bahrein). 11 Capi di Governo (Germania, Francia, il Vicepresidente degli Stati Uniti d'America) e Delegazioni guidate da: First Ladies, Vicepresidenti, Viceprimi Ministri, Presidente di Parlamento, Ministri, Ambasciatori, altre personalità.

Infine Padre Lombardi si è soffermato sullo scudo del nuovo Pontefice, che è il suo stemma anteriore scelto fin dalla sua consacrazione episcopale.

Lo scudo blu è sormontato dai simboli della dignità pontificia, uguali a quelli voluti dal predecessore Benedetto XVI (mitra collocata tra chiavi decussate d’oro e d’argento, rilegate da un cordone rosso). In alto, campeggia l’emblema dell’ordine di provenienza del Papa, la Compagnia di Gesù: un sole raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere, in rosso, IHS, monogramma di Cristo. La lettera H è sormontata da una croce; in punta, i tre chiodi in nero. In basso, si trovano la stella e il fiore di nardo. La stella, secondo l’antica tradizione araldica, simboleggia la Vergine Maria, madre di Cristo e della Chiesa; mentre il fiore di nardo indica San Giuseppe, patrono della Chiesa universale. Nella tradizione iconografica ispanica, infatti, San Giuseppe è raffigurato con un ramo di nardo in mano. Ponendo nel suo scudo tali immagini, il Papa ha inteso esprimere la propria particolare devozione verso la Vergine Santissima e San Giuseppe.

Il motto "Miserando atque eligendo" (Con sentimento di amore e lo scelse), è tratto dalle Omelie di San Beda il Venerabile, commentando l'episodio evangelico della vocazione di San Matteo. Questa omelia rivesta un significato particolare nella vita e nell'itinerario spirituale del Papa. Infatti, nella festa di San Matteo dell'anno 1953, il giovane Jorge Bergoglio sperimentò, all’età di 17 anni, in un modo del tutto particolare, la presenza amorosa di Dio nella sua vita. In seguito ad una confessione, si sentì toccare il cuore ed avvertì la discesa della misericordia di Dio, che con sguardo di tenero amore, lo chiamava alla vita religiosa, sull'esempio di Sant'Ignazio di Loyola.




PAPI



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Caterina63
00martedì 19 marzo 2013 11:42


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SANTA MESSA
IMPOSIZIONE DEL PALLIO
E CONSEGNA DELL’ANELLO DEL PESCATORE
PER L’INIZIO DEL MINISTERO PETRINO
DEL VESCOVO DI ROMA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
Martedì, 19 marzo 2013
Solennità di San Giuseppe

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Cari fratelli e sorelle!

Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza.

Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.

Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato  il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 1).

Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l'amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù.

Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!

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La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!

E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.

Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!

E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!

Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!

Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio.

Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!

Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen.

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Caterina63
00domenica 24 marzo 2013 10:09
Domenica delle Palme 2013

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Città del Vaticano, 24 marzo 2013 (VIS). Di seguito riportiamo il testo integrale dell'omelia che il Papa Francesco ha pronunciato durante la celebrazione liturgica della Domenica della Palme e della Passione del Signore che ha aperto i riti della Settimana Santa. Nel ricordare la Giornata Mondiale della Gioventù che si celebra oggi in tutta la Chiesa, il Santo Padre ha esortato a vivere la fede "con un cuore giovane" ed ha affermato: "I giovani devono dire al mondo: è buono seguire Gesù".
 
"Gesù entra in Gerusalemme. La folla dei discepoli lo accompagna in festa, i mantelli sono stesi davanti a Lui, si parla di prodigi che ha compiuto, un grido di lode si leva: 'Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli' (Lc 19,38).
 
Folla, festa, lode, benedizione, pace: è un clima di gioia quello che si respira. Gesù ha risvegliato nel cuore tante speranze soprattutto tra la gente umile, semplice, povera, dimenticata, quella che non conta agli occhi del mondo. Lui ha saputo comprendere le miserie umane, ha mostrato il volto di misericordia di Dio e si è chinato per guarire il corpo e l’anima.
 
Questo è Gesù. Questo è il suo cuore che guarda tutti noi, che guarda le nostre malattie, i nostri peccati. È grande l’amore di Gesù. E così entra in Gerusalemme con questo amore, e guarda tutti noi. È una scena bella: piena di luce, - la luce dell’amore di Gesù, quello del suo cuore - di gioia, di festa.
 
All’inizio della Messa l’abbiamo ripetuta anche noi. Abbiamo agitato le nostre palme. Anche noi abbiamo accolto Gesù; anche noi abbiamo espresso la gioia di accompagnarlo, di saperlo vicino, presente in noi e in mezzo a noi, come un amico, come un fratello, anche come re, cioè come faro luminoso della nostra vita. Gesù è Dio, ma si è abbassato a camminare con noi. È il nostro amico, il nostro fratello. Qui ci illumina nel cammino. E così oggi lo abbiamo accolto. E questa è la prima parola che vorrei dirvi: gioia! Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti! E in questo momento viene il nemico, viene il diavolo, mascherato da angelo tante volte, e insidiosamente ci dice la sua parola. Non ascoltatelo! Seguiamo Gesù! Noi accompagniamo, seguiamo Gesù, ma soprattutto sappiamo che Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle: qui sta la nostra gioia, la speranza che dobbiamo portare in questo nostro mondo. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù.
 
Seconda parola. Perché Gesù entra in Gerusalemme, o forse meglio: come entra Gesù in Gerusalemme? La folla lo acclama come Re. E Lui non si oppone, non la fa tacere. Ma che tipo di Re è Gesù? Guardiamolo: cavalca un puledro, non ha una corte che lo segue, non è circondato da un esercito simbolo di forza. Chi lo accoglie è gente umile, semplice, che ha il senso di guardare in Gesù qualcosa di più; ha quel senso della fede, che dice: Questo è il Salvatore. Gesù non entra nella Città Santa per ricevere gli onori riservati ai re terreni, a chi ha potere, a chi domina; entra per essere flagellato, insultato e oltraggiato, come preannuncia Isaia nella Prima Lettura; entra per ricevere una corona di spine, un bastone, un mantello di porpora, la sua regalità sarà oggetto di derisione; entra per salire il Calvario carico di un legno. E allora ecco la seconda parola: Croce. Gesù entra a Gerusalemme per morire sulla Croce. Ed è proprio qui che splende il suo essere Re secondo Dio: il suo trono regale è il legno della Croce! Penso a quello che Benedetto XVI diceva ai Cardinali: Voi siete principi, ma di un Re crocifisso. Quello è il trono di Gesù. Gesù prende su di sé... Perché la Croce? Perché Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l’amore di Dio. Guardiamoci intorno: quante ferite il male infligge all’umanità! Guerre, violenze, conflitti economici che colpiscono chi è più debole, sete di denaro, che poi nessuno può portare con sé, deve lasciarlo. Mia nonna diceva a noi bambini: il sudario non ha tasche. Amore al denaro, potere, corruzione, divisioni, crimini contro la vita umana e contro il creato! E anche - ciascuno di noi lo sa e lo conosce - i nostri peccati personali: le mancanze di amore e di rispetto verso Dio, verso il prossimo e verso l’intera creazione. E Gesù sulla croce sente tutto il peso del male e con la forza dell’amore di Dio lo vince, lo sconfigge nella sua risurrezione. Questo è il bene che Gesù fa a tutti noi sul trono della Croce. La croce di Cristo abbracciata con amore mai porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di essere salvati e di fare un pochettino quello che ha fatto Lui quel giorno della sua morte.
 
Oggi in questa Piazza ci sono tanti giovani: da 28 anni la Domenica delle Palme è la Giornata della Gioventù! Ecco la terza parola: giovani! Cari giovani, vi ho visto nella processione, quando entravate; vi immagino a fare festa intorno a Gesù, agitando i rami d’ulivo; vi immagino mentre gridate il suo nome ed esprimete la vostra gioia di essere con Lui! Voi avete una parte importante nella festa della fede! Voi ci portate la gioia della fede e ci dite che dobbiamo vivere la fede con un cuore giovane, sempre: un cuore giovane, anche a settanta, ottant’anni! Cuore giovane! Con Cristo il cuore non invecchia mai! Però tutti noi lo sappiamo e voi lo sapete bene che il Re che seguiamo e che ci accompagna è molto speciale: è un Re che ama fino alla croce e che ci insegna a servire, ad amare. E voi non avete vergogna della sua Croce! Anzi, la abbracciate, perché avete capito che è nel dono di sé, nel dono di sé, nell’uscire da se stessi, che si ha la vera gioia e che con l’amore di Dio Lui ha vinto il male. Voi portate la Croce pellegrina attraverso tutti i continenti, per le strade del mondo! La portate rispondendo all’invito di Gesù 'Andate e fate discepoli tutti i popoli' (cfr Mt 28,19), che è il tema della Giornata della Gioventù di quest’anno. La portate per dire a tutti che sulla croce Gesù ha abbattuto il muro dell’inimicizia, che separa gli uomini e i popoli, e ha portato la riconciliazione e la pace. Cari amici, anch’io mi metto in cammino con voi, da oggi, sulle orme del beato Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ormai siamo vicini alla prossima tappa di questo grande pellegrinaggio della Croce. Guardo con gioia al prossimo luglio, a Rio de Janeiro! Vi do appuntamento in quella grande città del Brasile! Preparatevi bene, soprattutto spiritualmente nelle vostre comunità, perché quell’Incontro sia un segno di fede per il mondo intero. I giovani devono dire al mondo: è buono seguire Gesù; è buono andare con Gesù; è buono il messaggio di Gesù; è buono uscire da se stessi, alle periferie del mondo e dell’esistenza per portare Gesù! Tre parole: gioia, croce, giovani.
 
Chiediamo l’intercessione della Vergine Maria. Lei ci insegna la gioia dell’incontro con Cristo, l’amore con cui lo dobbiamo guardare sotto la croce, l’entusiasmo del cuore giovane con cui lo dobbiamo seguire in questa Settimana Santa e in tutta la nostra vita. Così sia".




 Radio Vaticana

Caterina63
00giovedì 28 marzo 2013 09:47
[SM=g1740758] Papa Francesco ha presieduto la Santa Messa del Crisma nella Basilica Vaticana. Durante la celebrazione i sacerdoti, circa 1600 del clero secolare e religioso della Diocesi di Roma e dei Collegi Romani, rinnovano le promesse sacerdotali. Insieme a loro, concelebrano con il Santo Padre i cardinali e i vescovi.
Vengono benedetti gli Oli dei Catecumeni e degli Infermi e il Crisma, contenuti in sei anfore. L’olio per la celebrazione della Messa Crismale è donato dalla cooperativa “Arte e Alimentaciòn SL” di Castelseras in Spagna. Le sostanze profumate per confezionare il Crisma vengono versate nell’Olio dal diacono prima della preghiera di benedizione.
Gli Oli verranno poi portati a San Giovanni in Laterano, dove saranno distribuiti ai sacerdoti della Diocesi di Roma per l’amministrazione dei Sacramenti nel corso dell’anno. Alla colonna della Confessione è collocata una statua lignea della Madonna con il Bambino.
La statua, conservata presso i Musei Vaticani, è un dono del presidente del Brasile Joao Goulart a Paolo VI in occasione della sua elezione al soglio pontificio nel 1963. L’opera, di scuola brasiliana, e risalente al sec. XVIII, rappresenta Nostra Signora di Montserrat.




del sito Radio Vaticana

Chrisma












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In comunione sacerdotale con Benedetto XVI

Papa Francesco ha telefonato a Benedetto XVI nella tarda mattinata del 28 marzo, dopo la celebrazione della messa crismale presieduta nella basilica vaticana. Nel giorno in cui i preti rinnovano le loro promesse il Pontefice ha voluto esprimere, in un lungo e significativo colloquio, il senso della comunione sacerdotale con il suo predecessore.


(L'Osservatore Romano 30 marzo 2013)

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segue testo integrale

Cari fratelli e sorelle,

con gioia celebro la prima Messa Crismale come Vescovo di Roma. Vi saluto tutti con affetto, in particolare voi, cari sacerdoti, che oggi, come me, ricordate il giorno dell’Ordinazione.

Le Letture, anche il Salmo, ci parlano degli “Unti”: il Servo di Javhè di Isaia, il re Davide e Gesù nostro Signore. I tre hanno in comune che l’unzione che ricevono è destinata a ungere il popolo fedele di Dio, di cui sono servitori; la loro unzione è per i poveri, per i prigionieri, per gli oppressi… Un’immagine molto bella di questo “essere per” del santo crisma è quella del Salmo 133: «È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste» (v. 2). L’immagine dell’olio che si sparge, che scende dalla barba di Aronne fino all’orlo delle sue vesti sacre, è immagine dell’unzione sacerdotale che per mezzo dell’Unto giunge fino ai confini dell’universo rappresentato nelle vesti.

Le vesti sacre del Sommo Sacerdote sono ricche di simbolismi; uno di essi è quello dei nomi dei figli di Israele impressi sopra le pietre di onice che adornavano le spalle dell’efod dal quale proviene la nostra attuale casula: sei sopra la pietra della spalla destra e sei sopra quella della spalla sinistra (cfr Es 28, 6-14). Anche nel pettorale erano incisi i nomi delle dodici tribù d’Israele (cfr Es 28,21). Ciò significa che il sacerdote celebra caricandosi sulle spalle il popolo a lui affidato e portando i suoi nomi incisi nel cuore. Quando ci rivestiamo con la nostra umile casula può farci bene sentire sopra le spalle e nel cuore il peso e il volto del nostro popolo fedele, dei nostri santi e dei nostri martiri, che in questo tempo sono tanti!.

Dalla bellezza di quanto è liturgico, che non è semplice ornamento e gusto per i drappi, bensì presenza della gloria del nostro Dio che risplende nel suo popolo vivo e confortato, passiamo adesso a guardare all’azione. L’olio prezioso che unge il capo di Aronne non si limita a profumare la sua persona, ma si sparge e raggiunge “le periferie”. Il Signore lo dirà chiaramente: la sua unzione è per i poveri, per i prigionieri, per i malati e per quelli che sono tristi e soli. L’unzione, cari fratelli, non è per profumare noi stessi e tanto meno perché la conserviamo in un’ampolla, perché l’olio diventerebbe rancido … e il cuore amaro.

Il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo; questa è una prova chiara. Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia. La nostra gente gradisce il Vangelo predicato con l’unzione, gradisce quando il Vangelo che predichiamo giunge alla sua vita quotidiana, quando scende come l’olio di Aronne fino ai bordi della realtà, quando illumina le situazioni limite, “le periferie” dove il popolo fedele è più esposto all’invasione di quanti vogliono saccheggiare la sua fede. La gente ci ringrazia perché sente che abbiamo pregato con le realtà della sua vita di ogni giorno, le sue pene e le sue gioie, le sue angustie e le sue speranze. E quando sente che il profumo dell’Unto, di Cristo, giunge attraverso di noi, è incoraggiata ad affidarci tutto quello che desidera arrivi al Signore: “preghi per me, padre, perché ho questo problema”, “mi benedica, padre”, “preghi per me”, sono il segno che l’unzione è arrivata all’orlo del mantello, perché viene trasformata in supplica, supplica del Popolo di Dio. Quando siamo in questa relazione con Dio e con il suo Popolo e la grazia passa attraverso di noi, allora siamo sacerdoti, mediatori tra Dio e gli uomini. Ciò che intendo sottolineare è che dobbiamo ravvivare sempre la grazia e intuire in ogni richiesta, a volte inopportuna, a volte puramente materiale o addirittura banale - ma lo è solo apparentemente - il desiderio della nostra gente di essere unta con l’olio profumato, perché sa che noi lo abbiamo. Intuire e sentire, come sentì il Signore l’angoscia piena di speranza dell’emorroissa quando toccò il lembo del suo mantello. Questo momento di Gesù, in mezzo alla gente che lo circondava da tutti i lati, incarna tutta la bellezza di Aronne rivestito sacerdotalmente e con l’olio che scende sulle sue vesti. È una bellezza nascosta che risplende solo per quegli occhi pieni di fede della donna che soffriva perdite di sangue. Gli stessi discepoli – futuri sacerdoti – tuttavia non riescono a vedere, non comprendono: nella “periferia esistenziale” vedono solo la superficialità della moltitudine che si stringe da tutti i lati fino a soffocare Gesù (cfr Lc 8,42). Il Signore, al contrario, sente la forza dell’unzione divina che arriva ai bordi del suo mantello.

Così bisogna uscire a sperimentare la nostra unzione, il suo potere e la sua efficacia redentrice: nelle “periferie” dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni. Non è precisamente nelle autoesperienze o nelle introspezioni reiterate che incontriamo il Signore: i corsi di autoaiuto nella vita possono essere utili, però vivere la nostra vita sacerdotale passando da un corso all’altro, di metodo in metodo, porta a diventare pelagiani, a minimizzare il potere della grazia, che si attiva e cresce nella misura in cui, con fede, usciamo a dare noi stessi e a dare il Vangelo agli altri, a dare la poca unzione che abbiamo a coloro che non hanno niente di niente.

Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco - non dico “niente” perché, grazie a Dio, la gente ci ruba l’unzione - si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” - questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”, che si senta quello -; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini. È vero che la cosiddetta crisi di identità sacerdotale ci minaccia tutti e si somma ad una crisi di civiltà; però, se sappiamo infrangere la sua onda, noi potremo prendere il largo nel nome del Signore e gettare le reti. È bene che la realtà stessa ci porti ad andare là dove ciò che siamo per grazia appare chiaramente come pura grazia, in questo mare del mondo attuale dove vale solo l’unzione - e non la funzione -, e risultano feconde le reti gettate unicamente nel nome di Colui del quale noi ci siamo fidati: Gesù.

Cari fedeli, siate vicini ai vostri sacerdoti con l’affetto e con la preghiera perché siano sempre Pastori secondo il cuore di Dio.

Cari sacerdoti, Dio Padre rinnovi in noi lo Spirito di Santità con cui siamo stati unti, lo rinnovi nel nostro cuore in modo tale che l’unzione giunga a tutti, anche alle “periferie”, là dove il nostro popolo fedele più lo attende ed apprezza. La nostra gente ci senta discepoli del Signore, senta che siamo rivestiti dei loro nomi, che non cerchiamo altra identità; e possa ricevere attraverso le nostre parole e opere quest’olio di gioia che ci è venuto a portare Gesù, l’Unto. Amen



[SM=g1740771]




Caterina63
00giovedì 28 marzo 2013 19:51


OMELIA DEL SANTO PADRE
FRANCESCO

Istituto Penale per Minori di "Casal del Marmo" in Roma
Giovedì Santo, 28 marzo 2013


 

Questo è commovente. Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli. Pietro non capiva nulla, rifiutava. Ma Gesù gli ha spiegato. Gesù – Dio – ha fatto questo! E Lui stesso spiega ai discepoli: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto io» (Gv 13,12-15).

E’ l’esempio del Signore: Lui è il più importante e lava i piedi, perché fra noi quello che è il più alto deve essere al servizio degli altri. E questo è un simbolo, è un segno, no? Lavare i piedi è: “io sono al tuo servizio”. E anche noi, fra noi, non è che dobbiamo lavare i piedi tutti i giorni l’uno all’altro, ma che cosa significa questo? Che dobbiamo aiutarci, l’un l’altro.
A volte mi sono arrabbiato con uno, con un’altra … ma… lascia perdere, lascia perdere, e se ti chiede un favore, fatelo.
Aiutarci l’un l’altro: questo Gesù ci insegna e questo è quello che io faccio, e lo faccio di cuore, perché è mio dovere. Come prete e come vescovo devo essere al vostro servizio. Ma è un dovere che mi viene dal cuore: lo amo. Amo questo e amo farlo perché il Signore così mi ha insegnato.

Ma anche voi, aiutateci: aiutateci sempre. L’un l’altro. E così, aiutandoci, ci faremo del bene. Adesso faremo questa cerimonia di lavarci i piedi e pensiamo, ciascuno di noi pensi: “Io davvero sono disposta, sono disposto a servire, ad aiutare l’altro?”. Pensiamo questo, soltanto. E pensiamo che questo segno è una carezza di Gesù, che fa Gesù, perché Gesù è venuto proprio per questo: per servire, per aiutarci.












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Caterina63
00sabato 30 marzo 2013 23:04

VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Sabato Santo, 30 marzo 2013


[Video]

 

Cari fratelli e sorelle!

1. Nel Vangelo di questa Notte luminosa della Vigilia Pasquale incontriamo per prime le donne che si recano al sepolcro di Gesù con gli aromi per ungere il suo corpo (cfr Lc 24,1-3). Vanno per compiere un gesto di compassione, di affetto, di amore, un gesto tradizionale verso una persona cara defunta, come ne facciamo anche noi. Avevano seguito Gesù, l’avevano ascoltato, si erano sentite comprese nella loro dignità e lo avevano accompagnato fino alla fine, sul Calvario, e al momento della deposizione dalla croce. Possiamo immaginare i loro sentimenti mentre vanno alla tomba: una certa tristezza, il dolore perché Gesù le aveva lasciate, era morto, la sua vicenda era terminata. Ora si ritornava alla vita di prima. Però nelle donne continuava l’amore, ed è l’amore verso Gesù che le aveva spinte a recarsi al sepolcro. Ma a questo punto avviene qualcosa di totalmente inaspettato, di nuovo, che sconvolge il loro cuore e i loro programmi e sconvolgerà la loro vita: vedono la pietra rimossa dal sepolcro, si avvicinano, e non trovano il corpo del Signore. E’ un fatto che le lascia perplesse, dubbiose, piene di domande: “Che cosa succede?”, “Che senso ha tutto questo?” (cfr Lc 24,4). Non capita forse anche a noi così quando qualcosa di veramente nuovo accade nel succedersi quotidiano dei fatti? Ci fermiamo, non comprendiamo, non sappiamo come affrontarlo. La novità spesso ci fa paura, anche la novità che Dio ci porta, la novità che Dio ci chiede. Siamo come gli Apostoli del Vangelo: spesso preferiamo tenere le nostre sicurezze, fermarci ad una tomba, al pensiero verso un defunto, che alla fine vive solo nel ricordo della storia come i grandi personaggi del passato. Abbiamo paura delle sorprese di Dio. Cari fratelli e sorelle, nella nostra vita abbiamo paura delle sorprese di Dio! Egli ci sorprende sempre! Il Signore è così.

Fratelli e sorelle, non chiudiamoci alla novità che Dio vuole portare nella nostra vita! Siamo spesso stanchi, delusi, tristi, sentiamo il peso dei nostri peccati, pensiamo di non farcela. Non chiudiamoci in noi stessi, non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci mai: non ci sono situazioni che Dio non possa cambiare, non c’è peccato che non possa perdonare se ci apriamo a Lui.

2. Ma torniamo al Vangelo, alle donne e facciamo un passo avanti. Trovano la tomba vuota, il corpo di Gesù non c’è, qualcosa di nuovo è avvenuto, ma tutto questo ancora non dice nulla di chiaro: suscita interrogativi, lascia perplessi, senza offrire una risposta. Ed ecco due uomini in abito sfolgorante, che dicono: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto» (Lc 24, 5-6). Quello che era un semplice gesto, un fatto, compiuto certo per amore - il recarsi al sepolcro – ora si trasforma in avvenimento, in un evento che cambia veramente la vita. Nulla rimane più come prima, non solo nella vita di quelle donne, ma anche nella nostra vita e nella nostra storia dell’umanità. Gesù non è un morto, è risorto, è il Vivente! Non è semplicemente tornato in vita, ma è la vita stessa, perché è il Figlio di Dio, che è il Vivente (cfr Nm 14,21-28; Dt 5,26; Gs 3,10). Gesù non è più nel passato, ma vive nel presente ed è proiettato verso il futuro, Gesù è l’«oggi» eterno di Dio. Così la novità di Dio si presenta davanti agli occhi delle donne, dei discepoli, di tutti noi: la vittoria sul peccato, sul male, sulla morte, su tutto ciò che opprime la vita e le dà un volto meno umano. E questo è un messaggio rivolto a me, a te, cara sorella, a te caro fratello. Quante volte abbiamo bisogno che l’Amore ci dica: perché cercate tra i morti colui che è vivo? I problemi, le preoccupazioni di tutti i giorni tendono a farci chiudere in noi stessi, nella tristezza, nell’amarezza… e lì sta la morte. Non cerchiamo lì Colui che è vivo!


Accetta allora che Gesù Risorto entri nella tua vita, accoglilo come amico, con fiducia: Lui è la vita! Se fino ad ora sei stato lontano da Lui, fa’ un piccolo passo: ti accoglierà a braccia aperte. Se sei indifferente, accetta di rischiare: non sarai deluso. Se ti sembra difficile seguirlo, non avere paura, affidati a Lui, stai sicuro che Lui ti è vicino, è con te e ti darà la pace che cerchi e la forza per vivere come Lui vuole.

3. C’è un ultimo semplice elemento che vorrei sottolineare nel Vangelo di questa luminosa Veglia Pasquale. Le donne si incontrano con la novità di Dio: Gesù è risorto, è il Vivente! Ma di fronte alla tomba vuota e ai due uomini in abito sfolgorante, la loro prima reazione è di timore: «tenevano il volto chinato a terra» - nota san Luca -, non avevano il coraggio neppure di guardare. Ma quando ascoltano l’annuncio della Risurrezione, l’accolgono con fede. E i due uomini in abito sfolgorante introducono un verbo fondamentale: ricordate. «Ricordatevi come vi parlò, quando era ancora in Galilea… Ed esse si ricordarono delle sue parole» (Lc 24,6.8). Questo è l’invito a fare memoria dell’incontro con Gesù, delle sue parole, dei suoi gesti, della sua vita; ed è proprio questo ricordare con amore l’esperienza con il Maestro che conduce le donne a superare ogni timore e a portare l’annuncio della Risurrezione agli Apostoli e a tutti gli altri (cfr Lc 24,9). Fare memoria di quello che Dio ha fatto e fa per me, per noi, fare memoria del cammino percorso; e questo spalanca il cuore alla speranza per il futuro. Impariamo a fare memoria di quello che Dio ha fatto nella nostra vita! 

In questa Notte di luce, invocando l’intercessione della Vergine Maria, che custodiva ogni avvenimento nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), chiediamo che il Signore ci renda partecipi della sua Risurrezione: ci apra alla sua novità che trasforma, alle sorprese di Dio, tanto belle; ci renda uomini e donne capaci di fare memoria di ciò che Egli opera nella nostra storia personale e in quella del mondo; ci renda capaci di sentirlo come il Vivente, vivo ed operante in mezzo a noi; ci insegni, cari fratelli e sorelle, ogni giorno a non cercare tra i morti Colui che è vivo. Amen.

 




Caterina63
00domenica 7 aprile 2013 21:35
La Diocesi di Roma accoglie il suo vescovo .....

                                  


La celebrazione è solenne ma l’omelia ha toni intimi che arrivano dritti al cuore. “Camminiamo insieme nella luce del Signore Risorto” dice il vescovo di Roma ai rappresentanti della Diocesi, presbiteri, diaconi, religiosi e laici, anche una famiglia,che poco prima, in una piccola rappresentanza, gli hanno prestato obbedienza. La domenica della Misericordia è occasione per il Papa per sottolineare quanto sia bella questa realtà della fede: la misericordia di Dio!

Un amore così grande, così profondo quello di Dio verso di noi, un amore che non viene meno, sempre afferra la nostra mano e ci sorregge, ci rialza, ci guida”
A declinare la misericordia di Dio il Papa cita diversi episodi del Vangelo: la pazienza di Gesù di fronte all’incredulità del testardo Tommaso che Gesù non abbandona, gli dona una settimana, spiega il Papa e attende:

“E Tommaso riconosce la propria povertà, la poca fede. «Mio Signore e mio Dio»: con questa invocazione semplice ma piena di fede risponde alla pazienza di Gesù. Si lascia avvolgere dalla misericordia divina, la vede davanti a sé, nelle ferite delle mani e dei piedi, nel costato aperto, e ritrova la fiducia: è un uomo nuovo, non più incredulo, ma credente”.
Paziente è anche lo sguardo di Gesù su Pietro dopo che lo ha rinnegato per tre volte:

E quando tocca il fondo incontra lo sguardo di Gesù che, con pazienza, senza parole gli dice: «Pietro, non avere paura della tua debolezza, confida in me»; e Pietro comprende, sente lo sguardo d’amore di Gesù e piange. Che bello è questo sguardo di Gesù – quanta tenerezza! Fratelli e sorelle, non perdiamo mai la fiducia nella misericordia paziente di Dio”.

La pazienza è anche quella di Gesù che affianca i discepoli di Emmaus:"il volto triste, un camminare vuoto, senza speranza" ricorda il Papa,ma Gesù non li abbandona. E più avanti il Papa dirà che Dio non abbandona neanche Adamo perché se nel peccato, inizia il suo esilio lì c'è già anche la promessa del ritorno. “E’ questo lo stile di Dio” afferma Papa Francesco:

“Non è impaziente come noi, che spesso vogliamo tutto e subito, anche con le persone. Dio è paziente con noi perché ci ama, e chi ama comprende, spera, dà fiducia, non abbandona, non taglia i ponti, sa perdonare. Ricordiamolo nella nostra vita di cristiani: Dio ci aspetta sempre, anche quando ci siamo allontanati! Lui non è mai lontano, e se torniamo a Lui, è pronto ad abbracciarci”

E’ lo stile anche del Padre misericordioso nella parabola del figliol prodigo, che il Papa, attingendo ai ricordi personali, cita come una fonte di grande speranza. Ma la pazienza di Dio, aggiunge il Pontefice, deve trovare in noi il coraggio di ritornare a Lui, qualunque errore, qualunque peccato ci sia nella nostra vita:
Forse qualcuno potrebbe pensare: il mio peccato è così grande, la mia lontananza da Dio è come quella del figlio minore della parabola, la mia incredulità è come quella di Tommaso; non ho il coraggio di tornare, di pensare che Dio possa accogliermi e che stia aspettando proprio me. Ma Dio aspetta proprio te, ti chiede solo il coraggio di andare a Lui”.

Da qui un nuovo ricordo personale:

Quante volte nel mio ministero pastorale mi sono sentito ripetere: «Padre, ho molti peccati»; e l’invito che ho sempre fatto è: «Non temere, va’ da Lui, ti sta aspettando, Lui farà tutto». Quante proposte mondane sentiamo attorno a noi, ma lasciamoci afferrare dalla proposta di Dio, la sua è una carezza di amore. Per Dio noi non siamo numeri, siamo importanti, anzi siamo quanto di più importante Egli abbia; anche se peccatori, siamo ciò che gli sta più a cuore”.
Nella mia vita personale, ricorda ancora il Papa, “ho visto tante volte il volto misericordioso di Dio e ho visto anche in tante persone il coraggio di entrare nelle piaghe di Gesù dicendogli: Signore sono qui, accetta la mia povertà. E ho sempre visto che Dio l’ha fatto”. Ne nasce l’invito finale che il Papa lascia ad una Basilica gremita: lasciarsi avvolgere dalla misericordia di Dio:

“Confidiamo nella sua pazienza che sempre ci dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore, lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua tenerezza, sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di amore”.






[SM=g1740771]

CAPPELLA PAPALE PER L'INSEDIAMENTO
DEL VESCOVO DI ROMA SULLA CATHEDRA ROMANA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di San Giovanni in Laterano
II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, 7 aprile 2013

[Video]
Galleria fotografica

 

Con gioia celebro per la prima volta l’Eucaristia in questa Basilica Lateranense, Cattedrale del Vescovo di Roma. Vi saluto tutti con grande affetto: il carissimo Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari, il Presbiterio diocesano, i Diaconi, le Religiose e i Religiosi e tutti i fedeli laici. Porgo anche i miei saluti al Signor Sindaco e a sua moglie e a tutte le Autorità. Camminiamo insieme nella luce del Signore Risorto.

1. Celebriamo oggi la Seconda Domenica di Pasqua, denominata anche «della Divina Misericordia». Com’è bella questa realtà della fede per la nostra vita: la misericordia di Dio! Un amore così grande, così profondo quello di Dio verso di noi, un amore che non viene meno, sempre afferra la nostra mano e ci sorregge, ci rialza, ci guida.

2. Nel Vangelo di oggi, l’apostolo Tommaso fa esperienza proprio della misericordia di Dio, che ha un volto concreto, quello di Gesù, di Gesù Risorto. Tommaso non si fida di ciò che gli dicono gli altri Apostoli: «Abbiamo visto il Signore»; non gli basta la promessa di Gesù, che aveva annunciato: il terzo giorno risorgerò. Vuole vedere, vuole mettere la sua mano nel segno dei chiodi e nel costato. E qual è la reazione di Gesù? La pazienza: Gesù non abbandona il testardo Tommaso nella sua incredulità; gli dona una settimana di tempo, non chiude la porta, attende. E Tommaso riconosce la propria povertà, la poca fede. «Mio Signore e mio Dio»: con questa invocazione semplice ma piena di fede risponde alla pazienza di Gesù. Si lascia avvolgere dalla misericordia divina, la vede davanti a sé, nelle ferite delle mani e dei piedi, nel costato aperto, e ritrova la fiducia: è un uomo nuovo, non più incredulo, ma credente.

E ricordiamo anche Pietro: per tre volte rinnega Gesù proprio quando doveva essergli più vicino; e quando tocca il fondo incontra lo sguardo di Gesù che, con pazienza, senza parole gli dice: «Pietro, non avere paura della tua debolezza, confida in me»; e Pietro comprende, sente lo sguardo d’amore di Gesù e piange. Che bello è questo sguardo di Gesù – quanta tenerezza! Fratelli e sorelle, non perdiamo mai la fiducia nella misericordia paziente di Dio!

Pensiamo ai due discepoli di Emmaus: il volto triste, un camminare vuoto, senza speranza. Ma Gesù non li abbandona: percorre insieme la strada, e non solo! Con pazienza spiega le Scritture che si riferivano a Lui e si ferma a condividere con loro il pasto. Questo è lo stile di Dio: non è impaziente come noi, che spesso vogliamo tutto e subito, anche con le persone. Dio è paziente con noi perché ci ama, e chi ama comprende, spera, dà fiducia, non abbandona, non taglia i ponti, sa perdonare. Ricordiamolo nella nostra vita di cristiani: Dio ci aspetta sempre, anche quando ci siamo allontanati! Lui non è mai lontano, e se torniamo a Lui, è pronto ad abbracciarci.

A me fa sempre una grande impressione rileggere la parabola del Padre misericordioso, mi fa impressione perché mi dà sempre una grande speranza. Pensate a quel figlio minore che era nella casa del Padre, era amato; eppure vuole la sua parte di eredità; se ne va via, spende tutto, arriva al livello più basso, più lontano dal Padre; e quando ha toccato il fondo, sente la nostalgia del calore della casa paterna e ritorna. E il Padre? Aveva dimenticato il figlio? No, mai. É lì, lo vede da lontano, lo stava aspettando ogni giorno, ogni momento: è sempre stato nel suo cuore come figlio, anche se lo aveva lasciato, anche se aveva sperperato tutto il patrimonio, cioè la sua libertà; il Padre con pazienza e amore, con speranza e misericordia non aveva smesso un attimo di pensare a lui, e appena lo vede ancora lontano gli corre incontro e lo abbraccia con tenerezza, la tenerezza di Dio, senza una parola di rimprovero: è tornato! E quella è la gioia del padre. In quell’abbraccio al figlio c’è tutta questa gioia: è tornato! Dio sempre ci aspetta, non si stanca. Gesù ci mostra questa pazienza misericordiosa di Dio perché ritroviamo fiducia, speranza, sempre! Un grande teologo tedesco, Romano Guardini, diceva che Dio risponde alla nostra debolezza con la sua pazienza e questo è il motivo della nostra fiducia, della nostra speranza (cfr Glaubenserkenntnis, Würzburg 1949, p. 28). E’ come un dialogo fra la nostra debolezza e la pazienza di Dio, è un dialogo che se noi lo facciamo, ci dà speranza.

3. Vorrei sottolineare un altro elemento: la pazienza di Dio deve trovare in noi il coraggio di ritornare a Lui, qualunque errore, qualunque peccato ci sia nella nostra vita. Gesù invita Tommaso a mettere la mano nelle sue piaghe delle mani e dei piedi e nella ferita del costato. Anche noi possiamo entrare nelle piaghe di Gesù, possiamo toccarlo realmente; e questo accade ogni volta che riceviamo con fede i Sacramenti. San Bernardo in una bella Omelia dice: «Attraverso … le ferite [di Gesù] io posso succhiare miele dalla rupe e olio dai ciottoli della roccia (cfr Dt 32,13), cioè gustare e sperimentare quanto è buono il Signore» (Sul Cantico dei Cantici 61, 4). É proprio nelle ferite di Gesù che noi siamo sicuri, lì si manifesta l’amore immenso del suo cuore. Tommaso lo aveva capito. San Bernardo si domanda: ma su che cosa posso contare? Sui miei meriti? Ma «mio merito è la misericordia di Dio. Non sono certamente povero di meriti finché lui sarà ricco di misericordia. Che se le misericordie del Signore sono molte, io pure abbonderò nei meriti» (ivi, 5). Questo è importante: il coraggio di affidarmi alla misericordia di Gesù, di confidare nella sua pazienza, di rifugiarmi sempre nelle ferite del suo amore. San Bernardo arriva ad affermare: «Ma che dire se la coscienza mi morde per i molti peccati? “Dove è abbondato il peccato è sovrabbondata la grazia” (Rm 5,20)» (ibid.). Forse qualcuno di noi può pensare: il mio peccato è così grande, la mia lontananza da Dio è come quella del figlio minore della parabola, la mia incredulità è come quella di Tommaso; non ho il coraggio di tornare, di pensare che Dio possa accogliermi e che stia aspettando proprio me. Ma Dio aspetta proprio te, ti chiede solo il coraggio di andare a Lui. Quante volte nel mio ministero pastorale mi sono sentito ripetere: «Padre, ho molti peccati»; e l’invito che ho sempre fatto è: «Non temere, va’ da Lui, ti sta aspettando, Lui farà tutto». Quante proposte mondane sentiamo attorno a noi, ma lasciamoci afferrare dalla proposta di Dio, la sua è una carezza di amore. Per Dio noi non siamo numeri, siamo importanti, anzi siamo quanto di più importante Egli abbia; anche se peccatori, siamo ciò che gli sta più a cuore.

Adamo dopo il peccato prova vergogna, si sente nudo, sente il peso di quello che ha fatto; eppure Dio non abbandona: se in quel momento inizia l’esilio da Dio, con il peccato, c’è già la promessa del ritorno, la possibilità di ritornare a Lui. Dio chiede subito: «Adamo, dove sei?», lo cerca. Gesù è diventato nudo per noi, si è caricato della vergogna di Adamo, della nudità del suo peccato per lavare il nostro peccato: dalle sue piaghe siamo stati guariti. Ricordatevi quello di san Paolo: di che cosa mi vanterò se non della mia debolezza, della mia povertà? Proprio nel sentire il mio peccato, nel guardare il mio peccato io posso vedere e incontrare la misericordia di Dio, il suo amore e andare da Lui per ricevere il perdono.

Nella mia vita personale ho visto tante volte il volto misericordioso di Dio, la sua pazienza; ho visto anche in tante persone il coraggio di entrare nelle piaghe di Gesù dicendogli: Signore sono qui, accetta la mia povertà, nascondi nelle tue piaghe il mio peccato, lavalo col tuo sangue. E ho sempre visto che Dio l’ha fatto, ha accolto, consolato, lavato, amato.

Cari fratelli e sorelle, lasciamoci avvolgere dalla misericordia di Dio; confidiamo nella sua pazienza che sempre ci dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore, lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua tenerezza, tanto bella, sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di amore.





Caterina63
00domenica 14 aprile 2013 19:13

CELEBRAZIONE EUCARISTICA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di San Paolo Fuori le Mura
III Domenica di Pasqua, 14 aprile 2013

[Video]


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Cari fratelli e sorelle!

È per me una gioia celebrare l’Eucaristia con voi in questa Basilica. Saluto l’Arciprete, il Cardinale James Harvey, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto; con lui saluto e ringrazio le varie Istituzioni che fanno parte di questa Basilica, e tutti voi. Siamo sulla tomba di san Paolo, un umile e grande Apostolo del Signore, che lo ha annunciato con la parola, lo ha testimoniato col martirio e lo ha adorato con tutto il cuore. Sono proprio questi i tre verbi sui quali vorrei riflettere alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato: annunciare, testimoniare, adorare.

1. Nella Prima Lettura colpisce la forza di Pietro e degli altri Apostoli. Al comando di tacere, di non insegnare più nel nome di Gesù, di non annunciare più il suo Messaggio, essi rispondono con chiarezza: «Bisogna obbedire a Dio, invece che agli uomini». E non li ferma nemmeno l’essere flagellati, il subire oltraggi, il venire incarcerati. Pietro e gli Apostoli annunciano con coraggio, con parresia, quello che hanno ricevuto, il Vangelo di Gesù. E noi? Siamo capaci di portare la Parola di Dio nei nostri ambienti di vita? Sappiamo parlare di Cristo, di ciò che rappresenta per noi, in famiglia, con le persone che fanno parte della nostra vita quotidiana? La fede nasce dall’ascolto, e si rafforza nell’annuncio.

2. Ma facciamo un passo avanti: l’annuncio di Pietro e degli Apostoli non è fatto solo di parole, ma la fedeltà a Cristo tocca la loro vita, che viene cambiata, riceve una direzione nuova, ed è proprio con la loro vita che essi rendono testimonianza alla fede e all’annuncio di Cristo. Nel Vangelo, Gesù chiede a Pietro per tre volte di pascere il suo gregge e di pascerlo con il suo amore, e gli profetizza: «Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21,18). E’ una parola rivolta anzitutto a noi Pastori: non si può pascere il gregge di Dio se non si accetta di essere portati dalla volontà di Dio anche dove non vorremmo, se non si è disposti a testimoniare Cristo con il dono di noi stessi, senza riserve, senza calcoli, a volte anche a prezzo della nostra vita. Ma questo vale per tutti: il Vangelo va annunciato e testimoniato. Ciascuno dovrebbe chiedersi: Come testimonio io Cristo con la mia fede? Ho il coraggio di Pietro e degli altri Apostoli di pensare, scegliere e vivere da cristiano, obbedendo a Dio? Certo la testimonianza della fede ha tante forme, come in un grande affresco c’è la varietà dei colori e delle sfumature; tutte però sono importanti, anche quelle che non emergono. Nel grande disegno di Dio ogni dettaglio è importante, anche la tua, la mia piccola e umile testimonianza, anche quella nascosta di chi vive con semplicità la sua fede nella quotidianità dei rapporti di famiglia, di lavoro, di amicizia. Ci sono i santi di tutti i giorni, i santi “nascosti”, una sorta di “classe media della santità”, come diceva uno scrittore francese, quella “classe media della santità” di cui tutti possiamo fare parte.  Ma in varie parti del mondo c’è anche chi soffre, come Pietro e gli Apostoli, a causa del Vangelo; c’è chi dona la sua vita per rimanere fedele a Cristo con una testimonianza segnata dal prezzo del sangue. Ricordiamolo bene tutti: non si può annunciare il Vangelo di Gesù senza la testimonianza concreta della vita. Chi ci ascolta e ci vede deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca e rendere gloria a Dio! Mi viene in mente adesso un consiglio che san Francesco d’Assisi dava ai suoi fratelli: predicate il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole. Predicare con la vita: la testimonianza. L’incoerenza dei fedeli e dei Pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere mina la credibilità della Chiesa.

3. Ma tutto questo è possibile soltanto se riconosciamo Gesù Cristo, perché è Lui che ci ha chiamati, ci ha invitati a percorrere la sua strada, ci ha scelti. Annunciare e testimoniare è possibile solo se siamo vicini a Lui, proprio come Pietro, Giovanni e gli altri discepoli nel brano del Vangelo di oggi sono attorno a Gesù Risorto; c’è una vicinanza quotidiana con Lui, ed essi sanno bene chi è, lo conoscono. L’Evangelista sottolinea che «nessuno osava domandargli: “Chi sei?”, perché sapevano bene che era il Signore» (Gv 21,12). E questo è un punto importante per noi: vivere un rapporto intenso con Gesù, un’intimità di dialogo e di vita, così da riconoscerlo come “il Signore”. Adorarlo! Il brano dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato ci parla dell’adorazione: le miriadi di angeli, tutte le creature, gli esseri viventi, gli anziani, si prostrano in adorazione davanti al Trono di Dio e all’Agnello immolato, che è Cristo, a cui va la lode, l’onore e la gloria (cfr Ap 5,11-14). Vorrei che ci ponessimo tutti una domanda: Tu, io, adoriamo il Signore? Andiamo da Dio solo per chiedere, per ringraziare, o andiamo da Lui anche per adorarlo? Che cosa vuol dire allora adorare Dio? Significa imparare a stare con Lui, a fermarci a dialogare con Lui, sentendo che la sua presenza è la più vera, la più buona, la più importante di tutte. Ognuno di noi, nella propria vita, in modo consapevole e forse a volte senza rendersene conto, ha un ben preciso ordine delle cose ritenute più o meno importanti. Adorare il Signore vuol dire dare a Lui il posto che deve avere; adorare il Signore vuol dire affermare, credere, non però semplicemente a parole, che Lui solo guida veramente la nostra vita; adorare il Signore vuol dire che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, il Dio della nostra vita, il Dio della nostra storia.

Questo ha una conseguenza nella nostra vita: spogliarci dei tanti idoli piccoli o grandi che abbiamo e nei quali ci rifugiamo, nei quali cerchiamo e molte volte riponiamo la nostra sicurezza. Sono idoli che spesso teniamo ben nascosti; possono essere l’ambizione, il carrierismo, il gusto del successo, il mettere al centro se stessi, la tendenza a prevalere sugli altri, la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita, qualche peccato a cui siamo legati, e molti altri. Questa sera vorrei che una domanda risuonasse nel cuore di ciascuno di noi e che vi rispondessimo con sincerità: ho pensato io a quale idolo nascosto ho nella mia vita, che mi impedisce di adorare il Signore? Adorare è spogliarci dei nostri idoli anche quelli più nascosti, e scegliere il Signore come centro, come via maestra della nostra vita.

Cari fratelli e sorelle, il Signore ci chiama ogni giorno a seguirlo con coraggio e fedeltà; ci ha fatto il grande dono di sceglierci come suoi discepoli; ci invita ad annunciarlo con gioia come il Risorto, ma ci chiede di farlo con la parola e con la testimonianza della nostra vita, nella quotidianità. Il Signore è l’unico, l’unico Dio della nostra vita e ci invita a spogliarci dei tanti idoli e ad adorare Lui solo. Annunciare, testimoniare, adorare. La Beata Vergine Maria e l’Apostolo Paolo ci aiutino in questo cammino e intercedano per noi. Così sia.

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Caterina63
00domenica 21 aprile 2013 10:57
Il Papa ordina 10 nuovi sacerdoti: siate pastori, non funzionari e ricordate che la Parola di Dio non è vostra ma di Dio






Papa Francesco sta presiedendo nella Basilica di San Pietro la Messa con le ordinazioni di 10 sacerdoti. Per la prima volta dunque il nuovo vescovo di Roma ordina i presbiteri della sua diocesi. Il rito si svolge nella 50.ma Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sul tema: “Le vocazioni segno della speranza fondata sulla fede”. Prima della celebrazione di questa mattina il Santo Padre si è recato in sacrestia per pregare insieme agli ordinandi raccomandandoli alla Madonna. Così usava fare in passato, a Buenos Aires, in occasione delle ordinazioni.

"Questi nostri fratelli e figli - ha detto il Papa nell'omelia - sono stati chiamati all’ordine del presbiterato. Riflettiamo attentamente a quale ministero saranno elevati nella Chiesa". Come voi ben sapete, ha aggiunto, il Signore Gesù è "il solo Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento, ma in Lui anche tutto il popolo santo di Dio è stato costituito popolo sacerdotale".

Il Signore, ha affermato, vuole sceglierne alcuni in particolare perché, "esercitando pubblicamente nella Chiesa in suo nome l’officio sacerdotale a favore di tutti gli uomini", continuino "la sua personale missione di maestro, sacerdote e pastore". Come, infatti, per questo "Egli era stato inviato dal Padre, così Egli inviò a sua volta nel mondo prima gli apostoli e poi i vescovi e i loro successori, ai quali - infine - furono dati come collaboratori i presbiteri, che - ad essi uniti nel ministero sacerdotale - sono chiamati al servizio del popolo di Dio".
I nuovi sacerdoti, ha affermato, saranno configurati a Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, "ossia saranno consacrati come veri sacerdoti del Nuovo Testamento e a questo titolo che li unisce nel sacerdozio al loro vescovo, saranno predicatori del Vangelo, pastori del Popolo di Dio e presiederanno le azioni di culto, specialmente nella celebrazioni del sacrificio del Signore".


"Dispensate a tutti - ha proseguito - quella Parola di Dio che voi stessi avete ricevuto con gioia. Ricordate le vostre mamme, le vostre nonne, i vostri catechisti, che vi hanno dato la Parola di Dio, la fede…. Quel dono della fede". Vi hanno trasmesso, ha affermato, "questo dono della fede. Leggete e meditate assiduamente la Parola del Signore, per credere ciò che avete letto, per insegnare ciò che avete appreso nella fede, vivere ciò che avete insegnato".

E ricordate anche, è stata la sua esortazione, "che la Parola di Dio non è proprietà vostra: è Parola di Dio. E la Chiesa è la custode della Parola di Dio".

Sia, dunque, ha detto ancora, "nutrimento al Popolo di Dio la vostra dottrina; gioia e sostegno ai fedeli di Cristo il profumo della vostra vita, perché con la parola e l’esempio edificate la casa di Dio, che è la Chiesa". Così, ha detto ancora, "voi continuerete l’opera santificatrice di Cristo", mediante il vostro ministero. "Il sacrificio spirituale dei fedeli - ha poi aggiunto - viene reso perfetto, perché congiunto al sacrificio di Cristo, che per le vostre mani, in nome di tutta la Chiesa, viene offerto in modo incruento sull’altare della celebrazione dai Santi Misteri".

Poi rivolgendosi agli ordinandi, ha ricordato che esercitando il ministero della Sacra Dottrina saranno partecipi della missione di Cristo, unico Maestro. "Riconoscete, dunque, ciò che fate - ha aggiunto - imitate ciò che celebrate, perché partecipando al ministero della morte e Resurrezione del Signore, portiate la morte di Cristo nelle vostre membra e camminiate con Lui in novità di vita". Con il Battesimo, è stata la sua riflessione, "aggregherete nuovi fedeli al Popolo di Dio. Con il Sacramento della Penitenza rimetterete i peccati nel nome di Cristo e della Chiesa".

Oggi, ha soggiunto, "vi chiedo in nome di Cristo e della Chiesa, per favore, non vi stancate di essere misericordiosi. Con l’olio santo darete sollievo agli infermi e anche agli anziani: non abbiate vergogna di avere tenerezza con gli anziani… Celebrando i sacri riti e innalzando nelle varie ore del giorno la preghiera di lode e di supplica, vi farete voce del Popolo di Dio e dell’umanità intera".


"Consapevoli di essere stati scelti fra gli uomini e costituiti in loro favore per attendere alle cose di Dio - ha affermato - esercitate in letizia e in carità sincera l’opera sacerdotale di Cristo, unicamente intenti a piacere a Dio e non a voi stessi. Siete pastori, non funzionari! Siete mediatori, non intermediari!" Infine, partecipando alla missione di Cristo, Capo e Pastore, in comunione filiale con il vostro vescovo, ha esortato, "impegnatevi a unire i fedeli in un’unica famiglia per condurli a Dio Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo. Abbiate sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito, ma per servire e per cercare di salvare ciò che era perduto".

 Concelebrano con il Papa il cardinale vicario, Agostino Vallini, e i vescovi ausiliari della diocesi di Roma. Durante la Messa, il Papa ha pregato il Signore affinché i nuovi sacerdoti adempino fedelmente al ministero da Lui ricevuto e “con il loro esempio guidino tutti a un’integra condotta di vita”. “Mediante la loro predicazione con la grazia dello Spirito Santo”, ha pregato ancora Papa Francesco, la parola del Vangelo “fruttifichi nel cuore degli uomini, e raggiunga i confini della terra”.

[SM=g1740771]  segue testo integrale....

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ORDINAZIONE PRESBITERALE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
IV Domenica di Pasqua, 21 aprile 2013

[Video]

Fratelli e sorelle carissimi,

questi nostri fratelli e figli sono stati chiamati all’ordine del presbiterato. Riflettiamo attentamente a quale ministero saranno elevati nella Chiesa. Come voi ben sapete il Signore Gesù è il solo Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento, ma in Lui anche tutto il popolo santo di Dio è stato costituito popolo sacerdotale. Nondimeno, tra tutti i suoi discepoli, il Signore Gesù vuole sceglierne alcuni in particolare, perché esercitando pubblicamente nella Chiesa in suo nome l’officio sacerdotale a favore di tutti gli uomini, continuassero la sua personale missione di maestro, sacerdote e pastore.

Come, infatti, per questo Egli era stato inviato dal Padre, così Egli inviò a sua volta nel mondo prima gli Apostoli e poi i Vescovi e i loro successori, ai quali infine furono dati come collaboratori i presbiteri, che, ad essi uniti nel ministero sacerdotale, sono chiamati al servizio del Popolo di Dio.

Dopo matura riflessione e preghiera, ora stiamo per elevare all’ordine dei presbiteri questi nostri fratelli, perché al servizio di Cristo, Maestro, Sacerdote, Pastore, cooperino ad edificare il Corpo di Cristo che è la Chiesa in Popolo di Dio e Tempio santo dello Spirito Santo.

Essi saranno infatti configurati a Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote, ossia saranno consacrati come veri sacerdoti del Nuovo Testamento, e a questo titolo, che li unisce nel sacerdozio al loro Vescovo, saranno predicatori del Vangelo, Pastori del Popolo di Dio, e presiederanno le azioni di culto, specialmente nella celebrazione del sacrificio del Signore.

Quanto a voi, fratelli e figli direttissimi, che state per essere promossi all’ordine del presbiterato, considerate che esercitando il ministero della Sacra Dottrina sarete partecipi della missione di Cristo, unico Maestro. Dispensate a tutti quella Parola di Dio, che voi stessi avete ricevuto con gioia. Ricordate le vostre mamme, le vostre nonne, i vostri catechisti, che vi hanno dato la Parola di Dio, la fede…. il dono della fede! Vi hanno trasmesso questo dono della fede. Leggete e meditate assiduamente la Parola del Signore per credere ciò che avete letto, insegnare ciò che avete appreso nella fede, vivere ciò che avete insegnato. Ricordate anche che la Parola di Dio non è proprietà vostra: è Parola di Dio. E la Chiesa è la custode della Parola di Dio.

Sia dunque nutrimento al Popolo di Dio la vostra dottrina, gioia e sostegno ai fedeli di Cristo il profumo della vostra vita, perché con la parola e l’esempio edifichiate la casa di Dio, che è la Chiesa. Voi continuerete l’opera santificatrice di Cristo. Mediante il vostro ministero, il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto, perché congiunto al sacrificio di Cristo, che per le vostre mani, in nome di tutta la Chiesa, viene offerto in modo incruento sull’altare della celebrazione dai Santi Misteri.

Riconoscete dunque ciò che fate, imitate ciò che celebrate, perché partecipando al ministero della morte e resurrezione del Signore, portiate la morte di Cristo nelle vostre membra e camminiate con Lui in novità di vita.

Con il Battesimo aggregherete nuovi fedeli al Popolo di Dio. Con il Sacramento della Penitenza rimetterete i peccati nel nome di Cristo e della Chiesa. E oggi vi chiedo in nome di Cristo e della Chiesa: per favore, non vi stancate di essere misericordiosi. Con l’olio santo darete sollievo agli infermi e anche agli anziani: non abbiate vergogna di avere tenerezza con gli anziani. Celebrando i sacri riti e innalzando nelle varie ore del giorno la preghiera di lode e di supplica, vi farete voce del Popolo di Dio e dell’umanità intera.

Consapevoli di essere stati scelti fra gli uomini e costituiti in loro favore per attendere alle cose di Dio, esercitate in letizia e carità sincera l’opera sacerdotale di Cristo, unicamente intenti a piacere a Dio e non a voi stessi. Siete Pastori, non funzionari. Siete mediatori, non intermediari.

Infine, partecipando alla missione di Cristo, Capo e Pastore, in comunione filiale con il vostro Vescovo, impegnatevi a unire i fedeli in un’unica famiglia, per condurli a Dio Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo. Abbiate sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito, ma per servire, e per cercare di salvare ciò che era perduto.

 



[SM=g1740722]

Caterina63
00domenica 28 aprile 2013 16:35

SANTA MESSA E CRESIMA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
V Domenica di Pasqua, 28 aprile 2013

[Video]

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Cari fratelli e sorelle! Carissimi cresimandi! Benvenuti!

Vorrei proporvi tre semplici e brevi pensieri su cui riflettere.

  1.   Nella Seconda Lettura abbiamo ascoltato la bella visione di san Giovanni: un cielo nuovo e una terra nuova, e poi la Città Santa che scende da Dio. Tutto è nuovo, trasformato in bene, in bellezza, in verità; non c’è più lamento, lutto… Questa è l’azione dello Spirito Santo: ci porta la novità di Dio; viene a noi e fa nuove tutte le cose, ci cambia. Lo Spirito ci cambia! E la visione di san Giovanni ci ricorda che  siamo tutti in cammino verso la Gerusalemme del cielo, la novità definitiva per noi e per tutta la realtà, il giorno felice in cui potremo vedere il volto del Signore - quel volto meraviglioso, tanto bello del Signore Gesù - potremo essere con Lui per sempre, nel suo amore.

Vedete, la novità di Dio non assomiglia alle novità mondane, che sono tutte provvisorie, passano e se ne ricerca sempre di più. La novità che Dio dona alla nostra vita è definitiva, e non solo nel futuro, quando saremo con Lui, ma anche oggi: Dio sta facendo tutto nuovo, lo Spirito Santo ci trasforma veramente e vuole trasformare, anche attraverso di noi, il mondo in cui viviamo. Apriamo la porta allo Spirito, facciamoci guidare da Lui, lasciamo che l’azione continua di Dio, ci renda uomini e donne nuovi, animati dall’amore di Dio, che lo Spirito Santo ci dona! Che bello se ognuno di voi, alla sera potesse dire: oggi a scuola, a casa, al lavoro, guidato da Dio, ho compiuto un gesto di amore verso un mio compagno, i miei genitori, un anziano! Che bello!

  2.   Un secondo pensiero: nella Prima Lettura Paolo e Barnaba affermano che «dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (At 14,22). Il cammino della Chiesa, anche il nostro cammino cristiano personale, non sono sempre facili, incontrano difficoltà, tribolazione. Seguire il Signore, lasciare che il suo Spirito trasformi le nostre zone d’ombra, i nostri comportamenti che non sono secondo Dio e lavi i nostri peccati, è un cammino che incontra tanti ostacoli, fuori di noi, nel mondo e anche dentro di noi, nel cuore. Ma le difficoltà, le tribolazioni, fanno parte della strada per giungere alla gloria di Dio, come per Gesù, che è stato glorificato sulla Croce; le incontreremo sempre nella vita! Non scoraggiarsi! Abbiamo la forza dello Spirito Santo per vincere queste tribolazioni.

  3.   E qui vengo all’ultimo punto. E’ un invito che rivolgo a voi cresimandi e cresimande e a tutti: rimanete saldi nel cammino della fede con la ferma speranza nel Signore. Qui sta il segreto del nostro cammino! Lui ci dà il coraggio di andare controcorrente. Sentite bene, giovani: andare controcorrente; questo fa bene al cuore, ma ci vuole il coraggio per andare controcorrente e Lui ci dà questo coraggio! Non ci sono difficoltà, tribolazioni, incomprensioni che ci devono far paura se rimaniamo uniti a Dio come i tralci sono uniti alla vite, se non perdiamo l’amicizia con Lui, se gli facciamo sempre più spazio nella nostra vita. Questo anche e soprattutto se ci sentiamo poveri, deboli, peccatori, perché Dio dona forza alla nostra debolezza, ricchezza alla nostra povertà, conversione e perdono al nostro peccato. E’ tanto misericordioso il Signore: sempre, se andiamo da Lui, ci perdona.  Abbiamo fiducia nell’azione di Dio! Con Lui possiamo fare cose grandi; ci farà sentire la gioia di essere suoi discepoli, suoi testimoni. Scommettete sui grandi ideali, sulle cose grandi. Noi cristiani non siamo scelti dal Signore per cosine piccole, andate sempre al di là, verso le cose grandi. Giocate la vita per grandi ideali, giovani!

Novità di Dio, tribolazione nella vita, saldi nel Signore. Cari amici, spalanchiamo la porta della nostra vita alla novità di Dio che ci dona lo Spirito Santo, perché ci trasformi, ci renda forti nelle tribolazioni, rafforzi la nostra unione con il Signore, il nostro rimanere saldi in Lui: questa è una vera gioia!  Così sia.

 


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REGINA COELI

Piazza San Pietro
V Domenica di Pasqua, 28 aprile 2013

[Video]

 

Prima di concludere questa celebrazione, vorrei affidare alla Madonna i cresimati e tutti voi. La Vergine Maria ci insegna che cosa significa vivere nello Spirito Santo e che cosa significa accogliere la novità di Dio nella nostra vita. Lei ha concepito Gesù per opera dello Spirito, e ogni cristiano, ognuno di noi, è chiamato ad accogliere la Parola di Dio, ad accogliere Gesù dentro di sé e poi portarlo a tutti. Maria ha invocato lo Spirito con gli Apostoli nel cenacolo: anche noi, ogni volta che ci riuniamo in preghiera, siamo sostenuti dalla presenza spirituale della Madre di Gesù, per ricevere il dono dello Spirito e avere la forza di testimoniare Gesù risorto. Questo lo dico in modo particolare a voi, che oggi avete ricevuto la Cresima: Maria vi aiuti ad essere attenti a quello che il Signore vi chiede, e a vivere e camminare sempre secondo lo Spirito Santo!

Vorrei estendere il mio saluto affettuoso a tutti i pellegrini presenti, venuti da tanti Paesi. Saluto in particolare i ragazzi che si preparano alla Cresima, il folto gruppo guidato dalle Suore della Carità, i fedeli di alcune parrocchie polacche e quelli di Bisignano, come pure la Katholische akademische Verbindung Capitolina.

In questo momento, un momento speciale, desidero elevare una preghiera per le numerose vittime causate dal tragico crollo di una fabbrica in Bangladesh. Esprimo la mia solidarietà e profonda vicinanza alle famiglie che piangono i loro cari e rivolgo dal profondo del cuore un forte appello affinché sia sempre tutelata la dignità e la sicurezza del lavoratore.

Ora, nella luce pasquale, frutto dello Spirito, ci rivolgiamo insieme alla Madre del Signore.

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Caterina63
00domenica 5 maggio 2013 18:40

SANTA MESSA IN OCCASIONE DELLA GIORNATA DELLE CONFRATERNITE
E DELLA PIETÀ POPOLARE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO








Piazza San Pietro
VI Domenica di Pasqua, 5 maggio 2013


Cari fratelli e sorelle, siete stati coraggiosi a venire con questa pioggia… Il Signore vi benedica tanto!

Nel cammino dell'Anno della fede, sono contento di celebrare questa Eucaristia dedicata in modo speciale alle Confraternite: una realtà tradizionale nella Chiesa, che ha conosciuto in tempi recenti un rinnovamento e una riscoperta. Vi saluto tutti con affetto, in particolare le Confraternite venute da varie parti del mondo! Grazie per la vostra presenza e la vostra testimonianza!

1. Nel Vangelo abbiamo ascoltato un brano dei discorsi di addio di Gesù, riportati dall'evangelista Giovanni nel contesto dell'ultima Cena. Gesù confida agli Apostoli i suoi ultimi pensieri, come un testamento spirituale, prima di lasciarli. Il testo di oggi insiste sul fatto che la fede cristiana è tutta incentrata sul rapporto con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Chi ama il Signore Gesù accoglie in sé Lui e il Padre e grazie allo Spirito Santo accoglie nel proprio cuore e nella propria vita il Vangelo. Qui ci è indicato il centro da cui tutto deve partire e a cui tutto deve condurre: amare Dio, essere discepoli di Cristo vivendo il Vangelo. Benedetto XVI rivolgendosi a voi, ha usato questa parola: evangelicità. Care Confraternite, la pietà popolare, di cui voi siete un’importante manifestazione è un tesoro che ha la Chiesa e che i Vescovi latinoamericani hanno definito, in modo significativo, come una spiritualità, una mistica, che è uno «spazio di incontro con Gesù Cristo». Attingete sempre a Cristo, sorgente inesauribile, rafforzate la vostra fede, curando la formazione spirituale, la preghiera personale e comunitaria, la liturgia. Nei secoli le Confraternite sono state fucine di santità di tanta gente che ha vissuto con semplicità un rapporto intenso con il Signore. Camminate con decisione verso la santità; non accontentatevi di una vita cristiana mediocre, ma la vostra appartenenza sia di stimolo, anzitutto per voi, ad amare di più Gesù Cristo.

2. Anche il brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato ci parla di ciò che è essenziale. Nella Chiesa nascente ci fu subito bisogno di discernere ciò che era essenziale per essere cristiani, per seguire Cristo, e che cosa non lo era. Gli Apostoli e gli altri anziani fecero una riunione importante a Gerusalemme, un primo "concilio", su questo tema, per i problemi che erano nati dopo che il Vangelo era stato annunciato ai pagani, ai non ebrei. Quella fu un'occasione provvidenziale per capire meglio che cosa è essenziale, cioè credere in Gesù Cristo morto e risorto per i nostri peccati, e amarsi come Lui ci ha amati. Ma notate come le difficoltà furono superate non al di fuori, ma nella Chiesa. E qui c’è un secondo elemento che vorrei richiamarvi, come fece Benedetto XVI, e cioè l’ecclesialità. La pietà popolare è una strada che porta all’essenziale se è vissuta nella Chiesa in profonda comunione con i vostri Pastori. Cari fratelli e sorelle, la Chiesa vi vuole bene! Siate una presenza attiva nella comunità come cellule vive, pietre viventi. I Vescovi latinomericani hanno scritto che la pietà popolare di cui siete espressione è «una modalità legittima di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa» (Documento di Aparecida, 264). E’ bello questo! Una modalità legittima di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa. Amate la Chiesa! Lasciatevi guidare da essa! Nelle parrocchie, nelle diocesi, siate un vero polmone di fede e di vita cristiana, un'aria fresca!. In questa Piazza vedo una grande varietà prima di ombrelli e adesso di colori e di segni. Così è la Chiesa: una grande ricchezza e varietà di espressioni in cui tutto è ricondotto all’unità; la varietà ricondotta all'unità è l’incontro con Cristo.

3. Vorrei aggiungere una terza parola che vi deve caratterizzare: missionarietà. Voi avete una missione specifica e importante, che è quella di tenere vivo il rapporto tra la fede e le culture dei popoli a cui appartenete, e lo fate attraverso la pietà popolare. Quando, ad esempio, voi portate in processione il Crocifisso con tanta venerazione e tanto amore al Signore, non fate un semplice atto esteriore; voi indicate la centralità del Mistero Pasquale del Signore, della sua Passione, Morte e Risurrezione, che ci ha redenti, e indicate a voi stessi per primi e alla comunità che bisogna seguire Cristo nel cammino concreto della vita perché ci trasformi. Ugualmente quando manifestate la profonda devozione per la Vergine Maria, voi indicate la più alta realizzazione dell’esistenza cristiana, Colei che per la sua fede e la sua obbedienza alla volontà di Dio, come pure per la sua meditazione della Parola e delle azioni di Gesù, è la discepola perfetta del Signore (cfr Lumen gentium, 53). Questa fede, che nasce dall'ascolto della Parola di Dio, voi la manifestate in forme che coinvolgono i sensi, gli affetti, i simboli delle diverse culture... E così facendo aiutate a trasmetterla alla gente, e specialmente alle persone semplici, a coloro che nel Vangelo Gesù chiama «i piccoli». In effetti, «il camminare insieme verso i santuari e la partecipazione ad altre manifestazioni della pietà popolare, portando con sé anche i figli e coinvolgendo altre persone, è in se stesso un'azione di evangelizzazione» (Documento di Aparecida, 264). Quando voi andate ai santuari, quando portare la famiglia, i vostri figli, voi state facendo proprio un’azione di evangelizzazione. Bisogna andare avanti così! Siate anche voi veri evangelizzatori! Le vostre iniziative siano dei “ponti”, delle vie per portare a Cristo, per camminare con Lui. E in questo spirito siate sempre attenti alla carità. Ogni cristiano e ogni comunità è missionaria nella misura in cui porta e vive il Vangelo e testimonia l’amore di Dio verso tutti, specialmente verso chi si trova in difficoltà. Siate missionari dell’amore e della tenerezza di Dio! Siate missionari della misericordia di Dio, che sempre ci perdona, sempre ci aspetta, ci ama tanto!

Evangelicità, ecclesialità, missionarietà. Tre parole! Non dimenticarle! Evangelicità, ecclesialità, missionarietà. Chiediamo al Signore che orienti sempre la nostra mente e il nostro cuore verso di Lui, come pietre vive della Chiesa, perché ogni nostra attività, tutta la nostra vita cristiana sia una testimonianza luminosa della sua misericordia e del suo amore. E così cammineremo verso la meta del nostro pellegrinaggio terreno, verso quel santuario tanto bello, la Gerusalemme del Cielo. Là non c’è più alcun tempio: Dio stesso e l’Agnello sono il suo tempio; e la luce del sole e della luna cedono il posto alla gloria dell’Altissimo. Così sia.




 REGINA COELI

Piazza San Pietro
VI Domenica di Pasqua, 5 maggio 2013

In questo momento di profonda comunione in Cristo, sentiamo viva in mezzo a noi anche la presenza spirituale della Vergine Maria. Una presenza materna, familiare, specialmente per voi che fate parte delle Confraternite. L’amore per la Madonna è una delle caratteristiche della pietà popolare, che chiede di essere valorizzata e ben orientata. Per questo, vi invito a meditare l’ultimo capitolo della Costituzione del Concilio Vaticano II sulla Chiesa, la Lumen gentium, che parla proprio di Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa. Lì si dice che Maria «avanzò nella peregrinazione della fede» (n. 58). Cari amici, nell’Anno della fede vi lascio questa icona di Maria pellegrina, che segue il Figlio Gesù e precede tutti noi nel cammino della fede.

Oggi le Chiese d’Oriente che seguono il Calendario Giuliano celebrano la festa di Pasqua. Desidero inviare a questi fratelli e sorelle uno speciale saluto, unendomi di tutto cuore a loro nel proclamare il lieto annuncio: Cristo è risorto! Raccolti in preghiera intorno a Maria, invochiamo da Dio il dono dello Spirito Santo, il Paraclito, perché consoli e conforti tutti i cristiani, specialmente quanti celebrano la Pasqua tra prove e sofferenze, e li guidi sulla via della riconciliazione e della pace.

Ieri in Brasile è stata proclamata Beata Francisca de Paula De Jesus, detta «Nhá Chica». La sua vita semplice fu tutta dedicata a Dio e alla carità, tanto che era chiamata «madre dei poveri». Mi unisco alla gioia della Chiesa in Brasile per questa luminosa discepola del Signore.
Saluto con affetto tutte le Confraternite presenti, venute da tanti Paesi. Grazie per la vostra testimonianza di fede! Saluto anche i gruppi parrocchiali e le famiglie, come pure la grande parata di varie bande musicali e associazioni degli Schützen provenienti dalla Germania.
Un saluto speciale va oggi all’Associazione “Meter”, nella Giornata dei bambini vittime della violenza. E questo mi offre l’occasione per rivolgere il mio pensiero a quanti hanno sofferto e soffrono a causa di abusi. Vorrei assicurare loro che sono presenti nella mia preghiera, ma vorrei anche dire con forza che tutti dobbiamo impegnarci con chiarezza e coraggio affinché ogni persona umana, specialmente i bambini, che sono tra le categorie più vulnerabili, sia sempre difesa e tutelata.
Incoraggio anche i malati di ipertensione polmonare e i loro familiari.
Buona domenica e buon pranzo!


Caterina63
00domenica 12 maggio 2013 14:16


SANTA MESSA E CANONIZZAZIONI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
VII Domenica di Pasqua, 12 maggio 2013

[Video]




Cari fratelli e sorelle!

In questa settima Domenica del Tempo di Pasqua ci siamo radunati con gioia per celebrare una festa della santità. Rendiamo grazie a Dio che ha fatto risplendere la sua gloria, la gloria dell’Amore, sui Martiri di Otranto, su Madre Laura Montoya e su Madre María Guadalupe García Zavala. Saluto tutti voi che siete venuti per questa festa –  dall’Italia, dalla Colombia, dal Messico, da altri Paesi – e vi ringrazio!

Vogliamo guardare ai nuovi Santi alla luce della Parola di Dio proclamata. Una Parola che ci ha invitato alla fedeltà a Cristo, anche fino al martirio; ci ha richiamato l’urgenza e la bellezza di portare Cristo e il suo Vangelo a tutti; e ci ha parlato della testimonianza della carità, senza la quale anche il martirio e la missione perdono il loro sapore cristiano.

Gli Atti degli Apostoli, quando ci parlano del diacono Stefano, il protomartire, insistono nel dire che egli era un uomo “pieno di Spirito Santo” (6,5; 7,55). Che significa questo? Significa che era pieno dell’Amore di Dio, che tutta la sua persona, la sua vita era animata dallo Spirito di Cristo risorto, tanto da seguire Gesù con fedeltà totale, fino al dono di sé.

Oggi la Chiesa propone alla nostra venerazione una schiera di martiri, che furono chiamati insieme alla suprema testimonianza del Vangelo, nel 1480. Circa ottocento persone, sopravvissute all’assedio e all’invasione di Otranto, furono decapitate nei pressi di quella città. Si rifiutarono di rinnegare la propria fede e morirono confessando Cristo risorto. Dove trovarono la forza per rimanere fedeli? Proprio nella fede, che fa vedere oltre i limiti del nostro sguardo umano, oltre il confine della vita terrena, fa contemplare «i cieli aperti» - come dice santo Stefano – e il Cristo vivo alla destra del Padre. Cari amici, conserviamo la fede che abbiamo ricevuto e che è il nostro vero tesoro, rinnoviamo la nostra fedeltà al Signore, anche in mezzo agli ostacoli e alle incomprensioni; Dio non ci farà mai mancare forza e serenità.

Mentre veneriamo i Martiri di Otranto, chiediamo a Dio di sostenere tanti cristiani che, proprio in questi tempi e in tante parti del mondo, adesso, ancora soffrono violenze, e dia loro il coraggio della fedeltà e di rispondere al male col bene.

Il secondo pensiero lo possiamo ricavare dalle parole di Gesù che abbiamo ascoltato nel Vangelo: «Prego per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi» (Gv 17,20). Santa Laura Montoya è stata strumento di evangelizzazione prima come insegnante e poi come madre spirituale degli indigeni, ai quali infuse speranza, accogliendoli con l’amore appreso da Dio e portandoli a Lui con una efficacia pedagogica che rispettava la loro cultura e non si contrapponeva ad essa. Nella sua opera di evangelizzazione Madre Laura si fece veramente tutta a tutti, secondo l’espressione di san Paolo (cfr 1Cor 9,22). Anche oggi le sue figlie spirituali vivono e portano il Vangelo nei luoghi più reconditi e bisognosi, come una sorta di avanguardia della Chiesa.

Questa prima santa nata nella bella terra colombiana ci insegna ad essere generosi con Dio, a non vivere la fede da soli - come se fosse possibile vivere la fede in modo isolato -, ma a comunicarla, a portare la gioia del Vangelo con la parola e la testimonianza di vita in ogni ambiente in cui ci troviamo. In qualsiasi luogo in cui viviamo, irradiare questa vita del Vangelo! Ci insegna a vedere il volto di Gesù riflesso nell’altro, a vincere indifferenza e individualismo, che corrodono le comunità cristiane e corrodono il nostro cuore, e ci insegna ad accogliere  tutti senza pregiudizi, senza discriminazioni, senza reticenze, con amore sincero, donando loro il meglio di noi stessi e soprattutto condividendo con loro ciò che abbiamo di più prezioso, che non sono le nostre opere o le nostre organizzazioni, no! Quello che abbiamo di più prezioso è Cristo e il suo Vangelo.

Infine, un terzo pensiero. Nel Vangelo di oggi, Gesù prega il Padre con queste parole: «Io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17,26). La fedeltà dei martiri fino alla morte e la proclamazione del Vangelo a tutti si radicano, hanno la loro radice nell’amore di Dio effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (cfr Rm 5,5), e nella testimonianza che dobbiamo dare di questo amore nella nostra vita quotidiana. Santa María Guadalupe García Zavala lo sapeva bene. Rinunciando a una vita comoda – quanto danno arreca la vita comoda, il benessere; l’”imborghesimento” del cuore ci paralizza –, rinunciando a una vita comoda per seguire la chiamata di Gesù, insegnava ad amare la povertà, per poter amare di più i poveri e gli infermi. Madre Lupita si inginocchiava sul pavimento dell’Ospedale davanti agli ammalati e agli abbandonati per servirli con tenerezza e compassione. E questo si chiama: “toccare la carne di Cristo”. I poveri, gli abbandonati, gli infermi, gli emarginati sono la carne di Cristo. E Madre Lupita toccava la carne di Cristo e ci ha insegnato questo modo di agire: non vergognarsi, non avere paura, non provare ripugnanza a “toccare la carne di Cristo”! Madre Lupita aveva capito che cosa significa questo “toccare la carne di Cristo”. Anche oggi le sue figlie spirituali cercano di riflettere l’amore di Dio nelle opere di carità, senza risparmiare sacrifici e affrontando con mitezza, con perseveranza apostolica (hypomonē), sopportando con coraggio qualunque ostacolo.

Questa nuova Santa messicana ci invita ad amare come Gesù ci ha amato, e questo comporta non chiudersi in se stessi, nei propri problemi, nelle proprie idee, nei propri interessi, in questo piccolo mondo che ci arreca tanto danno, ma uscire e andare incontro a chi ha bisogno di attenzione, di comprensione, di aiuto, per portagli la calorosa vicinanza dell’amore di Dio, attraverso gesti di delicatezza, di affetto sincero e di amore.

Fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, per annunciarlo con la parola e con la vita, testimoniando l’amore di Dio con il nostro amore, con la nostra carità verso tutti: sono luminosi esempi ed insegnamenti che ci offrono i Santi proclamati oggi, ma che suscitano anche domande alla nostra vita cristiana: Come io sono fedele a Cristo? Portiamo con noi questa domanda, per pensarla durante la giornata: come io sono fedele a Cristo? Sono capace di “far vedere” la mia fede con rispetto, ma anche con coraggio? Sono attento agli altri, mi accorgo di chi è nel bisogno, vedo in tutti fratelli e sorelle da amare? Chiediamo, per intercessione della Beata Vergine Maria e dei  nuovi Santi, che il Signore riempia la nostra vita con la gioia del suo amore.
Così sia.







REGINA COELI
Piazza San Pietro
VII Domenica di Pasqua, 12 maggio 2013






Cari fratelli e sorelle,

al termine di questa celebrazione, desidero salutare tutti voi che siete venuti a rendere omaggio ai nuovi Santi, in modo particolare le Delegazioni ufficiali dell’Italia, della Colombia e del Messico.

I martiri di Otranto aiutino il caro popolo italiano a guardare con speranza al futuro, confidando nella vicinanza di Dio che mai abbandona, anche nei momenti difficili.

Que por intercesión de Madre Laura Montoya, el Señor conceda un nuevo impulso misionero y evangelizador a la Iglesia, y que, inspirados en el ejemplo de concordia y reconciliación de esta nueva Santa, los amados hijos de Colombia continúen trabajando por la paz y el justo desarrollo de su Patria.

En las manos de Santa Guadalupe García Zavala ponemos a todos los pobres, los enfermos y a cuantos los asisten, y encomendamos a su intercesión a la noble Nación mexicana, para que desterrada toda violencia e inseguridad, avance cada vez más por el camino de la solidaridad y la convivencia fraterna.

Sono lieto poi di ricordare che ieri, a Roma, è stato proclamato beato il sacerdote Luigi Novarese, fondatore del Centro volontari della Sofferenza e dei Silenziosi Operai della Croce. Mi unisco al rendimento di grazie per questo prete esemplare, che ha saputo rinnovare la pastorale dei malati rendendoli soggetti attivi nella Chiesa.

Saluto i partecipanti alla “Marcia per la vita” che ha avuto luogo questa mattina a Roma e invito a mantenere viva l’attenzione di tutti sul tema così importante del rispetto per la vita umana sin dal momento del suo concepimento. A questo proposito, mi piace ricordare anche la raccolta di firme che oggi si tiene in molte parrocchie italiane, al fine di sostenere l’iniziativa europea “Uno di noi”, per garantire protezione giuridica all’embrione, tutelando ogni essere umano sin dal primo istante della sua esistenza. Un momento speciale per coloro che hanno a cuore la difesa della sacralità della vita umana sarà la “Giornata dell’Evangelium Vitae”, che avrà luogo qui in Vaticano, nel contesto dell’Anno della fede, il 15 e 16 giugno prossimo. [SM=g1740722]

Saluto con affetto tutti i gruppi parrocchiali, le famiglie, le scuole, i giovani presenti. Con amore filiale ci rivolgiamo ora alla Vergine Maria, madre e modello di tutti i cristiani.

marcia per la vita 2013 Papa Francesco


[SM=g1740733]

Caterina63
00domenica 19 maggio 2013 14:30
INCONTRO CON I MOVIMENTI VIGILIA DI PENTECOSTE

Alle 17 e 30 del 18 maggio l’arrivo di Papa Francesco nella piazza.
Non un intervento scritto, ma la risposta a braccio a quattro domande.


Alla prima: "Come ha potuto raggiungere Lei nella Sua vita la certezza sulla fede?" Il Papa risponde:

Ho ricevuto il primo annuncio cristiano proprio dalla mia nonna, no?, è bellissimo, quello! Il primo annuncio in casa, con la famiglia, no? E questo mi fa pensare all’amore di tante mamme e tante nonne, nella trasmissione della fede.
Noi non troviamo la fede un po’ nell’astratto, no: sempre è una persona che predica, che ci dice chi è Gesù, ti da la fede, ti da il primo annuncio... E questa esperienza della fede è importante. Noi diciamo che dobbiamo cercare Dio, andare da Lui a chiedere perdono … ma quando noi andiamo, Lui ci aspetta, Lui è prima! …. Voi parlavate della fragilità della fede: come si fa per vincerla. Il nemico più grande che ha la fragilità, è curioso, eh?, è la paura. Ma non abbiate paura! Siamo fragili, ma lo sappiamo. Ma Lui è più forte"
!


Come possiamo comunicare in modo efficace la fede oggi? E’ la seconda domanda:

"Dirò tre parole soltanto. Primo: Gesù. Chi è la cosa più importante? Gesù. Se noi andiamo avanti con l'organizzazione, con altre cose, con belle cose pure, ma senza Gesù, non andiamo, la cosa non va. La seconda parola è la preghiera. Guardare il volto di Dio, ma soprattutto, e questo è collegato con quello che ho detto prima, sentirsi guardati. La terza è la testimonianza".

Alla domanda: “Come possiamo vivere una Chiesa povera e per i poveri? Quale contributo possiamo dare per affrontare la grave crisi di oggi? Papa Francesco risponde che vivere il Vangelo è il primo contributo che possiamo dare:

"La Chiesa non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata, ma, come dice Gesù, è sale della terra e luce del mondo, è chiamata a rendere presente nella società il lievito del Regno di Dio; e lo fa prima di tutto con la testimonianza dell’amore fraterno, della solidarietà, della condivisione".

  seguirà il testo integrale CHE TROVERETE QUI....


QUI SEGUE invece, L'OMELIA della Messa di Pentecoste


SOLENNITÀ DI PENTECOSTE
SANTA MESSA CON I MOVIMENTI ECCLESIALI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
Domenica 19 maggio 2013

[Video]


 

Cari fratelli e sorelle,

in questo giorno noi contempliamo e riviviamo nella liturgia l’effusione dello Spirito Santo operata da Cristo risorto sulla sua Chiesa; un evento di grazia che ha riempito il cenacolo di Gerusalemme per espandersi nel mondo intero.

Ma che cosa avvenne in quel giorno così lontano da noi, eppure così vicino da raggiungere l’intimo del nostro cuore? San Luca ci offre la risposta nel brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato (2,1-11). L’evangelista ci riporta a Gerusalemme, al piano superiore della casa nella quale sono riuniti gli Apostoli. Il primo elemento che attira la nostra attenzione è il fragore che improvviso viene dal cielo, «quasi un vento che si abbatte impetuoso» e riempie la casa; poi le «lingue come di fuoco» che si dividevano e si posavano su ciascuno degli Apostoli. Fragore e lingue infuocate sono segni precisi e concreti che toccano gli Apostoli, non solo esteriormente, ma anche nel loro intimo: nella mente e nel cuore. La conseguenza è che «tutti furono colmati di Spirito Santo», il quale sprigiona il suo dinamismo irresistibile, con esiti sorprendenti: «Cominciarono a parlare in altre lingue nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi». Si apre allora davanti a noi un quadro del tutto inatteso: una grande folla si raduna ed è piena di meraviglia perché ciascuno sente parlare gli Apostoli nella propria lingua. Tutti fanno un’esperienza nuova, mai accaduta prima: «Li udiamo parlare nelle nostre lingue». E di che cosa parlano? «Delle grandi opere di Dio».

Alla luce di questo brano degli Atti, vorrei riflettere su tre parole legate all’azione dello Spirito: novità, armonia, missione.

1. La novità ci fa sempre un po’ di paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo, se siamo noi a costruire, a programmare, a progettare la nostra vita secondo i nostri schemi, le nostre sicurezze, i nostri gusti. E questo avviene anche con Dio. Spesso lo seguiamo, lo accogliamo, ma fino ad un certo punto; ci è difficile abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito Santo l’anima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte; abbiamo paura che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti. Ma, in tutta la storia della salvezza, quando Dio si rivela porta novità - Dio porta sempre novità -, trasforma e chiede di fidarsi totalmente di Lui: Noè costruisce un’arca deriso da tutti e si salva; Abramo lascia la sua terra con in mano solo una promessa; Mosè affronta la potenza del faraone e guida il popolo verso la libertà; gli Apostoli, timorosi e chiusi nel cenacolo, escono con coraggio per annunciare il Vangelo. Non è la novità per la novità, la ricerca del nuovo per superare la noia, come avviene spesso nel nostro tempo. La novità che Dio porta nella nostra vita è ciò che veramente ci realizza, ciò che ci dona la vera gioia, la vera serenità, perché Dio ci ama e vuole solo il nostro bene. Domandiamoci oggi: siamo aperti alle “sorprese di Dio”? O ci chiudiamo, con paura, alla novità dello Spirito Santo? Siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture caduche che hanno perso la capacità di accoglienza? Ci farà bene farci queste domande durante tutta la giornata.

2. Un secondo pensiero: lo Spirito Santo, apparentemente, sembra creare disordine nella Chiesa, perché porta la diversità dei carismi, dei doni; ma tutto questo invece, sotto la sua azione, è una grande ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità, ma ricondurre il tutto all’armonia. Nella Chiesa l’armonia la fa lo Spirito Santo. Uno dei Padri della Chiesa ha un’espressione che mi piace tanto: lo Spirito Santo “ipse harmonia est”. Lui è proprio l’armonia. Solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità. Anche qui, quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo noi a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità, l’omologazione. Se invece ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa. Il camminare insieme nella Chiesa, guidati dai Pastori, che hanno uno speciale carisma e ministero, è segno dell’azione dello Spirito Santo; l’ecclesialità è una caratteristica fondamentale per ogni cristiano, per ogni comunità, per ogni movimento. E’ la Chiesa che mi porta Cristo e mi porta a Cristo; i cammini paralleli sono tanto pericolosi! Quando ci si avventura andando oltre (proagon) la dottrina e la Comunità ecclesiale - dice l’Apostolo Giovanni nella sua Seconda Lettera - e non si rimane in esse, non si è uniti al Dio di Gesù Cristo (cfr 2Gv 1,9). Chiediamoci allora: sono aperto all’armonia dello Spirito Santo, superando ogni esclusivismo? Mi faccio guidare da Lui vivendo nella Chiesa e con la Chiesa?

3. L’ultimo punto. I teologi antichi dicevano: l’anima è una specie di barca a vela, lo Spirito Santo è il vento che soffia nella vela per farla andare avanti, gli impulsi e le spinte del vento sono i doni dello Spirito. Senza la sua spinta, senza la sua grazia, noi non andiamo avanti. Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero del Dio vivente e ci salva dal pericolo di una Chiesa gnostica e di una Chiesa autoreferenziale, chiusa nel suo recinto; ci spinge ad aprire le porte per uscire, per annunciare e testimoniare la vita buona del Vangelo, per comunicare la gioia della fede, dell’incontro con Cristo. Lo Spirito Santo è l’anima della missione. Quanto avvenuto a Gerusalemme quasi duemila anni fa non è un fatto lontano da noi, è un fatto che ci raggiunge, che si fa esperienza viva in ciascuno di noi. La Pentecoste del cenacolo di Gerusalemme è l’inizio, un inizio che si prolunga. Lo Spirito Santo è il dono per eccellenza di Cristo risorto ai suoi Apostoli, ma Egli vuole che giunga a tutti. Gesù, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, dice: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,16). E’ lo Spirito Paràclito, il «Consolatore», che dà il coraggio di percorrere le strade del mondo portando il Vangelo! Lo Spirito Santo ci fa vedere l’orizzonte e ci spinge fino alle periferie esistenziali per annunciare la vita di Gesù Cristo. Chiediamoci se abbiamo la tendenza di chiuderci in noi stessi, nel nostro gruppo, o se lasciamo che lo Spirito Santo ci apra alla missione. Ricordiamo oggi queste tre parole: novità, armonia, missione.

La liturgia di oggi è una grande preghiera che la Chiesa con Gesù eleva al Padre, perché rinnovi l’effusione dello Spirito Santo. Ciascuno di noi, ogni gruppo, ogni movimento, nell’armonia della Chiesa, si rivolga al Padre per chiedere questo dono. Anche oggi, come al suo nascere, insieme con Maria la Chiesa invoca: «Veni Sancte Spiritus! - Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore!». Amen.

 




Caterina63
00giovedì 30 maggio 2013 22:22

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DEL CORPUS DOMINI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di San Giovanni in Laterano
Giovedì,
30 maggio 2013

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Cari fratelli e sorelle,

nel Vangelo che abbiamo ascoltato, c’è un’espressione di Gesù che mi colpisce sempre: «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13). Partendo da questa frase, mi lascio guidare da tre parole: sequela, comunione, condivisione.

1. Anzitutto: chi sono coloro a cui dare da mangiare? La risposta la troviamo all’inizio del brano evangelico: è la folla, la moltitudine. Gesù sta in mezzo alla gente, l’accoglie, le parla, la cura, le mostra la misericordia di Dio; in mezzo ad essa sceglie i Dodici Apostoli per stare con Lui e immergersi come Lui nelle situazioni concrete del mondo. E la gente lo segue, lo ascolta, perché Gesù parla e agisce in un modo nuovo, con l’autorità di chi è autentico e coerente, di chi parla e agisce con verità, di chi dona la speranza che viene da Dio, di chi è rivelazione del Volto di un Dio che è amore. E la gente, con gioia, benedice Dio.

Questa sera noi siamo la folla del Vangelo, anche noi cerchiamo di seguire Gesù per ascoltarlo, per entrare in comunione con Lui nell’Eucaristia, per accompagnarlo e perché ci accompagni. Chiediamoci: come seguo io Gesù? Gesù parla in silenzio nel Mistero dell’Eucaristia e ogni volta ci ricorda che seguirlo vuol dire uscire da noi stessi e fare della nostra vita non un nostro possesso, ma un dono a Lui e agli altri.

2. Facciamo un passo avanti: da dove nasce l’invito che Gesù fa ai discepoli di sfamare essi stessi la moltitudine? Nasce da due elementi: anzitutto dalla folla che, seguendo Gesù, si trova all’aperto, lontano dai luoghi abitati, mentre si fa sera, e poi dalla preoccupazione dei discepoli che chiedono a Gesù di congedare la folla perché vada nei paesi vicini a trovare cibo e alloggio (cfr Lc 9,12). Di fronte alla necessità della folla, ecco la soluzione dei discepoli: ognuno pensi a se stesso; congedare la folla! Ognuno pensi a se stesso; congedare la folla! Quante volte noi cristiani abbiamo questa tentazione! Non ci facciamo carico delle necessità degli altri, congedandoli con un pietoso: “Che Dio ti aiuti”, o con un non tanto pietoso: “Felice sorte”, e se non ti vedo più… Ma la soluzione di Gesù va in un’altra direzione, una direzione che sorprende i discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma come è possibile che siamo noi a dare da mangiare ad una moltitudine? «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente» (Lc 9,13). Ma Gesù non si scoraggia: chiede ai discepoli di far sedere la gente in comunità di cinquanta persone, alza gli occhi al cielo, recita la benedizione, spezza i pani e li dà ai discepoli perché li distribuiscano (cfr Lc 9,16). E’ un momento di profonda comunione: la folla dissetata dalla parola del Signore, è ora nutrita dal suo pane di vita. E tutti ne furono saziati, annota l’Evangelista (cfr Lc 9,17).

Questa sera, anche noi siamo attorno alla mensa del Signore, alla mensa del Sacrificio eucaristico, in cui Egli ci dona ancora una volta il suo Corpo, rende presente l’unico sacrificio della Croce. E’ nell’ascoltare la sua Parola, nel nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue, che Egli ci fa passare dall’essere moltitudine all’essere comunità, dall’anonimato alla comunione. L’Eucaristia è il Sacramento della comunione, che ci fa uscire dall’individualismo per vivere insieme la sequela, la fede in Lui. Allora dovremmo chiederci tutti davanti al Signore: come vivo io l’Eucaristia? La vivo in modo anonimo o come momento di vera comunione con il Signore, ma anche con tutti i fratelli e le sorelle che condividono questa stessa mensa? Come sono le nostre celebrazioni eucaristiche?

3. Un ultimo elemento: da dove nasce la moltiplicazione dei pani? La risposta sta nell’invito di Gesù ai discepoli «Voi stessi date…», “dare”, condividere. Che cosa condividono i discepoli? Quel poco che hanno: cinque pani e due pesci. Ma sono proprio quei pani e quei pesci che nelle mani del Signore sfamano tutta la folla. E sono proprio i discepoli smarriti di fronte all’incapacità dei loro mezzi, alla povertà di quello che possono mettere a disposizione, a far accomodare la gente e a distribuire – fidandosi della parola di Gesù - i pani e pesci che sfamano la folla. E questo ci dice che nella Chiesa, ma anche nella società, una parola chiave di cui non dobbiamo avere paura è “solidarietà”, saper mettere, cioè, a disposizione di Dio quello che abbiamo, le nostre umili capacità, perché solo nella condivisione, nel dono, la nostra vita sarà feconda, porterà frutto. Solidarietà: una parola malvista dallo spirito mondano!

Questa sera, ancora una volta, il Signore distribuisce per noi il pane che è il suo Corpo, Lui si fa dono. E anche noi sperimentiamo la “solidarietà di Dio” con l’uomo, una solidarietà che mai si esaurisce, una solidarietà che non finisce di stupirci: Dio si fa vicino a noi, nel sacrificio della Croce si abbassa entrando nel buio della morte per darci la sua vita, che vince il male, l’egoismo e la morte. Gesù anche questa sera si dona a noi nell’Eucaristia, condivide il nostro stesso cammino, anzi si fa cibo, il vero cibo che sostiene la nostra vita anche nei momenti in cui la strada si fa dura, gli ostacoli rallentano i nostri passi. E nell’Eucaristia il Signore ci fa percorrere la sua strada, quella del servizio, della condivisione, del dono, e quel poco che abbiamo, quel poco che siamo, se condiviso, diventa ricchezza, perché la potenza di Dio, che è quella dell’amore, scende nella nostra povertà per trasformarla.

Chiediamoci allora questa sera, adorando il Cristo presente realmente nell’Eucaristia: mi lascio trasformare da Lui? Lascio che il Signore che si dona a me, mi guidi a uscire sempre di più dal mio piccolo recinto, a uscire e non aver paura di donare, di condividere, di amare Lui e gli altri?

Fratelli e sorelle: sequela, comunione, condivisione. Preghiamo perché la partecipazione all’Eucaristia ci provochi sempre: a seguire il Signore ogni giorno, ad essere strumenti di comunione, a condividere con Lui e con il nostro prossimo quello che siamo. Allora la nostra esistenza sarà veramente feconda. Amen.

 

Caterina63
00domenica 16 giugno 2013 14:07

CELEBRAZIONE EUCARISTICA PER LA GIORNATA "EVANGELIUM VITAE",
IN OCCASIONE DELL'ANNO DELLA FEDE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
Domenica,
16 giugno 2013

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Papa

Cari fratelli e sorelle,

questa celebrazione ha un nome molto bello: il Vangelo della Vita. Con questa Eucaristia, nell’Anno della fede, vogliamo ringraziare il Signore per il dono della vita, in tutte le sue manifestazioni; e nello stesso tempo vogliamo annunciare il Vangelo della Vita.

Partendo dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato vorrei proporvi tre semplici spunti di meditazione per la nostra fede: anzitutto, la Bibbia ci rivela il Dio Vivente, il Dio che è Vita e fonte della vita; in secondo luogo, Gesù Cristo dona la vita, e lo Spirito Santo ci mantiene nella vita; terzo, seguire la via di Dio conduce alla vita, mentre seguire gli idoli conduce alla morte.

1. La prima Lettura, tratta dal Secondo Libro di Samuele, ci parla di vita e di morte. Il re Davide vuole nascondere l’adulterio commesso con la moglie di Uria l’Hittita, un soldato del suo esercito, e per fare questo ordina di collocare Uria in prima linea perché sia ucciso in battaglia. La Bibbia ci mostra il dramma umano in tutta la sua realtà, il bene e il male, le passioni, il peccato e le sue conseguenze. Quando l’uomo vuole affermare se stesso, chiudendosi nel proprio egoismo e mettendosi al posto di Dio, finisce per seminare morte. L’adulterio del re Davide ne è un esempio. E l’egoismo porta alla menzogna, con cui si cerca di ingannare se stessi e il prossimo. Ma Dio non si può ingannare, e abbiamo ascoltato come il profeta dice a Davide: tu hai fatto ciò che è male agli occhi di Dio (cfr 2Sam 12,9). Il re viene messo di fronte alle sue opere di morte - davvero quello che ha fatto è un'opera di morte, non di vita! -, comprende e chiede perdono: «Ho peccato contro il Signore!» (v.13), e il Dio misericordioso che vuole la vita e sempre ci perdona, lo perdona, gli ridona vita; il profeta gli dice: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai».
Che immagine abbiamo di Dio? Forse ci appare come un giudice severo, come qualcuno che limita la nostra libertà di vivere. Ma tutta la Scrittura ci ricorda che Dio è il Vivente, colui che dona la vita e che indica la via della vita piena. Penso all’inizio del Libro della Genesi: Dio plasma l’uomo con polvere del suolo, soffia nelle sue narici un alito di vita e l’uomo diviene un essere vivente (cfr 2,7). Dio è la fonte della vita; è grazie al suo soffio che l’uomo ha vita ed è il suo soffio che sostiene il cammino della sua esistenza terrena.
Penso anche alla vocazione di Mosè, quando il Signore si presenta come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, come il Dio dei viventi; e inviando Mosè al faraone per liberare il suo popolo rivela il suo nome: “Io sono colui che sono”, il Dio che si rende presente nella storia, che libera dalla schiavitù, dalla morte, e porta vita al popolo perché è il Vivente. Penso anche al dono dei Dieci Comandamenti: una strada che Dio ci indica per un vita veramente libera, per una vita piena; non sono un inno al “no” - non devi fare questo, non devi fare questo, non devi fare questo... No! Sono un inno al “sì” a Dio, all’Amore, alla vita. Cari amici, la nostra vita è piena solo in Dio, perché solo Lui è il Vivente!

2. Il brano del Vangelo di oggi ci fa fare un passo avanti. Gesù incontra una donna peccatrice durante un pranzo in casa di un fariseo, suscitando lo scandalo dei presenti: Gesù si lascia avvicinare da una peccatrice e addirittura le rimette i peccati, dicendo: «Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco» (Lc 7,47). Gesù è l’incarnazione del Dio Vivente, Colui che porta la vita, di fronte a tante opere di morte, di fronte al peccato, all’egoismo, alla chiusura in se stessi. Gesù accoglie, ama, solleva, incoraggia, perdona e dona nuovamente la forza di camminare, ridona vita.
In tutto il Vangelo noi vediamo come Gesù con i gesti e le parole porta la vita di Dio che trasforma. E’ l’esperienza della donna che unge con profumo i piedi del Signore: si sente compresa, amata, e risponde con un gesto di amore, si lascia toccare dalla misericordia di Dio e ottiene il perdono, inizia una nuova vita. Dio, il Vivente, è misericordioso. Siete d’accordo? Diciamolo insieme: Dio, il Vivente, è misericordioso! Tutti: Dio, il Vivente, è misericordioso. Un’altra volta: Dio, il Vivente, è misericordioso!

E’ stata questa anche l’esperienza dell’apostolo Paolo, come abbiamo ascoltato nella seconda Lettura: «Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20).
Qual è questa vita? E’ la vita stessa di Dio. E chi ci introduce in questa vita? E’ lo Spirito Santo, dono del Cristo Risorto.
E’ Lui che ci introduce nella vita divina come veri figli di Dio, come figli nel Figlio Unigenito, Gesù Cristo. Siamo aperti noi allo Spirito Santo? Ci lasciamo guidare da Lui? Il cristiano è un uomo spirituale, e questo non significa che sia una persona che vive “nelle nuvole”, fuori della realtà, come se fosse un fantasma. No! Il cristiano è una persona che pensa e agisce nella vita quotidiana secondo Dio, una persona che lascia che la sua vita sia animata, nutrita dallo Spirito Santo perché sia piena, da veri figli. E questo significa realismo e fecondità. Chi si lascia condurre dallo Spirito Santo è realista, sa misurare e valutare la realtà, ed è anche fecondo: la sua vita genera vita attorno a sé.

3. Dio è il Vivente, è il Misericordioso. Gesù ci porta la vita di Dio, lo Spirito Santo  ci introduce e ci mantiene nella relazione vitale di veri figli di Dio. Ma spesso - lo sappiamo per esperienza - l’uomo non sceglie la vita, non accoglie il “Vangelo della vita”, ma si lascia guidare da ideologie e logiche che mettono ostacoli alla vita, che non la rispettano, perché sono dettate dall’egoismo, dall’interesse, dal profitto, dal potere, dal piacere e non sono dettate dall’amore, dalla ricerca  del bene dell’altro.
E’ la costante illusione di voler costruire la città dell’uomo senza Dio, senza la vita e l’amore di Dio - una nuova Torre di Babele; è il pensare che il rifiuto di Dio, del Messaggio di Cristo, del Vangelo della Vita, porti alla libertà, alla piena realizzazione dell’uomo. Il risultato è che al Dio Vivente vengono sostituiti idoli umani e passeggeri, che offrono l’ebbrezza di un momento di libertà, ma che alla fine sono portatori di nuove schiavitù e di morte. La saggezza del Salmista dice: «I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi» (Sal 19,9). Ricordiamolo sempre: il Signore è il Vivente, è misericordioso. Il Signore è il Vivente, è misericordioso.

Cari fratelli e sorelle, guardiamo a Dio come al Dio della vita, guardiamo alla sua legge, al messaggio del Vangelo come a una via di libertà e di vita.
Il Dio Vivente ci fa liberi! Diciamo sì all’amore e no all’egoismo, diciamo sì alla vita e no alla morte, diciamo sì alla libertà e no alla schiavitù dei tanti idoli del nostro tempo; in una parola diciamo sì a Dio, che è amore, vita e libertà, e mai delude (cfr 1Gv 4,8; Gv 11,25; Gv 8,32), a Dio che il Vivente e il Misericordioso. Solo la fede nel Dio Vivente ci salva; nel Dio che in Gesù Cristo ci ha donato la sua vita con il dono dello Spirito Santo e fa vivere da veri figli di Dio con la sua misericordia. Questa fede ci rende liberi e felici. Chiediamo a Maria, Madre della Vita, che ci aiuti ad accogliere e testimoniare sempre il “Vangelo della Vita”. Così sia.

 



PREGHIERA PER L'ANGELUS DOPO LA MESSA

Ci rivolgiamo ora alla Madonna, affidando ogni vita umana, specialmente quella più fragile, indifesa e minacciata, alla sua materna protezione.

[SM=g1740750]




Caterina63
00sabato 29 giugno 2013 15:07

CAPPELLA PAPALE
NELLA SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

SANTA MESSA E IMPOSIZIONE DEL PALLIO
AI NUOVI METROPOLITI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Sabato,
29 giugno 2013



























Signori Cardinali,
Sua Eminenza Metropolita Ioannis,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Celebriamo la Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, patroni principali della Chiesa di Roma: una festa resa ancora più gioiosa per la presenza di Vescovi da tutto mondo. Una grande ricchezza che ci fa rivivere, in un certo modo, l’evento di Pentecoste: oggi, come allora, la fede della Chiesa parla in tutte le lingue e vuole unire i popoli in un’unica famiglia.

Saluto di cuore e con gratitudine la Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli, guidata dal Metropolita Ioannis. Ringrazio il Patriarca ecumenico Bartolomeo I per questo rinnovato gesto fraterno. Saluto i Signori Ambasciatori e le Autorità civili. Un grazie speciale al Thomanerchor, il Coro della Thomaskirche [Chiesa di San Tommaso] di Lipsia - la chiesa di Bach - che anima la Liturgia e che costituisce un’ulteriore presenza ecumenica.

Tre pensieri sul ministero petrino, guidati dal verbo “confermare”. In che cosa è chiamato a confermare il Vescovo di Roma?

1. Anzitutto, confermare nella fede. Il Vangelo parla della confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16), una confessione che non nasce da lui, ma dal Padre celeste. Ed è per questa confessione che Gesù dice: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (v. 18). Il ruolo, il servizio ecclesiale di Pietro ha il suo fondamento nella confessione di fede in Gesù, il Figlio del Dio vivente, resa possibile da una grazia donata dall’alto. Nella seconda parte del Vangelo di oggi vediamo il pericolo di pensare in modo mondano. Quando Gesù parla della sua morte e risurrezione, della strada di Dio che non corrisponde alla strada umana del potere, in Pietro riemergono la carne e il sangue: «si mise a rimproverare il Signore: …questo non ti accadrà mai» (16,22). E Gesù ha una parola dura: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo» (v. 23). Quando lasciamo prevalere i nostri pensieri, i nostri sentimenti, la logica del potere umano e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, diventiamo pietra d’inciampo. La fede in Cristo è la luce della nostra vita di cristiani e di ministri nella Chiesa!

2. Confermare nell’amore. Nella seconda Lettura abbiamo ascoltato le commoventi parole di san Paolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7). Di quale battaglia si tratta? Non quella delle armi umane, che purtroppo insanguina ancora il mondo; ma è la battaglia del martirio. San Paolo ha un’unica arma: il messaggio di Cristo e il dono di tutta la sua vita per Cristo e per gli altri. Ed è proprio l’esporsi in prima persona, il lasciarsi consumare per il Vangelo, il farsi tutto a tutti, senza risparmiarsi, che lo ha reso credibile e ha edificato la Chiesa. Il Vescovo di Roma è chiamato a vivere e confermare in questo amore verso Cristo e verso tutti senza distinzioni, limiti e barriere. E non solo il Vescovo di Roma: tutti voi, nuovi arcivescovi e vescovi, avete lo stesso compito: lasciarsi consumare per il Vangelo, farsi tutto a tutti. Il compito di non risparmiare, uscire di sé al servizio del santo popolo fedele di Dio.

3. Confermare nell’unità. Qui mi soffermo sul gesto che abbiamo compiuto. Il Pallio è simbolo di comunione con il Successore di Pietro, «principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione» (Conc. Ecum Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa  Lumen gentium, 18). E la vostra presenza oggi, cari Confratelli, è il segno che la comunione della Chiesa non significa uniformità. Il Vaticano II, riferendosi alla struttura gerarchica della Chiesa afferma che il Signore «costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto di mezzo a loro» (ibid., 19). Confermare nell’unità: il Sinodo dei Vescovi, in armonia con il primato. Dobbiamo andare per questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato. E continua, il Concilio: «questo Collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e universalità del Popolo di Dio» (ibid., 22). Nella Chiesa la varietà, che è una grande ricchezza, si fonde sempre nell’armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio. E questo deve spingere a superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa. Uniti nelle differenze: non c’è un’altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano: unirsi nelle differenze. Questa è la strada di Gesù! Il Pallio, se è segno della comunione con il Vescovo di Roma, con la Chiesa universale, con il Sinodo dei Vescovi, è anche un impegno per ciascuno di voi ad essere strumenti di comunione.

Confessare il Signore lasciandosi istruire da Dio; consumarsi per amore di Cristo e del suo Vangelo; essere servitori dell’unità. Queste, cari Confratelli nell’episcopato, le consegne che i Santi Apostoli Pietro e Paolo affidano a ciascuno di noi, perché siano vissute da ogni cristiano. Ci guidi e ci accompagni sempre con la sua intercessione la santa Madre di Dio: Regina degli Apostoli, prega per noi! Amen.


[SM=g1740733]  ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Oggi, 29 giugno, è la festa solenne dei Santi Pietro e Paolo. E’ in modo speciale la festa della Chiesa di Roma, fondata sul martirio di questi due Apostoli. Ma è anche una grande festa per la Chiesa universale, perché tutto il Popolo di Dio è debitore verso di loro per il dono della fede. Pietro è stato il primo a confessare che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio. Paolo ha diffuso questo annuncio nel mondo greco-romano. E la Provvidenza ha voluto che tutti e due giungessero qui a Roma e qui versassero il sangue per la fede. Per questo la Chiesa di Roma è diventata, subito, spontaneamente, il punto di riferimento per tutte le Chiese sparse nel mondo. Non per il potere dell’Impero, ma per la forza del martirio, della testimonianza resa a Cristo! In fondo, è sempre e soltanto l’amore di Cristo che genera la fede e che manda avanti la Chiesa.

Pensiamo a Pietro. Quando confessò la sua fede in Gesù, non lo fece per le sue capacità umane, ma perché era stato conquistato dalla grazia che Gesù sprigionava, dall’amore che sentiva nelle sue parole e vedeva nei suoi gesti: Gesù era l’amore di Dio in persona!

E lo stesso accadde a Paolo, anche se in modo diverso. Paolo da giovane era nemico dei cristiani, e quando Cristo Risorto lo chiamò sulla via di Damasco la sua vita fu trasformata: capì che Gesù non era morto, ma vivo, e amava anche lui, che era suo nemico! Ecco l’esperienza della misericordia, del perdono di Dio in Gesù Cristo: questa è la Buona Notizia, il Vangelo che Pietro e Paolo hanno sperimentato in se stessi e per il quale hanno dato la vita. Misericordia, perdono! Il Signore sempre ci perdona, il Signore ha misericordia, è misericordioso, ha un cuore misericordioso e ci aspetta sempre.

Cari fratelli, che gioia credere in un Dio che è tutto amore, tutto grazia! Questa è la fede che Pietro e Paolo hanno ricevuto da Cristo e hanno trasmesso alla Chiesa. Lodiamo il Signore per questi due gloriosi testimoni, e come loro lasciamoci conquistare da Cristo, dalla misericordia di Cristo.

Ricordiamo anche che Simon Pietro aveva un fratello, Andrea, che ha condiviso con lui l’esperienza della fede in Gesù. Anzi, Andrea incontrò Gesù prima di Simone, e subito ne parlò al fratello e lo portò da Gesù. Mi piace ricordarlo anche perché oggi, secondo la bella tradizione, è presente a Roma la Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli, che ha come Patrono proprio l’Apostolo Andrea. Tutti insieme mandiamo il nostro saluto cordiale al Patriarca Bartolomeo I e preghiamo per lui e per quella Chiesa. Vi invito anche a pregare tutti insieme un’Ave Maria per il patriarca Bartolomeo I; tutti insieme: Ave o Maria…

Preghiamo anche per gli Arcivescovi Metropoliti di diverse Chiese del mondo ai quali poco fa ho consegnato il Pallio, simbolo di comunione e di unità.

Ci accompagni e ci sostenga tutti la nostra Madre amata, Maria Santissima.

[SM=g1740750] [SM=g1740752]








Caterina63
00domenica 7 luglio 2013 14:39

SANTA MESSA CON I SEMINARISTI, I NOVIZI E LE NOVIZIE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Domenica, 7 luglio
2013

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Cari fratelli e sorelle,

già ieri ho avuto la gioia di incontrarvi, e oggi la nostra festa è ancora più grande perché ci ritroviamo per l’Eucaristia, nel giorno del Signore. Voi siete seminaristi, novizi e novizie, giovani in cammino vocazionale, provenienti da ogni parte del mondo: rappresentate la giovinezza della Chiesa! Se la Chiesa è la Sposa di Cristo, in un certo senso voi ne raffigurate il momento del fidanzamento, la primavera della vocazione, la stagione della scoperta, della verifica, della formazione. Ed è una stagione molto bella, in cui si gettano le basi per il futuro. Grazie di essere venuti!

Oggi la Parola di Dio ci parla della missione. Da dove nasce la missione? La risposta è semplice: nasce da una chiamata, quella del Signore e chi è chiamato da Lui lo è per essere inviato. Quale dev’essere lo stile dell’inviato? Quali sono i punti di riferimento della missione cristiana? Le Letture che abbiamo ascoltato ce ne suggeriscono tre: la gioia della consolazione, la croce e la preghiera.

1.  Il primo elemento: la gioia della consolazione. Il profeta Isaia si rivolge a un popolo che ha attraversato il periodo oscuro dell’esilio, ha subito una prova molto dura; ma ora per Gerusalemme è venuto il tempo della consolazione; la tristezza e la paura devono fare posto alla gioia: «Rallegratevi… esultate… sfavillate di gioia» - dice il Profeta (66,10). È un grande invito alla gioia. Perché? Qual è il motivo di questo invito alla gioia? Perché il Signore effonderà sulla Città santa e sui suoi abitanti una “cascata” di consolazione, una cascata di consolazione - così pieni di consolazione -, una cascata di tenerezza materna: «Sarete portati in braccio e sulle ginocchia sarete accarezzati» (v. 12). Quando la mamma prende il bambino sulle ginocchia e la accarezza; così il Signore farà con noi e fa con noi. Questa è la cascata di tenerezza che ci dà tanta consolazione. «Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» ( v. 13). Ogni cristiano e soprattutto noi, siamo chiamati a portare questo messaggio di speranza che dona serenità e gioia: la consolazione di Dio, la sua tenerezza verso tutti. Ma ne possiamo essere portatori se sperimentiamo noi per primi la gioia di essere consolati da Lui, di essere amati da Lui. Questo è importante perché la nostra missione sia feconda: sentire la consolazione di Dio e trasmetterla! Io ho trovato alcune volte persone consacrate che hanno paura della consolazione di Dio, e… poveri, povere, si tormentano, perché hanno paura di questa tenerezza di Dio. Ma non abbiate paura. Non abbiate paura, il Signore è il Signore della consolazione, il Signore della tenerezza. Il Signore è padre e Lui dice che farà con noi come una mamma con il suo bambino, con la sua tenerezza. Non abbiate paura della consolazione del Signore. L’invito di Isaia deve risuonare nel nostro cuore: «Consolate, consolate il mio popolo» (40,1) e questo diventare missione. Noi, trovare il Signore che ci consola e andare a consolare il popolo di Dio. Questa è la missione. La gente oggi ha bisogno certamente di parole, ma soprattutto ha bisogno che noi testimoniamo la misericordia, la tenerezza del Signore, che scalda il cuore, che risveglia la speranza, che attira verso il bene. La gioia di portare la consolazione di Dio!

2.  Il secondo punto di riferimento della missione è la croce di Cristo. San Paolo, scrivendo ai Galati, afferma: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (6,14). E parla di «stigmate», cioè delle piaghe di Gesù Crocifisso, come del contrassegno, del marchio distintivo della sua esistenza di Apostolo del Vangelo. Nel suo ministero Paolo ha sperimentato la sofferenza, la debolezza e la sconfitta, ma anche la gioia e la consolazione. Questo è il mistero pasquale di Gesù: mistero di morte e di risurrezione. Ed è proprio l’essersi lasciato conformare alla morte di Gesù che ha fatto partecipare san Paolo alla sua risurrezione, alla sua vittoria. Nell’ora del buio, nell’ora della prova è già presente e operante l’alba della luce e della salvezza. Il mistero pasquale è il cuore palpitante della missione della Chiesa! E se rimaniamo dentro questo mistero noi siamo al riparo sia da una visione mondana e trionfalistica della missione, sia dallo scoraggiamento che può nascere di fronte alle prove e agli insuccessi. La fecondità pastorale, la fecondità dell’annuncio del Vangelo non è data né dal successo, né dall’insuccesso secondo criteri di valutazione umana, ma dal conformarsi alla logica della Croce di Gesù, che è la logica dell’uscire da se stessi e donarsi, la logica dell’amore. È la Croce - sempre la Croce con Cristo, perché a volte ci offrono la croce senza Cristo: questa non va! – E’ la Croce, sempre la Croce con Cristo che garantisce la fecondità della nostra missione. Ed è dalla Croce, supremo atto di misericordia e di amore, che si rinasce come «nuova creatura» (Gal 6,15).

3. Infine il terzo elemento: la preghiera. Nel Vangelo abbiamo ascoltato: «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe» (Lc 10,2). Gli operai per la messe non sono scelti attraverso campagne pubblicitarie o appelli al servizio della generosità, ma sono «scelti» e «mandati» da Dio. E’ Lui che sceglie, è Lui che manda, è Lui che manda, è Lui che dà la missione. Per questo è importante la preghiera. La Chiesa, ci ha ripetuto Benedetto XVI, non è nostra, ma è di Dio; e quante volte noi, i consacrati, pensiamo che sia nostra! Facciamo di lei… qualcosa che ci viene in mente. Ma non è nostra, è di Dio. il campo da coltivare è suo. La missione allora è soprattutto grazia. La missione è grazia. E se l’apostolo è frutto della preghiera, in essa troverà la luce e la forza della la sua azione. La nostra missione, infatti, non è feconda, anzi si spegne nel momento stesso in cui si interrompe il collegamento con la sorgente, con il Signore.

Cari seminaristi, care novizie e cari novizi, cari giovani in cammino vocazionale. Uno di voi, uno dei vostri formatori, mi diceva l’altro giorno: évangéliser on fait à genoux, l’evangelizzazione si fa in ginocchio. Sentite bene: “l’evangelizzazione si fa in ginocchio”. Siate sempre uomini e donne di preghiera. Senza il rapporto costante con Dio la missione diventa mestiere. Ma da che lavori tu? Da sarto, da cuoca, da prete, lavori da prete, lavori da suora? No. Non è un mestiere, è un’altra cosa.

Il rischio dell’attivismo, di confidare troppo nelle strutture, è sempre in agguato.


Se guardiamo a Gesù, vediamo che alla vigilia di ogni decisione o avvenimento importante, si raccoglieva in preghiera intensa e prolungata. Coltiviamo la dimensione contemplativa, anche nel vortice degli impegni più urgenti e pesanti. E più la missione vi chiama ad andare verso le periferie esistenziali, più il vostro cuore sia unito a quello di Cristo, pieno di misericordia e di amore. Qui sta il segreto della fecondità pastorale, della fecondità di un discepolo del Signore!

Gesù manda i suoi senza «borsa, né sacca, né sandali» (Lc 10,4). La diffusione del Vangelo non è assicurata né dal numero delle persone, né dal prestigio dell’istituzione, né dalla quantità di risorse disponibili. Quello che conta è essere permeati dall’amore di Cristo, lasciarsi condurre dallo Spirito Santo, e innestare la propria vita nell’albero della vita, che è la Croce del Signore.

Cari amici e amiche, con grande fiducia vi affido all’intercessione di Maria Santissima. Lei è la Madre che ci aiuta a prendere le decisioni definitive con libertà, senza paura. Lei vi aiuti a testimoniare la gioia della consolazione di Dio, senza avere paura della gioia; Lei vi aiuti a conformarvi alla logica di amore della Croce e a crescere in un’unione sempre più intensa con il Signore nella preghiera. Così la vostra vita sarà ricca e feconda!



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SACERDOTI CONCELEBRANTI alla Messa di stamani con il Papa.....
mi sovviene una domanda: ma questi, CONCELEBRANTI, cosa pensavano DURANTE LA MESSA???? se il Sacerdote, celebrante-concelebrante dovrebbe essere l'Alter Christi che stavano celebrando durante la Messa?
..... ma questi sacerdoti l'hanno capita che il Papa ce l'aveva con loro? hanno capito che NON c'è bisogno di portarsi dietro queste DISTRAZIONI SPECIALMENTE SE SIETE CONCELEBRANTI?
che danno sta Messa moderna, che danno!!!!
capisco il laico con la macchina fotografica.... ma un CONCELEBRANTE con la macchina fotografica ed ora pure con i pc no, non li accetto......

"Questo popolo si accosta a me con la bocca e mi onora con le labbra; ma il loro cuore è lontano da me. E invano mi rendono un culto, ......" (Mt.15, 8-9)

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ANGELUS


Cari fratelli e sorelle!

Prima di tutto desidero condividere con voi la gioia di aver incontrato, ieri e oggi, un pellegrinaggio speciale dell’Anno della fede: quello dei seminaristi, dei novizi e delle novizie. Vi chiedo di pregare per loro, perché l’amore per Cristo maturi sempre più nella loro vita e diventino veri missionari del Regno di Dio.

Il Vangelo di questa domenica (Lc 10,1-12.17-20) ci parla proprio di questo: del fatto che Gesù non è un missionario isolato, non vuole compiere da solo la sua missione, ma coinvolge i suoi discepoli. E oggi vediamo che, oltre ai Dodici apostoli, chiama altri settantadue, e li manda nei villaggi, a due a due, ad annunciare che il Regno di Dio è vicino. Questo è molto bello! Gesù non vuole agire da solo, è venuto a portare nel mondo l’amore di Dio e vuole diffonderlo con lo stile della comunione, con lo stile della fraternità. Per questo forma subito una comunità di discepoli, che è una comunità missionaria. Subito li allena alla missione, ad andare.

Ma attenzione: lo scopo non è socializzare, passare il tempo insieme, no, lo scopo è annunciare il Regno di Dio, e questo è urgente!, e anche oggi è urgente! Non c’è tempo da perdere in chiacchiere, non bisogna aspettare il consenso di tutti, bisogna andare e annunciare. A tutti si porta la pace di Cristo, e se non la accolgono, si va avanti uguale. Ai malati si porta la guarigione, perché Dio vuole guarire l’uomo da ogni male. Quanti missionari fanno questo! Seminano vita, salute, conforto alle periferie del mondo. Che bello è questo! Non vivere per se stesso, non vivere per se stessa, ma vive per andare a fare il bene! Ci sono tanti giovani oggi in Piazza : pensate a questo, domandatevi: Gesù mi chiama a andare, a uscire da me per fare il bene? A voi, giovani, a voi ragazzi e ragazze vi domando: voi, siete coraggiosi per questo, avete il coraggio di sentir e la voce di Gesù? E’ bello essere missionari!... Ah, siete bravi! Mi piace questo!

Questi settantadue discepoli, che Gesù manda davanti a sé, chi sono? Chi rappresentano? Se i Dodici sono gli Apostoli, e quindi rappresentano anche i Vescovi, loro successori, questi settantadue possono rappresentare gli altri ministri ordinati, presbiteri e diaconi; ma in senso più largo possiamo pensare agli altri ministeri nella Chiesa, ai catechisti, ai fedeli laici che si impegnano nelle missioni parrocchiali, a chi lavora con gli ammalati, con le diverse forme di disagio e di emarginazione; ma sempre come missionari del Vangelo, con l’urgenza del Regno che è vicino. Tutti devono essere missionari, tutti possono sentire quella chiamata di Gesù e andare avanti e annunciare il Regno!

Dice il Vangelo che quei settantadue tornarono dalla loro missione pieni di gioia, perché avevano sperimentato la potenza del Nome di Cristo contro il male. Gesù lo conferma: a questi discepoli Lui dà la forza di sconfiggere il maligno. Ma aggiunge: «Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20). Non dobbiamo vantarci come se fossimo noi i protagonisti: protagonista è uno solo, è il Signore! Protagonista è la grazia del Signore! Lui è l’unico protagonista! E la nostra gioia è solo questa: essere suoi discepoli, suoi amici. Ci aiuti la Madonna ed essere buoni operai del Vangelo.

Cari amici, la gioia! Non abbiate paura di essere gioiosi! Non abbiate paura della gioia! Quella gioia che ci dà il Signore quando lo lasciamo entrare nella nostra vita, lasciamo che Lui entri nella nostra vita e ci inviti ad andare fuori noi alle periferie della vita e annunciare il Vangelo. Non abbiate paura della gioia. Gioia e coraggio!

 


Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

come sapete, due giorni fa è stata pubblicata la Lettera Enciclica sul tema della fede, intitolata Lumen fidei, “la luce della fede”. Per l’Anno della fede, il Papa Benedetto XVI aveva iniziato questa Enciclica, che fa seguito a quelle sulla carità e sulla speranza. Io ho raccolto questo bel lavoro e l’ho portato a termine. Lo offro con gioia a tutto il Popolo di Dio: tutti infatti, specialmente oggi, abbiamo bisogno di andare all’essenziale della fede cristiana, di approfondirla e di confrontarla con le problematiche attuali. Ma penso che questa Enciclica, almeno in alcune parti, può essere utile anche a chi è alla ricerca di Dio e del senso della vita. La metto nelle mani di Maria, icona perfetta della fede, perché possa portare quei frutti che il Signore vuole.

Rivolgo il mio cordiale saluto a tutti voi, cari fedeli di Roma e pellegrini. Saluto in particolare i giovani della Diocesi di Roma che si preparano a partire per Rio de Janeiro per la Giornata Mondiale della Gioventù. Cari giovani, anch’io mi sto preparando! Camminiamo insieme verso questa grande festa della fede; la Madonna ci accompagni, e ci troveremo laggiù!





Caterina63
00giovedì 15 agosto 2013 18:41

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ
DELL’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza della Libertà, Castel Gandolfo
Giovedì 15 agosto 2013

Video



 

Cari fratelli e sorelle!

Al termine della Costituzione sulla Chiesa, il Concilio Vaticano II ci ha lasciato una meditazione bellissima su Maria Santissima. Ricordo soltanto le espressioni che si riferiscono al mistero che celebriamo oggi: La prima è questa: «L’immacolata Vergine, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla gloria celeste col suo corpo e la sua anima, e dal Signore esaltata come la regina dell’universo» (n. 59). E poi, verso la fine, vi è quest’altra: «La Madre di Gesù, come in cielo, glorificata ormai nel corpo e nell’anima, è l’immagine e la primizia della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla come segno di sicura speranza e di consolazione per il Popolo di Dio in cammino, fino a quando non verrà il giorno del Signore» (n. 68). Alla luce di questa bellissima icona di nostra Madre, possiamo considerare il messaggio contenuto nelle Letture bibliche che abbiamo appena ascoltato. Possiamo concentrarci su tre parole-chiave: lotta, risurrezione, speranza.

Il brano dell’Apocalisse presenta la visione della lotta tra la donna e il drago. La figura della donna, che rappresenta la Chiesa, è da una parte gloriosa, trionfante, e dall’altra ancora in travaglio. Così in effetti è la Chiesa: se in Cielo è già associata alla gloria del suo Signore, nella storia vive continuamente le prove e le sfide che comporta il conflitto tra Dio e il maligno, il nemico di sempre. E in questa lotta che i discepoli di Gesù devono affrontare – noi tutti, noi, tutti i discepoli di Gesù dobbiamo affrontare questa lotta – Maria non li lascia soli; la Madre di Cristo e della Chiesa è sempre con noi. Sempre, cammina con noi, è con noi. Anche Maria, in un certo senso, condivide questa duplice condizione. Lei, naturalmente, è ormai una volta per sempre entrata nella gloria del Cielo. Ma questo non significa che sia lontana, che sia staccata da noi; anzi, Maria ci accompagna, lotta con noi, sostiene i cristiani nel combattimento contro le forze del male.

La preghiera con Maria, in particolare il Rosario – ma sentite bene: il Rosario. Voi pregate il Rosario tutti i giorni? Ma, non so…
Sicuro? Ecco, la preghiera con Maria, in particolare il Rosario ha anche questa dimensione “agonistica”, cioè di lotta, una preghiera che sostiene nella battaglia contro il maligno e i suoi complici.
Anche il Rosario ci sostiene nella battaglia.

La seconda Lettura ci parla della risurrezione. L’apostolo Paolo, scrivendo ai Corinzi, insiste sul fatto che essere cristiani significa credere che Cristo è veramente risorto dai morti. Tutta la nostra fede si basa su questa verità fondamentale che non è un’idea ma un evento. E anche il mistero dell’Assunzione di Maria in corpo e anima è tutto inscritto nella Risurrezione di Cristo. L’umanità della Madre è stata “attratta” dal Figlio nel suo passaggio attraverso la morte. Gesù è entrato una volta per sempre nella vita eterna con tutta la sua umanità, quella che aveva preso da Maria; così lei, la Madre, che Lo ha seguito fedelmente per tutta la vita, Lo ha seguito con il cuore, è entrata con Lui nella vita eterna, che chiamiamo anche Cielo, Paradiso, Casa del Padre.

Anche Maria ha conosciuto il martirio della croce: il martirio del suo cuore, il martirio dell’anima. Lei ha sofferto tanto, nel suo cuore, mentre Gesù soffriva sulla croce. La Passione del Figlio l’ha vissuta fino in fondo nell’anima. E’ stata pienamente unita a Lui nella morte, e per questo le è stato dato il dono della risurrezione. Cristo è la primizia dei risorti, e Maria è la primizia dei redenti, la prima di «quelli che sono di Cristo». E’ nostra Madre, ma anche possiamo dire è la nostra rappresentante, è la nostra sorella, la nostra prima sorella, è la prima dei redenti che è arrivata in Cielo.

 Il Vangelo ci suggerisce la terza parola: speranza. Speranza è la virtù di chi, sperimentando il conflitto, la lotta quotidiana tra la vita e la morte, tra il bene e il male, crede nella Risurrezione di Cristo, nella vittoria dell’Amore. Abbiamo sentito il Canto di Maria, il Magnificat: è il cantico della speranza, è il cantico del Popolo di Dio in cammino nella storia. E’ il cantico di tanti santi e sante, alcuni noti, altri, moltissimi, ignoti, ma ben conosciuti a Dio: mamme, papà, catechisti, missionari, preti, suore, giovani, anche bambini, nonni, nonne: questi hanno affrontato la lotta della vita portando nel cuore la speranza dei piccoli e degli umili. Maria dice: «L’anima mia magnifica il Signore» - anche oggi canta questo la Chiesa e lo canta in ogni parte del mondo. Questo cantico è particolarmente intenso là dove il Corpo di Cristo patisce oggi la Passione. Dove c’è la Croce, per noi cristiani c’è la speranza, sempre. Se non c’è la speranza, noi non siamo cristiani. Per questo a me piace dire: non lasciatevi rubare la speranza. Che non ci rubino la speranza, perché questa forza è una grazia, un dono di Dio che ci porta avanti guardando il Cielo. E Maria è sempre lì, vicina a queste comunità, a questi nostri fratelli, cammina con loro, soffre con loro, e canta con loro il Magnificat della speranza.

Cari fratelli e sorelle, uniamoci anche noi, con tutto il cuore, a questo cantico di pazienza e di vittoria, di lotta e di gioia, che unisce la Chiesa trionfante con quella pellegrinante, noi; che unisce la terra con il Cielo, che unisce la nostra storia con l’eternità, verso la quale camminiamo. Così sia.



ANGELUS

Castel Gandolfo
Giovedì, 15 agosto 2013

Video

Cari fratelli e sorelle,

al termine di questa Celebrazione ci rivolgiamo alla Vergine Maria con la preghiera dell’Angelus. Il cammino di Maria verso il Cielo è cominciato da quel “sì” pronunciato a Nazaret, in risposta al Messaggero celeste che le annunciava la volontà di Dio per lei. E in realtà è proprio così: ogni “sì” a Dio è un passo verso il Cielo, verso la vita eterna. Perché questo vuole il Signore: che tutti i suoi figli abbiano la vita in abbondanza! Dio ci vuole tutti con sé, nella sua casa!

Giungono purtroppo notizie dolorose dall’Egitto. Desidero assicurare la mia preghiera per tutte le vittime e i loro familiari, per i feriti e per quanti soffrono. Preghiamo insieme per la pace, il dialogo, la riconciliazione in quella cara terra e nel mondo intero. Maria, Regina della Pace, prega per noi! Tutti diciamo: Maria, Regina della Pace, prega per noi!

Desidero ricordare il 25° anniversario della Lettera Apostolica Mulieris dignitatem, del beato Papa Giovanni Paolo II, sulla dignità e la vocazione della donna. Questo documento è ricco di spunti che meritano di essere ripresi e sviluppati; e alla base di tutto c’è la figura di Maria, infatti uscì in occasione dell’Anno Mariano. Facciamo nostra la preghiera posta alla fine di questa Lettera Apostolica (cfr n. 31): affinché, meditando il mistero biblico della donna, condensato in Maria, tutte le donne vi trovino se stesse e la pienezza della loro vocazione, e in tutta la Chiesa si approfondisca e si capisca di più il tanto grande e importante ruolo della donna.

Ringrazio tutti i presenti, abitanti di Castel Gandolfo e pellegrini! Ringrazio voi e gli abitanti di Castel Gandolfo, grazie tante! … E tutti i pellegrini, in particolare quelli della Guinea con il loro Vescovo. Saludo con afecto a las alumnas del Colegio Pasionista “Michael Ham” de Vicente López, Argentina; así como a los jóvenes de la Banda de música del Colegio José de Jesús Rebolledo de Coatepec, México.

E adesso, tutti insieme, preghiamo la Madonna:

Angelus Domini

 


Dopo l'Angelus

Vi auguro buona festa oggi, giorno della Madonna: buona festa e buon pranzo!






Caterina63
00sabato 28 settembre 2013 18:47

gendarmeria

Il Papa al Corpo dei gendarmi: difendete il Vaticano dalla zizzania delle chiacchiere



La “chiacchiere” sono una “lingua vietata” in Vaticano, perché è una lingua che genera il male. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta questa mattina, 28 settembre, al cospetto del Corpo della Gendarmeria Vaticana, nei pressi della Grotta di Lourdes dei Giardini Vaticani, per San Michele Arcangelo loro protettore. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Nella rocca del Vaticano, il male ha un passaggio attraverso il quale s’insinua per spargere il suo veleno: è la “chiacchiera”, quella che porta l’uno a parlare male dell’altro e distrugge l'unità. E dal contagio di questa “zizzania” nessuno è immune. Davanti agli uomini della Gendarmeria Vaticana che lo guardano schierati, Papa Francesco si sottrae da una riflessione giusta ma forse scontata sul ruolo del gendarme difensore della sicurezza del Vaticano, per mettere nel mirino un altro avversario molto più subdolo della delinquenza comune e contro il quale è fondamentale ingaggiare la “lotta”: 

“Qualcuno di voi potrà dirmi: ‘Ma, padre, noi come c’entriamo qui col diavolo? Noi dobbiamo difendere la sicurezza di questo Stato, di questa città: che non ci siano i ladri, che non ci siano i delinquenti, che non vengano i nemici a prendere la città’. Ma, anche quello è vero, ma Napoleone non tornerà più, eh? Se ne è andato. E non è facile che venga un esercito qui a prendere la città. La guerra oggi, almeno qui, si fa altrimenti: è la guerra del buio contro la luce; della notte contro il giorno”. 

Per questo, prosegue Papa Francesco, “vi chiedo non solo di difendere le porte, le finestre del Vaticano” – peraltro un lavoro necessario e importante – ma di difendere “come il vostro patrono San Michele” le porte del cuore di chi lavora in Vaticano, dove la tentazione “entra” esattamente come altrove:

“Ma c’è una tentazione... Ma, io vorrei dirla – la dico così per tutti, anche per me, per tutti – però è una tentazione che al diavolo piace tanto: quella contro l’unità, quando le insidie vanno proprio contro l’unità di quelli che vivono e lavorano in Vaticano. E il diavolo cerca di creare la guerra interna, una sorta di guerra civile e spirituale, no? E’ una guerra che non si fa con le armi, che noi conosciamo: si fa con la lingua”.

Una lingua armata appunto dalle “chiacchiere”, sorta di veleno dal quale Papa Francesco mette costantemente in guardia. E questo è ciò “che chiedo a voi”, incalza quindi il Papa all’indirizzo dei gendarmi, “di difenderci mutuamente dalle chiacchiere”:

Chiediamo a San Michele che ci aiuti in questa guerra: mai parlare male uno dell’altro, mai aprire le orecchie alle chiacchiere. E se io sento che qualcuno chiacchiera, fermarlo! ‘Qui non si può: gira la porta di Sant’Anna, va fuori e chiacchiera là! Qui non si può!’ ... è quello, eh? Il buon seme sì: parlare bene uno dell’altro sì, ma la zizzania no!”.





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Caterina63
00domenica 29 settembre 2013 15:26

SANTA MESSA PER LA "GIORNATA DEI CATECHISTI" 
IN OCCASIONE DELL' ANNO DELLA FEDE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
Domenica, 29 settembre 2013


catechisti mass

1. «Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri, … distesi su letti d’avorio» (Am 6,1.4), mangiano, bevono, cantano, si divertono e non si curano dei problemi degli altri.

Parole dure queste del profeta Amos, ma che ci mettono in guardia da un pericolo che tutti corriamo. Che cosa denuncia questo messaggero di Dio, che cosa mette davanti agli occhi dei suoi contemporanei e anche davanti ai nostri occhi oggi? Il rischio di adagiarsi, della comodità, della mondanità nella vita e nel cuore, di avere come centro il nostro benessere. E’ la stessa esperienza del ricco del Vangelo, che indossava vestiti di lusso e ogni giorno si dava ad abbondanti banchetti; questo era importante per lui. E il povero che era alla sua porta e non aveva di che sfamarsi? Non era affare suo, non lo riguardava. Se le cose, il denaro, la mondanità diventano centro della vita ci afferrano, ci possiedono e noi perdiamo la nostra stessa identità di uomini: guardate bene, il ricco del Vangelo non ha nome, è semplicemente “un ricco”. Le cose, ciò che possiede sono il suo volto, non ne ha altri.

Ma proviamo a domandarci: come mai succede questo? Come mai gli uomini, forse anche noi, cadiamo nel pericolo di chiuderci, di mettere la nostra sicurezza nelle cose, che alla fine ci rubano il volto, il nostro volto umano? Questo succede quando perdiamo la memoria di Dio. “Guai agli spensierati di Sion”, diceva il profeta. Se manca la memoria di Dio, tutto si appiattisce, tutto va sull’io, sul mio benessere. La vita, il mondo, gli altri, perdono la consistenza, non contano più nulla, tutto si riduce a una sola dimensione: l’avere. Se perdiamo la memoria di Dio, anche noi stessi perdiamo consistenza, anche noi ci svuotiamo, perdiamo il nostro volto come il ricco del Vangelo! Chi corre dietro al nulla diventa lui stesso nullità – dice un altro grande profeta, Geremia (cfr Ger 2,5). Noi siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, non a immagine e somiglianza delle cose, degli idoli!

2. Allora, guardandovi, mi chiedo: chi è il catechista? E’ colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio; la custodisce in se stesso e la sa risvegliare negli altri. E’ bello questo: fare memoria di Dio, come la Vergine Maria che, davanti all’azione meravigliosa di Dio nella sua vita, non pensa all’onore, al prestigio, alle ricchezze, non si chiude in se stessa. Al contrario, dopo aver accolto l’annuncio dell’Angelo e aver concepito il Figlio di Dio, che cosa fa? Parte, va dall’anziana parente Elisabetta, anch’essa incinta, per aiutarla; e nell’incontro con lei il suo primo atto è la memoria dell’agire di Dio, della fedeltà di Dio nella sua vita, nella storia del suo popolo, nella nostra storia: «L’anima mia magnifica il Signore … perché ha guardato l’umiltà della sua serva … di generazione in generazione la sua misericordia» (Lc 1,46.48.50). Maria ha memoria di Dio.

In questo cantico di Maria c’è anche la memoria della sua storia personale, la storia di Dio con lei, la sua stessa esperienza di fede. Ed è così per ognuno di noi, per ogni cristiano: la fede contiene proprio la memoria della storia di Dio con noi, la memoria dell’incontro con Dio che si muove per primo, che crea e salva, che ci trasforma; la fede è memoria della sua Parola che scalda il cuore, delle sue azioni di salvezza con cui ci dona vita, ci purifica, ci cura, ci nutre. Il catechista è proprio un cristiano che mette questa memoria al servizio dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà. Parlare e trasmettere tutto quello che Dio ha rivelato, cioè la dottrina nella sua totalità, senza tagliare né aggiungere.

San Paolo raccomanda al suo discepolo e collaboratore Timoteo soprattutto una cosa: Ricordati, ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, che io annuncio e per il quale soffro (cfr 2 Tm 2,8-9). Ma l’Apostolo può dire questo perché lui per primo si è ricordato di Cristo, che lo ha chiamato quando era persecutore dei cristiani, lo ha toccato e trasformato con la sua Grazia.

Il catechista allora è un cristiano che porta in sé la memoria di Dio, si lascia guidare dalla memoria di Dio in tutta la sua vita, e la sa risvegliare nel cuore degli altri. E’ impegnativo questo! Impegna tutta la vita! Lo stesso Catechismo che cos’è se non memoria di Dio, memoria della sua azione nella storia, del suo essersi fatto vicino a noi in Cristo, presente nella sua Parola, nei Sacramenti, nella sua Chiesa, nel suo amore? Cari catechisti, vi domando: siamo noi memoria di Dio? Siamo veramente come sentinelle che risvegliano negli altri la memoria di Dio, che scalda il cuore?

3. «Guai agli spensierati di Sion», dice il profeta. Quale strada percorrere per non essere persone “spensierate”, che pongono la loro sicurezza in se stessi e nelle cose, ma uomini e donne della memoria di Dio? Nella seconda Lettura san Paolo, scrivendo sempre a Timoteo, dà alcune indicazioni che possono segnare anche il cammino del catechista, il nostro cammino: tendere alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza (cfr 1 Tm 6,11).

Il catechista è uomo della memoria di Dio se ha un costante, vitale rapporto con Lui e con il prossimo; se è uomo di fede, che si fida veramente di Dio e pone in Lui la sua sicurezza; se è uomo di carità, di amore, che vede tutti come fratelli; se è uomo di “hypomoné”, di pazienza, di perseveranza, che sa affrontare le difficoltà, le prove, gli insuccessi, con serenità e speranza nel Signore; se è uomo mite, capace di comprensione e di misericordia.

Preghiamo il Signore perché siamo tutti uomini e donne che custodiscono e alimentano la memoria di Dio nella propria vita e la sanno risvegliare nel cuore degli altri. Amen.





[SM=g1740733] 

ANGELUS


Cari fratelli e sorelle,

prima di concludere questa celebrazione, voglio salutarvi tutti e ringraziarvi della vostra partecipazione, specialmente i catechisti venuti da tante parti del mondo.

Un saluto particolare rivolgo al mio Fratello Sua Beatitudine Youhanna X, Patriarca greco ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente. La sua presenza ci invita a pregare ancora una volta per la pace in Siria e nel Medio Oriente.

(..)

Con gioia ricordiamo che ieri, in Croazia, è stato proclamato Beato Miroslav Bulešić, sacerdote diocesano, morto martire nel 1947. Lodiamo il Signore, che dona agli inermi la forza dell’estrema testimonianza.

Ci rivolgiamo ora a Maria con la preghiera dell’Angelus.


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