Le ultime parole di Gesù sulla Croce (meditazione) e sulla Risurrezione in Gv.11

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Caterina63
00martedì 6 gennaio 2009 09:25
 
In prossimità della Pasqua voglio farvi partecipi di questa  meditazione che avrei già voluto mettere in rete l’ anno scorso ma poi, per vari problemi, non ci riuscii. Lo faccio adesso, un po’ in anticipo, in modo che vi arrivi sicuramente in tempo.

LE ULTIME PAROLE DI GESU' SULLA CROCE
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Cosa ha veramente detto Gesù sulla croce? E’ un mistero che non riusciremo mai a risolvere ma sul quale si sono accese dispute fra studiosi, teologi ed esegeti.

L’ipotesi che vi voglio proporre è molto suggestiva ed è stata suggerita per la prima volta dallo studioso Th. Boman ma non è stata accolta molto bene dagli altri studiosi. Il giudizio più “buonista” lo ha dato Schnackenburg che l’ ha definita “una tesi simpatica”. Altri sono stati meno diplomatici.
Comunque, visto che a me è piaciuta, ve la espongo se non altro come meditazione in vista della Pasqua.
Vediamo innanzitutto quello che ci riferiscono i Vangeli: Marco e Matteo sono concordi nel riportare questa frase:
Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: “ Elì, Elì, lemà sabactàni? ”, che significa: “ Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ”. Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: “Costui chiama Elia”.  (Mt 27, 46-47)
Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni? , che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: “Ecco, chiama Elia! ” (Mc 15,33-35)
Luca ci dà una versione diversa. Mettendo da parte il discorso con i due malfattori crocifissi con Lui, il versetto sul quale ci dobbiamo concentrare è:
Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo spirò. (Lc 23,46)
Giovanni ci fornisce una terza esposizione delle parole di Gesù. Anche in questo caso possiamo non considerare le frasi che costituiscono  l’affidamento di Maria al “discepolo che Egli amava” in quanto pur avendo un profondo  significato sia teologico che pratico, dato che Gesù non aveva fratelli carnali, tuttavia non entra nel discorso che stiamo affrontando. Ci concentriamo pertanto su questa frase:
Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: “ Ho sete ” (Lc  19,28)
Tre frasi completamente diverse che apparentemente sono slegate tra di loro. Tanto slegate che nel secolo passato alcuni esegeti avevano proposto di metterle in fila considerandole parte di un unico discorso. Gesù avrebbe detto:
“Eloì, Eloì, lemà sabactàni? che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? 
Ho sete.
Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.
Tutto è compiuto.”
Ma questa ipotesi è stata subito scartata. Torniamo al nostro dubbio.
Boman si è concentrato su un episodio che apparentemente sembra poco importante: nel Vangelo di Marco e di Matteo le persone sotto la croce credono che Gesù stesse chiamando Elia.
Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: “Ecco, chiama Elia! (Mc 16,15)
Gli altri dicevano: “Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo! (Mt 27,49)

D’altro canto tutti gli studiosi sono concordi nel sostenere che una persona crocifissa molto difficilmente avrebbe potuto articolare una frase così lunga come “Elì, Elì, lamà sabactani” a causa dell’ asfissia che prendeva il condannato alla crocefissione.
Quindi Gesù ha sicuramente detto una frase breve ma altamente significativa
( tanto che ha colpito i presenti che l’ hanno riportata agli evangelisti ma non dimentichiamo che Giovanni era sotto la Croce il quale riporta al cap. 19 solo l'episodio in cui Gesù ci dona sua Madre:
25 Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. 26 Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». 27 Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
28 Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». 29 Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. 30 E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò.
) e una frase che avrebbe potuto essere erroneamente interpretata come un richiamo al profeta Elia.
Boman si è chiesto: come si dice in aramaico “Elia, vieni”? La risposta è : “Eljja ta”
Ma se Gesù avesse detto : “Elì atta”, allora ecco che coloro che lo ascoltavano sotto la croce avrebbero potuto anche equivocare la sua esclamazione.
Cosa vuol dire "Elì attà”? Significa “Il mio Dio sei Tu” o, più letteralmente, “Il mio Dio, Tu”
“Così Gesù coniò, per l’addio, una parola che, per la sua brevità e ricchezza di contenuto era degna del grande maestro: un grido di giubilo verso il Padre, un saluto ai suoi discepoli e un grido di trionfo verso il mondo.” (Th Boman)
Gesù, in quel momento di apparente sconfitta, mentre veniva deriso dai suoi aguzzini, esclamò la Sua totale fiducia nel progetto divino di salvezza.
Successivamente i discepoli cercarono nell A.T. questa frase. Noi potremmo pensare che sia possibile trovarla un’ infinità di volte ma in realtà la troviamo solo quattro volte.
La troviamo nei salmi 22, 11 ; 31,3 ;  63,2 ; 118,28.
Il salmo 118 costituisce il Grande Ahllel che è il salmo che Gesù cantò con i suoi discepoli uscendo dalla casa dove aveva celebrato la Sua Ultima Cena.
Il salmo 22 è quello che comincia con le parole: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Riportato da Marco e Matteo)
Il salmo 30 è quello che contiene le parole: “ Nelle Tue mani sono i miei giorni” (riportato da Giovanni)
Il salmo 63 recita “L’ anima mia ha sete del Dio vivente” (Riportato da Luca)
Quali furono realmente le ultime parole di Gesù sulla croce? Non lo sapremo mai. “Non esiste purtroppo una stele di Champollion (G. Rossè) che ci dia una risposta definitiva e pertanto conserviamo  tutto e non scartiamo nulla.
Vi ho proposto questa meditazione, che ho trovato molto suggestiva, non per affermare che le altre interpretazioni sono sicuramente sbagliate e questa è sicuramente giusta.
Prendetela come un qualcosa in più e, se volete, come suggerimento per una preghiera breve ma efficace e ricca di significato. In ogni momento della giornata, sia che le cose ci vadano bene o che ci vadano male, affidiamoci sempre a Dio confermandoGli la nostra fiducia.
Elì attà – Il mio Dio sei tu



......
e poi segue la frase conclusiva:
"Tutto è compiuto" e chinato il capo spirò!"

Secondo il Vangelo di Luca l'ultima parola di Gesù nella sua vita è una preghiera.  Gesù muore pregando: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». É una preghiera che lui sa a memoria.  Nel momento drammatico che sta vivendo, non c'è evidentemente né tempo né modo di comporre preghiere; erompono dal cuore quelle che gli sono più familiari, che gli stanno dentro come un grido. Quelle parole sono di un salmo: «In te Signore mi sono rifugiato, mai sarò deluso.  Per la tua giustizia salvami ». E poi: «Mi affido alle tue mani, tu mi riscatti, Signore Dio fedele» (Sal 30,2.6).......


I versetti del salmo che Gesù lascia emergere dal fondo del cuore e dalla memoria, sono stati composti molti secoli prima di lui.  Avrebbe potuto considerarli come preghiere lontane, scritte da uomini di un mondo diverso, di una mentalità e di una cultura diversa, eppure, quel salmo così antico, sulle labbra di Gesù diventa la sua preghiera, si identifica con la sua esperienza.  É come se lo pronunciasse in quel momento perché è diventato espressivo della sua realtà.  Di fronte alla morte le parole più vere che Gesù sente il bisogno di pronunciare, sono parole della Bibbia........


Dovremmo conservare come ricordo permanente che le preghiere bibliche sono scritte anche per noi.  Pregando con quelle parole scritte tanti secoli fa, troviamo il modo di esprimerci più autenticamente, sperimentiamo che Dio ce le ha messe dentro per poterci manifestare davanti a lui e davanti agli uomini, perché con quelle parole diciamo ciò che in altro modo non riusciremmo a spiegare né a noi né agli altri. Gesù che prega nel momento supremo della sua vita ci insegna ad affidarci, con la sua stessa preghiera, alla Parola di Dio.....

Il salmo che Gesù proclama è una parola di fiducia totale.  Gesù «rende» se stesso a Dio, compie un atto di abbandono pieno al Padre.


Quella che sta vivendo non è soltanto una situazione drammatica: è la situazione limite della morte. È una morte in totale, perfetta, amarissima solitudine. Il Vangelo ha cura di farci notare che nessuno intorno l'ha capito e il racconto che introduce a questa ultima parola di Gesù sottolinea fortemente che viene abbandonato da tutti, tranne dalla Madre e dal discepolo Giovanni.  Le persone che avrebbero potuto capirlo, che avevano motivi per essergli almeno vicino, non lo sono.  Il popolo sta a vedere, i capi lo scherniscono, i soldati lo beffeggiano, persino uno dei malfattori appesi alla croce lo insulta.

È drammatico vedere come queste persone (i capi, i soldati, i malfattori) rappresentano categorie che la pensano in maniera diversissima gli uni dagli altri, categorie nemiche tra loro, eppure nessuna di esse è con Gesù.....

Gesù sceglie di non scendere dalla croce.  È vero che in questo modo morirà solo e abbandonato, avrà però testimoniato il Dio che dà la vita, il Dio a servizio dell'uomo.  Avrà testimoniato il Dio che è Amore.


Ed ecco, in questo sfondo, il significato dell'ultima parola di Gesù.  Si è trovato di fronte alla contestazione massima, definitiva, quella che riguarda la sua missione alla quale vuole essere fedele fino in fondo.  In questa solitudine che esteriormente appare fallimento totale, Gesù reagisce esclamando: «Nelle tue mani, Padre, affido la mia vita». Così testimonia, il Dio del Vangelo, il Dio della fede, il Dio a cui ci si affida a occhi chiusi, il Dio nel quale siamo invitati noi stessi a deporre la nostra vita, il nostro passato, il nostro presente e il nostro avvenire......


La domanda fondamentale che emerge da questa scena e da questa parola di Gesù è: a quale Dio credo?  Al Dio da cui posso sperare un certo successo, una certa alleanza di cui mi posso servire a mio vantaggio? Oppure credo al Dio che dà la vita se affido a lui tutto me stesso, il mio progetto di vita e il mio futuro?  Credo al Dio che mi saprà ridare la vita al centuplo, anche se l'evidenza sarà la morte perché la certezza è la vita col Risorto?  Gesù lo ha detto nel Vangelo: chi perde la propria vita la troverà, ma chi invece vuol trovare la propria vita, vuol tenerla chiusa in se stesso, non si affida, la perderà. C'è una seconda domanda: la mia preghiera è la preghiera dell'esigenza?  Oppure è la preghiera dell'affidamento?


Quando il Signore ci guida verso il culmine della preghiera che è preghiera di affidamento, di consegna della nostra vita nelle sue mani, allora abbiamo raggiunto l'atteggiamento fondamentale, primario e sorgivo dell'esistenza perché l'esistenza dell'uomo è affidarsi
e sapersi fidare.  Il bene che si fa nel mondo viene dal fatto che qualcuno va oltre il calcolo, oltre la misura, oltre la pura razionalità.

L'atteggiamento di morte, invece, è quello di un mondo che ha paura del futuro, che ha paura di dare la vita: e allora scende inesorabilmente verso un gusto progressivo di morte, verso un intristirsi di tutte le espressioni dell'esistenza. 

Così si spiegano tanti fatti che succedono intorno a noi, in una civiltà che ha perso il gusto di rischiare, di giocarsi nel futuro di Dio, di mettersi nelle mani del Padre.

Gesù si affida: «Padre nelle tue mani affido il mio spirito». La sua preghiera esprime quell'abbandono filiale nel quale noi ritroviamo la verità di noi stessi, e di cui non siamo capaci.  Ne siamo capaci, a volte, nella nostra fantasia, ma quando siamo di fronte ad una realtà che chiede di fare davvero un salto, allora vediamo come la preghiera di Gesù è lontana da noi, rappresenta un ideale che non riusciamo a realizzare.

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Meditazione sulle 7 Parole di Gesù
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Padre, perdona loro, perchè non sanno quello che fanno!

Padre, volgi i tuoi occhi ed effondi la Tua misericordia su tutte le persone di ogni tempo che brancolano nel buio. Illumina i loro cuori e le loro coscienze, rendili capaci di risponderti, responsabili, quindi, e attenti alla Tua voce che parla attraverso il Figlio Tuo.
Fa che tutti, in Lui, siamo capaci di dirti: "non la mia, ma la Tua volontà sia fatta!"

Oggi sarai con me in Paradiso!

Padre, anch'io sono il ladrone in croce per le mie disarmonie, i miei smarrimenti, i miei peccati. Sono rinato nel momento in cui ho accolto questa parola del Tuo Figlio sulla croce. Oggi sarai con me nella casa del Padre. E' un ritorno a casa doloroso, ma salutare e benedetto.
Tu sei benedetto e noi siamo benedetti in Te.

Donna, ecco il tuo figlio. Ecco la tua madre!

Il discepolo amato affidato alla Madre. La Madre affidata a lui.
La Madre col cuore trafitto dal dolore, ma in piedi salda e presente con tutta se stessa sotto la croce. Condivisione piena, totale del mistero di Cristo, sin dal concepimento, che ora culmina nel momento più doloroso, cruciale .......
Essa infonde forza e capacità di condivisione e partecipazione amorosa a tutte le madri di tutti i tempi perchè non si lascino abbattere, non soccombano sotto la croce dei figli e, nonostante tutto, aprano i loro cuori alla speranza, all'offerta di una condivisione vera e viva.
In Giovanni si vuol vedere il sacerdote. Ed è giusto, perchè veramente essi sono i prescelti, gli amati, i nuovi pastori del gregge.
Ma l'ampiezza, l'altezza, la lunghezza e la profondità dell'amore di Dio estende i frutti di questo rapporto così stretto e così intimo a tutti gli uomini che vogliono affidarsi alla Madre e ai discepoli prediletti, divenire a loro volta discepoli.
Mi conforta che sotto la croce c'è anche la Maddalena. Non ci sta come una regina, perchè il suo dolore è meno composto e il suo animo, pur liberato dal male, è ancora appesantito dalle conseguenze di esso. Ma anche lei è lì, non è andata via, non è fuggita; ed è lei che vedrà per prima il suo Maestro e Signore Risorto. Lei ha bisogno di vederlo e quindi il Signore non le si nasconde, le appare.
Maria, invece, certamente ha sentito nel suo cuore questa esplosione misteriosa di vita. Lei è così intimamente coinvolta nel mistero del suo Figlio ed è così profondamente presente ...........

Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?

E' una solitudine abissale, ancor più profonda e drammatica di quella del Getsemani confortata, pur nell'immensità della pesantezza e della sofferenza, dall'angelo e dalla consapevolezza di essere nella volontà del Padre.
E' il turbamento della natura umana di fronte al mistero della morte. E' anche il silenzio di Dio che noi uomini viviamo come abbandono. Il momento del buio e del culmine della prova. E' l'assenza di Dio che sperimentiamo anche noi.
Più di una volta mi è venuto in mente che l'abbandono provato da Gesù coincide con la suprema donazione che Dio ci fa di se stesso. Condivisione immensa per amore immenso. E' Dio che soffre in quell'attimo supremo; chi potrebbe consolarlo?
Un teologo potrebbe dirmi che Dio, nella sua perfezione, non può soffrire.
Io credo che, per amore, Dio HA VOLUTO, nel caricarsi della nostra umanità, caricarsi anche della nostra soffrenza fino in fondo. Come potremo più rimproverargli la sofferenza, che ci scandalizza sempre, come se dipendesse da Lui?
La sofferenza è entrata, entra nel mondo dalla nostra disobbedienza che ci disinnesta dalla sorgente della vita, della nostra vita vera: come possiamo rimproverare al Signore la sofferenza che c'è in noi, che c'è nel mondo?
Ma di che amore siamo amati, se un Dio, Signore immenso, è diventato uno di noi, è entrato nella nostra umanità e, quindi, anche nella nostra sofferenza e, perciò anche nel nostro male, per riscattarla, trasformarla nella Sua gloria!
Zaccheo era un peccatore: eppure il Signore, passando si ferma, lo guarda e gli dice: "scendi subito, stasera devo fermarmi a casa tua". E Zaccheo scende "pieno di gioia" (kairon: è lo stesso verbo del saluto dell'angelo a Maria Kaire!). Gesù si ferma e entra nella casa di un peccatore. Quanto mi consola nel mio sentirmi sempre indegno. Lui non aspetta che io sia perfetto, per venire, per nascere in me!
Cosa troverai Signore nella mia casa?

Ho sete!

Dio ha sete di anime. Le anime hanno sete di Dio.
Signore, fa che tutte le anime di tutti gli uomini riconoscano questa sete e, anzichè abbeverarsi come animali a cisterne screpolate (tutti gli idoli con cui si illudono di estinguerla) ascoltino e rispondano al tuo grido (a me sembra che tu gridi queste parole): CHI HA SETE VENGA E BEVA CHI CREDE IN ME: FIUMI D'ACQUA VIVA SGORGHERANNO DAL SUO SENO!
Signore, io intuisco cosa significa: Fa che io lo viva!
Signore, noi abbiamo sete dell'acqua che sgorga dal tuo costato trafitto, del sangue salutare che hai effuso fino all'ultima goccia.
Tu sei il Tempio, anzi la Sorgente, da cui sgorga l'acqua viva in cui ogni essere che vi brulica ha la vita.
Inondami, Signore, con quest'acqua, che oggi io accolgo stando ai piedi della tua croce, non più curva sotto la mia croce, ma in piedi, perchè Tu e la Tua e mia Madre l'avete reso possibile.
L'ampiezza, l'altezza, la lunghezza e la profondità dell'amore di Dio che supera ogni conoscenza rendono possibile che questo mistero si estenda e si rinnovi e si renda presente ogni volta che siamo presenti in piedi e con il cuore rivolto e pieno di te accanto alla croce dei fratelli che incontriamo nel nostro cammino, dei nostri familiari, del mondo intero che ci entra in casa e nel cuore attraverso le immagini televisive. E, per quel che non vediamo, ci entra nel cuore lo stesso perchè, se siamo inseriti nel tuo cuore, ci troviamo tutte le gioie e le sofferenze del mondo.
Signore, se avrò gustato solo una goccia di questo mistero e di questa grazia, riuscendo a morire a me stesso (per ora è solo un'intenzione; mi riesce solo a sprazzi: deve diventare volontà-vita), unito alla tua croce, non mi verranno più dubbi e paure.

Tutto è compiuto!

".....li amò sino alla fine."
Colui che amò sino alla fine e donò di se stesso tutto fino all'ultima goccia di sangue e l'ultimo alito di vita e perpetua questo dono del pane vivo disceso dal cielo nell'eucarestia, potè dire davanti al Padre e al mondo di aver portato a compimento la ragione per cui era venuto nel mondo.
Ma Egli è la stessa cosa con Colui che l'ha mandato, con il Padre, sorgente della mia vita e del mio essere, che, in Lui e attraverso di Lui, si dona  a me.
E io? Che misero, ingrato e povero e disattento e incapace sono io! Ma non mi sgomenta più, perchè il mio Signore mi conosce, mi vede e mi ama come sono. E il Suo amore donato e accolto incessantemente, mi ha liberato e mi sta guarendo e trasformando. E io mi lascerò continuare a guarire e trasformare.
Eccomi, Signore, finalmente si è fatta strada nelle tenebre della mia vita, la Tua luce, la Tua voce, la Tua verità. E io sono qui che non fuggo più la mia realtà, nè più mi ribello nè più mi dibatto; ma, amorosamente attento, ti ascolto, ti seguo, imparo ad amarti.
Tutto è compiuto: che abisso di amore e di sofferenza! Ed è compiuto anche per me.
Rompe la scorza della mia indifferenza. Lascio compiersi in me la Parola del Signore: "la verità ti farà libero". Libero dal mio egoismo; libero per.......Padre, nelle tue mani, rimetto il mio Spirito.
Il culmine della vicenda umana di Cristo, inizio della vicenda divina dell'uomo. Il nuovo essere-dell'uomo-in-Dio.
Tutto l'uomo è tornato al Padre. E' già compiuto, è già operato dalla nascita, dalla vita, dalla morte, dalla Risurrezione e assunzione di Gesù, il Cristo. Sta diventando vero anche per me. Tu sei il mio Signore e il mio Dio.

Padre, nelle tue mani consegno il mio Spirito!

Prima di consegnare il Suo Spirito al Padre, Cristo Gesù si è consegnato nelle nostre mani. Dono totale, fino alla fine, senza conservare nulla per se'.
Inaudito, divino, immenso amore-dono.
Padre, Padre nostro, anch'io consegno il mio spirito, che non è mio, è Tuo perchè viene da Te, nelle tue mani. Mani: accolgono, modellano, accarezzano, creano, stringono, sostengono, benedicono, ammoniscono, indicano, frenano, affrettano sollecitando amorosamente, curano, trasmettono amore, richiamano, sollevano, attraggono.
Padre, è una decisione irrevocabile; possibile perchè il Figlio Tuo prediletto lo ha già fatto per me, per noi.
Padre, la Tua misericordia è veramente più grande del mio cuore. E' così grande la mia miseria, la mia meschinità; ma più grande è il Tuo amore per me, la Tua volontà di salvezza.
SIA FATTA, PADRE, LA TUA VOLONTA' COME IN CIELO, COSI' IN TERRA.
Come in cielo è la mia immagine di Te, non contaminata, redenta e purificata da Cristo, dal lavacro del Suo sangue effuso, sparso per la salvezza dei figli perduti, fa sì che si scriva nella mia terra.
Padre, fa che in me non ci siano più barriere di paura, di egoismo, di incapacità.
La tua volontà fatta (è un bel lavoro) nella mia vita nel mio essere nel mio cuore con Te PER CRISTO, CON CRISTO, IN CRISTO.
Fatta-insieme. Significa che non è precostituita, ma frutto della Tua chiamata e della mia risposta.
Padre, se sono qui è perchè Tu mi hai voluto.
Padre, nel Signore Gesù e con l'intercessione della Sua e mia Madre, Maria, che Tu hai scelta perchè sia la fonte da cui sgorga, per la nostra salvezza, la sorgente della Tua vita, io mi abbandono in Te, Ti consegno tutto me stesso, quella che sono e che sarò.

Sia lodato Gesù Cristo, Gino



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Caterina63
00martedì 6 gennaio 2009 09:41
  • Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato ?


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Analizziamo ora il brano della morte di Gesù in croce...... La tenebra per tre ore ricopre la terra, da mezzogiorno alle tre, e la sottolineatura che l'oscurità termina con la morte di Gesù, significa che Egli è la fine dell'oscurità, è la svolta per la fine del mondo.


Secondo Marco, dal quale è tratto questo brano, ci ricorda che l'unica parola di Gesù in croce è messa in rapporto con la morte ed è: "Dio mio perché mi hai abbandonato?".....


Quest'ultima preghiera di Gesù sulla croce non è stata capita, non tanto perché immaginata come rivolta al profeta Elia anziché a Dio, ma perché fu interpretata come una richiesta di aiuto per scendere dalla croce, fu interpretata come una domanda rivolta a Dio per essere liberato
.....
 

In questo momento invece Gesù si pone una domanda drammatica: "Dove sei". Siamo nell'anti - solidarietà più estrema perché tutti ti abbandonano,..... però almeno Dio non ti aveva mai abbandonato, non chiede quindi di essere tolto dalla croce, ma chiede di non essere lasciato solo......


La solitudine di Gesù che è veramente uomo e che ha messo da parte la sua divinità nel Getsemani quando si offre al Padre completamente....quasi è radicale, ed è peggiore della solitudine di Abele, ed è sottolineata in modo fortissimo da Marco, quando racchiude la morte del Signore tra l'episodio del Cireneo, che porta la croce ma forzatamente, quindi non serve, e l'episodio delle donne che stavano a guardare, dopo la Sua morte, ma da lontano.


Nel racconto della passione Gesù perde tutti, perde i discepoli, Pietro, Giuda, anche la folla si stacca da Lui, c'è un progressivo avvicinamento alla solitudine radicale
.... C'è poi la solitudine della Scrittura, il suo "silenzio" in quanto leggiamo che l'intervento di Dio o degli angeli salveranno il buono, quindi se Gesù non è stato salvato la scrittura non dice la verità, o non dice tutta la verità....questo fu il pensiero degli astanti alla Croce.


 Anche nella preghiera di Gesù sulla croce, come abbiamo visto in precedenza, c'è solitudine.... Gesù vive la morte nel senso che essa ha acquistato in seguito al peccato, cioè la lontananza da Dio.


Il Figlio, cioè Gesù, assume la lontananza da Dio, diventa peccato. In questa chiave di lettura dobbiamo porci noi tutti....è la pesantezza del peccato che fa gridare "Dio mio dove sei? perchè non sei vicino ame? perchè mi hai abbandonato?" Lui che era senza peccato, avendolo assunto, ne sente il peso...e Lui che è il solo Giusto....non ce la fa più, è stremato.....ma in questo grido vuole anche comunicarci qualcosa.....si, vuole avvisarci dell'assenza di Dio che si avverte quando siamo immersi nel peccato....


Qui si può vedere la solidarietà più estrema, Dio raggiunge l'uomo la dove è più lontano da Lui, cioè nel peccato. Gesù urla la sua preghiera, ed è la morte più comune, ha condiviso, con l'uomo, anche il modo di morire
. Il significato però non è certo comune perché una volta morto tutti gli elementi vanno a favore di Lui, le tenebre cessano, il velo del tempio si lacera ed infine la fede del pagano......"Quest'uomo era veramente il Figlio di Dio...!!" 


La croce è quindi il luogo della grande rivelazione di Dio, è il luogo dove veramente mostra di essere solidale con l'uomo...ed è solo SULLA CROCE che possiamo incontrare Dio, cioè, avvertire la presenza del peccato in noi ed accorgerci di esserci allontanati da Lui. Soltanto sperimentando la Croce potremo scoprire veramente Dio, incontrarlo........
. Quando Gesù si lamenta Dio ci appare come un padre duro, ma certamente non è così, non dice nulla offrendosi così alla derisione degli uomini, si identifica con il proprio Figlio, morendo quindi con Lui.

Dio discese agli inferi dove c'è l'uomo con il suo peccato, ecco la vera solidarietà, Dio è là, non ha inviato un semplice fattorino a liberare le anime, no, Gesù ha in sè la natura divina del Padre e solo un Dio poteva liberare le anime prigioniere....
. Quello stesso ed Unico Dio che nel roveto ardente si era rivelato come "Io sono" con gli Ebrei che gemevano in Egitto, qui pronuncia "Io sono" nel figlio Suo che muore da peccatore......


Quindi noi dobbiamo metterci in ascolto e in contemplazione e seguire le donne, che, come abbiamo visto sono lontano, guardano la croce, il luogo dove Gesù viene deposto, guarderanno la pietra srotolata via. Guardare indica la meraviglia, l'intimità, la contemplazione, significa capire che solidarietà innanzitutto è dono di Dio, che si dimostra solidale con noi per poi chiederci di essere solidali con Lui.

La croce è quindi luogo di rivelazione, ci dice chi è Gesù, ci dice chi è Dio, la Resurrezione ci conferma cosa ci aveva detto la croce, per questo la Chiesa, nel Venerdì Santo, pone tutta la sua attenzione e tutta l'adorazione alla Croce, mentre il Cristo Eucaristico giace in quell'angolo che chiamiamo  "Sepolcro", lasciando spazio ALLA CROCE[SM=g1740720]


Il figlio di Dio ha quindi scelto per salvarci la via dell'amore senza riserve, la via della solidarietà...senza pregiudizi.....la via dell'incontro nella sofferenza.....guai scendere dalla Croce, soltanto restando su di essa fino alla fine, potremo assaporare il trionfo della Risurrezione......


(Da una rielaborazione di un testo del prof. Michele P. biblista, tratto da "Meditazioni della Settimana Santa" ed. Ancora, 1998)



Rialzati e ricomincia.


Se sei stanco e la strada ti sembra lunga,

se ti accorgi che hai sbagliato strada...
...non lasciarti portare dai giorni e dai tempi... rialzati e ricomincia.

Se la vita ti sembra troppo assurda,
se sei deluso da troppe cose e da troppe persone...
...non cercare di capire il perché... rialzati e ricomincia.


 

Se hai provato ad amare ed essere utile,
se hai conosciuto la povertà dei tuoi limiti...
...non lasciar là un impegno assolto a metà... rialzati e ricomincia.

Se gli altri ti guardano con rimprovero,
se sono delusi di te, irritati...

...non ribellarti, non domandar loro nulla... rialzati e ricomincia.

Perché l'albero germoglia di nuovo dimenticando l'inverno,
il ramo fiorisce senza domandare perché,
l'uccello fa il suo nido senza pensare all'autunno,
il Signore fa piovere sui buoni e sui cattivi...

La vita è speranza e sempre ricomincia...

Non importa quante volte dovrai rialzarti, dopo essere caduto,

il Signore non guarda a queste cose.

Cerca piuttosto di farti trovare in piedi quando ti incontrerai

con il tuo Dio per l'eternità.

Gesù, Figlio di Dio....abbi pietà di me peccatore.....





 

Una riflessione dell'Amico Chisolm

Quando da bambini, amici miei, la suora ci leggeva il Vangelo della Settimana Santa, aspettavamo con ansia quella cantilena ebraica così dolce e musicale, non conoscendo per età ed imperizia del dolore, il suo estremo contenuto di sofferenza:
Elì, Elì, lamà sabctàni.

Ce ne appropriavamo con l'incoscenza del gioco e, spostando i vari accenti la cantavamo in tutte le salse. Avevamo sette anni e nessuna cognizione del dolore. Poi, le Pasque di tanti anni fà, coincidevano quasi sempre con acquazzoni primaverili, sicché, fuori da scuola correvamo a casa saltando nelle pozzanghere argentine, sempre con quella melodia della nostra impertinente infanzia:
Elì, Elì, lamà sabactanì...

Mi chiedevo, nella più essenziale delle teologie, se uno che sta morendo trovi la forza di pregare, oppure consumi l'ultimo quarto di fiato per maledire Dio, oppure... Oppure... Io non c'ero vicino quella croce, ma è come se ci fossi stato: così i miei compagni e tutti quelli che ancora non erano nati, gente che magari ora naviga in rete o fà rapine, ruba o dispensa cure in qualche missione africana. C'eravamo tutti, tutti ascoltavamo quella melodia angosciata e liberatoria, e tutti, un giorno ne avremmo scandita l'intima essenza per un dolore più grande del nostro cuore.

In effetti, mi è capitato di ripetere quella melodia più volte, sempre in bilico tra il salmo e la bestemmia, sempre conscio della mia fragilissima umanità in equilibrio tra rettitudine e peccato.
Ripenso con nostalgia a quelle pozzanghere argentine e a quel ritornello cantato come il più esotico dei misteri, il più indecifrabile dei segreti, la più dolce delle preghiere perché pregata dal Figlio di Dio senza sconti né favoritismi.
Ripenso all'innocenza di un salmo cantato per gioco e un gioco (quello delle pozzanghere) giocato con il sottofondo di un salmo.

Ripenso a quel tempo felice e colmo della grazia dell'innocenza, lo sovrappongo ai volti dei bimbi iracheni e congolesi, ebrei e palestinesi che forse non hanno più la voglia di saltare nelle pozzanghere.
Chissà, forse non c'è poi tutto questo mistero nelle ultime parole di Gesù: forse perché non sono state le ultime, dal momento che c'è stata la resurrezione e forse perché, a mio modo di vedere, dall'alto della croce ci vedeva tutti piccoli come bambini ai quali, ma è sempre la mia fantasia, ha voluto insegnare l'ultima filastrocca, dando il la al canto della vita che per esser tale doveva passare per la sua morte.

Aspetto con ansia qualche goccia di pioggia, tanto da formare una pozzangheretta di pochi centimetri, tanto da saltarci dentro con le mie scarpone e canticchiare un salmo dalla dolce e dolorosa intensità, tornare piccolo e sfiorato da quella grazia dell'innocenza, quella che ti permette di fare le vocine, i falsetti con cui cantare tutto l'amore del Figlio di Dio:
Elì, Elì, lamà sabactanì...

Vi prego, amici miei, se vi capita a tiro una pozzangheretta piccola e gentile, saltateci dentro con la gioia d'un bambino...
Tanto è quello l'esercizio che dovremo fare per entrare nel Regno...
(Un caro saluto a tutti, con la preghiera all'amico Alberto di mettere sull'altare un fiore semplice da parte mia, dedicato a voi tutti, miei telematici compagni di viaggio... )
Ciao Tea...
C.




eccoti accontentato amico Chisolm.....una bella pozzanghera....[SM=g1740725]

          

....e non ci si scandalizzi se in questa pagina di meditazione abbiamo inserito anche una immagine diversa....anche questo fa parte della vita che Dio ha amato incarnandosi, partecipando con noi, giocando con noi, soffrendo con noi....

[SM=g1740717]

Caterina63
00venerdì 15 aprile 2011 17:45

BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 10 aprile 2011


   

Cari fratelli e sorelle!

Mancano solo due settimane alla Pasqua, e le Letture bibliche di questa domenica parlano tutte della risurrezione. Non ancora di quella di Gesù, che irromperà come una novità assoluta, ma della nostra risurrezione, quella a cui noi aspiriamo e che proprio Cristo ci ha donato, risorgendo dai morti. In effetti, la morte rappresenta per noi come un muro che ci impedisce di vedere oltre; eppure il nostro cuore si protende al di là di questo muro, e anche se non possiamo conoscere quello che esso nasconde, tuttavia lo pensiamo, lo immaginiamo, esprimendo con simboli il nostro desiderio di eternità.

Al popolo ebraico, in esilio lontano dalla terra d’Israele, il profeta Ezechiele annuncia che Dio aprirà i sepolcri dei deportati e li farà ritornare nella loro terra, per riposarvi in pace (cfr Ez 37,12-14). Questa aspirazione ancestrale dell’uomo ad essere sepolto insieme con i suoi padri è anelito ad una “patria” che lo accolga al termine delle fatiche terrene.

Questa concezione non contiene ancora l’idea di una risurrezione personale dalla morte, che compare solo verso la fine dell’Antico Testamento, e ancora al tempo di Gesù non era accolta da tutti i Giudei. Del resto, anche tra i cristiani, la fede nella risurrezione e nella vita eterna si accompagna non raramente a tanti dubbi, a tanta confusione, perché si tratta pur sempre di una realtà che oltrepassa i limiti della nostra ragione, e richiede un atto di fede. Nel Vangelo di oggi – la risurrezione di Lazzaro – noi ascoltiamo la voce della fede dalla bocca di Marta, la sorella di Lazzaro. A Gesù che le dice: “Tuo fratello risorgerà”, ella risponde: “So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno” (Gv 11,23-24).

Ma Gesù replica: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11,25-26). Ecco la vera novità, che irrompe e supera ogni barriera! Cristo abbatte il muro della morte, in Lui abita tutta la pienezza di Dio, che è vita, vita eterna. Per questo la morte non ha avuto potere su di Lui; e la risurrezione di Lazzaro è segno del suo pieno dominio sulla morte fisica, che davanti a Dio è come un sonno (cfr Gv 11,11).

Ma c’è un’altra morte, che è costata a Cristo la più dura lotta, addirittura il prezzo della croce: è la morte spirituale, il peccato, che minaccia di rovinare l’esistenza di ogni uomo. Per vincere questa morte Cristo è morto, e la sua Risurrezione non è il ritorno alla vita precedente, ma l’apertura di una realtà nuova, una “nuova terra”, finalmente ricongiunta con il Cielo di Dio. Per questo san Paolo scrive: “Se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,11).

Cari fratelli, rivolgiamoci alla Vergine Maria, che già partecipa di questa Risurrezione, perché ci aiuti a dire con fede: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio” (Gv 11,27), a scoprire veramente che Lui è la nostra salvezza.

                               Pope Benedict XVI waves to the crowd gathered below in Saint Peter's square during his Sunday Angelus blessing at the Vatican April 10, 2011.

Caterina63
00venerdì 22 aprile 2011 14:00

Lamenti del Signore sulla Croce: residui greci nella liturgia latina

Proponiamo questa lettura, tratta da Cantuale Antonianum (link) in cui si trova anche un video del canto e lo spartito dal Graduale.


I lamenti del Signore sulla Croce: residui arcaici in greco nella liturgia latina.
Gli Improperia sono versetti cantati antifonicamente e responsorialmente durante l'adorazione della Croce del Venerdì santo.
Il testo, di reminescenza biblica, benchè forse derivato anche da contaminazioni con l'apocrifa Apocalisse di Esdra, immagina i "rimproveri" che Gesù rivolge agli ebrei dalla croce. Di fatto parte di questi sovrappongono le parole di Cristo a quelli di Dio stesso quando ricorda agli ebrei la salvezza concessa attraverso Mosé.
Il rito è antichissimo, già testimoniato a Gerusalemme nel III sec. (descritto dalla pellegrina Eteria) fu accolto anche in Occidente verso il VI secolo.
La prima parte, delle due sezioni in cui si divide, prevede tre improperia (destinate ai solisti del coro):

[1] Popule meus, quid feci tibi? Aut in quo contristavi te? Responde mihi! — Quia eduxi te de terra Aegypti: parasti Crucem Salvatori tuo.
Popolo mio, che ti ho fatto? In cosa ti ho contrariato? Rispondimi. (Cf. Mi 6,3) — Ti ho liberato dall'Egitto e tu prepari la croce per il tuo salvatore? (Cf. Mi 6,4)

[2] Quia eduxi te per desertum quadraginta annis, et manna cibavi te, et introduxi in terram satis optimam: parasti Crucem Salvatori tuo.
Ti ho condotto quarant'anni attraverso il deserto, ti ho cibato con la manna, ti ho portato in una terra rigogliosa e tu prepari la croce per il tuo salvatore? (Cf. Dt 8,2-3.7)

[3] Quid ultra debui facere tibi, et non feci? Ego quidem plantavi te vineam meam speciosissimam: et tu facta es mihi nimis amara: aceto namque sitim meam potasti: et lancea perforasti latus Salvatori tuo.
Cos'altro dovrei fare che non ho fatto? (Cf. Is 5,4) Ho piantato per te la mia florida vigna e tu ti sei comportato in modo così amaro: hai dato aceto per dissetar la mia sete e hai aperto il fianco con una lancia al tuo salvatore. (Sal 69,22).

Ad ogni strofa risponde il primo coro con il Trisaghion greco (da hagios, santo) a cui replica l'altro coro con la traduzione latina. In tutta la liturgia romana si trova unicamente in questo testo e in questo giorno dell'anno il canto comunissimo tra gli orientali dell'inno in onore del "tre volte Santo": Santo Dio, Santo forte, Santo immortale, abbi pietà di noi!

Hagios o Theos – Sanctus Deus
Hagios Ischyros – Sanctus Fortis
Hagios Athanatos, eleison hymas – Sanctus Immortalis, miserere nobis.


Testo preso da: Cantuale Antonianum: I lamenti del Signore sulla Croce: residui arcaici in greco nella liturgia latina www.cantualeantonianum.com/2011/04/i-lamenti-del-signore-sulla-croce.html#ixzz1...
http://www.cantualeantonianum.com

Caterina63
00mercoledì 15 febbraio 2012 22:27

Il Papa: Gesù che chiede al Padre di perdonare coloro che lo stanno crocifiggendo, ci invita al difficile gesto di pregare anche per coloro che ci fanno torto, ci hanno danneggiato, sapendo perdonare sempre, affinché la luce di Dio possa illuminare il loro cuore; e ci invita a vivere, nella nostra preghiera, lo stesso atteggiamento di misericordia e di amore che Dio ha nei nostri confronti: «rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori», diciamo quotidianamente nel «Padre nostro»

CICLO DI CATECHESI SULLA PREGHIERA DI GESU'


L’UDIENZA GENERALE, 15.02.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla preghiera, ha incentrato la sua meditazione sulla preghiera di Gesù nell’imminenza della morte (cfr Lc 23,34).
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

La preghiera di Gesù nell'imminenza della morte - Lc

Cari fratelli e sorelle,

nella nostra scuola di preghiera , mercoledì scorso, ho parlato sulla preghiera di Gesù sulla Croce presa dal Salmo 22: "Dio, Dio mio perché mi hai abbandonato?" adesso vorrei continuare a meditare sulla preghiera di Gesù in croce, nell’imminenza della morte, vorrei soffermarmi oggi sulla narrazione che incontriamo nel Vangelo di san Luca. L'Evangelista ci ha tramandato tre parole di Gesù sulla croce, due delle quali – la prima e la terza – sono preghiere rivolte esplicitamente al Padre. La seconda, invece, è costituita dalla promessa fatta al cosiddetto buon ladrone, crocifisso con Lui; rispondendo, infatti, alla preghiera del ladrone, Gesù lo rassicura: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43).

Nel racconto di Luca sono così intrecciate suggestivamente le due preghiere che Gesù morente indirizza al Padre e l'accoglienza della supplica che a Lui è rivolta dal peccatore pentito. Gesù invoca il Padre e insieme ascolta la preghiera di quest’uomo che spesso è chiamato latro poenitens, «il ladrone pentito».

Soffermiamoci su queste tre preghiere di Gesù. La prima la pronuncia subito dopo essere stato inchiodato sulla croce, mentre i soldati si stanno dividendo le sue vesti come triste ricompensa del loro servizio. In un certo senso è con questo gesto che si chiude il processo della crocifissione.
Scrive san Luca: «Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte» (23,33-34).

La prima preghiera che Gesù rivolge al Padre è di intercessione: chiede il perdono per i propri carnefici. Con questo, Gesù compie in prima persona quanto aveva insegnato nel discorso della montagna quando aveva detto: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano» (Lc 6,27) e aveva anche promesso a quanti sanno perdonare: «la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo» (v. 35). Adesso, dalla croce, Egli non solo perdona i suoi carnefici, ma si rivolge direttamente al Padre intercedendo a loro favore.

Questo atteggiamento di Gesù trova un’«imitazione» commovente nel racconto della lapidazione di santo Stefano, primo martire. Stefano, infatti, ormai prossimo alla fine, «piegò le ginocchia e gridò a gran voce: "Signore, non imputare loro questo peccato". Detto questo, morì» (At 7,60): questa è stata la sua ultima parola.

Il confronto tra la preghiera di perdono di Gesù e quella del protomartire è significativo. Santo Stefano si rivolge al Signore Risorto e chiede che la sua uccisione – un gesto definito chiaramente con l’espressione «questo peccato» – non sia imputata ai suoi lapidatori. Gesù sulla croce si rivolge al Padre e non solo chiede il perdono per i suoi crocifissori, ma offre anche una lettura di quanto sta accadendo. Secondo le sue parole, infatti, gli uomini che lo crocifiggono «non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Egli pone cioè l’ignoranza, il «non sapere», come motivo della richiesta di perdono al Padre, perché questa ignoranza lascia aperta la via verso la conversione, come del resto avviene nelle parole che pronuncerà il centurione alla morte di Gesù: «Veramente, quest’uomo era giusto» (v. 47), era il Figlio di Dio. «Rimane una consolazione per tutti i tempi e per tutti gli uomini il fatto che il Signore, sia a riguardo di coloro che veramente non sapevano – i carnefici – sia di coloro che sapevano e lo avevano condannato, pone l'ignoranza quale motivo della richiesta di perdono – la vede come porta che può aprirci alla conversione» (Gesù di Nazaret, II, 233).

La seconda parola di Gesù sulla croce riportata da san Luca è una parola di speranza, è la risposta alla preghiera di uno dei due uomini crocifissi con Lui. Il buon ladrone davanti a Gesù rientra in se stesso e si pente, si accorge di trovarsi di fronte al Figlio di Dio, che rende visibile il Volto stesso di Dio, e lo prega: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (v. 42). La risposta del Signore a questa preghiera va ben oltre la richiesta; infatti dice: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (v. 43). Gesù è consapevole di entrare direttamente nella comunione col Padre e di riaprire all’uomo la via per il paradiso di Dio. Così attraverso questa risposta dona la ferma speranza che la bontà di Dio può toccarci anche nell’ultimo istante della vita e la preghiera sincera, anche dopo una vita sbagliata, incontra le braccia aperte del Padre buono che attende il ritorno del figlio.

Ma fermiamoci sulle ultime parole di Gesù morente. L’Evangelista racconta: «Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Detto questo, spirò» (vv. 44-46). Alcuni aspetti di questa narrazione sono diversi rispetto al quadro offerto in Marco e in Matteo.

Le tre ore di oscurità in Marco non sono descritte, mentre in Matteo sono collegate con una serie di diversi avvenimenti apocalittici, come il terremoto, l’apertura dei sepolcri, i morti che risuscitano (cfr Mt 27,51-53). In Luca, le ore di oscurità hanno la loro causa nell’eclissarsi del sole, ma in quel momento avviene anche il lacerarsi del velo del tempio. In questo modo il racconto lucano presenta due segni, in qualche modo paralleli, nel cielo e nel tempio. Il cielo perde la sua luce, la terra sprofonda, mentre nel tempio, luogo della presenza di Dio, si lacera il velo che protegge il santuario. La morte di Gesù è caratterizzata esplicitamente come evento cosmico e liturgico; in particolare, segna l’inizio di un nuovo culto, in un tempio non costruito da uomini, perché è il Corpo stesso di Gesù morto e risorto, che raduna i popoli e li unisce nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue.

La preghiera di Gesù, in questo momento di sofferenza – «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» - è un forte grido di estremo e totale affidamento a Dio. Tale preghiera esprime la piena consapevolezza di non essere abbandonato. L’invocazione iniziale - «Padre» – richiama la sua prima dichiarazione di ragazzo dodicenne.

Allora era rimasto per tre giorni nel tempio di Gerusalemme, il cui velo ora si è squarciato. E quando i genitori gli avevano manifestato la loro preoccupazione, aveva risposto: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo essere in ciò che è del Padre mio?» (Lc 2,49). Dall'inizio alla fine, quello che determina completamente il sentire di Gesù, la sua parola, la sua azione, è la relazione unica con il Padre. Sulla croce Egli vive pienamente, nell’amore, questa sua relazione filiale con Dio, che anima la sua preghiera.

Le parole pronunciate da Gesù, dopo l'invocazione «Padre», riprendono un'espressione del Salmo 31: «Alle tue mani affido il mio spirito» (Sal 31,6). Queste parole, però, non sono una semplice citazione, ma piuttosto manifestano una decisione ferma: Gesù si «consegna» al Padre in un atto di totale abbandono. Queste parole sono una preghiera di «affidamento», piena di fiducia nell’amore di Dio. La preghiera di Gesù di fronte alla morte è drammatica come lo è per ogni uomo, ma, allo stesso tempo, è pervasa da quella calma profonda che nasce dalla fiducia nel Padre e dalla volontà di consegnarsi totalmente a Lui. Nel Getsemani, quando era entrato nella lotta finale e nella preghiera più intensa e stava per essere «consegnato nelle mani degli uomini» (Lc 9,44), il suo sudore era diventato «come gocce di sangue che cadono a terra» (Lc 22,44). Ma il suo cuore era pienamente obbediente alla volontà del Padre, e per questo «un angelo dal cielo» era venuto a confortarlo (cfr Lc 22,42-43). Ora, negli ultimi istanti, Gesù si rivolge al Padre dicendo quali sono realmente le mani a cui Egli consegna tutta la sua esistenza. Prima della partenza per il viaggio verso Gerusalemme, Gesù aveva insistito con i suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini» (Lc 9,44). Adesso, che la vita sta per lasciarlo, Egli sigilla nella preghiera la sua ultima decisione: Gesù si è lasciato consegnare «nelle mani degli uomini», ma è nelle mani del Padre che Egli pone il suo spirito; così – come afferma l’Evangelista Giovanni – tutto è compiuto, il supremo atto di amore è portato sino alla fine, al limite e al di là del limite.

Cari fratelli e sorelle, le parole di Gesù sulla croce negli ultimi istanti della sua vita terrena offrono indicazioni impegnative alla nostra preghiera, ma la aprono anche ad una serena fiducia e ad una ferma speranza.

Gesù che chiede al Padre di perdonare coloro che lo stanno crocifiggendo, ci invita al difficile gesto di pregare anche per coloro che ci fanno torto, ci hanno danneggiato, sapendo perdonare sempre, affinché la luce di Dio possa illuminare il loro cuore; e ci invita a vivere, nella nostra preghiera, lo stesso atteggiamento di misericordia e di amore che Dio ha nei nostri confronti: «rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori», diciamo quotidianamente nel «Padre nostro».

Allo stesso tempo, Gesù, che nel momento estremo della morte si affida totalmente nelle mani di Dio Padre, ci comunica la certezza che, per quanto dure siano le prove, difficili i problemi, pesante la sofferenza, non cadremo mai fuori delle mani di Dio, quelle mani che ci hanno creato, ci sostengono e ci accompagnano nel cammino dell’esistenza, perché guidate da un amore infinito e fedele.

Grazie.


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Caterina63
00mercoledì 11 aprile 2012 14:43

Il Papa: Cari amici, anche oggi il Risorto entra nelle nostre case e nei nostri cuori, nonostante a volte le porte siano chiuse. Entra donando gioia e pace, vita e speranza, doni di cui abbiamo bisogno per la nostra rinascita umana e spirituale





L’UDIENZA GENERALE, 11.04.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI - proveniente in elicottero dalla residenza pontificia di Castel Gandolfo - ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa ha incentrato la sua meditazione sul significato della Risurrezione di Cristo.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.
Al termine, il Santo Padre è rientrato a Castel Gandolfo.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

La Pasqua del Signore

Cari fratelli e sorelle,

dopo le solenni celebrazioni della Pasqua, il nostro incontro di oggi è pervaso di gioia spirituale, anche se il cielo è grigio, nel cuore portiamo la gioia della Pasqua, la certezza della Risurrezione di Cristo che ha definitivamente trionfato sulla morte. Anzitutto rinnovo a ciascuno di voi un cordiale augurio pasquale: in tutte le case e in tutti i cuori risuoni l’annuncio gioioso della Risurrezione di Cristo, così da far rinascere la speranza.

In questa catechesi vorrei mostrare la trasformazione che la Pasqua di Gesù ha provocato nei suoi discepoli.

Partiamo dalla sera del giorno della Risurrezione. I discepoli sono chiusi in casa per paura dei giudei (cfr Gv 20,19). Il timore stringe il cuore e impedisce di andare incontro agli altri, incontro alla vita. Il Maestro non c'è più. Il ricordo della sua Passione alimenta l’incertezza. Ma Gesù ha a cuore i suoi e sta per compiere la promessa che aveva fatto durante l’Ultima Cena: «Non vi lascerò orfani, verrò da voi» (Gv 14,18) e questo dice anche a noi, anche in tempi grigi: “non vi lascerò orfani”. Questa situazione di angoscia dei discepoli cambia radicalmente con l’arrivo di Gesù. Egli entra a porte chiuse, sta in mezzo a loro e dona la pace che rassicura: «Pace a voi» (Gv 20,19b). È un saluto comune che tuttavia ora acquista un significato nuovo, perché opera un cambiamento interiore; è il saluto pasquale, che fa superare ogni paura ai discepoli. La pace che Gesù porta è il dono della salvezza che Egli aveva promesso durante i suoi discorsi di addio: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). In questo giorno di Risurrezione, Egli la dona in pienezza ed essa diventa per la comunità fonte di gioia, certezza di vittoria, sicurezza nell’appoggiarsi a Dio. “Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”(Gv 14,1) dice anche a noi.

Dopo questo saluto, Gesù mostra ai discepoli le ferite delle mani e del fianco (cfr Gv 20,20), segni di ciò che è stato e che mai più si cancellerà: la sua umanità gloriosa resta «ferita». Questo gesto ha lo scopo di confermare la nuova realtà della Risurrezione: il Cristo che ora sta tra i suoi è una persona reale, lo stesso Gesù che tre giorni prima fu inchiodato alla croce. Ed è così che, nella luce sfolgorante della Pasqua, nell’incontro con il Risorto, i discepoli colgono il senso salvifico della sua passione e morte. Allora, dalla tristezza e dalla paura passano alla gioia piena. La tristezza e le ferite stesse diventano fonte di gioia. La gioia che nasce nel loro cuore deriva dal «vedere il Signore» (Gv 20, 20). Egli dice loro di nuovo: «Pace a voi» (v. 21). È evidente ormai che non è solo un saluto. È un dono, il dono che il Risorto vuole fare ai suoi amici, ed è al tempo stesso una consegna: questa pace, acquistata da Cristo col suo sangue, è per loro ma anche per tutti, e i discepoli dovranno portarla in tutto il mondo. Infatti, Egli aggiunge: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (ibid.). Gesù risorto è ritornato tra i discepoli per inviarli. Lui ha completato la sua opera nel mondo, ora tocca a loro seminare nei cuori la fede perché il Padre, conosciuto e amato, raccolga tutti i suoi figli dalla dispersione. Ma Gesù sa che nei suoi c’è ancora tanto timore, sempre. Perciò compie il gesto di soffiare su di loro e li rigenera nel suo Spirito (cfr Gv 20,22); questo gesto è il segno della nuova creazione. Con il dono dello Spirito Santo che proviene dal Cristo risorto ha inizio infatti un mondo nuovo. Con l’invio in missione dei discepoli, si inaugura il cammino nel mondo del popolo della nuova alleanza, popolo che crede in Lui e nella sua opera di salvezza, popolo che testimonia la verità della risurrezione. Questa novità di una vita che non muore, portata dalla Pasqua, va diffusa ovunque, perché le spine del peccato che feriscono il cuore dell’uomo, lascino il posto ai germogli della Grazia, della presenza di Dio e del suo amore che vincono il peccato e la morte.

Cari amici, anche oggi il Risorto entra nelle nostre case e nei nostri cuori, nonostante a volte le porte siano chiuse. Entra donando gioia e pace, vita e speranza, doni di cui abbiamo bisogno per la nostra rinascita umana e spirituale. Solo Lui può ribaltare quelle pietre sepolcrali che l’uomo spesso pone sui propri sentimenti, sulle proprie relazioni, sui propri comportamenti; pietre che sanciscono la morte: divisioni, inimicizie, rancori, invidie, diffidenze, indifferenze. Solo Lui, il Vivente, può dare senso all’esistenza e far riprendere il cammino a chi è stanco e triste, sfiduciato e privo di speranza.

È quanto hanno sperimentato i due discepoli che il giorno di Pasqua erano in cammino da Gerusalemme verso Emmaus (cfr Lc 24,13-35). Essi parlano di Gesù, ma il loro «volto triste» (cfr v. 17) esprime le speranze deluse, l’incertezza e la malinconia. Avevano lasciato il loro paese per seguire Gesù con i suoi amici, e avevano scoperto una nuova realtà, in cui il perdono e l’amore non erano più solo parole, ma toccavano concretamente l’esistenza. Gesù di Nazaret aveva reso tutto nuovo, aveva trasformato la loro vita. Ma ora Lui era morto e tutto sembrava finito.

All’improvviso, però, non ci sono più due, ma tre persone che camminano. Gesù si accosta ai due discepoli e cammina con loro, ma essi sono incapaci di riconoscerlo. Certo, hanno sentito le voci sulla sua risurrezione, infatti gli riferiscono: «Alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo» (vv. 22-23). Eppure tutto questo non era stato sufficiente a convincerli, poiché «lui non l’hanno visto» (v. 24). Allora Gesù, con pazienza, «cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (v. 27). Il Risorto spiega ai discepoli la Sacra Scrittura, offrendo la chiave di lettura fondamentale di essa, cioè Lui stesso e il suo Mistero pasquale: a Lui le Scritture rendono testimonianza (cfr Gv 5,39-47). Il senso di tutto, della Legge, dei Profeti e dei Salmi, improvvisamente si apre e diventa chiaro davanti ai loro occhi. Gesù aveva aperto loro la mente all’intelligenza delle Scritture (cfr Lc 24,45).

Intanto, erano giunti al villaggio, probabilmente alla casa di uno dei due. Il forestiero viandante fa «come se dovesse andare più lontano» (v. 28), ma poi si ferma poiché gli chiedono con ardore: «Resta con noi» (v. 29). Anche noi sempre di nuovo dobbiamo dire al Signore con ardore: “Resta con noi”. «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (v. 30). Il richiamo ai gesti compiuti da Gesù nell’Ultima Cena è evidente. «Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (v. 31). La presenza di Gesù, dapprima con le parole, poi con il gesto dello spezzare il pane, rende possibile ai discepoli il riconoscerLo, ed essi possono sentire in modo nuovo quanto avevano già provato camminando con Lui: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (v. 32). Questo episodio ci indica due «luoghi» privilegiati dove possiamo incontrare il Risorto che trasforma la nostra vita: l’ascolto della Parola, in comunione con Cristo, e lo spezzare il Pane; due «luoghi» profondamente uniti tra loro poiché «Parola ed Eucaristia si appartengono così intimamente da non poter essere comprese l’una senza l’altra: la Parola di Dio si fa carne sacramentale nell’evento eucaristico» (Esort. ap. postsin. Verbum Domini, 54-55).

Dopo questo incontro, i due discepoli «partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”». (vv. 33-34). A Gerusalemme essi ascoltano la notizia della risurrezione di Gesù e, a loro volta, raccontano la propria esperienza, infiammata d’amore per il Risorto, che ha loro aperto il cuore ad una gioia incontenibile. Sono stati - come dice san Pietro - «rigenerati a una speranza viva dalla risurrezione di Cristo dai morti» (cfr 1Pt l,3). Rinasce infatti in loro l’entusiasmo della fede, l’amore per la comunità, il bisogno di comunicare la buona notizia. Il Maestro è risorto e con Lui tutta la vita risorge; testimoniare questo evento diventa per essi una insopprimibile necessità.

Cari amici, il Tempo pasquale sia per tutti noi l’occasione propizia per riscoprire con gioia ed entusiasmo le sorgenti della fede, la presenza del Risorto tra di noi. Si tratta di compiere lo stesso itinerario che Gesù fece fare ai due discepoli di Emmaus, attraverso la riscoperta della Parola di Dio e dell’Eucaristia, cioè andare col Signore e lasciarsi aprire gli occhi al vero senso della Scrittura e alla sua presenza nello spezzare il pane. Il culmine di questo cammino, allora come oggi, è la Comunione eucaristica: nella Comunione Gesù ci nutre con il suo Corpo e il suo Sangue, per essere presente nella nostra vita, per renderci nuovi, animati dalla potenza dello Spirito Santo.

In conclusione, l’esperienza dei discepoli ci invita a riflettere sul senso della Pasqua per noi. Lasciamoci incontrare da Gesù risorto! Lui, vivo e vero, è sempre presente in mezzo a noi; cammina con noi per guidare la nostra vita, per aprire i nostri occhi. Abbiamo fiducia nel Risorto che ha il potere di dare la vita, di farci rinascere come figli di Dio, capaci di credere e di amare. La fede in Lui trasforma la nostra vita: la libera dalla paura, le dà ferma speranza, la rende animata da ciò che dona pieno senso all’esistenza, l’amore di Dio. Grazie.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Benvenuti, grazie per il vostro entusiasmo, la vostra gioia pasquale. Saluto in particolare i gruppi parrocchiali, le Missionarie del Sacro Cuore e i Diaconi della Compagnia di Gesù, ai quali auguro di proseguire nel loro itinerario formativo animati dall’amore alla Chiesa e dalla fedeltà al Magistero. Saluto i ragazzi della professione di fede di Milano, grazie, sentiamo la gioia pasquale: cari amici, vivete la fede con entusiasmo e preparatevi spiritualmente al prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie, che si terrà nella vostra Città dal 30 maggio al 3 giugno. In questo cammino vi sia di aiuto l’immagine della Sacra Famiglia che ho poc’anzi benedetto e che passerà nelle vostre case.

Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Cari giovani, specialmente voi adolescenti della diocesi di Cremona, siate sempre più consapevoli che solo il Signore Gesù può rispondere completamente alle aspirazioni di felicità e alla ricerca del bene nella vostra vita; cari ammalati, in particolare voi del gruppo UNITALSI di Teano-Calvi, non c’è conforto maggiore alla vostra sofferenza che la certezza della Risurrezione di Cristo; e voi, cari sposi novelli, vivete il vostro matrimonio in concreta adesione a Cristo e agli insegnamenti del Vangelo.

 



 
Caterina63
00venerdì 29 giugno 2012 19:23
[SM=g1740733] Vi offriamo l'opportunità di meditare un passo dal libro del santo Padre Benedetto XVI, "Gesù di Nazareth", il secondo volume, nel quale egli affronta, con brevi parole ma pensieri profondi, il quadro di Maria ai piedi della Croce, e l'affidamento della Madre al discepolo. Un grazie alla Libreria Editrice Vaticana, per aver avuto la lodevole iniziativa di offrire ai fedeli la versione del testo in forma audio e che consigliamo a tutti di ricevere ed ascoltare, quasi usandolo come "Esercizi spirituali".

www.gloria.tv/?media=305750


Movimento Domenicano del Rosario
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