Le visite Pastorali del Santo Padre nelle Parrocchie e zone romane

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Caterina63
00domenica 30 novembre 2008 14:43
Amici.....inizieremo qui in questo thread un viaggio fatto di ASCOLTO E PREGHIERA per sostenere le visite Pastorali del Vescovo di Roma nelle varie comunità Cattoliche..... [SM=g27988]

Alle ore 9.00 di questa mattina - I Domenica di Avvento - il Santo Padre Benedetto XVI si reca in visita pastorale alla parrocchia di San Lorenzo fuori le Mura, nel settore nord della diocesi di Roma, per il 1750.mo anniversario del martirio di San Lorenzo e nel quadro delle visite annuali alle parrocchie romane.
La Santa Messa inizia alle ore 9.45, introdotta dall’indirizzo di omaggio del Parroco, P. Bruno Mustacchio, O.F.M.Cap.
Al termine della Celebrazione Eucaristica, il Santo Padre sosta davanti alla tomba di San Lorenzo. Quindi saluta i Membri del Comitato Giubilare di San Lorenzo ed i Religiosi Cappuccini e si reca poi nella cripta, dove si sofferma in preghiera davanti alla tomba del beato Pio IX. Uscendo dalla Basilica, il Papa sosta per un momento anche davanti alla tomba di Alcide De Gasperi.
Di seguito riportiamo l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Santa Messa:

# OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

con l’odierna prima domenica di Avvento, entriamo in quel tempo di quattro settimane con cui inizia un nuovo anno liturgico e che immediatamente ci prepara alla festa del Natale, memoria dell’incarnazione di Cristo nella storia. Il messaggio spirituale dell’Avvento è però più profondo e ci proietta già verso il ritorno glorioso del Signore, alla fine della storia. Adventus è parola latina, che potrebbe tradursi con ‘arrivo’, ‘venuta’, ‘presenza’. Nel linguaggio del mondo antico era un termine tecnico che indicava l’arrivo di un funzionario, in particolare la visita di re o di imperatori nelle province, ma poteva anche essere utilizzato per l’apparire di una divinità, che usciva dalla sua nascosta dimora e manifestava così la sua potenza divina: la sua presenza veniva solennemente celebrata nel culto.

Adottando il termine Avvento, i cristiani intesero esprimere la speciale relazione che li univa a Cristo crocifisso e risorto. Egli è il Re, che, entrato in questa povera provincia denominata terra, ci ha fatto dono della sua visita e, dopo la sua risurrezione ed ascensione al Cielo, ha voluto comunque rimanere con noi: percepiamo questa sua misteriosa presenza nell’assemblea liturgica. Celebrando l’Eucaristia, proclamiamo infatti che Egli non si è ritirato dal mondo e non ci ha lasciati soli, e, se pure non lo possiamo vedere e toccare come avviene con le realtà materiali e sensibili, Egli è comunque con noi e tra noi; anzi è in noi, perché può attrarre a sé e comunicare la propria vita ad ogni credente che gli apre il cuore. Avvento significa dunque far memoria della prima venuta del Signore nella carne, pensando già al suo definitivo ritorno e, al tempo stesso, significa riconoscere che Cristo presente tra noi si fa nostro compagno di viaggio nella vita della Chiesa che ne celebra il mistero. Questa consapevolezza, cari fratelli e sorelle, alimentata nell’ascolto della Parola di Dio, dovrebbe aiutarci a vedere il mondo con occhi diversi, ad interpretare i singoli eventi della vita e della storia come parole che Iddio ci rivolge, come segni del suo amore che ci assicurano la sua vicinanza in ogni situazione; questa consapevolezza, in particolare, dovrebbe prepararci ad accoglierlo quando "di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà mai fine", come ripeteremo tra poco nel Credo. In questa prospettiva l’Avvento diviene per tutti i cristiani un tempo di attesa e di speranza, un tempo privilegiato di ascolto e di riflessione, purché ci si lasci guidare dalla liturgia che invita ad andare incontro al Signore che viene.

"Vieni, Signore Gesù": tale ardente invocazione della comunità cristiana degli inizi deve diventare, cari amici, anche nostra costante aspirazione, l’aspirazione della Chiesa di ogni epoca, che anela e si prepara all’incontro con il suo Signore. "Vieni oggi Signore, aiutaci, illuminaci, dacci la pace, aiutaci a vincere la violenza, vieni Signore preghiamo proprio in queste settimane, Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi": abbiamo pregato così, poco fa, con le parole del Salmo responsoriale. Ed il profeta Isaia ci ha rivelato, nella prima lettura, che il volto del nostro Salvatore è quello di un padre tenero e misericordioso, che si prende cura di noi in ogni circostanza perché siamo opera delle sue mani: "Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore" (63,16). Il nostro Dio è un padre disposto a perdonare i peccatori pentiti e ad accogliere quanti confidano nella sua misericordia (cfr Is 64,4). Ci eravamo allontanati da Lui a causa del peccato cadendo sotto il dominio della morte, ma Egli ha avuto pietà di noi e di sua iniziativa, senza alcun merito da parte nostra, ha deciso di venirci incontro, inviando il suo unico Figlio come nostro Redentore. Dinanzi a un così grande mistero d’amore, sorge spontaneo il nostro ringraziamento e più fiduciosa si fa la nostra invocazione: "Mostraci, Signore, oggi nel nostro tempo in tutte le parti del mondo la tua misericordia e donaci la tua salvezza" (cfr Canto al Vangelo).

Cari fratelli e sorelle, il pensiero della presenza di Cristo e del suo certo ritorno al compimento dei tempi, è quanto mai significativo in questa vostra Basilica attigua al cimitero monumentale del Verano, dove riposano, in attesa della risurrezione, tanti cari nostri defunti. Quante volte in questo tempio si celebrano liturgie funebri; quante volte risuonano colme di consolazioni le parole della liturgia: "In Cristo tuo Figlio, nostro salvatore, rifulge a noi la speranza della beata risurrezione, e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell’immortalità futura"! (cfr Prefazio dei defunti I).

Ma questa vostra monumentale Basilica, che ci conduce col pensiero a quella primitiva fatta costruire dall’imperatore Costantino e poi trasformata sino ad assumere l’attuale fisionomia, parla soprattutto del glorioso martirio di san Lorenzo, arcidiacono del Papa san Sisto II e suo fiduciario nell’amministrazione dei beni della comunità. Sono venuto a celebrare quest’oggi la santa Eucaristia per unirmi a voi nel rendergli omaggio in una circostanza quanto mai singolare, in occasione dell’Anno Giubilare Laurentiano, indetto per commemorare i 1750 anni della nascita al cielo del santo Diacono. La storia ci conferma quanto sia glorioso il nome di questo Santo, presso il cui sepolcro siamo riuniti. La sua sollecitudine per i poveri, il generoso servizio che rese alla Chiesa di Roma nel settore dell’assistenza e della carità, la fedeltà al Papa, da lui spinta al punto di volerlo seguire nella prova suprema del martirio e l’eroica testimonianza del sangue, resa solo pochi giorni dopo, sono fatti universalmente noti. San Leone Magno, in una bella omelia, commenta così l’atroce martirio di questo "illustre eroe": "Le fiamme non poterono vincere la carità di Cristo; e il fuoco che lo bruciava fuori fu più debole di quello che gli ardeva dentro". Ed aggiunge: "Il Signore ha voluto esaltare a tal punto il suo nome glorioso in tutto il mondo che dall’Oriente all’Occidente, nel fulgore vivissimo della luce irradiata dai più grandi diaconi, la stessa gloria che è venuta a Gerusalemme da Stefano è toccata anche a Roma per merito di Lorenzo" (Homilia 85,4: PL 54, 486).

Cade quest’anno il 50° anniversario della morte del Servo di Dio, Papa Pio XII, e questo ci richiama alla memoria un evento particolarmente drammatico nella storia plurisecolare della vostra Basilica, verificatosi durante il secondo conflitto mondiale, quando, esattamente il 19 luglio 1943, un violento bombardamento inflisse danni gravissimi all’edificio e a tutto il quartiere, seminando morte e distruzione. Non potrà mai essere cancellato dalla memoria della storia il gesto generoso compiuto in quella occasione da quel mio venerato Predecessore, che corse immediatamente a soccorrere e consolare la popolazione duramente colpita, tra le macerie ancora fumanti. Non dimentico inoltre che questa stessa Basilica accoglie le urne di due altre grandi personalità: nell’ipogeo infatti sono poste alla venerazione dei fedeli le spoglie mortali del beato Pio IX, mentre, nell’atrio, è collocata la tomba di Alcide De Gasperi, guida saggia ed equilibrata per l’Italia nei difficili anni della ricostruzione post-bellica e, al tempo stesso, insigne statista capace di guardare all’Europa con un’ampia visione cristiana.

Mentre siamo qui riuniti in preghiera, mi è caro salutare con affetto tutti voi, ad iniziare dal Cardinale Vicario, da Monsignor Vicegerente, che è anche Abate Commendatario della Basilica, dal Vescovo Ausiliare del Settore Nord e dal vostro Parroco, P. Bruno Mustacchio, che ringrazio per le gentili parole che mi ha rivolto all’inizio della celebrazione liturgica. Saluto il Ministro Generale dell’Ordine dei Cappuccini e i Confratelli della Comunità che svolgono il loro servizio con zelo e dedizione, accogliendo i numerosi pellegrini, assistendo con carità i poveri e testimoniando la speranza in Cristo risorto a quanti si recano in visita al cimitero del Verano. Desidero assicurarvi il mio apprezzamento e, soprattutto, il mio ricordo nella preghiera. Saluto inoltre i vari gruppi impegnati per l'animazione della catechesi, della liturgia, della carità, i membri dei due Cori Polifonici, il Terz’Ordine Francescano locale e regionale. Ho appreso poi con piacere che da qualche anno è qui ospitato il "laboratorio missionario diocesano" per educare le comunità parrocchiali alla coscienza missionaria, e mi unisco volentieri a voi nell’auspicare che questa iniziativa della nostra Diocesi contribuisca a suscitare una coraggiosa azione pastorale missionaria, che porti l’annuncio dell’amore misericordioso di Dio in ogni angolo di Roma, coinvolgendo principalmente i giovani e le famiglie. Vorrei infine estendere il mio pensiero agli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà. Tutti e ciascuno ricordo in questa Santa Messa.

Cari fratelli e sorelle, in quest’inizio dell’Avvento, quale miglior messaggio raccogliere da san Lorenzo che quello della santità? Egli ci ripete che la santità, cioè l’andare incontro a Cristo che viene continuamente a visitarci, non passa di moda, anzi, col trascorrere del tempo, risplende in modo luminoso e manifesta la perenne tensione dell’uomo verso Dio. Questa ricorrenza giubilare sia pertanto occasione per la vostra comunità parrocchiale di una rinnovata adesione a Cristo, di un maggiore approfondimento del senso di appartenenza al suo Corpo mistico che è la Chiesa, e di un costante impegno di evangelizzazione attraverso la carità. Lorenzo, testimone eroico di Cristo crocifisso e risorto, sia per ciascuno esempio di docile adesione alla volontà divina perché, come abbiamo sentito l’apostolo Paolo ricordare ai Corinzi, anche noi viviamo in modo da essere trovati "irreprensibili" nel giorno del Signore (cfr 1 Cor 1,7-9).

Prepararci all’avvento di Cristo è pure l’esortazione che raccogliamo dal Vangelo di oggi: "Vegliate", ci dice Gesù nella breve parabola lucana del padrone di casa che parte ma non si sa quando tornerà (cfr Mc 13,33-37). Vegliare significa seguire il Signore, scegliere ciò che Lui ha scelto, amare ciò che Lui ha amato, conformare la propria vita alla sua; vegliare comporta trascorrere ogni attimo del nostro tempo nell’orizzonte del suo amore senza lasciarsi abbattere dalle inevitabili difficoltà e problemi quotidiani. Così ha fatto san Lorenzo, così dobbiamo fare noi e chiediamo al Signore che ci doni la sua grazia perché l’Avvento sia stimolo per tutti a camminare in questa direzione. Ci guidino e ci accompagnino con la loro intercessione l’umile Vergine di Nazareth, Maria, eletta da Dio per diventare la Madre del Redentore, sant’Andrea, di cui oggi celebriamo la festa, e san Lorenzo, esempio di intrepida fedeltà cristiana sino al martirio.

Amen!



Caterina63
00martedì 2 dicembre 2008 10:41
Davanti al Beato Pio IX







e davanti al monumento che ricorda Pio XII











Caterina63
00lunedì 15 dicembre 2008 10:19
Festa dell'Assunta...2008  A CASTELGANDOLFO





















 






 
Caterina63
00lunedì 15 dicembre 2008 10:23
SANTA MESSA NELLA PARROCCHIA DI SANTA MARIA CONSOLATRICE

OMELIA DI PAOLO VI

Domenica, 1° marzo 1964



Dopo un amabile saluto al Signor Cardinale Pro Vicario, a Monsignor Vice Gerente, che ha testé officiato la sacra funzione, ai due Vescovi Ausiliari, Mons. Pecci e Mons. Giovanni Canestri, ben conosciuto a Casal Bertone, per esserne stato il parroco; ricordati, inoltre, gli altri ecclesiastici, il Santo Padre si dirige ai carissimi fedeli, e, come prima impressione, ritiene di poter leggere sui loro volti una domanda: il Papa è venuto nella nostra parrocchia; che cosa penserà di noi, della nostra chiesa?

ENCOMIO A UNA POPOLAZIONE FEDELE

Pur avendo notizia, come è ovvio, dell’intera zona, è questa la prima volta che il Santo Padre può sostare nel quartiere, e con vivo compiacimento tiene ad esprimere la sua profonda soddisfazione per la grandiosità che si possa qui parlare di uno speciale ritorno della grande parola programmatica di Cristo, registrata in uno dei momenti più significativi del Vangelo, allorché, rivolgendosi a Pietro, il Maestro Divino esclamò: «. . . Su questa pietra costruirò la mia Chiesa». Di fronte alla imponenza del nuovo tempio col suo stile moderno e pur consono ai precetti antichi dell’architettura romana, si risale alle origini, anzi agli anni anteriori alla costruzione. Venne effettuata all’indomani d’un periodo di grandi tristezze e dolorosi eventi. Il territorio di Casal Bertone era incluso in quello della finitima parrocchia di S. Lorenzo al Verano: e come non ricordare la tragica giornata del 19 luglio 1943, quando il Papa di oggi potè accompagnare il predecessore Pio XII di v. m., immediatamente accorso dopo un esteso bombardamento sui centri ferroviari di Roma, e sulle zone circostanti? È sempre viva la memoria di quelle ore terribili, per la sofferenza di molte famiglie, la distruzione di tante case e il grave danno ad insigne monumento; ma è del pari indimenticabile il conforto recato da Pio XII, il quale indicò ai colpiti la via della incrollabile fiducia, e proprio accanto a un cumulo di rovine fumanti, levando le braccia al cielo, invitò tutti a recitare con lui il Pater noster.

In quella medesima zona, dunque, devastata dagli orrori della guerra, è sorto un nuovo quartiere, quasi una città a sé stante, con quanto essa richiede per la sua vita, sia materiale che civica.

PIETRE VIVE DELLA CHIESA DI DIO

Perciò l’Augusto Pontefice vuole indirizzare un suo saluto all’intera popolazione, e ai caratteristici gruppi di residenti. Sono, in primo luogo, numerosi ferrovieri: a questi diletti figliuoli il più sentito augurio del Padre, Esso si estende, pure, alle altre categorie di lavoratori, a cominciare dai tranvieri, i postelegrafonici, gli impiegati sia nei servizi municipalizzati della Città sia in quelli dello Stato, con l’invocare dal Signore ogni prosperità per le varie famiglie, delle quali i numerosi bimbi esultanti nella piazza attestano le migliori speranze.

Insieme col saluto, uno speciale elogio del Padre per i diletti abitanti di Casal Bertone. Risulta chiaro che essi non si soffermano dinanzi alla città materiale, all’edificio ecclesiastico; ma attendono, con slancio, a costruire la Chiesa spirituale, consci della parte che a tutti noi spetta in questa immensa società visibile, ma soprattutto invisibile e misteriosa, eppur tanto reale e presente nel mondo. L’ambivalenza del termine, per l’edificio sacro e per la comunità dei credenti, è da questi pienamente compresa. I cari fedeli sanno di comporre la Chiesa, di formarne le pietre vive, di partecipare al mistico Corpo di Cristo. Perciò il Santo Padre è lieto di incontrarsi con loro, di salutarli con il più vivo affetto e di esprimere compiacimento a colui che sta al centro di tanta vitalità: il parroco. Egli prosegue i meriti dei predecessori, entrambi promossi alla dignità vescovile: Mons. Carlo Maccari e Mons. Giovanni Canestri, che tanto hanno lavorato per una evidente e salda compagine spirituale.

Questa felice premessa è confermata dal numero e dalla consistenza delle associazioni cattoliche, le cui molte bandiere attestano la nobile gara di uomini, donne, giovani, fanciulli, delle ACLI e di altri sodalizi. A tutti una speciale benedizione del Papa, proprio perché dimostrano di capire la eccelsa entità religiosa e sociale che è la Chiesa.

La Chiesa - tutti lo sappiamo - è un fatto religioso, di rapporto cioè fra l’anima e Dio; e tale rapporto non può attuarsi all’infuori di un vincolo sociale. Il Signore non ci salva da soli: bensì in comunità, in società, attraverso il ministero di un fratello, che si chiama il sacerdote.

IL SACERDOTE FRATELLO MAGGIORE E MINISTRO DI GRAZIA

La religione nostra è religione articolata socialmente. Con vero compiacimento il Santo Padre osserva che la comunità parrocchiale, a cui ora rivolge la sua parola, è formata in maniera rispondente a precisa organizzazione, con la fedeltà costituzionale al volere di Cristo. È, infatti, guidata dal parroco; sono con lui diversi sacerdoti che lo coadiuvano, ed altri ancora che qui vengono ad esercitare il sacro ministero. Ebbene, questo gruppo di persone responsabili, investite dei poteri, delle chiavi del Signore, dispensatori della grazia di Dio, riceve ora dal Papa, per primo, il ringraziamento e la lode; poiché questi sacerdoti Gli sono fratelli e collaboratori.

Grande, perciò, è la gratitudine del Pastore Supremo, sincero il suo affetto, totale la comprensione, con cui Egli saluta i sacerdoti che qui compiono l’ufficio che sarebbe del Vescovo, dimostrandosi, in ogni momento e per tutti, padri, maestri, ministri della grazia e degli altri doni divini. Di conseguenza, il Santo Padre ripete la esortazione già detta in precedenti incontri: ci tenete che la vostra parrocchia sia viva, esemplare, feconda, santa? Vogliate bene ai vostri sacerdoti; cercate di comprenderli, di alleviare le loro fatiche: accogliete con entusiasmo i loro ordini e desideri; sia perenne il colloquio tra il parroco e i fedeli. Proprio la fiducia, la familiarità, la solidarietà che intercedono tra il pastore e il gregge racchiudono il segreto di ben rispondere al pensiero e all’azione di Cristo in mezzo a noi.

Gerarchica, adunque, la Chiesa. Ma ognuno rifletta: i sacerdoti sono i padroni oppure i servi dei fedeli? Sono nelle parrocchie - è triste riferirsi a una cattiva espressione, purtroppo assai spesso ascoltata - per sfruttare o per servire? La risposta è di limpida evidenza. Sono mandati da Dio proprio per servire, per il bene dei singoli e della comunità. Hanno lasciato tutto, allo scopo di dedicarsi alla grande vocazione. Nessuno poteva avanzare titolo o merito per esigere che un prete rinunciasse a ogni cosa nella vita per recarsi, ove l’obbedienza destina, a servire le anime. Ebbene, questo miracolo si compie. Perché? Per estendere la Ecclesia, la società dei santi; per raccogliere, custodire, accrescere gruppi e gruppi di persone atte a ricevere la grazia di Dio. In quale forma? Quella della più sentita fraternità. La Chiesa ha due dimensioni: una gerarchica, che potrebbe dirsi verticale, di paternità; l’altra di fraternità, di comunità voluta dal Signore. E tale la vera parrocchia, dove tutti sono figli, fratelli: tutti si conoscono e si vogliono bene; lavorano quasi in cooperativa di mutuo soccorso spirituale, impegnati a edificare e costruire, nella santità e nella fedeltà a Cristo Signore, la sua Chiesa viva. Si vogliono bene; sanno che questo è il precetto fondamentale.

LA CARITÀ PRIMA E INSOSTITUIBILE LEGGE

Come si chiama questa forza coesiva, atta a tenere insieme il corpo parrocchiale, il corpo ecclesiastico, l’umanità desiderosa d’essere unita in Cristo? Lo sanno tutti: si chiama la carità. Portentoso dono, ineffabile virtù! Promana da Dio; perché è l’amore suo comunicato agli uomini, e si diffonde da individuo a individuo. Scende dal Cielo, quale fiume regale e benefico, la bontà di Dio che ama gli uomini e li invita, come per impulso interiore, a volersi bene anche tra loro. È la grande legge costitutiva della Chiesa. Se, teoricamente, la carità è facile ad enunciarsi, bella a declamarsi, comune a professarsi, nella pratica, invece, è molto esigente e difficile. Eppure non solo è possibile e sempre attuabile, ma è proprio il grande distintivo, idoneo ad indicare il grado della vita ecclesiastica. Sono uniti i fedeli nell’amore, nella carità di Cristo? Di certo questa è una parrocchia vitale; qui c’è la vera Chiesa; giacché è rigoglioso, allora, il fenomeno divino-umano che perpetua la presenza di Cristo fra noi. Sono i fedeli insieme, unicamente perché iscritti nel libro dell’anagrafe o sul registro dei battesimi? sono aggregati solo perché si trovano, la domenica, ad ascoltare la Messa, senza conoscersi, facendo magari di gomito gli uni contro gli altri? Se così è, la Chiesa non risulta, in quel caso, compaginata; il cemento, che di tutti deve formare la reale, organica unità, non è ancora operante.

LAVORARE PER UNA SOCIETÀ DI SANTI

Bisogna vivere la carità, agire nella carità. Questo il ricordo che il Santo Padre vuole lasciare della sua visita. Vedendo già bene iniziata e promettente la spirituale fioritura, Egli esorta: vogliatevi bene, vogliatevi bene; cercate di amarvi. Oh come sarebbe davvero stupendo se queste nostre parrocchie romane dimostrassero bene quel che deve essere la società ecclesiastica! E cioè: gente, dapprima sconosciuta, gruppi diversi per costume, educazione, origine, età, professione ecc., che, trovandosi in chiesa, si rivelano e si sentono altrettanti nuclei di fratelli. Diventano amici, si dànno la mano l’uno con l’altro, si perdonano le offese, non parlano male del prossimo, e cercano, invece, ove c’è un ammalato, di assisterlo, ove un disoccupato, di soccorrerlo, dove un bambino, di educarlo, ovunque, in una parola, c’è un’azione buona da compiere a vantaggio del prossimo, aver subito cuore e impegno per dire: ecco che Cristo ci chiama. I bisogni dei nostri fratelli sono altrettanti appelli rivolti a noi per sperimentare se veramente ci vogliamo bene, se veramente siamo cristiani.

Ricordate - conclude l’Augusto Pontefice - la parola solenne di Cristo. Vi riconosceranno veramente per miei discepoli, autentici seguaci e fedeli, se vi amerete gli uni gli altri; se ci sarà questo calore di affetti, di sentimenti; se vibrerà la simpatia voluta più che vissuta, creata da noi, più che spontanea, con quella larghezza di cuore, e quella capacità di generare il Cristo in mezzo a noi, derivanti, appunto, dal sentirci uniti in Lui e per Lui.

Vogliatevi bene, diletti figliuoli della parrocchia di Santa Maria Consolatrice di Casal Bertone. Portate l’invito, l’augurio del Padre alle vostre famiglie. Si propaghi nel quartiere un’onda di amore cristiano, e perfezioni la vostra comunità, qui già bene stabilita e vigorosa. Ogni circostanza, ogni evento concorrano a questo insuperabile bene, e quindi a consolazione e gioia anche della vita presente; pegno sicuro che non mancherà la vita futura per ciascuno di voi.



fonte:
http://www.vatican.va/holy_father/pa...640301_it.html


VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA
SANTA MARIA CONSOLATRICE

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI (in gran parte il Papa ha parlato a braccio ed è riportato ora nel testo a seguire)

IV Domenica di Avvento, 18 dicembre 2005



Cari fratelli e sorelle,

è per me realmente una grande gioia essere qui con voi questa mattina e celebrare con voi e per voi la Santa Messa. Questa mia visita a Santa Maria Consolatrice, prima parrocchia romana in cui mi reco da quando il Signore ha voluto chiamarmi ad essere Vescovo di Roma, è infatti per me in un senso molto vero e concreto un ritorno a casa. Mi ricordo molto bene di quel 15 ottobre 1977, quando presi possesso di questa mia chiesa titolare. Parroco era Don Ennio Appignanesi, viceparroci erano Don Enrico Pomili e Don Franco Camaldo. Il cerimoniere che mi era stato assegnato era Mons. Piero Marini. Ecco, tutti siamo di nuovo qui insieme! Per me è realmente una grande gioia.

Da allora in poi il nostro reciproco legame è divenuto progressivamente più forte, più profondo. Un legame nel Signore Gesù Cristo, di cui in questa chiesa ho celebrato tante volte il Sacrificio eucaristico e amministrato i Sacramenti. Un legame di affetto e di amicizia, che ha realmente riscaldato il mio cuore e lo riscalda anche oggi. Un legame che mi ha unito a tutti voi, in particolare al vostro parroco e agli altri sacerdoti della parrocchia. E’ un legame che non si è allentato quando sono diventato Cardinale titolare della Diocesi suburbicaria di Velletri e Segni. Un legame cha ha acquisito una dimensione nuova e più profonda per il fatto di essere ormai Vescovo di Roma e vostro Vescovo.

Sono poi particolarmente lieto che la mia visita odierna – come Don Enrico ha già detto – si compia nell’anno in cui celebrate il 60° anniversario dell’erezione della vostra parrocchia, il 50° di ordinazione sacerdotale del nostro carissimo parroco Mons. Enrico Pomili, e finalmente i 25 anni di episcopato di Mons. Ennio Appignanesi. Un anno dunque nel quale abbiamo speciali motivi per rendere grazie al Signore.

Saluto ora con affetto proprio lo stesso Mons. Enrico, e lo ringrazio per le parole tanto gentili che mi ha rivolto. Saluto il Card. Vicario Camillo Ruini, il Card. Ricardo Maria Carles Gordò, titolare di questa chiesa, e quindi mio successore in questo Titolo, il Card. Giovanni Canestri, già vostro amatissimo parroco, il Vicegerente, Vescovo del Settore Est di Roma, Mons. Luigi Moretti; abbiamo già salutato Mons. Ennio Appignanesi, che è stato vostro parroco, e Mons. Massimo Giustetti, che fu vostro vicario parrocchiale. Un saluto affettuoso ai vostri attuali vicari parrocchiali e alle religiose di Santa Maria Consolatrice, presenti a Casalbertone fin dal 1932, preziose collaboratrici della parrocchia e vere portatrici di misericordia e di consolazione in questo quartiere, specialmente per i poveri e per i bambini. Con i medesimi sentimenti saluto ciascuno di voi, tutte le famiglie della parrocchia, coloro che a vario titolo si prodigano nei servizi parrocchiali.

* * * *

Vogliamo adesso brevemente meditare il bellissimo Vangelo di questa quarta Domenica d’Avvento, che è per me una delle più belle pagine della Sacra Scrittura. E vorrei – per non essere troppo lungo – riflettere solo su tre parole di questo ricco Vangelo.

La prima parola che vorrei meditare con voi è il saluto dell’Angelo a Maria. Nella traduzione italiana l’Angelo dice: “Ti saluto, Maria”. Ma la parola greca sottostante, “Kaire”, significa di per sé “gioisci”, “rallegrati”. E qui c’è una prima cosa che sorprende: il saluto tra gli ebrei era “Shalom”, “pace”, mentre il saluto nel mondo greco era “Kaire”, “rallegrati”. E’ sorprendente che l’Angelo, entrando nella casa di Maria, saluti con il saluto dei greci: “Kaire”, “rallegrati, gioisci”. E i greci, quando quarant'anni anni dopo hanno letto questo Vangelo, hanno potuto qui vedere un messaggio importante: hanno potuto capire che con l’inizio del Nuovo Testamento, a cui questa pagina di Luca faceva riferimento, si era avuta anche l’apertura al mondo dei popoli, all’universalità del Popolo di Dio, che ormai abbracciava non più soltanto il popolo ebreo, ma anche il mondo nella sua totalità, tutti i popoli. Appare in questo saluto greco dell’Angelo la nuova universalità del Regno del vero Figlio di Davide.

Ma è opportuno rilevare subito che le parole dell’Angelo sono la ripresa di una promessa profetica del Libro del Profeta Sofonia. Troviamo qui quasi letteralmente quel saluto. Il profeta Sofonia, ispirato da Dio, dice ad Israele: “Rallegrati, figlia di Sion; il Signore è con te e prende in te la Sua dimora". Sappiamo che Maria conosceva bene le Sacre Scritture. Il suo Magnificat è un tessuto fatto di fili dell’Antico Testamento. Possiamo perciò essere certi che la Santa Vergine capì subito che queste erano parole del Profeta Sofonia indirizzate a Israele, alla "figlia di Sion", considerata come dimora di Dio. E adesso la cosa sorprendente che fa riflettere Maria è che tali parole, indirizzate a tutto Israele, vengono rivolte in special modo a lei, Maria. E così le appare con chiarezza che proprio lei è la "figlia di Sion" di cui ha parlato il profeta, che quindi il Signore ha un'intenzione speciale per lei, che lei è chiamata ad essere la vera dimora di Dio, una dimora non fatta di pietre, ma di carne viva, di un cuore vivo, che Dio intende in realtà prendere come Suo vero tempio proprio lei, la Vergine. Che indicazione! E possiamo allora capire che Maria cominci a riflettere con particolare intensità su che cosa voglia dire questo saluto.

Ma fermiamoci adesso soprattutto sulla prima parola: “gioisci, rallegrati”. Questa è la prima parola che risuona nel Nuovo Testamento come tale, perché l’annuncio fatto dall'angelo a Zaccaria circa la nascita di Giovanni Battista è parola che risuona ancora sulla soglia tra i due Testamenti. Solo con questo dialogo, che l'angelo Gabriele ha con Maria, comincia realmente il Nuovo Testamento. Possiamo quindi dire che la prima parola del Nuovo Testamento è un invito alla gioia: “gioisci, rallegrati!”. Il Nuovo Testamento è veramente "Vangelo", la “Buona Notizia” che ci porta gioia. Dio non è lontano da noi, sconosciuto, enigmatico, forse pericoloso. Dio è vicino a noi, così vicino che si fa bambino, e noi possiamo dare del “tu” a questo Dio.

Soprattutto il mondo greco ha avvertito questa novità, ha avvertito profondamente questa gioia, perché per loro non era chiaro se esistesse un Dio buono o un Dio cattivo o semplicemente nessun Dio. La religione di allora parlava loro di tante divinità: si sentivano perciò circondati da diversissime divinità, l'una in contrasto con l'altra, così da dover temere che, se facevano una cosa in favore di una divinità, l'altra poteva offendersi e vendicarsi. E così vivevano in un mondo di paura, circondati da demoni pericolosi, senza mai sapere come salvarsi da tali forze in contrasto tra di loro. Era un mondo di paura, un mondo oscuro. E adesso sentivano dire: “Gioisci, questi demoni sono un niente, c’è il vero Dio e questo vero Dio è buono, ci ama, ci conosce, è con noi, con noi fino al punto di essersi fatto carne!" Questa è la grande gioia che il cristianesimo annuncia. Conoscere questo Dio è veramente la "buona notizia", una parola di redenzione.

Forse noi cattolici, che lo sappiamo da sempre, non siamo più sorpresi, non avvertiamo più con vivezza questa gioia liberatrice. Ma se guardiamo al mondo di oggi, dove Dio è assente, dobbiamo constatare che anch’esso è dominato dalle paure, dalle incertezze: è bene essere uomo o no? è bene vivere o no? è realmente un bene esistere? o forse è tutto negativo? E vivono in realtà in un mondo oscuro, hanno bisogno di anestesie per potere vivere. Così la parola: “gioisci, perché Dio è con te, è con noi", è parola che apre realmente un tempo nuovo. Carissimi, con un atto di fede dobbiamo di nuovo accettare e comprendere nella profondità del cuore questa parola liberatrice: “gioisci!”.

Questa gioia che uno ha ricevuto non può tenersela solo per sé; la gioia deve essere sempre condivisa. Una gioia la si deve comunicare. Maria è subito andata a comunicare la sua gioia alla cugina Elisabetta. E da quando è stata assunta in Cielo distribuisce gioie in tutto il mondo, è divenuta la grande Consolatrice; la nostra Madre che comunica gioia, fiducia, bontà e ci invita a distribuire anche noi la gioia. Questo è il vero impegno dell’Avvento: portare la gioia agli altri. La gioia è il vero dono di Natale, non i costosi doni che impegnano tempo e soldi. Questa gioia noi possiamo comunicarla in modo semplice: con un sorriso, con un gesto buono, con un piccolo aiuto, con un perdono. Portiamo questa gioia e la gioia donata ritornerà a noi. Cerchiamo, in particolare, di portare la gioia più profonda, quella di avere conosciuto Dio in Cristo. Preghiamo che nella nostra vita traspaia questa presenza della gioia liberatrice di Dio.

La seconda parola che vorrei meditare è ancora dell’Angelo: “Non temere, Maria!”, egli dice. In realtà, vi era motivo di temere, perché portare adesso il peso del mondo su di sé, essere la madre del Re universale, essere la madre del Figlio di Dio, quale peso costituiva! Un peso al di sopra delle forze di un essere umano! Ma l’Angelo dice: “Non temere! Sì, tu porti Dio, ma Dio porta te. Non temere!” Questa parola “Non temere” penetrò sicuramente in profondità nel cuore di Maria. Noi possiamo immaginare come in diverse situazioni la Vergine sia ritornata a questa parola, l'abbia di nuovo ascoltata. Nel momento in cui Simeone le dice: “Questo tuo figlio sarà un segno di contraddizione, una spada trafiggerà il tuo cuore”, in quel momento in cui poteva cedere alla paura, Maria torna alla parola dell’Angelo, ne risente interiormente l'eco: “Non temere, Dio ti porta”. Quando poi, durante la vita pubblica, si scatenano le contraddizioni intorno a Gesù, e molti dicono: “E’ pazzo”, lei ripensa: “Non temere", e va avanti. Infine, nell’incontro sulla via del Calvario e poi sotto la Croce, quando tutto sembra distrutto, ella sente ancora nel cuore la parola dell'angelo; “Non temere”. E così coraggiosamente sta accanto al Figlio morente e, sorretta dalla fede, va verso la Resurrezione, verso la Pentecoste, verso la fondazione della nuova famiglia della Chiesa.

“Non temere!”, Maria dice questa parola anche a noi. Ho già rilevato che questo nostro mondo è un mondo di paure: paura della miseria e della povertà, paura delle malattie e delle sofferenze, paura della solitudine, paura della morte. Abbiamo, in questo nostro mondo, un sistema di assicurazioni molto sviluppato: è bene che esistano. Sappiamo però che nel momento della sofferenza profonda, nel momento dell’ultima solitudine della morte, nessuna assicurazione potrà proteggerci. L'unica assicurazione valida in quei momenti è quella che ci viene dal Signore che dice anche a noi: “Non temere, io sono sempre con te”. Possiamo cadere, ma alla fine cadiamo nelle mani di Dio e le mani di Dio sono buone mani.

Terza parola: al termine del colloquio Maria risponde all’Angelo: “Sono la Serva del Signore, sia fatto come hai detto tu”. Maria anticipa così la terza invocazione del Padre Nostro: “Sia fatta la Tua volontà”. Dice “sì” alla volontà grande di Dio, una volontà apparentemente troppo grande per un essere umano; Maria dice “sì” a questa volontà divina, si pone dentro questa volontà, inserisce tutta la sua esistenza con un grande “sì” nella volontà di Dio e così apre la porta del mondo a Dio. Adamo ed Eva con il loro “no” alla volontà di Dio avevano chiuso questa porta. “Sia fatta la volontà di Dio”: Maria ci invita a dire anche noi questo “sì” che appare a volte così difficile. Siamo tentati di preferire la nostra volontà, ma Ella ci dice: “Abbi coraggio, dì anche tu: ‘Sia fatta la tua volontà’, perché questa volontà è buona. Inizialmente può apparire come un peso quasi insopportabile, un giogo che non è possibile portare; ma in realtà non è un peso la volontà di Dio, la volontà di Dio ci dona ali per volare in alto, e cosi possiamo osare con Maria anche noi di aprire a Dio la porta della nostra vita, le porte di questo mondo, dicendo “sì” alla Sua volontà, nella consapevolezza che questa volontà è il vero bene e ci guida alla vera felicità. Preghiamo Maria la Consolatrice, la nostra Madre, la Madre della Chiesa, perché ci dia il coraggio di pronunciare questo “sì”, ci dia anche questa gioia di essere con Dio e ci guidi al Suo Figlio, alla vera Vita.

Amen!

fonte
www.vatican.va





 
VISITA ALLA PARROCCHIA DI SANT’ANNA IN VATICANO

Alle ore 10 di questa mattina il Santo Padre Benedetto XVI si è recato in visita alla Parrocchia di Sant’Anna in Vaticano.

Qui il Papa ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nel corso della quale, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

Il Vangelo ora ascoltato comincia con un episodio molto simpatico, molto bello ma anche pieno di significato. Il Signore si reca alla casa di Simon Pietro ed Andrea e trova ammalata con febbre la suocera di Pietro; la prende per mano, la solleva e la donna è guarita e si mette a servire. In questo episodio appare simbolicamente tutta la missione di Gesù. Gesù venendo dal Padre si reca nella casa dell’umanità, sulla nostra terra e trova un’umanità ammalata, ammalata di febbre, di quella febbre che sono le ideologie, le idolatrie, la dimenticanza di Dio. Il Signore ci dà la sua mano, ci solleva e ci guarisce. E lo fa in tutti i secoli; ci prende per mano con la sua parola, e così dissipa le nebbie delle ideologie, delle idolatrie. Prende la nostra mano nei sacramenti, ci risana dalla febbre delle nostre passioni e dei nostri peccati mediante l’assoluzione nel sacramento della riconciliazione. Ci dà la capacità di alzarci, di stare in piedi davanti a Dio e davanti agli uomini. E proprio con questo contenuto della liturgia domenicale il Signore si incontra con noi, ci prende per mano, ci solleva e ci sana sempre di nuovo con il dono della sua parola, il dono di se stesso.

Ma anche la seconda parte di questo episodio è importante, questa donna appena guarita si mette a servirli, dice il Vangelo. Subito comincia a lavorare, ad essere a disposizione degli altri, e così diventa rappresentanza di tante buone donne, madri, nonne, donne nelle diverse professioni, che sono disponibili, si alzano e servono, e sono anima della famiglia, anima della parrocchia. E qui vedendo il dipinto sopra l’altare, vediamo che non fanno solo servizi esteriori, sant’Anna introduce la grande figlia, la Madonna, nelle Sacre Scritture, nella speranza di Israele, nella quale lei sarebbe stata proprio il luogo dell’adempimento. Le donne sono anche le prime portatrici della parola di Dio del Vangelo, sono vere evangeliste. E mi sembra che questo Vangelo con questo episodio apparentemente così modesto, proprio qui nella chiesa di sant’Anna ci dà l’occasione di dire un grazie sentito a tutte le donne che animano questa parrocchia, alle donne che servono in tutte le dimensioni, che ci aiutano sempre di nuovo a conoscere la parola di Dio non solo con l’intelletto, ma col cuore.

Ritorniamo al Vangelo: Gesù dorme nella casa di Pietro, ma di prima mattina quando ancora è buio, si alza ed esce e cerca un luogo deserto e prega. E qui appare il vero centro del mistero di Gesù. Gesù sta in colloquio con il Padre ed eleva la sua anima umana nella comunione con la persona del Figlio, così che l’umanità del Figlio, unita a Lui, parla nel dialogo trinitario col Padre; e così rende possibile anche a noi la vera preghiera. Nella liturgia Gesù prega con noi, noi preghiamo con Gesù e così noi entriamo in contatto reale con Dio, entriamo nel mistero dell’eterno amore della Santissima Trinità.

Gesù parla con il Padre, questa è la fonte ed il centro di tutte le attività di Gesù; vediamo la sua predicazione, le guarigioni, i miracoli e infine la passione, escono da questo centro, dal suo essere col Padre. E così questo Vangelo ci insegna il centro della fede e della nostra vita cioè il primato di Dio. Dove Dio non c’è, anche l’uomo non è più rispettato. Solo se lo splendore di Dio rifulge sul volto dell’uomo, l’uomo immagine di Dio è protetto da una dignità che poi da nessuno deve essere violata.

Il primato di Dio. Vediamo nel ‘Padre nostro’ come le tre prime domande si riferiscano proprio a questo primato di Dio: che il nome di Dio sia santificato, che il rispetto del mistero divino sia vivo e animi tutta la nostra vita; che ‘venga il regno di Dio’ e ‘sia fatta la sua volontà’ sono due aspetti diversi della stessa medaglia; dove è fatta la volontà di Dio c’è già il cielo, comincia anche in terra un po’ di cielo, e dove viene fatta la volontà di Dio è presente il Regno Dio. Perché il Regno di Dio non è una serie di cose, il Regno di Dio è la presenza di Dio, l’unione dell’uomo con Dio. E verso questo obiettivo Gesù ci vuole guidare.

Centro del suo annuncio è il regno di Dio, cioè Dio come fonte e centro della nostra vita, e ci dice: solo Dio è la redenzione dell’uomo. E possiamo vedere nella storia del secolo scorso, come negli Stati dove Dio era abolito, non solo l’economia è stata distrutta, ma soprattutto le anime. Le distruzioni morali, le distruzioni della dignità dell’uomo sono le distruzioni fondamentali e il rinnovamento può venire solo dal ritorno di Dio, cioè dal riconoscimento della centralità di Dio. In questi giorni un vescovo del Congo in visita ad limina mi ha detto: gli europei ci danno generosamente molte cose per lo sviluppo, ma c’è un’esitazione nell’aiutarci per la pastorale; sembra che considerino inutile la pastorale, che sia importante solo lo sviluppo tecnico-materiale. Ma è vero il contrario – ha detto – dove non c’è parola di Dio lo sviluppo non funziona, e non dà risultati positivi. Solo se c’è la parola di Dio prima, solo se l’uomo è riconciliato con Dio, anche le cose materiali possono andare bene.

Il Vangelo stesso con la sua continuazione conferma questo fortemente. Gli apostoli dicono a Gesù: ritorna, tutti ti cercano. E lui dice: no, devo andare negli altri paesi per annunciare Dio e per scacciare via i demoni, le forze del male; per questo sono venuto. Gesù è venuto – nel testo greco è scritto: "sono uscito dal Padre" – non per portare le comodità della vita, ma per portare la condizione fondamentale della nostra dignità, per portarci l’annuncio di Dio, la presenza di Dio e così vincere le forze del male. Questa priorità egli indica con grande chiarezza: non sono venuto per guarire – anche questo faccio, ma come segno – sono venuto per riconciliarvi con Dio. Dio è il nostro creatore, Dio ci ha dato la vita, la nostra dignità: E lui dobbiamo soprattutto rivolgerci.

E come ha detto padre Gioele, la chiesa celebra oggi in Italia la Giornata per la Vita. I Vescovi italiani hanno voluto richiamare nel loro messaggio il dovere prioritario di "rispettare la vita", trattandosi di un bene "indisponibile": l’uomo non è il padrone della vita; ne è piuttosto il custode e l’amministratore. E sotto il primato di Dio automaticamente nasce questa priorità di amministrare, di custodire la vita dell’uomo, creata da Dio. Questa verità che l’uomo è custode ed amministratore della vita costituisce un punto qualificante della legge naturale, pienamente illuminato dalla rivelazione biblica. Esso si presenta oggi come "segno di contraddizione" rispetto alla mentalità dominante. Constatiamo infatti che, malgrado vi sia in senso generale un’ampia convergenza sul valore della vita, tuttavia quando si arriva a questo punto, cioè alla "disponibilità" o indisponibilità della vita, due mentalità si oppongono in maniera inconciliabile. Per esprimerci in termini semplificati, potremmo dire: l’una delle due mentalità ritiene che la vita umana sia nelle mani dell’uomo, l’altra riconosce che essa è nelle mani di Dio. La cultura moderna ha legittimamente enfatizzato l’autonomia dell’uomo e delle realtà terrene, sviluppando così una prospettiva cara al Cristianesimo, quella dell’Incarnazione di Dio.
Ma, come ha affermato chiaramente il Concilio Vaticano II, se questa autonomia porta a pensare che "le cose create non dipendono da Dio, e che l’uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore", allora si dà origine a un profondo squilibrio, perché "la creatura senza il Creatore svanisce" (Gaudium et spes, 36). E’ significativo che il documento conciliare, nel passo citato, affermi che questa capacità di riconoscere la voce e la manifestazione di Dio nella bellezza del creato appartiene a tutti i credenti, a qualunque religione appartengano. Ne possiamo concludere che il rispetto pieno della vita è legato al senso religioso, all’atteggiamento interiore con cui l’uomo si pone nei confronti della realtà, se come padrone o come custode. Del resto, la parola "rispetto", deriva dal verbo latino respicere-guardare, e indica un modo di guardare le cose e le persone che porta a riconoscerne la consistenza, a non appropriarsene, ma ad averne riguardo, prendendosene cura. In ultima analisi, se vien tolto alle creature il loro riferimento a Dio, come fondamento trascendente, esse rischiano di cadere in balia dell’arbitrio dell’uomo che può farne, come vediamo, un uso dissennato.

Cari fratelli e sorelle, invochiamo insieme l’intercessione di sant’Anna per la vostra comunità parrocchiale, che saluto con affetto. Saluto in particolare il Parroco, Padre Gioele, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto all’inizio; saluto poi i confratelli Agostiniani con il loro Priore Generale; saluto Mons. Angelo Comastri, mio Vicario Generale per la Città del Vaticano, Mons. Rizzato, mio Elemosiniere, e tutti i presenti, in modo speciale i bambini, i giovani e quanti abitualmente frequentano questa Chiesa. Su tutti vegli sant’Anna, vostra celeste Patrona, ed ottenga per ciascuno il dono di essere testimone del Dio della vita e dell’amore.

[00184-01.03] [Testo originale: Italiano]

[B0063-XX.01]

fonte: www.vatican.va




 




VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI DIO PADRE MISERICORDIOSO, 26/03/2006
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Benedetto XVI per l'occasione ha donato, sul finale, uno scritto di Giovanni Paolo II, una omelia scritta a marzo dell'anno scorso, ma che non fece in tempo a leggere........



OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Questa quarta domenica di Quaresima, tradizionalmente designata come "domenica Laetare", è permeata da una gioia che in qualche misura attenua il clima penitenziale di questo tempo santo: "Rallegrati Gerusalemme… Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza". A quest’invito contenuto nell’antifona d’ingresso fa eco il ritornello del Salmo responsoriale: "Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia". Viene spontaneo domandarsi: ma qual è il motivo per cui dobbiamo rallegrarci? Certamente un motivo è l’avvicinarsi della Pasqua, la cui previsione ci fa pregustare la gioia dell’incontro con il Cristo risorto. La ragione più profonda sta però nel messaggio offerto dalle letture bibliche che la liturgia oggi propone. Esse ci ricordano che, nonostante la nostra indegnità, noi siamo i destinatari dell’infinita misericordia di Dio. Dio ci ama in un modo che potremmo dire "ostinato", e ci avvolge della sua inesauribile tenerezza.

E’ quanto emerge già dalla prima lettura, tratta dal Libro delle Cronache (cfr 2 Cr 36,14–16.19–23): l’autore sacro propone una sintetica e significativa interpretazione della storia del popolo eletto, che sperimenta la punizione di Dio come conseguenza del suo comportamento ribelle. Ma anche attraverso i castighi Dio persegue un disegno di misericordia. Sarà la distruzione della città santa e del tempio, sarà l’esilio a toccare il cuore del popolo e a farlo tornare al suo Dio. E allora il Signore, dimostrando l’assoluto primato della sua iniziativa su ogni sforzo puramente umano, si servirà di un pagano, Ciro re di Persia, per liberare Israele. Nel testo ascoltato l’ira e la misericordia del Signore si confrontano in una sequenza dai contorni drammatici, ma alla fine trionfa l’amore. Come non raccogliere dal ricordo di quei lontani eventi il messaggio valido per ogni tempo, compreso il nostro? I disegni di Dio, anche quando passano attraverso la prova e il castigo, mirano sempre ad un esito di misericordia e di perdono.

E’ quanto ci ha confermato, nella seconda lettura, l’apostolo Paolo ricordandoci che "Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo" (Ef 2,4-5). Per esprimere questa realtà di salvezza l’Apostolo, accanto al termine misericordia, eleos, utilizza quello di amore, agape, ripreso e ulteriormente amplificato nella bellissima frase di apertura della pagina evangelica che abbiamo ascoltato: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16). Sappiamo che quel "dare" da parte del Padre ha avuto uno sviluppo drammatico: si è spinto fino al sacrificio del Figlio sulla croce. Se tutta la missione storica di Gesù è segno eloquente dell’amore di Dio, lo è in modo del tutto singolare la sua morte, nella quale si è espressa appieno la tenerezza redentrice di Dio. Sempre, ma particolarmente in questo tempo quaresimale, al centro della nostra meditazione deve dunque stare la Croce; in essa contempliamo la gloria del Signore che risplende nel corpo martoriato di Gesù. E’ la gloria del Crocifisso che ogni cristiano è chiamato a comprendere, a vivere e a testimoniare con la sua esistenza. La Croce è in definitiva il "segno" per eccellenza dato a noi per comprendere la verità dell’uomo e la verità di Dio: tutti siamo stati creati e redenti da un Dio che per amore ha immolato il suo unico Figlio. Ecco perché nella Croce, come ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est, "si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo – amore, questo, nella sua forma più radicale" (n. 12).



Come rispondere a questo amore radicale del Signore? Il Vangelo ci presenta un personaggio di nome Nicodemo che va di notte a cercare Gesù. Si tratta di un uomo per bene, attirato dalle parole e dall’esempio del Signore, ma che esita a compiere il salto della fede. Avverte il fascino di questo Rabbì così diverso dagli altri, ma non riesce a sottrarsi ai condizionamenti dell’ambiente e resta titubante sulla soglia della fede. Quanti, anche nel nostro tempo, sono in ricerca e attendono un "segno" che tocchi la loro mente e il loro cuore! Oggi come allora l’evangelista ci ricorda che il solo "segno" è Gesù innalzato sulla croce: Gesù morto e risorto. In Lui possiamo comprendere la verità della vita e ottenere la salvezza. E’ questo l’annuncio centrale della Chiesa, che resta nei secoli immutato. La fede cristiana pertanto non è ideologia, ma incontro personale con Cristo crocifisso e risorto. Da questa esperienza, che è individuale e comunitaria, scaturisce un nuovo modo di pensare e di agire: ha origine, come testimoniano i santi, un’esistenza segnata dall’amore.

Cari amici, questo mistero è particolarmente eloquente nella vostra parrocchia, dedicata a "Dio Padre misericordioso". Essa è stata voluta dall’amato mio Predecessore Giovanni Paolo II a ricordo del Grande Giubileo dell’Anno 2000, perché condensasse in maniera efficace il significato di quell’evento spirituale straordinario. Meditando sulla misericordia del Signore, che si è rivelata in modo totale e definitivo nel mistero della Croce, mi torna alla mente il testo che Giovanni Paolo II aveva preparato per l’appuntamento con i fedeli della domenica 3 aprile, domenica in Albis. Nei disegni divini era scritto che egli ci lasciasse proprio alla vigilia di quel giorno, il sabato 2 aprile, e per questo non poté pronunziare quelle sue parole, che mi piace riproporre a voi, cari fratelli e sorelle.
Aveva scritto così:
"All’umanità, che talora sembra smarrita e dominata dal potere del male, dell’egoismo e della paura, il Signore risorto offre in dono il suo amore che perdona, riconcilia e apre l’animo alla speranza. E’ amore che converte i cuori e dona la pace". Ed aggiungeva: "Quanto bisogno ha il mondo di comprendere e di accogliere la Divina Misericordia!" (L’Osservatore Romano, 4 aprile 2005).

Comprendere e accogliere l’amore misericordioso di Dio: sia questo il vostro impegno anzitutto all’interno delle famiglie e poi in ogni ambito del quartiere. Questo auspicio formulo di cuore mentre vi saluto cordialmente, cominciando dai sacerdoti che si occupano della vostra comunità sotto la guida del parroco, Don Gianfranco Corbino, al quale va il mio sincero ringraziamento per essersi fatto interprete dei vostri sentimenti. Estendo poi il mio saluto al Cardinale Vicario Camillo Ruini e al Cardinale Crescenzio Sepe, titolare della vostra chiesa, al Vicegerente e Vescovo del settore est di Roma, e a quanti attivamente cooperano nei vari servizi parrocchiali. So che la vostra è una comunità giovane, con appena dieci anni di vita, che ha trascorso i suoi primi tempi in condizioni precarie, nell’attesa del completamento delle attuali strutture. So pure che le iniziali difficoltà piuttosto che scoraggiarvi vi hanno spinto a un corale impegno apostolico, con una particolare attenzione al campo della catechesi, della liturgia e della carità. Proseguite, cari amici, nel cammino intrapreso, sforzandovi di fare della vostra parrocchia una vera famiglia dove la fedeltà alla Parola di Dio e alla Tradizione della Chiesa diventano giorno dopo giorno sempre più la regola di vita. So poi che questa vostra chiesa, per la sua originale struttura architettonica, è meta di molti visitatori. Ad essi fate apprezzare non soltanto la bellezza dell’edificio sacro, ma soprattutto la ricchezza di una Comunità viva, tesa a testimoniare l’amore di Dio, Padre misericordioso. Quell’amore che è il vero segreto della gioia cristiana, a cui ci invita l’odierna domenica Laetare. Volgendo lo sguardo a Maria, "Madre della santa letizia", chiediamoLe di aiutarci ad approfondire le ragioni della nostra fede, perchè, come ci esorta oggi la liturgia, rinnovati nello spirito e con animo lieto corrispondiamo all’eterno e sconfinato amore di Dio. Amen!

Fonte: www.vatican.va
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Caterina63
00lunedì 15 dicembre 2008 10:26
Benedetto XVI: La Chiesa a Roma non è “burocrazie ecclesiastiche”

Parole del Papa incontrando gli operatori pastorali di una parrocchia della capitale

ROMA, martedì, 28 marzo 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole spontanee indirizzate questa domenica da Benedetto XVI agli operatori pastorali impegnati nella parrocchia “Dio Padre Misericordioso” a Tor Tre Teste nel salone parrocchiale, dopo aver celebrato l'Eucaristia.



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Caro parroco,

cari amici

vedo che siete realmente una parrocchia viva: dove tutti collaborano, dove l'uno porta il peso dell' altro – come dice san Paolo – e così fate crescere l'edificio vivo del Signore, che è la Chiesa. Essa non è fatta di pietre materiali, ma di pietre vive, di persone battezzate che sentono tutta la responsabilità della fede per gli altri, tutta la gioia di essere battezzati e di conoscere Dio nel volto di Gesù. Perciò voi vi impegnate perché possa crescere realmente questa parrocchia.

Stiamo andando verso la Pasqua e ci appaiono i due aspetti della vita cristiana: una parte costituisce una scalata, una salita, che può essere anche un po' difficile; l'altra parte sta sempre nella luce di Dio, nella luce del Signore nostro.

Vorrei semplicemente dire grazie per il vostro impegno. Vedere in una parrocchia tante persone attive che visitano i malati, che aiutano chi è in difficoltà, che collaborano con il parroco, che provvedono ad una buona celebrazione della liturgia, è una gioia per il Vescovo di Roma che sono io, anche se l'attività concreta la svolge il Cardinale Vicario.

Tuttavia sento questa responsabilità e sono realmente felice di vedere che Roma, la “vecchia Roma” è una “giovane Roma” e vive realmente in parrocchie vivaci.

La fede va portata avanti, perché fuori dall'Italia si pensa spesso che a Roma ci siano solo cerimonie e burocrazie ecclesiastiche, ma non ci sia una grande vita ecclesiale, la quale è invece visibile proprio anche nelle periferie di Roma. Roma è giovane, la Chiesa è sempre di nuovo giovane. È bello per me vedere questa partecipazione e posso solo dirvi grazie ed incoraggiarvi a continuare, sotto la guida del vostro parroco.

E già da adesso, buona Pasqua a voi tutti.


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Il testo integrale del discorso del papa al Santuario del Divino Amore (nonchè Parrocchia romana) per la recita del Rosario nel primo giorno del mese di Maggio smile.gif

Cari fratelli e sorelle,

è per me motivo di conforto essere oggi con voi per recitare il Santo Rosario, in questo Santuario della Madonna del Divino Amore, in cui si esprime il devoto affetto per la Vergine Maria, radicato nell’animo e nella storia del popolo di Roma. Una gioia particolare nasce dal pensiero di rinnovare così l’esperienza del mio amato Predecessore Giovanni Paolo II, che, esattamente 27 anni or sono, primo giorno del mese di maggio 1979, compì la sua prima visita da Pontefice a questo Santuario.

Saluto con affetto il Rettore, Mons. Pasquale Silla, e lo ringrazio per le calde parole che mi ha rivolto. Saluto con lui gli altri Sacerdoti Oblati Figli della Madonna del Divino Amore e le Suore Figlie della Madonna del Divino Amore, che si dedicano con gioia e generosità al servizio del Santuario e di tutte le sue multiformi opere di bene. Saluto il Cardinale Vicario Camillo Ruini e il Vescovo Ausiliare del Settore Sud, Mons. Paolo Schiavon, e voi tutti, cari fratelli e sorelle, che siete qui tanto numerosi.

Abbiamo recitato il Santo Rosario percorrendo i cinque misteri “gaudiosi”, che fanno passare davanti agli occhi del nostro cuore gli inizi della nostra salvezza, dal concepimento di Gesù per opera dello Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria fino al ritrovamento di Lui, ormai dodicenne, nel Tempio di Gerusalemme, mentre ascoltava e interrogava i Dottori. Abbiamo ripetuto e fatto nostre le parole dell’Angelo: “Rallegrati Maria, piena di grazia, il Signore è con te”, e anche le espressioni con cui santa Elisabetta accolse la Vergine, che si era prontamente recata da lei per aiutarla e servirla: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo”. Abbiamo contemplato la fede docile di Maria, che si fida senza riserve di Dio e si mette totalmente nelle sue mani. Ci siamo sentiti anche noi, con i pastori, vicini al Bambino Gesù che giace nella mangiatoia e abbiamo riconosciuto e adorato in Lui il Figlio eterno di Dio diventato, per amore, nostro fratello e così anche nostro unico Salvatore. Siamo entrati anche noi, con Maria e Giuseppe, nel Tempio per offrire a Dio il Bambino e compiere il rito della purificazione: e qui ci siamo sentiti anticipare, nelle parole del vecchio Simeone, insieme alla salvezza la contraddizione e la croce, e quella spada che, sotto la croce del Figlio, trafiggerà l’anima della Madre e proprio così la renderà non soltanto madre di Dio ma anche nostra comune madre.

Cari fratelli e sorelle, in questo Santuario veneriamo Maria Santissima con il titolo di Madonna del Divino Amore. È posto così in piena luce il legame che unisce Maria allo Spirito Santo, fin dall’inizio della sua esistenza, quando nella sua concezione lo Spirito, l’Amore eterno del Padre e del Figlio, prese dimora in Lei e la preservò da ogni ombra di peccato; poi, quando il medesimo Spirito fece nascere nel suo grembo il Figlio di Dio; poi ancora per tutto l’arco della sua vita, lungo la quale, con la grazia dello Spirito, si è compiuta in pienezza la parola di Maria: “Eccomi, sono la serva del Signore”; e finalmente quando, nella potenza dello Spirito Santo, Maria è stata assunta con tutta la sua umanità concreta accanto al Figlio nella gloria di Dio Padre.

“Maria - ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est - è una donna che ama … In quanto credente che nella fede pensa con i pensieri di Dio e vuole con la volontà di Dio, Ella non può essere che una donna che ama” (n. 41). Sì, cari fratelli e sorelle, Maria è il frutto e il segno dell’amore che Dio ha per noi, della sua tenerezza e della sua misericordia. Per questo, insieme ai nostri fratelli nella fede di ogni tempo e di ogni luogo, ci rivolgiamo a Lei nelle nostre necessità e speranze, nelle vicende liete e dolorose della vita. Il mio pensiero va in questo momento, con profonda partecipazione, alla famiglia dell’isola di Ischia, colpita dalla sciagura avvenuta ieri.

Con il mese di maggio aumenta il numero di coloro che, dalle parrocchie di Roma ma anche da tante altre contrade, vengono qui pellegrini, per pregare e anche per godere della bellezza e della serenità riposante di questi luoghi. Da qui, da questo Santuario del Divino Amore, attendiamo dunque un forte aiuto e sostegno spirituale per la Diocesi di Roma, per me suo Vescovo e per gli altri Vescovi miei collaboratori, per i sacerdoti, per le famiglie, per le vocazioni, per i poveri, i sofferenti, gli ammalati, per i bambini e per gli anziani, per tutta l’amata nazione italiana. Attendiamo specialmente l’energia interiore per adempiere il voto fatto dai romani il 4 giugno 1944, quando chiesero solennemente alla Madonna del Divino Amore che questa Città fosse preservata dagli orrori della guerra e furono esauditi: il voto e la promessa cioè di correggere e migliorare la propria condotta morale, per renderla più conforme a quella del Signore Gesù. Anche oggi c’è bisogno di conversione a Dio, a Dio Amore, perché il mondo sia liberato dalle guerre e dal terrorismo. Ce lo ricordano purtroppo le vittime, come i militari caduti giovedì scorso a Nassiriya, in Iraq, che affidiamo alla materna intercessione di Maria, Regina della pace.

Cari fratelli e sorelle, da questo Santuario della Madonna del Divino Amore rinnovo dunque l’invito che ho formulato nell’Enciclica Deus caritas est (n. 39): viviamo l’amore e così facciamo entrare la luce di Dio nel mondo.
Amen!


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Exclamation Il Papa dal Carcere minorile: la parabola del Figliol Prodigo

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

cari ragazzi e ragazze!

Sono venuto volentieri a farvi visita, e il momento più importante del nostro incontro è la Santa Messa, nella quale si rinnova il dono dell’amore di Dio: amore che ci consola e dà pace, specialmente nei momenti difficili della vita. In questo clima di preghiera vorrei rivolgere il mio saluto a ciascuno di voi: al Ministro della Giustizia, Onorevole Clemente Mastella, al quale esprimo uno speciale riconoscimento, al Capo Dipartimento Giustizia Minorile, Signora Melita Cavallo, alle altre Autorità intervenute, ai responsabili, agli operatori, agli educatori e al personale di questa struttura penale minorile, ai volontari, ai familiari e a tutti i presenti. Saluto il Cardinale Vicario e il Vescovo Ausiliare, Mons. Benedetto Tuzia. Saluto in modo speciale Mons. Giorgio Caniato, Ispettore Generale dei Cappellani degli Istituti di Prevenzione e Pena, e il vostro Cappellano, che ringrazio per essersi fatti interpreti dei vostri sentimenti all’inizio della Santa Messa.

Nella Celebrazione eucaristica è Cristo stesso che si fa presente in mezzo a noi; anzi di più: Egli viene ad illuminarci con il suo insegnamento - nella Liturgia della Parola - e a nutrirci con il suo Corpo ed il suo Sangue - nella Liturgia Eucaristica e nella Comunione. Egli viene così ad insegnarci ad amare, viene a renderci capaci di amare e cos’ capaci di vivere. Ma, direte forse, quanto è difficile amare sul serio, vivere bene! Qual è il segreto dell’amore, il segreto della vita? Ritorniamo al Vangelo. In questo Vangelo appaiono tre persone: il padre e i due figli. Ma dietro alle persone appaiono due progetti di vita abbastanza diversi. Ambedue i figli vivono in pace, sono agricoltori assai benestanti, hanno quindi di che vivere, vendono bene i loro prodotti, la vita sembra essere buona.

E tuttavia il figlio più giovane trova man mano questa vita noiosa, insoddisfacente: non può essere questa – egli pensa - tutta la vita: ogni giorno alzarsi, che so io, forse alle 6, poi secondo le tradizioni di Israele una preghiera, una lettura della Sacra Bibbia, poi si va a lavorare e alla fine ancora una preghiera. Così, giorno dopo giorno, lui pensa: Ma no, la vita è di più, devo trovare un’altra vita in cui io sia realmente libero, possa fare quanto mi piace; una vita libera da questa disciplina e da queste norme dei comandamenti di Dio, degli ordini del padre; vorrei essere solo io e avere la vita tutta totalmente per me, con tutte le sue bellezze. Adesso, invece, è soltanto lavoro.

E così decide di prendere tutto il suo patrimonio e di andarsene. Il padre è molto rispettoso e generoso e rispetta la libertà del figlio: è lui che deve trovare il suo progetto di vita. E lui va, come dice il Vangelo, in un paese molto lontano. Lontano probabilmente geograficamente, perché vuole un cambiamento, ma anche interiormente perché vuole una vita totalmente diversa. Adesso la sua idea è: libertà, fare quanto voglio fare, non conoscere queste norme di un Dio che è lontano, non essere nel carcere di questa disciplina della casa, fare quanto è bello, quanto mi piace, avere la vita con tutta la sua bellezza e la sua pienezza.

E in un primo momento - potremmo pensare forse per alcuni mesi – tutto va liscio: egli trova bello avere raggiunto finalmente la vita, si sente felice. Ma poi, man mano, sente anche qui la noia, anche qui è sempre lo stesso. E alla fine rimane un vuoto sempre più inquietante; sempre più vivo si fa il sentimento che questo non è ancora la vita, anzi, andando avanti con tutte queste cose, la vita si allontana sempre di più. Tutto diventa vuoto: anche ora si ripropone la schiavitù del fare le stesse cose. E alla fine anche i soldi si esauriscono e il giovane trova che il suo livello di vita è al di sotto di quello dei porci.

Allora comincia a riflettere e si chiede se era quella realmente la strada della vita: una libertà interpretata come fare quanto voglio io, vivere, avere la vita solo per me o se invece non sarebbe forse più vita vivere per gli altri, contribuire alla costruzione del mondo, alla crescita della comunità umana... Comincia così il nuovo cammino, un cammino interiore.

Il ragazzo riflette e considera tutti questi nuovi aspetti del problema e comincia a vedere che era molto più libero a casa, essendo proprietario anche lui, contribuendo alla costruzione della casa e della società in comunione con il Creatore, conoscendo lo scopo della sua vita, indovinando il progetto che Dio aveva per lui. In questo cammino interiore, in questa maturazione di un nuovo progetto di vita, vivendo poi anche il cammino esteriore, il figlio più giovane si mette in moto per ritornare, per ricominciare con la sua vita, perché ha ormai capito che quello preso era il binario sbagliato. Devo ripartire con un altro concetto, egli si dice, devo ricominciare.

E arriva alla casa del padre che gli ha lasciato la sua libertà per dargli la possibilità di capire interiormente che cosa è vivere, che cosa è non vivere. Il padre con tutto il suo amore lo abbraccia, gli offre una festa e la vita può cominciare di nuovo partendo da questa festa. Il figlio capisce che proprio il lavoro, l’umiltà, la disciplina di ogni giorno crea la vera festa e la vera libertà. Così ritorna a casa interiormente maturato e purificato: Ha capito che cosa è vivere. Certamente anche in futuro la sua vita non sarà facile, le tentazioni ritorneranno, ma egli è ormai pienamente consapevole che una vita senza Dio non funziona: manca l’essenziale, manca la luce, manca il perché, manca il grande senso dell’essere uomo.

Ha capito che Dio possiamo conoscerlo solo sulla base delle sua Parola. Noi cristiani possiamo aggiungere che sappiamo chi è Dio da Gesù, nel quale ci si è mostrato realmente il volto di Dio). Il giovane capisce che i Comandamenti di Dio non sono ostacoli per la libertà e per una vita bella, ma sono gli indicatori della strada su cui camminare per trovare la vita. Capisce che anche il lavoro, la disciplina l’impegnarsi non per sé, ma per gli altri allarga la vita. E proprio questa fatica di impegnarsi nel lavoro dà profondità alla vita, perché si sperimenta la soddisfazione di aver alla fine contribuito a fare crescere questo mondo che diventa più libero e più bello.

Non vorrei adesso parlare dell’altro figlio che è rimasto a casa, ma nella sua reazione di invidia vediamo che interiormente anche lui sognava che sarebbe forse molto meglio prendersi tutte le libertà. Anche lui nel suo intimo "ritornare a casa" e capire di nuovo che cosa è la vita, capire che si vive veramente solo con Dio, con la sua Parola, nella comunione della propria famiglia, del lavoro; nella comunione della grande Famiglia di Dio. Non vorrei adesso entrare in questi dettagli: lasciamo che ognuno di noi abbia il suo modo di applicare questo Vangelo a sé. Le situazioni nostre sono diverse e ognuno ha il suo mon. Questo non toglie che siamo tutti toccati e tutti possiamo entrare con il nostro cammino interiore nella profondità del Vangelo.

Solo alcune piccole osservazioni, ancora.

Il Vangelo ci aiuta a capire chi è veramente Dio: Egli è il Padre misericordioso che in Gesù ci ama oltre ogni misura. Gli errori che commettiamo, anche se grandi, non intaccano la fedeltà del suo amore. Nel sacramento della confessione possiamo sempre di nuovo ripartire con la vita: Egli ci accoglie, ci restituisce la dignità di figli suoi. Riscopriamo quindi questo sacramento del perdono che fa sgorgare la gioia in un cuore rinato alla vita vera.

Inoltre questa parabola ci aiuta a capire chi è l’uomo: non è una "monade", un’entità isolata che vive solo per se stessa e deve avere la vita solo per se stessa. Al contrario, noi viviamo con gli altri, siamo creati insieme con gli altri e solo nello stare con gli altri, nel donarci agli altri troviamo la vita. L’uomo è una creatura in cui Dio ha impresso la sua immagine, una creatura che è attratta nell’orizzonte della sua Grazia, ma è anche una creatura fragile, esposta al male; capace però anche di bene. E finalmente l’uomo è una persona libera. Dobbiamo capire che cosa è la libertà e cosa è solo l’apparenza della libertà. La libertà, potremmo dire, è un trampolino di lancio per tuffarsi nel mare infinito della bontà divina, ma può diventare anche un piano inclinato sul quale scivolare verso l’abisso del peccato e del male e perdere così anche la libertà e la nostra dignità.


Cari amici, siamo nel tempo della Quaresima, dei quaranta giorni prima della Pasqua. In questo tempo di Quaresima la Chiesa ci aiuta a fare questo cammino interiore e ci invita alla conversione che, prima di essere uno sforzo sempre importante per cambiare i nostri comportamenti, è un’opportunità per decidere di alzarci e ripartire, abbandonare cioè il peccato e scegliere di tornare a Dio. Facciamo - questo è l’imperativo della Quaresima - facciamo insieme questo cammino di liberazione interiore. Ogni volta che, come oggi, partecipiamo all’Eucaristia, fonte e scuola dell’amore, diventiamo capaci di vivere questo amore, di annunziarlo e di testimoniarlo con la nostra vita. Occorre però che decidiamo di andare verso Gesù, come ha fatto il figlio prodigo, ritornando interiormente ed esteriormente dal padre. Al tempo stesso dobbiamo abbandonare l’atteggiamento egoista del figlio maggiore sicuro di sé, che condanna facilmente gli altri, chiude il cuore alla comprensione, all’accoglienza e al perdono dei fratelli e dimentica che anche lui ha bisogno del perdono. Ci ottengano questo dono Maria Vergine e san Giuseppe, il mio patrono, la cui festa sarà domani, e che ora invoco in modo particolare per ciascuno di voi e per le persone a voi care.

[00378-01.01] [Testo originale: Italiano]


SALUTO DEL SANTO PADRE AL TERMINE DELLA SANTA MESSA



Al termine della Santa Messa, il Santo Padre Benedetto XVI si è recato nella palestra dell’Istituto Penale per incontrare i Giovani Ospiti e gli Agenti di Polizia Penitenziaria. Dopo gli indirizzi di omaggio della Direttrice dell’Istituto, Dott.ssa Maria Laura Grifoni, del Comandante del Reparto di Polizia Penitenziaria, Ispettore Francesco D’Ortenzi e di un giovane ospite, il Santo Padre ha rivolto loro le parole di saluto che pubblichiamo di seguito:

PAROLE DEL SANTO PADRE

Cari ragazzi e ragazze,

Vorrei innanzitutto dirvi grazie per la vostra gioia, grazie per questa preparazione. Per me, è una grande gioia avervi dato un po’ di luce con questa mia visita. Così si conclude adesso il nostro incontro, si conclude la mia breve, ma intensa visita. Come è stato ricordato, è il mio primo contatto con il mondo delle carceri da quando sono Papa. Ho ascoltato con attenzione le parole del Direttore, del Comandante e di un vostro rappresentante e vi ringrazio per i sentimenti cordiali che mi avete manifestato, come pure per gli auguri che mi avete rivolto in occasione del mio onomastico. Ho sentito, inoltre, che è ancora vivo tra voi il ricordo del Cardinale Casaroli, chiamato familiarmente Padre Agostino. Lui mi ha diverse volte parlato di queste sue esperienze dove si sentiva sempre molto amico, molto vicino a tutti i ragazzi e ragazze presenti qui in questo carcere.

Voi, cari ragazzi e ragazze, provenite da diverse nazioni: mi piacerebbe poter restare più a lungo con voi, purtroppo il tempo è limitato. Forse troveremo un’altra volta una giornata più lunga. Sappiate tuttavia che il Papa vi vuole bene e vi segue con affetto. Desidero, poi, cogliere questa occasione per estendere il mio saluto a tutti coloro che sono in carcere e a quanti, in vario modo, lavorano nell’ambito penitenziario.

Cari ragazzi e ragazze, oggi per voi è una giornata di festa, come è stato detto: è venuto a trovarvi il Papa, sono presenti il Ministro della Giustizia, diverse Autorità, il Cardinale Vicario, il Vescovo ausiliare, il vostro Cappellano, tante altre personalità e amici. Una giornata di gioia, quindi. La liturgia stessa di questa domenica inizia con un invito ad essere nella gioia: "Rallègrati!" è la prima parola con cui inizia la Messa. Ma come si può essere felici quando si soffre, quando si è privi della libertà, quando ci si sente abbandonati?
Durante la Messa abbiamo ricordato che Dio ci ama: ecco la sorgente della vera gioia.

Pur avendo tutto ciò che si desidera, si è talora infelici; si potrebbe invece essere privi di tutto, persino della libertà o della salute, ed essere in pace e nella gioia, se dentro il cuore c’è Dio. Il segreto, dunque, sta qui: occorre che Dio occupi sempre il primo posto nella nostra vita. Ed il vero volto di Dio ce lo ha rivelato Gesù. Cari amici, prima di lasciarci vi assicuro di tutto cuore che continuerò a ricordarvi davanti al Signore. Sarete sempre presenti nelle mie preghiere.

Vi anticipo gli auguri per la prossima festa di Pasqua e tutti vi benedico. Il Signore vi accompagni sempre con la sua Grazia e vi guidi nella vostra vita futura.

[00379-01.01] [Testo originale: Italiano]
[B0139-XX.02]

www.vatican.va
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"Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in Italia e nel mondo intero" (Santa Caterina da Siena)



Caterina63
00lunedì 15 dicembre 2008 10:29

 
VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SANTA FELICITA E FIGLI MARTIRI, 25.03.2007

“Se ne parla poco in questo tempo, ma l’Inferno esiste per quanti chiudono il proprio cuore all’amore di Dio”.



Questa mattina, V Domenica di Quaresima, il Santo Padre Benedetto XVI si è recato in visita pastorale alla Parrocchia di Santa Felicita e Figli martiri nel quartiere Fidene, settore Nord della Diocesi di Roma.

Alle ore 9.30 il Papa ha presieduto nella Chiesa parrocchiale la Celebrazione della Santa Messa nel corso della quale, dopo la proclamazione del Vangelo, ha pronunciato la seguente omelia:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle
della Parrocchia di santa Felicita e figli martiri!

Sono venuto volentieri a farvi visita in questa V Domenica di Quaresima. A voi tutti il mio cordiale saluto. Innanzitutto rivolgo il mio pensiero al Cardinale Vicario e al Vescovo Ausiliare Mons. Enzo Dieci. Saluto poi con affetto i Padri Vocazionisti, ai quali è affidata la Parrocchia fin dal suo nascere, nel 1958, ed in modo speciale il vostro parroco, don Eusebio Mosca, che ringrazio per le gentili parole con cui mi ha brevemente presentato la realtà della vostra comunità. Saluto gli altri sacerdoti, i religiosi, le religiose, i catechisti, i laici impegnati e quanti offrono in diverse maniere il proprio contributo alle molteplici attività della Parrocchia - pastorali, educative e di promozione umana - dirette con una attenzione prioritaria ai bambini, ai giovani e alle famiglie. Saluto la comunità filippina, abbastanza numerosa nel vostro territorio, che qui si raccoglie ogni domenica per la santa Messa celebrata nella propria lingua. Estendo il mio saluto a tutti gli abitanti del quartiere Fidene, formato in misura crescente da persone che provengono da altre regioni d’Italia e da diversi Paesi del mondo.

Qui, come altrove, non mancano certo situazioni di disagio sia materiale che morale, situazioni che domandano a voi, cari amici, un impegno costante per testimoniare che l’amore di Dio, manifestatosi appieno in Cristo crocifisso e risorto, abbraccia in modo concreto tutti senza distinzione di razza e cultura. Questa è in fondo la missione di ogni comunità parrocchiale, chiamata ad annunciare il Vangelo e ad essere luogo di accoglienza e di ascolto, di formazione e di condivisione fraterna, di dialogo e di perdono. Come può una comunità cristiana mantenersi fedele a questo suo mandato? Come può diventare sempre più una famiglia di fratelli animati dall’Amore? La parola di Dio che poc’anzi abbiamo ascoltato, e che risuona con singolare eloquenza nel nostro cuore durante questo tempo quaresimale, ci ricorda che il nostro pellegrinaggio terreno è irto di difficoltà e di prove, come il cammino del popolo eletto nel deserto prima di giungere alla terra promessa. Ma l’intervento divino, assicura Isaia nella prima Lettura, può renderlo facile, trasformando la steppa in un paese confortevole e ricco di acque (cfr Is 43,19-20). Al profeta fa eco il Salmo responsoriale: mentre richiama la gioia del ritorno dall’esilio babilonese, invoca il Signore perché intervenga a favore dei "prigionieri" che nell’andare vanno piangendo, ma nel tornare sono pieni di giubilo perché Iddio è presente, e come in passato, compirà anche in futuro "grandi cose per noi".

Questa stessa consapevolezza deve animare ogni comunità cristiana fornita dal suo Signore di abbondanti provviste spirituali per attraversare il deserto di questo mondo e trasformarlo in un fertile giardino. Queste provviste sono l’ascolto docile della sua Parola, i Sacramenti e ogni altra risorsa spirituale della liturgia e della preghiera personale. In definitiva, la vera provvista è il suo amore. L’amore che spinse Gesù ad immolarsi per noi, ci trasforma e ci rende a nostra volta capaci di seguirlo fedelmente. Sulla scia di quanto la liturgia ci ha proposto la scorsa domenica, l’odierna pagina evangelica ci aiuta a capire che solo l’amore di Dio può cambiare dal di dentro l’esistenza dell’uomo e conseguentemente di ogni società, perché solo il suo amore infinito lo libera dal peccato, che è la radice di ogni male.
Se è vero che Dio è giustizia, non bisogna dimenticare che Egli è soprattutto amore: se odia il peccato, è perché ama infinitamente ogni persona umana. Ama ognuno di noi e la sua fedeltà è così profonda da non lasciarsi scoraggiare nemmeno dal nostro rifiuto. In particolare oggi Gesù ci provoca alla conversione interiore: ci spiega perché Egli perdona e ci insegna a fare del perdono ricevuto e donato ai fratelli il "pane quotidiano" della nostra esistenza.

Il brano evangelico narra l’episodio della donna adultera in due suggestive scene: nella prima assistiamo a una disputa tra Gesù e gli scribi e i farisei riguardo a una donna sorpresa in flagrante adulterio e, secondo la prescrizione contenuta nel Libro del Levitico (cfr 20,10), condannata alla lapidazione. Nella seconda scena si snoda un breve e commovente dialogo tra Gesù e la peccatrice. Gli spietati accusatori della donna, citando la legge di Mosè provocano Gesù – lo chiamano "maestro" (Didáskale) - chiedendogli se sia giusto lapidarla. Conoscono la sua misericordia e il suo amore per i peccatori e sono curiosi di vedere come se la caverà in un caso del genere, che secondo la legge mosaica non presentava dubbi.
Ma Gesù si mette subito dalla parte della donna; in primo luogo scrivendo per terra parole misteriose, che l’evangelista non rivela, e poi pronunciando quella frase diventata famosa:"Chi di voi è senza peccato (usa il termine anamártetos, che viene utilizzato nel Nuovo Testamento soltanto qui), scagli per primo la pietra contro di lei" (Gv 8,7). Nota sant’Agostino che "il Signore, rispondendo, rispetta la legge e non abbandona la sua mansuetudine". Ed aggiunge che con queste sue parole obbliga gli accusatori a entrare dentro se stessi e guardando se stessi a scoprirsi peccatori. Per cui,"colpiti da queste parole come da una freccia grossa quanto una trave, uno dopo l’altro se ne andarono" (In Io. Ev. tract 33,5).

Uno dopo l’altro, dunque, gli accusatori che avevano voluto provocare Gesù, se ne vanno "cominciando dai più anziani fino agli ultimi". Quando tutti sono partiti il divino Maestro resta solo con la donna. Conciso ed efficace il commento di sant’Agostino: "relicti sunt duo: misera et misericordia, restano solo loro due, la misera e la misericordia" (Ibid.).
Fermiamoci, cari fratelli e sorelle, a contemplare questa scena dove si trovano a confronto la miseria dell’uomo e la misericordia divina, una donna accusata di un grande peccato e Colui, che pur essendo senza peccato, si è addossato i peccati del mondo intero. Egli, che era rimasto chinato a scrivere nella polvere, ora alza gli occhi ed incontra quelli della donna. Non chiede spiegazioni, non esige scuse.
Non è ironico quando le domanda: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?" (8,10). Ed è sconvolgente nella sua replica: "Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più" (8,11). Ancora sant’Agostino, nel suo commento, osserva: "Il Signore condanna il peccato, non il peccatore. Infatti, se avesse tollerato il peccato avrebbe detto: Neppure io ti condanno, va’, vivi come vuoi… per quanto grandi siano i tuoi peccati, io ti libererò da ogni pena e da ogni sofferenza. Ma non disse così"(Io. Ev. tract. 33,6)

Cari amici, dalla parola di Dio che abbiamo ascoltato emergono indicazioni concrete per la nostra vita. Gesù non intavola con i suoi interlocutori una discussione teorica: non gli interessa vincere una disputa a proposito di un’interpretazione della legge mosaica, ma il suo obbiettivo è salvare un’anima e rivelare che la salvezza si trova solo nell’amore di Dio. Per questo è venuto sulla terra, per questo morirà in croce ed il Padre lo risusciterà il terzo giorno.
E’ venuto Gesù per dirci che ci vuole tutti in Paradiso e che l’inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore. Anche in questo episodio, dunque, comprendiamo che il vero nostro nemico è l’attaccamento al peccato, che può condurci al fallimento della nostra esistenza. Gesù congeda la donna adultera con questa consegna: "Va e d’ora in poi non peccare più". Le concede il perdono affinché "d’ora in poi" non pecchi più.
In un episodio analogo, quello della peccatrice pentita che troviamo nel Vangelo di Luca (7,36-50) Egli accoglie e rimanda in pace una donna che si è pentita. Qui, invece, l’adultera riceve il perdono in mondo incondizionato. In entrambi i casi – per la peccatrice pentita e per l’adultera – il messaggio é unico. In un caso si sottolinea che non c’è perdono senza pentimento; qui si pone in evidenza che solo il perdono divino e il suo amore ricevuto con cuore aperto e sincero ci danno la forza di resistere al male e di "non peccare più". L’atteggiamento di Gesù diviene in tal modo un modello da seguire per ogni comunità, chiamata a fare dell’amore e del perdono il cuore pulsante della sua vita.

Cari fratelli e sorelle, nel cammino quaresimale che stiamo percorrendo e che si avvia rapidamente al suo termine, ci accompagni la certezza che Iddio non ci abbandona mai e che il suo amore è sorgente di gioia e di pace; è forza che ci spinge potentemente sulla strada della santità, se necessario anche sino al martirio. Così avvenne per i figli e poi per la coraggiosa madre Felicita, patroni della vostra Parrocchia. Per loro intercessione vi conceda il Signore di incontrare sempre più in profondità Cristo e di seguirlo con docile fedeltà perché, come avvenne per l’apostolo Paolo, anche voi possiate con sincerità proclamare: "Tutto io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura al fine di guadagnare Cristo" (Fil 3,8). L’esempio e l’intercessione di questi santi siano per voi un costante incoraggiamento a seguire il sentiero del Vangelo senza esitazioni e senza compromessi. Vi ottenga questa generosa fedeltà la Vergine Maria, che domani contempleremo nel mistero dell’Annunciazione e alla quale affido tutti voi e l’intera popolazione di questa borgata di Fidene.
Amen.

[00416-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0156-XX.01]

fonte: Sala Stampa della Santa Sede

16.12.2007
III Domenica di Avvento
Visita pastorale alla Parrocchia romana di
Santa Maria del Rosario ai Martiri Portuensi
, ore 9.00
Santa Messa

Il Papa ha consacrato l'Altare


















Per la quinta volta Benedetto XVI visita una parrocchia romana. Questa mattina alla 9, il papa ha consacrato la nuova chiesa dalla comunità di Santa Maria del Rosario di Pompei ai Martiri Portuensi, nella zona della Magliana. La parrocchia è stata visitata da Giovanni Paolo II l’8 novembre del 1988 ed è affidata dal 1997 alla Comunità sacerdotale del Missionari di San Carlo Borromeo, che si richiamano alla spiritualità di Comunione e Liberazione. Un nuovo edificio, moderno e tradizionale al tempo stesso, una grande aula e un presbiterio in marmo bianco e legno, con la sede del celebrante a lato dell’altare e il rosso mattone a evidenziare gli spazi liturgici.

Semplice il saluto del parroco Gerard McCarty: “Vediamo in lei la dolce persona di Cristo che ci dice che non dobbiamo avere paura perché è qui con noi. Grazie per il suo sì a Cristo, per la sua passione per la verità.” Il papa indossava una casula di colore oro al posto della rosacea che si indossa in genere nella domenica gaudete, cioè la terza di Avvento. Da qui è iniziata la riflessione di Benedetto XVI. “In verità, tutto l’Avvento è un invito a gioire perché “il Signore viene”, perché viene a salvarci. La liturgia dell’Avvento ci ripete costantemente che dobbiamo destarci dal sonno dell’abitudine e della mediocrità, dobbiamo abbandonare la tristezza e lo scoraggiamento; occorre che rinfranchiamo i nostri cuori perché “il Signore è vicino”.

Dopo aver ripercorso la storia della comunità che si lega a fulgide testimonianze cristiane. Dalle catacombe di Generosa, “dove la tradizione vuole siano stati sepolti tre fratelli - Simplicio, Faustino e Viatrice - vittime della persecuzione scatenata nell’anno 303.” Le loro reliquie sono conservate a Roma e a Fulda dove le portò san Bonifacio, e tra i celebranti oggi anche il Vescovo di Fulda, Mons. Josef Algermissen. E la chiesa è intitolata anche a Maria come regina del rosario di Pompei e per questo era presente Mons. Carlo Liberati, Arcivescovo–Prelato di Pompei. “I giovani martiri che allora morirono per rendere testimonianza a Cristo-ha detto il papa all’ omelia- non sono forse un potente stimolo per voi , cristiani di oggi, a perseverare nel seguire fedelmente Gesù? E la protezione della Vergine del santo Rosario non vi chiede di essere uomini e donne di fede profonda come lo fu Lei? Anche oggi, pur in forme diverse, il messaggio salvifico di Cristo viene contrastato e i cristiani, non meno di ieri, sono chiamati a rendere ragione della loro speranza, a offrire al mondo la testimonianza della Verità dell’Unico che salva e redime!”.

Nella domenica dedicata dalla diocesi di Roma alla costruzione delle nuove chiese, il papa ha ringraziato il Cardinale Vicario Camillo Ruini e il Vescovo Ausiliare Ernesto Mandara, Segretario dell’Opera Romana per la Preservazione della Fede e la Provvista di Nuove Chiese in Roma. Spiegando le letture di oggi, Benedetto ha riproposto la gioia e l’emozione della comunità riunita dopo l’esilio secondo le parole del profeta Neemia. “Questa lettura non suscita anche in voi, cari fedeli, tanta commozione? In questo momento quanti ricordi si affollano nella vostra mente! Quanta fatica per costruire, anno dopo anno, la comunità! Quanti sogni, quanti progetti, quante difficoltà! Ora però ci è data l’opportunità di proclamare e ascoltare la parola di Dio in una bella chiesa, che favorisce il raccoglimento e suscita gioia; una chiesa che vuole essere costante richiamo ad una fede salda e all’impegno di crescere come comunità unita”.

C’è poi la pagina dell’ Apocalisse che descrive la nuova Gerusalemme. “Per costruire questo tempio vivente, spirituale – che siete voi -, occorre tanta preghiera, occorre valorizzare ogni opportunità che offrono la liturgia, la catechesi, e le molteplici attività pastorali, caritative, missionarie, e culturali che conservano “giovane” la vostra promettente parrocchia. La cura che mostriamo per l’edificio materiale – aspergendolo con l’acqua benedetta, ungendolo con l’olio, spargendolo di incenso – sia segno e stimolo di una più intensa cura nel difendere e promuovere il tempio delle persone, formato da voi, cari parrocchiani".

Dal dialogo del Vangelo tra Gesù e Pietro il papa riprende la conferma dell’apostolo nella fede in Cristo, roccia su cui si fonda la Chiesa.” In tal modo, ancora una volta, vediamo che è Gesù Cristo l’unica e indefettibile roccia su cui poggia la nostra fede, su cui viene costruita questa parrocchia. E Gesù lo incontriamo nell’ascolto delle Sacre Scritture; è presente e si fa nostro cibo nell’Eucaristia, vive nella comunità parrocchiale. Tutto, quindi, nella chiesa edificio e nella Chiesa comunità parla di Gesù, tutto è relativo a Lui, tutto a Lui fa riferimento. E il Signore ci raccoglie nella grande comunità della Chiesa di tutti i tempi e luoghi, stretta in comunione con il Successore di Pietro come roccia dell’unità".

All’inizio della celebrazione, il papa aveva benedetto l’acqua lustrale, e l’altare. Dopo l’omelia e la recita del credo, si sono intonate le litanie di Maria e dei Santi, tra i quali i Martiri cui la chiesa è dedicata. Inizia così il vero e proprio rito della dedicazione del nuovo edificio di culto. La formula definitiva liturgica post conciliare della dedicazione è di appena 30 anni fa. Fu infatti definita dall’Ordo dedicationis ecclesiae et altaris del 29 maggio 1977. Nell’apposito vano sotto l’altare sono state deposte dal papa le reliquie di santa Faustina Kowalska e di san Carlo Borromeo.

Il papa, dopo aver indossato un paramento speciale e il paramaniche, ha unto la mensa, poi ha incensato l’altare mentre i diaconi ungevano e illuminavano il resto della chiesa. Le campane hanno suonato a festa accompagnando il canto del coro: ”Tu sei un Dio fedele per l'eternità”. Sull’altare, che le Missionarie di San Carlo avevano ricoperto dalla tovaglia e ornato da tre candele per ogni lato e dal crocefisso centrale, si e svolta la celebrazione eucaristica. Il papa ha poi riposto il Santissimo Sacramento nel tabernacolo nella cappella laterale destinata all’adorazione e alla liturgia quotidiana. Accompagnato dal Salve Regina, Benedetto XVI ha poi inaugurato il nuovo salone parrocchiale ricavato dalla vecchia chiesa, che prende il nome di Benedetto XVI. Ad accoglierlo 300 bambini della prima comunione che cantavano in tedesco, al centro una gigantografia di papa Benedetto che abbraccia un fanciullo durante l’incontro con i ragazzi della prima comunione in piazza san Pietro nel 2005.

“Abbiamo nel nostro cuore il desiderio di amare sempre di più Gesù”, ha detto un piccolo al papa. “E' una gioia vedere tanti giovani che amano Gesù!”, ha risposto Benedetto, chiedendo di seguire gli esempi dei vostri santi patroni per essere sicuri di seguire la strada giusta. Con l’augurio di un buon Avvento e di un buon Natale la visita del papa si è conclusa con gli applausi dei piccoli.
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"Se sarete ciò che dovrete essere, metterete fuoco in Italia e nel mondo intero" (S.Caterina da Siena)



Questa mattina alle ore 9.00, il Santo Padre Benedetto XVI si reca ad Albano per la Celebrazione della Santa Messa e la Dedicazione dell’Altare della Cattedrale.

Ad accogliere il Papa al suo arrivo in auto all’ingresso delle Ville Pontificie che si affaccia su Piazza Pia, sono l’Em.mo Card. Angelo Sodano, Titolare della Chiesa Suburbicaria di Albano, Decano del Collegio Cardinalizio; S.E. Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Albano e il Dott. Marco Mattei, Sindaco di Albano. Il Santo Padre attraversa a piedi Piazza Pia e davanti alla Cattedrale di Albano riceve il saluto del Sindaco ed è poi accolto dai Canonici.

Nel corso della Santa Messa, che inizia in Cattedrale alle ore 9.30, introdotta dal saluto di S.E. Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Albano, dopo la proclamazione del Santo Vangelo il Papa pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

L’odierna Celebrazione è quanto mai ricca di simboli e la Parola di Dio che è stata proclamata ci aiuta a comprendere il significato e il valore di quanto stiamo compiendo. Nella prima lettura abbiamo ascoltato il racconto della purificazione del Tempio e della dedicazione del nuovo altare degli olocausti ad opera di Giuda Maccabeo nel 164 a.C., tre anni dopo che il Tempio era stato profanato da Antioco Epifane (cfr 1 Mac 4,52-59). A ricordo di quell’avvenimento, venne istituita la festa della Dedicazione, che durava otto giorni. Tale festa, legata inizialmente al Tempio dove il popolo si recava in processione per offrire sacrifici, era anche allietata dall’illuminazione delle case ed è sopravvissuta, sotto questa forma, dopo la distruzione di Gerusalemme.

L’Autore sacro sottolinea giustamente la gioia e la letizia che caratterizzarono quell’avvenimento. Ma quanto più grande, cari fratelli e sorelle, deve essere la nostra gioia sapendo che sull’altare, che ci accingiamo a consacrare, ogni giorno si offrirà il sacrificio di Cristo; su questo altare Egli continuerà ad immolarsi, nel sacramento dell’Eucaristia, per la salvezza nostra e del mondo intero. Nel Mistero eucaristico, che in ogni altare si rinnova, Gesù si fa realmente presente. La sua è una presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a sé; ci attira con la forza del suo amore facendoci uscire da noi stessi per unirci a Lui, facendo di noi una cosa sola con Lui.

La presenza reale di Cristo fa di ciascuno di noi la sua "casa", e tutti insieme formiamo la sua Chiesa, l’edificio spirituale di cui parla anche san Pietro. "Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio – scrive l’Apostolo -, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo" (1 Pt 2, 4-5).

Quasi sviluppando questa bella metafora, sant’Agostino osserva che mediante la fede gli uomini sono come legni e pietre presi dai boschi e dai monti per la costruzione; mediante il battesimo, la catechesi e la predicazione vengono poi sgrossati, squadrati e levigati; ma risultano casa del Signore solo quando sono compaginati dalla carità. Quando i credenti sono reciprocamente connessi secondo un determinato ordine, mutuamente e strettamente giustapposti e coesi, quando sono uniti insieme dalla carità diventano davvero casa di Dio che non teme di crollare (cfr Serm., 336).

E’ dunque l’amore di Cristo, la carità che "non avrà mai fine" (1 Cor 13,8), l’energia spirituale che unisce quanti partecipano allo stesso sacrificio e si nutrono dell’unico Pane spezzato per la salvezza del mondo. E’ infatti possibile comunicare con il Signore, se non comunichiamo tra di noi? Come allora presentarci all’altare di Dio divisi, lontani gli uni dagli altri? Quest’altare, sul quale tra poco si rinnova il sacrificio del Signore, sia per voi, cari fratelli e sorelle, un costante invito all’amore; ad esso vi accosterete sempre con il cuore disposto ad accogliere l’amore di Cristo e a diffonderlo, a ricevere e a concedere il perdono.

A tale proposito ci offre un’importante lezione di vita il brano evangelico che poc’anzi è stato proclamato (cfr Mt 5,23-24). E’ un breve, ma pressante e incisivo appello alla riconciliazione fraterna, riconciliazione indispensabile per presentare degnamente l’offerta all’altare; un richiamo che riprende l’insegnamento ben presente già nella predicazione profetica. Anche i profeti infatti denunciavano con vigore l’inutilità di quegli atti di culto privi di corrispondenti disposizioni morali, specialmente nei rapporti verso il prossimo (cfr Is 1,10-20; Am 5, 21–27; Mic 6, 6-8). Ogni volta quindi che vi accostate all’altare per la Celebrazione eucaristica, si apra il vostro animo al perdono e alla riconciliazione fraterna, pronti ad accettare le scuse di quanti vi hanno ferito e pronti, a vostra volta, a perdonare.

Nella liturgia romana il sacerdote, compiuta l’offerta del pane e del vino, inchinato verso l’altare, prega sommessamente: "Umili e pentiti accoglici, Signore: ti sia gradito il nostro sacrificio che oggi si compie dinanzi a te". Si prepara così ad entrare, con l’intera assemblea dei fedeli, nel cuore del mistero eucaristico, nel cuore di quella liturgia celeste a cui fa riferimento la seconda lettura, tratta dall’Apocalisse. San Giovanni presenta un angelo che offre "molti profumi insieme con le preghiere di tutti i santi bruciandoli sull’altare d’oro posto dinanzi al trono" di Dio (cfr Ap 8, 3). L’altare del sacrificio diventa, in un certo modo, il punto d’incontro fra Cielo e terra; il centro, potremmo dire, dell’unica Chiesa che è celeste ed al tempo stesso pellegrina sulla terra, dove, tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, i discepoli del Signore ne annunziano la passione e la morte fino al suo ritorno nella gloria (cfr Lumen gentium, Fico. Anzi, ogni Celebrazione eucaristica anticipa già il trionfo di Cristo sul peccato e sul mondo, e mostra nel mistero il fulgore della Chiesa, "sposa immacolata dell’Agnello immacolato, Sposa che Cristo ha amato e per lei ha dato se stesso, al fine di renderla santa" (ibid., 6).

Queste riflessioni suscita in noi il rito che ci apprestiamo a compiere in questa vostra Cattedrale, che oggi ammiriamo nella sua rinnovata bellezza e che giustamente volete continuare a rendere sempre più accogliente e decorosa. Un impegno che tutti vi coinvolge e che, in primo luogo, chiede all’intera Comunità diocesana di crescere nella carità e nella dedizione apostolica e missionaria. In concreto, si tratta di testimoniare con la vita la vostra fede in Cristo e la totale fiducia che riponete in Lui. Si tratta pure di coltivare la comunione ecclesiale che è anzitutto un dono, una grazia, frutto dell’amore libero e gratuito di Dio, qualcosa cioè di divinamente efficace, sempre presente e operante nella storia, al di là di ogni apparenza contraria. La comunione ecclesiale è però anche un compito affidato alla responsabilità di ciascuno. Vi doni il Signore di vivere una comunione sempre più convinta ed operosa, nella collaborazione e nella corresponsabilità ad ogni livello: tra presbiteri, consacrati e laici, tra le diverse comunità cristiane del vostro territorio, tra le varie aggregazioni laicali.

Rivolgo ora il mio cordiale saluto al vostro Vescovo Mons. Marcello Semeraro, che ringrazio per l’invito e per le cortesi parole di benvenuto con cui ha voluto accogliermi a nome di tutti voi. Desidero pure esprimergli sentimenti di fervido augurio, nella ricorrenza del decimo anniversario della sua consacrazione episcopale. Un pensiero speciale dirigo al Cardinale Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio, Titolare di questa vostra Diocesi Suburbicaria, che oggi si unisce alla nostra gioia. Saluto gli altri Presuli presenti, i sacerdoti, le persone consacrate, i giovani e gli anziani, le famiglie, i bambini, gli ammalati, abbracciando con affetto tutti i fedeli della Comunità diocesana spiritualmente qui riunita. Un saluto alle Autorità che ci onorano della loro presenza, ed in primo luogo al Signor Sindaco di Albano, al quale pure sono riconoscente per le cortesi parole che mi ha indirizzato all’inizio della Santa Messa. Su tutti invoco la celeste protezione di san Pancrazio, titolare di questa Cattedrale, e dell’apostolo Matteo, del quale la liturgia oggi fa memoria.

Invoco, in particolare, la materna intercessione della Beata Vergine Maria. In questa giornata, che corona gli sforzi, i sacrifici e l’impegno da voi compiuti per dotare la Cattedrale di un rinnovato spazio liturgico, con opportuni interventi che hanno interessato la Cattedra episcopale, l’Ambone e l’Altare, vi ottenga la Madonna di poter scrivere in questo nostro tempo un’altra pagina di santità quotidiana e popolare, che vada ad aggiungersi a quelle che hanno segnato nel corso dei secoli la vita della Chiesa di Albano. Non mancano certo, come ha ricordato il vostro Pastore, difficoltà, sfide e problemi, ma grandi sono anche le speranze e le opportunità per annunciare e testimoniare l’amore di Dio. Lo Spirito del Signore risorto, che è lo Spirito della Pentecoste, vi apra ai suoi orizzonti di speranza ed alimenti in voi lo slancio missionario verso i vasti orizzonti della nuova evangelizzazione. Per questo preghiamo, proseguendo la nostra Celebrazione eucaristica.

[01467-01.01] [Testo originale: Italiano]

Al termine della Celebrazione Eucaristica, il Santo Padre saluta alcuni Benefattori, Sponsor dei lavori di ristrutturazione della Cattedrale.
Alle ore 11.45 il Papa lascia la Cattedrale e rientra in auto a Castel Gandolfo.

[B0590-XX.01]



L'ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

forse ricorderete che quando, nel giorno della mia elezione, mi rivolsi alla folla in Piazza San Pietro, mi venne spontaneo presentarmi come un operaio della vigna del Signore. Ebbene, nel Vangelo di oggi (cfr Mt 20,1-16a), Gesù racconta proprio la parabola del padrone della vigna che a diverse ore del giorno chiama operai a lavorare nella sua vigna. E alla sera dà a tutti la stessa paga, un denaro, suscitando la protesta di quelli della prima ora. E’ chiaro che quel denaro rappresenta la vita eterna, dono che Dio riserva a tutti. Anzi, proprio quelli che sono considerati "ultimi", se lo accettano, diventano "primi", mentre i "primi" possono rischiare di finire "ultimi". Un primo messaggio di questa parabola sta nel fatto stesso che il padrone non tollera, per così dire, la disoccupazione: vuole che tutti siano impegnati nella sua vigna. E in realtà l’essere chiamati è già la prima ricompensa: poter lavorare nella vigna del Signore, mettersi al suo servizio, collaborare alla sua opera, costituisce di per sé un premio inestimabile, che ripaga di ogni fatica. Ma lo capisce solo chi ama il Signore e il suo Regno; chi invece lavora unicamente per la paga non si accorgerà mai del valore di questo inestimabile tesoro.

A narrare la parabola è san Matteo, apostolo ed evangelista, di cui tra l’altro ricorre proprio oggi la festa liturgica. Mi piace sottolineare che Matteo, in prima persona, ha vissuto questa esperienza (cfr Mt 9,9). Egli infatti, prima che Gesù lo chiamasse, faceva di mestiere il pubblicano e perciò era considerato pubblico peccatore, escluso dalla "vigna del Signore". Ma tutto cambia quando Gesù, passando accanto al suo banco delle imposte, lo guarda e gli dice: "Seguimi". Matteo si alzò e lo seguì. Da pubblicano diventò immediatamente discepolo di Cristo. Da "ultimo" si trovò "primo", grazie alla logica di Dio, che – per nostra fortuna! – è diversa da quella del mondo. "I miei pensieri non sono i vostri pensieri – dice il Signore per bocca del profeta Isaia –, / le vostre vie non sono le mie vie" (Is 55,8). Anche san Paolo, del quale stiamo celebrando un particolare Anno giubilare, ha sperimentato la gioia di sentirsi chiamato dal Signore a lavorare nella sua vigna. E quanto lavoro ha compiuto! Ma, come egli stesso confessa, è stata la grazia di Dio a operare in lui, quella grazia che da persecutore della Chiesa lo trasformò in apostolo delle genti. Tanto da fargli dire: "Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno". Subito però aggiunge: "Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere" (Fil 1,21-22). Paolo ha compreso bene che operare per il Signore è già su questa terra una ricompensa.

La Vergine Maria, che una settimana fa ho avuto la gioia di venerare a Lourdes, è tralcio perfetto della vigna del Signore. Da lei è germogliato il frutto benedetto dell’amore divino: Gesù, nostro Salvatore. Ci aiuti Lei a rispondere sempre e con gioia alla chiamata del Signore, e a trovare la nostra felicità nel poter faticare per il Regno dei cieli.

[01468-01.01] [Testo originale: Italiano]


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Santa Messa ad Albano Laziale...





 Sorriso


Caterina63
00sabato 28 marzo 2009 23:43
Domenica Benedetto XVI in visita alla comunità della Magliana

La prima parrocchia romana dedicata al volto di Gesù


di Gianluca Biccini

Ha la forma di una grande "v", a simboleggiare due braccia aperte, il sagrato bianco della chiesa del Santo Volto di Gesù alla Magliana. Ed è con un abbraccio che la comunità parrocchiale di via Caprese intende accoglie domenica mattina Benedetto XVI in visita pastorale.

L'appuntamento è alle 9.30 proprio sul piazzale, dov'è stato collocato un grande schermo per permettere a tutti i fedeli di seguire la messa celebrata dal Papa. All'interno della chiesa, ricavata da un ex stabilimento dell'Enel, ci sarà posto solo per 250 persone a sedere.

È dalla notte di Natale, quando il parroco don Luigi Coluzzi ha dato l'annuncio, che la comunità si sta preparando all'incontro. Si tratta dell'ottava
parrocchia romana visitata dall'inizio del Pontificato: la prima, il 18 dicembre 2005, era stata Santa Maria Consolatrice a Casal Bertone, che fu chiesa titolare del cardinale Joseph Ratzinger; l'ultima, alla fine del 2008, quella di San Lorenzo al Verano.

Di ritorno dal
viaggio in Africa, il vescovo di Roma si reca dunque nel quadrante sud-ovest della capitale, tra gente che nel corso degli anni ha saputo scrollarsi di dosso l'immagine di un quartiere troppo spesso collegato alle note vicende di cronaca della cosiddetta banda della Magliana. "Quell'epoca - commenta don Coluzzi - non esiste più. Ora in generale la vita è piuttosto tranquilla e la parrocchia oltre a essere un luogo di preghiera è anche uno spazio di socializzazione, un punto di riferimento per tutti".

Percorrendo via della Magliana nuova, il complesso dalle forme curvilinee si scorge nella sua interezza, fino alla grande croce che svetta sul retro. "La forma semicircolare - dice il parroco - contribuisce a creare un'atmosfera raccolta. Il rosone fa penetrare i raggi del sole e le celebrazioni sono piene di luce". Per il progettista dell'opera, l'architetto Sartogo, chiesa significa accoglienza: due braccia spalancate, tese verso la città, che convergono verso la croce. Il sagrato è come una strada, che conduce verso la croce.

All'interno, sopra l'altare, la grande vetrata a forma di semicupola fa entrare la luce dall'alto. Nel recinto con la croce un piccolo giardino e un campo giochi, molto frequentati dai bambini e dai giovani, in una zona carente di spazi aggregativi.
Nata nel 1975 come luogo sussidiario di culto di san Gregorio Magno, la parrocchia, dedicata inizialmente al francescano polacco martire ad Auschwitz, san Massimiliano Kolbe, è stata eretta nel 1992. Il 27 maggio 2001 con il cambio di denominazione è divenuta la prima comunità romana dedicata al volto di Gesù, per rispondere all'invito di Giovanni Paolo II, che nella Lettera apostolica Novo Millennio ineunte, al termine del Giubileo, scrisse: "La nostra testimonianza sarebbe insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del Volto di Gesù" (n.16). Fu il cardinale Fiorenzo Angelini - promotore dei Congressi internazionali di ricerca sul Volto dei Volti - a presiedere nel decennale di vita della parrocchia, il 19 marzo 2002, il rito di benedizione della prima pietra.

Don Luigi è dal 1992 alla guida della comunità di 15.000 abitanti (circa 4.500 nuclei familiari). All'inizio le attività si svolgevano in locali adibiti originariamente a negozi. "Una pastorale da marciapiede - scherza il parroco - poi con la crescita delle mura del nuovo complesso sono cresciute le "pietre vive" della comunità. E dalle cento persone che inizialmente si riunivano nella cappellina, oggi sono almeno venti volte di più". Esattamente tre anni fa è stato l'allora cardinale Vicario Camillo Ruini, nel marzo 2006, a celebrare il rito della dedicazione della chiesa.

Oggi quella che si appresta ad accogliere Benedetto XVI è una comunità nella quale sono presenti sette differenti realtà, come la Milizia dell'Immacolata, il gruppo di preghiera Padre Pio, la comunità Gesù Risorto, tre comunità neocatecumenali, cinque centri di ascolto della Parola nelle case, che coinvolgono una cinquantina di persone, per un totale di almeno 350 fedeli laici attivi, se si considerano anche la Caritas parrocchiale e la Comunità di Sant'Egidio.

Di recente è anche nato un gruppo di sposi novelli che, sotto la guida del parroco, proseguono la formazione iniziata con i corsi prematrimoniali. "Giovani coppie che, insieme con altre più collaudate, promettono molto bene", commenta don Coluzzi, ricordando anche l'impegno nel campo della solidarietà dei suoi parrocchiani. "Dopo la guerra nella ex Jugoslavia, per ben tre anni di seguito abbiamo inviato volontari e aiuti umanitari in Bosnia". Il giovane don Stefano Peri, vice parroco trentaduenne, aggiunge all'elenco anche il centro per la raccolta del sangue, con i suoi 150 donatori.

Tanti segnali di vitalità, confermati anche dal punto di vista vocazionale. In questi anni sono maturate due scelte sacerdotali. "Sono - conclude il parroco - don Antonio Pesciarelli, vice parroco al Trionfale, e don Orazio Caputo che sarà ordinato sacerdote il prossimo 3 maggio: li ho visti crescere da bambini e oggi sono tra i più bei doni che possiamo offrire al Papa".

(©L'Osservatore Romano - 29 marzo 2009)
Caterina63
00domenica 29 marzo 2009 11:20











 
Caterina63
00lunedì 30 marzo 2009 17:37
OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

nell’odierna pagina del Vangelo, san Giovanni riferisce un episodio avvenuto nell’ultima fase della vita pubblica di Cristo, nell’imminenza ormai della Pasqua ebraica, che sarà la sua Pasqua di morte e risurrezione. Mentre si trovava a Gerusalemme – narra l’Evangelista – alcuni greci, proseliti del giudaismo, incuriositi ed attratti da quanto Egli andava compiendo, si avvicinarono a Filippo, uno dei Dodici che aveva un nome greco e proveniva dalla Galilea. "Signore, gli dissero, vogliamo vedere Gesù". Filippo chiamò a sua volta Andrea, uno dei primi apostoli molto vicino al Signore, anch’egli con un nome greco, ed entrambi "andarono a dirlo a Gesù" (cfr Gv 12,20-21).
Nella richiesta di questi anonimi greci possiamo leggere la sete che è nel cuore di ogni uomo di vedere e di conoscere Cristo; e la risposta di Gesù ci orienta al mistero della Pasqua, manifestazione gloriosa della sua missione salvifica. "È venuta l’ora – Egli dichiara – che il Figlio dell’uomo sia glorificato» (Gv 12,23). Sì! Sta per giungere l’ora della glorificazione del Figlio dell’uomo, ma questo comporterà il passaggio doloroso attraverso la passione e la morte in croce. Solo così infatti si realizzerà il piano divino della salvezza che è per tutti, giudei e pagani. Tutti sono infatti invitati a far parte dell’unico popolo della nuova e definitiva alleanza. In questa luce, comprendiamo anche la solenne proclamazione con cui si chiude il brano evangelico: "E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me" (Gv 12,32), come pure il commento dell’Evangelista: "Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire" (Gv 12,33). La croce: l’altezza dell’amore è l’altezza di Gesù e a quest’altezza Egli attira tutti.

Molto opportunamente la liturgia ci fa meditare questo testo del Vangelo di Giovanni nell’odierna quinta domenica di Quaresima, mentre si avvicinano i giorni della Passione del Signore, nella quale ci immergeremo spiritualmente a partire da domenica prossima, detta appunto domenica delle Palme e della Passione del Signore. E’ come se la Chiesa ci stimolasse a condividere lo stato d’animo di Gesù, volendoci preparare a rivivere il mistero della sua crocifissione, morte e risurrezione non come spettatori estranei, bensì come protagonisti insieme con Lui, coinvolti nel suo mistero di croce e di risurrezione. Laddove infatti è Cristo devono trovarsi anche i suoi discepoli, che sono chiamati a seguirlo, a solidarizzare con Lui nel momento del combattimento, per essere compartecipi della sua vittoria.

In che consista la nostra associazione alla sua missione lo spiega il Signore stesso. Parlando della sua prossima morte gloriosa, egli utilizza una semplice e insieme suggestiva immagine: "Se il chicco di grano caduto in terra, non muore, rimane solo, se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12,24). Paragona se stesso a un "chicco di grano disfatto, per portare a tutti molto frutto", secondo una efficace espressione di sant’Atanasio; e solo mediante la morte, la croce, Cristo porta molto frutto per tutti i secoli. Non bastava infatti che il Figlio di Dio si fosse incarnato. Per portare a compimento il piano divino della salvezza universale, occorreva che Egli venisse ucciso e sepolto: solo così tutta la realtà umana sarebbe stata accettata e, mediante la sua morte e risurrezione, si sarebbe reso manifesto il trionfo della Vita, il trionfo dell’Amore; si sarebbe dimostrato che l’amore è più forte della morte.

Tuttavia, l’uomo Gesù – che era un vero uomo con i nostri stessi sentimenti - avvertiva il peso della prova e la tristezza amara per la tragica fine che lo attendeva. Proprio essendo Uomo-Dio, sperimentava tanto maggiormente il terrore di fronte all’abisso del peccato umano e di quanto vi è di sporco nell’umanità, che Egli doveva portare con sé e consumare nel fuoco del suo amore. Tutto questo Egli doveva portare con sé e trasformare nel suo amore. "Adesso – Egli confessa – l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora?" (Gv 12,27). Affiora la tentazione di chiedere: "Salvami, non permettere la croce, dammi la vita!" Cogliamo in questa sua accorata invocazione un anticipo della struggente preghiera del Getsemani, quando, sperimentando il dramma della solitudine e della paura, implorerà il Padre di allontanare da Lui il calice della passione. Allo stesso tempo, però, non viene meno la sua filiale adesione al disegno divino, perché proprio per questo sa di essere giunto a quest’ora, e con fiducia prega: "Padre, glorifica il tuo nome" (Gv 12,28). Con questo vuol dire: "Accetto la croce" - nella quale si glorifica il nome di Dio, cioè la grandezza del suo amore. Anche qui Gesù anticipa le parole del Monte degli Ulivi: "Non la mia, ma la tua volontà sia fatta". Egli trasforma la sua volontà umana e la identifica con quella di Dio. Questo è il grande evento del Monte degli Ulivi, il percorso che dovrebbe realizzarsi fondamentalmente in ogni nostra preghiera: trasformare, lasciare che la grazia trasformi la nostra volontà egoistica e la apra ad uniformarsi alla volontà divina. Gli stessi sentimenti affiorano nel brano della Lettera agli Ebrei, proclamato nella seconda lettura. Prostrato da un’angoscia estrema a causa della morte che incombe, Gesù offre a Dio preghiere e suppliche "con forti grida e lacrime" (Eb 5,7). Invoca aiuto da Colui che può liberarlo, sempre però restando abbandonato nelle mani del Padre. E proprio per questa sua filiale fiducia verso Dio – nota l’autore – è stato esaudito, nel senso che è risorto, ha ricevuto la vita nuova e definitiva. La Lettera agli Ebrei ci fa capire che queste preghiere insistenti di Gesù, con lacrime e grida, erano il vero atto del sommo sacerdote, col quale offriva se stesso e l’umanità al Padre, trasformando così il mondo.

Cari fratelli e sorelle, questo è il cammino esigente della croce che Gesù indica a tutti i suoi discepoli. Più volte ha detto: "Se uno mi vuole servire, mi segua". Non c’è alternativa per il cristiano, che voglia realizzare la propria vocazione. E’ la "legge" della Croce descritta con l’immagine del chicco di grano che muore per germinare a nuova vita; è la "logica" della Croce richiamata anche nel Vangelo odierno: "Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna". "Odiare" la propria vita è una espressione semitica forte e paradossale, che ben sottolinea la radicale totalità che deve contraddistinguere chi segue Cristo e si pone, per suo amore, al servizio dei fratelli: perde la vita e così la trova. Non esiste altra via per sperimentare la gioia e la vera fecondità dell’Amore: la via del darsi, del donarsi, del perdersi per trovarsi.

Cari amici, l’invito di Gesù risuona particolarmente eloquente nell’odierna celebrazione in questa vostra Parrocchia. Essa è infatti dedicata al Santo Volto di Gesù: quel Volto che "alcuni greci", di cui parla il Vangelo, desideravano vedere; quel Volto che nei prossimi giorni della Passione contempleremo sfigurato a causa dei peccati, dell’indifferenza e dell’ingratitudine degli uomini; quel Volto radioso di luce e sfolgorante di gloria, che brillerà nell’alba del giorno di Pasqua. Manteniamo fissi il cuore e la mente sul Volto di Cristo, cari fedeli, che saluto con affetto ad iniziare dal vostro Parroco, don Luigi Coluzzi, al quale sono grato anche per essersi fatto interprete dei vostri sentimenti. Grazie per la vostra cordiale accoglienza: sono veramente lieto di trovarmi in mezzo a voi in occasione del 3° anniversario della dedicazione di questa vostra chiesa e tutti vi saluto con affetto. Un saluto speciale rivolgo al Cardinale Vicario, come anche al Cardinale Fiorenzo Angelini, che ha contribuito alla realizzazione di questo nuovo complesso parrocchiale, al Vescovo Ausiliare del Settore, al Vescovo Mons. Marcello Costalunga e agli altri Presuli presenti, ai sacerdoti collaboratori parrocchiali, alle benemerite religiose della Congregazione delle Povere Figlie della Visitazione, che proprio di fronte a questa bella chiesa accudiscono gli ospiti nella loro Casa di Riposo per anziani. Saluto i catechisti, il Consiglio e gli operatori pastorali e quanti collaborano alla vita della Parrocchia; saluto i bambini, i giovani e le famiglie. Estendo con piacere il mio pensiero agli abitanti della Magliana, particolarmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà. Per tutti e ciascuno prego in questa Santa Messa.

Cari fratelli e sorelle, lasciatevi illuminare dallo splendore del Volto di Cristo, e la vostra giovane comunità – che può ora usufruire di un nuovo complesso parrocchiale, moderno nella sua struttura e funzionale – camminerà unita, accomunata dall’impegno di annunciare e testimoniare il Vangelo in questo quartiere. So quanta cura voi ponete nella formazione liturgica, valorizzando ogni risorsa della vostra comunità: i lettori, il coro e quanti si dedicano all’animazione delle celebrazioni. E’ importante che la preghiera, personale e liturgica, occupi sempre il primo posto nella nostra vita. So con quanto impegno vi dedicate alla catechesi, perché risponda alle attese dei ragazzi, tanto di quelli che si apprestano a ricevere i sacramenti della Prima Comunione e della Confermazione, quanto di quelli che frequentano l’Oratorio. Vi preoccupate anche di assicurare una catechesi adatta ai genitori, che invitate a compiere un percorso di formazione cristiana insieme ai loro figli. Volete così aiutare le famiglie a vivere insieme gli appuntamenti sacramentali educando ed educandosi alla fede "in famiglia", che deve essere la prima e naturale "scuola" di vita cristiana per tutti i suoi membri. Mi rallegro con voi perché la vostra parrocchia è aperta ed accogliente, animata e resa viva da un amore sincero verso Dio e verso tutti i fratelli, ad imitazione di san Massimiliano Maria Kolbe, a cui in origine essa era dedicata. Ad Auschwitz, con eroico coraggio, egli sacrificò se stesso per salvare la vita altrui. In questo nostro tempo, segnato da una generale crisi sociale ed economica, molto meritevole è lo sforzo che state compiendo, attraverso soprattutto la Caritas parrocchiale e il gruppo S. Egidio, per andare incontro, come è possibile, alle attese dei più poveri e bisognosi.

Uno speciale incoraggiamento vorrei riservare a voi, cari giovani: lasciatevi coinvolgere dal fascino di Cristo! Fissando, con gli occhi della fede, il suo Volto, chiedetegli: "Gesù, cosa vuoi che io faccia con Te e per Te?". Rimanete quindi in ascolto e, guidati dal suo Spirito, assecondate il disegno che Egli ha su di voi. Preparatevi seriamente a costruire famiglie unite e fedeli al Vangelo e ad essere suoi testimoni nella società; se poi Lui vi chiama, siate pronti a dedicare totalmente la vostra esistenza al suo servizio nella Chiesa come sacerdoti o come religiosi e religiose. Io vi assicuro la mia preghiera; in particolare, vi aspetto giovedì prossimo nella Basilica di San Pietro per prepararci alla Giornata Mondiale della Gioventù, che, come sapete, si celebra quest’anno a livello diocesano, Domenica prossima. Ricorderemo insieme il mio caro e venerato predecessore Giovanni Paolo II, nel IV anniversario della sua morte. In molte circostanze egli ha incoraggiato i giovani ad incontrare Cristo e a seguirlo con entusiasmo e generosità.
Cari fratelli e sorelle di questa comunità parrocchiale, l’infinito amore di Cristo che brilla nel suo Volto risplenda in ogni vostro atteggiamento, e diventi la vostra "quotidianità". Come esortava sant’Agostino in una omelia pasquale, "Cristo ha patito; moriamo al peccato. Cristo è risuscitato; viviamo per Dio. Cristo è passato da questo mondo al Padre; non si attacchi qui il nostro cuore, ma lo segua nelle cose di lassù. Il nostro capo fu appeso sul legno; crocifiggiamo la concupiscenza della carne. Giacque nel sepolcro; sepolti con Lui dimentichiamo le cose passate. Siede in cielo; trasferiamo i nostri desideri alle cose supreme" (S. Agostino, Discorso 229/D,1).
Animati da tale consapevolezza, proseguiamo la celebrazione eucaristica, invocando la materna intercessione di Maria, perché la nostra esistenza diventi un riflesso di quella di Cristo. Preghiamo perché quanti ci incontrano percepiscano sempre nei nostri gesti e nelle nostre parole la pacificante e consolatrice bontà del suo Volto. Amen!

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana



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Caterina63
00sabato 6 marzo 2010 19:15
Domenica Benedetto XVI in visita alla parrocchia romana di San Giovanni della Croce a Colle Salario

Una comunità di periferia aperta alla condivisione


Roma comunità aperta:  è una realtà popolare, crocevia di umanità vera dove si completano a vicenda esperienze spirituali diverse, la parrocchia di San Giovanni della Croce a Colle Salario, nel quadrante periferico nord della città, che domenica 7 marzo accoglierà Benedetto XVI in visita pastorale.

La comunità è letteralmente la casa di Dio tra le case, non certo di lusso, degli uomini. Anzi, per dodici anni, fino al 2001, è stato un negozio di 185 metri quadrati, con tanto di insegna luminosa, a far da chiesa, canonica e aula di catechismo. Ma quello stanzone era già una casa che faceva sentire una famiglia. È proprio lo stare in mezzo alla gente, con una pastorale sui marciapiedi, ad aver suscitato uno spirito di unità e di condivisione.
 
"Fin dal primo giorno, ventuno anni fa, siamo stati davvero come una grande famiglia, ci siamo sentiti subito comunità" dice don Enrico Gemma, 68 anni, parroco fondatore, che da giovane ha vissuto l'esperienza del Carmelo così intensamente da ottenere che la parrocchia fosse dedicata a san Giovanni della Croce. È grazie a lui che oggi c'è un pezzo di Carmelo a Castel Giubileo.
Per il parroco la visita del Papa "è un regalo dal cielo". L'appuntamento è per la messa alle 9.30. Per chi non troverà posto  in  chiesa  ci  sarà  un maxi-schermo nel salone parrocchiale, chiamato familiarmente "la casa".

Don Gemma, che per 12 anni ha alzato la saracinesca della sua chiesa-negozio, ha visto nascere il quartiere che è ancora in forte espansione, con tutti i problemi di ogni periferia dove la crisi economica si fa sentire di più e cassa integrazione e disoccupazione sono la normalità. "L'esperienza di quei primi anni - riconosce - rimane fondamentale per la comunità. Ha segnato uno stile di vita che tuttora ci contraddistingue. Mentre il quartiere era ancora in costruzione si andava formando anche il primo nucleo della comunità. Favoriti dall'essere privi di strutture, di programmi e di tradizioni, abbiamo fatto una forte esperienza della Parola di Dio".

L'abitudine all'essenziale, a rapporti umani diretti, non ha fatto sentire appagata la comunità nel passaggio dallo spazio arrangiato alla nuova chiesa. "Una volta entrati nel nuovo e grande complesso parrocchiale - ricorda - la vita è come esplosa in molteplici forme di attività e di partecipazione". La "Chiesa di persone" ha fatto buon uso della "chiesa di mattoni". Così "ora gli ambiti della liturgia, della catechesi e della carità sono articolati in efficienti programmi pastorali" e "proprio quest'anno sono oggetto della provvidenziale verifica che è in atto nella diocesi di Roma".
 
"Le celebrazioni domenicali - racconta - sono abbastanza partecipate e ciascuna è animata, a turno, dai gruppi e dai movimenti". Il risultato è che "la partecipazione dei fedeli è più consapevole e attiva". La catechesi dell'iniziazione cristiana, insieme all'oratorio, coinvolge 400 bambini e ragazzi, tra gli 8 e 15 anni, seguiti da settanta catechisti e animatori. Inoltre 60 giovani "sono impegnati nei vari cammini spirituali" mentre la preparazione dei fidanzati al matrimonio (35 coppie ogni anno) e dei genitori al battesimo dei propri figli (70 all'anno) sono "preziose occasioni per far riscoprire un volto di Chiesa che molti di loro non conoscevano".

La pastorale a San Giovanni della Croce è per forza di cose "giovanile", considerata l'età media dei residenti nel territorio. Le famiglie sono 3.300 - circa 16.000 gli abitanti - ma presto se ne aggiungeranno altre mille, "a mano a mano che vengono ultimate le nuove costruzioni". Per la maggior parte sono famiglie giovani, con figli ancora in età scolastica. "Un quarto della popolazione risiede nelle case popolari e non mancano tante situazioni di povertà e disagio" a cui la parrocchia risponde con la Caritas che "assiste oltre 80 famiglie in difficoltà".

Don Gemma indica come caratteristica e "ricchezza della comunità" l'apertura fin dalla nascita "ai movimenti e alle nuove comunità ecclesiali. Insieme abbiamo maturato una più ampia coscienza di Chiesa e abbiamo potuto sperimentare nuove forme di evangelizzazione". Nella comunità sono attivi il movimento dei focolari, la comunità di Sant'Egidio, il cammino neocatecumenale, il rinnovamento carismatico e due movimenti mariani, la casa di Maria e il gruppo Sacri.

"Questa particolare configurazione della comunità - spiega - da una parte ci dà l'opportunità di offrire ai fedeli diversi cammini spirituali e dall'altra ci impegna seriamente a coinvolgere tutte le realtà in un progetto pastorale unitario". Un ruolo di primo piano lo hanno i cento laici direttamente impegnati "nei vari ambiti pastorali e organizzativi" della parrocchia:  si sentono corresponsabili dell'essere e dell'agire della Chiesa e non solo collaboratori del clero. E una testimonianza visibile di unità è sempre venuta dai sacerdoti e dalla loro "comunione gioiosa e operosa che è un segno e una grazia per la parrocchia". È con questa veste che domenica si presenterà al Papa una comunità che, conclude il parroco, "è tutt'altro che perfetta ma certamente viva e in cammino".


(©L'Osservatore Romano - 7 marzo 2010)

Caterina63
00domenica 7 marzo 2010 12:16
Alle ore 9 di oggi - III Domenica di Quaresima - il Santo Padre Benedetto XVI si è recato in visita pastorale alla parrocchia di San Giovanni della Croce a Colle Salario, nel settore nord della diocesi di Roma.

Il Papa ha presieduto alla 9.30 la celebrazione della Santa Messa nel corso della quale, dopo la proclamazione del Vangelo, ha pronunciato la seguente omelia:


Il Santo Padre, in particolare invita TUTTI I GRUPPI E MOVIMENTI PRESENTI NELLA PARROCCHIA AD IMPEGNARSI IN UN UNICA PASTORALE COMUNE, QUELLA DELLA DIOCESI E NON AD AVANZARE PER CONTO PROPRIO...

Vi esorto a proseguire con coraggio in questa direzione, impegnandovi, però, a coinvolgere tutte le realtà presenti in un progetto pastorale unitario

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

"Convertitevi, dice il Signore, il regno dei cieli è vicino" abbiamo proclamato prima del Vangelo di questa terza domenica di Quaresima, che ci presenta il tema fondamentale di questo ‘tempo forte’ dell'anno liturgico: l'invito alla conversione della nostra vita ed a compiere degne opere di penitenza. Gesù, come abbiamo ascoltato, evoca due episodi di cronaca: una repressione brutale della polizia romana all’interno del tempio (cfr Lc 13,1) e la tragedia dei diciotto morti per il crollo della torre di Siloe (v. 4).

La gente interpreta questi fatti come una punizione divina per i peccati di quelle vittime, e, ritenendosi giusta, si crede al riparo da tali incidenti, pensando di non avere nulla da convertire nella propria vita. Ma Gesù denuncia questo atteggiamento come un’illusione: "Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo" (vv. 2-3). Ed invita a riflettere su quei fatti, per un maggiore impegno nel cammino di conversione, perché è proprio il chiudersi al Signore, il non percorrere la strada della conversione di se stessi, che porta alla morte, quella dell’anima.

In Quaresima, ciascuno di noi è invitato da Dio a dare una svolta alla propria esistenza pensando e vivendo secondo il Vangelo, correggendo qualcosa nel proprio modo di pregare, di agire, di lavorare e nelle relazioni con gli altri. Gesù ci rivolge questo appello non con una severità fine a se stessa, ma proprio perché è preoccupato del nostro bene, della nostra felicità, della nostra salvezza. Da parte nostra, dobbiamo rispondergli con un sincero sforzo interiore, chiedendogli di farci capire in quali punti in particolare dobbiamo convertirci.

La conclusione del brano evangelico riprende la prospettiva della misericordia, mostrando la necessità e l’urgenza del ritorno a Dio, di rinnovare la vita secondo Dio. Riferendosi ad un uso del suo tempo, Gesù presenta la parabola di un fico piantato in una vigna; questo fico, però, risulta sterile, non dà frutti (cfr Lc 13,6-9). Il dialogo che si sviluppa tra il padrone e il vignaiolo, manifesta, da una parte, la misericordia di Dio, che ha pazienza e lascia all’uomo, a tutti noi, un tempo per la conversione; e, dall’altra, la necessità di avviare subito il cambiamento interiore ed esteriore della vita per non perdere le occasioni che la misericordia di Dio ci offre per superare la nostra pigrizia spirituale e corrispondere all’amore di Dio con il nostro amore filiale.

Anche San Paolo, nel brano che abbiamo ascoltato, ci esorta a non illuderci: non basta essere stati battezzati ed essere nutriti alla stessa mensa eucaristica, se non si vive come cristiani e non si è attenti ai segni del Signore (cfr 1 Cor 10,1-4).

Carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia di San Giovanni della Croce! Sono molto lieto di essere in mezzo a voi, oggi, per celebrare con voi il Giorno del Signore. Saluto cordialmente il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il vostro Parroco, don Enrico Gemma, che ringrazio per le belle parole rivoltemi a nome di tutti voi, e gli altri Sacerdoti che lo coadiuvano. Vorrei poi estendere il mio pensiero a tutti gli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà. Tutti e ciascuno ricordo al Signore in questa Santa Messa.

So che la vostra Parrocchia è una comunità giovane. Infatti, ha iniziato la sua attività pastorale nel 1989, per un periodo di dodici anni in un locale provvisorio, e poi nel nuovo complesso parrocchiale. Ora che avete un nuovo edificio sacro, la mia visita desidera incoraggiarvi a realizzare sempre meglio quella Chiesa di pietre vive che siete voi. So che l’esperienza dei primi dodici anni ha segnato uno stile di vita che tuttora permane. La mancanza di strutture adeguate e di tradizioni consolidate vi ha spinto, infatti, ad affidarvi alla forza della Parola di Dio, che è stata lampada nel cammino e ha portato frutti concreti di conversione, di partecipazione ai Sacramenti, specie all’Eucaristia domenicale, e di servizio. Vi esorto ora a fare di questa Chiesa un luogo in cui si impara sempre meglio ad ascoltare il Signore che ci parla nelle sacre Scritture. Queste rimangono sempre il centro vivificante della Vostra comunità affinché diventi scuola continua di vita cristiana, da cui parte ogni attività pastorale.

La costruzione del nuovo tempio parrocchiale vi ha spinto a un corale impegno apostolico, con una particolare attenzione al campo della catechesi e della liturgia. Mi congratulo per gli sforzi pastorali che andate compiendo. So che vari gruppi di fedeli si radunano per pregare, formarsi alla scuola del Vangelo, partecipare ai Sacramenti – soprattutto della Penitenza e dell’Eucaristia – e vivere quella dimensione essenziale per la vita cristiana che è la carità. Penso con gratitudine a quanti contribuiscono a rendere più vive e partecipate le celebrazioni liturgiche, ed ancora a quanti, con la Caritas parrocchiale e il gruppo di Sant’Egidio, cercano di andare incontro alle tante esigenze del territorio, specialmente alle attese dei più poveri e bisognosi. Penso, infine, a quanto andate lodevolmente compiendo in favore delle famiglie, dell’educazione cristiana dei figli e di quanti frequentano l’Oratorio.

Sin dal suo nascere, questa Parrocchia si è aperta ai Movimenti ed alle nuove Comunità ecclesiali, maturando così una più ampia coscienza di Chiesa e sperimentando nuove forme di evangelizzazione. Vi esorto a proseguire con coraggio in questa direzione, impegnandovi, però, a coinvolgere tutte le realtà presenti in un progetto pastorale unitario. Ho appreso con favore che la vostra comunità si propone di promuovere, nel rispetto delle vocazioni e dei ruoli dei consacrati e dei laici, la corresponsabilità di tutti i membri del Popolo di Dio. Come ho già avuto modo di ricordare, ciò esige un cambiamento di mentalità, soprattutto nei confronti dei laici, "passando dal considerarli «collaboratori» del clero a riconoscerli realmente «corresponsabili» dell’essere e dell’agire della Chiesa, favorendo così la promozione di un laicato maturo ed impegnato" (cfr Discorso di apertura del Convegno pastorale della Diocesi di Roma - 26 maggio 2009).


Carissime famiglie cristiane, carissimi giovani che abitate in questo quartiere e che frequentate la parrocchia, lasciatevi sempre più coinvolgere dal desiderio di annunciare a tutti il Vangelo di Gesù Cristo. Non aspettate che altri vengano a portarvi altri messaggi, che non conducono alla vita, ma fatevi voi stessi missionari di Cristo per i fratelli, dove vivono, lavorano, studiano o soltanto trascorrono il tempo libero. Avviate anche qui una capillare e organica pastorale vocazionale, fatta di educazione delle famiglie e dei giovani alla preghiera e a vivere la vita come un dono che proviene da Dio.

Cari fratelli e sorelle! Il tempo forte della Quaresima invita ciascuno di noi a riconoscere il mistero di Dio, che si fa presente nella nostra vita, come abbiamo ascoltato nella prima lettura. Mosè vede nel deserto un roveto che arde, ma non si consuma. In un primo momento, spinto dalla curiosità, si avvicina per vedere questo avvenimento misterioso quand’ecco che dal roveto una voce lo chiama, dicendo: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe" (Es 3,6). Ed è proprio questo Dio che lo rimanda in Egitto con l’incarico di condurre il popolo di Israele nella terra promessa, domandando al faraone, nel Suo nome, la liberazione di Israele.

A questo punto, Mosè chiede a Dio qual è il Suo nome, il nome con cui Dio mostra la Sua particolare autorità, in modo da potersi presentare al popolo e poi al faraone. La risposta di Dio può sembrare strana; appare un rispondere e non rispondere. Egli dice di sé semplicemente: "Io sono colui che sono!". "Egli è", e questo deve bastare. Dio, quindi, non ha rifiutato la richiesta di Mosè, manifesta il proprio nome, creando così la possibilità dell’invocazione, della chiamata, del rapporto. Rivelando il suo nome Dio stabilisce una relazione tra sé e noi. Si rende invocabile, entra in rapporto con noi e ci dà la possibilità di stare in rapporto con lui. Ciò significa che Egli si consegna, in qualche modo, al nostro mondo umano, divenendo accessibile, quasi uno di noi. Affronta il rischio della relazione, dell’essere con noi. Ciò che ebbe inizio presso il roveto ardente nel deserto si compie presso il roveto ardente della croce, dove Dio, divenuto accessibile nel suo Figlio fatto uomo, fatto realmente uno di noi, viene consegnato nelle nostre mani e, in tal modo, realizza la liberazione dell’umanità.

Sul Golgota Dio, che durante la notte della fuga dall’Egitto si è rivelato come Colui che libera dalla schiavitù, si rivela come Colui che abbraccia ogni uomo con la potenza salvifica della Croce e della Risurrezione e lo libera dal peccato e dalla morte, lo accetta nell’abbraccio del Suo amore.

Rimaniamo nella contemplazione di questo mistero del nome di Dio per comprendere meglio il mistero della Quaresima, e vivere come singoli e come comunità in permanente conversione, in modo da essere nel mondo costante epifania, testimonianza del Dio vivente, che libera e salva per amore. Amen.

[00301-01.02] [Testo originale: Italiano]



[SM=g1740722]
Caterina63
00lunedì 8 marzo 2010 18:47

Dalla periferia un invito a politiche per le famiglie


Gli amministratori di Roma mettano in atto politiche per sostenere le famiglie e la periferia. Da parte sua, la parrocchia si apra sempre più all'accoglienza facendo tesoro del mandato del  Papa:  un progetto pastorale unitario per portare il Vangelo a ogni persona, con i laici corresponsabili e non solo collaboratori dei sacerdoti. È con questa intenzione di preghiera, durante  la  messa celebrata dal Pontefice, che è stata rilanciata la missione della comunità di San Giovanni della Croce nella periferia nord della città.

Domenica mattina Colle Salario ha accolto il Papa con entusiasmo. La sua presenza ha dato visibilità a una zona fuori dalle direttrici cittadine se non per un grande centro commerciale.  Per  dare il benvenuto a Benedetto XVI moltissime persone sono scese per strada, altre lo hanno salutato dalla finestre dando vivacità anche ai grigi palazzoni che delineano il profilo del quartiere. E il Papa ha risposto subito alla calorosa accoglienza, tanto che il parroco don Enrico Gemma gli ha rivolto, nel saluto ufficiale all'inizio della messa, un "grazie particolare" proprio "per come ha salutato e benedetto ciascuno dei bambini che l'hanno accolta fuori dalla chiesa".

La visita, ha poi commentato il parroco, ha portato novità, speranza e calore nel quartiere che lo ha visto come un "padre, tenero e umile, vicino alla gente". E prima di lasciare Castel Giubileo per far rientro in Vaticano, il Papa ha rilanciato la missione che parte dalla conversione. "Cari fratelli e sorelle - ha detto a braccio - grazie per la vostra cordialità, per questa accoglienza così fraterna e una buona  domenica a voi tutti. Comincia la primavera e il senso della Quaresima è un rinnovamento interiore, cioè vincere l'inverno in noi, la freddezza,  la mancanza di sole e di verità.  E  incoraggiati dalla Parola di Dio andiamo avanti pregando che il Signore  ci aiuti a crescere nella bontà, nella carità e così essere più vicini a Dio".

Momento centrale della visita è stata la messa. Con il Papa hanno concelebrato, oltre al parroco, il cardinale vicario Agostino Vallini, il vescovo ausiliare per il settore nord, Guerino Di Tora, e il sacerdote congolese Adeodatus Muhigi, collaboratore parrocchiale. C'erano anche i due viceparroci, il sardo Paolo Casu e l'honduregno César Fonseca, ordinati insieme nel 2006 da Benedetto XVI; il diacono Giuseppe Costa, prossimo al sacerdozio, e il diacono permanente Salvatore Bolla che ha proclamato il Vangelo. Presenti l'arcivescovo James Michael Harvey, prefetto della Casa Pontificia,  il vescovo Paolo De Nicolò,  reggente,  e monsignor Georg Gänswein, segretario particolare del Papa.

Nel ringraziare il Pontefice all'inizio del rito, il parroco ha indicato nella "comunione affettiva e pastorale il punto di forza dei progetti pastorali e della vita ecclesiale". Nella preghiera dei fedeli sono stati ricordati quanti vivono in situazioni di violenza e povertà; l'ultima intenzione l'ha letta Federico, 8 anni:  al "caro Gesù" ha chiesto di proteggere e sostenere Benedetto XVI nella sua missione di pace e di amore nelle strade del mondo. All'offertorio ha partecipato una rappresentanza degli stranieri che abitano nel quartiere e una famiglia italiana con quattro figli. Dopo la messa, il Papa ha salutato gli ammalati e due ragazzi con sindrome di down, il sedicenne Federico e il diciassettenne Emanuel con cui ha scambiato una reciproca carezza sul volto.

I laici sono stati i protagonisti della seconda parte della visita. Nel salone chiamato "la casa" perché luogo di ritrovo della comunità, Benedetto XVI ha incontrato una rappresentanza di catechisti e appartenenti al movimento dei focolarini, alla Sant'Egidio, al cammino neocatecumenale, al rinnovamento carismatico e a gruppi mariani.

Quindi ha ascoltato Anna Rita Vittucci fare il punto sulla storia e i progetti della comunità. Movimenti e nuove comunità ecclesiali, ha riconosciuto la donna, continuano a essere "validi cammini spirituali" che lavorano insieme "all'opera di evangelizzazione". Una parola di gratitudine l'ha avuta per i sacerdoti che, "provenienti da varie nazionalità e legati a diverse spiritualità, danno un segno visibile di comunione fraterna". Proprio ai sacerdoti il Papa ha lasciato la casula con cui ha celebrato la messa. A sua volta, la comunità ha donato un'immagine mariana e un'icona raffigurante san Giovanni della Croce. I bambini hanno pensato a un regalo tutto loro raccogliendo le lettere scritte in questi giorni per dirgli grazie della visita.


(©L'Osservatore Romano - 8-9 marzo 2010)


Santa Messa alla parrocchia romana di San Giovanni della Croce...



























 

Caterina63
00giovedì 11 marzo 2010 10:52
Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel visitare questo domenica la parrocchia di San Giovanni della Croce a Colle Salario, nel settore nord della diocesi di Roma.
Omelia il cui testo è esposto integralmente nel messaggio precedente...
domenica, 7 marzo 2010






[SM=g1740717]



[SM=g1740722]

Caterina63
00lunedì 24 maggio 2010 09:13
[SM=g1740722] ottimo segnale di ripresa

Il 24 Giugno la benedizione della statua di Maria ‘Salus Popoli Romani’ tornata al suo antico splendore nel quartiere Monte Mario dopo sei mesi di ristrutturazione

CITTA’ DEL VATICANO - Il 24 giugno , il Papa benedira' - dopo i restauri e la ricollocazione seguiti al rovinoso crollo dello scorso 12 ottobre - la grande statua della Vergine "Salus populi romani" eretta a Monte Mario in ricordo della Seconda Guerra Mondiale, per ringraziare la Madonna del fatto che la liberazione era avvenuta senza disordini e spargimento di sangue.

[SM=g1740738]


L'iniziativa fu presa dai Figli di Don Orione in ottemperanza al voto di Pio XII che il 4 giugno del 1944 aveva chiesto a Maria di proteggere la citta'. La statua di rame dorato, alta 9 metri di altezza, e' nota come "la Madonnina di Monte Mario" ed e' visibile da diversi quartieri della Capitale perche' domina Roma Nord dal suo piedistallo di 19 metri, dal quale era crollata sette mesi fa in seguito a un forte temporale con vento violento.

Un incidente che, sottolinea la Sala Stampa della Santa Sede, "ha provocato un vasto moto di affetto e di devozione da parte di autorita' e di popolo della Capitale con la richiesta di rivedere quanto prima la Madonnina benedicente al suo posto".

Lo stesso Benedetto XVI, in un messaggio al superiore Generale degli Orionini, don Flavio Peloso, aveva auspicato "che la statua venga quanto prima ricollocata a devozione di tutti i romani".

Per questo, afferma la nota diffusa dal Vaticano, "il breve pellegrinaggio del Santo Padre, con la benedizione della Madonnina restaurata, assume un grande significato religioso e civile per tutta la citta', essendo la statua memoria di eventi storici incisi nella coscienza popolare".

Ai lavori di restauro ha collaborato l'Associazione dei Costruttori Edili Romani ed hanno contribuito miglia di cittadini attraverso una colletta promossa dalla Congregazione orionina. La visita di Benedetto XVI a Monte Mario viene a coincidere anche con la "Festa del Papa" che ogni anno la Famiglia Orionina promuove in tutto il mondo, seguendo la tradizione iniziata da San Luigi Orione. A Monte Mario il Pontefice visitera' anche il Monastero domenicano di Santa Maria del Rosario.


Caterina63
00mercoledì 23 giugno 2010 00:10
Il 24 giugno Benedetto XVI in visita al centro Don Orione di Monte Mario

Un'opera di carità sociale
all'ombra della Madonnina


di Flavio Peloso
Direttore generale della Piccola Opera
della Divina Provvidenza


La statua della Madonnina di Monte Mario torna a vegliare sulla città eterna dopo essere caduta, subendo gravi danni, a causa del violento temporale abbattutosi su Roma nella notte tra il 12 e il 13 di ottobre 2009. Benedetto XVI si recherà il 24 giugno a Monte Mario per un atto di devozione e per benedire la statua. L'evento corrisponde all'annuale festa del Papa, promossa da san Luigi Orione fin dagli anni Trenta, e alla conclusione del capitolo generale della congregazione orionina.

La storia della statua dorata di Maria Salus populi Romani, popolarmente chiamata "La Madonnina" - alta 9 metri e collocata su un piedistallo di 20 metri - è legata alle drammatiche vicende della seconda guerra mondiale. Fu innalzata nel 1953 per sciogliere un voto per il quale erano state raccolte più di un milione di firme.

I tristi e confusi eventi della guerra e la trepidazione per le sorti di Roma spinsero l'associazione Amici di Don Orione a promuovere il progetto di un voto alla Madonna per la salvezza della città dalla distruzione. L'iniziativa era nata dopo il secondo bombardamento di Roma, il 9 agosto 1943. Gli Amici di Don Orione si vollero impegnare a onorare degnamente la Madre di Dio con un rinnovato impegno di vita cristiana e con opere di carità e devozione, se Roma fosse stata risparmiata dalla guerra.

A quel tempo l'associazione si riuniva ogni mese nella chiesa di Santa Caterina in Magnanapoli, messa a disposizione dal vescovo castrense monsignor Angelo Bartolomasi. Il 12 marzo 1944, quarto anniversario della morte di don Orione, dopo la celebrazione eucaristica, il professor Riccardo Moretti propose l'idea del voto:  "Sono tanti e tali i guai in cui ci dibattiamo - disse - che non v'è che un rimedio:  ricorrere alla Madonna, come fece don Orione nel 1917, quando fece fare un voto al popolo a Tortona".

Per coinvolgere in questa iniziativa tutta la città, si rivolsero all'allora sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Battista Montini, amico di don Orione. Egli sostenne il proposito e consigliò di rivolgersi a padre Gilla Gremigni, decano dei parroci e assistente dell'Azione Cattolica, per organizzare il voto popolare alla Madonna. Pio xii fece propria l'iniziativa e, il 24 aprile dello stesso anno, esortò il popolo romano ad affidarsi a colei che era onorata  col  titolo  di  Salus  populi Romani.

Due giorni dopo, gli Amici di Don Orione, che avevano la loro sede a Trastevere, in via Induno, trasformarono l'appello del Pontefice in una lettera, che fu stampata nell'istituto San Filippo Neri, sulla via Appia, e diffusa tramite allievi ed ex allievi in tutta la città. Così ricordava quei momenti don Gaetano Piccinini, che per diversi anni fu assistente degli Amici di Don Orione:  "La scintilla partita da via Induno divenne fuoco nella parrocchia di Ognissanti, e vero incendio nei giorni successivi, ovunque. In poco più di un mese, un computo delle firme raccolte ne indicò un milione e centomila".

Nel frattempo, all'alba del 24 gennaio 1944, venne trasportata a Roma l'immagine della Madonna del Divino Amore, perché si temeva per la sua incolumità. Infatti, dopo lo sbarco delle truppe alleate a Nettuno, si era aperto un nuovo fronte alle porte di Roma. Dopo una breve peregrinazione, il 20 maggio l'immagine fu esposta stabilmente nella chiesa di Sant'Ignazio, dove poté ricevere l'omaggio e la devozione del popolo romano.

L'avvicinarsi del fronte rendeva la situazione sempre più critica. Per questo, alle 17 del 4 giugno, quando le sorti della città erano disperate, su indicazione di Pio xii, il camerlengo dei parroci, padre Gilla Gremigni, leggeva in Sant'Ignazio la formula della promessa per la salvezza di Roma che comprendeva due impegni:  di ricondurre la propria vita a cristiana austerità di costumi e di contribuire alla fondazione di un'opera di religione e di carità, in modo che rimanesse nei secoli memoria della pietà riconoscente del popolo romano.

Alle 19 circa di quello stesso giorno, le truppe alleate cominciarono a entrare in città, senza trovare la minima resistenza da parte dei tedeschi che ne uscivano. Conferma don Piccinini:  "Lo scambio degli eserciti, per misericordia di Maria e per l'opera del Papa avveniva senza che la città santa avesse menomamente a soffrirne. La promessa, pochi giorni appresso, verrà rinnovata con l'intervento del Santo Padre e ripetuta  poi  in  tutte  le  parrocchie  di Roma".

Rivolgendosi alla gran folla che il giorno dopo si era riunita spontaneamente in piazza San Pietro, alla stessa ora in cui era stato pronunciato il voto, il Papa subito attribuì la salvezza della città all'intervento della Madonna:  "Roma, ieri ancora trepidante per la vita dei suoi figli e delle sue figlie, per la sorte di incomparabili tesori di religione e di cultura, con dinanzi agli occhi lo spettro terrificante della guerra e di inimmaginabili distruzioni, guarda oggi con nuova speranza e con rafforzata fiducia alla salvezza".

L'11 giugno successivo, lo stesso Pontefice volle recarsi personalmente a Sant'Ignazio per esprimere pubblicamente la sua riconoscenza alla Madonna del Divino Amore per la salvezza di Roma, e per impetrare la pace per l'Italia e il mondo.

Il voto, suscitato dagli Amici di Don Orione e sostenuto da monsignor Montini e dagli interventi appassionati di Pio xii, si era allargato a tutta la città di Roma ed era stato portato a compimento favorendo le opere di carità e di religione di don Umberto Terenzi al santuario della Madonna del Divino Amore. La congregazione di don Orione diede vita a una grande opera benefica per le vittime della guerra più innocenti e indifese, ossia un centro per orfani e mutilatini alla Camilluccia, su Monte Mario, negli edifici della ex Gioventù italiana del littorio.

Dopo le opere di carità, si pensò di porre anche un segno tangibile di riconoscenza alla Madre di Dio, una grande statua. Lo scultore Arrigo Minerbi, ebreo, in segno di gratitudine per la salvezza che gli era stata offerta dagli orionini a Roma negli anni della persecuzione, promise:  "Datemi del rame e ve la farò io la statua". Nacque nell'associazione Amici di Don Orione una vera e propria gara per cercare il rame occorrente per la statua, che finalmente fu posta sul piedistallo il 3 aprile, sabato di Pasqua del 1953.

Visibile a gran parte della città, la statua della Madonna Salus populi Romani che s'innalza su Monte Mario è segno eloquente della materna intercessione di Maria per la città di Roma e dell'impegno che il popolo romano sancì "promettendo con fermezza di anima il rinnovamento dei costumi cristiani".

È facilmente immaginabile lo stupore e il dolore che colpì la città quando, il 13 ottobre 2009, non vide più la sua Madonnina perché caduta dal piedistallo. La gente si riversò al centro Don Orione. Autorità religiose e civili espressero la commozione e il desiderio di vederla presto restaurata e al suo posto.

Gli Amici di Don Orione ancora una volta si sono mobilitati. Determinante è stato il contributo dell'Associazione costruttori edili romani (Acer) che, unito alle offerte di altri donatori e di numerose persone, ha permesso un rapido e soddisfacente restauro a opera dell'équipe di Carlo Usai.
Il 24 giugno Benedetto XVI, rinnovando la partecipazione paterna del suo predecessore Pio xii, defensor civitatis, onorerà, benedicendola, l'immagine simbolo di fede, di trepidazione e di impegno cristiano e civile della città di Roma.



(©L'Osservatore Romano - 23 giugno 2010)
Caterina63
00mercoledì 23 giugno 2010 00:16
La comunità delle religiose di Santa Maria del Rosario incontra il Papa

Il primo monastero domenicano d'Italia


di Maria Angelica Ubbriaco
Priora del monastero domenicano
di Santa Maria del Rosario a Monte Mario


Sono trascorsi poco meno di ottanta anni dal giorno in cui quello che viene chiamato il protomonastero domenicano d'Italia fu trasferito a Monte Mario, a Roma. Era il 14 agosto 1931, infatti, quando le monache che vivevano nel monastero dei Santi Domenico e Sisto, sul colle Quirinale, trovarono definitiva sistemazione nell'ex parrocchia della Madonna del Rosario. È qui che Benedetto XVI si reca giovedì 24 giugno, dopo la visita al centro Don Orione. Ad accoglierlo troverà la comunità domenicana composta da tredici monache, di cui undici italiane, una colombiana e una slovacca.

Le origini del monastero risalgono niente meno che ai tempi della predicazione di san Domenico. Fu lui stesso a fondarlo, il 28 febbraio 1221, pochi mesi prima della sua morte. Il santo di Guzmán aveva ricevuto l'incarico da Onorio iii di occuparsi della riforma delle monache romane, fino ad allora esenti dalla clausura e senza una regola. San Domenico raccolse nel monastero di San Sisto, detto poi di San Sisto Vecchio - situato agli inizi della via Appia antica - monache provenienti da varie comunità e affidò loro una regola che prevedeva una stretta clausura. Tra le monache radunate in San Sisto vi erano quelle del vicino monastero di Santa Maria in Tempulo, che custodivano l'icona della Vergine Haghiosoritissa, che significa letteralmente "Madonna della santa urna":  si tratta di un'immagine che raffigura la Vergine orante senza il Bambino, presentata come supplice o mediatrice. L'immagine era stata trasportata da Costantinopoli a Roma da alcune monache greche nel ix secolo, per sottrarla alla furia iconoclasta.

L'icona venne dipinta probabilmente nei primi secoli del cristianesimo e forse si trovava nella più antica chiesa costruita sul sepolcro di Maria a Gerusalemme. Da qui venne trasferita a Costantinopoli per intervento dell'imperatrice Eudokia negli anni 438-439. L'immagine è alta 71,5 centimetri e larga 42,4. La Madonna è dipinta su una tavola di legno di tiglio con fondo dorato. L'icona acheropita si rifà all'originale costantinopolitano della basilica di Calchopratia. Lungo i secoli venne restaurata e ritoccata più volte, tanto che i colori e le forme originali erano stati coperti. Nel 1961 il professor Carlo Bertelli compì un delicato restauro dell'immagine, riportando i suoi colori allo splendore originario. Dopo questo intervento si è potuto affermare che l'icona è il prototipo di quasi tutte le Haghiosoritisse di Roma, anche di quella dell'Aracoeli, che si credeva fosse la prima. Il carattere bizantino dell'encolpion cruciforme, o croce greca, sul petto, con le iscrizioni "ic xc nika" è un indizio, se non della provenienza, almeno dell'ambiente fortemente grecizzante delle sue origini.

La notte del 28 febbraio 1221 san Domenico trasferì in processione la venerata icona nel monastero di San Sisto, dove rimase conservata per 354 anni. Nemmeno durante il sacco di Roma, nel 1527 - quando le monache furono costrette a rifugiarsi nel palazzo del cardinale Colonna - l'icona abbandonò il cenobio. Venne ritrovata intatta sotto le mura, nonostante l'edificio fosse stato distrutto e saccheggiato.

Nel 1575 però le monache dovettero abbandonare il monastero a causa della malaria, che ogni anno mieteva vittime, e si stabilirono nel monastero dei Santi Domenico e Sisto a Magnanapoli, nei pressi del Quirinale, attualmente sede della Pontificia Università San Tommaso d'Aquino. Ma le vicissitudini della comunità non finirono. Nel 1871 il governo italiano confiscò il monastero e alle monache venne concesso di rimanere in una piccola abitazione adiacente. Nel 1928 il governo decise di vendere l'edificio, tanto che Pio xi, venendolo a sapere, consigliò all'allora maestro generale dell'ordine dei frati predicatori, Garcia de Paredes, di acquistare l'immobile ricco di memorie storiche per sottrarlo alle speculazioni. Mussolini, dopo aver avuto assicurazione che l'ordine si sarebbe occupato della sistemazione delle monache, cedette l'edificio e la chiesa annessa. Si arrivò così al 1931, quando la comunità fu costretta a trasferirsi di nuovo. Come dimora vennero scelti i locali della parrocchia domenicana di Monte Mario, dopo che Tullio Passarelli aveva adattato una nuova ala.

Il legame tra la chiesa domenicana di Monte Mario e i Pontefici si rafforzò con Benedetto xiii, il quale amava soggiornarvi per diversi giorni all'anno. Egli fece alla chiesa molte donazioni, grazie alle quali si poté costruire il coro basso, rivestire l'altare maggiore in marmo e ricoprire la cupola di piombo per evitare infiltrazioni d'acqua. Pio ix nel 1849 concesse alla chiesa il permesso di disporre di un proprio fonte battesimale, fino ad allora riservato alla basilica di San Pietro per il territorio su cui sorgevano sue chiese filiali. Le monache, poi, ebbero la gioia di incontrare il 14 agosto 1931 Pio xi in Vaticano durante il trasferimento a Monte Mario. L'ultima visita di un Pontefice risale al 16 novembre 1986, quando Giovanni Paolo ii sostò nel monastero, dopo l'incontro con i parrocchiani di Santa Maria Stella Mattutina.

La visita di Benedetto XVI anticipa di alcuni giorni una festa molto cara alla comunità, quella della traslazione dell'icona mariana, che viene celebrata il 27 giugno. Per concessione pontificia del 15 maggio 1644, le monache al mattutino cantano la Leggenda sull'origine e sulle peregrinazioni dell'immagine. Si tratta di un racconto dell'xi secolo, che riferisce come gli apostoli, dopo la risurrezione di Cristo, decisero di far realizzare dall'evangelista Luca un dipinto della Vergine Maria. La Leggenda narra che prima ancora che l'apostolo mettesse mano ai colori, dopo averne disegnati i lineamenti, l'immagine prese forma miracolosamente, perché l'opera non apparisse come sforzo umano ma come espressione della virtù di Dio.

Il monastero è anche caro all'ordine dei frati predicatori per un'altra particolarità:  conserva numerose reliquie, tra le quali una parte del cranio di san Domenico, il suo breviario, la tibia di san Tommaso d'Aquino, una mano di santa Caterina da Siena, frammenti del corpo di san Pietro da Verona, alcuni carteggi tra il beato Giordano di Sassonia con la beata Diana d'Andalò. È questa comunità che, proseguendo la sua missione nel carisma di san Domenico, attende e sostiene con la preghiera e il sacrificio il successore di Pietro.



(©L'Osservatore Romano - 23 giugno 2010)


Trovate altre notizie della nascita di questo primo Monastero a Roma, qui:

La Basilica di S.Sisto all'Appia, splendore di Madre Lalia

con la bellissima icona di cui si parla....




Caterina63
00giovedì 24 giugno 2010 16:05
il papa benedice statua di maria "salus populi romani"

CITTA' DEL VATICANO, 24 GIU. 2010 (VIS). Questa mattina Benedetto XVI si è recato al Centro Don Orione a Monte Mario per benedire la grande statua di Maria "Salus populi romani" - che veglia sulla Città di Roma - e che al termine dei lavori di restauro è stata ricollocata sulla collina che domina la città.

La maestosa statua della Vergine, alta 9 metri, era crollata dal suo piedistallo di 19 metri a causa di un forte temporale, il 12 ottobre scorso. L'avvenimento ha molto impressionato le autorità e gli abitanti della capitale, molto devoti alla Vergine "Salus populi romani", che hanno fatto in modo che la Madonnina fosse ricollocata al suo posto il più presto possibile.

Benedetto XVI in un Messaggio al Superiore Generale degli Orionini aveva auspicato che "la statua venga quanto prima ricollocata a devozione di tutti i romani".

Il Papa è giunto al Centro Don Orione a Monte Mario alle 10:30 e dopo il saluto al Cardinale Agostino Vallini, Vicario di Roma, i Vescovi presenti e il Sindaco Gianni Alemanno, ha pronunciato un breve discorso.

"Ho accolto volentieri" - ha detto il Papa - "l'invito ad unirmi a voi nel rendere omaggio a Maria 'Salus populi romani', raffigurata in questa meravigliosa statua tanto cara al popolo romano. Statua che è memoria di eventi drammatici e provvidenziali, scritti nella storia e nella coscienza della Città. Infatti, essa fu collocata sul colle di Monte Mario nel 1953, ad adempimento di un voto popolare pronunciato durante la seconda guerra mondiale, quando le ostilità e le armi facevano temere per le sorti di Roma".

"Dalle opere romane di Don Orione (San Luigi Orione, 1872 - 1940, Fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza, canonizzato nel 2004, n.d.r.), partì allora l'iniziativa di una raccolta di firme per un voto alla Madonna cui aderirono oltre un milione di cittadini. Il Venerabile Pio XII raccolse la devota iniziativa del popolo che si affidava a Maria e il voto fu pronunciato il 4 giugno del 1944, davanti all'immagine della Madonna del Divino Amore. Proprio in quel giorno, si ebbe la pacifica liberazione di Roma", ha spiegato il Santo Padre.

"Nel loro voto alla Madonna i romani oltre a promettere preghiera e devozione, si impegnarono anche in opere di carità", ha ricordato il Pontefice citando il programma di Don Orione: "Solo la carità salverà il mondo".

Il Fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza "visse in modo lucido e appassionato il compito della Chiesa di vivere l'amore per far entrare nel mondo la luce di Dio. (...) Ha lasciato tale missione ai suoi discepoli come via spirituale e apostolica, convinto che 'la carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori d'amore verso Dio'".

"Continuate, cari Figli della Divina Provvidenza" - ha concluso il Pontefice - "su questa scia carismatica da lui iniziata, perché, come egli diceva, 'la carità è la migliore apologia della fede cattolica', 'la carità trascina, la carità muove, porta alla fede e alla speranza'. Le opere di carità, sia come atti personali e sia come servizi alle persone deboli offerti in grandi istituzioni, non possono mai ridursi a gesto filantropico, ma devono restare sempre tangibile espressione dell'amore provvidente di Dio".
BXVI-VISITA/ VIS 20100624 (540)

preghiera ottiene chiesa molte grazie di santificazione

CITTA' DEL VATICANO, 24 GIU. 2010 (VIS). Al termine della visita al Centro "Don Orione", il Santo Padre si è recato al Monastero Domenicano Santa Maria del Rosario a Monte Mario, dove ha presieduto la celebrazione dell'Ora media con le monache di clausura.

Il Monastero custodisce l'antica icona della Vergine Hagiosorritissa, detta Madonna di San Luca (secolo VII) e preziose reliquie di San Domenico, di Santa Caterina da Siena e di altri santi e sante domenicane.

"Voi, che ben conoscete l'efficacia della preghiera" - ha detto il Papa nell'omelia - "sperimentate ogni giorno quante grazie di santificazione essa possa ottenere alla Chiesa".

"Siate grate alla divina Provvidenza" - ha esortato il Pontefice - "per il dono sublime e gratuito della vocazione monastica, a cui il Signore vi ha chiamate senza alcun vostro merito".

"La forma di vita contemplativa, che dalle mani di san Domenico avete ricevuto nelle modalità della clausura, vi colloca, come membra vive e vitali, nel cuore del corpo mistico del Signore, che è la Chiesa; e come il cuore fa circolare il sangue e tiene in vita il corpo intero, così la vostra esistenza nascosta con Cristo, intessuta di lavoro e di preghiera, contribuisce a sostenere la Chiesa, strumento di salvezza per ogni uomo che il Signore ha redento con il suo Sangue".

"Con la preghiera" - ha sottolineato il Papa - voi presentate "al cospetto dell'Altissimo le necessità spirituali e materiali di tanti fratelli in difficoltà, la vita smarrita di quanti si sono allontanati dal Signore. Come non muoversi a compassione per coloro che sembrano vagare senza meta? Come non desiderare che nella loro vita avvenga l'incontro con Gesù, il solo che dà senso all'esistenza?".

"Riconoscete perciò, care sorelle, che in tutto ciò che fate, al di là dei singoli momenti di orazione, il vostro cuore continua ad essere guidato dal desiderio di amare Dio. (...) Questo è l'orizzonte del pellegrinare terreno! Questa è la vostra meta! Per questo avete scelto di vivere nel nascondimento e nella rinuncia ai beni terreni: per desiderare sopra ogni cosa quel bene che non ha uguali, quella perla preziosa che merita la rinuncia ad ogni altro bene per entrarne in possesso".

"Possiate pronunciare ogni giorno il vostro 'sì' ai disegni di Dio, con la stessa umiltà con cui ha detto il suo 'sì' la Vergine Santa".

Infine, preso congedo dalle monache, il Santo Padre è rientrato in Vaticano.
BXVI-VISITA/ VIS 20100624 (400)
Caterina63
00giovedì 24 giugno 2010 16:13
Pope Benedict XVI receives a gift during a ceremony in which he blessed a statue representing the Virgin Mary in Rome June 24, 2010.

A view of the Madonna of Don Orione on June 24, 2010 in Rome during a visit of the Pope Benedict XVI. The statue looking out over the city of Rome was seriously damaged during a storm and is now back to its original place after being restored.

Pope Benedict XVI arrives at Don Orione centre for the blessing of the Madonna of Don Orione on June 24, 2010 in Rome. The statue looking out over the city of Rome was seriously damaged during a storm and is now back to its original place after being restored.Pope Benedict XVI blesses the Madonna of Don Orione on June 24, 2010 in Rome. The statue looking out over the city of Rome was seriously damaged during a storm and is now back to its original place after being restored.

Pope Benedict XVI receives the gift of a miniature of the Madonna by a priest during a visit at Don Orione Centre on June 24, 2010 in Rome.

Pope Benedict XVI waves during a visit to the Don Orione centre for the blessing of the Madonna of Don Orione on June 24, 2010 in Rome. The statue looking out over the city of Rome was seriously damaged during a storm and is now back to its original place after being restored.Pope Benedict XVI arrives at Don Orione centre for the blessing of the Madonna of Don Orione on June 24, 2010 in Rome. The statue looking out over the city of Rome was seriously damaged during a storm and is now back to its original place after being restored.

Pope Benedict XVI leaves after blessing a Virgin Mary statue in Rome June 24, 2010.Pope Benedict XVI look on during a visit to the Don Orione centre for the blessing of the Madonna of Don Orione on June 24, 2010 in Rome. The statue looking out over the city of Rome was seriously damaged during a storm and is now back to its original place after being restored.

Pope Benedict XVI blesses a child during a visit to the Don Orione centre for the blessing of the Madonna of Don Orione on June 24, 2010 in Rome. The statue looking out over the city of Rome was seriously damaged during a storm and is now back to its original place after being restored.

Pope Benedict XVI smiles during a visit to the Don Orione centre for the blessing of the Madonna of Don Orione on June 24, 2010 in Rome. The statue looking out over the city of Rome was seriously damaged during a storm and is now back to its original place after being restored.

Caterina63
00giovedì 24 giugno 2010 18:12
Il Papa celebra l'Ora media con le domenicane del monastero di Santa Maria del Rosario

Pregate per la santificazione della Chiesa


Al termine della visita al centro Don Orione, il Papa ha raggiunto il vicino monastero di Santa Maria del Rosario, dove ha celebrato l'Ora media con la comunità delle domenicane. Prima della benedizione ha pronunciato la seguente omelia.

Care sorelle,
a ciascuna di voi rivolgo le parole del Salmo 124, che abbiamo appena pregato:  "La tua bontà, Signore, sia con i buoni e con i retti di cuore" (v. 4).
 
È innanzitutto con questo augurio che vi saluto:  su di voi sia la bontà del Signore. In particolare, saluto la vostra Madre Priora, e la ringrazio di cuore per le gentili espressioni che mi ha indirizzato a nome della Comunità. Con grande gioia ho accolto l'invito a visitare questo Monastero, per poter sostare insieme con voi ai piedi dell'immagine della Madonna acheropita di san Sisto, già protettrice dei Monasteri Romani di Santa Maria in Tempulo e di San Sisto.

Abbiamo pregato insieme l'Ora Media, una piccola parte di quella Preghiera Liturgica che, come claustrali, scandisce i ritmi delle vostre giornate e vi rende interpreti della Chiesa-Sposa, che si unisce, in modo speciale, con il suo Signore.

Per questa preghiera corale, che trova il suo culmine nella partecipazione quotidiana al Sacrificio Eucaristico, la vostra consacrazione al Signore nel silenzio e nel nascondimento è resa feconda e ricca di frutti, non solo in ordine al cammino di santificazione e di purificazione personale, ma anche rispetto a quell'apostolato di intercessione che svolgete per la Chiesa intera, perché possa comparire pura e santa al cospetto del Signore.

Voi, che ben conoscete l'efficacia della preghiera, sperimentate ogni giorno quante grazie di santificazione essa possa ottenere alla Chiesa.

Care sorelle, la comunità che voi formate è un luogo in cui poter dimorare nel Signore; essa è per voi la nuova Gerusalemme, a cui salgono le tribù del Signore per lodare il nome del Signore (cfr. Sal 121, 4). Siate grate alla divina Provvidenza per il dono sublime e gratuito della vocazione monastica, a cui il Signore vi ha chiamate senza alcun vostro merito.
 
Con Isaia potete affermare "il Signore mi ha plasmato suo servo fin dal seno materno" (Is 49, 5). Prima ancora che nasceste, il Signore aveva riservato a Sé il vostro cuore per poterlo ricolmare del suo amore. Attraverso il sacramento del Battesimo avete ricevuto in voi la Grazia divina e, immerse nella sua morte e risurrezione, siete state consacrate a Gesù, per appartenerGli esclusivamente.
 
La forma di vita contemplativa, che dalle mani di san Domenico avete ricevuto nelle modalità della clausura, vi colloca, come membra vive e vitali, nel cuore del corpo mistico del Signore, che è la Chiesa; e come il cuore fa circolare il sangue e tiene in vita il corpo intero, così la vostra esistenza nascosta con Cristo, intessuta di lavoro e di preghiera, contribuisce a sostenere la Chiesa, strumento di salvezza per ogni uomo che il Signore ha redento con il suo Sangue.

È a questa fonte inesauribile che voi attingete con la preghiera, presentando al cospetto dell'Altissimo le necessità spirituali e materiali di tanti fratelli in difficoltà, la vita smarrita di quanti si sono allontanati dal Signore. Come non muoversi a compassione per coloro che sembrano vagare senza meta? Come non desiderare che nella loro vita avvenga l'incontro con Gesù, il solo che dà senso all'esistenza?

Il santo desiderio che il Regno di Dio si instauri nel cuore di ogni uomo, si identifica con la preghiera stessa, come ci insegna sant'Agostino:  "Ipsum desiderium tuum, oratio tua est; et si continuum desiderium, continua oratio":  "il tuo desiderio è la tua preghiera; e se è desiderio permanente, continuo, è anche preghiera continua" (cfr. Ep. 130, 18-20); perciò, come fuoco che arde e mai si spegne, il cuore è reso desto, non smette mai di desiderare e sempre innalza a Dio l'inno della lode.

Riconoscete perciò, care sorelle, che in tutto ciò che fate, al di là dei singoli momenti di orazione, il vostro cuore continua ad essere guidato dal desiderio di amare Dio. Con il Vescovo di Ippona, riconoscete che è il Signore ad avere messo nei vostri cuori il suo amore, desiderio che dilata il cuore, fino a renderlo capace di accogliere Dio stesso (cfr. In Io. Ev. tr. 40, 10). Questo è l'orizzonte del pellegrinare terreno! Questa è la vostra meta! Per questo avete scelto di vivere nel nascondimento e nella rinuncia ai beni terreni:  per desiderare sopra ogni cosa quel bene che non ha uguali, quella perla preziosa che merita la rinuncia ad ogni altro bene per entrarne in possesso.
 
Possiate pronunciare ogni giorno il vostro "sì" ai disegni di Dio, con la stessa umiltà con cui ha detto il suo "sì" la Vergine Santa. Ella, che nel silenzio ha accolto la Parola di Dio, vi guidi nella vostra quotidiana consacrazione verginale, perché possiate sperimentare nel nascondimento la profonda intimità da Lei stessa vissuta con Gesù. Invocando la sua materna intercessione, insieme a quella di san Domenico, di santa Caterina da Siena e dei tanti santi e sante dell'Ordine Domenicano, imparto a tutte voi una speciale Benedizione Apostolica, che estendo volentieri alle persone che si affidano alle vostre preghiere.


(©L'Osservatore Romano - 25 giugno 2010)





Caterina63
00giovedì 24 giugno 2010 18:14
In ogni momento della giornata, "il vostro cuore continua ad essere guidato dal desiderio di amare Dio", per questo "avete scelto di vivere nel nascondimento e nella rinuncia ai beni terreni: per desiderare sopra ogni cosa quel bene che non ha uguali, quella perla preziosa che merita la rinuncia ad ogni altro bene per entrarne in possesso". Con queste parole Benedetto XVI ha salutato le claustrali del Monastero domenicano Santa Maria del Rosario di Monte Mario. Qui il Papa ha celebrato stamani l''Ora Media e ha sostato ai piedi della Madonna acheropita di san Sisto, dopo la visita al Centro Don Orione. "La forma di vita contemplativa, che dalle mani di san Domenico avete ricevuto nelle modalità della ...


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Caterina63
00martedì 25 gennaio 2011 00:04
PAPA: IL 20 MARZO CONSACRA LA PARROCCHIA DELL'INFERNETTO

(AGI) - CdV, 24 gen. - Domenica 20 marzo, seconda di Quaresima, Benedetto XVI presiedera' il rito di dedicazione della nuova parrocchia romana di San Corbiniano all'Infernetto, il popolare quartiere della periferia Sud di Roma, limitrofo al piu' rinomato Casal Palocco. Lo ha annunciato la Prefettura della Casa Pontificia. (AGI)

La diocesi di Monaco ha finanziato la costruzione della chiesa...


Caterina63
00domenica 20 marzo 2011 19:43

Il Papa: San Corbiniano ci dice che la Chiesa è fondata su Pietro e ci garantisce anche la perennità della Chiesa costruita sulla roccia, che mille anni fa era la stessa Chiesa come oggi, perché il Signore è sempre lo stesso. Lui è sempre la Verità, sempre antica e sempre nuova, attualissima, presente, e apre la chiave per il futuro


       Pope Benedict XVI waves his pastoral visit to St. Corbiniano Parish in Rome on March 20, 2011. The Pope made an appeal to millitary and political leaders to consider the safety of Libyan civillians and to ensure that they have access to emergency aid, in his first comments on the Libyan conflict.Pope Benedict XVI celebrates mass during his pastoral visit to St. Corbiniano Parish in Rome on March 20, 2011. The Pope made an appeal to millitary and political leaders to consider the safety of Libyan civillians and to ensure that they have access to emergency aid, in his first comments on the Libyan conflict.


VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN CORBINIANO, 20.03.2011

Alle ore 8.30 di oggi - II Domenica di Quaresima  del 20.3.2011- il Santo Padre Benedetto XVI si reca in visita pastorale alla parrocchia di San Corbiniano all’Infernetto, nel settore sud della diocesi di Roma, per la celebrazione della Santa Messa e la dedicazione della nuova chiesa.
Il Papa parte dal Vaticano in elicottero e al Suo arrivo alle 8.45 nel piazzale attiguo alla parrocchia è accolto dai Cardinali Agostino Vallini, Vicario Generale per la diocesi di Roma; Reinhard Marx, Arcivescovo di München und Freising, del Titolo di San Corbiniano e Friedrich Wetter, Arcivescovo emerito di München und Freising; dai Vescovi Ausiliari di Roma S.E. Mons. Paolino Schiavon e S.E. Mons. Ernesto Mandara; da S.E. Mons. Josef Clemens, Segretario del Pontificio Consiglio per i Laici e dal Parroco don Antonio Magnotta, con il Vice Parroco don Pier Luigi Stolfi.
Alle ore 9 il Santo Padre presiede la Celebrazione Eucaristica nella nuova chiesa parrocchiale, che viene consacrata nel corso del sacro rito.
Al termine della Santa Messa, prima di ripartire alle 11.30 in elicottero alla volta del Vaticano per la recita dell’Angelus, il Papa saluta i fedeli che non hanno trovato posto in chiesa.
Di seguito riportiamo l’omelia che il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia nel corso della Celebrazione Eucaristica:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Sono molto contento di essere in mezzo a voi per celebrare un evento così significativo come la Dedicazione a Dio e al servizio della comunità di questa chiesa intitolata a san Corbiniano. La Provvidenza ha voluto che questo nostro incontro avvenga nella II Domenica di Quaresima, caratterizzata dal Vangelo della Trasfigurazione di Gesù. Perciò oggi abbiamo l’accostamento tra due elementi, entrambi molto importanti: da una parte, il mistero della Trasfigurazione e, dall’altra, quello del tempio, cioè della casa di Dio in mezzo alle vostre case. Le Letture bibliche che abbiamo ascoltato sono state scelte per illuminare questi due aspetti.

La Trasfigurazione. L’evangelista Matteo ci ha raccontato ciò che avvenne quando Gesù salì su un alto monte portando con sé tre dei suoi discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. Mentre erano lassù, loro soli, il volto di Gesù divenne sfolgorante, e così pure le sue vesti. E’ ciò che chiamiamo "Trasfigurazione": un mistero luminoso, confortante. Quale ne è il significato? La Trasfigurazione è una rivelazione della persona di Gesù, della sua realtà profonda. Infatti, i testimoni oculari dell’evento, cioè i tre Apostoli, furono avvolti da una nube, anch’essa luminosa – che nella Bibbia annuncia sempre la presenza di Dio – e udirono una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Mt 17,5). Con questo evento i discepoli vengono preparati al mistero pasquale di Gesù: a superare la terribile prova della passione e anche a comprendere bene il fatto luminoso della risurrezione.

Il racconto parla anche di Mosè ed Elia, che apparvero e conversavano con Gesù. Effettivamente questo episodio ha un rapporto con altre due rivelazioni divine. Mosè era salito sul monte Sinai, e lì aveva avuto la rivelazione di Dio. Aveva chiesto di vedere la sua gloria, ma Dio gli aveva risposto che non l’avrebbe visto in faccia, ma solo di spalle (cfr Es 33,18-23). In modo analogo, anche Elia ebbe una rivelazione di Dio sul monte: una manifestazione più intima, non con una tempesta, con un terremoto, o con il fuoco, ma con una brezza leggera (cfr 1 Re 19,11-13).

A differenza di questi due episodi, nella Trasfigurazione non è Gesù ad avere la rivelazione di Dio, bensì è proprio in Lui che Dio si rivela e che rivela il suo volto agli Apostoli. Quindi, chi vuole conoscere Dio, deve contemplare il volto di Gesù, il suo volto trasfigurato: Gesù è la perfetta rivelazione della santità e della misericordia del Padre. Inoltre, ricordiamo che sul monte Sinai Mosè ebbe anche la rivelazione della volontà di Dio: i dieci Comandamenti.

E, sempre sul monte, Elia ebbe da Dio la rivelazione divina di una missione da compiere. Gesù, invece, non riceve la rivelazione di ciò che dovrà compiere: già lo conosce; sono piuttosto gli Apostoli a sentire, nella nube, la voce di Dio che comanda: «Ascoltatelo». La volontà di Dio si rivela pienamente nella persona di Gesù. Chi vuole vivere secondo la volontà di Dio, deve seguire Gesù, ascoltarlo, accoglierne le parole e, con l’aiuto dello Spirito Santo, approfondirle. E’ questo il primo invito che desidero farvi, cari amici, con grande affetto: crescete nella conoscenza e nell’amore a Cristo, sia come singoli, sia come comunità parrocchiale, incontrateLo nell’Eucaristia, nell’ascolto della sua parola, nella preghiera, nella carità.

Il secondo punto è la Chiesa, come edificio e soprattutto come comunità. Prima di riflettere, però, sulla Dedicazione della vostra chiesa, vorrei dirvi che c’è un motivo particolare che accresce la mia gioia di trovarmi oggi con voi.

San Corbiniano, infatti, è il fondatore della diocesi di Frisinga, in Baviera, della quale sono stato Vescovo per quattro anni. Nel mio stemma episcopale ho voluto inserire un elemento strettamente associato alla storia di questo Santo: l’orso.

Un orso – così si racconta – aveva sbranato il cavallo di Corbiniano, che si stava recando a Roma. Egli lo rimproverò aspramente, riuscì ad ammansirlo e gli caricò sulle spalle il bagaglio che, fino a quel momento, era stato portato dal cavallo. L’orso trasportò quel carico fino a Roma e solo qui il Santo lo lasciò libero di andarsene.

Forse questo è il punto dove dire due parole sulla vita di san Corbiniano. San Corbiniano era francese, sacerdote della zona di Parigi, e aveva fondato vicino a Parigi un monastero. Era molto stimato come consigliere spirituale, ma egli cercava piuttosto la contemplazione e perciò venne a Roma per crearsi qui, vicino alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, un monastero. Ma il Papa Gregorio II - siamo più o meno nel 720 - stimava le sue qualità, aveva capito le sue qualità, lo ordinò vescovo incaricandolo di andare in Baviera e di annunciare in quella terra il Vangelo. Baviera: il Papa pensava al Paese tra il Danubio e le Alpi che per cinquecento anni era stata la provincia romana della Raetia; solo alla fine del quinto secolo la popolazione latina era tornata in gran parte in Italia.

Là erano rimasti in pochi, la gente semplice; la terra era poco abitata e là era entrato un nuovo popolo, il popolo bavarese, che aveva trovato un’eredità cristiana perché il Paese era stato cristianizzato nel tempo romano. La gente bavarese aveva capito subito che questa era la vera religione e voleva farsi cristiana, ma mancava gente colta, mancavano sacerdoti per annunciare il Vangelo. E così il Cristianesimo era rimasto molto frammentario, iniziale.

Il Papa conosceva questa situazione, sapeva della sete di fede che c’era in quel Paese, e perciò incaricò san Corbiniano di andare là e là annunciare il Vangelo. E a Freising, nella città del duca, su un colle, il Santo ha creato il Duomo - già aveva trovato un santuario della Madonna - e là è rimasta per più di mille anni la sede del vescovo. Solo dopo il tempo napoleonico, essa è stata trasferita trenta chilometri più a sud, a Monaco.

Si chiama ancora diocesi di Monaco e Freising, e la maestosa cattedrale romanica di Freising rimane il cuore della diocesi. Così vediamo come i santi stanno per l’unità e l’universalità della Chiesa. L’universalità: san Corbiniano collega la Francia, la Germania, Roma.

L’unità: san Corbiniano ci dice che la Chiesa è fondata su Pietro e ci garantisce anche la perennità della Chiesa costruita sulla roccia, che mille anni fa era la stessa Chiesa come oggi, perché il Signore è sempre lo stesso. Lui è sempre la Verità, sempre antica e sempre nuova, attualissima, presente, e apre la chiave per il futuro.

Vorrei ora ringraziare quanti hanno contribuito a costruire questa chiesa. So quanto la diocesi di Roma si impegni per assicurare ad ogni quartiere adeguati complessi parrocchiali. Saluto e ringrazio il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore e il Vescovo Segretario dell’Opera Romana per la Preservazione della Fede e la Provvista di Nuove Chiese.

Saluto soprattutto i miei due successori. Saluto il Cardinale Wetter, dal quale è partita l’iniziativa di dedicare una chiesa parrocchiale a san Corbiniano e un valido sostegno per la realizzazione del progetto. Grazie Eminenza. Herzlichen Dank. Ich freue mich, daß so schnell die Kirche gewachsen ist [Grazie mille. Sono lieto che la chiesa sia sorta così velocemente]. Saluto il Cardinale Marx, attuale Arcivescovo di Monaco e Frisinga, che continua con l’amore non solo per san Corbiniano, ma anche per la sua Chiesa a Roma. Herzlichen Dank auch Ihnen [Grazie mille anche a lei]. Saluto anche S.E. Mons. Clemens della diocesi di Paderborn e Segretario del Consiglio per i Laici.

Un particolare pensiero al Parroco, don Antonio Magnotta, con un vivissimo ringraziamento per le parole che lei ha rivolto a me. Grazie! E saluto naturalmente anche il Viceparroco! Attraverso tutti voi qui presenti, desidero far giungere una parola di affettuosa vicinanza ai circa diecimila residenti nel territorio della Parrocchia. Riuniti attorno all’Eucaristia, avvertiamo più facilmente che la missione di ogni comunità cristiana è quella di recare a tutti il messaggio dell’amore di Dio, far conoscere a tutti il suo volto. Ecco perché è importante che l’Eucaristia sia sempre il cuore della vita dei fedeli, come lo è quest’oggi per la vostra Parrocchia, anche se non tutti i suoi membri hanno potuto parteciparvi personalmente.

Viviamo oggi una giornata importante, che corona gli sforzi, le fatiche, i sacrifici compiuti e l’impegno della gente qui residente di costituirsi come comunità cristiana e matura, capace di avere una chiesa ormai consacrata definitivamente al culto di Dio. Mi rallegro per tale meta raggiunta e sono certo che essa favorirà l’aggregarsi e il crescere della famiglia dei credenti in questo territorio. La Chiesa vuole essere presente in ogni quartiere dove la gente vive e lavora, con la testimonianza evangelica di cristiani coerenti e fedeli, ma anche con edifici che permettono di radunarsi per la preghiera e i Sacramenti, per la formazione cristiana e per stabilire rapporti di amicizia e fraternità, facendo crescere i fanciulli, i giovani, le famiglie e gli anziani in quello spirito di comunità che Cristo ci ha insegnato e di cui il mondo ha tanto bisogno.

Come è stato realizzato l’edificio parrocchiale, così la mia visita desidera incoraggiarvi a realizzare sempre meglio quella Chiesa di pietre vive che siete voi. Lo abbiamo ascoltato nella seconda lettura: "Voi siete campo di Dio, edificio di Dio", scrive san Paolo ai Corinzi (1Cor 3,9) e a noi; e li esorta a costruire sull’unico vero fondamento, che è Gesù Cristo (3,11). Per questo, anch’io vi esorto a fare della vostra nuova chiesa il luogo in cui si impara ad ascoltare la Parola di Dio, la "scuola" permanente di vita cristiana da cui parte ogni attività di questa parrocchia giovane e impegnata. Su questo aspetto è illuminante il testo del Libro di Neemia che ci è stato proposto nella prima lettura. In esso si vede bene che Israele è il popolo convocato per ascoltare la Parola di Dio, scritta nel libro della Legge. Questo libro viene letto solennemente dai ministri e viene spiegato al popolo, che sta in piedi, alza le mani al cielo, poi si inginocchia e si prostra con la faccia a terra, in segno di adorazione. È una vera liturgia, animata dalla fede in Dio che parla, dal pentimento per la propria infedeltà alla Legge del Signore, ma soprattutto dalla gioia perché la proclamazione della sua Parola è segno che Lui non ha abbandonato il suo popolo, che Lui è vicino. Anche voi, cari fratelli e sorelle, radunandovi ad ascoltare la Parola di Dio con fede e perseveranza, diventate, di domenica in domenica, Chiesa di Dio, formati e plasmati interiormente dalla sua Parola. Che grande dono è questo! Siatene sempre riconoscenti.

La vostra è una comunità giovane, costituita in gran parte da coppie appena sposate che vengono a vivere nel quartiere; tanti sono i bambini e i ragazzi. Conosco l’impegno e l’attenzione che vengono dedicati alla famiglia e all’accompagnamento delle giovani coppie: sappiate dar vita ad una pastorale familiare caratterizzata dall’accoglienza aperta e cordiale dei nuovi nuclei familiari, che sappia favorire la conoscenza reciproca, così che la comunità parrocchiale sia sempre più una ‘famiglia di famiglie’, capace di condividere con loro, insieme alle gioie, le inevitabili difficoltà degli inizi.

So anche che vari gruppi di fedeli si radunano per pregare, formarsi alla scuola del Vangelo, partecipare ai Sacramenti e vivere quella dimensione essenziale per la vita cristiana che è la carità. Penso a quanti con la Caritas parrocchiale cercano di andare incontro alle tante esigenze del territorio, specialmente rispondendo alle attese dei più poveri e bisognosi.

Mi rallegro per quanto fate nella preparazione dei ragazzi e dei giovani ai Sacramenti della vita cristiana, e vi esorto ad interessarvi sempre di più anche dei loro genitori, specialmente di quelli che hanno bambini piccoli; la Parrocchia si sforzi di proporre anche a loro, in orari e modi convenienti, incontri di preghiera e di formazione, soprattutto per i genitori dei bambini che devono ricevere il Battesimo e gli altri Sacramenti dell’iniziazione cristiana. Abbiate anche una particolare cura e attenzione per le famiglie in difficoltà, o che si trovano in una condizione di precarietà o di irregolarità. Non lasciatele sole, ma state loro vicino con amore, aiutandole a comprendere l’autentico disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia.

Una speciale parola di affetto e di amicizia il Papa vuole dirigerla anche a voi, cari ragazzi e giovani che mi ascoltate, ed ai vostri coetanei che vivono in questa Parrocchia. L’oggi e il domani della comunità ecclesiale e civile sono affidati in modo particolare a voi. La Chiesa si aspetta molto dal vostro entusiasmo, dalla vostra capacità di guardare avanti e dal vostro desiderio di radicalità nelle scelte della vita.

Cari amici di san Corbiniano! Il Signore Gesù, che condusse gli Apostoli sul monte a pregare e mostrò loro la sua gloria, oggi ha invitato noi in questa nuova chiesa: qui possiamo ascoltarlo, qui possiamo riconoscere la sua presenza nello spezzare il Pane eucaristico; e in questo modo diventare Chiesa viva, tempio dello Spirito Santo, segno nel mondo dell’amore di Dio. Ritornate alle vostre case con il cuore colmo di riconoscenza e di gioia, perché siete parte di questo grande edificio spirituale che è la Chiesa. Alla Vergine Maria affidiamo il nostro cammino quaresimale, come quello della Chiesa intera. La Madonna, che ha seguito il suo Figlio Gesù fino alla croce, ci aiuti ad essere discepoli fedeli del Cristo, per poter partecipare insieme con lei alla gioia della Pasqua.
Amen.




Pope Benedict XVI celebrates mass during his pastoral visit to St. Corbiniano Parish in Rome on March 20, 2011. The Pope made an appeal to millitary and political leaders to consider the safety of Libyan civillians and to ensure that they have access to emergency aid, in his first comments on the Libyan conflict.

Pope Benedict XVI celebrates mass during his pastoral visit to St. Corbiniano Parish in Rome on March 20, 2011. The Pope made an appeal to millitary and political leaders to consider the safety of Libyan civillians and to ensure that they have access to emergency aid, in his first comments on the Libyan conflict.Pope Benedict XVI burns incense during a ceremony to bless the altar of the new church of "San Corbiniano", in the outskirts of Rome, Sunday, March 20, 2011. Benedict XVI issued an urgent appeal Sunday to military and political leaders to consider the safety of Libyan civilians and ensure they have access to emergency aid in his first public comments on the conflict.




Caterina63
00mercoledì 14 dicembre 2011 14:43

Il Papa: Giovanni Battista è una voce nel deserto ed è un testimone della luce; e questo ci tocca nel cuore, perché in questo mondo con tante tenebre, tante oscurità, tutti siamo chiamati ad essere testimoni della luce. Questa è proprio la missione del tempo di Avvento: essere testimoni della luce, e possiamo esserlo solo se portiamo in noi la luce, se siamo non solo sicuri che la luce c’è, ma che abbiamo visto un po’ di luce






VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE A CASAL BOCCONE, 11.12.2011

Alle ore 9 di oggi, terza domenica di Avvento - domenica "Gaudete" - il Santo Padre Benedetto XVI ha lasciato il Vaticano per recarsi in visita pastorale alla parrocchia di Santa Maria delle Grazie a Casal Boccone, nel settore nord della diocesi di Roma.
Al suo arrivo, il Papa ha salutato i bambini della scuola elementare raccolti nel cortile interno del complesso parrocchiale, inaugurato lo scorso anno. Alle 9.30 ha presieduto in chiesa la celebrazione della Santa Messa, introdotta dal saluto del Parroco, don Domenico Monteforte.
Terminata la celebrazione eucaristica, prima di rientrare in Vaticano per la recita dell’Angelus, il Santo Padre ha incontrato i membri del Consiglio Pastorale parrocchiale.
Pubblichiamo di seguito il saluto ai bambini e l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Santa Messa:

SALUTO AI BAMBINI

Cari bambini,

auguro a tutti una buona domenica. Sappiamo che il Natale è vicino: prepariamoci non solo con i doni, ma con il nostro cuore. Pensiamo che Cristo, il Signore, è vicino a noi, entra nella nostra vita e ci dà luce e gioia. San Paolo dice oggi nella Lettera ai Tessalonicesi: "Pregate incessantemente". Naturalmente, non vuol dire che dobbiamo sempre dire parole di preghiera, ma vuol dire che dobbiamo non perdere il contatto con Dio nel nostro cuore. Se questo contatto c’è, un fatto di gioia c’è. A tutti voi auguro tutta la gioia di Natale e tutta la gioia della presenza di Gesù Cristo Bambino che è Dio nel nostro cuore. Auguri! Buona domenica e Buon Natale fin d’ora!

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle della Parrocchia di Santa Maria delle Grazie!

Abbiamo ascoltato la profezia di Isaia: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri... a promulgare l’anno di grazia del Signore» (Is 61,1-2). Queste parole, pronunciate tanti secoli fa, risuonano quanto mai attuali anche per noi, oggi, mentre siamo a metà dell'Avvento ed in vista ormai della grande solennità del Natale. Sono parole che rianimano la speranza, preparano ad accogliere la salvezza del Signore e annunciano l’inaugurazione di un tempo di grazia e di liberazione.

L’Avvento è precisamente tempo di attesa, di speranza e di preparazione alla visita del Signore. A questo impegno ci invitano anche la figura e la predicazione di Giovanni Battista, come abbiamo ascoltato nel Vangelo poc’anzi proclamato (cfr Gv 1,6-8.19-28).

Giovanni si è ritirato nel deserto per vivere una vita molto austera e per invitare, anche con la sua vita, la gente alla conversione; egli conferisce un battesimo di acqua, un rito di penitenza unico, che lo distingue dai molteplici riti di purificazione esteriore delle sette dell’epoca.

Chi è dunque quest’uomo, chi è Giovanni Battista? La sua risposta è di una umiltà sorprendente. Non è il Messia, non è la luce. Non è Elia tornato sulla terra, né il grande profeta atteso. E’ il precursore, semplice testimone, totalmente subordinato a Colui che annuncia; una voce nel deserto, come anche oggi, nel deserto delle grandi città di questo mondo, di grande assenza di Dio, abbiamo bisogno di voci che semplicemente ci annunciano: "Dio c’è, è sempre vicino, anche se sembra assente".

E’ una voce nel deserto ed è un testimone della luce; e questo ci tocca nel cuore, perché in questo mondo con tante tenebre, tante oscurità, tutti siamo chiamati ad essere testimoni della luce. Questa è proprio la missione del tempo di Avvento: essere testimoni della luce, e possiamo esserlo solo se portiamo in noi la luce, se siamo non solo sicuri che la luce c’è, ma che abbiamo visto un po’ di luce.

Nella Chiesa, nella Parola di Dio, nella celebrazione dei Sacramenti, nel Sacramento della Confessione, con il perdono che riceviamo, nella celebrazione della Santa Eucaristia dove il Signore si dà nelle nostre mani e cuori, tocchiamo la luce e riceviamo questa missione: essere oggi testimoni che la luce c’è, portare la luce nel nostro tempo.

Cari fratelli e sorelle! Io sono molto lieto di essere in mezzo a voi, in questa domenica bella, "Gaudete", domenica della gioia, che ci dice: "anche in mezzo a tanti dubbi e difficoltà, la gioia esiste perché Dio esiste ed è con noi". Saluto cordialmente il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il vostro Parroco, don Domenico Monteforte, che ringrazio non solo per le gentili parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi, ma anche per il bel dono della storia della Parrocchia. E saluto il Vicario parrocchiale. Saluto anche le comunità religiose: le Sorelle Apostole della Consolata, le Maestre Pie Venerini e i Guanelliani; sono una delle presenze preziose nella vostra Parrocchia e una grande risorsa spirituale e pastorale per la vita della comunità, testimoni di luce! Saluto, inoltre, quanti sono impegnati nell’ambito parrocchiale: mi riferisco ai catechisti - li ringrazio per il loro lavoro - ai membri del gruppo di preghiera ispirato al Rinnovamento nello Spirito Santo, ai giovani del movimento Gioventù Ardente Mariana. E vorrei poi estendere il mio pensiero a tutti gli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà, senza dimenticare la numerosa comunità filippina, ben inserita e partecipe attivamente ai momenti fondamentali della vita comunitaria.

La vostra Parrocchia è nata in una delle tipiche borgate dell’agro romano, è stata canonicamente eretta nel 1985 con questo bel titolo di Santa Maria delle Grazie, ha iniziato a muovere i suoi primi passi attorno agli anni sessanta, quando, per iniziativa di un gruppo di Padri Domenicani, guidati dall’indimenticato P. Gerard Reed, venne allestita, presso un’abitazione familiare, una piccola cappella, successivamente trasferita in un locale più grande, che ha svolto la funzione di chiesa parrocchiale fino al 2010, l’anno scorso. In quell’anno, infatti, come sapete, e precisamente il 1° maggio, è stato dedicato l’edificio in cui stiamo celebrando l’Eucaristia. Questa nuova chiesa è uno spazio privilegiato per crescere nella conoscenza e nell’amore di Colui che tra pochi giorni accoglieremo nella gioia del suo Natale. Mentre guardo questa chiesa e gli edifici parrocchiali, vedo il frutto di pazienza, di dedizione, di amore, e con la mia presenza desidero incoraggiarvi a realizzare sempre meglio quella Chiesa di pietre vive che siete voi stessi; ognuno di voi deve sentirsi come un elemento di questo edificio vivo; la comunità si costruisce con il contributo che ognuno offre, con l’impegno di tutti; e penso, in modo particolare, al campo della catechesi, della liturgia e della carità, pilastri portanti della vita cristiana.

La vostra è una comunità giovane, l’ho visto salutando i vostri bambini. E’ giovane perché costituita, soprattutto per quanto riguarda i nuovi insediamenti, da famiglie giovani, e anche perché tanti sono i bambini e i ragazzi che la popolano, grazie a Dio! Auspico vivamente che, anche attraverso il contributo di persone competenti e generose, il vostro impegno educativo si sviluppi sempre meglio e che la vostra Parrocchia, anche con l’aiuto del Vicariato di Roma, possa dotarsi quanto prima di un oratorio ben strutturato, con adeguati spazi per il gioco e l’incontro, così da soddisfare il bisogno di crescita nella fede e in una sana socialità per le giovani generazioni.

Mi rallegro per quanto fate nella preparazione dei ragazzi e dei giovani ai Sacramenti. La sfida che abbiamo davanti consiste nel disegnare e proporre un vero e proprio percorso di formazione alla fede, che coinvolga quanti si accostano all’iniziazione cristiana, aiutandoli non solo a ricevere i Sacramenti, ma a viverli, per essere veri cristiani. Questo scopo, ricevere, deve essere vivere, come abbiamo sentito nella prima Lettura: deve germogliare la giustizia come germoglia il seme nella terra. Vivere i sacramenti, così germoglia la giustizia e così anche il diritto e l’amore.

A questo proposito, la verifica pastorale diocesana in atto, che riguarda proprio l’iniziazione cristiana, è un’occasione propizia per approfondire e vivere i Sacramenti che abbiamo ricevuto, come il Battesimo e la Confermazione, e quelli ai quali ci accostiamo per alimentare il cammino di fede, la Penitenza e l’Eucaristia. Per questo è necessaria, in primo luogo, l’attenzione al rapporto con Dio, mediante l’ascolto della sua Parola, la risposta alla Parola nella preghiera, e il dono dell’Eucaristia.

Io so che in Parrocchia sono inseriti incontri di preghiera, di lectio divina e che si tiene l’adorazione eucaristica: sono iniziative preziose per la crescita spirituale a livello personale e comunitario. Vi esorto caldamente a parteciparvi sempre più numerosi. In modo speciale, desidero richiamare l’importanza e la centralità dell’Eucaristia. La santa Messa sia al centro della vostra Domenica, che va riscoperta e vissuta come giorno di Dio e della comunità, giorno in cui lodare e celebrare Colui che è nato per noi, che è morto e risorto per la nostra salvezza, e ci chiede di vivere insieme nella gioia e di essere una comunità aperta e pronta ad accogliere ogni persona sola o in difficoltà. Non perdete il senso della Domenica e siate fedeli all’incontro eucaristico. I primi cristiani sono stati pronti a donare la vita per questo. Hanno saputo che questa è la vita, e fa vivere.

Venendo tra voi, non posso ignorare che nel vostro territorio una grande sfida è costituita da gruppi religiosi che si presentano come depositari della verità del Vangelo. A questo riguardo è mio dovere raccomandarvi di essere vigilanti e di approfondire le ragioni della fede e del Messaggio cristiano, così come ce lo trasmette con garanzia di autenticità la tradizione millenaria della Chiesa. [SM=g1740733]

Continuate nell’opera di evangelizzazione con la catechesi e la corretta informazione circa ciò che crede e annuncia la Chiesa cattolica; [SM=g1740721] proponete con chiarezza le verità della fede cristiana, siate - come dice san Pietro - pronti «a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15); vivete il linguaggio comprensibile a tutti dell’amore e della fraternità, ma senza dimenticare l’impegno di purificare e rafforzare la propria fede di fronte ai pericoli ed alle insidie che possono minacciarla in questi tempi. Superate i limiti dell’individualismo, della chiusura in se stessi, il fascino del relativismo, per cui si considera lecito ogni comportamento, l’attrazione che esercitano forme di sentimento religioso che sfruttano i bisogni e le aspirazioni più profonde dell’animo umano, proponendo prospettive di appagamento facili, ma illusorie. La fede è un dono di Dio, ma che vuole la nostra risposta, la decisione di seguire Cristo non solo quando guarisce e solleva, ma anche quando parla di amore fino al dono di se stessi.

Un altro punto su cui vorrei insistere è la testimonianza della carità, che deve caratterizzare la vostra vita di comunità. In questi anni voi l’avete vista crescere rapidamente anche nel numero dei suoi membri, ma avete visto anche giungere molte persone in difficoltà e in situazioni di disagio, che hanno bisogno di voi, del vostro aiuto materiale, ma anche e soprattutto della vostra fede e della vostra testimonianza di credenti. Fate in modo che il volto della vostra comunità possa sempre esprimere concretamente l’amore di Dio ricco di misericordia ed inviti ad accostarsi a Lui con fiducia.

Una speciale parola di affetto e di amicizia voglio dirigere a voi, carissimi ragazzi, ragazze e giovani che mi ascoltate, come pure ai vostri coetanei che vivono in questa Parrocchia. L’oggi e il domani della storia e il futuro della fede sono affidati in modo particolare a voi che siete le nuove generazioni. La Chiesa si aspetta molto dal vostro entusiasmo, dalla vostra capacità di guardare avanti, di essere animati da ideali, e dal vostro desiderio di radicalità nelle scelte di vita. La Parrocchia vi accompagna e vorrei che sentiste anche il mio incoraggiamento.

«Fratelli, siate sempre lieti» (1 Ts 5,16). Questo invito alla gioia, rivolto da san Paolo ai cristiani di Tessalonica in quel tempo, caratterizza anche l’odierna domenica, detta comunemente «Gaudete». Esso risuona fin dalle prime parole dell’Antifona all’Ingresso: «Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino»; così san Paolo ha scritto in carcere ai cristiani di Filippi (cfr Fil 4, 4-5) e lo dice anche a noi. Sì, siamo lieti perché il Signore ci è vicino e fra pochi giorni, nella notte del Natale, celebreremo il mistero della sua Nascita. Maria, colei che per prima ha ascoltato dall’Angelo l’invito: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1, 28), ci indica la via per raggiungere la vera gioia, quella che proviene da Dio. Santa Maria delle Grazie, Madre del Divino Amore, prega per noi tutti. Amen!

SALUTO ALLA COMUNITÀ PARROCCHIALE

Uscendo dalla chiesa, sul sagrato, il Papa ha salutato la comunità della parrocchia di Santa Maria delle Grazie con queste parole:

Cari amici, uno spirituale abbraccio per tutti voi. Grazie per la vostra presenza e per la cordialità dell’accoglienza. Era come in Africa: questa cordialità così bella e aperta, i cori aperti e vivi. Per me è una grande gioia vedere come vive la Chiesa qui nella città di Roma: in questa nuova Parrocchia si partecipa realmente all’Eucaristia e si prepara il Natale.
Preparare il Natale oggi è molto difficile. E so che sono tanti gli impegni. Ma preparare il Natale non è solo comprare, preparare e pensare, è anche tenere il contatto con il Signore, andare incontro a Lui. E mi sembra molto importante non dimenticare questa dimensione. Ho già spiegato ai bambini che San Paolo dice: "Pregate incessantemente", cioè non perdete il contatto con Dio. E questo non è un peso aggiunto agli altri, ma è la forza che ci aiuta a fare tutto quanto è necessario. Auguro, in questo senso, un permanente contatto con Gesù, e, così, la sua gioia e la sua forza di vivere in questo mondo. Buon Avvento e buon Natale. Grazie a voi tutti.

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Caterina63
00domenica 4 marzo 2012 19:33

Il Papa al Torrino: Gesù prende con sé i tre discepoli (Pietro, Giacomo e Giovanni) per aiutarli a comprendere che la strada per giungere alla gloria, la strada dell’amore luminoso che vince le tenebre, passa attraverso il dono totale di sé, passa attraverso lo scandalo della Croce. E il Signore sempre di nuovo deve prendere con sé anche noi, almeno per cominciare a capire che questo è il cammino necessario



VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN GIOVANNI BATTISTA DE LA SALLE AL TORRINO, 04.03.2012

Questa mattina, alle ore 9.30, il Santo Padre Benedetto XVI si è recato in visita pastorale alla Parrocchia romana di San Giovanni Battista de La Salle al Torrino, nel settore Sud della Diocesi di Roma.
Prima della Santa Messa, il Papa ha salutato i bambini della catechesi parrocchiale, i Parroci della Prefettura e i Ministranti.
Alle ore 9.45, il Papa ha presieduto la celebrazione Eucaristica nel corso della quale, dopo l’indirizzo di omaggio del Parroco, Don Giampaolo Perugini, ha pronunciato l’omelia.
Terminata la celebrazione eucaristica, dopo un breve colloquio con i Sacerdoti della Parrocchia, il Santo Padre si è recato sul Sagrato della chiesa dove si è congedato dai fedeli convenuti per l’occasione.
Pubblichiamo di seguito il saluto ai bambini, il testo dell’omelia e le parole di congedo del Santo Padre.

SALUTO AI BAMBINI ALL’ARRIVO IN PARROCCHIA

Cari bambini!

Buona domenica, buona giornata!

Per me è una grande gioia vedere tanti bambini. Allora Roma vive e vivrà anche domani! Voi siete in cammino di Catechesi: imparate Gesù, imparate che cosa ha fatto, detto, sofferto; imparate, così, anche la Chiesa, i Sacramenti e così imparate anche a vivere, perché vivere è un’arte, e Gesù ci mostra quest’arte.

Auguro a tutti un buona domenica. E poi già oggi vi auguro anche buona Pasqua.

Grazie per la vostra cordialità!

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle della Parrocchia di San Giovanni Battista de La Salle!

Innanzitutto vorrei dire, con tutto il mio cuore, grazie per questa accoglienza così cordiale, calorosa. Grazie al buon Parroco per le sue belle parole, grazie per questo spirito di familiarità che trovo. Siamo realmente famiglia di Dio e il fatto che vedete nel Papa anche il papà, è per me una cosa molto bella che mi incoraggia! Ma adesso dobbiamo pensare che anche il Papa non è l’ultima istanza: l’ultima istanza è il Signore e guardiamo al Signore per percepire, per capire – in quanto possibile – qualcosa del messaggio di questa seconda Domenica della Quaresima.

La liturgia di questo giorno ci prepara sia al mistero della Passione – lo abbiamo sentito nella prima Lettura – sia alla gioia della Risurrezione.

La prima Lettura ci riferisce l’episodio in cui Dio mette alla prova Abramo (cfr Gen 22,1-18). Egli aveva un unico figlio, Isacco, natogli in vecchiaia. Era il figlio della promessa, il figlio che avrebbe dovuto portare poi la salvezza anche ai popoli. Ma un giorno Abramo riceve da Dio il comando di offrirlo in sacrificio. L’anziano patriarca si trova di fronte alla prospettiva di un sacrificio che per lui, padre, è certamente il più grande che si possa immaginare. Tuttavia non esita neppure un istante e, dopo aver preparato il necessario, parte insieme ad Isacco per il luogo stabilito.

E possiamo immaginare questa camminata verso la cima del monte, che cosa sia successo nel suo cuore e nel cuore del figlio. Costruisce un altare, colloca la legna e, legato il ragazzo, afferra il coltello per immolarlo. Abramo si fida totalmente di Dio, da essere disposto anche a sacrificare il proprio figlio e, con il figlio, il futuro, perché senza figlio la promessa della terra era niente, finisce nel niente. E sacrificando il figlio sacrifica se stesso, tutto il suo futuro, tutta la promessa. È realmente un atto di fede radicalissimo. In questo momento viene fermato da un ordine dall’alto: Dio non vuole la morte, ma la vita, il vero sacrificio non dà morte, ma è la vita e l’obbedienza di Abramo è diventa fonte di una immensa benedizione fino ad oggi. Lasciamo questo, ma possiamo meditare questo mistero.

Nella seconda Lettura, san Paolo afferma che Dio stesso ha compiuto un sacrificio: ci ha dato il suo proprio Figlio, lo ha donato sulla Croce per vincere il peccato e la morte, per vincere il maligno e per superare tutta la malizia che esiste nel mondo. E questa straordinaria misericordia di Dio suscita l’ammirazione dell’Apostolo e una profonda fiducia nella forza dell’amore di Dio per noi; afferma, infatti san Paolo: «[Dio], che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?» (Rm 8,32).

Se Dio dà se stesso nel Figlio, ci dà tutto. E Paolo insiste sulla potenza del sacrificio redentore di Cristo contro ogni altro potere che può insidiare la nostra vita. Egli si chiede: «Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi ci condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!» (vv. 33-34).

Noi siamo nel cuore di Dio, questa è la nostra grande fiducia. Questo crea amore e nell’amore andiamo verso Dio. Se Dio ha donato il proprio Figlio per tutti noi, nessuno potrà accusarci, nessuno potrà condannarci, nessuno potrà separarci dal suo immenso amore. Proprio il sacrificio supremo di amore sulla Croce, che il Figlio di Dio ha accettato e scelto volontariamente, diventa fonte della nostra giustificazione, della nostra salvezza. E pensiamo che nella Sacra Eucaristia è sempre presente questo atto del Signore che nel suo cuore rimane in eterno, e questo atto del suo cuore ci attira, ci unisce con se stesso.

Finalmente, il Vangelo ci parla dell’episodio della trasfigurazione (cfr Mc 9,2-10): Gesù si manifesta nella sua gloria prima del sacrificio della Croce e Dio Padre lo proclama suo Figlio prediletto, l’amato, e invita i discepoli ad ascoltarlo. Gesù sale su un alto monte e prende con sé tre apostoli – Pietro, Giacomo e Giovanni –, che gli saranno particolarmente vicini nell’estrema agonia, su un altro monte, quello degli Ulivi.

Da poco il Signore aveva annunciato la sua passione e Pietro non era riuscito a capire perché il Signore, il Figlio di Dio, parlasse di sofferenza, di rifiuto, di morte, di croce, anzi si era opposto con decisione a questa prospettiva. Ora Gesù prende con sé i tre discepoli per aiutarli a comprendere che la strada per giungere alla gloria, la strada dell’amore luminoso che vince le tenebre, passa attraverso il dono totale di sé, passa attraverso lo scandalo della Croce. E il Signore sempre di nuovo deve prendere con sé anche noi, almeno per cominciare a capire che questo è il cammino necessario.

La trasfigurazione è un momento anticipato di luce che aiuta anche noi a guardare alla passione di Gesù con lo sguardo della fede. Essa, sì, è un mistero di sofferenza, ma è anche la «beata passione» perché è - nel nucleo - un mistero di amore straordinario di Dio; è l’esodo definitivo che ci apre la porta verso la libertà e la novità della Risurrezione, della salvezza dal male. Ne abbiamo bisogno nel nostro cammino quotidiano, spesso segnato anche dal buio del male!

Cari fratelli e sorelle! Come ho già detto, sono molto lieto di essere in mezzo a voi, oggi, per celebrare il Giorno del Signore. Saluto cordialmente il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il vostro Parroco, don Giampaolo Perugini, che ringrazio, ancora una volta, per le gentili parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi e anche per i graditi doni che mi avete offerto. Saluto i Vicari Parrocchiali. E saluto le Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria, qui presenti da tanti anni, particolarmente benemerite per la vita di questa parrocchia, che ha trovato pronta e generosa ospitalità nella loro casa nei primi tre anni di vita. Estendo poi il mio saluto ai Fratelli delle Scuole Cristiane, naturalmente affezionati a questa chiesa parrocchiale che porta il nome del loro Fondatore. Saluto, inoltre, quanti sono attivi nell’ambito della Parrocchia: mi riferisco ai catechisti, ai membri delle Associazioni e dei Movimenti, come pure dei diversi gruppi parrocchiali. Vorrei infine estendere il mio pensiero a tutti gli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà.

Venendo oggi in mezzo a voi, ho notato la particolare posizione di questa chiesa, posta nel punto più alto del quartiere, e dotata di un campanile slanciato, quasi un dito o una freccia verso il cielo. Mi pare sia questa una indicazione importante: come i tre apostoli del Vangelo, anche noi abbiamo bisogno di salire sul monte della trasfigurazione per ricevere la luce di Dio, perché il suo Volto illumini il nostro volto.

Ed è nella preghiera personale e comunitaria che noi incontriamo il Signore non come un’idea, o come una proposta morale, ma come una Persona che vuole entrare in rapporto con noi, che vuole essere amico e vuole rinnovare la nostra vita per renderla come la sua.

E questo incontro non è solo un fatto personale; questa vostra chiesa posta nel punto più alto del quartiere vi ricorda che il Vangelo deve essere comunicato, annunciato a tutti. Non aspettiamo che altri vengano a portare messaggi diversi, che non conducono alla vera vita, fatevi voi stessi missionari di Cristo ai fratelli là dove vivono, lavorano, studiano o soltanto trascorrono il tempo libero.

Conosco le tante e significative opere di evangelizzazione che state attuando, in particolare attraverso l’oratorio chiamato «Stella polare», - sono felice di portare anche questa camicia [la maglietta dell’oratorio] - dove, grazie al volontariato di persone competenti e generose e con il coinvolgimento delle famiglie, si favorisce l’aggregazione dei ragazzi attraverso l’attività sportiva, senza trascurare però la formazione culturale, attraverso l’arte e la musica, e soprattutto si educa al rapporto con Dio, ai valori cristiani e ad una sempre più consapevole partecipazione alla celebrazione eucaristica domenicale.

Mi rallegro che il senso di appartenenza alla comunità parrocchiale sia venuto sempre più maturando e consolidandosi nel corso degli anni. La fede va vissuta insieme e la parrocchia è un luogo in cui si impara a vivere la propria fede nel «noi» della Chiesa. E desidero incoraggiarvi affinché cresca anche la corresponsabilità pastorale, in una prospettiva di autentica comunione fra tutte le realtà presenti, che sono chiamate a camminare insieme, a vivere la complementarietà nella diversità, a testimoniare il «noi» della Chiesa, della famiglia di Dio. Conosco l’impegno che mettete nella preparazione dei ragazzi e dei giovani ai Sacramenti della vita cristiana.

Il prossimo «Anno della fede» sia un’occasione propizia anche per questa parrocchia per far crescere e consolidare l’esperienza della catechesi sulle grandi verità della fede cristiana, in modo da permettere a tutto il quartiere di conoscere e approfondire il Credo della Chiesa, e superare quell’«analfabetismo religioso» che è uno dei più grandi problemi del nostro oggi.

Cari amici! La vostra è una comunità giovane – si vede -costituita da famiglie giovani, e tanti sono, grazie a Dio, i bambini e i ragazzi che la popolano. A questo proposito, vorrei ricordare il compito della famiglia e dell’intera comunità cristiana di educare alla fede, aiutati in ciò dal tema del corrente anno pastorale, dagli orientamenti pastorali proposti dalla Conferenza Episcopale Italiana e senza dimenticare il profondo e sempre attuale insegnamento di san Giovanni Battista de La Salle. In particolare, care famiglie, voi siete l’ambiente di vita in cui si muovono i primi passi della fede; siate comunità in cui si impara a conoscere ed amare sempre di più il Signore, comunità in cui ci si arricchisce a vicenda per vivere una fede veramente adulta.

Vorrei, infine, richiamare a voi tutti l’importanza e la centralità dell’Eucaristia nella vita personale e comunitaria. La santa Messa sia al centro della vostra Domenica, che va riscoperta e vissuta come giorno di Dio e della comunità, giorno in cui lodare e celebrare Colui che è morto e risorto per la nostra salvezza, giorno in cui vivere insieme nella gioia di una comunità aperta e pronta ad accogliere ogni persona sola o in difficoltà.

Riuniti attorno all’Eucaristia, infatti, avvertiamo più facilmente come la missione di ogni comunità cristiana sia quella di recare il messaggio dell’amore di Dio a tutti gli uomini. Ecco perché è importante che l’Eucaristia sia sempre il cuore della vita dei fedeli, come lo è quest’oggi.

Cari fratelli e sorelle! Dal Tabor, il monte della Trasfigurazione, l’itinerario quaresimale ci conduce fino al Golgota, monte del supremo sacrificio di amore dell’unico Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza. In quel sacrificio è racchiusa la più grande forza di trasformazione dell’uomo e della storia. Assumendo su di sé ogni conseguenza del male e del peccato, Gesù è risorto il terzo giorno come vincitore della morte e del Maligno. La Quaresima ci prepara a partecipare personalmente a questo grande mistero della fede, che celebreremo nel Triduo della passione, morte e risurrezione di Cristo. Alla Vergine Maria affidiamo il nostro cammino quaresimale, come quello della Chiesa intera. Ella, che ha seguito il suo Figlio Gesù fino alla Croce, ci aiuti ad essere discepoli fedeli di Cristo, cristiani maturi, per poter partecipare insieme con Lei alla pienezza della gioia pasquale. Amen!

PAROLE DI CONGEDO DEL SANTO PADRE

Cari amici,

grazie per questa bella celebrazione e per la chiesa, con la Madonna e i Santi. Siamo una famiglia con tutti i Santi.

Domenica scorsa il Signore ci ha guidato nel deserto; questa domenica, al monte: sono sempre luoghi privilegiati per essere un po’ più vicino a Dio, uscire da tutte le cose di ogni giorno e percepire che c’è Dio, che è il centro della nostra vita.

Vi auguro che possiate sentire la vicinanza di Dio e che vi guidi ogni giorno.

Buona domenica, buona Quaresima a tutti voi!



























































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Caterina63
00domenica 16 dicembre 2012 14:04

VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA
"SAN PATRIZIO AL COLLE PRENESTINO"

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Domenica, 16 dicembre 2012

[Video]
 

 

Cari fratelli e sorelle della Parrocchia di San Patrizio!

Sono molto lieto di essere in mezzo a voi e di celebrare con voi e per voi la Santa Eucaristia. Vorrei anzitutto offrirvi qualche pensiero alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato. In questa terza domenica di Avvento, chiamata domenica «Gaudete», la Liturgia ci invita alla gioia. L’Avvento è un tempo di impegno e di conversione per preparare la venuta del Signore, ma la Chiesa oggi ci fa pregustare la gioia del Natale ormai vicino. In effetti, l’Avvento è anche tempo di gioia, perché in esso si risveglia nei cuori dei credenti l’attesa del Salvatore, e attendere la venuta di una persona amata è sempre motivo di gioia. Questo aspetto gioioso è presente nelle prime Letture bibliche di questa domenica. Il Vangelo invece corrisponde all’altra dimensione caratteristica dell’Avvento: quella della conversione in vista della manifestazione del Salvatore, annunciato da Giovanni Battista.

La prima Lettura che abbiamo sentito è un invito insistente alla gioia. Il brano inizia con l’espressione: «Rallégrati, figlia di Sion… esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme» (Sof 3,14), che è simile a quella dell’annuncio dell’angelo a Maria: «Rallégrati, piena di grazia» (Lc 1,26). Il motivo essenziale per cui la figlia di Sion può esultare è espresso nell’affermazione che abbiamo appena ascoltato: «il Signore è in mezzo a te» (Sof 3,15.17); letteralmente sarebbe «è nel tuo grembo», con un chiaro riferimento al dimorare di Dio nell’Arca dell’Alleanza, posta sempre in mezzo al popolo di Israele. Il profeta vuole dirci che non c’è più alcun motivo di sfiducia, di scoraggiamento, di tristezza, qualunque sia la situazione che si deve affrontare, perché siamo certi della presenza del Signore, che da sola basta a rasserenare e rallegrare i cuori.
Il profeta Sofonia, inoltre, fa capire che questa gioia è reciproca: noi siamo invitati a rallegrarci, ma anche il Signore si  rallegra per la sua relazione con noi; infatti, il profeta scrive: «Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (v. 17). La gioia che viene promessa in questo testo profetico trova il suo compimento in Gesù, che è nel grembo di Maria, la “Figlia di Sion”, e pone così la sua dimora in mezzo a noi (cfr Gv 1, 14).  

Egli infatti, venendo nel mondo, ci dona la sua gioia, come Egli stesso confida ai suoi discepoli: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). Gesù reca agli uomini la salvezza, una nuova relazione con Dio che vince il male e la morte, e porta la vera gioia per questa presenza del Signore che viene a illuminare il nostro cammino che spesso è oppresso dalle tenebre e dall’egoismo. E possiamo riflettere se realmente siamo consapevoli di questo fatto della presenza del Signore tra noi, che non è un Dio lontano, ma un Dio con noi, un Dio in mezzo a noi, che sta con noi qui nella Santa Eucaristia, sta con noi nella Chiesa viva. E noi dobbiamo essere portatori di questa presenza di Dio. E così Dio gioisce per noi e noi possiamo avere la gioia: Dio c’è, e Dio è buono, e Dio è vicino.

Nella seconda Lettura che abbiamo ascoltato san Paolo invita i cristiani di Filippi a rallegrarsi nel Signore. Possiamo rallegrarci? E perché bisogna rallegrarsi? La risposta di san Paolo è: perché «il Signore è vicino!» (Fil 4,5).
Tra pochi giorni celebreremo il Natale, la festa della venuta di Dio, che si è fatto bambino e nostro fratello per stare con noi e condividere la nostra condizione umana. Dobbiamo rallegrarci per questa sua vicinanza, per questa sua presenza e cercare di capire sempre più che realmente è vicino, e così essere penetrati dalla realtà della bontà di Dio, della gioia che Cristo è con noi. Paolo dice con forza in un'altra Lettera che nulla può separarci dall’amore di Dio che si è manifestato in Cristo. Solo il peccato ci allontana da Lui, ma questo è un fattore di separazione che noi stessi introduciamo nel nostro rapporto con il Signore. Però, anche quando noi ci allontaniamo, Egli non cessa di amarci e continua ad esserci vicino con la sua misericordia, con la sua disponibilità a perdonare e a riaccoglierci nel suo amore. Perciò, così prosegue san Paolo, non dobbiamo mai angustiarci, possiamo sempre esporre al Signore le nostre richieste, le nostre necessità, le nostre preoccupazioni, «con preghiere e suppliche» (v. 6). E questo è un grande motivo di gioia: sapere che è sempre possibile pregare il Signore e che il Signore ci ascolta, che Dio non è lontano, ma ascolta realmente, ci conosce, e sapere che non respinge mai le nostre preghiere, anche se non risponde sempre così come noi desideriamo, ma risponde. E l’Apostolo aggiunge: pregare «con ringraziamenti» (ibid.).
La gioia che il Signore ci comunica deve trovare in noi l’amore riconoscente. Infatti, la gioia è piena quando riconosciamo la sua misericordia, quando diventiamo attenti ai segni della sua bontà, se realmente percepiamo che questa bontà di Dio è con noi, e lo ringraziamo per quanto riceviamo da Lui ogni giorno. Chi accoglie i doni di Dio in modo egoistico, non trova la vera gioia; invece chi trae occasione dai doni ricevuti da Dio per amarlo con sincera gratitudine e per comunicare agli altri il suo amore, questi ha il cuore veramente pieno di gioia. Ricordiamolo!

Dopo le due Letture veniamo al Vangelo. Il Vangelo di oggi ci dice che per accogliere il Signore che viene dobbiamo prepararci guardando bene alla nostra condotta di vita. Alle diverse persone che gli chiedono che cosa devono fare per essere pronte alla venuta del Messia (cfr Lc 3,10.12.14), Giovanni Battista risponde che Dio non esige niente di straordinario, ma che ciascuno viva secondo criteri di solidarietà e di giustizia; senza di esse non ci si può preparare bene all’incontro con il Signore. Quindi chiediamo anche noi al Signore che cosa aspetta e che cosa vuole che facciamo, e iniziamo a capire che non esige cose straordinarie, ma vivere la vita ordinaria in rettitudine e bontà. Infine Giovanni Battista indica chi dobbiamo seguire con fedeltà e coraggio.

Anzitutto nega di essere lui stesso il Messia e poi proclama con fermezza: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali» (v. 16). Qui notiamo la grande umiltà di Giovanni nel riconoscere che la sua missione è quella di preparare la strada a Gesù. Dicendo «io vi battezzo con acqua», vuol far capire che la sua è un’azione simbolica. Egli infatti non può eliminare e perdonare i peccati: battezzando con acqua, può solo indicare che bisogna cambiare la vita. Nello stesso tempo Giovanni annuncia la venuta del «più forte», che «vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (ibid.).
E, come abbiamo ascoltato, questo grande profeta usa immagini forti per invitare alla conversione, ma non lo fa con lo scopo di incutere timore, piuttosto lo fa per spronare ad accogliere bene l’Amore di Dio, che solo può purificare veramente la vita. Dio si fa uomo come noi per donarci una speranza che è certezza: se lo seguiamo, se viviamo con coerenza la nostra vita cristiana, Egli ci attirerà a Sé, ci condurrà alla comunione con Lui; e nel nostro cuore ci sarà la vera gioia e la vera pace, anche nelle difficoltà, anche nei momenti di debolezza.

Cari amici! Sono contento di pregare con voi il Signore che si rende presente nell’Eucaristia per essere sempre con noi. Saluto cordialmente il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il vostro Parroco Don Fabio Fasciani, che ringrazio per le sue parole nelle quali mi ha esposto la situazione della parrocchia, la ricchezza spirituale della vita parrocchiale, e saluto tutti i Sacerdoti presenti. Saluto quanti sono attivi nell’ambito della parrocchia: i catechisti, i membri del coro e dei vari gruppi parrocchiali, come pure gli aderenti al Cammino Neocatecumenale, qui impegnati nella missione. Vedo con gioia tanti bambini che seguono la parola di Dio in diversi livelli, preparandosi alla Comunione, alla Cresima e al dopo Cresima, alla vita. Benvenuti! Sono felice di vedere qui una Chiesa viva! Estendo il mio pensiero alle Oblate della Madonna del Rosario, presenti nel territorio della parrocchia, e a tutti gli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà. Per tutti e per ciascuno prego in questa Santa Messa.

La vostra parrocchia, formatasi sul Colle Prenestino tra la fine degli anni ’60 e la metà degli anni ’80, dopo le difficoltà iniziali dovute alla mancanza di strutture e di servizi, si è dotata di una nuova bella chiesa, inaugurata nel 2007 dopo una lunga attesa. Questo edificio sacro sia pertanto uno spazio privilegiato per crescere nella conoscenza e nell’amore di Colui che tra pochi giorni accoglieremo nella gioia del Natale come Redentore del mondo e nostro Salvatore. Non mancate di venirlo a trovare spesso, per sentire ancora di più la sua presenza che dona forza. Mi rallegro per il senso di appartenenza alla comunità parrocchiale che, nel corso di questi anni, è venuto sempre più maturando e consolidandosi. Vi incoraggio affinché cresca sempre più la corresponsabilità pastorale in una prospettiva di autentica comunione fra tutte le realtà presenti, chiamate a vivere la complementarietà nella diversità.
In modo particolare, desidero richiamare a voi tutti l’importanza e la centralità dell’Eucaristia nella vita personale e comunitaria.
La Santa Messa sia al centro della vostra Domenica, che va riscoperta e vissuta come giorno di Dio e della comunità, giorno in cui lodare e celebrare Colui che è morto e risorto per la nostra salvezza e ci chiede di vivere insieme nella gioia di una comunità aperta e pronta ad accogliere ogni persona sola o in difficoltà.
Allo stesso modo, vi esorto ad accostarvi con regolarità al sacramento della Riconciliazione, soprattutto in questo tempo di Avvento.

Conosco quanto fate nella preparazione dei ragazzi e dei giovani ai Sacramenti della vita cristiana. L’Anno della fede, che stiamo vivendo, deve diventare un’occasione per far crescere e consolidare l’esperienza della catechesi, in modo da permettere a tutto il quartiere di conoscere e approfondire il Credo della Chiesa e incontrare il Signore come una Persona viva. Rivolgo uno speciale pensiero alle famiglie, con l’augurio che possano pienamente realizzare la propria vocazione all’amore con generosità e perseveranza. E una speciale parola di affetto e di amicizia il Papa vuole dirigerla anche a voi, carissimi ragazzi, ragazze e giovani che mi ascoltate, ed ai vostri coetanei che vivono in questa parrocchia. Sentitevi veri protagonisti della nuova evangelizzazione, mettendo le vostre fresche energie, il vostro entusiasmo e le vostre capacità a servizio di Dio e degli altri, nella comunità.

Cari fratelli e sorelle, come abbiamo detto all’inizio di questa celebrazione, la liturgia odierna ci chiama alla gioia e alla conversione. Apriamo il nostro spirito a questo invito; corriamo incontro al Signore che viene, invocando e imitando san Patrizio, grande evangelizzatore, e la Vergine Maria, che ha atteso e preparato, silenziosa e orante, la nascita del Redentore. Amen!

 







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