Lettera di Benedetto XVI sul chiarimento del PRO MULTIS

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Caterina63
00lunedì 27 agosto 2012 10:41

[SM=g1740733] PER “MOLTI” O “PER TUTTI”? IL RICHIAMO DEL SANTO PADRE ALLA GIUSTA INTERPRETAZIONE DEL TESTO EVANGELICO - di P. Giovanni Cavalcoli, OP

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di P. Giovanni Cavalcoli, OP

 

Papa

 

 

 

Il Papa ha recentemente inviato una Lettera all’Episcopato tedesco[1] con la quale ordina che l’espressione “per tutti” attualmente presente nel Messale tra le parole della Consacrazione Eucaristica, venga mutata in  “per molti”, perché, dice il Pontefice, questa è la traduzione esatta del testo greco originale del Vangelo.

Sappiamo come per molti secoli la Chiesa abbia usato la cosiddetta “Vulgata” latina, ossia la traduzione di S.Girolamo, la quale ha “pro multis”. Questa espressione, fraintesa, dette occasione all’eresia di Calvino, il quale credeva che Cristo non fosse morto per tutti ma solo per “molti” o addirittura, come lui credeva, per “pochi”, quelli che egli chiamava, abusando di un’espressione biblica, gli “eletti”.

Sappiamo come in Calvino, in ciò precorso da Lutero, esiste una doppia “predestinazione”: alcuni sono da Dio predestinati al paradiso, altri all’inferno. Da Dio viene tanto il bene quanto il male, tanto la grazia quanto il peccato.

Il Concilio di Quierzy dell’853 aveva già affrontato e risolto questo problema della predestinazione insegnando che essa, ben intesa, esiste come volontà salvifica di Dio, per cui Egli manda in paradiso, ma non manda nessuno all’inferno. Ognuno raggiunge quel destino eterno che corrisponde alle proprie opere: chi opera il bene va in paradiso, chi opera il male va all’inferno. Senonchè però, siccome è Cristo che salva con la sua grazia, chi si salva si salva perché il Padre lo salva, ossia lo predestina alla salvezza, mentre chi si danna si danna solo per colpa sua.

Gettando ulteriore luce su questo mistero, il Concilio di Trento dirà contro Lutero che negava i meriti della salvezza: l’uomo può e deve meritare il paradiso con le buone opere, ma questi stessi meriti, che egli si procura vivendo in grazia di Dio, sono a loro volta dono di Dio. Quindi Dio è la causa prima della salvezza. Mentre la dannazione è esclusivamente frutto dei meriti del peccato, atto esclusivo del peccatore, nel quale Dio non c’entra assolutamente nulla. Quindi il dannarsi dipende esclusivamente dal peccatore.

La Chiesa prese occasione dal Concilio di Quierzy per condannare la dottrina, definita “orribile”, di un certo monaco di nome Godescalco (Gottschalk), il quale invece già allora sosteneva che Dio manda anche all’inferno chi vuole che vada all’inferno, per quanto bene questo disgraziato cerchi di fare, perché Dio muove la stessa volontà di questo tale a compiere il peccato.

Purtroppo questa orribile eresia, che è una vera e propria bestemmia contro la bontà e la misericordia di Dio, in nome di un falso concetto della predestinazione, risorse col protestantesimo. Il protestantesimo di oggi invece, a parte alcune sette che conservano questo orientamento, come per esempio i testimoni di Geova, è passato nell’estremo opposto che sostiene che Dio salva tutti e che quindi tutti sono “predestinati”.

Ma è un’eresia anche questa, di segno opposto, messa in giro da Rahner, la quale oggi purtroppo ha molto successo anche tra i cattolici. Si potrebbe chiamare eresia del “buonismo”: siccome Dio è “buono”, anche il “male” in fondo è bene,  tutti sono buoni, tutti sono in buona fede, tutti sono perdonati, tutti per essenza sono in grazia, tutti per essenza tendono a Dio, tutti si salvano. Il peccato non esiste, è solo uno “sbaglio in buona fede”. La Redenzione non è un’“espiazione” o una “riparazione”, ma semplicemente un perfezionamento supremo dell’uomo “già da sempre - come dice Rahner -, in tensione verso Dio”.

Il Concilio Vaticano II ha sviluppato in modo molto consolante e confortante la dottrina della possibilità che tutti si salvino, perché Cristo ha dato il suo sangue per tutti, offre a tutti la salvezza, offre a tutti i mezzi per salvarsi, anche a chi non Lo conosce, purchè però sia onesto e in buona fede. In questo senso Cristo è il Salvatore dell’intera umanità, come dice il Papa nella sua Lettera: “l’universalità della salvezza proviene da Lui”.

Ma il Concilio non dice per nulla che di fatto tutti si salvano, anzi riporta alcuni passi del Vangelo i quali, con la parola del Cristo stesso, ci fanno capire che alcuni non si salvano, come del resto la Chiesa ha sempre sostenuto, in modo speciale nel suddetto Concilio di Quierzy.

Questo vuol dire che non tutti sono predestinati alla salvezza, ma solo quelli Dio ha “scelto” o “eletto”. Per questo, ancora nel Canone Romano della Messa il sacerdote chiede a Dio insieme con i fedeli presenti di poter esser posto da Dio “nel numero degli eletti”. L’idea di elezione evidentemente implica il prendere una parte da un tutto. Non si sceglie un tutto, ma solo una sua parte. Quindi solo una parte dell’umanità si salva, non tutta.

Questo dà fastidio alle orecchie di molti oggi, eppure questa è la verità di fede, negando la quale si cade nell’eresia. Si tratta semmai di accostarci a questa difficile verità trovando argomenti di convenienza che proporzionino anche qui la fede alla ragione. E del resto è questo il compito della teologia. Ho trattato di queste cose in un mio recente libro[2].

In riferimento a ciò il Papa distingue i “molti” dai “tutti” e dice: “Tutti” si muove sul piano ontologico – l’essere ed operare di Gesù comprende tutta l’umanità, il passato, il presente e il futuro. Ma di fatto, storicamente, nella comunità concreta di coloro che celebrano l’Eucaristia, Egli giunge solo a “molti””. In altre parole: Cristo offre la salvezza a tutta l’umanità, ma di fatto Egli giunge solo a molti, ossia solo questi molti si salvano, quindi non tutti.

Tornando alla questione dei “per molti” o “per tutti”, bisogna dire che il Papa ci ricorda un’importante regola ermeneutica, valida sempre e in ogni caso nell’interpretazione della Bibbia, come del resto di qualunque testo letterario: un conto, dice il Pontefice, è tradurre e un conto è interpretare. La traduzione va fatta con fedeltà e precisione, anche se il testo che vien fuori è difficile o indigesto o antipatico. A questo punto ci può soccorrere un’opportuna interpretazione che ce lo rende digeribile ed accettabile, per non dire attraente.

Applicando questo metodo, Benedetto XVI dice con la schiettezza e la sicurezza del Pastore universale della Chiesa (anche se si rivolge solo all’Episcopato tedesco) che si deve riprendere la traduzione “per molti”, perché è quella esatta. Ciò non impedisce, anzi richiede che poi la si interpreti nel senso giusto, non nel senso calvinista. Allora “per moltivuol dire per tutti”, perché “molti” va inteso nel senso che Cristo si riferiva al fatto che gli uomini, nel loro complesso, sono molti. Ma non intendeva affatto con questi “molti” una parte che si opponesse al tutto.

La traduzione “per tutti”, dice pertanto il Pontefice, non è una vera traduzione, ma è un’interpretazione, per quanto valida, che di fatto si è imposta nel clima del postconcilio, preoccupato di sottolineare la “chiamata universale alla salvezza e alla santità”, che indubbiamente è uno dei grandi temi del Concilio, che sarebbe grave danno minimizzare o dimenticare. Ma occorre anche guardarsi bene dal fraintenderla alla maniera di Rahner e dei buonisti. “Per tutti” non vuol dire che tutti si salvano, ma semplicemente che possono salvarsi. Nei fatti, come ho detto e come la Chiesa ha sempre sostenuto, alcuni si salvano, altri si dannano, nel senso che ho spiegato sopra.

Accogliamo dunque con gratitudine questo richiamo del Vicario di Cristo che, in un punto così importante della Parola di Dio quali sono le parole della Consacrazione Eucaristica, ci precisa quali sono le parole esatte del testo evangelico, esortando nel contempo alla giusta interpretazione che deve evitare tanto l’eresia di Calvino quanto quella di Rahner.

 

Bologna, 8 maggio 2012

 

 

 


[1] www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/letters/2012/documents/hf_ben-xvi_let_20120414_zollitsch...

[2] L’inferno esiste. la verità negata, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2010.






Caterina63
00lunedì 27 agosto 2012 10:43

LETTERA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
AL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE TEDESCA

 

A Sua Eccellenza Reverendissima
Monsignor Robert Zollitsch
Arcivescovo di Freiburg
Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca

Herrenstraße 9
D-79098 FREIBURG

Dal Vaticano, 14 aprile 2012

Eccellenza,
Venerato, caro Arcivescovo,

In occasione della Sua visita del 15 marzo 2012, Lei mi ha fatto sapere che per quanto riguarda la traduzione delle parole “pro multis” nelle Preghiere Eucaristiche della Santa Messa ancora non c’è unità tra i Vescovi dell’area di lingua tedesca. Incombe, a quanto pare, il pericolo che per la pubblicazione della nuova edizione del “Gotteslob” [libro dei canti e preghiere], attesa in tempi brevi, alcune parti dell’area di lingua tedesca vogliano mantenere la traduzione “per tutti”, anche qualora la Conferenza Episcopale tedesca convenisse a scrivere “per molti”, così come richiesto dalla Santa Sede. Le avevo promesso che mi sarei espresso per iscritto riguardo a questa importante questione, al fine di prevenire una tale divisione nel luogo più intimo della nostra preghiera. La lettera che qui, per Suo tramite, indirizzo ai membri della Conferenza Episcopale Tedesca, sarà inviata anche agli altri Vescovi dell’area di lingua tedesca.

Anzitutto, mi lasci spendere brevemente una parola sulle origini del problema. Negli anni sessanta, quando bisognava tradurre in tedesco, sotto la responsabilità dei Vescovi, il Messale Romano, esisteva un consenso esegetico sul fatto che la parola “i molti”, “molti” in Isaia 53,11s, fosse una forma di espressione ebraica per indicare la totalità, “tutti”. La parola “molti” nei racconti dell’istituzione di Matteo e di Marco, sarebbe stata quindi un “semitismo” e avrebbe dovuto essere tradotta con “tutti”. Questo concetto si applicò anche al testo latino direttamente da tradurre, in cui il “pro multis” avrebbe rimandato, attraverso i racconti evangelici, a Isaia 53 e perciò sarebbe stato da tradurre con “per tutti”. Questo consenso esegetico, nel frattempo, si è sgretolato; esso non esiste più. Nella traduzione ecumenica tedesca della Sacra Scrittura, nel racconto dell’Ultima Cena, si legge: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, che è versato per molti” (Mc 14,24; cfr Mt 26,28). Con questo si evidenzia una cosa molto importante: la resa di “pro multis” con “per tutti” non era affatto una semplice traduzione, bensì un’interpretazione, che sicuramente era e rimane fondata, ma tuttavia è già un’interpretazione ed è più di una traduzione.

Questa fusione di traduzione e interpretazione appartiene, in un certo senso, ai principi che, subito dopo il Concilio, guidarono la traduzione dei libri liturgici nelle lingue moderne. Si era consapevoli di quanto la Bibbia ed i testi liturgici fossero lontani dal mondo del parlare e del pensare dell’uomo d’oggi, così che anche tradotti essi sarebbero rimasti ampiamente incomprensibili ai partecipanti alla liturgia. Era un’impresa nuova che i testi sacri fossero resi accessibili, in traduzione, ai partecipanti alla liturgia, pur rimanendo, tuttavia, a una grande distanza dal loro mondo; anzi, in questo modo, i testi sacri apparivano proprio nella loro grande distanza. Così, ci si sentì non solo autorizzati, ma addirittura in obbligo di fondere già nella traduzione l’interpretazione, e di accorciare in questo modo la strada verso gli uomini, il cui cuore ed intelletto si voleva fossero raggiunti appunto da queste parole.

Fino ad un certo punto, il principio di una traduzione contenutistica e non necessariamente letterale del testo di base rimane giustificato. Dal momento che devo recitare le preghiere liturgiche continuamente in lingue diverse, noto che, talora, tra le diverse traduzioni, non è possibile trovare quasi niente in comune e che il testo unico che ne è alla base, spesso è riconoscibile soltanto da lontano. Vi sono state poi delle banalizzazioni che rappresentano delle vere perdite. Così, nel corso degli anni, anche a me personalmente, è diventato sempre più chiaro che il principio della corrispondenza non letterale, ma strutturale, come linea guida nella traduzione, ha i suoi limiti. Seguendo considerazioni di questo genere, l’Istruzione sulle traduzioni Liturgiam authenticam, emanata dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti il 28 marzo 2001, ha posto di nuovo in primo piano il principio della corrispondenza letterale, senza ovviamente prescrivere un verbalismo unilaterale. L’acquisizione importante che è alla base di questa Istruzione consiste nella distinzione, a cui ho già accennato all’inizio, fra traduzione e interpretazione. Essa è necessaria sia nei confronti della parola della Scrittura, sia nei confronti dei testi liturgici. Da un lato, la parola sacra deve presentarsi il più possibile come essa è, anche nella sua estraneità e con le domande che porta in sé; dall’altro lato, è alla Chiesa che è affidato il compito dell’interpretazione, affinché – nei limiti della nostra attuale comprensione – ci raggiunga quel messaggio che il Signore ci ha destinato. Neppure la traduzione più accurata può sostituire l’interpretazione: rientra nella struttura della rivelazione il fatto che la Parola di Dio sia letta nella comunità interpretante della Chiesa, e che fedeltà e attualizzazione siano legate reciprocamente. La Parola deve essere presente quale essa è, nella sua propria forma, forse a noi estranea; l’interpretazione deve misurarsi con la fedeltà alla Parola stessa, ma al tempo stesso deve renderla accessibile all’ascoltatore di oggi.

In questo contesto, è stato deciso dalla Santa Sede che, nella nuova traduzione del Messale, l’espressione “pro multis” debba essere tradotta come tale e non insieme già interpretata. Al posto della versione interpretativa “per tutti” deve andare la semplice traduzione “per molti”. Vorrei qui far notare che né in Matteo, né in Marco c’è l’articolo, quindi non “per i molti”, ma “per molti”. Se questa decisione è, come spero, assolutamente comprensibile alla luce della fondamentale correlazione tra traduzione e interpretazione, sono tuttavia consapevole che essa rappresenta una sfida enorme per tutti coloro che hanno il compito di esporre la Parola di Dio nella Chiesa. Infatti, per coloro che abitualmente partecipano alla Santa Messa questo appare quasi inevitabilmente come una rottura proprio nel cuore del Sacro. Essi chiederanno: ma Cristo non è morto per tutti? La Chiesa ha modificato la sua dottrina? Può ed è autorizzata a farlo? E’ qui in atto una reazione che vuole distruggere l’eredità del Concilio? Per l’esperienza degli ultimi 50 anni, tutti sappiamo quanto profondamente i cambiamenti di forme e testi liturgici colpiscono le persone nell’animo; quanto fortemente possa inquietare le persone una modifica del testo in un punto così centrale. Per questo motivo, nel momento in cui, in base alla differenza tra traduzione e interpretazione, si scelse la traduzione “molti”, si decise, al tempo stesso, che questa traduzione dovesse essere preceduta, nelle singole aree linguistiche, da una catechesi accurata, per mezzo della quale i Vescovi avrebbero dovuto far comprendere concretamente ai loro sacerdoti e, attraverso di loro, a tutti i fedeli, di che cosa si trattasse. Il far precedere la catechesi è la condizione essenziale per l’entrata in vigore della nuova traduzione. Per quanto ne so, una tale catechesi finora non è stata fatta nell’area linguistica tedesca. L’intento della mia lettera è chiedere con la più grande urgenza a Voi tutti, cari confratelli, di elaborare ora una tale catechesi, per parlarne poi con i sacerdoti e renderla contemporaneamente accessibile ai fedeli.

In una tale catechesi si dovrà forse, in primo luogo, spiegare brevemente perché nella traduzione del Messale dopo il Concilio, la parola “molti” venne resa con “tutti”: per esprimere in modo inequivocabile, nel senso voluto da Gesù, l’universalità della salvezza che proviene da Lui. Ma poi sorge subito la domanda: se Gesù è morto per tutti, perché nelle parole dell’Ultima Cena Egli ha detto “per molti”? E perché allora noi ci atteniamo a queste parole di istituzione di Gesù? A questo punto bisogna anzitutto aggiungere ancora che, secondo Matteo e Marco, Gesù ha detto “per molti”, mentre secondo Luca e Paolo ha detto “per voi”. Così il cerchio, apparentemente, si stringe ancora di più. Invece, proprio partendo da questo si può andare verso la soluzione. I discepoli sanno che la missione di Gesù va oltre loro e la loro cerchia; che Egli era venuto per riunire da tutto il mondo i figli di Dio che erano dispersi (Gv 11,52). Il “per voi”, rende, però, la missione di Gesù assolutamente concreta per i presenti. Essi non sono degli elementi anonimi qualsiasi di un’enorme totalità, bensì ogni singolo sa che il Signore è morto proprio “per me”, “per noi”. “Per voi” si estende al passato e al futuro, si riferisce a me del tutto personalmente; noi, che siamo qui riuniti, siamo conosciuti ed amati da Gesù in quanto tali. Quindi questo “per voi” non è una restrizione, bensì una concretizzazione, che vale per ogni comunità che celebra l’Eucaristia e che la unisce concretamente all’amore di Gesù. Il Canone Romano ha unito tra loro, nelle parole della consacrazione, le due letture bibliche e, conformemente a ciò, dice: “per voi e per molti”. Questa formula è stata poi ripresa, nella riforma liturgica, in tutte le Preghiere Eucaristiche.

Ma, ancora una volta: perché “per molti”? Il Signore non è forse morto per tutti? Il fatto che Gesù Cristo, in quanto Figlio di Dio fatto uomo, sia l’uomo per tutti gli uomini, sia il nuovo Adamo, fa parte delle certezze fondamentali della nostra fede. Su questo punto vorrei solamente ricordare tre testi della Scrittura: Dio ha consegnato suo Figlio “per tutti”, afferma Paolo nella Lettera ai Romani (Rm 8,32). “Uno è morto per tutti”, dice nella Seconda Lettera ai Corinzi, parlando della morte di Gesù (2 Cor 5,14). Gesù “ha dato se stesso in riscatto per tutti”, è scritto nella Prima Lettera a Timoteo (1 Tm 2,6). Ma allora, a maggior ragione ci si deve chiedere, ancora una volta: se questo è così chiaro, perché nella Preghiera Eucaristica è scritto “per molti”? Ora, la Chiesa ha ripreso questa formulazione dai racconti dell’istituzione nel Nuovo Testamento. Essa dice così per rispetto verso la parola di Gesù, per mantenersi fedele a Lui fin dentro la parola. Il rispetto reverenziale per la parola stessa di Gesù è la ragione della formulazione della Preghiera Eucaristica. Ma allora noi ci chiediamo: perché mai Gesù stesso ha detto così? La ragione vera e propria consiste nel fatto che, con questo, Gesù si è fatto riconoscere come il Servo di Dio di Isaia 53, ha dimostrato di essere quella figura che la parola del profeta stava aspettando. Rispetto reverenziale della Chiesa per la parola di Gesù, fedeltà di Gesù alla parola della “Scrittura”: questa doppia fedeltà è la ragione concreta della formulazione “per molti”. In questa catena di fedeltà reverenziale, noi ci inseriamo con la traduzione letterale delle parole della Scrittura.

Come abbiamo visto anteriormente che il “per voi” della traduzione lucano-paolina non restringe, ma concretizza; così ora possiamo riconoscere che la dialettica “molti” – “tutti” ha il suo proprio significato. “Tutti” si muove sul piano ontologico – l’essere ed operare di Gesù comprende tutta l’umanità, il passato, il presente e il futuro. Ma di fatto, storicamente, nella comunità concreta di coloro che celebrano l’Eucaristia, Egli giunge solo a “molti”. Allora è possibile riconoscere un triplice significato della correlazione di “molti” e “tutti”. Innanzitutto, per noi, che possiamo sedere alla sua mensa, dovrebbe significare sorpresa, gioia e gratitudine perché Egli mi ha chiamato, perché posso stare con Lui e posso conoscerlo. “Sono grato al Signore, che per grazia mi ha chiamato nella sua Chiesa …” [canto religioso “Fest soll mein Taufbund immer stehen”, strofa 1]. Poi, però, in secondo luogo questo significa anche responsabilità. Come il Signore, a modo suo, raggiunga gli altri – “tutti” – resta, alla fine, un mistero suo. Senza dubbio, però, costituisce una responsabilità il fatto di essere chiamato da Lui direttamente alla sua mensa, così che posso udire: “per voi”, “per me”, Egli ha patito. I molti portano responsabilità per tutti. La comunità dei molti deve essere luce sul candelabro, città sul monte, lievito per tutti. Questa è una vocazione che riguarda ciascuno, in modo del tutto personale. I molti, che siamo noi, devono sostenere la responsabilità per il tutto, consapevoli della propria missione. Infine, si può aggiungere un terzo aspetto. Nella società attuale abbiamo la sensazione di non essere affatto “molti”, ma molto pochi – una piccola schiera, che continuamente si riduce. Invece no – noi siamo “molti”: “Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua”, dice l’Apocalisse di Giovanni (Ap 7,9). Noi siamo molti e rappresentiamo tutti. Così ambedue le parole “molti” e “tutti” vanno insieme e si relazionano l’una all’altra nella responsabilità e nella promessa.

Eccellenza, cari confratelli nell’Episcopato! Con tutto questo, ho voluto indicare le linee fondamentali di contenuto della catechesi per mezzo della quale sacerdoti e laici dovranno essere preparati il più presto possibile alla nuova traduzione. Auspico che tutto questo possa servire, allo stesso tempo, ad una più profonda partecipazione alla Santa Eucaristia, inserendosi così nel grande compito che ci aspetta con “l’Anno della fede”. Posso sperare che la catechesi venga presentata presto e diventi così parte di quel rinnovamento liturgico, per il quale il Concilio si è impegnato fin dalla sua prima sessione.
Con la benedizione e i saluti pasquali,
Mi confermo Suo nel Signore

Benedictus PP. XVI

 

Caterina63
00venerdì 14 settembre 2012 12:29

Diario Vaticano / La conversione del vescovo-teologo Bruno Forte

Era un deciso sostenitore del "per tutti", nelle parole della consacrazione. Ma la lettera del papa ai vescovi tedeschi gli ha fatto cambiare idea. Ora anche lui vuole che si dica "per molti". I retroscena della svolta

di ***




CITTÀ DEL VATICANO, 10 settembre 2012 – La disputa sulla traduzione del “pro multis” della formula della consacrazione eucaristica si è arricchita, in Italia, di un nuovo interessante contributo.

Sull’argomento, infatti, è sceso in campo su uno dei principali quotidiani italiani, il "Corriere della Sera" di domenica 26 agosto, un personaggio di gran nome, l’arcivescovo di Chieti e Vasto, Bruno Forte, già membro della commissione teologica internazionale e consacrato vescovo dall'allora cardinale Joseph Ratzinger:

> Quell'Ultima Cena con le sedie vuote


Nell'articolo, sulla scia della lettera indirizzata il 14 aprile scorso da Benedetto XVI ai vescovi tedeschi, Forte prende nettamente posizione a favore della traduzione “per molti”, in sostituzione del "per tutti" entrato in uso dopo il Concilio in Italia e in numerosi altri paesi.

"Teologicamente – scrive Forte – mi sembra più rispettoso della libertà di ognuno la traduzione 'per molti', che peraltro in nessun modo esclude l’offerta della salvezza a tutti fatta da Gesù in croce".

"Per questo – aggiunge concludendo l’articolo – preferisco la traduzione 'per molti' e ritengo che ben spiegata possa essere di aiuto e di stimolo a tanti>.

(nota mia: lui PREFERISCE? Forte dimentica che non è chiamato ad inventare una traduzione di compiacimento o conciliarista... deve attenersi a quello che dice il Papa, deve obbedire e sulle parole del Papa deve operare, altrimenti vada altrove per applicare le sue preferenze... la voce Cattolica è UNIVERSALE, soggettiva e non oggettiva.... [SM=g1740730] )

Forte critica anche la traduzione che si trova nel messale francese "pour la moltitude", apprezzata recentemente da due studiosi italiani, Francesco Pieri e Silvio Barbaglia.

Forte liquida la versione "per una moltitudine", proposta da costoro, come una di quelle "soluzioni intermedie" che "per quanto apprezzabili" sono "inevitabilmente compromissorie".

*

La discesa in campo di Forte è significativa e, per certi versi, sorprendente.

Significativa perché egli è uno dei vescovi italiani più noti, anche a livello internazionale, e gode di un cospicuo seguito tra i suoi confratelli vescovi, che infatti lo hanno votato come loro rappresentante al sinodo mondiale sulla nuova evangelizzazione che si celebrerà a Roma in ottobre. Dei quattro prescelti è l’unico senza porpora, gli altri tre infatti sono tutti cardinali: Angelo Bagnasco, Giuseppe Betori e Angelo Scola.

Sorprendente perché Forte è da sempre considerato un teologo del campo progressista, il campo che più si oppone, e non solo in Italia, al passaggio da “per tutti” a “per molti”.

Nel memorabile convegno ecclesiale di Loreto del 1985, che segnò l’ascesa nella leadership della Chiesa italiana dell’allora vescovo ausiliare di Reggio Emilia Camillo Ruini, Forte militava, appunto, nell’altro campo, all'epoca vincente, assieme all’allora presidente della conferenza episcopale Anastasio Ballestrero e al cardinale Carlo Maria Martini. E fu lui a tenere la relazione teologica introduttiva.

Per questo è finito non di rado nel mirino dei colleghi teologi più conservatori.

Ad esempio, in un articolo del 2004 don Nicola Bux, consultore – allora e oggi – della congregazione per la dottrina della fede, additò Forte come uno dei "divulgatori" di una "teologia debole e derivativa" riguardo alla risurrezione di Gesù, ridotta "a 'leggenda eziologica', ovvero a un artificio per suffragare il culto che i giudeo-cristiani svolgevano sul luogo della sepoltura di Gesù".

Ma la discesa in campo di Forte è ancor di più sorprendente perché segna in lui un cambiamento di giudizio rispetto al passato.

Durante l’assemblea generale della CEI del novembre 2010, quando i vescovi italiani ribadirono con una votazione massiccia il proprio favore al mantenimento della versione “per tutti”, Forte fu tra i pochi che intervennero nella discussione in aula sull’argomento. E intervenne a sostegno della maggioranza.

In quella occasione il teologo napoletano – zio per parte materna del procuratore John Henry Woodcock, molto noto per le sue indagini giudiziarie ad alto coefficiente mediatico, l’ultima contro l’ex presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi – affermò sì che "l’alternativa 'per molti/per tutti' contiene una sfumatura teologicamente fondata" ma – aggiunse – si tratta di una sfumatura "troppo sottile da spiegare alla gente" e così espresse il parere di "mantenere la traduzione attualmente in uso".

In quella assemblea i vescovi votarono plebiscitariamente a favore del mantenimento del “per tutti” con 171 voti su 187 votanti (oltre a una scheda bianca, solo 11 si espressero a favore del “per molti” e 4 per la versione “per le moltitudini”). E ciò nonostante la lettera circolare con cui nell’ottobre del 2006 la congregazione vaticana per il culto divino aveva dato agli episcopati mondiali l’indicazione autorevole, su mandato del neoeletto Benedetto XVI, di tradurre con “per molti” il “pro multis” della "editio typica" latina del messale romano.

*

Attualmente il testo della nuova traduzione del messale italiano è al vaglio della congregazione per il culto divino, che deve dare la necessaria “recognitio”. E alla luce della lettera del papa ai vescovi tedeschi dello scorso aprile è facilmente prevedibile che il dicastero non transigerà sul passaggio da "per tutti" a "per molti".

La partita potrebbe restare ancora aperta, semmai, per quanto riguarda altri punti sensibili della traduzione. Come i cambiamenti proposti dai vescovi, con massicci voti a sostegno del distacco dall'originale latino, per il "pax hominibus bonae voluntatis" del Gloria e per il "ne nos inducas in temptationem" del Padre Nostro, o, con un criterio contrario, la richiesta di non toccare l'attuale versione italiana del "Domine non sum dignus", clamorosamente – e arbitrariamente – difforme dall’originale latino ("Signore, io non sono degno di partecipare alla tua mensa", invece di "Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto" del messale latino, ripreso alla lettera da Matteo 8, 7).

In questo quadro si situa la svolta di Forte a favore del "per molti". Svolta che i più maliziosi leggono come un suo passaggio sul carro del vincitore in una battaglia per lui ormai persa, in vista di eventuali promozioni future.

Forte era considerato in corsa per il patriarcato di Venezia e per quella carica ebbe un "endorsement" pubblico dell’ex sindaco di centrosinistra della città, il filosofo Massimo Cacciari.

Ora sono già iniziate le grandi manovre per due sedi italiane di tradizione cardinalizia – Bologna e Palermo – i cui pastori, rispettivamente Carlo Caffarra e Paolo Romeo, compiranno 75 anni nel corso del 2013. Ma questa è un’altra storia.

__________


I precedenti della disputa in www.chiesa e "Settimo cielo", con il testo integrale della lettera di Benedetto XVI ai vescovi tedeschi:

> "Per molti" o "per tutti"? La risposta giusta è la prima
(3.5.2012)


> "Pro multis". La traduzione del papa guadagna consensi (26.7.2012)

> Nelle traduzioni del messale la ricreazione è finita (6.8.2012)

__________


Il citato articolo di Nicola Bux di critica alla teologia di Bruno Forte:

> Il sepolcro vuoto: per Bruno Forte è una "leggenda"

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10.9.2012

[SM=g1740758]

Caterina63
00martedì 29 gennaio 2013 14:00

[SM=g1740758] "Per molti" vince su "per tutti". Ma c'è chi non si arrende

La nuova traduzione delle parole della consacrazione voluta dal papa sta per arrivare anche in Italia. Ma già sono state annunciate proteste e disobbedienze [SM=g1740732]

di Sandro Magister




ROMA, 29 gennaio 2013 – Mentre si avvicina alla conclusione la "recognitio" vaticana della nuova versione italiana del messale romano, la disputa sulla traduzione del "pro multis" nella formula della consacrazione eucaristica ha registrato nuove battute.

L'ultima ha per autore il teologo e vescovo Bruno Forte.

In un articolo su "Avvenire" del 19 gennaio 2013 Forte si è di nuovo schierato con decisione per tradurre "pro multis" con "per molti", invece che con "per tutti" come si fa da più di quarant'anni in Italia e come analogamente si è fatto in molti altri paesi.

"Per molti" è la traduzione che lo stesso Benedetto XVI esige che venga adottata nelle varie lingue, come ha spiegato in una lettera ai vescovi tedeschi dell'aprile dl 2012.

Da qualche tempo, in effetti, la traduzione "per molti" sta tornando in uso in varie lingue e paesi, sotto la spinta delle autorità vaticane e del papa in persona.

Ma si registrano anche delle resistenze.

È stato segnalato, ad esempio, che a Londra, a Canterbury e in altre località inglesi vari sacerdoti modifichino intenzionalmente il "for many" della nuova versione inglese del messale, approvata dal Vaticano, e dicano: "for many and many".

In Italia la nuova versione non è ancora entrata in vigore. Ma quando anche qui il "per molti" diventerà legge – come sicuramente avverrà –, sono state già annunciate proteste e disobbedienze.

*

Difendendo a spada tratta la versione "per molti" voluta dal papa, il vescovo-teologo Forte si è consapevolmente contrapposto alla posizione largamente prevalente non solo tra i teologi e i liturgisti ma tra gli stessi vescovi italiani.

Nel 2010, infatti, i vescovi italiani riuniti in assemblea generale votarono quasi all'unanimità il mantenimento del "per tutti" nella formula della consacrazione.

In quell'occasione, stando agli atti ufficiali della conferenza episcopale italiana, anche Forte si era pronunciato a favore del "per tutti".

Ma ora egli spiega che quelle sue parole non esprimevano il suo vero pensiero.

Forte ricorda che in un precedente incontro ristretto – col solo direttivo della CEI – aveva espresso la sua preferenza per il "per molti". E se poi, nell'assemblea generale, era parso ripiegare sul mantenimento del "per tutti", era perché aveva messo in primo piano le "difficoltà pastorali" che un cambio di traduzione avrebbe prodotto, seminando nei fedeli il timore che la salvezza di Cristo non fosse offerta, appunto, "per tutti".

Già membro della commissione teologica internazionale e ordinato vescovo nel 2004 dall'allora cardinale Joseph Ratzinger, Forte è oggi arcivescovo di Chieti-Vasto. Ma è indicato da anni come in corsa per sedi cardinalizie di alto livello: da ultimo a Palermo e Bologna, i cui attuali arcivescovi andranno in scadenza nel 2013.

Non solo. Si vocifera anche di una sua chiamata a segretario della congregazione vaticana per la dottrina della fede, in sostituzione dell'attuale titolare Luis Francisco Ladaria Ferrer, destinato a una grande diocesi di Spagna.

E c'è chi collega queste attese di promozione all'insistenza con cui Forte difende il "per molti" voluto fermamente dal papa.

*

Ma tornando alla polemica sul "pro multis", nel suo articolo su "Avvenire" Forte si dice contrario anche alle traduzioni suggerite nei mesi scorsi da due biblisti e liturgisti italiani, Silvio Barbaglia e Francesco Pieri, ricalcate sulla versione "pour la multitude" in uso nella Chiesa di Francia: "per moltitudini immense" o "per una moltitudine".

Gli argomenti di questi due studiosi – entrambi inizialmente favorevoli a mantenere la versione "per tutti" – sono stati riassunti la scorsa estate da www.chiesa in un servizio che sottolineava il loro avvicinarsi alle posizioni di Benedetto XVI.

Ma il secondo dei due, Francesco Pieri, sacerdote della diocesi di Bologna e docente di liturgia, di greco biblico e di storia della Chiesa antica, ha contestato tale interpretazione. Nega di volersi accostare alle posizioni del papa. Continua a giudicare "cattiva" e "falsamente fedele" la versione "per molti". E spiega di aver proposto la versione "per una moltitudine" come unica alternativa accettabile all'ormai "irreversibile" abbandono del "per tutti" deciso dalle autorità vaticane.

Anzi, nella seconda delle due note sul tema da lui pubblicate nel 2012 su "Il Regno", Pieri si è spinto molto più in là.

Ha scritto che gli studiosi ai quali Benedetto XVI ha fatto riferimento a proprio sostegno nella sua lettera ai vescovi tedeschi non solo sono "pochissimi" ma neppure sono affidabili: "Non sono esegeti di professione e per giunta risentono di una mentalità apertamente tradizionalista, pregiudizialmente assai critica nei confronti della riforma liturgica promossa dal Vaticano II".

Ma soprattutto ha chiuso la nota con una esplicita minaccia di insubordinazione, condita da un sarcastico richiamo alla liberalizzazione del rito romano antico della messa:

"Stante la già annunciata tensione che deriverebbe dall’entrata in vigore della traduzione 'per molti', non è affatto remoto il rischio che non pochi celebranti ne aggirerebbero l’ostacolo con adattamenti oppure continuando ad attenersi alla formula precedente. Con quale credibilità, con quale speranza di accoglienza, si potrebbe allora invocare il principio dell’unità pastorale, proprio nella strana stagione ecclesiale che ha visto inopinatamente tornare in vigore una forma del rito romano già sostituita dalla sua riforma e perciò giuridicamente 'obrogata'? Oppure dovremo invocare un motu proprio che consenta di utilizzare un’ulteriore forma straordinaria del rito romano in favore di quanti – come il sottoscritto e una moltitudine di altri – ritengono di non poter accettare in coscienza la traduzione 'per molti'? Sarebbe quanto mai opportuno che fedeli e pastori della Chiesa italiana, non da ultimi i teologi e le persone di cultura, manifestassero con più franchezza, in tutte le sedi in grado di alimentare un dibattito pubblico quanto più ampio possibile, le loro riserve nei confronti di questa paventata scelta di traduzione".

Curiosamente, quest'ultimo appello ai dissenzienti è diventato realtà proprio sulla stessa pagina di "Avvenire" – il giornale della conferenza episcopale italiana – nella quale Forte ha perorato la causa del "per molti".

A fianco dell'articolo del vescovo-teologo c'era infatti un intervento di segno opposto a firma del teologo Severino Dianich, vicario episcopale della diocesi di Pisa per la pastorale della cultura e dell’università, che così terminava:

"A questo punto mi domando se non sia giusto preoccu­parsi di una cosa sola, cioè del ri­scontro di un eventuale cambia­mento sui fedeli, soprattutto sui me­no dotti, sui più poveri, su coloro che accolgono le cose più con la sensibi­lità che attraverso il ragionamento, che inevitabilmente resterebbero turbati dal cambiamento. Se non è indispensabile, perché creare dei problemi? Diversi vescovi hanno col­to benissimo la questione pastorale, propo­nendo con buon senso che tutto resti come pri­ma e non si cambino le grandi parole, che da quarant’anni risuonano nelle nostre chiese, proclamando che il sangue di Cristo è stato ver­sato 'per tutti'".

Dianich è anche l'autore della prefazione al libro nel quale Pieri ha argomentato le sue tesi:

F. Pieri, "Per una moltitudine. Sulla traduzione delle parole eucaristiche", Dehoniana Libri, Bologna, 2012.

Mentre questo è l'ultimo articolo pubblicato da Pieri su "Il Regno":

> La traduzione del "pro multis". Il tema è la salvezza

E questi sono gli interventi di Bruno Forte e Severino Dianich su "Avvenire" del 19 gennaio 2013:

> La salvezza di Cristo dono offerto a tutti

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Il primo dei servizi dedicati da www.chiesa alla controversia, con il testo integrale della lettera di Benedetto XVI ai vescovi tedeschi:

> Diario Vaticano / "Per molti" o "per tutti"? La risposta giusta è la prima (3.5.2012)

Il successivo servizio con gli interventi di Francesco Pieri e Silvio Barbaglia:

> "Pro multis". La traduzione del papa guadagna consensi (26.7.2012)

Il post di "Settimo Cielo" con la segnalazione del saggio di Manfred Hauke citato da Benedetto XVI nel secondo tomo di "Gesù di Nazaret", a sostegno della traduzione "per molti":

> Nelle traduzioni del messale la ricreazione è finita (6.8.2012)

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In Italia la disputa ha valicato i confini strettamente ecclesiali, come prova l'articolo di Andrea Nicolotti sul numero 1 del 2013 della rivista "L'Indice", che recensisce i libri di Hauke e Pieri:

> Versato per molti o per tutti? La vera portata della dispute terminologiche sull'eucaristia

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Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

24.1.2013
> Diario Vaticano / Quelli che fanno la predica al papa
Sono i prescelti a predicare gli esercizi spirituali al pontefice e alla curia. Il prossimo sarà il cardinale Ravasi. Ecco una rassegna ragionata di tutti quelli che hanno avuto questo incarico prima di lui

21.1.2013
> Erano oasi di pace. Ma oggi sono i luoghi più pericolosi del mondo
Il Mali è uno di questi paradisi perduti. Un'altro è la città pakistana di Quetta. Ecco il confronto tra quello che sono e quello che erano, appena pochi anni fa

18.1.2013
> Diario Vaticano / Gli angeli custodi del papa
Così si definiscono i gendarmi, ricevuti per la prima volta in udienza da Benedetto XVI. Ma c'è anche chi amministra la giustizia. Tutte le novità di un anno giudiziario senza precedenti, segnato da Vatileaks

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Caterina63
00lunedì 21 settembre 2015 12:12
  Il card. Arinze ai presidenti delle Conferenze episcopali: La traduzione "per tutti" va cambiata in "per molti"

Lettera della Congregazione per il Culto Divino sulla traduzione di "pro multis" nella Consacrazione del Calice

Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum

Prot. N. 467/05/L
Roma, 17 Ottobre 2006

Eminenza / Eccellenza,
Nel mese di luglio del 2005 questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, d'accordo con la Congregazione per la Dottrina della Fede, ha scritto a tutti i presidenti delle conferenze episcopali per chiedere il loro parere autorizzato sulla traduzione nelle diverse lingue nazionali dell'espressione pro multis nella formula della consacrazione del prezioso Sangue durante la celebrazione della santa Messa (rif. Prot. N. 467/05/L del 9 luglio 2005).

Le risposte ricevute dalle conferenze episcopali sono state studiate dalle due Congregazioni e un rapporto è stato inviato al Santo Padre. Secondo le sue direttive, questa Congregazione scrive ora a Vostra Eminenza / Vostra Eccellenza nei termini seguenti:

Un testo corrispondente alle parole pro multis, tramandato dalla Chiesa, costituisce la formula che è stata in uso nel rito romano in latino fin dai primi secoli. Negli ultimi trent'anni, più o meno, alcuni testi approvati in lingua moderna hanno riportato la traduzione interpretativa "for all", "per tutti", o equivalente.
Non vi è alcun dubbio sulla validità delle messe celebrate con l'uso di una formula debitamente approvata contenente una formula equivalente a "per tutti", come già ha dichiarato la Congregazione per la Dottrina della Fede (cfr. Sacra Congregatio pro Doctrina Fidei, Declaratio de sensu tribuendo adprobationi versionum formularum sacramentalium, 25 Ianuarii 1974, AAS 66 [1974], 661). Effettivamente, la formula "per tutti" corrisponderebbe indubbiamente a un'interpretazione corretta dell'intenzione del Signore espressa nel testo. È un dogma di fede che Cristo è morto sulla Croce per tutti gli uomini e le donne (cfr. Gv 11,52; 2Cor 5,14-15; Tit 2,11; 1Gv 2,2).
Ci sono, tuttavia, molti argomenti a favore di una traduzione più precisa della formula tradizionale pro multis:
I Vangeli Sinottici (Mt 26,28; Mc 14,24) fanno specifico riferimento ai "molti" (polloi) per i quali il Signore offre il sacrificio, e questa espressione è stata messa in risalto da alcuni esegeti in relazione alle parole del profeta Isaia (53,11-12). Sarebbe stato del tutto possibile nei testi evangelici dire "per tutti" (per esempio, cfr. Lc 12,41); invece, la formula data nel racconto dell'istituzione è "per molti", e queste parole sono state tradotte fedelmente così nella maggior parte delle versioni bibliche moderne.
Il rito romano in latino ha sempre detto pro multis e mai pro omnibus nella consacrazione del calice.
Le anafore dei vari riti orientali, in greco, in siriaco, in armeno, nelle lingue slave, ecc., contengono l'equivalente verbale del latino pro multis nelle loro rispettive lingue.
"Per molti" è una traduzione fedele di pro multis, mentre "per tutti" è piuttosto una spiegazione del tipo che appartiene propriamente alla catechesi.
L'espressione "per molti", pur restando aperta all'inclusione di ogni persona umana, riflette inoltre il fatto che questa salvezza non è determinata in modo meccanico, senza la volontà o la partecipazione dell’uomo. Il credente, invece, è invitato ad accettare nella fede il dono che gli è offerto e a ricevere la vita soprannaturale data a coloro che partecipano a questo mistero, vivendolo nella propria vita in modo da essere annoverato fra "i molti" cui il testo fa riferimento.
In conformità con l’istruzione Liturgiam authenticam, dovrebbe essere fatto uno sforzo per essere più fedeli ai testi latini delle edizioni tipiche.
Le Conferenze episcopali di quei paesi in cui la formula "per tutti" o il relativo equivalente è attualmente in uso sono quindi invitate a intraprendere la catechesi necessaria ai fedeli su questa materia nei prossimi uno o due anni per prepararli all'introduzione di una traduzione precisa in lingua nazionale della formula pro multis (per esempio, "for many", "per molti", ecc.) nella prossima traduzione del Messale Romano che i vescovi e la Santa Sede approveranno per l’uso in quei paesi.

Con l'espressione della mia alta stima e rispetto, rimango della Vostra Eminenza / Vostra Eccellenza
devotissimo in Cristo

+ Card. Francis Arinze, Prefetto



Caterina63
00lunedì 6 novembre 2017 17:44

<header class="entry-header aa">Papa Francesco riapre il dibattito sulla liturgia e sta con Benedetto XVI
L'articolo di Andrea Mainardi
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Con una breve omelia dettata venerdì per la messa di suffragio per i cardinali e i vescovi defunti nel corso dell’anno, Papa Francesco è sembrato entrare nel dibattito sulla traduzione della preghiera eucaristica sostenendo la posizione del predecessore Benedetto XVI. Anche modificando quanto aveva detto due anni fa. E insieme ha implicitamente non concluso la discussione intorno al suo recente motu proprio Magnum principium sulle competenze delle conferenze episcopali nella traduzione dei testi liturgici.

COSA HA DETTO IL PAPA

Commentando il passaggio del libro di Daniele, dove il profeta ricorda che “molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno”, Francesco ha precisato: “I ‘molti’ che risorgeranno per una vita eterna sono da intendere come i ‘molti’ per i quali è versato il sangue di Cristo. Sono la moltitudine che, grazie alla bontà misericordiosa di Dio, può sperimentare la realtà della vita che non passa, la vittoria completa sulla morte per mezzo della risurrezione”. Virgolette e corsivo che incorniciano “molti” sono nel testo ufficiale diffuso dal Vaticano. E sembrano una discreta quanto chiara presa di posizione del Papa nella disputa sulla traduzione delle parole della preghiera eucaristica al momento della consacrazione del vino nel sangue di Cristo.

PER MOLTI O PER TUTTI?

Nell’editio typica in latino del Messale romano a cui fanno riferimento le traduzioni nelle diverse lingue moderne si legge “Hic est enim calix sanguinis mei … qui pro vobis et pro multis effundetur”. Molte versioni postconciliari hanno scelto di leggere il pro multis come un pro omnibus, di conseguenza declinato. Con il risultato di una non irrilevante differenza in un punto cruciale del credo cattolico: stessa messa, ma diverse parole alla consacrazione eucaristica. Anche per gli stessi gruppi linguistici. Così in italiano si ha “per tutti”; chi va a messa in un paese germanofono ascolterà a volte le parole “für viele” (per molti), ma in altre regioni sentirà “für alle” (per tutti). Discrepanze anche in spagnolo. Alcune conferenze episcopali hanno scelto di tradurre “por muchos”, per molti; altre “por todos los hombres”, per tutti gli uomini. Traduzione più letterale in Francia, dove risuona un “pour la multitude” che riecheggia la moltitudine a cui ha fatto riferimento Francesco.

LA POSIZIONE DI BENEDETTO XVI

Alle traduzioni interpretative aveva tentato di porre un argine Benedetto XVI. Nel 2006 fece inviare una lettera a tutte le conferenze episcopali dall’allora prefetto del Culto divino Francis Arinze, chiarendo la preferenza per una traduzione letterale del “pro multis” e invitando a modificarla qualora fosse in uso l’espressione “per tutti”. Appello raccolto negli Usa, dove dal 2011 il nuovo messale ha abbandonato “for all” per la formula “for many”. Ma la richiesta è spesso caduta nel vuoto. Come in Italia dove, ha rivelato il vaticanista Sandro Magister, nel 2010 in una votazione su 187 vescovi soltanto in 11 si espressero per cambiare in “per molti”. Papa Ratzinger era poi tornato sulla questione in una lettera del 2012 ai vescovi della Germania. Il documento, firmato di suo pugno, riassume le ragioni teologiche della necessaria fedeltà all’originale latino, precisando che il cambiamento della traduzione doveva avvenire accompagnato da una specifica catechesi ai fedeli. Per il Papa tedesco, il “per molti” conserva una concezione giusta della salvezza che lascia il credente la libertà di dire sì all’amore di Dio.

COME CELEBRA FRANCESCO

Le parole di Francesco riaprono ma non sembrano chiudere il dibattito. Del resto, lui stesso celebra messa utilizzando a seconda dei casi l’una o l’altra versione. Così a Cuba il 20 settembre 2015 ha utilizzato la formula spagnola “por todos los hombres”, ma a Washington, tre giorni dopo, sempre in spagnolo, ha pregato con un “por muchos”, più aderente al “pro multis” utilizzato nelle altre celebrazioni durante lo stesso viaggio apostolico dove il canone è stato letto in latino. E se venerdì per la messa in San Pietro ha usato la preghiera in latino con il “pro multis”, il giorno prima, al cimitero di Nettuno, utilizzando la stessa preghiera eucaristica ma in italiano, aveva usato le parole “per tutti”, la traduzione attualmente in vigore in Italia. In Argentina, dove l’attuale versione del Messale è stata promulgata nel 2009, quando il cardinale Jorge Mario Bergoglio era primate del Paese, si legge “por muchos”. Traduzione valida anche per Cile, Paraguay e Uruguay.

LE PAROLE DI BERGOGLIO DEL 2015

Con questo intervento, Papa Francesco prende dunque posizione? Non si può non ricordare che nel 2015 ai partecipanti al V Convegno nazionale della Chiesa italiana riuniti a Firenze disse: “Ben sapete che il Signore ha versato il suo sangue non per alcuni, né per pochi né per molti, ma per tutti”. Che suona differente rispetto alle parole utilizzate venerdì in San Pietro. Un’espressione, quella del 2015, che per il teologo Andrea Grillo – considerato uno degli ispiratori di una pretesa volontà di devolution liturgica dell’attuale pontificato – avrebbe sancito la “conclusione alle inutili discussioni sul pro multis, che avevano caratterizzato gli ultimi anni del pontificato di Benedetto XVI”.

SI RIAPRE IL DIBATTITO?

Ora Bergoglio sembra riaprire il dibattito. Che andrà incorniciato all’interno del suo motu proprio di settembre Magnum principium che spinge per il decentramento delle traduzioni liturgiche ed è stato visto da molti come un rovesciamento del precedente documento in materia, Liturgiam authenticam. Documento difeso dal prefetto del Culto divino, RobertSarah, che per avere depotenziato la novità introdotta da Francesco si è visto redarguire dal Papa con una sonora correctio paternalis. Un test sul singolo punto del pro multis sarà la traduzione del nuovo messale italiano, la cui pubblicazione è attesa da tempo. I vescovi conserveranno il “per tutti” attualmente in uso o sceglieranno una resa più letterale del canone della messa?



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