Magistero integrale Ognissanti e Defunti di Giovanni Paolo II

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Caterina63
00lunedì 22 ottobre 2018 17:15



GIOVANNI PAOLO II

ANGELUS

Solennità di tutti i Santi
Mercoledì, 1° novembre 1978

 

Oggi domando, in modo del tutto particolare, a voi qui riuniti per recitare con me l’Angelus, che vi fermiate un momento a riflettere sul mistero della liturgia del giorno. 

La Chiesa vive in una grande prospettiva. Questa prospettiva l’accompagna sempre, la plasma continuamente e la indirizza verso l’eternità. La liturgia del giorno evidenzia la realtà escatologica, realtà che scaturisce da tutto il piano di salvezza e insieme dalla storia dell’uomo, realtà che dà il senso ultimo all’esistenza stessa della Chiesa e alla sua missione.

Perciò viviamo con tanta intensità la solennità di Tutti i Santi, come pure il giorno di domani: la Commemorazione di tutti i defunti. Questi due giorni racchiudono in sé, in modo particolare, la fede nella “vita eterna” (le ultime parole del “Credo” apostolico).

E benché questi due giorni mettano dinanzi agli occhi della nostra anima l’ineluttabilità della morte, essi, nello stesso tempo, danno una testimonianza della vita.

L’uomo che secondo le leggi della natura è “condannato a morte”, l’uomo che vive nella prospettiva dell’annientamento del suo corpo, quest’uomo esiste, in pari tempo, nella prospettiva della vita futura ed è chiamato alla gloria. 

La solennità di Tutti i Santi mette dinanzi agli occhi della nostra fede tutti coloro che hanno già raggiunto la pienezza della loro chiamata all’unione con Dio. Il giorno che commemora i defunti fa convergere i nostri pensieri verso coloro che, lasciato questo mondo, attendono nell’espiazione di raggiungere quella pienezza d’amore che l’unione con Dio richiede.

Si tratta di due giorni grandi per la Chiesa, che, in un certo modo, “prolunga la sua vita” nei suoi santi e anche in tutti coloro che per mezzo del servizio alla verità e all’amore si sono preparati a questa vita.

E perciò la Chiesa, nei primi giorni di novembre, si unisce in modo particolare al suo Redentore che, tramite la sua morte e la sua risurrezione, ci ha introdotto nella realtà stessa di questa vita. E nello stesso tempo ha fatto di noi “un regno di sacerdoti” per suo Padre.

È proprio oggi che anch’io, nel raccoglimento, ringrazio il Signore per i trentadue anni di sacerdozio che cadono appunto nella solennità di Tutti i Santi.

E perciò, alla nostra comune preghiera aggiungerò una particolare intenzione per le vocazioni sacerdotali nella Chiesa di tutto il mondo. Mi rivolgo a Cristo perché chiami molti giovani e dica loro: “Vieni e seguimi”. E chiedo ai giovani di non opporsi, di non rispondere: “no”. A tutti domando di pregare e di collaborare per le vocazioni.

La messe è grande.

La festività di Tutti i Santi ci dice proprio quanto abbondante sia la messe. 

Non la messe della morte, ma della salvezza.

Non la messe del mondo, immagine passeggera, ma la messe di Cristo, che dura nei secoli. 


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ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi
1° novembre 1979

 

1. Recitiamo l’Angelus, questa splendida e insieme semplice meditazione sul mistero dell’Incarnazione. Alla fine aggiungiamo ad essa una triplice venerazione della Santissima Trinità e anche l’“eterno riposo” per i morti.

Oggi questa venerazione di Dio nell’inscrutabile mistero della sua vita e della sua gloria sembra avere una particolare eloquenza, poiché la esprime la Chiesa, la quale, mediante la sua solennità, confessa la gloria di Dio che vive in tutti i suoi santi.

Davvero la gloria di Dio è l’uomo, sono gli uomini che vivono questa pienezza della vita, che è in Dio e che è da Dio. Questi uomini – i santi – vivono la pienezza della Verità. Questi uomini rimangono uniti con l’Amore nella stessa sua divina fonte.

È l’unione che supera ogni desiderio dei cuori e, nello stesso tempo, lo completa in sovrabbondanza. È la verità, che terge ogni lacrima (cf. Ap 7,17; 21,4) dagli occhi degli esseri creati a somiglianza di Dio. È l’Amore, che unisce gli uomini senza più riguardo di differenze e distanze, che potevano dividerli durante la loro vita terrena. Veramente una dimensione definitiva dell’esistenza umana: la dimensione divina.

2. La luce di questo Mistero scende oggi su tutta la Chiesa. E noi che con la stessa gratitudine, come sempre, meditiamo sull’Incarnazione del Figlio di Dio, recitando l’Angelus vediamo oggi quest’Incarnazione nei suoi frutti definitivi. Pensiamo alle parole della Vergine di Nazaret, con le quali essa ha acconsentito che il Verbo si facesse carne. Ed ammiriamo quell’impenetrabile disegno dell’amore paterno che non ha “risparmiato” l’Eterno figlio per sollevare l’uomo. Veramente per i meriti della sua Passione e della Croce giungono alla gloria della Risurrezione i figli e le figlie del genere umano. Dal peccato trasferiti alla grazia. Dalla morte alla vita e alla grazia. Quale gratitudine dobbiamo mettere oggi nelle parole della preghiera dell’Angelus, in questa semplice meditazione del Mistero dell’Incarnazione, la meditazione che ci ricorda, sempre, l’inizio della vita e della gloria, alla quale Dio ci chiama eternamente nel suo Figlio.

3. Contemporaneamente già oggi i nostri cuori si dirigono verso tanti cimiteri del mondo, nei quali si avvera la verità delle parole che parlano della morte dell’uomo: “polvere tu sei e in polvere tornerai” (Gen 3,19). Tutti i cimiteri del mondo sono una incessante conferma di queste parole. Sia quelli in cui riposano i papi, i vescovi, i sacerdoti, sia quelli nei quali preghiamo per i nostri cari: i genitori, i fratelli e le sorelle, gli amici, i benefattori. I cimiteri nei quali riposano gli uomini grandi e benemeriti di ogni nazione e quelli nei quali giacciono i semplici, forse talvolta sconosciuti, dimenticati, i quali non hanno più nessuno, che nel giorno dei morti accenda una candela sulla loro tomba. In tutti questi luoghi della terra, lontani e vicini, giunge la stessa preghiera per la pace e per la luce. Questa pace e questa luce eterna sono la speranza degli uomini che vivono sulla terra. Esse, la pace e la luce, sono l’espressione della vita, nella quale permangono gli uomini avvolti dalla morte del corpo. Questa pace e questa luce sono frutto del mistero dell’Incarnazione di Dio, che meditiamo ogni volta quando recitiamo l’Angelus.

4. In particolare desidero invitarvi ad associare alla preghiera propiziatrice per tutti i defunti, di ogni tempo e di ogni luogo, anche le numerose vittime che quest’anno la violenza ha provocato nelle sue varie forme.

Non posso, a tale riguardo, non rinnovare la mia più decisa e accorata deplorazione per questi crimini che, specie negli ultimi tempi, hanno avuto esplosioni particolarmente gravi destando nella pubblica opinione ansie ed allarmi sempre più preoccupanti.

Mi riferisco anche al tristissimo episodio accaduto domenica scorsa allo Stadio romano, in cui ha perduto la vita un onesto e pacifico lavoratore, e hanno corso pericolo altri spettatori. Gli atti di violenza, ripeto, offuscano i valori umani e cristiani della persona umana e sono un continuo attentato alla civile convivenza.

Mentre eleviamo la nostra supplica alla bontà di Dio perché accolga presso di sé questo nostro fratello, esprimo alla famiglia, tanto desolata, il mio paterno cordoglio.


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GIOVANNI PAOLO II

ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi 
Sabato, 1° novembre 1980

 

1. “Credo in un solo Dio”. . . Così inizia la professione della nostra fede, il “simbolo apostolico”, che termina con le parole: “Credo nella risurrezione dei corpi e nella vita eterna”.

Quando, in questo giorno, e anche in quello di domani visiteremo i diversi luoghi in cui riposano i defunti, cerchiamo di avere davanti agli occhi il primo e l’ultimo articolo del “credo”. Tra di essi esiste uno strettissimo e indissolubile legame: la logica più profonda della fede.

Il mondo, in cui viviamo, in cui veniamo alla luce e moriamo, non ha in se stesso la vita eterna, non è neppure capace di darla all’uomo. La vita eterna è soltanto in Dio e da Dio. La vita eterna è una prospettiva dell’uomo soltanto nel mondo che ha il suo inizio in Dio. Tale e appunto il mondo “creato” di cui parla il simbolo apostolico dalle prime parole: “Credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra . . .”.

Questo giorno e quello del 2 novembre suscitano in noi un particolare bisogno di riflessione.

Assecondiamolo, lasciandoci guidare fino alla fine, dalla logica della fede, seguendo dall’inizio fino alla fine il nostro “credo”.

2. Credo in Dio, Padre onnipotente . . . Una settimana fa ha concluso le sue laboriose discussioni il Sinodo dei Vescovi, riunito nella sessione dedicata ai compiti della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo. Occorrerà ancora tornare, e più di una volta, ai lavori di quel Sinodo, alle sue conclusioni e “proposizioni” finali.

Oggi, nel giorno di tutti i santi, pensiamo in particolare che tutti coloro, che noi veneriamo così solennemente il primo di novembre, devono l’inizio della loro vita su questa terra alla famiglia. Che essi furono figli dei loro padri e delle loro madri. Che furono fratelli delle loro sorelle, e sorelle dei loro fratelli. Che spesso essi stessi furono, a loro volta, padri e madri di famiglia. La divina vocazione alla santità, che Cristo ci ha portato nello Spirito Santo, passa attraverso la famiglia: attraverso tante famiglie nelle diverse nazioni, continenti e razze; è una vocazione rivolta a tutte le famiglie, e ad ogni famiglia in particolare.

Nella solennità di tutti i santi veneriamo il frutto definitivo della comune vocazione alla santità, che è passata attraverso tante famiglie sulla terra. Ed ecco, insieme col compimento di questa vocazione insieme con la risposta ai molteplici doni della grazia di Dio, è cresciuta e costantemente cresce nel regno del secolo venturo una grande famiglia divina. In questa famiglia si rivela, fino alla fine, la paternità di Dio, che noi professiamo qui, in terra, dicendo: credo in Dio, Padre onnipotente.

Questa famiglia, nel regno del secolo venturo, è condotta al Padre da Gesù Cristo, Figlio di Dio, nello Spirito Santo. Questa famiglia vive della pienezza divina della verità e dell’amore, godendo, in eterno, dell’intima unione con Dio nel mistero della comunione dei santi.

San Giovanni scrive: “Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3, 2).

3. Nella solennità di tutti i santi, meditando su questi grandi misteri divini, desidero pure ringraziare, insieme con voi, il Signore per il dono inestimabile del sacramento del sacerdozio, che ho ricevuto 34 anni fa dalle mani del Cardinale Adamo Stefano Sapieha, a quel tempo metropolita di Cracovia.

Sia lodato Gesù Cristo

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ANGELUS

 

Solennità di Tutti i Santi 
1 novembre 1981

 

1. “Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita”: Credo in Spiritum Sanctum, Dominum et Vivificantem.

 

Le parole della professione di fede che ripetiamo nella Santa Messa ci ricordano il I Concilio Costantinopolitano svoltosi nell’anno 381, il cui anniversario si celebra, dopo sedici secoli, nell’anno in corso. La giornata di ringraziamento per l’opera di questo Concilio è stata solennemente celebrata nella festa di Pentecoste di quest’anno, sia a Costantinopoli che a Roma.

 

Nella festa di oggi, le parole della professione che dobbiamo a questo Concilio gettano una luce particolare sul Mistero di Tutti i Santi. Chi sono, infatti, coloro ai quali la Chiesa dedica la solennità odierna, se non il frutto dell’opera santificante dello Spirito di Verità e di Amore che è lo Spirito Santo? Che cosa è la santità di tanti fratelli e sorelle – noti per nome o meno – che onoriamo particolarmente in questo giorno, se non la matura pienezza di quella vita che proprio Lui, lo Spirito Santo, innesta nell’anima dell’uomo?

 

Lui “che è Signore e dà la vita”!

 

2. “Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronunzia menzogna... Egli otterrà benedizione dal Signore, giustizia da Dio sua salvezza” (Sal 24,3-5).

 

La liturgia della solennità odierna ci infonde una grande gioia ed una lieta speranza quando, mediante le parole dell’Apocalisse, osserviamo con gli occhi dell’anima quella “moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap 7,9).

 

“Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe” (Sal 24,6).

 

E tutti i santi che oggi onoriamo, recano in sé il dono misterioso dello Spirito Santo, al quale hanno testimoniato eroica fedeltà. Così, come frutto della vita terrestre, allo stesso modo è frutto del medesimo dono dello Spirito Santo la celeste “Communio” di tutti:
“Communio Sanctorum” la Comunione dei Santi.

 

3. Avendo davanti al nostro sguardo spirituale questa splendida immagine che la liturgia della Chiesa ci offre nel giorno 1° novembre, cerchiamo ora nella preghiera dell’Angelus di manifestare allo Spirito Santo una fervida gratitudine per Tutti i Santi, per tutti i frutti cioè della santità che sono nati nel corso della storia della salvezza sotto l’influsso della sua grazia.

 

Ringraziamo specialmente per quel particolarissimo frutto della santità nato e maturato dalla presenza dello Spirito Santo, la Vergine di Nazaret, piena di Grazia, santissima, Theotokos, Madre di Dio.

 

4. La solennità di Tutti i Santi ci introduce anche alla commemorazione di tutti i fedeli defunti, di coloro che riposano in Cristo e che si affidano alla sua clemenza e che si affidano anche alle nostre preghiere.

 


 

Dopo la recita dell'Angelus

 

A voi tutti, alle vostre famiglie, in particolare ai giovani handicappati di Ostia Lido, giunga il mio cordiale augurio e il mio incoraggiamento, che accompagno con la mia Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo.


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Caterina63
00lunedì 22 ottobre 2018 19:03



ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi
Martedì, 1° novembre 1983

 

“Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?” (Ap 7, 13).

Chi sono i santi? I santi sono coloro che hanno rivestito la veste bianca dell’“uomo nuovo” (Col 3, 10), portando al suo pieno sviluppo la grazia battesimale. Essi sono i partecipi e i testimoni del Dio santo, del Dio “nascosto” (Is 45, 15).

Grazie a loro, egli si rivela, si fa visibile, si rende presente in mezzo a noi. Il “Santo di Dio” è, ovviamente, Cristo Gesù, incarnazione e rivelazione suprema di Dio e della sua santità. “Tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo”.

Costituito “Signore” nella sua risurrezione gloriosa, Gesù comunica, per mezzo dello Spirito, la sua santità a tutti i credenti. Essi, nei Sacramenti degnamente accolti, ricevono la vita nuova in Cristo Gesù: sono pertanto chiamati santi e lo sono realmente.

Donde vengono? Ascoltiamo la descrizione dell’Apocalisse: “Udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei figli di Israele . . . Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua . . . Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7, 4. 9. 14).

I santi sono il popolo di Dio redento dal sangue del Signore: una moltitudine immensa, proveniente dalle tribù d’Israele e da tutti i popoli. Insieme costituiscono il “vero Israele”, la comunità dei salvati, la Chiesa di Dio, la discendenza di Abramo, nel quale sono benedette le genti.

In mezzo a questa nobilissima, sterminata schiera è presente, accanto a Cristo, Maria che invochiamo “Regina di tutti i santi”. Ella, che “primeggia tra gli umili e i poveri del Signore” (Lumen Gentium, 55), incarna idealmente e porta a compimento la santità del popolo di Dio. Maria è primizia e Madre della Chiesa dei santi: di tutti coloro che, generati dallo Spirito e viventi in Cristo, sono figli del Padre.

Lo Spirito del Dio vivente che l’ha prevenuta e plasmata nuova creatura, che è intervenuto, in maniera decisiva nella sua vita, consacrandola serva e madre del Signore, ha trasfigurato infine la sua esistenza, rendendola conforme all’immagine di Cristo nella gloria. Ella vive ora presso il Signore, nella Gerusalemme celeste, e celebra con san Giuseppe e tutti i santi l’eterna liturgia dei redenti. Ella intercede per noi presso il Signore, fino al perpetuo coronamento del numero degli eletti. Col popolo di Dio la invochiamo: “Regina di tutti i santi, prega per noi!”.


i saluti

* * *  

Saluto tutti i fedeli di lingua italiana e in particolare i vari gruppi parrocchiali e i pellegrinaggi presenti a questo incontro. Oggi pomeriggio mi recherò al cimitero del Verano per pregare per tutti i defunti che ci hanno preceduto nel segno della fede e dormono il sonno della pace. In special modo, intendo elevare suffragi per i defunti della diocesi di Roma. Affiderò alla misericordia di Dio anche le vittime del recente terremoto in Turchia. In pari tempo invito a prestare aiuto alle numerose famiglie e persone che sono state colpite. Benedico di cuore quanti con la loro generosità vorranno venire incontro. Sia lodato Gesù Cristo!


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ANGELUS

 Solennità di Tutti i Santi
Domenica, 1° novembre 1984

 

1. “Udii il numero ai coloro che furono segnati con il sigillo” (Ap 7, 4).

Queste parole del libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo si trovano nell’odierna liturgia. Nella solennità di Tutti i Santi la Chiesa su tutta la terra venera coloro nei quali la salvezza si è compiuta in modo definitivo.

Sono quelli che - secondo l’Apocalisse di san Giovanni - “gridavano a gran voce: la salvezza appartiene al nostro Dio... e all’Agnello” (Ap 7, 10).

Sono, infatti, segnati col sangue dell’Agnello. Portano in sé il sigillo della redenzione, che è la sorgente della vita e della santità.

“Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro” (1 Gv 3, 3).

Dio è santo: tre volte santo, infinitamente santo.

E chiama gli uomini alla santità.

Oggi la Chiesa gioisce di tutti coloro che hanno portato a pienezza questa vocazione, di coloro che partecipano per sempre alla santità di Dio.

2. Sgorga perciò ancora, dal profondo del cuore, la preghiera che oggi si leva al cielo in questa solennità:

“O Dio onnipotente ed eterno, che doni alla tua Chiesa la gioia di celebrare in un’unica festa i meriti e la gloria di Tutti i santi, concedi al tuo popolo, per la comune intercessione di tanti nostri fratelli, l’abbondanza della tua misericordia”.

3. Recitando l’Angelus ci rivolgiamo in modo particolare a colei che la Chiesa venera come Regina di Tutti i Santi:

“Benedetta tu sei fra le donne! Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo (Lc 1, 42.35).

In te desideriamo adorare, nel grado più alto, Dio, per il dono della santità offerto agli uomini in Gesù Cristo.

Anche tu degnati di presiedere alla nostra preghiera per i defunti, con la quale la Chiesa completa, in un certo senso, la gioia della solennità di Tutti i santi.


Al termine della preghiera mariana dell'«Angelus» Giovanni Paolo II invita i fedeli presenti in Piazza San Pietro a rivolgere al Signore una particolare e accorata preghiera per tutti i morti a causa della violenza.

Il pensiero si porta fino da oggi ai defunti, che ci prepariamo a ricordare con preghiere e suffragi nel giorno a loro specialmente dedicato. Il pomeriggio mi recherò a celebrare la messa per essi al cimitero del Verano. Chiediamo al Signore che si degni di accogliere le loro anime fra quella “moltitudine immensa” (Ap 7, 9), a cui la liturgia odierna ci invita a sollevare lo sguardo.

Una particolare, accorata preghiera vi esorto a rivolgere al Signore per tutti i morti a causa della violenza. Sono molti purtroppo, e in molte regioni del mondo! Il cuore è oppresso al pensiero di tanto sangue umano versato, di tante sofferenze, di tante lacrime. Anche questi ultimi giorni sono stati funestati da alcune notizie luttuose: penso alla signora Indira Gandhi, primo ministro dell’India, assassinata ieri a Nuova Delhi; penso al sacerdote polacco Jerzy Popieluszko, la cui tragica fine ha commosso il mondo; penso alle persone che hanno trovato la morte nelle recenti agitazioni in Cile, alle vittime della repressione nel Sud Africa e a tutte le numerose vittime della violenza in tanti altri Paesi del mondo. Iddio grande e misericordioso dia pace alle loro anime immortali, e conceda ai vivi di comprendere che, non con la violenza ma con l’amore, si costruisce un futuro degno dell’uomo.
Sia lodato Gesù Cristo.

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ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi 
Venerdì, 1° novembre 1985

 

1. Nell’odierna Solennità di Tutti i Santi il nostro pensiero si rivolge alla Gerusalemme celeste, regno della felicità senza fine, e alla moltitudine innumerevole che la popola, sciogliendo inni incessanti di lode a Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, e alla Vergine santissima, Regina del cielo, Regina degli Angeli e dei Santi tutti.

La sublime visione dell’Apocalisse, proposta oggi dalla Liturgia, apre uno squarcio sulla patria definitiva ed eterna, nella quale i Santi ci hanno preceduto e verso la quale siamo tutti incamminati.

2. A questa prospettiva terminale sono costantemente volti gli sguardi e i passi della Chiesa. Il Concilio vi ha dedicato un’attenzione particolare, facendone il momento culminante delle sue indagini sul mistero della Chiesa, analizzando in se stesso e in rapporto ai membri che compongono questa realtà spirituale e visibile.

“La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo Gesù e nella quale per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità, non avrà il suo compimento se non nella gloria del cielo” (Lumen gentium, 48). Così inizia il capitolo della Lumen gentium sull’indole escatologica della Chiesa pellegrinante e sulla sua unione con la Chiesa celeste, un capitolo che, mentre richiama i “Novissimi” - morte, giudizio, inferno, paradiso -, pone in gran luce la verità del rinnovamento di ogni cosa, già iniziato nel mistero pasquale di Gesù Cristo, e destinato a rivelarsi pienamente nei nuovi cieli e nella terra nuova, in cui la giustizia ha la sua dimora (cf. 2 Pt 3, 13).

3. Il Vaticano II ha pure ricordato che la santità, già presente e operante nella fase terrena del cammino ecclesiale, non è un privilegio di qualcuno, ma una chiamata rivolta a tutti i membri del popolo di Dio, senza alcuna eccezione. E ha invitato tutti - vescovi, presbiteri, diaconi, religiosi e laici - in ogni condizione e situazione umana a tradurre in pratica il grande appello di Gesù: “Siate perfetti, com’è perfetto il vostro Padre celeste” (Mt 5, 48). Ecco le parole del Concilio: “Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità: da questa santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano” (Lumen gentium, 40).

Se la santità è, da una parte, uno degli elementi costitutivi della Chiesa, dall’altra è la dimostrazione concreta della coerenza dei credenti con la propria vocazione. Qui, non altrove, va ricercata la base dell’autentico rinnovamento a cui tutti siamo obbligati nella presente stagione storica. La prossima Assemblea sinodale non mancherà certo di porre in giusta evidenza queste prementi istanze, alla luce degli ammaestramenti che derivano dall’esperienza dei vent’anni trascorsi dal Concilio.

La Vergine Santissima, Regina di tutti i Santi, voglia fin d’ora benedire e accompagnare quel grave impegno. Per questo, ora preghiamo insieme.


Alla recita dell’Angelus di venerdì 1° novembre partecipano i membri del movimento “Pro Sanctitate”. Questo il saluto del Santo Padre. 

Oggi, solennità di Tutti i Santi, desidero ricordare in modo particolare la “Giornata di santificazione universale” promossa ormai da vari anni dal Movimento “Pro Sanctitate” e che quest’anno ha come tema “I giovani e la santità”, in sintonia con la celebrazione dell’Anno Internazionale della Gioventù. Mentre mi compiaccio per tale lodevole iniziativa, esorto vivamente a riflettere oggi sul sublime e supremo ideale della nostra santificazione mediante la fede, la grazia e la carità, e a fare al riguardo generosi propositi. Sia lodato Gesù Cristo!


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ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi
1° novembre 1986

 

1. Oggi la Chiesa celebra la festa di tutti i Santi. La Sposa del Signore ha indossato l’abito della gioia. E così vuol comparire dinanzi al suo Dio, per essere inondata del tripudio della Gerusalemme celeste. È l’abito delle nozze, quello che l’ammette al banchetto preparato per lei dallo Sposo. È l’abito della santità.

Oggi questo abito risplende di mille luci diverse: sono gli infiniti tratti di un’unica luce, che una moltitudine di uomini e donne “di ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap 7, 9) fa scintillare senza posa. Uomini e donne che la storia dei grandi ha spesso ignorato, perché la perla preziosa della loro testimonianza è stata ricoperta dal velo dell’umiltà e del nascondimento. Uomini e donne che hanno attinto all’inesauribile pienezza di Colui che solo è santo, e ne hanno fatto vivere un frammento, offrendogli il loro volto concreto perché vi si incarnasse, come in un simbolo vivente.

2. E così, per le strade delle nostre città, un lembo di quell’abito si è reso presente nella testimonianza - all’apparenza anonima, ma in realtà personalissima - di questi fratelli che ci hanno donato con la loro vita un raggio della santità di Colui, a cui i serafini inneggiano col loro canto: “Santo, santo, santo il Signore Dio delle schiere” (Is 6, 3).

Ognuno di loro è una piccola luce, ma irripetibile. Ha vissuto fino in fondo la propria chiamata ad essere pienamente se stesso, secondo l’originalità stupenda che il Creatore aveva posto in lui. Ora, unito misteriosamente al coro di miriadi di altri fratelli, illumina lo scenario a volte così scuro di questo mondo, e lo invita a sperare, ad avere fiducia, testimoniandogli come la santità di Dio non si smentisce, non cessa di comunicarsi, di associare a sé uomini e donne semplici, ricchi solo di una disarmata disponibilità, di un umile, trasparente abbandono.

3. A questi santi, a questi fratelli che hanno costruito per noi un mondo migliore, sale oggi la nostra preghiera: Voi, poveri fin dentro il cuore, ricchi solo della fede in un Dio che non delude, perché ha vinto il mondo; voi, afflitti, che con le vostre lacrime avete riempito l’immenso fiume del dolore umano; voi, miti, che avete scelto la strada lenta e faticosa del diritto, anziché quella della violenza e del sopruso; voi, affamati e assetati di giustizia, che avete lottato per l’onestà e la lealtà; voi, uomini del perdono, che avete amato i vostri nemici e fatto del bene a coloro che vi odiavano; voi, puri di cuore, che avete sempre guardato le cose con l’occhio limpido e pulito della semplicità; voi, costruttori della pace, che avete pagato di persona perché il sogno di un mondo di fratelli divenisse realtà; voi, perseguitati per la giustizia, che avete dato un volto alla speranza degli ultimi e dei diseredati; voi, santi e sante di Dio, fratelli e sorelle nostri, ci avete insegnato che la santità non è remota e inaccessibile, patrimonio di pochi, ma è pienezza dell’uomo nuovo che sta dentro ciascuno di noi; voi tutti, santi, pregate, pregate l’Agnello assiso sul trono, pregatelo per questa storia che ha sete di santi, per questa storia vivente della speranza che veri testimoni le siano ancora donati; pregatelo e ripetete con la sposa: “Marana tha, vieni, Signore Gesù” (Ap 22, 20).

 

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ANGELUS

 Solennità di Tutti i Santi
Piazza San Pietro - Domenica, 1° novembre 1987

 

1. “Rallegriamoci tutti nel Signore, in questa solennità di Tutti i Santi!”.

È con rinnovata letizia che oggi ci rivolgiamo alla “Regina di tutti i santi” nel giorno in cui, in un solo ricordo, celebriamo nella luce di Dio, la Madre della Chiesa e tutti coloro che in cielo costituiscono la Chiesa trionfante.

Onoriamo colei che, umile e silenziosa, visse quaggiù nel costante adempimento della volontà di Dio e ora è glorificata da Dio tra gli angeli e i santi.

Onoriamo i nostri fratelli, che nella loro vita terrena hanno testimoniato il Cristo, e ora, nella gloria del cielo, godono il premio della visione di Dio.

Rallegriamoci con colei che, “ancella del Signore” seppe dire il suo “sì” in ogni momento del pellegrinaggio terreno, e ora, “umile ed alta più che creatura”, indica a noi tutti la via del cielo.

Rallegriamoci con tanti nostri fratelli che ci hanno preceduto, percorrendo la nostra stessa strada dall’esilio alla Patria.

2. Domani, 2 novembre, lo sguardo del nostro spirito si proietterà ancora oltre l’orizzonte del tempo per incontrare nella preghiera i nostri cari defunti. Questa sera celebrerò la santa Messa al cimitero del Verano, offrendo il divin Sacrificio per tutti coloro che nel mondo, sotto ogni cielo, ci hanno preceduto nel cammino verso la patria. Farò memoria di essi pregando il Signore perché “conceda ad essi il refrigerio, la luce e il riposo”.

Il mio ricordo andrà in particolare a tutti coloro che hanno lasciato questa vita a causa della malvagità degli uomini, dell’ingiustizia, dell’oppressione, della violenza, o a seguito di disastrose calamità naturali. Pregherò perché Dio, Padre buono, conceda a tutti questi nostri fratelli la gioia e la pace eterna.

3. Anche voi visiterete i cimiteri per ricordare i vostri morti e per testimoniare loro un affetto che dura oltre la morte: portate i fiori e i ceri, ma portate loro soprattutto, nello spirito della comunione dei santi, il sollievo e l’aiuto della preghiera.

Ci viene, dai nostri cari defunti, una parola di certezza e di speranza: con la morte, “la vita viene cambiata non tolta e, dissolta la casa di questo esilio terreno, ci è preparata un’abitazione eterna nel cielo”.

Mentre professiamo questa verità della fede cattolica, rivolgiamoci alla Vergine santissima, Madre del Salvatore, e Madre nostra, perché interceda per i nostri defunti e sia sempre accanto a ciascuno di noi, lei “Consolatrice degli afflitti”, “Madre della speranza” e “Regina di tutti i santi”.


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ANGELUS

 

Solennità di Tutti i Santi
Martedì, 1° novembre 
1988

 

 

Oggi la Chiesa celebra la festa di Tutti i Santi, cioè di tutti i redenti da Cristo - a cominciare da Maria santissima - che ci hanno preceduti in questa vita ed ora godono della visione beatifica di Dio. Essi sono “coloro che - secondo l’espressione dell’Apocalisse - sono passati attraverso la grande tribolazione ed hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14). Queste vesti candide oggi risplendono di mille luci: sono gli innumerevoli riflessi di un’unica luce, che una moltitudine di uomini e donne “di ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap 7, 9) riverbera su tutta la Chiesa. Sono uomini e donne, che ci mostrano la santità di Dio, incarnata nel volto umano. I santi sono membra del corpo glorificato di Cristo e formano la Chiesa dei beati. Ma essi sono pure in comunione con noi, nel vincolo della carità, che non viene mai meno. La carità li fa solidali con noi e solleciti di noi: è questo l’ineffabile mistero della comunione dei santi, per la quale esiste un profondo rapporto tra coloro che sono ancora “pellegrini su questa terra”, “quelli che stanno purificandosi” e “quelli che godono della gloria” (cf. Lumen Gentium, 49).

Per questa profonda unità oggi dobbiamo sentirci più vicini a tutti i santi che, prima di noi, hanno creduto tutto quello che noi crediamo, ed ora sono nostri amici e intercessori in cielo.

La festa di Tutti i Santi ci introduce anche alla commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti, i quali non si trovano ancora nella luce della completa visione di Dio, ma attendono di diventarne degni mediante la loro misteriosa purificazione. Nel compiere oggi e domani la visita ai cimiteri, mentre sostiamo davanti alle tombe dei nostri cari defunti, eleviamo per essi la nostra preghiera di suffragio, espressione della nostra solidarietà e comunione di spirito, affinché possano entrare presto nella definitiva gloria del Signore. E anche i nostri morti possono, a loro volta, intercedere per noi proprio in virtù della stessa circolazione di carità, di cui ci assicura la Chiesa.

Cerchiamo di trascorrere questi due giorni con sentimenti di pietà cristiana; prendiamo parte al sacrificio della santa Messa, in cui Cristo si fa intercessore per i vivi e per i defunti; raccomandiamo le anime dei trapassati alla Vergine santissima, che invochiamo quale “Regina di Tutti i Santi”.

Ella è infatti la “piena di grazia” che, come tale, supera nella santità ogni altra creatura.

Per mezzo di lei, la cui immagine si trova spesso nelle cappelle e sulle tombe dei cimiteri cristiani, noi le affidiamo alla misericordia di Dio.


Ai dirigenti membri del Movimento “Pro Sanctitate”, nella “Giornata per la santificazione universale”.  

Rivolgo un particolare saluto ai Dirigenti e ai Membri del Movimento di Spiritualità “Pro Sanctitate”, che celebra oggi l’annuale “Giornata per la Santificazione Universale” meditando sul tema: “Evangelizzare la santità”, e cioè annunziare il Vangelo che è chiamata e via alla santità.

Nell’esprimere il mio compiacimento per quanto il Movimento si propone, esorto tutti gli aderenti a perseverare nel loro impegno di santificazione personale e di testimonianza in mezzo ai fratelli, affinché ogni cristiano ricuperi la consapevolezza della vocazione alla santità inscritta in lui dal Battesimo.

A tutti la mia Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

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ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi
Mercoledì, 1° novembre
 1989

 

1. È giunto il momento della recita dell’Angelus. Ci rivolgiamo oggi a Maria, “Regina di tutti i Santi”, con l’animo pieno di gioia per il dono che, in questa solennità, Dio ha fatto alla sua Chiesa, concedendole il conforto di proclamare santi due vigorosi testimoni delle beatitudini, e di iscrivere nell’albo dei beati, durante la celebrazione del vespro di ieri sera, un sacerdote parroco e pastore di anime.

Ci rallegriamo con la Vergine santissima constatando che anche questi insigni modelli di virtù cristiane furono animati da una fervida devozione verso di lei.

2. San Gaspare Bertoni svolse il suo apostolato tra i giovani avvalendosi dell’opera di animatori, raccolti nella “Coorte mariana”, e propose ad ogni categoria di fedeli, quali patroni e modelli, i “santi sposi” Maria e Giuseppe, a tutti additando come via sicura verso la santità l’imitazione delle loro virtù.

San Riccardo Pampuri ebbe fin dalla più tenera età una speciale devozione a Maria, “nostra Madre celeste”, com’egli amava designarla. Chi lo conobbe ricorda che, nelle feste mariane, lo si vedeva tutto giulivo nel volto, al punto da comunicare la sua gioia anche ai malati.

Il beato Giuseppe Baldo, parroco e fondatore della congregazione delle piccole figlie di san Giuseppe, pastore d’anime meraviglioso per la pietà, la tempestività degli insegnamenti e delle opere sociali, attento catechista della sua gente di ogni età e condizione, attuò giorno per giorno il suo programma di santificazione col fermo proposito di avere “Dio nella mente e nel cuore, Gesù Cristo come modello, Maria come aiuto”.

3. Carissimi fratelli e sorelle, davanti a questi insigni testimoni della perfezione evangelica tutti dobbiamo sentirci personalmente interpellati a rispondere con generosità alla universale vocazione alla santità, ciascuno nel proprio stato ed ufficio (cf. Lumen Gentium, cap. V).

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i Saluti

Saluto con affetto i fedeli della diocesi di Verona, che vede oggi ben due suoi figli esaltati e proposti alla imitazione dei cristiani. Auspico che questi nuovi modelli di autenticità cristiana trovino nella attuale comunità veronese validi continuatori del loro amore a Cristo e del loro servizio alla Chiesa.

Saluto con gioia anche i fratelli dell’Ordine Ospedaliero di san Giovanni di Dio, e mi unisco alla loro giusta esultanza per la canonizzazione di un confratello in questo anno centenario del loro fondatore. Un santo contemporaneo, che alcuni dei presenti hanno conosciuto personalmente e che si presenta oggi alla vostra comunità come modello di quella sollecitudine verso il malato e il sofferente, che già insegnava e praticava san Giovanni di Dio. Raccogliete, cari fatebenefratelli, questo esempio di fedeltà al carisma che vi è proprio, nella consapevolezza di quanto esso sia oggi importante per attestare l’amore di Cristo verso gli umili e verso le vittime di ogni sorta di malattia.

Un saluto speciale rivolgo ai militari qui presenti, ed in particolare ai reparti della sanità, che vedono in san Riccardo un loro amico, che li ha preceduti come modello di un servizio alla patria, santificato mediante la carità e la fede. A tutti la mia Benedeizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!


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ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi - Giovedì, 1° novembre 1990

 

Cari fratelli e sorelle!

1. I santi, dei quali oggi ricordiamo “in un’unica festa i meriti e la gloria”, sono coloro che hanno fatto dell’annuncio delle Beatitudini un programma di vita. Hanno creduto alla parola divina e alla sua promessa, confidando che essa non avrebbe tradito la loro speranza; hanno compreso che le beatitudini evangeliche esprimono tutta la realtà dei doni divini offerti all’uomo dal mistero della redenzione. Con le parole delle Beatitudini il Figlio del Dio vivente ha annunciato la nostra riconciliazione, poiché proprio in lui, e solo in lui poteva trovare piena soddisfazione l’amore eterno del Padre.

2. La parola “Beati” indica altresì un programma di vita e un segno dell’avvicinarsi di Dio a ogni uomo che nel mondo soffre e rivive nella propria storia il mistero della croce di Cristo. I santi hanno saputo vedere una speciale presenza di Cristo nella povertà e nell’afflizione, nella mitezza e nella misericordia, nell’estremo bisogno di giustizia e nella purezza di cuore.

Da queste situazioni, che in qualche modo indicano altrettanti capitoli della vita di Gesù, i santi hanno raccolto un insegnamento, convinti che le Beatitudini riguardano tutti coloro che vogliono essere discepoli del Signore.

3. A queste medesime considerazioni ci riconduce la commemorazione di tutti i fedeli defunti. Ricordiamo i nostri morti con l’affetto che dobbiamo loro per i vincoli di sangue, di amicizia o di gratitudine. Il loro passaggio alla vita eterna non distrugge i legami costruiti qui in terra, ma li esalta nella comunione con Dio. Ricordiamo le loro virtù e i loro esempi ed eleviamo per loro preghiere di suffragio.

Ricordiamo, in particolare, tutti coloro che hanno trovato in questi giorni la morte per malattia, in guerra, per incidenti sulla strada e sul lavoro.

Con tutti voi, specialmente con i fedeli di Roma, confido di incontrarmi questa sera al cimitero del Verano, per la celebrazione del sacrificio eucaristico. Vi invito ora alla preghiera dell’Angelus, quotidiano annuncio di beatitudine, che ci avvicina alla Madre dei santi, Colei che è detta “Beata” nel Vangelo, perché ha creduto.  

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A tutti la mia Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

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ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi - Venerdì, 1° novembre 1991

 

Carissimi fratelli e sorelle!

1. Oggi, solennità di Tutti i Santi, eleviamo il nostro pensiero al Cielo e invochiamo con fervore tutti coloro che già godono in Paradiso l'eterna felicità di Dio.

San Giovanni nel libro dell'apocalisse afferma di aver visto una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua (cfr. Ap 7, 9): è questa l'immagine celeste della universalità della redenzione. La visione di San Giovanni ci conforta, perché ci fa riflettere sulla infinita Misericordia dell'Altissimo, che ha preparato per tutti i credenti in Cristo un destino così ineffabile.

La Liturgia di questa Solennità esprime la suprema certezza della Gloria Eterna, la quale ci è stata acquistata dal Cristo con la sua passione, morte e risurrezione.

Tutti coloro che percorrono la strada indicata nelle Beatitudini evangeliche, Dio li chiama ad una profonda comunione con sé. I Santi infatti sono coloro che hanno realizzato il programma del discorso della montagna e si sono fatti poveri, umili, misericordiosi, caritatevoli, pazienti, puri di cuore e operatori di pace per amore del Suo nome.

Così dobbiamo comportarci anche noi, se vogliamo seguire il loro destino di beatitudine senza fine.

2. La Solennità di Tutti i Santi ci introduce anche alla Commemorazione di Tutti i fedeli Defunti, i quali non si trovano ancora nella piena visione di Dio, ma l'attendono vivamente in una misteriosa purificazione. Durante la visita ai cimiteri, che compiamo oggi e domani, eleviamo preghiera di suffragio per i nostri cari defunti, affinché possano entrare presto nella luce e nella pace. Anch'io questo pomeriggio mi recherò al cimitero romano di Prima Porta dove celebrerò l' Eucaristia per tutte le anime del Purgatorio. Vi invito ad unirvi alla mia preghiera per le anime bisognose della nostra solidarietà spirituale e a trascorrere questi due giorni con sentimenti di pietà cristiana.

3. Raccomandiamo le anime dei nostri cari alla Vergine Santissima che invochiamo come "Regina di Tutti i Santi". Per mezzo di Lei, la cui immagine si trova spesso sulle tombe cristiane, affidiamo alla misericordia di Dio tutte le anime che attendono di essere accolte nelle dimore eterne.


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ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi
Domenica, 1° novembre 1992

 

Carissimi fratelli e sorelle!

1. La solennità liturgica di Tutti i Santi ci invita a levare lo sguardo verso il Cielo per contemplare l'innumerevole schiera di coloro che hanno corrisposto pienamente alla Grazia, e ora, "davanti al Trono" di Dio (cfr. Ap 7, 15), cantano in eterno la sua gloria. Essi costituiscono la "Città santa", alla quale volentieri guardiamo, come alla nostra mèta definitiva, mentre siamo pellegrini nella "città terrena", affaticati dall'asprezza del cammino. Vogliamo oggi alzare gli occhi verso il Cielo non per dimenticare le afflizioni della terra, ma per affrontarle con più coraggio. I Santi, testimoni eloquenti dell'azione soprannaturale di Dio nella vita dell'uomo, ci additano il traguardo definitivo della storia, quando il Signore "farà nuove tutte le cose" (Ap 21, 5).

2. L'odierna festività ci aiuta così a prendere coscienza della comune vocazione alla santità. Non a caso, tra i santi che la Chiesa venera, ci sono persone di ogni età, popolo e condizione sociale. "Santi" sono del resto non soltanto quelli canonizzati, ma tutti i credenti che vivono e muoiono fedeli alla divina volontà. Il mondo ha urgente bisogno di una primavera di santità, che accompagni gli sforzi della nuova evangelizzazione, ed offra all'uomo del nostro tempo, spesso deluso da vane promesse e tentato dallo scoraggiamento, un'indicazione di senso e un motivo di rinnovata fiducia. A questa sfida sono chiamati a rispondere i figli della Chiesa, mediante un serio e quotidiano impegno di santificazione "nelle condizioni, doveri e circostanze della loro vita", "manifestando a tutti, nello stesso servizio temporale, la carità con la quale Dio ha amato il mondo" (LG 41).

3. Ci aiutano in tale faticoso ma esaltante itinerario spirituale i nostri fratelli del Paradiso, ai quali ci lega non solo il ricordo devoto, ma una profonda e vitale comunione, realizzata dallo Spirito Santo, che edifica incessantemente la Chiesa come "corpo di Cristo". Si tratta di una comunione che si estende anche a quanti sono morti nel segno della fede, ma bisognosi della misericordia purificatrice del Padre celeste, attendono in purgatorio di poter godere la luce del suo volto. In un misterioso scambio di doni, essi intercedono per noi e noi offriamo per loro la nostra preghiera di suffragio.

Carissimi fratelli e sorelle! Vorrei invitarvi ad unirvi idealmente a me questo pomeriggio, quanto, secondo una ormai consolidata tradizione, mi recherò al cimitero del Verano, per celebrare la santa Eucaristia al fine di impetrare un'effusione di divina misericordia su tutti i nostri cari defunti. Voglia la Vergine Santa interporre la sua materna intercessione, facendosi ancora una volta per i suoi figli "segno di consolazione e di sicura speranza" (LG 68).


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Caterina63
00lunedì 22 ottobre 2018 19:10



ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi
Lunedì, 1° novembre 1993

 

1. "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5, 8).

Questa beatitudine evangelica risuona nell'odierna liturgia della solennità di Tutti i Santi, e ci pone in spirituale sintonia con quella moltitudine di "puri di cuore" che in Paradiso fissano il loro sguardo in Dio e ne cantano le lodi.

Vedere Dio è il grande anelito del cuore umano. Spesso l'uomo non ne prende coscienza, perché frastornato dal vortice delle realtà che passano. E' la sua stessa struttura spirituale che lo proietta verso l'infinito, rendendolo non solo "capace di Dio", ma bisognoso di Lui. "Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te". Scrivendo queste parole, sant'Agostino non ripercorreva solo la sua personale esperienza di convertito, ma si faceva interprete della condizione umana.

2. L'odierna celebrazione, mentre ci fa condividere la gioia dei Santi, ci aiuta a prendere rinnovata coscienza della nostra vocazione alla santità: "Tutti i fedeli di qualsiasi stato e grado - ha ricordato il Concilio - sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità" (LG, 40).

Il cammino di avvicinamento a tale traguardo passa attraverso la generosa osservanza della legge di Dio (cfr. Mt 7, 21). Nella recente Enciclica "Veritatis Splendor", ho ricordato che "i comandamenti non devono essere intesi come un limite minimo da non oltrepassare, ma piuttosto come una strada aperta per un cammino morale e spirituale di perfezione, la cui anima è l'amore" (n. 15).

Il cristiano è essenzialmente un chiamato alla santità e la norma della sua vita è Cristo stesso: "L'agire di Gesù e la sua parola, le sue azioni e i suoi precetti costituiscono la regola morale della vita cristiana" (ibid., 20).

3. Vergine Maria, 
Regina dei Santi e modello di santità!

Tu oggi esulti con l'immensa schiera 
di coloro che hanno lavato le vesti 
nel "sangue dell'Agnello" (Ap 7, 14).

Tu sei la prima dei salvati, 
la tutta Santa, l'Immacolata.

Aiutaci a vincere la nostra mediocrità. 
Mettici nel cuore il desiderio 
e il proposito della perfezione. 
Suscita nella Chiesa, 
a beneficio degli uomini d'oggi, 
una grande primavera di santità.


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ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi
Martedì, 
1° novembre 1994

 

 

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Oggi celebriamo la solennità liturgica di Tutti i Santi. La Chiesa pellegrina sulla terra leva lo sguardo verso quanti hanno già raggiunto la "patria" e godono della visione di Dio.

Nell'Anno della Famiglia che stiamo celebrando, la festa odierna ci invita a considerare in particolare i Santi come la "famiglia di Dio" ed a ricordare anzi che tutta la Chiesa è una famiglia (cfr. Lumen gentium, 51), formata dai discepoli di Cristo ancora sulla terra e da quelli che già vivono in Cielo. In certo senso essa si può dire una "famiglia di famiglie", perché ogni famiglia cristiana è chiamata ad esserne cellula vivente, piccola "chiesa domestica" (cfr. Giovanni Paolo II, Omelia durante l'incontro mondiale con le famiglie, 9 ott.1994).

Possa, questo pensiero, aiutare le famiglie a vivere sempre più pienamente la loro vocazione. Molti Santi hanno raggiunto i vertici della perfezione proprio vivendo in famiglia. Mi piace, a tal proposito, ricordare le due spose e mamme che solo alcuni mesi fa ho elevato agli onori degli altari: la Beata Giovanna Beretta Molla, che offrì la vita per la creatura che portava in grembo, e la Beata Elisabetta Canori Mora, modello di fedeltà e dedizione in una realtà familiare particolarmente difficile. All'intercessione dei fratelli e delle sorelle del Paradiso raccomandiamo, in questo giorno di festa, tutte le famiglie del mondo.

2. Domani celebreremo la commemorazione dei fedeli defunti, che richiama anch'essa suggestivamente il tema della famiglia. Ridesta infatti il ricordo delle persone care che hanno già lasciato questa terra e ciò permette di sperimentare un senso di comunione che va oltre il tempo e unisce le generazioni.

Si tratta di un rapporto spirituale, sostanziato di affetti, di ricordi e soprattutto di preghiera, che ha il suo fondamento solido nella certezza, colta già in qualche modo dalla ragione e corroborata dalla fede, che l'esistenza dell'uomo non si conclude sulla terra. La morte apre per le anime un nuovo orizzonte di vita, nella direzione segnata dal giudizio di Dio sul bene e sul male compiuto. La fede anzi ci assicura che, nel modo misterioso noto solo alla divina Sapienza, anche i corpi risorgeranno alla fine del tempo. Dio vuol salvare tutto l'uomo, nella dimensione spirituale come in quella corporea.

3. Alla Vergine Santa, che nell'assunzione al Cielo ha ricalcato il destino del Cristo risorto ed ha anticipato quello di tutti gli uomini, affidiamo il forte desiderio di vita che in questi giorni la liturgia suscita nel nostro cuore. Maria è la primizia dei redenti, l'aurora di salvezza per il genere umano. La contemplazione di Lei, nostra Madre celeste e Regina di tutti i Santi, sia per noi motivo di "consolazione e di sicura speranza" (Lumen gentium, 68).


Al termine dell'Angelus il Santo Padre ha detto:

Sono spiritualmente unito con tutti quelli che frequentano oggi i cimiteri di Roma e di tutto il mondo. Ringrazio per le preghiere, specialmente per le preghiere ai miei cari, ai miei genitori, nel cimitero di Cracovia, e a tanti altri vicini, persone care, che sono già e che vivono già in Dio.

Cercheremo di vivere profondamente questa Solennità odierna di Tutti i Santi come anche quella di domani: "Commemoratio omnium fidelium defunctorum".

Sia lodato Gesù Cristo!


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ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi
Mercoledì, 1° novembre 1995

 

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. L'odierna solennità di Tutti i Santi e la commemorazione, domani, dei fedeli defunti ci invitano a rivolgere lo sguardo verso la meta definitiva del nostro pellegrinaggio terreno: il Paradiso. "Io vado a prepararvi un posto - dice il Maestro ai discepoli nel Cenacolo - perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado voi conoscete la via" (Gv 14, 2-4). Pensare al cielo, seguendo Cristo Via, Verità e Vita, ci infonde quella serenità e quel coraggio indispensabili per affrontare le quotidiane difficoltà con la sicura speranza di partecipare un giorno alla gioia eterna della comunione dei Santi.

"Beati i poveri in spirito, beati i miti, beati i puri di cuore, beati gli operatori di pace, beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei cieli" (cfr. Mt 5, 3-10). Così ci ripete oggi la Chiesa, additandoci i Santi, coloro che, "passati attraverso la grande tribolazione e lavate le loro vesti nel sangue dell'Agnello" (cfr. Ap 7, 14), hanno attinto abbondantemente al tesoro della Redenzione. Essi ora ci precedono nel gaudio della liturgia celeste; sono per noi modelli delle virtù evangeliche e ci soccorrono con la loro costante intercessione.

2. Oggi i Santi, domani i Morti. La Chiesa mantiene uniti questi due appuntamenti del calendario liturgico e ci invita a pregare per i defunti. Tale preghiera - come dice la Scrittura - è "un'azione molto buona e nobile, suggerita dal pensiero della risurrezione" (2 Mac12, 43), un doveroso e concreto atto di carità col quale si realizza e si alimenta la "comunione dei Santi".

Tornano alla mente tutti i cimiteri del mondo, dove riposano le generazioni trascorse. Il ricordo si fa ancor più vivo quando si pensa ai propri cari, a quanti ci hanno voluto bene e ci hanno introdotto alla vita. Ma non meno significativa è la memoria delle vittime della violenza e delle guerre, come pure di coloro che hanno dato la vita per rimanere fedeli a Cristo sino alla fine, o sono morti mentre prestavano servizio generoso ai fratelli. Vogliamo ricordare specialmente quanti ci hanno lasciato nel corso di quest'anno e pregare per loro.

Se da una parte la Chiesa, pellegrina nella storia, si rallegra per l'intercessione dei Santi e dei Beati che la sostengono nel compito di annunciare Cristo morto e risorto, dall'altra partecipa alla mestizia dei suoi figli afflitti per il distacco dalle persone care e ad essi addita la prospettiva della vita eterna. La gioia e le lacrime trovano, in queste due ricorrenze, una sintesi che ha in Cristo il suo fondamento e la sua consolante certezza.

3. Il nostro sguardo si rivolge ora a Maria che, insignita del "dono di una grazia eminente, precede di molto tutte le altre creature, celesti e terrestri" (Lumen Gentium, 53). Regina dei Santi, la Madre di Cristo intercede per i membri della Chiesa ancora bisognosi della misericordia divina.

A Lei, tutta Santa e Avvocata di grazie, affidiamo le gioie e le lacrime che accompagnano queste due singolari ricorrenze.


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ANGELUS

Venerdì, 1° novembre 1996

 

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Ho terminato poco fa nella Basilica di san Pietro una solenne liturgia eucaristica nella festa di Tutti i Santi. Tale ricorrenza si è arricchita quest’anno per me di un particolare significato. Ho voluto, infatti, celebrare, insieme alla diletta Diocesi di Roma, il cinquantesimo anniversario della mia Ordinazione sacerdotale, avvenuta appunto il 1° novembre del 1946.

Ringrazio di cuore tutti voi, carissimi sacerdoti e fedeli di Roma, che avete preso parte, nelle varie componenti in cui si articola la comunità diocesana, alla celebrazione di questa mattina. Saluto pure i pellegrini qui convenuti per la preghiera mariana. In modo particolare a voi, cari giovani, ragazzi e ragazze, rivolgo un augurio: possa ciascuno di voi scoprire con gioia la propria vocazione e impegnarsi con l’aiuto di Dio ad attuarla fedelmente. Chiedo al Signore che tra voi ragazzi vi sia qualcuno che si senta chiamato al sacerdozio, come avvenne a me, negli anni della mia giovinezza.

2. Conservo vivissima memoria del giorno della mia Ordinazione e del successivo, il 2 novembre, quando ho celebrato le mie prime sante Messe nella Cripta della Cattedrale di Cracovia. Non cesso di rendere grazie a Dio per quanto Egli ha allora operato in me. Con il passare degli anni, vado sempre più rendendomi conto che ogni sacerdote racchiude in sé un “mistero di fede”. Il suo “oggi” umano trascende le vicende contingenti del quotidiano, poiché è innestato nell’“oggi” eterno di Cristo Redentore. Pur inserito pienamente nel tessuto sociale nel quale vive, il sacerdote avverte di appartenere anche ad una dimensione diversa, proprio perché sa di essere stato riservato dallo Spirito per un’“opera” specifica che Dio intende realizzare per suo mezzo tra gli uomini (cf. At 13, 2): egli è chiamato ad essere l’amministratore dei misteri di Dio (cf. 1 Cor 4, 1).

3. In questa singolare ricorrenza giubilare, accogliendo l’insistente richiesta giuntami da varie parti, ho deciso di scrivere alcuni ricordi e riflessioni sulla mia vocazione, che è “Dono e Mistero”.

Ho redatto questa testimonianza pensando ai miei fratelli nel sacerdozio ed a loro la offro con il vivo auspicio che essa possa costituire per ciascuno motivo di speranza e di rinnovato ardore nel compimento fedele della missione presbiterale.

Affido questi miei sentimenti a Maria, Madre della Chiesa, invocandola per tutti i sacerdoti.

Ringrazio oggi la Chiesa di Cracovia, che mi ha aperto la strada verso il sacerdozio di Cristo. Ringrazio oggi la Chiesa di Roma, che mi permette di celebrare il cinquantesimo di sacerdozio qui, sulla Sede di Pietro.

A tutti voi auguro una buona settimana e una buona giornata dei defunti. Con la memoria dei defunti entriamo oggi pomeriggio e domani nel grande mistero escatologico di ciascuno di noi.

Sia lodato Gesù Cristo!

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ANGELUS

Sabato, 1° novembre 1997

  

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. I primi due giorni del mese di Novembre costituiscono per il Popolo cristiano un momento intenso di fede e di preghiera, che ne mette in singolare risalto l'orientamento "escatologico", richiamato con forza dal Concilio Vaticano II (cfr Lumen gentium, cap. VII). Celebrando, infatti, tutti i Santi e commemorando tutti i fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra vive ed esprime nella Liturgia il vincolo spirituale che l'unisce alla Chiesa celeste.

Oggi rendiamo onore ai Santi di tutti i tempi, mentre già rivolgiamo preghiere in suffragio dei nostri cari defunti visitando i cimiteri. Com'è consolante pensare che i nostri cari scomparsi sono in compagnia di Maria, degli apostoli, dei martiri, dei confessori della fede, delle vergini e di tutti i santi e le sante in Paradiso!

2. L'odierna solennità ci aiuta così ad approfondire una verità fondamentale della fede cristiana, che professiamo nel "Credo": la "comunione dei santi". A tale proposito, così si esprime il Concilio Vaticano II: "Tutti quelli che sono di Cristo, avendo il suo Spirito formano una sola Chiesa e sono tra loro uniti in Lui (cfr Ef 4, 16). L'unione quindi di coloro che sono in cammino coi fratelli morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata, anzi, secondo la perenne fede della Chiesa, è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali... La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine" (Lumen gentium, 49).

Tale mirabile comunione si attua nel modo più alto ed intenso nella divina Liturgia, e soprattutto nella celebrazione del Sacrificio eucaristico: in esso "ci uniamo in sommo grado al culto della Chiesa celeste comunicando con essa e venerando la memoria soprattutto della gloriosa sempre Vergine Maria, ma anche del beato Giuseppe e dei beati Apostoli e Martiri e di tutti i Santi" (Ivi, 50).

3. Nella gloriosa assemblea dei Santi, Dio ha voluto riservare il primo posto alla Madre del Verbo Incarnato. Maria rimane nei secoli e nell'eternità al vertice della comunione dei santi, quale singolare custode del vincolo della Chiesa universale con Cristo, suo Signore. Per chi vuole seguire Gesù sulla via del Vangelo, la Vergine è la guida sicura ed esperta, la Madre premurosa ed attenta, a cui confidare ogni desiderio e difficoltà.

Preghiamo insieme la Regina di tutti i Santi, perché ci aiuti a rispondere con generosa fedeltà a Dio, che ci chiama ad essere santi come Egli è Santo (cfr Lv 19, 2; Mt 5 , 48).


Saluto cordialmente i pellegrini di lingua italiana. Uno speciale saluto indirizzo ai giovani che oggi si sono dati appuntamento nei Santuari della Santa Casa a Loreto, della Madonna del Rosario a Pompei e di S. Antonio a Padova. Carissimi, avreste dovuto incontrarVi ad Assisi per l'annuale convegno nazionale promosso dai Frati del Sacro Convento di San Francesco, ma ciò purtroppo non è stato possibile a causa del terremoto. Vi sono vicino e vi incoraggio a rispondere con generosità all'appello del Signore a Francesco: "Va', e ripara la mia casa!".

Rivolgendomi a Voi, il mio pensiero va naturalmente alle popolazioni delle zone terremotate: alle famiglie, agli anziani, ai bambini, a tutti coloro che attraversano momenti difficili, come pure ai volontari ed a quanti sono impegnati per alleviare i disagi provocati dal sisma. Prego il Signore, perché si possa superare questa emergenza, grazie anche alla solidarietà di tutti.

Vorrei, infine, invitare a pregare per i morti che il terremoto ha causato. Li uniamo nel ricordo a tutti i fedeli defunti, che la Liturgia ci invita a commemorare domani. Si ravvivi in ogni cuore la luce della speranza cristiana. Sia lodato Gesù Cristo!

 
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ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi
Domenica, 1° novembre 1998

 

 

1. L'odierna Solennità di Tutti i Santi assume un significato particolare nel cammino di preparazione al Grande Giubileo del Duemila: quello storico appuntamento, infatti, si pone come obiettivo prioritario il rinvigorimento della fede e della testimonianza dei cristiani. I santi sono coloro che in ogni tempo hanno saputo vivere con coraggio la loro fede, rendendo senza cedimenti o compromessi la loro testimonianza a Cristo.

"Beati i poveri in spirito, ... i miti, ... i puri di cuore, ... gli operatori di pace, ... i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei cieli" (Mt 5,3-10). Così ci ripete, oggi, la Liturgia, additandoci coloro che, "sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti nel sangue dell'Agnello" (Ap 7,14), attingendo abbondantemente al tesoro della Redenzione. Essi ora ci precedono nel gaudio della liturgia celeste. Sono per noi modelli e ci soccorrono con la loro costante intercessione, offrendoci innumerevoli riflessi di quella luce di Grazia che è frutto del supremo mistero dell'Incarnazione.

2. L'anno liturgico pone la Solennità di oggi in stretta relazione con la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, che celebreremo domani. Il pensiero va ai cimiteri del mondo intero, dove riposano le spoglie mortali di coloro che ci hanno preceduto. Il ricordo si fa ancor più vivo quando si pensa ai propri cari, a quanti ci hanno voluto bene e ci hanno introdotto alla vita. Ma non meno significativa è la memoria delle vittime della violenza e delle guerre, come pure di quanti hanno sacrificato l’esistenza per rimanere fedeli a Cristo sino alla fine, o sono morti mentre prestavano servizio generoso ai fratelli. Vogliamo ricordare specialmente quanti ci hanno lasciato nel corso di quest'anno e pregare per loro.

Se, da una parte, la Chiesa, pellegrina nella storia, si rallegra per l'intercessione dei Santi e dei Beati che la sostengono nel compito di annunciare Gesù morto e risorto, dall'altra essa partecipa alla mestizia dei suoi figli afflitti per il distacco dalle persone care e ad essi addita l'orizzonte della speranza cristiana, la prospettiva della vita eterna. La gioia e le lacrime trovano, in queste due ricorrenze così intimamente legate, una sintesi che ha in Cristo il suo fondamento e la sua consolante certezza.

3. Guardiamo a Maria che, insignita del "dono di una grazia eminente, precede di molto tutte le altre creature, celesti e terrestri" (Lumen gentium, 53). A Lei raccomandiamo i nostri cari defunti; a Lei presentiamo il vivo desiderio, che ci anima, di tendere con tutte le nostre risorse alla santità.

Maria, Regina di tutti i Santi, prega per noi!


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ANGELUS

Lunedì, 1° Novembre 1999
Solennità di Tutti i Santi

 

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Celebriamo oggi la solennità di Tutti i Santi. In questa festosa ricorrenza, la Chiesa, pellegrina sulla terra, rivolge lo sguardo al Cielo, all'immensa schiera di uomini e donne che Dio ha reso partecipi della sua santità. Essi, come insegna il Libro dell'Apocalisse, provengono "da ogni nazione, razza, popolo e lingua" (Ap 7, 9). Nella loro vita terrena si sono impegnati a fare sempre la sua volontà, amando Lui con tutto il cuore e il prossimo come se stessi. Per questo hanno anche sofferto prove e persecuzioni, ed ora è grande ed eterna la loro ricompensa nei cieli (cfr Mt 5, 11).

Carissimi, questo è il nostro futuro! Questa è la più autentica e universale vocazione dell'umanità: formare la grande famiglia dei figli di Dio, sforzandosi di anticiparne già sulla terra i tratti essenziali. Verso questa meta ci attira l'esempio luminoso di tanti fratelli e sorelle che, nel corso dei secoli, la Chiesa ha riconosciuto Beati e Santi, proponendoli a tutti come modelli e guide. Oggi invochiamo la loro comune intercessione, perché ogni uomo si apra all'amore di Dio, fonte di vita e di santità.

2. Questa invocazione, nella giornata di domani, si farà intensa e corale preghiera al Padre della misericordia per tutti i fedeli defunti. In ogni parte del mondo si offrirà in suffragio per essi il Sacrificio eucaristico, pegno di vita eterna per i vivi e per i defunti, secondo la parola di Cristo stesso: "Io sono il pane della vita . . . Chi mangia questo pane vivrà in eterno" (Gv 6, 48.58).

In questi giorni, chi ne ha la possibilità compia una visita al cimitero, per pregare sulla tomba dei propri cari. Anch’io scenderò oggi pomeriggio nelle Grotte Vaticane, per sostare in preghiera presso le tombe dei miei Predecessori. Spiritualmente mi recherò poi nel cimitero di Cracovia, ove riposano i miei cari defunti, e negli altri cimiteri del mondo, per pregare soprattutto accanto ai sepolcri dimenticati.

La Liturgia, infatti, insegna a pregare per tutti, in nome del vincolo di solidarietà che lega gli uni agli altri i membri della Chiesa: è vincolo più forte della stessa morte. A nessuno manchi il sostegno della nostra preghiera.

3. In questo clima spirituale, sentiamo più che mai viva e consolante la presenza di Maria Santissima. Oggi la invochiamo quale Regina di tutti i Santi, contemplandola al centro della celeste assemblea degli spiriti beati. Domani affideremo a Lei, Madre della Misericordia, le anime dei fedeli defunti.

Per il Popolo di Dio, Ella è segno di consolazione e di sicura speranza. In Lei riconosciamo l'icona vivente della parola di Cristo: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5, 8). La sua intercessione ci ottenga di fare nostra questa beatitudine evangelica.

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ANGELUS

Mercoledì, 1° novembre 2000

 

1. Al termine di questa solenne Celebrazione in onore di Tutti i Santi, il nostro sguardo si volge verso l'alto. La festa odierna ci ricorda che noi siamo fatti per il Cielo, dove la Madonna è già giunta e ci attende.

La vita cristiana è camminare quaggiù col cuore rivolto verso l'Alto, verso la Casa del Padre celeste. Così hanno camminato i santi e così, in primo luogo, ha fatto la Vergine Madre del Signore. Il Giubileo ci richiama a questa dimensione essenziale della santità: la condizione di pellegrini, che cercano ogni giorno il Regno di Dio confidando nella divina Provvidenza. Questa è l'autentica speranza cristiana, che non ha nulla a che vedere col fatalismo né con la fuga dalla storia. Al contrario, è stimolo all'impegno concreto, guardando a Cristo, Dio fatto uomo, che ci apre la via del Cielo.

2. In questa prospettiva ci disponiamo a celebrare domani la Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Ci rechiamo spiritualmente presso le tombe dei nostri cari, che ci hanno preceduto con il segno della fede e che attendono il sostegno della nostra preghiera. Assicuro un ricordo per quanti, nel corso di quest'anno, hanno perso la vita; specialmente penso alle vittime dell'umana violenza: possa ciascuno trovare nel seno di Dio la sospirata pace.

3. In questa luce, Maria ci appare ancor più quale Regina dei Santi e Madre della nostra speranza. E' a Lei che ci rivolgiamo, perché ci guidi sulla via della santità e ci assista in ogni momento della vita, adesso e nell'ora della nostra morte.


Dopo l'Angelus

In questo giorno di Tutti i Santi saluto cordialmente i numerosi pellegrini francofoni venuti per compiere un gesto giubilare e rinnovare la loro fede in Cristo Salvatore. Sono lieto di vedere gli stendardi qui riuniti, fatti con molta cura e dedizione, e ringrazio tutte le persone che hanno voluto così presentare santi di tutti i secoli. Simili immagini permettono di scoprire il tesoro della Chiesa, gli uomini e le donne che hanno seguito Cristo nel sacerdozio, nella vita consacrata o nel matrimonio.

Cari amici, che possiate udire in modo rinnovato l'appello a entrare nella via della santità, a servire il Signore e i vostri fratelli, e a partecipare alla vita della Chiesa e del mondo! La Chiesa conta su di voi. Vi benedico di tutto cuore. Sia lodato Gesù Cristo!

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SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI

CELEBRAZIONE EUCARISTICA NEL 50° ANNIVERSARIO DELLA DEFINIZIONE DOGMATICA DELL’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Mercoledì, 1° novembre 2000 

 

 

1. "Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli" (Ap 7, 12).

In atteggiamento di profonda adorazione della Santissima Trinità, ci uniamo a tutti i Santi che celebrano perennemente la liturgia celeste per ripetere con loro il ringraziamento al nostro Dio per le meraviglie da lui operate nella storia della salvezza.

Lode e azione di grazie a Dio per aver suscitato nella Chiesa una moltitudine immensa di Santi, che nessuno può contare (cfr Ap7,9). Una moltitudine immensa: non solo i Santi e i Beati che festeggiamo durante l'anno liturgico, ma anche i Santi anonimi, conosciuti solo da Lui. Madri e padri di famiglia, che nella quotidiana dedizione ai figli hanno contribuito efficacemente alla crescita della Chiesa e all'edificazione della società; sacerdoti, suore e laici che, come candele accese dinanzi all'altare del Signore, si sono consumati nel servizio al prossimo bisognoso di aiuto materiale e spirituale; missionari e missionarie, che hanno lasciato tutto per portare l'annuncio evangelico in ogni parte del mondo. E l'elenco potrebbe continuare.

2. Lode e azione di grazie a Dio, in modo particolare, per la più santa tra le creature, Maria, amata dal Padre, benedetta a motivo di Gesù, frutto del suo grembo, santificata e resa nuova creatura dallo Spirito Santo. Modello di santità per aver messo la propria vita a disposizione dell'Altissimo, Ella "brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione" (Lumen gentium, 68).

Proprio oggi ricorre il cinquantesimo anniversario dell'atto solenne con cui il mio venerato predecessore Papa Pio XII, in questa stessa Piazza, definì il dogma dell'Assunzione di Maria al cielo in anima e corpo. Lodiamo il Signore per aver glorificato la Madre sua, associandola alla sua vittoria sul peccato e sulla morte.

Alla nostra lode hanno voluto unirsi oggi, in modo speciale, i fedeli di Pompei, che sono venuti numerosi in pellegrinaggio, guidati dall'Arcivescovo Prelato del Santuario, Mons. Francesco Saverio Toppi, e accompagnati dal Sindaco della città. La loro presenza ricorda che fu proprio il Beato Bartolo Longo, fondatore della nuova Pompei, ad avviare, nel 1900, il movimento promotore della definizione del dogma dell'Assunzione.

3. L'odierna liturgia parla tutta di santità. Per sapere però quale sia la strada della santità, dobbiamo salire con gli Apostoli sul monte delle Beatitudini, avvicinarci a Gesù e metterci in ascolto delle parole di vita che escono dalle sue labbra. Anche oggi Egli ripete per noi:

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli! Il divin Maestro proclama "beati" e, potremmo dire, "canonizza" innanzitutto i poveri in spirito, cioè coloro che hanno il cuore sgombro da pregiudizi e condizionamenti, e sono perciò totalmente disponibili al volere divino. L'adesione totale e fiduciosa a Dio suppone lo spogliamento ed il coerente distacco da se stessi.

Beati gli afflitti! E' la beatitudine non solo di coloro che soffrono per le tante miserie insite nella condizione umana mortale, ma anche di quanti accettano con coraggio le sofferenze derivanti dalla professione sincera della morale evangelica.

Beati i puri di cuore! Sono proclamati beati coloro che non si contentano di purezza esteriore o rituale, ma cercano quell'assoluta rettitudine interiore che esclude ogni menzogna e doppiezza.

Beati gli affamati e assetati di giustizia! La giustizia umana è già una meta altissima, che nobilita l'animo di chi la persegue, ma il pensiero di Gesù va a quella giustizia più grande che sta nella ricerca della volontà salvifica di Dio: beato è soprattutto chi ha fame e sete di questa giustizia. Dice infatti Gesù: "Entrerà nel regno dei cieli chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21).

Beati i misericordiosi! Felici sono quanti vincono la durezza di cuore e l'indifferenza, per riconoscere in concreto il primato dell'amore compassionevole, sull'esempio del buon Samaritano e, in ultima analisi, del Padre "ricco di misericordia" (Ef 2,4).

Beati gli operatori di pace! La pace, sintesi dei beni messianici, è un compito esigente. In un mondo, che presenta tremendi antagonismi e preclusioni, occorre promuovere una convivenza fraterna ispirata all'amore e alla condivisione, superando inimicizie e contrasti. Beati coloro che si impegnano in questa nobilissima impresa!

4. I Santi hanno preso sul serio queste parole di Gesù. Hanno creduto che la "felicità" sarebbe venuta loro dal tradurle nel concreto della loro esistenza. E ne hanno sperimentato la verità nel confronto quotidiano con l'esperienza: nonostante le prove, le oscurità, gli insuccessi, hanno gustato già quaggiù la gioia profonda della comunione con Cristo. In Lui hanno scoperto, presente nel tempo, il germe iniziale della futura gloria del Regno di Dio.

Questo scoprì, in particolare, Maria Santissima che col Verbo incarnato visse una comunione unica, affidandosi senza riserve al suo disegno salvifico. Per questo le fu dato di ascoltare, in anticipo rispetto al "discorso della montagna", la beatitudine che riassume tutte le altre: "Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1, 45).

5. Quanto profonda sia stata la fede della Vergine nella parola di Dio traspare con nitidezza dal cantico del Magnificat: "L'anima mia magnifica il Signore, / e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, / perché ha guardato l'umiltà della sua serva" (Lc 1,46-48).

Con questo canto Maria mostra ciò che ha costituito il fondamento della sua santità: la profonda umiltà. Ci si può domandare in che cosa consistesse questa sua umiltà. Molto dice al riguardo il "turbamento" suscitato in Lei dal saluto dell'Angelo: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te" (Lc 1,28). Di fronte al mistero della grazia, all'esperienza di una particolare presenza di Dio che ha posato su di Lei il suo sguardo, Maria prova un naturale impulso di umiltà (letteralmente di "abbassamento"). E' la reazione della persona che ha la piena consapevolezza della propria piccolezza di fronte alla grandezza di Dio. Maria contempla nella verità se stessa, gli altri, il mondo.

Non fu forse segno di umiltà la domanda: "Come avverrà questo? Non conosco uomo!" (Lc 1,34).

Aveva appena udito di dover concepire e dare alla luce un Bimbo, che avrebbe regnato sul trono di Davide come Figlio dell'Altissimo. Certamente non comprese pienamente il mistero di quella divina disposizione, ma capì che essa significava un totale cambiamento nella realtà della sua vita. Tuttavia non domandò: sarà davvero così? deve accadere questo? Disse semplicemente: Come avverrà? Senza dubbi e senza riserve accettò l'intervento divino che cambiava la sua esistenza. La sua domanda esprimeva l'umiltà della fede, la disponibilità a porre la propria vita al servizio del mistero divino, pur nella incapacità di comprendere il come del suo avverarsi.

Questa umiltà dello spirito, questa piena sottomissione nella fede si espresse in modo particolare nel suo "fiat": "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Grazie all'umiltà di Maria poté compiersi quello che Ella avrebbe in seguito cantato nel Magnificat: "D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. / Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente / e Santo è il suo nome" (Lc 1,48-49).

Alla profondità dell'umiltà corrisponde la grandezza del dono. L'Onnipotente operò per Lei "grandi cose" (cfr Lc 1,49) ed Ella seppe accettarle con gratitudine e trasmetterle a tutte le generazioni dei credenti. Ecco il cammino verso il cielo che ha seguito Maria, Madre del Salvatore, precedendo su questa via tutti i Santi e i Beati della Chiesa.

6. Beata sei tu, Maria, assunta in cielo in anima e corpo! Pio XII definì questa verità "a gloria di Dio onnipotente..., a onore del suo Figlio, re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della Madre sua, a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa" (Cost. Ap. Munificentissimus Deus, AAS 42 [1950], 770).

E noi esultiamo, o Maria Assunta, nella contemplazione della tua persona glorificata e resa, in Cristo risorto, collaboratrice con lo Spirito per la comunicazione della vita divina agli uomini. In Te vediamo il traguardo della santità cui Dio chiama tutti i membri della Chiesa. Nella tua vita di fede scorgiamo la chiara indicazione della strada verso la maturità spirituale e la santità cristiana.

Con Te e con tutti i Santi glorifichiamo Dio Trinità, che sostiene il nostro pellegrinaggio terreno e vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.



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Caterina63
00lunedì 22 ottobre 2018 19:15




ANGELUS

Giovedì, 1° novembre 2001

 

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Celebriamo oggi la Solennità di Tutti i Santi. Nella luce di Dio, ricordiamo tutti coloro che hanno testimoniato Cristo durante la loro vita terrena, sforzandosi di metterne in pratica gli insegnamenti. Ci rallegriamo con questi nostri fratelli e sorelle che ci hanno preceduto percorrendo la nostra stessa strada ed ora, nella gloria del Cielo, godono del premio meritato.

Essi sono coloro che, secondo l'espressione dell'Apocalisse, "sono passati attraverso la grande tribolazione ed hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello" (7, 14). Hanno saputo andare controcorrente, accogliendo il "discorso della montagna" come norma ispiratrice della loro vita: povertà di spirito e semplicità di vita; mansuetudine e non-violenza; pentimento dei peccati propri ed espiazione di quelli altrui; fame e sete della giustizia; misericordia e compassione; purezza di cuore; impegno per la pace; sacrificio per la giustizia (cfr Mt 5,3-10).

Ogni cristiano è chiamato alla santità, cioè a vivere le Beatitudini. Quali esempi per tutti, la Chiesa indica quei fratelli e sorelle che si sono distinti nelle virtù e sono stati strumenti della grazia divina. Oggi li celebriamo tutti insieme, perché col loro aiuto possiamo crescere nell'amore di Dio ed essere "sale della terra e luce del mondo" (cfr Mt 5,13-14).

2. La comunione dei santi oltrepassa la soglia della morte. E' una comunione che ha il suo centro in Dio, il Dio dei viventi (cfr Mt22,32). "Beati fin d'ora i morti che muoiono nel Signore" (Ap 14,13), leggiamo nel Libro dell'Apocalisse. Proprio la festa di Tutti i Santi illumina di significato la commemorazione di Tutti i fedeli defunti, che celebreremo domani. E' questa una giornata di preghiera e di profonda riflessione sul mistero della vita e della morte. "Dio non ha creato la morte" - afferma la Scrittura - ma "ha creato tutto per l'esistenza" (Sap 1,13-14). "La morte è entrata nel mondo per l'invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono" (Sap 2,24).

Il Vangelo rivela come Gesù Cristo avesse un potere assoluto sulla morte fisica, che Egli considerava quasi come un sonno (cfr Mt9,24-25; Lc 7,14-15; Gv 11,11). Un'altra è la morte di cui Gesù suggerisce di aver timore: quella dell'anima, che a motivo del peccato perde la vita divina della grazia, escludendosi definitivamente dalla vita e dalla felicità.

3. Dio, invece, vuole che tutti gli uomini siano salvi (cfr 1 Tm 2,4). Per questo ha mandato sulla terra il suo Figlio (cfr Gv 3,16), perché ogni uomo abbia la vita "in abbondanza" (cfr Gv 10,10). Il Padre celeste non si rassegna a perdere nessuno dei suoi figli, ma li vuole tutti con sé, santi e immacolati nell'amore (cfr Ef 1,4).

Santi e immacolati come la Vergine Maria, modello eminente dell'umanità nuova. La sua felicità è piena, nella gloria di Dio. In Lei risplende la meta a cui tutti tendiamo. A Lei affidiamo i nostri fratelli defunti, in attesa di ritrovarci insieme, nella casa del Padre.

* * *

Questa sera, scenderò nelle Grotte vaticane per pregare accanto alle tombe dei miei Predecessori, che là sono sepolti. Spiritualmente mi recherò in pellegrinaggio in tutti i cimiteri del mondo, dove dormono coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e attendono il giorno della risurrezione.

In particolare, eleverò la mia orazione di suffragio per le tante vittime della violenza, soprattutto di questi ultimi tempi, come pure farò speciale memoria di quanti hanno sacrificato l'esistenza per rimanere fedeli a Cristo sino alla fine. La preghiera per loro si accompagna all'invocazione al Signore, perché voglia concedere conforto e sollievo a quanti sono nel dolore per la tragica dipartita dei loro cari. Su tutti scenda la benedizione di Dio! Sia lodato Gesù Cristo!


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NGELUS

Solennità di Tutti i Santi
Venerdì, 1° novembre 2002

 

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Oggi la Chiesa, come dice la Liturgia, ha "la gioia di celebrare in un'unica festa i meriti e la gloria di tutti i Santi" (Orazione Colletta): non solo di quelli che essa ha proclamato nel corso dei secoli, ma anche degli innumerevoli uomini e donne la cui santità, nascosta in questo mondo, è ben nota a Dio e risplende nel suo Regno eterno.

Nel clima spirituale della comunione dei Santi, mi è caro ricordare i nove Fratelli e Sorelle che sono stati canonizzati nel corso dell'ultimo annoAlonso de OrozcoIgnazio da SanthiàUmile da BisignanoPaulina do Coração Agonizante de JesusBenedetta Cambiagio FrassinelloPio da Pietrelcina; Pedro de San José Betancur; Juan Diego di Guadalupe; Josemaría Escrivá de Balaguer.

Pensando a questi luminosi testimoni del Vangelo, rendiamo grazie a Dio, "fonte di ogni santità", per averli donati alla Chiesa ed al mondo. Con il loro esempio, essi dimostrano che "tutti i fedeli - come insegna il Concilio - sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità" (Lumen gentium, 40), tendendo alla "misura alta" della vita cristiana ordinaria (cfr Lett. ap. Novo millennio ineunte, 31).

2. La festa odierna ci invita a volgere lo sguardo al Cielo, meta del nostro pellegrinaggio terreno. Là ci attende la festosa comunità dei Santi. Là ci ritroveremo con i nostri cari defunti, per i quali s’eleverà la preghiera nella grande commemorazione liturgica di domani.

I fedeli cristiani e le famiglie si recano in questi giorni nei cimiteri, dove riposano i resti mortali dei loro congiunti, in attesa della risurrezione finale. Anch'io ritorno spiritualmente alle tombe dei miei cari, dove ho avuto occasione di sostare recentemente, durante il viaggio apostolico a Cracovia.

Il 2 novembre, però, ci chiede di non dimenticare, anzi, in un certo senso di privilegiare nella preghiera le anime di tanti defunti che nessuno ricorda, per affidarli all'abbraccio della divina Misericordia. Penso in particolare a tutti coloro che, nell'anno trascorso, hanno lasciato questo mondo. Prego soprattutto per le vittime dei fatti di sangue, che nei mesi scorsi ed anche in questi giorni hanno continuato ad affliggere l'umanità. La commemorazione di tutti i defunti non può non essere anche una corale invocazione di pace: pace per chi ha vissuto, pace per chi vive, pace per chi vivrà.

3. Nella gloria del Paradiso risplende la Vergine Maria, che Cristo ha incoronato Regina degli Angeli e dei Santi. A Lei, "segno di sicura speranza e di consolazione" (Lumen gentium, 68), guarda la Chiesa pellegrinante, desiderosa di congiungersi a quella trionfante nella patria celeste. A Maria Santissima affidiamo tutti i defunti, perché sia loro concessa la beatitudine eterna.


Negli ultimi giorni si sono verificati violenti fenomeni sismici in Sicilia e in altre zone dell’Italia centro-meridionale, che hanno provocato gravi sofferenze e disagi a quelle care popolazioni. In particolare, nella giornata di ieri, un terremoto di forte intensità ha interessato il Molise, con danni in Puglia e in Abruzzo.

Desidero esprimere la mia profonda vicinanza spirituale alle persone colpite da questi tragici eventi, pensando specialmente ai bambini coinvolti nel crollo di un edificio scolastico a San Giuliano di Puglia. Mentre elevo al Signore la mia accorata preghiera per le vittime e per i loro familiari, rivolgo una affettuosa parola di incoraggiamento ai sopravvissuti e a quanti sono impegnati nei soccorsi, auspicando che siano sostenuti dalla solidarietà dell’intera Nazione.

Oggi e domani visitiamo le tombe dei nostri cari defunti raccomandandoli alla misericordia divina. Ci rechiamo soprattutto nella Cattedrale di Wawel dove si trovano le tombe dei re, dei poeti e degli eroi nazionali, e tutti i cimiteri sulla terra polacca e su tutta la terra dove si trovano le tombe dei soldati polacchi morti per la Patria. Visitiamo le tombe in tutte le parrocchie in Polonia e fuori dalla Polonia, le tombe dei soldati polacchi dell'ultima guerra, di Monte Cassino e di altri campi di battaglia che si trovano qui in Italia.

Per tutti e dappertutto: "L'eterno riposo dona loro, Signore. Risplenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace" con Te, Signore, fino alla fine dei secoli. Amen.


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ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi
Sabato, 1° novembre 2003

 

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Celebriamo oggi la Solennità di Tutti i Santi. Essa, invitandoci a volgere lo sguardo alla moltitudine immensa di coloro che hanno già raggiunto la Patria beata, ci addita il cammino che conduce a quella meta.

A noi, pellegrini sulla Terra, i Santi e i Beati del Paradiso ricordano che il sostegno d’ogni giorno per non perdere mai di vista questo nostro eterno destino è anzitutto la preghiera. Per molti di loro è stato il Rosario - preghiera a cui era dedicato l’Anno ieri concluso - ad offrire un mezzo privilegiato per il loro quotidiano colloquio con il Signore. Il Rosario li ha condotti a un’intimità sempre più profonda con Cristo e con la Vergine Santa.

2. Il Rosario può veramente essere una via semplice e accessibile a tutti verso la santità, che è la vocazione di ogni battezzato, come ben sottolinea l’odierna ricorrenza.

Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte ho ricordato a tutti i fedeli che la santità è l’esigenza prioritaria della vita cristiana (cfr nn. 30-31).

Maria, Regina di tutti i Santi, già immersa totalmente nella gloria divina, ci aiuti a procedere con slancio sul cammino esigente della perfezione cristiana. Ci faccia comprendere ed apprezzare sempre più la recita del Rosario come itinerario evangelico di contemplazione del mistero di Cristo e di adesione fedele alla sua volontà.


Dopo l'Angelus:

Secondo la pia consuetudine, in questi giorni i fedeli sono soliti visitare le tombe dei propri cari e pregare per loro.

Anch’io mi reco spiritualmente in pellegrinaggio nei cimiteri delle varie parti del mondo, dove riposano le spoglie di coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede.

In particolare, elevo la mia orazione di suffragio per coloro ai quali più nessuno pensa, come pure per le tante vittime della violenza. Tutti affido alla divina Misericordia.
Sia lodato Gesù Cristo!


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ANGELUS

Solennità di Tutti i Santi
Lunedì
, 1° novembre 2004

 

1. "Rallegriamoci tutti nel Signore 
 in questa solennità di tutti i Santi"
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Con questo invito alla gioia, inizia oggi la Celebrazione eucaristica in onore di Tutti i Santi. La Chiesa pellegrina sulla terra alza lo sguardo al Cielo e si unisce esultante al coro di quanti Dio ha associato alla sua gloria. È la comunione dei santi!

2. Proprio alla luce di questo stupendo mistero, celebreremo domani l’annuale Commemorazione di tutti i fedeli defunti. La Liturgia ci invita a dilatare il cuore e a pregare per tutti, specialmente per le anime più bisognose della divina misericordia.

Una speciale preghiera elevo a Dio per tutte le vittime del terrorismo. Mi sento spiritualmente vicino alle loro famiglie e, mentre chiedo al Signore di lenire il loro dolore, lo invoco per la pace nel mondo.

3. Ci aiuti Maria, Regina di Tutti i Santi, a seguire fedelmente Cristo, per giungere alla gloria del Cielo.

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Caterina63
00lunedì 22 ottobre 2018 19:22



CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA AL CIMITERO ROMANO DEL VERANO

OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

Solennità di Tutti i Santi
1° novembre 1979 

 

1. Noi tutti ci siamo riuniti oggi nel principale camposanto di Roma. Sono venuti qui tutti coloro per i quali questo cimitero ha un valore e un’eloquenza particolari. Esso ci parla dei Morti che vivono in noi: nella nostra memoria, nel nostro amore, nei nostri cuori. Ci parla dei nostri Genitori, di quelli cioè che ci hanno dato la vita terrestre, grazie ai quali tutti noi siamo diventati partecipi dell’umanità. Questo cimitero ci parla anche di molti altri uomini, il cui amore, esempio e influenza hanno lasciato nelle nostre anime durevoli tracce. Noi viviamo sempre nell’ambito della verità da loro vissuta, nell’ambito dei problemi che loro hanno servito. Siamo, in un certo senso, la loro continuità. Essi vivono in noi; e noi non possiamo cessare dal vivere in loro.

Venendo oggi in questo camposanto, noi vogliamo manifestare tutto ciò. In questo modo il cimitero di Roma, così come tutti i cimiteri in Italia e nel mondo, diventa luogo di una mirabile assemblea: un luogo che rende testimonianza che i morti non cessano di vivere in noi vivi, perché noi, viventi, non cessiamo di vivere da essi e in essi.

2. Se questa verità psicologica, in certo qual modo soggettiva, non può essere fallace, noi, seguendo le parole della odierna festività liturgica, dobbiamo confessare la stessa cosa che, con tanta semplicità e forza, annuncia il Salmo responsoriale: “Del Signore è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti” (Sal 24,1).

È del Signore!...

Se il mondo, questa terra e tutto ciò che essa contiene, e se infine l’uomo stesso non hanno quel Signore, se non appartengono a lui, se non sono le sue creature... allora il nostro senso della comunione con i morti, il nostro ricordo e il nostro amore si rompono nello stesso punto in cui nascono. Allora dobbiamo abbandonare ciò in cui ciascuno di noi esprime così fortemente se stesso; dobbiamo cancellare ciò che così fortemente decide di ciascuno di noi.

Allora infatti si svela – con una quasi implacabile necessità – questa seconda alternativa: soltanto la terra, che per un certo tempo accetta il dominio dell’uomo, in fin dei conti si dimostra invece la sua padrona. Allora il cimitero è luogo della definitiva sconfitta dell’uomo. È il luogo in cui si manifesta una definitiva e irrevocabile vittoria della “terra” su tutto l’essere umano, pur tanto ricco; il luogo del dominio della terra su colui che, durante la propria vita, pretendeva di essere il suo padrone.

Queste sono le inesorabili conseguenze logiche della concezione del mondo che rifiuta Dio e riduce tutta la realtà esclusivamente alla materia. Nel momento in cui l’uomo, nella sua mente e nel suo cuore, fa morire Dio, deve tener conto di avere condannato ad una morte irreversibile se stesso, di aver accettato il programma della morte dell’uomo. Questo programma purtroppo, e spesso senza una riflessione da parte nostra, diventa il programma della civiltà contemporanea.

3. Noi qui riuniti siamo venuti oggi in questo camposanto per confessare la presenza di Dio e la sua signoria sul mondo creato: per confessare la sua presenza salvifica nella storia dell’uomo. Noi siamo, come dice il Salmo, la generazione che lo cerca, che cerca il volto del Dio di Giacobbe (cf. Sal 24,6).

Sì, siamo venuti qui per confessare il mistero dell’Agnello di Dio, nel quale siamo dotati della salvezza e della vita eterna. Anzi, il Figlio di Dio, Dio vero, diventò uomo e come uomo accettò la morte, per donare a noi la partecipazione alla vita di Dio stesso. Di questa partecipazione ci parla oggi l’Apostolo Giovanni con le parole della sua prima Lettera: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente” (1Gv 3,1).

Tale coscienza ci accompagna oggi, venendo per pregare sulle tombe dei nostri cari e per celebrare, in mezzo a queste tombe, il Sacrificio del Corpo e del Sangue di Cristo. Offrendolo, pensiamo insieme con l’Autore dell’Apocalisse a coloro che “hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7,14).

Veniamo qui con la fede. La fede solleva i sigilli di queste tombe e ci permette di pensare a quelli che sono morti come a persone che, per opera di Cristo, vivono in Dio. Con tale coscienza, con tale fede noi tutti, il Vescovo di Roma e i Parroci delle singole parrocchie romane, celebriamo qui oggi il Sacrificio di Cristo. Lo celebriamo con la speranza della vita eterna, che ci ha donato Cristo. “Chiunque ha questa speranza in lui purifica se stesso, come egli è puro” (1Gv 3,3).

Il cristianesimo è un programma pieno di vita. Dinanzi all’esperienza quotidiana della morte, di cui la nostra umanità diventa partecipe, esso ripete instancabilmente: “Credo nella vita eterna”. E in questa dimensione di vita si trova la definitiva realizzazione dell’uomo in Dio stesso: “Sappiamo... che... noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2).

4. Perciò anche oggi siamo chiamati a ritrovarci intorno a Cristo, quando egli pronunzia il suo discorso della montagna. Il Vangelo delle otto Beatitudini tocca queste due dimensioni della vita, di cui l’una appartiene a questa terra ed è temporale, mentre l’altra porta in sé la speranza della vita eterna.

Ascoltando queste parole, si può guardare verso la vita eterna a partire dalla temporalità. Ma si può anche e si deve guardare la temporalità, la nostra vita sulla terra, attraverso la prospettiva della vita eterna. E dobbiamo domandarci anche come deve essere questa nostra vita, affinché la speranza della vita eterna possa svilupparsi e maturare in essa. Allora comprendiamo in modo giusto che cosa vuol dire Gesù quando proclama “beati” i poveri in spirito, i miti, e quelli che sono afflitti con una afflizione buona, e quelli che hanno fame e sete della giustizia, e i misericordiosi, e i puri di cuore, e gli operatori di pace, e quelli che sono perseguitati per causa della giustizia.

Cristo vuole che noi siamo tali. E come tali ci attende il Padre. Non allontaniamoci da questo camposanto senza un profondo sguardo sulla nostra vita. Guardiamola nella prospettiva di Dio vivo, nella prospettiva dell’eternità. Allora anche il nostro incontro con quelli che ci hanno lasciato porterà pieno frutto: “La loro speranza è piena di immortalità” (Sap 3,4).


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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA DI 
SAN LORENZO FUORI LE MURA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Roma, 1 novembre 1981

 

1. “Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7,14).

È uno dei vegliardi che stanno davanti al trono dell’Altissimo a pronunciare queste parole: le persone biancovestite, che Giovanni vede con occhio profetico, sono i redenti e costituiscono una “moltitudine immensa”, il cui numero è incalcolabile e la cui provenienza è quanto mai varia. Il sangue dell’Agnello, che per tutti si è immolato, ha esercitato in ogni angolo della terra la sua universale ed efficacissima virtù redentiva, apportando grazia e salvezza a questa “moltitudine immensa”. Dopo esser passati attraverso le prove di questa vita ed essersi purificati nel sangue di Cristo, essi – i redenti – sono al sicuro nel Regno di Dio e lo lodano e benedicono nei secoli.

La parole della prima lettura dell’odierna liturgia esprimono così la gioia escatologica della salvezza ormai raggiunta: salvezza che viene partecipata da persone “di ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap 7,9). È la gioia di tutti i santi, che stanno in piedi “davanti all’Agnello” ed a gran voce gridano: “La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello” (Ap 7,9-10).

Per opera dell’Agnello, che toglie i peccati del mondo, tutti essi partecipano della santità di Dio stesso.

“Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazia, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen” (Ap 7,12).

Partecipando della santità di Dio stesso, tutti coloro che oggi la Chiesa ricorda come tra loro intimamente associati nella Comunione dei santi (Communio Sanctorum), partecipano al tempo stesso della gloria di Dio. E godono della sua gloria.

2. Tra di essi si trova il grande santo, a cui è dedicata questa storica Basilica: Lorenzo, diacono e martire, di cui si vanta la Chiesa Romana così come la Chiesa gerosolimitana si vanta di santo Stefano, pure diacono e protomartire. Ha scritto in proposito san Leone Magno: il Signore “ha voluto esaltare a tal punto il suo nome glorioso in tutto il mondo che dall’Oriente all’Occidente, nel fulgore vivissimo della luce irradiata dai più grandi diaconi, la stessa gloria che è venuta a Gerusalemme da Stefano e toccata anche a Roma per merito di Lorenzo” (S. Leone Magno, Homilia, 85, 4: PL 54,486).

Veramente Lorenzo, al pari di Stefano, è passato “attraverso la grande tribolazione” e ha lavato le sue vesti “rendendole candide col sangue dell’Agnello” (cf. Ap 7,14). La storia ci conferma quanto sia glorioso il nome di Lorenzo, come glorioso è il sepolcro, presso il quale siamo ora riuniti e sul quale sorge l’altare papale. La sua sollecitudine per i poveri, il suo generoso servizio alla Chiesa di Roma nell’importante settore dell’assistenza e della carità, la fedeltà a Papa Sisto II, da lui spinta al punto di volerlo seguire nella prova suprema del martirio e l’eroica testimonianza del sangue, resa a Cristo solo pochi giorni dopo, sono cose universalmente note, ben al di là dei particolari della più nota tradizione iconografica.

Davvero, Lorenzo passò attraverso la “grande tribolazione” e ne uscì vittorioso, sicché la sua memoria è benedetta nei secoli. Quante sono le Chiese, le parrocchie, le cappelle, le località che da lui prendono nome nel mondo? Quante sono le Chiese a lui intitolate qui in Roma? Voglio limitarmi solo a questa Basilica, che a distanza di tanti secoli e dopo varie trasformazioni e anche distruzioni (purtroppo), ci riporta col pensiero a quella primitiva Basilica che l’imperatore Costantino “fecit... Beato Laurentio martyri via Tiburtina, in agrum Veranum” (Liber Pontificalis).

Ho detto “distruzioni”, perché non posso dimenticare i gravissimi danni subiti da questo Tempio, come dalla zona circostante del “Quartiere san Lorenzo” nel bombardamento del 19 luglio 1943.

Tuttora è vivo il ricordo di quella giornata drammatica, allorché la bianca figura di Pio XII, accompagnato da colui che dopo un ventennio sarebbe stato suo successore col nome di Paolo VI, comparve immediatamente tra la popolazione atterrita e sgomenta, portando conforto, speranza e soccorso in mezzo alle rovine ancora fumanti. Né dimentico che questa stessa Basilica, sempre cara ai Romani Pontefici, accoglie nell’ipogeo le spoglie mortali del Servo di Dio Pio IX.

3. Ed ecco, in questo giorno solenne che oggi vive tutta la Chiesa, Lorenzo, arcidiacono e martire, testimone eroico di Cristo crocifisso e risorto, sembra parlare a noi con le parole della prima lettera di san Giovanni: “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente” (1Gv 3,1).

Nel compimento della salvezza eterna, nella gloria del regno celeste, si riconferma e realizza in definitiva pienezza ciò che abbiamo accettato mediante la fede: “Noi fin da ora siamo figli di Dio” (1Gv 3,2).

Siamo tali già mediante la grazia santificante nel tempo della vita terrestre, al riparo della fede. Ma ancora non si è manifestato in pienezza ciò che saremo un giorno. Quando lo vedremo così come Egli è, noi saremo simili a lui così come il Figlio è simile al Padre.

Così sembra parlare a noi in questa veneranda Basilica, in diretta vicinanza col Campo Verano, san Lorenzo, diacono e martire romano e, insieme con lui, parlano oggi tutti i santi.

E poi a queste parole giovannee aggiungiamo un fervido incoraggiamento a tutti noi, che in questa terra “pellegriniamo mediante la fede e la speranza”. Sembrano allora dire:
“Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro” (1Gv 3,3).

4. La solennità di Tutti i Santi porta con sé una particolare chiamata alla santità. Noi dobbiamo ricordare che si tratta di una chiamata universale, cioè valida per tutti gli esseri umani senza distinzione di età, di professione, di razza e di lingua. Come i salvati, così i chiamati. Accogliete questa chiamata voi tutti, che costituite la comunità parrocchiale del Popolo di Dio che si aduna presso la Basilica di san Lorenzo. Nel giorno della celebrazione dei santi e della santità, è giusto ed opportuno questo richiamo che col saluto più cordiale desidero ora rivolgere a ciascuno di voi.

È presente con me il Signor Cardinale Vicario di Roma, che sempre mi accompagna in queste visite pastorali, e con lui sono anche il Vicegerente, i Vescovi Ausiliari e specialmente il Vescovo Ausiliare del settore Nord. Unito a loro, miei fratelli e collaboratori nell’Episcopato, io riprendo questo appello alla santità, emergente dall’intima significazione ecclesiale e spirituale della festività odierna, e lo ripeto in forma ed in tono di vivissima esortazione a tutte le componenti della parrocchia. Questa, al confronto di altre parrocchie dell’Urbe, non è molto numerosa, ma quanti problemi essa conosce e deve affrontare per la prevalente sua composizione operaia e per la sua tipica collocazione nelle immediate adiacenze del centro storico, inglobando nel suo ambito – oltre al Cimitero del Verano – importanti strutture scolastiche, ospedaliere e civili.

Mi rivolgo, innanzitutto, al reverendo parroco, ai vice-parroci ed a tutti i confratelli della Comunità Cappuccina, che so impegnati in un delicato e non facile lavoro: per loro la via della santità è legata non già alla segregazione dal mondo, ma ad un multiforme e ben esigente apostolato in favore di tanti fedeli che versano, a volte, in situazione precaria e sono, in non pochi altri casi, soggetti a dispersioni e pericoli. Coraggio, io dico loro, assicurando il mio apprezzamento, il mio ricordo e la mia preghiera di comunione a sostegno del loro lavoro che, proprio in ragione delle accennate difficoltà, è più meritorio e genuinamente evangelico.

E raccomando, poi, a tutti i parrocchiani di corrispondere con generosa disponibilità a queste cure dei loro sacerdoti, reagendo alle insidiose minacce di scristianizzazione e dimostrando con la loro vita di esser degni delle tradizioni cristiane che si incentrano nel nome glorioso del santo titolare di questa Basilica. La vocazione alla santità, infatti, vuol dire messa in pratica, nella concretezza della propria esistenza, degli esempi e degli insegnamenti di Gesù Cristo. Così han fatto i santi, così dobbiamo fare tutti noi.

5. Nella solennità di Ognissanti, dunque, viviamo particolarmente la presenza di Cristo, che è diventato la causa della salvezza eterna per tutti quanti hanno accolto il messaggio del suo Vangelo della croce e della risurrezione.

A noi che viviamo in questo mondo lo stesso Cristo non cessa di dire: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e vi ristorerò” (Mt 11,28).

Che il nostro incontro odierno intorno a Cristo, il quale nell’Eucaristia rinnova la sua morte e risurrezione, possa diventare per tutti – affaticati e oppressi – la fonte della speranza. Che tutti possiamo in lui trovare il ristoro e la grazia della salvezza eterna. Amen.


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 VIAGGIO APOSTOLICO IN SPAGNA

SANTA MESSA PER I DEFUNTI NEL CIMITERO DI ALMUDENA

PAROLE DI GIOVANNI PAOLO II

Madrid, 2 novembre 1982

Ci disponiamo a celebrare l’Eucaristia in questo luogo sacro, ove sono sepolti i resti mortali dei vostri defunti, cari fratelli e sorelle di Madrid. Qui riposano persone che hanno avuto un significato determinante nella vostra esistenza. Molti di voi, forse, hanno qui parenti molti stretti, forse gli stessi genitori da cui avete ricevuto la vita. Essi tornano in questo momento alla memoria di ciascuno, emergendo dal passato, come animati da un desiderio di riannodare un dialogo che la morte ha bruscamente interrotto. Così, in questo cimitero dell’“Almudena” - come accade oggi, giorno dei Defunti, negli altri cimiteri cristiani di ogni parte del mondo - si costituisce una ammirabile assemblea, nella quale i vivi incontrano i propri defunti, e con loro rinsaldano i vincoli di una comunione che la morte non ha potuto interrompere.

Comunione reale, non illusoria. Garantita da Cristo che ha voluto vivere nella sua carne l’esperienza della nostra morte, per trionfare su di essa - a vantaggio di tutti noi - con il prodigioso avvenimento della resurrezione. “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, e resuscitato” (Lc 24, 5-6). L’annuncio degli Angeli, proclamato in quella mattina di Pasqua presso il sepolcro vuoto, è giunto attraverso i secoli fino a noi. Questo annuncio ci propone, anche in questa assemblea liturgica, il motivo essenziale della nostra speranza. In effetti, “se siamo morti con Cristo - ci ricorda san Paolo, alludendo a ciò che è avvenuto nel battesimo - crediamo che anche vivremo con lui” (Rm 6, 8).

Corroborati in questa certezza, eleviamo al cielo - anche tra le tombe di un cimitero - il canto gioioso dell’Alleluia, che è il canto della vittoria. I nostri defunti “vivono con Cristo”, dopo essere stati sepolti con lui nella morte (cf. Rm 6, 4). Per loro il tempo della prova è finito, cedendo il posto al tempo della ricompensa. Per questo - nonostante il velo di tristezza suscitato dalla nostalgia della loro presenza visibile - ci rallegriamo nel sapere che hanno già raggiunto la serenità della “patria”.

Tuttavia, dato che anche loro sono stati partecipi della fragilità propria di ogni essere umano, sentiamo il dovere - che è al tempo stesso una necessità del cuore - di offrire loro l’aiuto affettuoso della nostra orazione, affinché qualunque eventuale residuo di umana debolezza, che possa ancora ritardare il loro felice incontro con Dio, sia cancellato definitivamente. Con questa intenzione ci apprestiamo a celebrare l’Eucaristia per tutti i defunti che riposano in questo cimitero, includendo nel nostro suffragio anche i defunti dei cimiteri di Madrid e della Spagna intera, così come quelli di tutte le Nazioni del mondo.

 
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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA AL CIMITERO ROMANO DEL VERANO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità di Tutti i Santi 
Martedì, 1° novembre 1983

 

“Rallegriamoci tutti nel Signore in questa solennità di tutti i Santi”.

1. Fratelli e sorelle carissimi! Convenuti all’interno di questo sacro recinto per pregare presso le tombe dei nostri amati congiunti, potrebbe a noi sembrare quasi fuori tempo e fuori luogo un tale invito a rallegrarci nel Signore. Oggi, infatti, nella vigilia della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, parrebbe più appropriato aprire l’anima a pensieri austeri e, quindi, anche a sentimenti e ricordi mesti e dolenti.

Eppure, questo è l’invito della Liturgia della Chiesa, e io non esito a ripeterlo ora dinanzi a voi, non senza avvertire che la spirituale letizia, proprio perché incentrata nel Signore, può ben comporsi con quel senso di tristezza che nasce dalla meditazione intorno alla brevità e relatività della vita su questa terra, e anzi di questo naturale e insopprimibile moto dell’umana psicologia essa può divenire come il punto d’arrivo per un arcano processo di sublimazione. Chi crede e spera in Dio - voglio dire - sa trasformare le stesse sofferenze in ragioni di gioia, e sa come e perché nel suo intimo possa svolgersi una tale trasformazione. Proprio adesso ci è stato proposto il Vangelo delle Beatitudini, e Gesù stesso ha preannunciato questo cambiamento, proclamando solennemente: “Beati gli afflitti, perché saranno consolati” (Mt 5, 5)!

2. Il Vangelo delle Beatitudini è stato il codice, al quale si sono ispirati i santi nella loro vita, pur nell’estrema varietà delle circostanze. Ad esso si sono ispirati tutti e ciascuno di “quella moltitudine immensa . . . di ogni nazione, razza, popolo e lingua”, di cui ci ha parlato la prima Lettura (Ap 7, 9). Tutti e ciascuno - uomini e donne, giovani e vecchi, sacerdoti o laici, religiosi e religiose claustrali o viventi nel mondo - hanno preso sul serio le programmatiche enunciazioni di Cristo Signore e, sforzandosi di tradurle nella pratica quotidiana, hanno meritato di ottenere la salvezza e di entrare nel Regno del Padre. Ecco perché leggiamo che “tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello . . . E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello»” (Ap 7, 9-10).

Anche se mi manca il tempo per esaminare ad una ad una le Beatitudini della povertà evangelica, della sofferenza cristianamente accettata, dell’impegno in favore della giustizia e della pace, della purezza di cuore, ecc. (cf. Mt 5, 1-12), non posso non rilevare come per i santi sia stato essenziale, ai fini della loro salvezza eterna, il rapporto di adesione che con esse hanno non solo instaurato a livello concettuale, ma altresì vissuto a livello esistenziale. Fedeli a questi alti insegnamenti di Cristo, i santi hanno così potuto seguirlo come l’Agnello che, dopo essersi immolato al Calvario, è ora assiso nella gloria presso il trono di Dio.

3. Chi sono i santi? Ancora una volta ci risponde il testo sacro odierno: “Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14).

Queste parole non solo ci confermano la realtà di quel passaggio dal dolore alla gioia, del quale ho parlato all’inizio, ma assumono un significato del tutto particolare nel contesto dell’Anno Santo della Redenzione, che si sta celebrando in tutta quanta la Chiesa. Quest’Anno Santo vuol dire, essenzialmente, attingere ai tesori inesauribili del mistero della Redenzione. E che cos’è quel “lavare le vesti e renderle candide col sangue dell’Agnello” se non attingere a questi stessi tesori? Non è forse vero - come canta l’Inno pasquale - che “l’Agnello ha redento il suo gregge”? Ecco allora che i santi, oltre che essere per noi modelli delle virtù evangeliche, quali sono proposte nelle singole Beatitudini, sono persone che più pienamente hanno attinto alle “risorse” della Redenzione di Cristo e, partecipi del “candore” dell’Agnello, ci precedono nella celebrazione della liturgia celeste, che si svolge “davanti al trono e davanti all’Agnello”.

Quante volte, cari fratelli e sorelle, abbiamo sentito parlare della “comunione dei santi”? Comunione significa unione intima, che è molto più di un semplice contatto e comunicazione: nel campo soprannaturale, essa esprime l’unione intima che sussiste con coloro che, per il possesso della grazia santificante, sono membra vive della Chiesa e a titolo del tutto speciale, con coloro che, per il possesso della gloria, sono già “beati” nella Chiesa cosiddetta trionfante. A questa realtà della “comunione dei santi” il carattere della Solennità odierna e la circostanza dell’Anno Giubilare devono simultaneamente aprirci. Noi dobbiamo, pertanto, ringraziare i santi, e non già come individui degni, sì, di ammirazione, ma per noi troppo lontani e quasi irraggiungibili nella loro altezza, ma come fratelli che ci sono vicini e vogliono aiutarci nel nostro pellegrinaggio terreno. Come essi, vivendo presso il trono di Dio, accanto all’Agnello redentore, ora partecipano in pienezza ai frutti della Redenzione, così sono in grado di aprirci in modo singolare l’accesso a tali soprannaturali “risorse”. Quella “comunione” esistente tra tutti coloro che appartengono a Cristo, diventa nel caso dei santi un vincolo ancora più stretto e per noi, pellegrini quaggiù, particolarmente fecondo: diventa intercessione, ossia aiuto nelle necessità, difesa dai pericoli, sostegno nell’operare il bene. Accompagnati e come scortati da questa moltitudine immensa di fratelli maggiori, noi dobbiamo accostarci con rinnovata fiducia al trono dov’è l’Agnello immacolato, per far nostri e - direi quasi - “personalizzare” i frutti della Redenzione, che egli ha compiuto con la sua morte e risurrezione.

4. Oggi i santi, domani i morti. Con sapiente intuito pedagogico la Chiesa tiene e mantiene cronologicamente unite queste due ricorrenze, perché, pur preoccupata della sorte degli uomini su questa terra, essa non può assolutamente disattendere o trascurare la loro dimensione ultraterrena. Per questo, come ci ha fatto meditare intorno ai santi, ora ci invita anche a ricordare con devoto pensiero i nostri fratelli defunti. Dirò di più: quella serie di concetti, che ho fin qui sviluppato nel quadro della “comunione dei santi”, può e deve essere riferita - come conviene - ai defunti, poiché anche tra noi e loro vige quel vincolo di unione. E se, seguendo l’esempio dei santi, ho voluto ribadire il nostro comune dovere di attingere alle inesauribili “risorse” della Redenzione di Cristo, desideriamo altresì, oggi e domani specialmente, che ogni frutto di questa nostra partecipazione serva alle anime dei fedeli defunti.

Sapete bene come durante quest’Anno viene elargita una speciale Indulgenza giubilare che - al pari delle altre Indulgenze - può sempre essere applicata ai defunti a modo di suffragio. Questo ho voluto esplicitamente riaffermare nella Bolla di indizione dell’Anno Santo (cf. Giovanni Paolo II, Aperite portas Redemptori, 11), e questo desidero ora raccomandarvi caldamente, additandovi un concreto e prezioso atto di carità verso i defunti, che è ad un tempo esercizio e riprova della “comunione dei santi”.

Che sarebbe, in effetti, il giorno dei morti, se mancasse - tra i vari omaggi umanamente pur tanto apprezzabili e commoventi - questo profumato fiore spirituale che è la preghiera di suffragio? Accanto agli atti tradizionali di devozione per loro io vi indico, in particolare, il dono dell’Indulgenza.

Ecco, mentre si approssima il Vespro in questa giornata solenne, la visione dei santi e dei beati del cielo e con essa l’invito liturgico “a rallegrarci nel Signore” si combinano col ricordo puntuale e dolente dei nostri cari defunti. Ancora una volta noi tutti siamo interiormente sollecitati ad operare una sintesi tra pensieri e sentimenti diversi: le gioie e i dolori possono e debbono armonizzarsi nella superiore, rassicurante serenità della speranza cristiana. E sappiamo che questa è speranza che non confonde (cf. Rm 5, 5).

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Caterina63
00lunedì 22 ottobre 2018 19:37




CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA AL CIMITERO ROMANO DEL VERANO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità di Tutti i Santi
Giovedì, 1° novembre 1984

 

1. “Del Signore è la terra e quanto contiene” (Sal 24, 1). Del Signore è l’universo. Egli è il suo creatore. In mezzo a questo universo è la nostra terra e in essa l’uomo creato a immagine di Dio. Creato come maschio e femmina. All’uomo disse il Creatore: “Riempite la terra; soggiogatela” (Gen 1, 28).

Lungo la sua storia, l’uomo riempie la terra e la soggioga. Tuttavia l’uomo, al tempo stesso, soccombe alla terra. Le soccombe mediante la morte. Ne testimoniano tutti i cimiteri del mondo. Ne testimonia anche questo cimitero romano, Campo Verano. L’uomo torna alla terra dalla quale è stato tratto (cf. Gen 3, 19). Oggi, e ancor più domani, la Chiesa medita il mistero della morte che è la comune sorte dell’uomo sulla terra.

2. Eppure: la terra appartiene al Signore! “Del Signore è la terra e quanto contiene”. Può colui che è stato creato a immagine di Dio stesso, appartenere in modo definitivo alla terra?Soltanto ed esclusivamente alla terra? Può essa sola rimanere il suo destino? Tutto deve terminare col fatto che l’uomo torna in polvere? Questo cimitero nel quale ci troviamo - tutti i cimiteri del mondo - nascondono in sé questa grande, eterna domanda. Se la terra è di Dio, può non essere di Dio, a maggior ragione, colui che è stato creato sulla terra come l’immagine di Dio e la sua somiglianza?

3. Nell’odierna liturgia parla l’apostolo Giovanni, che nella sua prima Lettera scrive: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui” (1 Gv3, 1). L’uomo: realmente figlio di Dio. Adottato come figlio nell’eterno Figlio unigenito, Verbo incarnato. Quest’uomo, al quale la terra sembra togliere definitivamente, mediante la morte, la sua umanità, rendendolo “polvere”, questo stesso uomo, se morto nella grazia di Cristo, porta in sé contemporaneamente la realtà della vita indistruttibile: della vita divina! Il nostro cimitero romano - tutti i cimiteri del mondo - nascondono al tempo stesso questo mistero: ecco i figli di Dio, i figli e le figlie nell’eterno unigenito Figlio, che nel tempo divenne uomo: uno di noi. Per opera dello Spirito Santo nacque dalla Vergine, morì sulla croce e risuscitò da morte. Questo cimitero - tutti i cimiteri del mondo - partecipano alla croce e alla risurrezione di Cristo. La terra è stata visitata dal mistero del Figlio di Dio. La terra è stata visitata dal mistero della redenzione. La morte non ci toglie l’umanità per farla “polvere della terra”. La morte ci restituisce a Dio in Gesù Cristo.

4. “Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3, 2). Viviamo nell’economia della divina rivelazione. Dio ha parlato a noi nel suo Figlio unigenito. Dio, per mezzo di questo Figlio, compie in noi il mistero della figliolanza che è una vita nuova. La vita eterna. La morte chiude e termina irrevocabilmente la vita di ciascuno di noi. Qui finisce tutta la conoscenza che ricaviamo dal mondo. Ma la rivelazione continua. “Ciò che saremo non è stato ancora rivelato”. Con la morte si apre per l’esistenza umana la dimensione dell’eternità. Ciò che l’uomo porta nell’immagine e nella somiglianza di Dio, ritrova il suo “prototipo”: “Lo vedranno così come egli è”.

5. Noi guardiamo quindi questo cimitero romano - tutti i cimiteri del mondo - come il luogo della morte dell’uomo: “è stabilito che gli uomini muoiano una sola volta” (Eb 9, 27). Al tempo stesso, questo è un luogo dove gli uomini, nostri fratelli e sorelle, salgono davanti al cospetto del Signore. Il luogo in cui parla la giustizia e la misericordia, il luogo del giudizio. “Chi salirà il monte del Signore / chi starà nel suo luogo santo? / Chi ha mani innocenti e cuore puro . . . / Egli otterrà benedizione dal Signore, / giustizia da Dio sua salvezza” (Sal 24, 4-5). “È stabilito che gli uomini muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio” (Eb 9, 27).

6. Ed ecco - in questo giorno dedicato in tutta la Chiesa in modo particolare alla preghiera per i morti - noi che siamo ancora pellegrini in questo mondo, ci uniamo a tutti coloro che già se ne sono andati, che riposano in questo cimitero romano - e in tutti i cimiteri del mondo - “Ecco la generazione che lo cerca, / che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe” (Sal 24, 6).

Che sia dato loro di vedere questo volto. Che lo vedano “così come egli è”! Che si compia in loro, in tutta la sua pienezza, la rivelazione iscritta nell’immagine e nella somiglianza di Dio! Tale è la nostra preghiera nel giorno di Tutti i santi, la nostra preghiera nel giorno dei morti.

Preghiera di intercessione.

E, insieme, preghiera di lode. Benedetto sii, Signore, perché tua è la terra e quanto contiene.

Benedetto sii, perché l’uomo non appartiene, in definitiva, alla terra; perché non è sottomesso ad essa; perché in te ha l’eternità! Così Sia!

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OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Cimitero di Milano - Venerdì, 2 novembre 1984

 

Carissimi fratelli e sorelle!

1. Non sembri strano che il Papa incontri una città attiva e operosa come Milano presso il cimitero. Poiché oggi tutti i milanesi visitano il cimitero, anch’io ho voluto unirmi a voi in questo pellegrinaggio alle tombe. Trovo qui espressa un’intuizione preziosa: la vita non può risolversi tutta nel fare, nel lavorare, nel godere, nel soffrire dentro un orizzonte terreno.

Nella doverosa memoria di chi non è più tra noi, la vita ci appare nella dimensione fondamentale: considerazione dei fini ultimi, interrogazione su ciò che viene dopo la morte, sguardo rivolto all’aldilà, al nostro destino eterno.

2. Purtroppo due atteggiamenti svigoriscono questa intuizione validissima, che si esprime nella visita al cimitero. Il pensiero della morte, che coltiviamo specialmente in questo giorno, dedicato al ricordo dei defunti, viene accantonato negli altri giorni dell’anno. La nostra civiltà tende a depistare il pensiero della morte, perché non vuole essere disturbata nel suo sogno di benessere terreno come valore esclusivo per l’uomo, inteso quale soggetto assoluto. L’uomo tende a eliminare dalla propria mente il pensiero che tutto, specie quanto da lui costruito col proprio ingegno e lavoro, debba finire.

La memoria dei defunti, inoltre, tende a volte a generare una devozione solo intimistica, che non è in continuità con la pietà autenticamente cristiana, con la preghiera della Chiesa, con la celebrazione eucaristica, con l’intensa partecipazione alla vita di fede e di carità di tutta la comunità cristiana.

3. Carissimi fedeli, perché non chiedere al nostro patrono san Carlo di illuminarci sul significato della morte? Nonostante i quattro secoli che ci separano da lui, egli ha forse la risposta capace di orientare i nostri passi sulle strade del mondo contemporaneo.

Ciò che balza all’occhio, leggendo la sua biografia, è che san Carlo seppe trarre dal pensiero della morte un messaggio per la vita. È noto che egli prese la decisione definitiva di dedicarsi al servizio di Dio e della Chiesa proprio in occasione della morte del fratello Federico. Essendo rimasto l’unico figlio maschio della famiglia, molti insistevano perché si sposasse e assicurasse una continuità nella discendenza dei Borromeo. Invece proprio la morte del fratello gli aprì gli occhi sulla povertà delle cose umane. Carlo chiese al Papa di essere ordinato presbitero, fece un corso di esercizi spirituali e cominciò risolutamente nel cammino della santità, in cui perseverò per tutta la vita.

Anche dopo la peste, che si abbatté su Milano nel 1576 mietendo migliaia di vittime, san Carlo si rivolse ai milanesi con un “memoriale” in cui chiedeva loro di ricordare il flagello della recente epidemia, apportatrice di sofferenza e di morte, per impegnarsi a cambiare vita. Questa era, infatti, la sua convinzione: la morte deve essere maestra di vita per tutti.

4. Ma come ciò può avvenire? Come è possibile fare della morte il principio vero e profondo di una vita nuova? Qui è necessario ricordare quell’atteggiamento di san Carlo, che a tal punto ha caratterizzato la sua figura spirituale e ha impressionato i suoi contemporanei, da diventare l’atteggiamento in cui più spesso egli è ritratto, cioè la preghiera davanti a Gesù crocifisso. La morte di Cristo in croce è quella che ha aiutato san Carlo a capire il senso della morte e la possibilità di vita nuova, che dalla morte scaturisce. La morte di Cristo è il segno supremo dell’amore di Dio per noi peccatori ed è il modello dell’affidamento dell’uomo alle mani del Padre. Per questo è fonte di vita, vittoria sul male e sul peccato, principio di una vita vissuta nell’obbedienza, nella fedeltà, nella dedizione a Dio e ai fratelli. “Dio è colui per il quale ci affatichiamo - diceva il santo arcivescovo in un discorso pronunciato pochi mesi prima di morire - ; Dio è colui al quale serviamo... O fratelli, o figli, il Figlio di Dio ha fatto e ha sofferto per noi cose molto più grandi... Che cosa, se non l’amore per noi, ha condotto lui, il più bello tra i figli degli uomini, a un tale stato, da non avere né bellezza, né splendore? Ripaghiamo dunque l’amore, con l’amore”.

5. Carissimi milanesi, se vogliamo che il pensiero della morte, che ci ha condotti quest’oggi al cimitero, dove riposano persone che hanno avuto un significato e un’importanza nella nostra vita, non venga dimenticato negli altri giorni della nostra esistenza o non generi solo una pietà sentimentale e privata, dobbiamo illuminarlo e purificarlo con la luce che ci viene dalla morte di Cristo. Questa ci dice che la nostra morte è vinta e redenta. Come Cristo attraverso la morte è giunto alla vita, così anche i credenti in Cristo attraverso la morte sono chiamati alla gioia della risurrezione e della vita immortale. La morte per l’uomo è il momento dell’incontro con Dio: è l’inizio della vita che non avrà fine.

La morte di Cristo, vista come gesto supremo di amore, diventa sorgente di vita non solo oltre la morte, ma già in ordine all’esistenza che conduciamo su questa terra.

Essa ci insegna paradossalmente a non volere e insieme a volere la morte. Ci insegna a non volere quella morte che è frutto di odio, di ingiustizia, di peccato. Anche a Milano si muore per la solitudine, per l’abbandono, per il disprezzo della vita che inizia o finisce, per l’aggressione ingiusta, per l’egoismo di chi non pensa ai gravi bisogni degli altri, per l’inosservanza o la carenza delle leggi. La morte di Cristo ci insegna a non volere con tutte le nostre forze queste morti.

E insieme ci insegna a volere la morte nel senso di prepararci, giorno per giorno, alla morte, nel senso di essere pronti a servire i fratelli fino al dono della vita, fino a spendere giorno per giorno tutte le energie della nostra vita non nella ricerca del nostro interesse egoistico, ma nella dedizione incondizionata al bene dei fratelli.

6. Milanesi, io sono qui con voi a pregare per i vostri morti, per tutti coloro che in questa città, nel corso dei secoli, vissero, faticarono, amarono, gioirono, piansero, morirono, e ora sono nella pace di Dio. Per loro elevo con voi la preghiera del cristiano suffragio.

Il loro ricordo sia per voi di sprone a impegnarvi in una vita degna degli esempi migliori da essi lasciati. Che dal cielo il vostro san Carlo e, con lui, sant’Ambrogio e gli altri vescovi santi, i quali spesero le loro energie al servizio del gregge di Cristo in questa città; che i vostri antenati, i quali credettero, sperarono, amarono in questi stessi luoghi in cui voi oggi abitate, possano essere fieri di voi per la nobiltà dei vostri sentimenti, per la limpidezza della vostra fede, per la coerenza della vostra condotta in ogni circostanza della vita. Che la Milano di oggi, in spirituale sintonia con la Milano cristiana di ieri, passi la fiaccola della fede alla generazione che popolerà la Milano di domani. È la fede, infatti, che alimenta in noi la beata speranza di poterci ritrovare tutti uniti, un giorno, nella gioia senza ombre del cielo.

Così sia!


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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA NEL CIMITERO ROMANO DEL VERANO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità di tutti i Santi - Venerdì, 1° novembre 1985

 

1. “Apparve una moltitudine immensa” (Ap 7, 9).

Oggi la Chiesa, insieme con l’Autore dell’Apocalisse, aguzza gli occhi della fede per abbracciare il mistero di Tutti i Santi. Professiamo questo mistero nel Simbolo degli apostoli, in unione con la fede della Chiesa universale: “Credo . . . la Chiesa cattolica; la comunione dei santi . . . la risurrezione della carne; la vita eterna”. La fede della Chiesa, che è il popolo di Dio pellegrinante su questa terra verso la Casa del Padre, trova il suo “prolungamento” nel mistero della comunione dei santi. Questa fede ci permette di cercare, in terra, la mediazione e l’intercessione di tutti i Santi e in primo luogo della santissima Madre di Dio, Maria. Questa fede ci induce ad imitare il modello di vita che essi ci hanno dato.

2. Su di essi si è compiuto fino in fondo l’“amore”, che “ci ha dato il Padre”. Ne parla la seconda lettura dell’odierna liturgia. Quest’amore si manifesta nel fatto che, già fin d’ora, noi siamo “chiamati figli di Dio”, e “lo siamo realmente” (1 Gv 3, 1), tuttavia “ciò che saremo non è stato ancora rivelato” (1 Gv 3, 2). L’Apostolo scrive: “Sappiamo però che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3, 2). “Egli è puro” - Santo (1 Gv 3, 3). Coloro che vedono Dio “faccia a faccia” (1 Cor 13, 12), “così come egli è” partecipano in modo definitivo alla sua santità. Mediante questa partecipazione anch’essi sono santi. Quindi, la vita eterna si manifesta nel mistero della comunione dei santi.

3. Da questo mistero, di cui fa memoria l’odierna solennità, la Chiesa conduce alla Commemorazione di tutti i fedeli defunti, che sarà celebrata domani. Ci rechiamo alle tombe dei nostri cari, visitiamo i cimiteri. Pensiamo anche a tutti coloro, il cui luogo della sepoltura rimane sconosciuto: a tutti coloro che hanno attraversato la soglia della temporalità e della vita eterna. Per tutti preghiamo. La preghiera della Chiesa abbraccia in modo particolare quelli che, nel cammino a Dio, sono sottomessi alla sofferenza che purifica: le anime del purgatorio. Ad essi si riferiscono anche le parole del Salmo ascoltato alcuni istanti fa nella liturgia della parola: “Chi salirà il monte del Signore, / chi starà nel suo luogo santo? / Chi ha mani innocenti e cuore puro” (Sal 24, 3).

4. Trovandoci, in questo luogo, alla soglia tra la vita temporale e l’eterna, desideriamo ringraziare Gesù Cristo per la luce del Vangelo. Per la luce che scende sulla nostra vita umana dalle otto Beatitudini. È la luce del regno dei cieli, la luce che permette di vedere Dio, la luce della consolazione definitiva. E questa luce si proietta su tutti coloro che sono poveri in spirito, che sono afflitti, miti, che hanno fame e sete di giustizia, che sono puri di cuore, misericordiosi, operatori di pace, perseguitati per causa della giustizia. Sono questi coloro ai quali si rivolge il messaggio delle otto beatitudini. Questa luce della comunione dei santi si proietta su di essi mediante la verità del Vangelo. Il Salvatore del mondo dice: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11, 28). Ringraziamo quindi per la luce del Vangelo: della buona novella della vita eterna.

5. E ringraziamo per il mistero dell’Agnello di Dio. È proprio lui che si trova in mezzo alla “moltitudine immensa” di coloro, che l’Autore dell’Apocalisse vede nella sua visione escatologica. Ecco, “coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14). Sono “segnati” col segno della sua Redenzione. Gridano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio . . . e all’Agnello” (Ap 7, 10). Ringraziamo quindi per il mistero dell’Agnello, per la sua passione, morte e risurrezione, per la redenzione del mondo, perché questo ci conduce all’eterno tabernacolo, alla comunione dei santi.

6. Che presso le tombe dei nostri fratelli e sorelle in Cristo, vicini e lontani, si rinnovi la nostra fede nella vita eterna. Tutti viviamo nella prospettiva dell’incontro definitivo “a faccia a faccia”, nella prospettiva della “moltitudine immensa” dell’Apocalisse.

Siamo il popolo fedele che cerca Dio: sua “è la terra e quanto contiene, / l’universo e i suoi abitanti” (Sal 24, 1). Sua è l’eternità. La realtà della vita eterna si trova in lui. “Chi salirà il monte del Signore, / chi starà nel suo luogo santo?”. Ecco: la generazione che lo cerca, / che cerca il volto del Dio di Giacobbe (cf. Sal 24, 6), del Dio Vivente.

7. “Credo la Chiesa cattolica; la comunione dei santi; la remissione dei peccati; la vita eterna”. “Splenda ad essi la luce perpetua”, la luce di Dio stesso. Noi, sulla terra, camminiamo in questa luce mediante la fede.

Così sia!

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VISITA ALLA PARROCCHIA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE 
«AD SAXA RUBRA» A GROTTAROSSA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 2 novembre 1986

 

1. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito . . . perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).

In questo giorno la Chiesa dirige i nostri pensieri e le nostre preghiere, in modo particolare, verso la “vita eterna”. Dopo la solennità di tutti i Santi, oggi, giorno dedicato alla memoria dei defunti, noi desideriamo innanzitutto ricordare quanti, tra i nostri cari, hanno lasciato questa vita. Nel ricordarli, siamo chiamati a riflettere che l’esistenza umana non si risolve tutta dentro l’orizzonte terreno. Siamo invitati a considerare la vita alla luce del fine ultimo, del destino che ci attende dopo la morte, con lo sguardo rivolto alla nostra vocazione eterna. A tutto questo pensiamo in occasione di questa mia visita alla parrocchia dell’Immacolata Concezione di Maria a Grottarossa, ad “saxa rubra” dove, nell’anno 312, come dice la tradizione, prima della storica battaglia tra Costantino e Massenzio, apparve all’imperatore la misteriosa visione della croce con il motto “in hoc signo vinces”.

2. Alla luce della liturgia, che celebra il sacrificio di Cristo, siamo portati a riflettere oggi sul significato della morte. Da una parte, troviamo una riflessione realistica circa la precarietà della vita terrena, votata alla sconfitta; dall’altra il mistero eucaristico proclama che la morte di Cristo si è risolta nella risurrezione, evento decisivo per l’esistenza di ogni uomo.

Di fronte al ricordo dei nostri defunti noi siamo tristi perché siamo costretti a riconoscere con dolore che questo nostro corpo passa: i progetti, che noi costruiamo ogni giorno confidando nella salute, nella forza, nelle doti di cui disponiamo, sono provvisori, sono destinati a spegnersi. Ma, se accettiamo il messaggio che scaturisce dalla parola di Dio, or ora ascoltata, apprendiamo che morire non significa cadere nel nulla, nell’ombra buia della fine totale. Piuttosto significa passare a una nuova condizione di vita che è gloria e beatitudine eterna. La fede illumina il mistero della morte con confortanti certezze.

3. Oggi noi, col libro della Sapienza, professiamo che “le anime dei giusti sono nelle mani di Dio” (Sap 3, 1). La parola che abbiamo sentito ci assicura che Dio ha creato l’uomo per l’immortalità (Sap 2, 23), cioè per la partecipazione a una vita senza fine. Coloro che per le loro opere buone hanno creduto e meritato il premio annunciato dalle promesse vivono nelle mani di Dio e nella pace. Noi, confidando nella parola rivelata, proclamiamo di fronte al mondo che le anime dei giusti dimorano presso Dio nell’amore, poiché egli nella sua sollecitudine non abbandona i suoi né li priva della sua protezione.

Agli occhi del mondo e in una prospettiva esclusivamente terrena “parve che morissero” (Sap 3, 2), ma la morte fisica è per i credenti solo un passaggio da un’esistenza di dolori e di prove alla vita piena e duratura nella felicità di Dio; non più un castigo, ma una liberazione dai molteplici mali, indotti nella vita umana dal peccato. I nostri morti sono nella pace, cioè nel godimento completo dei doni profetizzati, nella salvezza delle realtà finali, ultime ed eterne. Essi sono stati coinvolti nel destino del Cristo Risorto, il quale ha raccolto la loro vita di quaggiù per condurla nella sua gloria. Come scintille infuocate, le anime dei giusti splendono per l’eternità, in virtù della vittoria finale che Cristo glorioso ha operato sulla morte.

4. Il nostro sguardo sull’eternità è poi ancora confortato dalla luce del mistero della comunione dei Santi. Abbiamo ereditato dalle più antiche comunità cristiane la certezza che esiste una partecipazione intensa di vita tra noi e i fratelli che sono nella gloria celeste o che ancora dopo la morte stanno purificandosi (cf. Lumen Gentium, 49). Noi formiamo un’unica realtà soprannaturale, un unico corpo con coloro che ci hanno preceduto nella vita eterna: il corpo mistico di Gesù Cristo. Siamo perciò uniti, mediante Gesù, a quelli che sono entrati nella visione di Dio. Ma essi non ci hanno lasciati. Con loro formiamo una comunità, che si perfeziona nella preghiera e che l’offerta del sacrificio eucaristico realizza in modo eminente. L’amore che verso i nostri morti noi continuiamo a nutrire si esprime nell’orazione e in una singolare partecipazione di grazia, mentre siamo mossi dalla pietà a chiedere la loro intercessione ricordando i loro esempi di vita cristiana. Nella preghiera comune della Chiesa, che rivolgiamo a Dio uniti ai nostri defunti, noi possiamo pregustare quella liturgia della gloria eterna, verso la quale tutti camminiamo sorretti dalla speranza. In forza della comunione con Cristo la morte non elimina la comunione fraterna, ma la esalta e la realizza in una dimensione nuova.

5. Il libro dell’Apocalisse ci assicura che il mondo è aperto a una nuova creazione in forza del Cristo, della sua morte redentrice, della sua risurrezione, della sua vittoria. Le angosce e le pene, come tutte le lotte che hanno segnato l’umanità presente saranno superate, e ci sarà “un nuovo cielo e una nuova terra” (Ap 21, 1). Nasce dalla morte l’uomo nuovo, che viene formato secondo l’immagine di Cristo. Noi siamo invitati ad accogliere questo progetto di Dio.

Gerusalemme, la Chiesa dei santi, che “scende dal cielo, da Dio, pronta come una sposa per il suo sposo” (Ap 21, 2) è l’immagine di quanto l’iniziativa divina vuole compiere per coronare di gloria il destino ultimo della storia umana. Dio risolverà nella più grande gioia e nella più alta glorificazione tutto il travaglio, le sofferenze, il martirio, il lavoro e le aspirazioni dell’umanità segnata dalla morte, ma riscattata dalla morte. Gerusalemme, la città che è simbolo del mondo presente, non sarà distrutta né respinta da Dio eterno, ma sarà da lui interamente rinnovata “come una sposa”, perché egli compie definitivamente con lei l’alleanza. Gerusalemme, la sposa, è segno del rinnovamento indefettibile della carità perfetta portata alla sua pienezza, “dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà Dio-con-loro” (Ap 21, 3). Per questo e in tale modo tutto il pianto versato nel corso di questa nostra lunga e dolorosa storia umana sarà asciugato da Dio, perché l’umanità non sarà più colpita dalla morte né dal dolore, ma avrà una vita e una gioia senza fine. Egli, il Signore, “tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno” (Ap 21, 4).

6. Invochiamo anche noi, perciò, con il salmo responsoriale, la luce della verità che sostiene la speranza: “Manda la tua verità e la tua luce; siano esse a guidami, mi portino al tuo monte santo, alle tue dimore” (Sal 42, 3). Il tempo che fugge inesorabile e sospinge senza sosta tutti noi e le nostre cose verso la meta della morte sia illuminato dalla sublime luce e dalle esaltanti promesse della parola di Dio: questa ci sprona a non fermare i nostri passi su questa terra segnata dalle lacrime, ma a procedere verso la confortante meta del monte di Dio, il luogo in cui egli rivelerà a noi il suo volto, il monte dove egli abita, il paradiso. Chiediamo al Signore che ci renda degni della sua chiamata e ci faccia testimoni di queste verità, così che “sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù” (2 Ts 1, 11-12) da tutti coloro che crederanno per la nostra testimonianza.

7. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito . . . perché chiunque crede in lui . . . abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). Dio ha già introdotto nella storia e nel tempo presente colui che annuncia e realizza in sé il momento definitivo della salvezza. In Cristo il tempo futuro della gloria è già presente e operante; la vita vera è una possibilità attuale offerta agli uomini. Confortiamoci dunque noi, Chiesa in cammino, perché con Gesù Cristo è giunta l’ultima fase dei tempi e la rinnovazione del mondo è irrevocabilmente stabilita e in certo modo anticipata già fin d’ora, quaggiù (Lumen Gentium, 48).

Saluto con gioia l’eletta porzione della Chiesa di Cristo che vive nella parrocchia dell’Immacolata. Insieme col card. vicario, saluto il vostro parroco, don Giacomo Ceretto che il card. Gulbinowic, titolare di questa chiesa, ha nominato canonico onorario della cattedrale metropolitana di Breslavia. Saluto gli altri sacerdoti che lo aiutano nel ministero pastorale. Desidero, inoltre, esprimere il mio apprezzamento per le comunità religiose che operano in questo territorio: anzitutto le Suore Francescane Missionarie di Cristo, che con zelo si dedicano alla scuola materna parrocchiale, alla cura degli infermi e alla catechesi; le Suore del Santo Bambino Gesù, che si prestano per le opere della “Caritas” diocesana in favore dei profughi e degli ex carcerati; la comunità della Piccola Casa Sant’Antonio, e ho un pensiero speciale per i bambini colà ospitati con tanto spirito di carità cristiana; la prelatura dell’Opus Dei.

Esprimo ancora il mio compiacimento per i gruppi dei laici che collaborano nelle diverse iniziative di apostolato: i giovani e gli animatori dell’oratorio parrocchiale; il Consiglio pastorale; il gruppo liturgico; i numerosi catechisti; l’Azione Cattolica; le Dame di san Vincenzo.

A tutti voi e a quanti si prodigano per diffondere il Vangelo, condividendo l’impegno spirituale di questa comunità, va il mio animo riconoscente con la mia benedizione, e l’augurio fervido per il vicino 50° anniversario di fondazione della parrocchia.

8. Maria Immacolata, colei che è stata redenta in modo privilegiato, è il segno dell’inizio del progetto di Dio di fare nuova ogni cosa. È lei che disvela, con la sua singolare grazia, la nuova vita introdotta da Dio Padre nelle profondità più intime dell’essere umano. Incoronando la sua immagine ricorderemo proprio questo: che in lei Dio ha dato inizio alla creazione rinnovata. Maria è la prima creatura della nuova Gerusalemme, preparata come una sposa per il suo sposo.

Noi ci rivolgiamo a te, Vergine Santa Immacolata. In te inizia il mistero della Redenzione che ci libera dalla morte, perché l’eredità del peccato non ti ha raggiunta. Tu sei piena di grazia, e in te si apre per noi il regno di Dio, il nuovo avvenire dell’uomo, che può, nella fede, contemplare in te l’opera del suo rinnovamento e il fondamento della sua speranza d’immortalità. Tu porti a noi, nella tua purezza, il Figlio di Dio, la “luce venuta nel mondo”, e conduci tutti noi sulle vie della santità perché possiamo incontrare Cristo, ora e per sempre. Noi t’invochiamo, guidaci lungo il nostro cammino, Vergine Santa, affinché operando la verità veniamo alla luce del tuo Figlio, cerchiamo la grazia della sua parola, percorriamo fedelmente la via che conduce al monte di Dio, al porto soave dove sono giunti i nostri cari e dove, con Gesù, tu ci attendi. Amen.


Al termine dell'omelia

Voglio ancora aggiungere una parola di apprezzamento: direi di più, di ammirazione. prima per le preparazioni in vista della mia visita pastorale di oggi; e anche per l’incoronazione della Vergine Immacolata. Poi voglio esprimere l’apprezzamento e la mia gratitudine per la vostra perseveranza durante il rito sacro svoltosi in un tempo non del tutto favorevole con questa intensa pioggia; essa faceva il suo e nessuno di voi ha perso la serenità. Per questo voglio ringraziarvi e voglio ancora farlo per la vostra generosità verso la mia persona, per le preghiere nel giorno in cui quarant’anni fa ho celebrato la mia prima Messa o piuttosto le mie prime Messe, poiché, si sa bene, che il giorno 2 novembre, giorno dei defunti si celebrano tre Messe, come oggi così allora.

Per tutto questo vi ringrazio e ancora per i doni, direi doni troppo abbondanti, non me li merito. Ringrazio per la presenza dei signori cardinali, per i molti sacerdoti che hanno voluto concelebrare questa santissima Eucaristia con me. Rendiamo grazie a Dio e raccomandiamo tutti nelle nostre preghiere: i nostri cari defunti, i nostri vicini, i nostri genitori, i nostri parenti e tutti i nostri connazionali, tanti defunti sconosciuti; sconosciuti alla memoria umana ma sempre conosciuti a Dio solo; raccomandiamo ciascuno e tutti all’infinita misericordia di Dio onnipotente e immortale, al Cuore santissimo di Gesù e alla Vergine Immacolata. Sia lodato Gesù Cristo.

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Caterina63
00lunedì 22 ottobre 2018 19:48



SANTA MESSA NEL CIMITERO VERANO DI ROMA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità di Tutti i Santi
Martedì, 1° novembre 1988

 

1. “Del Signore è la terra e quanto contiene” (Sal 24 [23], 1). Con le parole del salmista la Chiesa professa la verità che affonda le sue radici nel mistero della creazione e della redenzione. “del Signore è . . . l’universo e i suoi abitanti” (Sal 24 [23], 1). Il salmo dell’odierna liturgia trova il suo pieno riflesso nella solennità di Tutti i Santi. Diversamente risuona qui, nel cimitero dove veniamo questo pomeriggio, pensando al giorno di domani: alla Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti. In questo momento, pensiamo ai nostri morti. E tra essi ricordo specialmente Papa Pio XII di cui ricorre quest’anno il XXX anniversario della scomparsa. Il suo monumento, in piazza del Verano ricorda la sua visita in questo luogo in un’occasione tanto dolorosa e drammatica per gli abitanti del quartiere di san Lorenzo. Del Signore è . . . l’uomo!

2. Spesso quest’uomo, particolarmente l’uomo dei nostri tempi, ritiene di appartenere soltanto a se stesso, e che a lui appartenga il mondo: i grandi prodotti del suo pensiero creativo, i prodotti che egli trasforma secondo il proprio progetto e a proprio uso. L’uomo pensa spesso proprio così. Tale è il contenuto della sua vita, delle sue aspirazioni e azioni . . . fino a questo limite, che è determinato dalla morte. La morte è un termine! Oggi e domani visiteremo i cimiteri: questo cimitero romano del Verano e gli altri della nostra città, nell’“urbe” ed anche “extra urbem”: in tutto il mondo! Pellegriniamo forse soltanto nei luoghi della morte? Tutti questi cimiteri testimoniano forse soltanto la fine dell’essere che si chiama “uomo”? Confermano soltanto l’imperativo del ritorno alla terra: “polvere tu sei e in polvere tornerai”? (Gen 3, 19).

3. La liturgia ci dice un’altra cosa.  “Del Signore è la terra e quanto contiene”.  Del Signore è l’uomo che in tanti cimiteri - noti e ignoti - è affidato alla terra dopo la morte del suo corpo.  Del Signore è! La liturgia ci rivela come un nuovo movimento, un altro movimento che compenetra ciò che è stato trattenuto dalla potenza della morte. Ciò che è abbandonato all’immobilità. Un altro movimento - e una altra presenzaDi questo movimento ci parlano tutte le letture dell’odierna liturgia. Ce ne parla il salmo responsoriale. In modo particolare ce ne parla il libro dell’Apocalisse. “Apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello” (Ap 7, 9).

4. Chi erano coloro, la cui vita terrena si è chiusa con il coperchio del feretro e con la pietra tombale?  Risponde il salmista
“Ecco la generazione . . . che cerca il volto del Dio di Giacobbe” (cf. Sal 24 [23], 6).  Chi sono coloro, le cui spoglie mortali si trovano nelle tombe? 
Risponde il libro dell’Apocalisse:  Ecco coloro che stanno in piedi davanti all’Agnello e gridano a gran voce:  “La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello” (Ap 7, 10).  In tanti luoghi in cui noi sentiamo l’assenza dei nostri fratelli e sorelle, che ci hanno lasciato - la Parola dell’odierna liturgia ci rivela una presenza nuova.  È la presenza dinanzi a Dio stesso.  È la presenza per opera dell’Agnello.

5. L’Agnello di Dio si trova al centro di questa realtà che è un cimitero vissuto alla luce della fede.
L’Agnello è colui che alla umanità apre la via delle otto Beatitudini
È colui che diceva: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11, 28). L’Agnello è colui, nel quale il Padre ci ha donato il più grande amore: “per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente” (1 Gv 3, 1).  Per opera della sua croce, della sua morte e risurrezione.  L’Agnello: Gesù Cristo! Leggiamo nel libro dell’Apocalisse: “Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono? . . . Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7, 13-14).

6. Sulle tombe e sui monumenti sepolcrali, intorno a noi vi è il segno della croce. Questo segno parla di un morto che era cristiano. Ma non soltanto. Questo segno rende testimonianza all’Agnello: a Gesù Cristo, nel quale è la redenzione del mondo. La redenzione dell’uomo. Questo segno parla a ciascuno e a tutti del “luogo santo” di Dio (cf. Sal 24 [23], 3), al quale è chiamato l’uomo in Cristo.  Veramente: “Del Signore è la terra e quanto contiene”.  La croce: il segno dell’Agnello ne rende testimonianza. Così sia!



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MESSA PER I DEFUNTI NEL CIMITERO ROMANO DI CAMPO VERANO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità di Tutti i Santi - Mercoledì, 1° novembre 1989

 

1. “Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo la parola li ammaestrava dicendo” (Mt 5, 1-2). Con queste stesse parole Gesù oggi ammaestra noi, qui riuniti. Proclama il Vangelo delle otto beatitudini in mezzo a questo cimitero romano. Lo proclama in tanti altri cimiteri di tutto il mondo. Lo stiamo udendo noi - che ancora viviamo su questa terra. L’ascoltano le tombe, nelle quali riposano i nostri fratelli e sorelle defunti. Viene indirizzato anche a loro il Vangelo delle otto beatitudini? Parla esso di morte?

2. Il Vangelo delle otto beatitudini parla della morte, anche se neppure una volta la chiama per nome. Invece, ogni beatitudine del discorso della montagna pone una accanto all’altra le due dimensioni della vita: quella temporale e quella eterna, definitiva. Si sa che la vita temporale su questa terra finisce con la morte. Il vangelo delle otto beatitudini parla dunque della morte, ma ordina di guardarla attraverso il prisma della vita: della vita che passa qui sulla terra - e di quella che è eterna: in Dio. Per questo anche il Vangelo delle otto beatitudini ha oggi una particolare eloquenza tra le tombe e le cappelle del Campo Verano, e in tutti i cimiteri del mondo.

3. Ecco, a coloro che riposano nei sepolcri, ogni beatitudine pone la domanda: Sei stato povero in spirito? Hai avuto fame e sete della giustizia? Sei stato misericordioso? Puro di cuore? Eri tra coloro che sono stati operatori di pace? Che sono stati perseguitati per causa della giustizia? Che hanno sopportato gli insulti e le persecuzioni e le menzogne dette contro di loro “per causa di Cristo”? E che sono stati accusati di ogni sorta di male a causa di lui? (cf. Mt 5, 3-11). Hai provato nella tua vita molte sofferenze e tristezze? Ognuno di questi nostri fratelli e sorelle che riposano nei cimiteri di Roma e del mondo intero, ha dovuto - al termine della sua vita - giudicare la propria vita terrena secondo queste domande.  Ognuna di esse mette una pietra sulla vita temporale per schiudere la prospettiva sulla vita eterna. Questa è la vita in Dio. Questo e il Regno di Dio, il Regno dei cieli. Dio desidera questa vita e questo Regno per noi uomini, pellegrini attraverso la temporaneità verso la frontiera della morte.

4. Viviamo questo - insieme con tutta la Chiesa - in modo particolare oggi e domani. Oggi e domani sostiamo presso le tombe dei nostri cari con la domanda: siete stati una generazione in cerca del Dio vivo? Siete stati tra coloro che cercano il volto del Dio di Giacobbe? L’uomo compie il pellegrinaggio attraverso questa terra, attraverso la temporaneità che passa, verso il volto del Dio vivo: per vederlo “così come egli è. Vederlo a faccia a faccia” (cf. 1 Gv 3, 2). L’uomo sottoposto alla legge della morte. Ed allo stesso tempo: l’uomo - pellegrino dell’Assoluto!

5. “Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato” (1 Gv 3, 2). Il cimitero è soltanto il luogo del termine della vita umana sulla terra? Non è insieme l’inizio di ciò che qui, sulla terra, “non è stato ancora rivelato”? L’inizio di un futuro nuovo? Di una vita nuova? Sì, qui sulla terra conosciamo le parole: “siamo già figli di Dio” (cf. 1 Gv 3, 1). Anzi: “lo siamo realmente” (1 Gv 3, 1) in virtù della Parola rivelataci da Cristo. Perciò anch’egli - Cristo, venuto dal Padre, dice a tutti: “Quale grande amore ci ha dato il Padre”! (come leggiamo in san Giovanni 1 Gv 3, 1). Lo proclama tutto il Vangelo. In modo particolare il Vangelo delle otto beatitudini. Questo viene espresso definitivamente dalla morte di Cristo: dalla sua Croce, dal suo sepolcro e dalla sua Risurrezione.

6. Visitando il cimitero, in questi primi giorni di novembre, mettiamoci in ascolto di questo Vangelo. Per mezzo di tutti i segni della morte dell’uomo, che riempiono questo campo santo, Cristo annunzia la verità della vita eterna, Questa vita è più forte della morte. Essa è radicata nell’“amore datoci dal Padre”. Così sia!

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MESSA PER I DEFUNTI AL CIMITERO DEL VERANO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità di Tutti i Santi - Giovedì, 1° novembre 1990

 

“Finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi” (Ap 7, 3).

1. Dio ha sigillato la storia dell’uomo sulla terra con il Vangelo delle otto beatitudini. Lo ha sigillato con il sangue dell’Agnello. Questo sigillo è impresso su tutti coloro che attraversano questa terra. Tutti coloro che scendono nella tomba portano su di sé il sigillo della creazione e della redenzione. Ecco, questo cimitero romano e tutti i cimiteri del mondo, che sono oggi visitati, rendono testimonianza alla legge della morte. Spesso pensiamo soltanto a questo, ma non possiamo dimenticare la legge del sigillo di Dio. Dio non solo ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma l’ha creato nel suo Figlio eterno. In lui siamo chiamati figli di Dio. In lui diventiamo figli di Dio e lo siamo realmente. Su di noi è impresso il sigillo della redenzione. Su tutti! Con questo sigillo camminiamo nel mondo, “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28). E con esso scendiamo nella tomba.

2. In virtù del sigillo di Dio, impresso sulla nostra esistenza umana, siamo invitati a “salire”, a salire “il monte del Signore” (Sal 23, 3). Anche il nostro morire è una fase di questa salita. Noi viviamo e moriamo alla luce delle otto beatitudini. Davvero inscrutabili sono le vie di questo salire mediante la morte, che porta con sé la distruzione del corpo; eppure queste vie sono scritte nell’eterno Verbo, che è il Figlio del Padre. E non è stato versato invano il sangue dell’Agnello, con cui ciascuno di noi fu segnato. Per questo ogni uomo, che vive su questa terra, non cessi di cercare il volto di Dio e non si lasci affliggere e angosciare dalla prospettiva della morte.

3. “Ciò che saremo non è stato ancora rivelato” (1 Gv 3, 2), scrive san Giovanni. Non è stato ancora rivelato! Infatti il tempo, in cui l’uomo vive su questa terra, è tempo di aspirazione, di acquisizione, di ricerca del volto di Dio mediante il Vangelo delle otto beatitudini e mediante la partecipazione al sangue dell’Agnello di Dio, affinché questo sigillo sia ancor più manifesto e chiaro. “Ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3, 2).

4. La morte è un fatto evidente e certo. Ogni cimitero ne conferma la certezza. L’uomo si ferma al suo limite. Si immerge nei ricordi di coloro che se ne sono andati, che ci sono stati strappati, non può andare oltre. Ma la Chiesa non si ferma, va oltre. Attraverso le tombe e i cimiteri di tutto il mondo guida e sostiene la speranza del popolo di Dio con la luce della preghiera di suffragio, che può stabilire una mediazione tra noi e le anime dei fedeli defunti. La Chiesa ci fa ripetere con le parole della liturgia: “Dona loro l’eterno riposo”. / “Dona loro la tua pace”. / “Splenda ad essi la luce perpetua”. È la luce nella quale vediamo Dio faccia a faccia. La luce della gloria, quando diventiamo simili a lui, non soltanto come creature simili al Creatore, ma anche come figli simili al Padre. Come figli nell’Eterno Figlio! La Chiesa prega così, perché così crede e così spera. Veramente: su di noi è impresso il sigillo del Dio Vivente! Così sia!


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CELEBRAZIONE DELLA MESSA PER I DEFUNTI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Cimitero romano di Prima Porta - Venerdì, 1° novembre 1991

 

1. Carissimi, guardate “quale grande amore ci ha dato il Padre” (1 Gv 3, 1). Ci rechiamo, oggi e domani, nei nostri cimiteri: nell’antico Campo Verano e in questo cimitero nuovo di Prima Porta, che mi è dato di visitare oggi per la prima volta, insieme con voi, cari fratelli e sorelle. Ci sono tanti altri cimiteri nelle città, villaggi e paesi del mondo: in tutti si ascoltano, oggi, le stesse parole della prima Lettera di San Giovanni sull’amore, con cui il Padre ci ha amati. Queste parole cadono su una terra particolare. I cimiteri parlano della morte dell’uomo, di questa legge, secondo la quale “è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio” (Eb 9, 27). Sì, i cimiteri parlano della morte! Dimostrano come la morte sia una sorte inevitabile dell’uomo, una esistenziale necessità su questa terra. Tutti i cimiteri, e ciascuno di essi, ne sono testimonianza. Anche questo che visitiamo oggi. Essi parlano della morte dei nostri parenti ed amici, dei nostri vicini e di quelli lontani; delle persone conosciute e di quelle sconosciute. Veniamo qui non come visitatori indifferenti e distratti, perché portiamo impresso, in vari modi, il ricordo di coloro che se ne sono andati, portiamo con noi un profondo dolore, registrato indelebilmente nel cuore di ciascuno di noi.

2. La Chiesa dice: “guardate quale grande amore ci ha dato il Padre”. Lo dice nel giorno in cui circonda con il ricordo Tutti i Santi. Chi sono i Santi? Sono i testimoni particolari di questo eterno amore che ci ha dato il Padre nel suo Figlio Unigenito. I Santi sono “coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione”, coloro che “hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello”, secondo le parole dell’Apocalisse (cf. Ap 7, 14). Anch’essi sono stati abbracciati dalla legge della morte, ma sono stati poi sollevati dall’abbraccio della potenza della Vita, che proviene da Cristo. Sono stati “chiamati figli di Dio” e lo sono realmente e pienamente nella comunione eterna con Dio (cf. 1 Gv 3, 1).

3. Il mondo non li conosce (cf. 1 Gv 3, 1); non conosce questa Vita di cui sono fatti partecipi, al di là del limite della morte. Questa è la Vita con Cristo in Dio, la Vita che è al di sopra di ciò che è visibile, di ciò che è accessibile ai sensi, al di sopra di ciò che nel mondo può essere raggiunto dalla conoscenza umana. Tale Vita è un mistero, così come Dio è un mistero nella sua Vita divina: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo! Come la Vita di Dio, così anche la vita dei Santi in Dio fa parte del mistero della fede. Questo mistero ha la sua dimensione temporale e terrena, ma ha il suo futuro in Dio. L’Apostolo scrive: “noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo, però, che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3, 2). C’è davanti a noi il cimitero: il luogo di coloro che sono morti, il cimitero dei ricordi, del dolore dei cuori umani. Ma c’è anche il cimitero della nostra fede: il cimitero di Tutti i Santi, venerati oggi dalla Chiesa. Tutti coloro che noi ricorderemo domani, sono stati anch’essi redenti dal Sangue dell’Agnello. Il Padre ha dato anche a tutti costoro l’amore del suo Figlio. Infatti Egli ha creato tutti gli uomini a sua immagine e somiglianza, e vuole che diventino simili a Lui nella vita eterna e che lo vedano “così come Egli è”. E per questo visitiamo i cimiteri del mondo con la speranza ispirata dalla fede.

4. Questa speranza è stata portata qui a Roma, e in tanti altri luoghi del mondo antico, dagli Apostoli e dai primi seguaci di Cristo. Essa si ricollega con i cimiteri di quel tempo, con le Catacombe, che erano luoghi di preghiera e di incontro. Ivi i primi cristiani si riunivano durante le persecuzioni da parte del mondo profano ed ostile, che non conosceva il Dio vero. Ivi, presso le tombe dei propri martiri, celebravano l’Eucaristia. In questo modo sono stati santificati i cimiteri dell’Antica Roma. Essi hanno acquistato, così, un nuovo significato. In tali luoghi si è cominciato a rendere testimonianza all’amore che ci viene dato dal Padre in Gesù Cristo, suo Eterno Figlio, che si è fatto nostro fratello: al Primogenito di ogni creatura, al Primogenito di coloro che risuscitano dai morti (cf. Col 1, 15.18), affinché abbiano la vita eterna in Dio e l’abbiano in abbondanza (cf. Gv 10, 10). Cari fratelli e sorelle, con questi pensieri e con queste certezze nel nostro cuore, vogliamo ora celebrare l’Eucaristia in suffragio delle anime dei nostri cari defunti e di tutti coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede e della speranza e riposano in tutti i cimiteri del mondo. Così sia!


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CONCELEBRAZIONE PER LA COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI 
NEL CIMITERO ROMANO DEL CAMPO VERANO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità di Tutti i Santi - Domenica, 1° novembre 1992

 

1. “Del Signore è la terra” (Sal 24, 1). Il Salmo responsoriale, che poc’anzi abbiamo proclamato, canta la gloria del Creatore. Sua è la terra “e quanto contiene”. Nella concezione del salmista la terra costituisce il fulcro della creazione, ma oggi noi sappiamo che essa non si trova al centro del cosmo. Al Signore appartiene quindi non solo il sistema al cui centro sta il sole e di cui la terra è uno dei pianeti, ma la molteplicità delle galassie che formano l’intero universo.

2. “Del Signore . . . è l’universo e i suoi abitanti” (Sal 24, 1). Anche se la terra non è il centro del cosmo, essa si distingue dagli altri pianeti per il fatto che è diventata la dimora dell’uomo: il luogo della sua nascita, della sua vita e della sua morte. Essa è, pertanto, il suo “universo”. Questo “universo”, che è “l’universo” dell’uomo, appartiene in modo particolare al Signore, perché a Lui appartiene l’uomo che in esso abita. In quale modo l’uomo è di Dio?

3. A questa domanda risponde il salmo insieme con tutta la liturgia dell’odierna solennità. L’uomo è di Dio in quanto è sua immagine; creato a immagine e somiglianza di Dio. L’uomo, dunque, è di Dio in maniera diversa rispetto a tutte le altre creature visibili. Egli è colui che “sale il monte del Signore” (cf. Sal 24, 3). È chiamato, nella stessa profondità del suo essere spirituale, a “cercare Dio”: a “cercare il suo volto” (cf. Sal 24, 6). È chiamato a “stare nel luogo santo del suo Signore” (cf. Sal 24, 3) in ragione della stessa profondità dell’“immagine e somiglianza divina”. L’uomo si inserisce in un processo dinamico e vitale mediante il quale matura passando attraverso le “mani innocenti” e “il cuore puro” (cf. Sal 24, 4), riportando la vittoria sul peccato e su chiunque “pronunzia menzogna e giura a danno del suo prossimo” (cf. Ivi.). In tal modo l’uomo è di Dio. Tra tutte le creature, egli è il destinatario di una particolare benedizione del Creatore.

4. Questa divina benedizione ha raggiunto la sua pienezza in Cristo; in Lui l’uomo appartiene a Dio come a un Padre. Il Verbo eterno, consustanziale con il Padre, diventando uomo, innesta nei cuori degli “uomini-creature” il mistero dell’adozione a figli. “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente” (1 Gv 3, 1). Gesù Cristo - Colui che solo è Santo - apre nella storia dell’uomo il cammino verso la comunione dei santi: “Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro” (1 Gv 3, 3). Il cammino verso la santità, quell’itinerario, cioè, che conduce alla comunità dei santi che vivono in Dio e partecipano della sua stessa Vita, passa attraverso il Vangelo delle Otto Beatitudini.

5. Oggi, la Chiesa è chiamata a sostare contemplando questo grande mistero nell’immensità della creazione. Lo contempla nella storia della terra in quanto dimora delle generazioni umane, di coloro cioè che “cercano il volto di Dio”. Leggiamo nel libro dell’Apocalisse: “Apparve una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti . . . all’Agnello” (Ap 7, 9). Anche noi ci poniamo in piedi davanti all’Agnello. Questo antico cimitero del Verano è uno dei tanti luoghi dove riposano i corpi dei morti. Domani questi luoghi, i cimiteri, saranno meta di un ininterrotto pellegrinaggio dei vivi alle tombe dei morti. Ma quanti di questi luoghi sono ancora sconosciuti! Quanti morti - venuti meno spesso tra terribili sofferenze - non hanno trovato e continuano a non trovare il loro cimitero, il luogo per i funerali e la tomba per l’incontro con le persone care! L’intera storia dell’uomo verrà riassunta, come ogni anno, nella commemorazione di tutti i Fedeli Defunti, che celebreremo domani.

6. Però già oggi, partecipando alla liturgia eucaristica dell’Agnello che toglie i peccati del mondo, desideriamo dire: “Signore mio, tu lo sai”. “Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14).

Signore mio, tu lo sai. Essi appartengono tutti a Te! Tutti appartengono a Te. Consegnali tu al Padre. Così sia!

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Caterina63
00lunedì 22 ottobre 2018 20:37




SANTA MESSA DURANTE LA COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI 
NEL CIMITERO MONUMENTALE ROMANO DEL VERANO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità di Tutti i Santi - Lunedì, 1° novembre 1993

 

Carissimi fratelli e sorelle!

1. Celebriamo quest’oggi, come ogni anno, il sacrificio eucaristico qui, nell’antico cimitero romano del Verano. Lo celebriamo alla vigilia della Commemorazione dei nostri cari defunti, mentre contempliamo il mistero della santità nella Solennità di Tutti i Santi. Grande giorno, questo, per la Chiesa pellegrinante sulla terra; giorno di particolare vicinanza a quanti prima di noi sono passati su questa terra ed ora “stanno in piedi davanti all’Agnello” (cf. Ap 7, 9). I loro cuori sono pieni della gloria di Dio. Giorno glorioso questo di “Tutti i Santi” che commemora la salvezza giunta a compimento nella storia dell’umanità grazie al sangue del Redentore. “Una moltitudine immensa... di ogni nazione, razza, popolo e lingua... “Chi sono e donde vengono?”... «Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello»” (cf. Ap 7, 9. 13-14). Giorno di Tutti i Santi – giorno della Redenzione compiuta, grande festa dell’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo.

2. Questo giorno è fissato con impronta indelebile nella mia memoria. È infatti nella Solennità di Tutti i Santi di quarantasette anni fa che ho ricevuto il dono del sacerdozio di Cristo e sono diventato servo dell’Eucaristia. Ricordo con perenne devozione coloro che mi hanno accompagnato verso questo ministero. A loro mi unisco nel mistero della Comunione dei Santi. In questi giorni, il primo e il due novembre, ho potuto compiere il cammino, che conduce un sacerdote novello alla celebrazione della prima Santa Messa: dalla celebrazione cioè con il mio Vescovo (il Card. Adamo Stefano Sapieha) nel corso dell’ordinazione sacerdotale, alla prima Messa, che potremmo dire “propria”. Una Messa, però, non può essere considerata mai come “propria”! Essa è sempre sacrificio di Cristo e di tutta la Chiesa, suo Mistico Corpo. La Santa Messa costituisce così un entrare profondo nel mistero di Tutti i Santi, come pure un andare incontro a coloro che soffrendo nel purgatorio “cercano il volto di Dio” (cf. Sal 23). Ogni Santa Messa annunzia ciò che viene proclamato dall’odierna liturgia nel Salmo responsoriale: “Del Signore è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti” (Sal 23, 1). Sì! Il sacrificio redentore di Cristo abbraccia tutto e tutti. Cosciente dei propri limiti, il sacerdote celebrando la Messa sperimenta sempre un dono che lo supera infinitamente.

3. La mattina del giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti, mi è stato dato di celebrare l’Eucaristia insieme con “la generazione che cerca il volto di Dio” (cf. Sal 23, 6), unito a quanti – come sottolinea la liturgia – lo vedono “così come egli è” (1 Gv3, 2).Davanti agli occhi della mia anima resta sempre presente il luogo, la cripta sotto la cattedrale di Wawel, a Cracovia, dove giacciono le spoglie mortali dei re, grandi condottieri, e delle profetiche guide spirituali della mia Nazione. La cattedrale è tutta permeata della loro presenza e della loro testimonianza, come nella Basilica di San Pietro s’avverte in modo significativo il fascino spirituale che s’irradia dalle tombe dei Papi. Essi sono testimoni della storia in cui tutte le nazioni, di generazione in generazione, insieme con la Chiesa cercano “il volto del Dio di Giacobbe” (cf. Sal 23, 6), perché, come ricorda sant’Agostino, il cuore dell’uomo rimane inquieto finché non riposa in Dio (cf. Confessioni, 1,1).

4. Quel giorno, il giorno della prima Santa Messa, dura sempre. E non solo nella memoria: si perpetua nell’Eucaristia di Cristo che è la stessa: ieri, oggi e sempre. Si prolunga nel ministero sacerdotale, come fondamento della vocazione di ogni Vescovo, e in particolare del Vescovo di Roma. Celebrando il Sacrificio eucaristico qui nel “Campo Verano”, vorrei abbracciare nella comune preghiera tutti i cimiteri di Roma e quanti vi “dimorano”. Non solo i defunti di questa città che viene chiamata “eterna”, bensì “l’universo e i suoi abitanti” (Sal 23, 1): tutti, dovunque siano state deposte le loro spoglie terrene, dovunque siano stati sepolti, talora persino senza il giusto rispetto dovuto al loro corpo (e non sono, purtroppo, pochi i luoghi di tal genere...). Tutti li abbraccia il Sacrificio redentore di Cristo. Essi sono presenti in questo Sacrificio della Chiesa, che prega in suffragio dei defunti. Sacrificio tutto di Cristo e, al tempo stesso, sacrificio tutto per gli uomini: per i vivi e per i defunti.

5. “Chi sono e donde vengono?” (Ap 7, 13). Da ogni luogo. Da ogni luogo... “Signore mio, tu lo sai” (Ap 7, 14). Da qualunque parte vengano, tutti “hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14). Ed ora stanno in piedi davanti a Te. Signore! Possano vedere il Volto del Padre. Vedano Te, Dio vivo. Vedano Dio, così come egli è. Così Sia!


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MOMENTO DI PREGHIERA PER I SOMMI PONTEFICI DEFUNTI

MEDITAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità di Tutti i Santi
Grotte Vaticane - Mercoledì, 1° novembre 1995

 

1. “Urbi et Orbi”... È un’antica tradizione la solenne Benedizione che il Vescovo di Roma imparte “alla città e al mondo” in alcune grandi occasioni, come, ad esempio, a Natale e a Pasqua. “Alla città e al mondo” si allarga il mio pensiero oggi, solennità di Tutti i Santi. Quarantanove anni fa fui ordinato sacerdote ed unisco questo ricordo personale alla memoria dei defunti “della città e del mondo”.

Il giorno di oggi e quello di domani parlano del mistero della Chiesa che trascende il tempo. La Solennità di Tutti i Santi ci fa pregustare la definitiva comunione che costituisce l’eredità dei salvati nel regno del Padre. La memoria dei defunti ci fa guardare verso quanti ancora si stanno purificando, per essere degni di vedere Dio faccia a faccia. Così, dunque, la Solennità di Tutti i Santi e il ricordo dei fedeli defunti formano come un solo richiamo alla preghiera: preghiera di gloria e di lode, il Te Deum celeste, preghiera d’impetrazione per chi attende il nostro ricordo davanti a Dio. Lo attendono i resti mortali di tanti Pontefici, che in questo luogo, sul Colle Vaticano, nell’area di un antico cimitero romano, riposano accanto alla tomba di Pietro; lo attendono quanti sono sepolti nei cimiteri di Roma e del mondo intero: “Urbis et Orbis”...

2. Mi soffermo, dunque, in preghiera presso le tombe dei miei predecessori, prima di tutto di quelli vissuti nel ventesimo secolo: Giovanni Paolo I, Paolo VI, Giovanni XXIII, Pio XII, Pio XI, Benedetto XV, San Pio X e Leone XIII. Ricordandoli nel mistero della comunione dei Santi, vorrei abbracciare con la memoria il servizio da loro reso alla Chiesa lungo questo secolo che volge ormai al termine. Per loro domandiamo, carissimi Fratelli e Sorelle, la luce eterna e il riposo in Dio: “Buon Gesù e Signore nostro, dona loro l’eterno riposo. Splenda ad essi la luce perpetua là dove si trovano tutti i santi”. Queste semplici parole di un canto polacco ben esprimono la verità dell’odierna festa e della commemorazione dei defunti.

“Ricordati, o Signore, di liberare la tua Chiesa da ogni male e di renderla perfetta nel tuo amore. Raccogli dai quattro venti la Chiesa che tu hai santificato, nel regno che le hai preparato” (Didachè). La Chiesa pellegrina nel tempo, che ha il suo centro sul Colle Vaticano, è allo stesso tempo la Chiesa di Roma e del mondo: “Urbis et Orbis”. Mentre, dunque, ricordiamo tutti coloro le cui spoglie riposano in questa Basilica e nel vicino Camposanto Teutonico, ci rechiamo contemporaneamente in pellegrinaggio nei cimiteri di Roma: dal Campo Verano a Prima Porta, ripetendo: “Buon Gesù e Signore nostro, dona loro l’eterno riposo”.

3. Da Roma, il ricordo dei defunti si estende al mondo intero. Anzitutto all’Italia, divenuta patria adottiva della Chiesa col martirio a Roma delle “colonne” Pietro e Paolo; e poi ai Paesi dell’Europa, dell’Africa, dell’Asia, del Lontano Oriente, dell’America del Nord, del Centro e del Sud, dell’Australia e di ogni altra regione del mondo: ovunque i nostri fratelli pregano come noi, oggi e domani, per chi ci ha preceduto nel passaggio verso la vita eterna.

In particolare, vorrei ricordare i cimiteri in cui riposano i caduti delle guerre mondiali, i reclusi dei campi di concentramento e dei gulag, sepolti dove è loro accaduto di concludere l’esistenza terrena, spesso lontano dalla patria. Con speciale compassione penso alle tombe scavate in questi anni nei Balcani per le vittime di una guerra fratricida. Non vorremmo dimenticare nessuno: siamo vicini a tutti coloro che oggi ricordano, piangono e pregano.

4. Al termine di questo pellegrinaggio attraverso i cimiteri di Roma e del mondo, mi sia permesso di fermarmi nei luoghi da cui provengo, dove sono nato e dove riposano le persone a me più care: i miei genitori, mio fratello, i parenti, i miei maestri, educatori e benefattori, i pastori d’anime, gli amici di vari periodi della vita, ai quali debbo moltissimo. Mi sia lecito ricordare ancora un luogo tanto importante nella storia della mia nazione: la Cattedrale di Wawel a Cracovia, nella quale riposano i re polacchi, le grandi guide e i vati della nazione.

Ciascuno di noi sa quanto deve ai genitori, agli educatori, agli artefici della cultura, e perciò i luoghi dove riposano le spoglie di queste persone ci sono particolarmente cari. Li visito col pensiero e col cuore come Vescovo di Roma. Ricordo non soltanto i miei predecessori nella Sede di Pietro, ma anche i miei predecessori a Cracovia, Vescovi e Cardinali: del loro patrimonio spirituale per tanti anni ho beneficiato. E così, mentre vado ricordando, mi tornano alla mente i canti del “giorno dei morti”, affiorano alle labbra oggi e domani e per tutto il mese di novembre: “Gesù agonizzante nel Getsemani, che versi sudore di sangue, le anime nel purgatorio languiscono, il tuo refrigerio anelano, o Gesù!”. Ed anche: “Salve, Regina del cielo, Madre di misericordia. Salve, nostra speranza nello sconforto e nel dolore [...]. O Gesù, fa’ che ti vediamo dopo la morte. O Maria, ottienici quanto desideriamo”.

5. Questa sera e domani, nei cimiteri di Roma e del mondo si avvertirà un bagliore particolare. I lumi accesi sulle tombe dei defunti rischiarano la notte: offrono un segno, quasi un anticipo per noi credenti, di quella luce eterna in cui speriamo e che imploriamo pieni di fiducia per i nostri cari e per noi stessi, in attesa del giorno in cui il Signore Dio ci chiamerà nel suo Regno. Amen.


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SANTA MESSA IN SUFFRAGIO DEI CARDINALI E DEI
VESCOVI DEFUNTI NEL CORSO DELL'ANNO

OMELIA DEL CARDINALE BERNARDIN GANTIN
A NOME DI GIOVANNI PAOLO II

Martedì, 11 novembre 1997

 

1. "Voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria" (Gv 17, 24).

Con queste parole Gesù, nell'imminenza della sua dipartita, affida al Padre gli Apostoli. Egli sta per andarsene, mentre essi resteranno per proseguire la sua missione salvifica, annunciando il Vangelo, custodendo il deposito della fede e guidando il popolo della Nuova Alleanza. Lo faranno dapprima personalmente e poi mediante l'opera dei successori, ai quali trasmetteranno il loro compito.

Anche a questi futuri ministri della salvezza si estende il pensiero di Gesù nell'ora suprema della sua vita: l'ora della sua Pasqua di morte e risurrezione. "Voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io . . .". L'intima comunione di amore che unisce Cristo agli Apostoli ed alla schiera di coloro che ne raccoglieranno il mandato troverà il suo pieno compimento quando anch'essi saranno insieme con Lui accolti presso il Padre, per contemplarne la gloria, quella gloria che gli appartiene da "prima della creazione del mondo" (cfr Ibid.).

2. Nel clima tipico del mese di novembre segnato dal ricordo dei fedeli defunti, siamo oggi raccolti attorno all'Altare per fare memoria dei Cardinali, Arcivescovi e Vescovi ritornati alla casa del Padre durante quest'ultimo anno. Mentre offriamo in loro suffragio il Sacrificio eucaristico, chiediamo al Signore di concedere loro il premio celeste promesso ai servi buoni e fedeli.

In questa celebrazione vogliamo ricordare in modo particolare i compianti e venerati Fratelli Cardinali Joseph Louis Bernardin, Jean Jérôme Hamer, Narciso Jubany Arnau, Juan Landázuri Ricketts, Mikel Koliqi, Ugo Poletti, Bernard Yago, entrati nella casa del Padre nel corso degli ultimi dodici mesi.

Estendiamo il nostro affettuoso ricordo agli Arcivescovi ed ai Vescovi che, in questo stesso periodo, hanno lasciato questo mondo. Si sono addormentati nel Signore affidandosi al suo amore misericordioso, nella speranza ben fondata di poter partecipare all'eterno banchetto del cielo (cfr Is 25, 6).

3. Quando erano quaggiù, questi nostri Fratelli hanno proclamato e testimoniato la fede nella risurrezione con la parola e con la vita. Quante volte hanno avuto modo di ripetere le parole di san Paolo, poc'anzi proclamate: "Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti" (1 Cor 15, 20)! Chiamati ad essere nella Chiesa dispensatori della vita divina, ora riposano nell'attesa della risurrezione finale, quando la morte sarà sconfitta per sempre (cfr Is 25, 8; 1Cor 15, 26) e Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28).

Li ricordiamo con affetto e riconoscenza per il generoso servizio pastorale, reso a volte anche a costo di gravi disagi e sofferenze: dalle loro fatiche apostoliche ha tratto giovamento l'intera Comunità cristiana. Allo stesso tempo, innalziamo la nostra fervida preghiera affinché il Signore li accolga accanto a sé nella gloria (cfr Gv 17, 24). Per loro ed insieme con loro manifestiamo il desiderio del definitivo incontro con Dio: "Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio" (Sal 41, 2).

4. Alla Vergine Addolorata, che nella tradizionale immagine della Pietà contempliamo nell'atto di stringere fra le braccia il divin Figlio morto e deposto dalla croce, affidiamo ora le anime di questi nostri Fratelli nella fede e nel sacerdozio. Essi, che durante la vita terrena hanno amato e venerato Maria con amore di figli, siano da Lei introdotti nel Regno eterno del Padre.

Col suo sguardo premuroso vegli Maria su di loro, che ora dormono il sonno della pace in attesa della beata risurrezione! Noi eleviamo a Dio per loro la nostra preghiera, sorretti dalla speranza di ritrovarci tutti un giorno, uniti per sempre in Paradiso.

L'eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen!

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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA
DI S. MARIA DEL ROSARIO DI POMPEI ALLA MAGLIANA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 8 novembre 1998

 

1. "Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui" (Lc 20, 38).

Ad una settimana di distanza dalla solennità di Tutti i Santi e dalla Commemorazione dei fedeli defunti, la Liturgia di questa domenica ci invita ancora a riflettere sul mistero della risurrezione dei morti. Questo annuncio cristiano non risponde in maniera generica all'aspirazione dell'uomo verso una vita senza fine; è, al contrario, annuncio di una speranza certa, perché fondata, come ricorda il Vangelo, sulla stessa fedeltà di Dio. Egli, infatti, è il "Dio dei vivi" e comunica a quanti in lui confidano quella vita divina che egli possiede in pienezza. Egli, che è il "vivente", è la fonte della vita.

Già nell'Antico Testamento era venuta progressivamente maturando la speranza nella risurrezione dai morti. Ne abbiamo ascoltato un'eloquente testimonianza nella prima Lettura, dove viene narrato il martirio dei sette fratelli al tempo della persecuzione scatenata dal re Antioco Epifane contro i Maccabei e quanti si opponevano all'introduzione dei costumi e dei culti pagani all'interno del popolo giudaico.

Questi sette fratelli affrontarono le sofferenze ed il martirio, sostenuti dall'esortazione della loro eroica madre e dalla fede nella ricompensa divina riservata ai giusti. Come afferma uno di loro ridotto ormai in fin di vita: "E' bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l'adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati" (2 Mac 7, 14).

2. Queste parole, risuonate oggi nella nostra assemblea, richiamano alla mente l'esempio di altri martiri della fede che, non lontano da questo luogo, hanno offerto la vita per la causa di Cristo. Penso ai giovani fratelli Simplicio e Faustino, uccisi durante la persecuzione di Diocleziano, ed alla loro sorella Viatrice (Beatrice), anch'essa morta martire. I loro corpi sono sepolti, com'è noto, nelle vicine Catacombe di Generosa, a voi molto care.

La coraggiosa testimonianza di questi giovani Martiri, ancora oggi ricordati e celebrati con il nome di Santi Martiri Portuensi, deve costituire per la vostra Comunità un pressante invito ad annunciare con forza e perseveranza la morte e la risurrezione di Cristo in ogni momento e dappertutto.

Il loro esempio animi il vostro slancio apostolico, soprattutto durante questo anno pastorale in cui la Missione cittadina si rivolge in modo speciale agli ambienti di vita e di lavoro. Sono proprio questi, infatti, i contesti sociali in cui, non di rado, i cristiani rischiano di trovarsi chiusi nell'anonimato ed hanno, pertanto, maggiore difficoltà nel proporre un'incisiva testimonianza evangelica.

"Il Signore diriga i vostri cuori nell'amore di Dio e nella pazienza di Cristo" (2Ts 3, 5). Faccio mie queste parole dell'apostolo Paolo, che desidero lasciarvi come ricordo ed augurio in occasione di questa Visita. L'amore di Dio, rivelatoci in pienezza nella passione, morte e risurrezione di Cristo, è fonte ispiratrice e luce che illumina ogni impegno missionario. Vi sostenga la forza d'amore dello Spirito e vi aiuti a confessare coraggiosamente il nome di Gesù, senza mai vergognarvi della Croce.

Sia dinanzi a voi l'esempio dei santi Martiri Portuensi e vi assista la materna protezione della Madonna del Rosario, speciale Patrona del vostro quartiere. Santa Maria del Rosario di Pompei, prega per noi. Amen!

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CAPPELLA PAPALE IN SUFFRAGIO DEI CARDINALI 
E DEI VESCOVI DEFUNTI NEL CORSO DELL'ANNO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Vaticana - Venerdì, 12 novembre 1999

 

1. "Vivremo alla sua presenza" (Os 6, 2)

Verso il grande mistero della morte e della vita eterna ci hanno orientato nei giorni scorsi le celebrazioni liturgiche della solennità di Tutti i Santi e della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti. E' in questo clima spirituale che ci ritroviamo oggi nella Basilica di San Pietro per offrire il Sacrificio Eucaristico in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi che hanno raggiunto la casa del Padre nel corso di quest'ultimo anno.

Mi è caro ricordare, in particolare, i venerati Cardinali Carlos Oviedo Cavada, Raúl Silva Henriquez e George Basil Hume. Ad essi, come agli Arcivescovi e Vescovi deceduti nel corso dell'anno, va il nostro pensiero commosso e riconoscente. Nella loro azione apostolica, fondata sulla fede, e nel loro attento servizio pastorale, hanno rivolto lo sguardo ben al di là dei confini terreni sperando nel Signore, annunciandone il nome ai fratelli e lodandoLo in mezzo all'assemblea dei credenti. Possano ora riposare nella casa del Padre celeste, dimora di pace per i figli di Dio!

2. "Tutti quelli, infatti, che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio" (Rm 8, 14).

Quante volte questi Fratelli, che oggi commemoriamo, hanno fatto riferimento, nella loro vita e nell'esercizio del loro ministero, alla fondamentale verità enunciata dall'Apostolo! Quante volte hanno invocato il divino Paraclito e Lo hanno pregato perché effondesse la sua grazia sul Popolo cristiano! Il loro esempio ci invita a confermare la fede nella persona del nostro Salvatore e nella forza vivificante del suo Spirito. La fede ci infonde la consolante certezza che la morte è un passaggio verso la vita eterna. Ce lo ricorda il prefazio dei defunti: "Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta ma trasformata e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno viene preparata un'abitazione eterna nel cielo".

3. "Il Figlio dà a tutti la vita eterna" (cfr Gv 17, 2).

Nel Vangelo abbiamo ascoltato l'inizio della grande preghiera di Gesù al Padre, prima della Passione. Essa ha come sfondo la croce, ma lascia intravedere la gioia della risurrezione. Fissando lo sguardo sul Crocifisso, comprendiamo che proprio in quell'estremo donarsi del Figlio, il Padre ha effuso in pienezza sul mondo lo Spirito Santo. Il Buon Pastore, venuto perché gli uomini "abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Gv 10, 10), porta così a compimento la sua missione e dona lo Spirito Santo per la salvezza dell'intera umanità.

4. Alla luce di così confortanti verità, ci rivolgiamo al Dio della vita, perché accolga questi nostri fratelli defunti, per lunghi anni generosi operai nella sua vigna. Ora che il Signore li ha chiamati a sé, possano sperimentare la consolante verità della promessa di Cristo: "Il Figlio dà a tutti la vita eterna". Pensando a loro e pregando per loro, proseguiamo con fiducia nel cammino verso la Patria celeste. Ci sostenga ogni giorno Maria Santissima, che Gesù sulla croce ci ha dato come madre. A Lei volgiamo lo sguardo fiduciosi, cercando rifugio sotto la sua protezione. Ella, Vergine gloriosa e benedetta, ci liberi da ogni pericolo e ci accompagni all'incontro con Dio.

Amen!

 
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A causa dell'avanzare della malattia, Giovanni Paolo II non si è più recato al Cimitero di Roma per la Messa e il Suffragio pubblico.


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