Maria nella vita e nella missione del sacerdote

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(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:26

MARIA NELLA VITA

E NELLA MISSIONE DEL SACERDOTE

di Joachim Ruhuna

Si osserva che i preti che fanno riferimento a Maria mantengono l'entusiasmo anche nelle difficoltà; lottano con coraggio e speranza contro il peccato, restano fedeli al loro sacerdozio e alla Chiesa. I sacerdoti che accolgono Maria come Giovanni l'ha presa con sé ricevono protezione e saggezza fino a una morte santa.

E’ facilmente comprensibile. Dio scelse Maria per essere madre del suo Figlio, e Gesù sommo sacerdote l'affidò a sua volta agli apostoli affinché fosse la loro educatrice e protettrice.

Essa fu un dono prezioso del Maestro ai discepoli: motivo della loro gioia, modello della fede e della preghiera, portatrice della speranza del regno, colonna dell'unità, simbolo della pace e della santità, Madre ammirabile, regina incomparabile!

Di fatto Maria volle condividere tutto con i discepoli del suo Figlio. Prima di tutto mise i beni a disposizione della comunità. Tutti erano assidui nella preghiera, erano un cuore solo nel lodare Dio, nello spezzare il pane, nel prendere cibo con allegria e in semplicità di cuore. Maria fu per gli apostoli educatrice alle virtù cristiane e consolatrice nelle dure prove della vita e della missione.

Possano tutti i sacerdoti mettersi alla scuola di Maria! Ci insegnerà a vivere le beatitudini per essere degni del regno dei cieli. Ci insegnerà la fede e l'ubbidienza: " Fiat mihi secundum verbum tuum ". Ci insegnerà la preghiera di lode e di azione di grazie (il Magnificat), la preghiera di contemplazione (cfr. Lc 2,19 e 5 1) e la preghiera di intercessione a Cana.

Maria ci insegnerà la pratica della parola di Dio (cfr. Lc 8,21), l'umiltà, la pazienza e l'abbandono totale nelle prove. Ci insegnerà ad amare la castità e a vivere con gioia il nostro sacro celibato. Ci accompagnerà nel nostro ministero e ci consolerà nelle pene. Ci insegnerà l'odio per il peccato e ci assisterà nel momento della morte. Nella preparazione al Giubileo del Redentore e del terzo millennio, mi auguro, per l'evangelizzazione del mondo, che specialisti della mariologia delineino le linee fondamentali della vera devozione a Maria per il nostro tempo, e che i pastori scoprano di nuovo la bellezza e la ricchezza del rosario meditato, per la fecondità del loro ministero e per il bene dei loro fedeli.

Caterina63
00venerdì 25 settembre 2009 21:43
Congregazione per l’educazione cattolica

a cura della redazione

Compito permanente



Vent’anni fa, il Dicastero della Santa Sede pubblicava la lettera La Vergine Maria nella formazione intellettuale e spirituale. Presentiamo la parte centrale del documento, di sorprendente attualità.


«Considerata l’importanza della figura della Vergine nella storia della salvezza e nella vita del popolo di Dio, e dopo le indicazioni del Vaticano II e dei Sommi Pontefici, sarebbe impensabile che oggi l’insegnamento della mariologia fosse trascurato: occorre pertanto dare ad esso il giusto posto nei seminari e nelle facoltà teologiche.

Tale insegnamento, consistente in una "trattazione sistematica", sarà: a) organico (...), b) completo (...), c) rispondente ai vari tipi di istituzione (...).

Un insegnamento così impartito eviterà presentazioni unilaterali della figura e della missione di Maria, a detrimento della visione d’insieme del suo mistero, e costituirà uno stimolo per ricerche approfondite – attraverso seminari e l’elaborazione di tesi di licenza e di laurea – sulle fonti della Rivelazione e sui documenti del Magistero. Inoltre i vari docenti, in una corretta e feconda visione interdisciplinare, potranno utilmente rilevare nello svolgimento del loro insegnamento gli eventuali riferimenti alla Vergine.



Il servizio della mariologia alla pastorale e alla pietà mariana.

Come ogni disciplina teologica, anche la mariologia offre un prezioso contributo alla pastorale. A questo proposito la Marialis cultus sottolinea che "la pietà verso la beata Vergine, subordinatamente alla pietà verso il divin Salvatore ed in connessione con essa, ha un grande valore pastorale e costituisce una forza innovatrice del costume cristiano". Inoltre, essa è chiamata a dare il suo apporto nel vasto campo dell’evangelizzazione.

La ricerca e l’insegnamento della mariologia, ed il suo servizio alla pastorale, tendono alla promozione di un’autentica pietà mariana, che deve caratterizzare la vita di ogni cristiano e particolarmente di coloro che si dedicano agli studi teologici e si preparano al sacerdozio.

La Congregazione per l’educazione cattolica intende attirare in special modo l’attenzione degli educatori dei seminari sulla necessità di suscitare un’autentica pietà mariana nei seminaristi, in coloro cioè che saranno un giorno i principali operatori della pastorale della Chiesa.

Il Vaticano II, allorché tratta della necessità per i seminaristi di un’approfondita vita spirituale, raccomanda che essi "con fiducia filiale amino e venerino la beatissima Vergine Maria che fu data come madre da Gesù Cristo, morente in croce, al suo discepolo".

Da parte sua la Congregazione, in conformità con il pensiero del Concilio, ha più volte sottolineato il valore della pietà mariana nella formazione degli alunni del seminario:

nella Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis chiede al seminarista che "ami ardentemente, secondo lo spirito della Chiesa, la Vergine Maria, madre del Cristo, a lui associata in modo speciale nell’opera della redenzione";

nella Lettera circolare su alcuni aspetti più urgenti della formazione spirituale nei seminari (6 gennaio 1980) osserva che "niente può, meglio della vera devozione alla Vergine Maria, concepita come uno sforzo sempre più completo di imitazione, introdurre (...) nella gioia di credere", così importante per chi dovrà fare della propria vita un continuo esercizio di fede.

Il Codice di diritto canonico, trattando della formazione dei candidati al sacerdozio, raccomanda il culto della beata Vergine Maria, alimentato da quegli esercizi di pietà con cui gli alunni acquistano lo spirito di preghiera e consolidano la vocazione».

A cura della redazione
www.stpauls.it/madre/0812md/0812md21.htm


Invito all’approfondimento: S. Panizzolo (a cura di), Il prete e la sua formazione, Edb 2008, pp. 140, € 10,00; G. Greshake, Essere preti in questo tempo, Queriniana 2008, pp. 498, € 43,00; G. Perego, Nuovo Testamento e vita consacrata, San Paolo 2008, pp. 256, € 13,00.



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Caterina63
00mercoledì 16 dicembre 2009 19:51
Riflessioni per l'Anno sacerdotale

Totus tuus
A Cristo attraverso Maria


di François-Marie Léthel
Prelato segretario
della Pontificia Accademia di Teologia


Il motto Totus tuus, che riassume tutta la spiritualità cristocentrica e mariana di san Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716), è stato il filo conduttore di tutta la vita del servo di Dio Giovanni Paolo II. Il santo francese e il suo grande discepolo polacco sono due esempi luminosi della stessa santità sacerdotale, d'una vita interamente vissuta nell'amore di Gesù e dei fratelli sotto la guida materna di Maria. Totus tuus! Due parole che sono una preghiera indirizzata a Gesù per mezzo di Maria e nel suo Cuore Immacolato. È un atto d'amore come dono totale di sé. Nello stesso senso anche santa Teresa di Lisieux definisce l'amore:  "Amare è dare tutto e dare se stesso".


Luigi Maria di Montfort e Teresa di Lisieux sono infatti come due fari di santità che hanno illuminato in modo particolare il pontificato di Giovanni Paolo II, nella grande prospettiva del concilio Vaticano ii tracciata dalla Lumen gentium.
 
Le loro opere principali - il Trattato della vera devozione alla santa Vergine di Luigi Maria, e la Storia di un'anima di Teresa - sono dei testi dottrinali di massima importanza e perfettamente convergenti per illuminare la via della santità per tutti, come via dell'amore vissuta con Maria.

La dottrina di Teresa viene espressa nel racconto della sua vita, mentre quella del Montfort è espressa in un trattato. Ma tutti e due, alla fine dei loro scritti, invitano il lettore a darsi totalmente e per sempre a Gesù nell'amore dello Spirito Santo, attraverso le mani e il cuore di Maria. Con Maria e in Maria, ogni battezzato può veramente "vivere d'amore" nel quotidiano e realizzare la sua vocazione alla santità nel dono totale di sé e per sempre. La totalità e radicalità di tale dono viene espressa attraverso due forti simboli biblici:  "Olocausto all'Amore" (Teresa), "Schiavitù d'Amore" (Luigi Maria), in riferimento al sacrificio di Gesù, "Olocausto" della nuova alleanza di colui che ha preso per noi "la condizione di schiavo" fino alla morte sulla croce.

Nella vita di Karol Wojtyla, questo Totus tuus è diventato come il respiro della sua anima, il battito del suo cuore a partire dal 1940 quando ha scoperto, all'età di venti anni, il Trattato del Montfort. Molte volte, Giovanni Paolo II racconterà tutto questo. Lo ha fatto in modo speciale, nel 1996, al momento del suo 50° anniversario di sacerdozio nel libro Dono e mistero. Secondo la sua testimonianza, è un laico, Jan Tyranowski - adesso servo di Dio - che gli aveva fatto conoscere il Trattato del Montfort e le Opere di san Giovanni della Croce, aprendolo alla più profonda vita spirituale, negli anni durissimi dell'occupazione nazista in Polonia.

Il giovane Karol doveva lavorare come operaio in una fabbrica, scoprendo progressivamente nello stesso periodo la sua vocazione al sacerdozio. Parlando di questo periodo, Giovanni Paolo II insisteva sul "filo mariano" che aveva guidato tutta la sua vita fin dall'infanzia, nella sua famiglia, nella sua parrocchia, nella devozione carmelitana allo scapolare e la devozione salesiana a Maria ausiliatrice. La scoperta del Trattato - ricorda lo stesso Papa polacco - l'aiutò a fare un passo decisivo nel suo cammino mariano, superando una certa crisi:  "Ci fu un momento in cui misi in qualche modo in discussione il mio culto per Maria ritenendo che esso, dilatandosi eccessivamente, finisse per compromettere la supremazia del culto dovuto a Cristo.
 
Mi venne allora in aiuto il libro di san Luigi Maria Grignion de Montfort che porta il titolo di Trattato della vera devozione alla santa Vergine. In esso trovai la risposta alle mie perplessità. Sì, Maria ci avvicina a Cristo, ci conduce a Lui, a condizione che si viva il suo mistero in Cristo (...). L'autore è un teologo di classe. Il suo pensiero mariologico è radicato nel mistero trinitario e nella verità dell'Incarnazione del Verbo di Dio (...). Ecco spiegata la provenienza del Totus tuus. L'espressione deriva da san Luigi Maria Grignion de Montfort. È l'abbreviazione della forma più completa dell'affidamento alla Madre di Dio che suona così:  Totus tuus ego sum et omnia mea tua sunt. Accipio te in mea omnia. Praebe mihi cor tuum, Maria" (Dono e mistero, pp. 38-39).

Queste parole in latino, continuamente pregate e ricopiate da Karol Wojtyla sulle prime pagine dei suoi manoscritti, si trovano alla fine del Trattato del Montfort, quando il santo invita il fedele a vivere la comunione eucaristica con Maria e in Maria. Bisogna sottolineare che questo Totus tuus diventa per sempre, dal 1940 al 2005, come la linea direttrice di tutta la vita di Karol Wojtyla, come seminarista e sacerdote, e poi come Vescovo e Papa. Quando, nel 1958, è nominato da Pio xii vescovo ausiliare di Cracovia, sceglie già il Totus tuus come motto episcopale, insieme allo stemma che simboleggia Cristo redentore e Maria accanto a lui, lo stesso che conserverà come Papa. E soprattutto lo vivrà fino alla fine, nelle grandi sofferenze degli ultimi mesi. Dopo la tracheotomia, non potendo più parlare, scriverà ultimamente le parole Totus tuus. Sappiamo anche dalle persone più vicine a lui che leggeva ogni giorno un passo del Trattato.
 
Nei suoi scritti, Giovanni Paolo II ha fatto spesso riferimento a san Luigi Maria, come per esempio nella Redemptoris mater (n. 48). Ma, in modo particolare, verso la fine del suo pontificato, ci ha lasciato una bellissima sintesi della sua dottrina interpretata alla luce del concilio Vaticano ii, nella sua Lettera ai religiosi e alle religiose delle famiglie monfortane dell'8 dicembre 2003. È forse il testo più illuminante per capire il significato teologico profondo del Totus tuus e dello stemma episcopale.

All'inizio della Lettera (n. 1), Giovanni Paolo II racconta di nuovo la sua scoperta personale, con riferimento al suo libro Dono e mistero. Citando poi il Trattato, egli insiste sulla principale caratteristica della sua dottrina:  "La vera devozione mariana è cristocentrica". Il fondamento di questa dottrina è evidentemente il Vangelo. Ed è proprio a partire dal testo di san Giovanni che viene spiegato lo stemma e il motto Totus tuus:  "La Chiesa, fin dalle sue origini, e specialmente nei momenti più difficili, ha contemplato con particolare intensità uno degli avvenimenti della Passione di Gesù Cristo riferito da san Giovanni"Stavano presso la croce di Gesù sua Madre, la sorella di sua Madre, Maria di Cleofa, e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la Madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla Madre:  Donna, ecco il tuo figlio! Poi disse al discepolo:  Ecco la tua Madre! E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa" (Giovanni, 19, 25-27).

Lungo la sua storia, il Popolo di Dio ha sperimentato questo dono fatto da Gesù crocifisso:  il dono di sua Madre. Maria Santissima è veramente Madre nostra, che ci accompagna nel nostro pellegrinaggio di fede, speranza e carità verso l'unione sempre più intensa con Cristo, unico salvatore e mediatore della salvezza (cfr. Lumen gentium, 60 e 62). Com'è noto, nel mio stemma episcopale, che è l'illustrazione simbolica del testo evangelico appena citato, il motto Totus tuus è ispirato alla dottrina di san Luigi Maria Grignion de Montfort (cfr. Dono e mistero, pp. 38-39; Rosarium Virginis Mariae, 15). Queste due parole esprimono l'appartenenza totale a Gesù per mezzo di Maria:  "Totus tuus ego sum, et omnia mea tua sunt", scrive san Luigi Maria".

È alla fine del Trattato che si trovano le parole in latino, citate sopra, continuamente ricopiate da Karol Wojtyla, sacerdote, vescovo e Papa. Luigi Maria insegna a vivere la santa comunione con Maria. Si tratta di rinnovare la consacrazione del battesimo nelle mani di Maria per ricevere con lei il Corpo di Gesù:  "Rinnoverai la tua consacrazione, dicendo:  Totus tuus ego sum, et omnia mea tua sunt. Io sono tutto tuo, mia cara Signora, con tutto ciò che mi appartiene. Pregherai questa buona Madre di prestarti il suo cuore, per accogliervi il Figlio suo con le sue stesse disposizioni (...)Le chiederai il suo cuore con queste tenere parole:  Accipio te in mea omnia, praebe mihi cor tuum, o Maria [Ti prendo per ogni mio bene, dammi il tuo cuore, o Maria!]" (Trattato della vera devozione alla santa Vergine, 266).

Queste parole sono indirizzate al fedele per la sua piena partecipazione all'eucaristia. Ma hanno evidentemente un valore particolare per il sacerdote che celebra la messa. Luigi Maria lo dice, sempre alla fine del Trattato, invitando a rinnovare questa consacrazione mariana "prima di celebrare o di partecipare alla santa messa, alla comunione".
 
Le parole:  Accipio te in mea omnia ("Ti prendo come ogni mio bene") sono l'appropriazione personale del testo del Vangelo:  Accepit eam discipulus in sua ("Il discepolo la prese con sé", Giovanni, 19, 27). Maria è un dono che il discepolo riceve continuamente da Gesù stesso, e che accoglie nel dono di sé espresso dalle parole Totus tuus ego sum ("Io sono tutto tuo").

Ma questo dono di Maria viene sempre da Gesù e porta sempre a Gesù. È il senso della domanda Praebe mihi cor tuum, Maria ("dammi il tuo Cuore, o Maria"). Non si tratta principalmente di amare Maria, ma piuttosto di amare Gesù con il cuore di Maria. La vera devozione a Maria è cristocentrica. Il discepolo che riceve da Gesù stesso il dono di Maria mediante il dono totale di se stesso, entra per mezzo di lei nel mistero dell'Alleanza, nella profondità dell'ammirabile scambio tra Dio e l'uomo in Cristo Gesù. "Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventasse Dio", dicevano i Padri della Chiesa. Il Figlio di Dio è disceso dal Cielo e s'è incarnato per opera dello Spirito Santo nel seno verginale di Maria, per farci salire con lui nel seno del Padre. Maria occupa lo stesso posto nel movimento "discendente" dell'incarnazione e nel movimento "ascendente" della nostra divinizzazione. Come la Somma teologica di san Tommaso d'Aquino anche il Trattato del Montfort è interamente articolato secondo questa dinamica di exitus et reditus, cioè di andata e ritorno tra Dio e l'uomo in Cristo Gesù.

La "perfetta devozione a Maria" insegnata da san Luigi Maria consiste essenzialmente nel dono totale di sé espresso nel Totus tuus, integrando tutte le buone pratiche di devozione, specialmente il rosario. Ma nel più profondo è "pratica interiore", vita interiore, un cammino di vita spirituale profonda che deve portare alla santità. Non c'è dubbio che Giovanni Paolo II abbia vissuto questa spiritualità mariana al livello più alto dell'unione trasformante con Cristo. La domanda Praebe mihi cor tuum, o Maria è stata esaudita. Lo stesso Luigi Maria, che ha la meravigliosa esperienza di questa "identificazione mistica con Maria" spera che la sua dottrina porterà molti frutti nei secoli successivi della Chiesa.

Presentando gli "effetti meravigliosi" (Trattato della vera devozione alla santa Vergine, 213-225) di questa "perfetta devozione", Luigi Maria ci mostra come la persona che vive pienamente il Totus tuus cammina con Maria sulla via dell'umiltà evangelica, che è via di amore di fede e di speranza. Alla fine della sua Lettera ai religiosi e religiose delle famiglie monfortane, Giovanni Paolo II sintetizza questo insegnamento del Trattato sempre alla luce della Lumen gentium. La santità alla quale tutti sono chiamati non è altro che la perfezione della carità. In questa vita sulla terra, l'umiltà è la più grande caratteristica della carità. "È proprio dell'amore abbassarsi", scriveva Teresa di Lisieux all'inizio della sua Storia di un'anima. È lo stesso amore di Dio che in Gesù si fa piccolo e povero dal presepio alla croce. Ed è il significato profondo della "schiavitù d'amore".

Il punto finale della Lumen gentium era la contemplazione di "Maria, segno di certa speranza e di consolazione per il pellegrinante Popolo di Dio" (n. 68-69). In questa luce finisce anche la Lettera alla famiglia monfortana di Giovanni Paolo II, citando le ultime righe della Lumen Gentium e riassumendo la dottrina del Montfort sulla speranza vissuta con Maria, difendendolo in particolare contro l'accusa ingiusta di "millenarismo". E si ricorda come, nell'antifona Salve Regina, la Chiesa chiama la Madre di Dio "Speranza nostra".

In tutte le difficoltà della vita sacerdotale, Maria è e sarà sempre l'ancora della speranza, una speranza sicura per il futuro della Chiesa e per la salvezza del mondo. Così anche Papa Benedetto XVI, che ha fortemente voluto questo Anno sacerdotale, ha presentato Maria alla fine della sua enciclica Spe salvi come la "Stella della Speranza" (n. 49-50).



(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2009)
                                  Pope Benedict XVI prays in front of a nativity scene at the end of his weekly audience in the Paul VI hall at the Vatican December 16, 2009.

Caterina63
00martedì 22 dicembre 2009 01:05
Terza predica d'Avvento di padre Cantalamessa: "Maria, Madre e modello del sacerdote".


MARIA, MADRE E MODELLO DEL SACERDOTE






Maria, Madre e modello del sacerdote: è il tema sviluppato da padre Raniero Cantalamessa nella terza ed ultima predica di Avvento alla presenza del Papa nella Cappella Redemptoris Mater, in Vaticano. Il predicatore della Casa Pontificia si è soffermato sul legame speciale che unisce Maria e i sacerdoti, chiamati a vivere e donare la fede in Cristo con gioia. Ecco il testo integrale della predica:


Nella lettera a tutti i sacerdoti in occasione del Giovedì Santo del 1979, la prima della serie del suo pontificato, Giovanni Paolo II scriveva: “C’è, nel nostro sacerdozio, ministeriale la dimensione stupenda e penetrante della vicinanza della madre di Cristo”. In quest’ultima meditazione di Avvento, vorremmo riflettere proprio su questa vicinanza tra Maria e il sacerdote.

Di Maria non si parla molto spesso nel Nuovo Testamento. Tuttavia, se ci facciamo caso, notiamo che ella non è assente in nessuno dei tre momenti costitutivi del mistero cristiano che sono: l'Incarnazione, il Mistero pasquale, e la Pentecoste. Maria fu presente nell'Incarnazione perché essa è avvenuta in lei; fu presente nel Mistero pasquale, perché è scritto che: “ presso la croce di Gesù stava Maria sua madre” (cf Gv 19, 25); fu presente nella Pentecoste, perché è scritto che gli apostoli erano “ assidui e concordi nella preghiera con Maria, la madre di Gesù “ (cf At 1, 14).

Ognuna di queste tre presenze ci rivela qualcosa della misteriosa vicinanza tra Maria e il sacerdote, ma trovandoci nell’imminenza del Natale, vorrei limitarmi alla prima di esse, a quello che Maria dice del sacerdote e al sacerdote nel mistero dell’incarnazione.

1. Quale rapporto tra Maria e il sacerdote?
Vorrei anzitutto accennare alla questione del titolo di sacerdote attribuito alla Vergine nella tradizione. Uno scrittore della fine del V secolo chiama Maria “Vergine e allo stesso tempo sacerdote e altare che ci ha dato Cristo pane del cielo per la remissione dei peccati”. Dopo di lui sono frequenti i riferimenti al tema di Maria sacerdote che però divenne oggetto di sviluppi teologici solo nel secolo XVII, nella scuola francese di San Sulpizio. In essa il sacerdozio di Maria non viene messo tanto in rapporto con il sacerdozio ministeriale quanto con quello di Cristo.

Alla fine del secolo XIX si diffuse una vera e propria devozione alla Vergine - sacerdote e san Pio X accordò anche una indulgenza alla relativa pratica. Quando però si intravide il pericolo di confondere il sacerdozio di Maria con quello ministeriale, il magistero della Chiesa divenne reticente e due interventi del Santo Ufficio posero praticamente fine a tale devozione.

Dopo il concilio si continua a parlare del sacerdozio di Maria, collegandolo però non al sacerdozio ministeriale, e neppure a quello supremo di Cristo, ma al sacerdozio universale dei fedeli: ella possederebbe a titolo personale, come figura e primizia della Chiesa, quel “sacerdozio regale” (1 Pt 2,9) che tutti i battezzati posseggono a titolo collettivo.

Che possiamo ritenere di questa lunga tradizione che associa Maria al sacerdote e che senso dare alla “vicinanza” tra essi di cui parlava Giovanni Paolo II? Resta, a me pare, la analogia o la corrispondenza dei piani, all’interno del mistero della salvezza. Quello che Maria è stata sul piano della realtà storica, una volta per tutte, il sacerdote lo è ogni volta di nuovo sul piano della realtà sacramentale.

In questo senso si possono intendere le parole di Paolo VI: “Quali relazioni e quali distinzioni vi sono fra la maternità di Maria, resa universale dalla dignità e dalla carità della posizione assegnatale da Dio nel piano della Redenzione, e il sacerdozio apostolico, costituito dal Signore per essere strumento di comunicazione salvifica fra Dio e gli uomini? Maria dà Cristo all’umanità; e anche il Sacerdozio dà Cristo all’umanità, ma in modo diverso, com’è chiaro; Maria mediante l’Incarnazione e mediante l’effusione della grazia, di cui Dio l’ha riempita; il Sacerdozio mediante i poteri dell’ordine sacro.

L’analogia tra Maria e il sacerdote si può esprimere così. Maria, per opera dello Spirito Santo, ha concepito Cristo e, dopo averlo nutrito e portato nel suo seno, lo ha dato alla luce a Betlemme; il sacerdote, unto e consacrato di Spirito Santo nell’ordinazione, è chiamato anche lui a riempirsi di Cristo per poi darlo alla luce e farlo nascere nelle anime mediante l’annuncio della parola, l’amministrazione dei sacramenti.

In questo senso il rapporto tra Maria e il sacerdote ha una lunga tradizione dietro di sé, molto più autorevole di quella di Maria – sacerdote. Riprendendo un pensiero di Agostino il Concilio Vaticano II scrive: “ La Chiesa... diventa essa pure madre, poiché con la predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figlioli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio“ .

Il battistero, dicevano i Padri, è il seno in cui la Chiesa dà alla luce i suoi figli e la parola di Dio è il latte puro con cui li nutre: “O prodigio mistico! Uno è il Padre di tutti, uno anche il Verbo di tutti, uno e identico dappertutto è anche lo Spirito Santo e una sola è la Vergine Madre: così io amo chiamare la Chiesa. Pura come vergine, amabile come madre, chiamando a raccolta i suoi figli, li nutre con quel sacro latte che è la parola destinata ai bambini appena nati (cf 1 Pt 2, 2)”.

Il beato Isacco della Stella, in una pagina che abbiamo letto nell’ufficio delle letture di sabato scorso, ha fatto una sintesi di questa tradizione: “ Maria e la Chiesa, scrive, sono una madre e più madri; una vergine e più vergini. L'una e l'altra madre, l'una e l'altra vergine. L'una e l'altra concepisce senza concupiscenza dallo stesso Spirito; l'una e l'altra dà a Dio Padre una prole senza peccato. Quella, senza alcun peccato, partorì al corpo il Capo; questa, nella remissione di tutti i peccati, partorisce il corpo al Capo”.

Quello che in questi testi si dice della Chiesa nel suo insieme, come sacramento di salvezza, va applicato in modo speciale ai sacerdoti, perché, ministerialmente, sono essi che, in concreto, generano Cristo nelle anime mediante la parola e i sacramenti.

2. Maria credette
Fin qui l’analogia tra Maria e il sacerdote sul piano, per così dire, oggettivo o della grazia. Esiste però un’analogia anche sul piano soggettivo, cioè tra il contributo personale che la Vergine ha dato alla grazia dell’elezione e il contributo che il sacerdote è chiamato a dare alla grazia dell’ordinazione. Nessuno dei due è un puro canale che lascia passare la grazia senza nulla apportarvi di proprio.

Tertulliano parla di una versione del docetismo gnostico, secondo cui Gesù era nato, sì, da Maria, ma non concepito in lei e da lei; il corpo di Cristo, venuto dal cielo, sarebbe passato attraverso la Vergine, ma non generato in lei e da lei; Maria sarebbe stata per Gesù una via, non una madre, e Gesù per Maria un ospite, non un figlio. Per non ripetere questa forma di docetismo nella sua vita, il sacerdote non può limitarsi a trasmette agli altri un Cristo imparato dai libri che non è diventato prima carne della sua carne e sangue del suo sangue. Come Maria (l’immagine è di San Bernardo) egli deve essere un serbatoio che fa traboccare al di fuori ciò di cui è pieno dentro, non un canale che si limita a far passare l’acqua senza nulla trattenerne.

L’apporto personale, comune a Maria e al sacerdote, si riassume nella fede. Maria, scrive Agostino, “per fede concepì e per fede partorì” (fide concepit, fide peperit); anche il sacerdote per fede porta Cristo nel suo cuore e mediante la fede lo comunica agli altri. Sarà il centro della meditazione di oggi: cosa il sacerdote può imparare dalla fede di Maria.

Quando Maria giunse da Elisabetta, questa l'accolse con grande gioia e, “piena di Spirito Santo “, esclamò: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc l, 45). Non c'è dubbio che questo aver creduto si riferisce alla risposta di Maria all'angelo: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38).

A prima vista, quello di Maria fu un atto di fede facile e perfino scontato. Diventare madre di un re che avrebbe regnato in eterno sulla casa di Giacobbe, madre del Messia! Non era quello che ogni fanciulla ebrea sognava di essere? Ma questo è un modo di ragionare assai umano e carnale. Maria viene a trovarsi in una totale solitudine. A chi può spiegare ciò che è avvenuto in lei? Chi la crederà quando dirà che il bimbo che porta nel grembo è “opera dello Spirito Santo “? Questa cosa non è avvenuta mai prima di lei e non avverrà mai dopo di lei.

Maria conosceva certamente ciò che era scritto nel libro della legge e cioè che se la fanciulla, al momento delle nozze, non fosse stata trovata in stato di verginità, doveva essere fatta uscire all'ingresso della casa del padre e lapidata dalla gente del villaggio (cf Dt 22, 20 s). Noi parliamo volentieri oggigiorno del rischio della fede, intendendo, in genere, con ciò, il rischio intellettuale; ma per Maria si trattò di un rischio reale!

Carlo Carretto, nel suo libretto sulla Madonna, narra come giunse a scoprire la fede di Maria. Quando viveva nel deserto, aveva saputo da alcuni suoi amici Tuareg che una ragazza dell'accampamento era stata promessa sposa a un giovane, ma che non era andata ad abitare con lui, essendo troppo giovane. Aveva collegato questo fatto con quello che Luca dice di Maria. Perciò ripassando, dopo due anni, in quello stesso accampamento, chiese notizie della ragazza. Notò un certo imbarazzo tra i suoi interlocutori e più tardi uno di loro, avvicinandosi con grande segretezza, fece un segno: passò una mano sulla gola con il gesto caratteristico degli arabi quando vogliono dire: “E stata sgozzata “. Si era scoperta incinta prima del matrimonio e l'onore della famiglia esigeva quella fine. Allora ripensò a Maria, agli sguardi impietosi della gente di Nazareth, agli ammiccamenti, capì la solitudine di Maria, e quella notte stessa la scelse come compagna di viaggio e maestra della sua fede . Dio non strappa mai alle creature dei consensi, nascondendo loro le conseguenze, ciò cui andranno incontro. Lo vediamo in tutte le grandi chiamate di Dio. A Geremia preannuncia: “Ti muoveranno guerra” (Ger l, 19) e di Saulo, dice ad Anania: “Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome2 (At 9, 16). Solo con Maria, per una missione come la sua, avrebbe agito diversamente? Nella luce dello Spirito Santo, che accompagna la chiamata di Dio, ella ha certamente intravisto che anche il suo cammino non sarebbe stato diverso da quello di tutti gli altri chiamati. Del resto, Simeone, ben presto, darà espressione a questo presentimento, quando le dirà che una spada le avrebbe trapassato l'anima.

Uno scrittore moderno, Erri De Luca, ha descritto in modo poetico questo presentimento di Maria al momento della nascita di Gesù. Ella è sola nella grotta, Giuseppe veglia all’esterno (per legge nessun uomo può assistere al parto); ha appena dato alla luce il figlio, quando delle strane associazioni le balenano nella mente: “Perché, figlio mio, nasci proprio qui a Bet-Lehem, Casa del Pane? E perché dobbiamo chiamarti Ieshu?... Fa’ che questo brivido salito sulla mia schiena, questo freddo venuto dal futuro sia lontano da lui”. La madre presagisce che quel figlio le sarà tolto, allora ripete tra sé: “Fino alla prima luce Ieshu è solamente mio. Voglio cantare una canzone con queste tre parole e basta. Stanotte qui a Bet Lehem è solamente mio”. E, così dicendo, se lo porta al seno per allattarlo.

Maria è l'unica ad aver creduto “in situazione di contemporaneità”, cioè mentre la cosa accadeva, prima di ogni conferma e di ogni convalida da parte degli eventi e della storia 8. Gesù disse a Tommaso: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” (Gv 20, 29): Maria è la prima di coloro che hanno creduto senza aver ancora visto.

San Paolo dice che Dio ama chi dona con gioia (2 Cor 9, 7) e Maria ha detto a Dio il suo “sì “ con gioia. Il verbo con cui Maria esprime il suo consenso, e che è tradotto con “fiat “ o con “si faccia “, nell'originale, è all'ottativo (génoito), un modo verbale che in greco si usa per esprimere desiderio e perfino gioiosa impazienza che una certa cosa avvenga. Come se la Vergine dicesse: “Desidero anch'io, con tutto il mio essere, quello che Dio desidera; si compia presto ciò che egli vuole “. Davvero, come diceva sant'Agostino, prima ancora che nel suo corpo ella concepì Cristo nel suo cuore.

Ma Maria non disse “fiat” perché non parlava latino e non disse neppure “génoito “ che è parola greca. Che cosa disse allora? Qual è la parola che, nella lingua parlata da Maria, corrisponde più ' da vicino a questa espressione? Quando voleva dire a Dio “sì, così sia “, un ebreo diceva “amen! “ Se è lecito cercare di risalire, con pia riflessione, all'ipsissima vox, alla parola esatta uscita dalla bocca di Maria - o almeno alla parola che c'era, a questo punto, nella fonte giudaica usata da Luca -, questa deve essere stata proprio la parola “amen “. Ricordiamo i salmi che nella Volgata latina terminavano con l’espressione: “fiat, fiat”?; nel testo greco dei LXX, a quel punto, c’è “genoito, genoito” e nell’originale ebraico conosciuto da Maria c’è “amen, amen”.

Amen è parola ebraica, la cui radice significa solidità, certezza; era usata nella liturgia come risposta di fede alla parola di Dio. Con l'“amen “ si riconosce quel che è stato detto come parola ferma, stabile, valida e vincolante. La sua traduzione esatta, quando è risposta alla parola di Dio, è questa: “Così è e così sia “. Indica fede e obbedienza insieme; riconosce che quel che Dio dice è vero e vi si sottomette. E dire “sì “ a Dio. In questo senso lo troviamo sulla bocca stessa di Gesù: “Sì, amen, Padre, perché così è piaciuto a te... “ (cf Mt 11, 26). Egli anzi è l'Amen personificato: Così parla l’Amen... (Ap 3, 14) ed è per mezzo di lui che ogni altro “amen “ di fede pronunciato sulla terra sale ormai a Dio (cf 2 Cor l, 20). Anche Maria, dopo il Figlio, è l’ amen a Dio fatto persona.

La fede di Maria è dunque un atto d'amore e di docilità, libero anche se suscitato da Dio, misterioso come misterioso è ogni volta l'incontro tra la grazia e la libertà. E questa la vera grandezza personale di Maria, la sua beatitudine confermata da Cristo stesso. “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte” (Lc 11, 27), dice una donna nel Vangelo. La donna proclama Maria beata perché ha portato Gesù; Elisabetta la proclama beata perché ha creduto; la donna proclama beato il portare Gesù nel grembo, Gesù proclama beato il portarlo nel cuore: “Beati piuttosto - risponde Gesù - coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano”. Egli aiuta, in tal modo, quella donna e tutti noi, a capire dove risiede la grandezza personale di sua Madre. Chi è infatti che “custodiva“ le parole di Dio più di Maria, della quale è detto due volte, dalla stessa Scrittura, che “custodiva tutte le parole nel suo cuore “? (cf Lc 2, 19.51).

Non dovremmo concludere il nostro sguardo alla fede di Maria con l'impressione che Maria abbia creduto una volta e poi basta nella sua vita; che ci sia stato un solo grande atto di fede nella vita della Madonna. Quante volte, in seguito all'Annunciazione, Maria sarà stata martirizzata dall'apparente contrasto della sua situazione con tutto ciò che era scritto e conosciuto, circa la volontà di Dio, nell'Antico Testamento e circa la figura stessa del Messia! Il Concilio Vaticano II ci ha fatto un grande dono, affermando che anche Maria ha camminato nella fede, anzi che ha “progredito” nella fede, cioè è cresciuta e si è perfezionata in essa .

3. Crediamo anche noi!
Passiamo ora da Maria al sacerdote. Sant'Agostino ha scritto: “Maria credette e in lei quel che credette si avverò. Crediamo anche noi, perché quel che si avverò in lei possa giovare anche a noi”. Crediamo anche noi! La contemplazione della fede di Maria ci spinge a rinnovare anzitutto il nostro personale atto di fede e di abbandono a Dio.

Tutti devono e possono imitare Maria nella sua fede, ma in modo tutto speciale deve farlo il sacerdote. “Il mio giusto - dice Dio - vivrà di fede “ (cf Abacuc 2, 4; Rm 1, 17): questo vale, a un titolo speciale, per il sacerdote. Egli è l'uomo della fede. La fede è ciò che determina, per così dire, il suo “peso specifico” e l’efficacia del suo ministero.

Ciò che i fedeli colgono immediatamente in un sacerdote e in un pastore, è se “ ci crede “, se crede in ciò che dice e in ciò che celebra. Chi dal sacerdote cerca anzitutto Dio, se ne accorge subito; chi non cerca da lui Dio, può essere facilmente tratto in inganno e indurre in inganno lo stesso sacerdote, facendolo sentire importante, brillante, al passo coi tempi, mentre, in realtà, è un “bronzo che tintinna e un cembalo squillante”.

Perfino il non credente che si accosta al sacerdote in uno spirito di ricerca, capisce subito la differenza. Quello che lo provocherà e che potrà metterlo salutarmente in crisi, non sono in genere le più dotte discussioni della fede, ma trovarsi davanti a uno che crede veramente con tutto se stesso. La fede è contagiosa. Come non si contrae contagio, sentendo solo parlare di un virus o studiandolo, ma venendone a contatto, così è con la fede.

A volte si soffre e magari ci si lamenta in preghiera con Dio, perché la gente abbandona la Chiesa, non lascia il peccato, perché parliamo parliamo, e non succede niente. Un giorno gli apostoli tentarono di cacciare il demonio da un povero ragazzo, ma senza riuscirvi. Dopo che Gesù ebbe cacciato, lui, lo spirito cattivo dal ragazzo, si accostarono a Gesù in disparte e gli chiesero: “Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?” E Gesù rispose: “Per la vostra poca fede” (Mi 17, 19-20).

San Bonaventura racconta come un giorno, mentre era sul monte della Verna, gli tornò in mente ciò che dicono i santi Padri e cioè che l'anima devota, per grazia dello Spirito Santo e la potenza dell'Altissimo, può spiritualmente concepire per fede il benedetto Verbo del Padre, partorirlo, dargli il nome, cercarlo e adorarlo con i Magi e infine presentarlo felicemente a Dio Padre nel suo tempio. Scrisse allora un opuscolo intitolato “Le cinque feste di Gesù bambino”, per mostrare come il cristiano può rivivere in sé ognuno di questi cinque momenti della vita di Gesù. Mi limito a ciò che san Bonaventura dice delle due prime feste, la concezione e la nascita, applicandolo in particolare al sacerdote.

Il sacerdote concepisce Gesù quando, scontento della vita che conduce, stimolato da sante ispirazioni e accendendosi di santo ardore, infine staccandosi risolutamente dalle sue vecchie abitudini e difetti, è come fecondato spiritualmente dalla grazia dello Spirito Santo e concepisce il proposito di una vita nuova.

Una volta concepito, il benedetto Figlio di Dio nasce nel cuore del sacerdote, allorché, dopo aver fatto un sano discernimento, chiesto opportuno consiglio, invocato l'aiuto di Dio, mette immediatamente in opera il suo santo proposito, cominciando a realizzare quello che da tempo andava maturando, ma che aveva sempre rimandato per paura di non esserne capace.

Questo proposito di vita nuova deve, però, tradursi subito, senza rinvii, in qualcosa di concreto, in un cambiamento, possibilmente anche esterno e visibile, nella nostra vita e nelle nostre abitudini. Se il proposito non è messo in atto, Gesù è concepito, ma non è partorito. Sarà uno dei tanti aborti spirituali di cui è pieno purtroppo il mondo delle anime.

Ci sono due brevissime parole che Maria pronunciò al momento dell’Annunciazione e il sacerdote pronuncia nel momento della sua ordinazione: “Eccomi!” e “Amen”, o “Sì”. Ricordo il momento in cui ero davanti all’altare per l’ordinazione con una decina di miei compagni. A un certo punto venne pronunciato il mio nome e io risposi emozionatissimo: “Eccomi!”

Nel corso del rito, ci furono rivolte alcune domande: “Vuoi esercitare il ministero sacerdotale per tutta la vita?”, “Vuoi adempiere degnamente e fedelmente il ministero della parola nella predicazione?”, “Vuoi celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo?”. Ad ogni domanda rispondemmo: “Sì, lo voglio!”

Il rinnovamento spirituale del sacerdozio cattolico, auspicato dal Santo Padre, sarà proporzionato allo slancio con cui ognuno di noi, sacerdoti o vescovi della Chiesa, saremo capaci di pronunciare di nuovo un gioioso: “Eccomi!” e “Sì, lo voglio!”, facendo rivivere l’unzione ricevuta nell’ordinazione. Gesù entrò nel mondo dicendo: “Ecco, io vengo, per fare, o Dio, la tua volontà!” (Eb 10,7). Noi lo accogliamo, in questo Natale, con le stesse parole: “Ecco, io vengo, Signore Gesù, a fare la tua volontà!”.

Caterina63
00sabato 27 febbraio 2010 19:43
Riflessioni per l'Anno sacerdotale

La fede della mamma


di Eliana Versace

"Non so perché, quando leggo una biografia (di Leonardo, di Goethe o di santa Teresa d'Avila) mi chiedo sempre una cosa:  chi era la loro madre, che persona era, che parole diceva, quanto erano profondi i suoi silenzi?". Così, si esprimeva Jean Guitton nell'introdurre i suoi Dialoghi con Paolo vi, conversazioni e ricordi dal tratto confidenziale, raccolti dal filosofo francese nel corso degli anni e pubblicati nel 1967.

A margine di un convegno di studi organizzato a Modena per ricordare la figura di Ermanno Gorrieri, alcuni noti storici italiani hanno espresso una considerazione analoga a quella confidata da Guitton, sollecitando di conseguenza gli studiosi a non trascurare ma anzi, al contrario, ad approfondire nei loro studi biografici il rapporto che lega gli uomini di fede alle proprie madri. Partendo da un assunto condivisibile e ben motivato, si asseriva infatti che la fede, nel corso dei secoli è stata trasmessa quasi sempre per via femminile, dunque è proprio in quello speciale e primario legame che si stabilisce tra ogni uomo e sua madre, che andrebbero rintracciati i germogli della più intima spiritualità di ciascuno.

Una tale ricerca, che può avere una utile e felice valenza storiografica nel ricostruire le vicende biografiche dei personaggi pubblici, assume un significato più profondo e quasi imprescindibile se si vuole indagare il sorgere e maturare d'una vocazione religiosa. In questo Anno sacerdotale, indetto da Benedetto XVI nella memoria del curato d'Ars, numerosi testi, articoli e libri hanno riproposto appunto l'umile figura del parroco francese. Alla luce delle precedenti osservazioni potremmo allora chiederci:  in che contesto familiare è maturata la sua fede? E, ancora - andando più a fondo per cercare di rispondere a quelle domande che restano solitamente inevase nelle biografie tradizionali - chi era la madre del curato d'Ars?

Giovanni Maria Vianney ci parla indirettamente di lei quando, rivolgendosi ai suoi parrocchiani constatava - con le consuete parole semplici che hanno reso grande il suo ministero - come "la virtù passa dal cuore della madre nel cuore dei figli". Di sua madre, Maria Beluse, moglie del campagnolo Matteo Vianney, sappiamo poco. L'abate Alfred Monnin, principale biografo del curato d'Ars, nei suoi scritti ci ha lasciato un'immagine altamente simbolica di questa donna sconosciuta presentandocela - con un evidente intento pedagogico - accostata al marito in un audace paragone con santa Elisabetta, la madre del Battista. Scriveva Monnin che, "come Zaccaria ed Elisabetta", i coniugi Vianney, "due giusti davanti al Signore", camminavano fedelmente e senza macchia nelle sue vie. Così che dei patriarchi avevano avuto la benedizione e, in dieci anni, il Cielo aveva dato loro una corona di sei figliuoli".

In Italia venne intitolato alla signora Vianney il capitolo di un volumetto, Madri di Santi, ormai quasi introvabile, pubblicato esattamente ottant'anni fa dall'Unione delle donne cattoliche italiane e scritto, con uno stile devozionale  e  una  prosa  edificante dal chiaro fine didascalico, da Albina Henrion.

Tra i ritratti delle donne che avevano guidato i figli alla fede, accompagnandoli verso una vocazione religiosa che sarebbe stata infine glorificata dalla santità, oltre al principale e fulgido esempio di Monica e Agostino, con cui si apriva il libro, troviamo dunque diverse pagine dedicate alla devota contadina francese Maria Vianney. Sappiamo che il suo quartogenito, battezzato lo stesso giorno della nascita, l'8 maggio del 1786, nella piccola chiesetta di Dardilly fu affidato dalla madre, già con la pia scelta del nome, alla protezione congiunta di san Giovanni Battista e della Vergine Maria. Dalla mamma, il piccolo, pur restando quasi completamente analfabeta fino all'età di 17 anni, aveva appreso, quasi respirandola nella vita familiare, quella consuetudine alla preghiera assidua e quotidiana che sarà forza e conforto in tutta la sua vita.

"Dopo Dio - dirà il curato d'Ars, soffermandosi sul dono della preghiera - esso è l'opera di mia madre". Perché i bambini - aggiungeva con sapienza - "fanno volentieri ciò che vedono fare". E allora, ripensando alla straordinaria virtù di carità, all'inebriante amore verso Dio e verso il prossimo che animò il santo curato in ogni momento della sua missione sacerdotale, non stupisce scoprire come presso la casa dei coniugi Vianney, ancor prima della nascita di Giovanni Maria, avessero spesso trovato accoglienza e rifugio, nei freddi mesi invernali, numerosi poveri e bisognosi, alloggiati nel solaio della modesta dimora, assistiti dalla signora Vianney e ospitati alla stessa mensa della famiglia. Viene riferito che anche Benedetto Labre, il santo "vagabondo di Dio" che, peregrinando, predicava il Vangelo nella più assoluta povertà, sia passato dalla casa dei Vianney. E, "dovunque passano i santi - avrebbe detto un giorno il curato d'Ars - Iddio passa con loro".

Affrontando molteplici difficoltà e superando l'iniziale scetticismo del marito, la signora Vianney incoraggiò il figlio nella maturazione della sua scelta sacerdotale, ottenendo infine il consenso del coniuge affinché il ragazzo, inviato nella vicina Ecully, potesse acquisire dall'abate Bailey la necessaria istruzione, che l'umile famiglia non aveva potuto offrirgli. All'esempio della madre - morta nel febbraio del 1811 - che non fece in tempo ad assistere all'ordinazione del figlio, Giovanni Maria Vianney ricorrerà spesso nell'instancabile e caritatevole esercizio del suo ministero e "ripensando a sua madre - viene narrato - piangeva di tenerezza".

Diversi aspetti di similitudine alla vicenda del curato d'Ars presenta la biografia di Pio x, intimamente devoto al parroco francese, che ne volle la beatificazione. Papa Sarto, che era stato anch'egli, da giovane, un semplice curato nel piccolo borgo veneto di Salzano, elevò Giovanni Maria Vianney alla gloria degli altari l'8 gennaio del 1905, nella basilica di San Pietro, riconoscendolo, per primo, come modello e riferimento per i sacerdoti.

Da sua madre, Margherita Sanson, quel Papa, Giuseppe Sarto, non aveva ereditato solo un'impressionante somiglianza fisica. Margherita, un'illetterata cucitrice della campagna veneta, avrebbe trasmesso al figlio, il futuro san Pio x, anche un'intensa educazione spirituale. E il quarantenne Giovanni Sarto, padre del Pontefice, che aveva sposato la moglie - di oltre vent'anni più giovane di lui - a un'età che un tempo era considerata matura, aveva accolto i suoi undici figli - l'ultimo dei quali arrivato quando l'uomo era già sessantenne - acconsentendo fiducioso ai misteriosi e provvidenziali disegni divini.

Ricorderà un amico della famiglia:  "La giornata si terminava con la preghiera e l'esame di coscienza in famiglia; ciascuno confessava i suoi torti e domandava perdono a colui che aveva offeso; usanza ammirabile che esisteva nella famiglia Sarto, come nelle primitive famiglie del cristianesimo" - aggiungendo ancora - "perciò è forse da meravigliarsi che un'anima santa sia uscita di là?". Con enorme sacrificio, dopo la morte del marito, fu Margherita a farsi carico della numerosa famiglia, che viveva in una situazione d'estrema ristrettezza economica, riprendendo il suo vecchio lavoro di cucitrice.

Nonostante ciò, Margherita Sanson Sarto insieme ai suoi figli "al mattino era in piedi alle cinque, faceva lunghe preghiere, assisteva alla santa Messa, si comunicava, recitava l'ufficio della Vergine, leggeva in ginocchio un capitolo del Nuovo Testamento". La vocazione sacerdotale del figlio venne dunque accolta dalla donna come una grazia che il Signore benignamente le aveva accordato in risposta alle sue preghiere.

A Margherita fu anche concesso il tempo e la gioia di vedere il suo secondogenito servire la Chiesa come vescovo di Mantova e poi ancora nella veste di patriarca di Venezia. Un vecchio aneddoto - tramandato dagli antichi abitanti di Riese, il paese natale del futuro Papa, e che forse val la pena ricordare perché ci rende esplicita quella spiritualità semplice e concretamente vissuta di cui s'era nutrito Giuseppe Sarto - narra che quando suo figlio, appena nominato vescovo di Mantova, volle andare a visitare e ringraziare l'anziana madre inferma, Margherita, dopo averne baciato l'anello episcopale gli mostrò la sua fede nuziale esclamando "È molto bello il tuo anello, Giuseppe; ma tu non l'avresti se io non avessi questo".

Il matrimonio tardivo, e provvidenziale, di Giovanni Sarto con la sua giovane sposa, vissuto con una fede incrollabile e quasi biblica, tra fatiche e privazioni, avrebbe infatti donato alla Chiesa un Pontefice e un santo. Ma questo Margherita Sanson non poteva saperlo. "La madre di un Papa non ha mai saputo di esserlo" - osserverà, molti anni dopo, Paolo vi pensando alla mamma, la bresciana Giuditta Alghisi, con espressioni di grande tenerezza - "ma suo figlio lo sa. E soffre di non poterle dire la sua riconoscenza, di non poterlesi inginocchiare davanti, per ricevere una benedizione".

Rispondendo alla curiosità di Guitton, Papa Montini ammetteva un impagabile debito di gratitudine nei confronti di sua madre. "Credo di dover molto di quel che sono a mia madre, al suo modo di pensare e di sentire". E, ancora, in un altro colloquio raccontava:  "A mia madre devo il senso del raccoglimento, della vita interiore, della meditazione che è preghiera, della preghiera che è meditazione. Tutta la sua vita è stata un dono". E continuava, ricordando i genitori, indispensabili l'uno all'altro, che morirono entrambi nel 1943, a pochi mesi di distanza:  "All'amore di mio padre e di mia madre, alla loro unione devo l'amore di Dio e l'amore degli uomini". Non stupisce allora che sia stato un Papa, e proprio Paolo vi, nella sua ultima enciclica - la tanto contestata Humanae vitae - a trovare le parole più belle e veritiere per parlare dell'amore tra un uomo e una donna, di quell'"amore totale" che unisce in maniera esclusiva marito e moglie e che è realmente "una forma tutta speciale di amicizia personale", un amore "pienamente umano", e quindi insieme "sensibile e spirituale".

Ed è, infine, ancora un dialogo di Paolo vi a offrirci una prima, essenziale, risposta agli interrogativi che hanno mosso queste:  "Noi - ci viene detto - viviamo tutti più o meno (lo ammetteva anche Renan) di quello che una donna ci ha insegnato nella dimensione del sublime. E i figli lo sentono più delle figlie, a causa della diversità delle nature. E i figli preti ancora più fortemente, perché sono votati alla solitudine".

Ma, alla luce delle significative esperienze qui richiamate, anche nella più intima e insondabile maturazione d'una vocazione sacerdotale - e in ogni altra missione che chiunque, laico o religioso, è misteriosamente chiamato dalla Volontà divina a compiere, al servizio di Cristo e della sua Chiesa - possiamo cogliere l'eco delle parole di Gesù, raccolte da Giovanni, che risuonano nel nostro animo come un'imperitura e feconda promessa di fedeltà:  "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Giovanni, 15, 16).


(©L'Osservatore Romano - 28 febbraio 2010)

Caterina63
00martedì 29 giugno 2010 18:23
Attualità e riflessioni

Anno sacerdotale: Maria e il sacerdozio

L’Immacolata, modello di amore eucaristico, è la Celeste formatrice dei sacerdoti, dispensatori del Divin Corpo del Figlio suo. In essi, la Vergine Santa continua la sua mis­sione di Madre, adoratrice e apo­stola di Gesù.

di San Pier Giuliano Eymard

L’anima che vive dell’Eucaristia deve oc­cuparsi prima di tutto degli interessi del­l’adorabile Sacramento. Tra questi, il primo, il più caro a Gesù è il Sacerdozio. Il Santissi­mo Sacramento ci è dato e viene a noi per opera dei Sacerdoti; per mezzo di essi Gesù riceve la vita sacramentale che consacra alla gloria del Padre; per mezzo di essi Egli è glo­rificato più che non lo possano fare i fedeli anche più pii: Egli ha dato loro tutti i suoi di­ritti, tutta la sua potenza.

Perciò pregare per il Sacerdozio, chiedere che le vocazioni si moltiplicassero, ottenere per i popoli sacerdoti santi, uomini di fuoco, era la preghiera di Maria, il suo apostolato di predilezione. Ed ora essa protegge le vocazio­ni sante, le domanda al suo Divin Figlio: il sa­cerdote è il figlio prediletto di Maria.

Ella lo forma fin dalla fanciullezza e con­serva la sua virtù, alimenta il suo fervore, lo conduce per mano sino ai piedi dell’altare, e lo presenta al Vescovo, come altra volta pre­sentò Gesù al Tempio. L’incoraggia nei mille sacrifici dello studio, nelle lotte, nei timori del Sacerdozio. Il sacerdote formato da Maria, oh che buono e santo sacerdote, ben accetto a Gesù!

Maria rivive nel sacerdote e continua per mezzo di lui la sua missione verso le anime e verso Gesù Cristo. La prima Incarnazione s’è fatta in Maria e per mezzo di Maria; in essa il Verbo ha preso carne; nel­le mani del sacerdote e alla sua parola, Gesù Cristo diviene nostro Pane. La dignità di Madre di Dio è in­comparabile; Ella è la Madre del Re, Regina, per con­seguenza, degli Angeli e degli uomini. Il sacerdote è il padre di Gesù in sacramento, il re spirituale delle anime: un Dio terreno, terrenus Deus, che ha ricevu­to tutti i beni di Dio, che apre e chiude il Cielo.

Maria alleva Gesù, lo nutre, segue i suoi stati di vita. Al sacerdote spetta di far crescere Gesù Cristo nelle anime, di seguirlo, conservarlo in esse fino a tanto che sia arrivato all’età perfetta e che abbia tra­sformato l’anima in Lui stesso.

Maria, come Madre, ha su Nostro Signore tutti i diritti che le conferisce la maternità. Il sacerdote ha pure un potere diretto sulla persona di Gesù Cristo. Maria non è potente che per Gesù: anche il sacerdote non è potente che per le grazie che Gesù mette nelle sue mani; e Gesù mette se stesso a disposizione di lui, per dargli una potenza d’azione ancor più grande.

Pertanto Maria può sotto certi rapporti invidiare i privilegi del sacerdote. Ella porta il Verbo Incarna­to per nove mesi nel suo seno, e non di più: il sacer­dote è inesauribile: ogni giorno egli incarna Gesù Cristo; il suo potere di consacrare è inerente al suo sacerdozio; simile al Padre che lo genera senza esau­rirsi mai, simile al sole che rida ogni giorno la sua lu­ce, il suo calore.

Maria da al monde Salvatore nel suo stato mortale, debole e destinato alla Croce; il sacerdote lo fa discendere sull’Altare, ma nel suo stato glo­rioso e risuscitato: la sua gloria non appare ai no­stri occhi grossolani, ma gli Angeli la vedono: è un sole raggiante dalla parte del cielo, velato verso la terra.

La missione e i doveri del sacerdote e di Ma­ria riguardo all’Eucaristia e alle anime sono gli stessi.

La missione del sacerdote è una missione di adorazione e di apostolato. Il sacerdote prima è adoratore, custode del Santissimo Sacramento, uomo di orazione anzitutto: «Nos vero – dicono gli Apostoli – orationi et ministerio verbi instantes erimus», «Noi attenderemo alla preghiera e al­la predicazione». Così pure il sacerdote deve unir­si alla preghiera della Vittima, che offre e prepara, e incominciare ai piedi dell’altare il suo apostola­to esteriore.

Maria nel Cenacolo: ecco la sua Divina Ma­dre che gli è di esempio in questo primo dovere; là Ella è adoratrice d’ufficio, adora prendendosi cura del culto eucaristico, ripara la gloria di Dio oltraggiata dai peccatori, consola l’amor di Gesù sconosciuto dai suoi. Al Padre offre Gesù; a Gesù mostra il materno suo seno; allo Spirito Santo le anime, sua eredità e suoi templi, affinchè le rinnovi e animi della sua carità.

Ecco quello che deve a Gesù il sacerdote fedele, che comprende la grazia dell’amore del Salvatore per lui.

Il secondo ministero del sacerdote è di annunciare Gesù Cristo ai popoli. Ancora qui Maria è la sua dolce protettrice. Ella ha compiuto l’educazione di Gesù, e ha rivelati i misteri della sua vita agli Apostoli e agli Evangelisti; parlava di Lui senza stancarsi, lo faceva amare attorno a sé: era zelatrice di Gesù.

Così deve fare il sacerdote: predicare, far conosce­re Gesù nel Santissimo Sacramento, estendere il culto e il regno, con zelo infaticabile. Per questo egli si rivol­ge a Maria, che ama i sacerdoti d’un amore di predile­zione; li ama in Gesù suo Figlio, di cui sono i Ministri; li ama per la gloria di Dio e la salute delle anime, del­le quali essi sono gli apostoli.

Il sacerdote ha dei doveri da compiere verso que­sta tenera Madre: non deve star indietro a nessuno nel renderle onore, nell’amore tenero che le è dovuto: la faccia conoscere e amare con zelo.

E noi, se amiamo l’Eucaristia, se vogliamo che es­sa sia servita, predicata, adorata da tutti, domandiamo senza posa a Gesù, per mezzo di Maria, santi sacerdo­ti, operai apostolici, fedeli adoratori: la gloria del Santissimo Sacramento e la salvezza del mondo non sono che a questo prezzo.

L’apostolato di Maria consisteva nella pre­dicazione muta, ma molto persuasiva, del rispet­to. Questa predicazione conviene a tutti, e un’a­nima desiderosa di far conoscere e amare l’Eu­caristia vi si applicherà con gran cura, unendosi a Maria.

Con quanta modestia e riverenza questa per- ! fetta adoratrice stava davanti al Santissimo Sacra-1 mento! Stava come gli Angeli al cospetto della divina Maestà: tutta penetrata di fede, e assorta nella’ divina presenza di Gesù; non badava ad altro. Si presentava a Nostro Signore religiosamente vestita, come a una visita d’onore. Un modo di vestire negletto, disordine nel contegno, sono segni di poca fede, di un interiore disordinato.

Maria rimaneva in ginocchio quanto poteva, ai piedi del suo Dio; è questa la positura d’adorazione della Santa Chiesa, l’omaggio del corpo, l’umiltà del­la fede: in ginocchio ai piedi di Gesù, è il posto dell’a­more.

Il rispetto nel luogo santo, e specialmente davanti al Santissimo Sacramento, deve essere la grande virtù pubblica degli adoratori. Questo rispetto è la professio­ne solenne della loro fede, e nello stesso tempo è per essi un mezzo per ottenere la grazia della pietà e del fervore: perché Dio punisce sempre le ir­riverenze commesse nel suo santuario, con l’affievolimento della fede e con la privazione delle grazie di devozione. Chi fosse irriverente o indecente davanti a Nostro Signore avrebbe torto di stupirsi della propria freddezza nella preghiera; anzi, meriterebbe d’essere scacciato vergognosamente dalla divina Presenza, come un incivile o un insensato.

Siamo molto severi circa il culto del rispet­to; abbiamo un contegno riservato, un’attitudi­ne religiosa; osserviamo un rigoroso silenzio, un assoluto raccoglimento dei sensi.

Nella chiesa non si devono avere riguardi che verso Gesù Cristo: lì non vi son più amici. Gesù è tutto: la corte non ha gli occhi fissi che sul Re, non onora che Lui. Alla vista del rispet­to profondo e religioso degli adoratori, i mon­dani saranno costretti a dire: «Qui c’è qualche cosa di grande!». I deboli e i tiepidi arrossiran­no della loro tiepidezza e riconosceranno Gesù Cristo. L’esempio è la lezione regale della sapienza, è l’apostolato più fecondo.

Da Il Settimanale di Padre Pio – 30 agosto 2009 n. 33


Caterina63
00mercoledì 17 novembre 2010 19:41

L'INCONTRO DEL SACERDOTE CON MARIA


1. Eucaristia, Chiesa e Maria: in relazione al sacerdote

«Se vogliamo riscoprire in tutta la sua ricchezza il rapporto intimo che lega Chiesa ed Eucaristia, non possiamo dimenticare Maria, Madre e modello della Chiesa»[1]. Queste parole del venerabile Giovanni Paolo II costituiscono una traccia adeguata per introdurci nel tema che cerchiamo di sviluppare brevemente con questo articolo: L'incontro del sacerdote con Maria nella Celebrazione eucaristica.

Quando la Chiesa celebra l'Eucaristia, memoriale della morte e risurrezione del Signore, «si realizza l'opera della nostra redenzione»[2] e per questo si può affermare che «c'è un influsso causale dell'Eucaristia alle origini stesse della Chiesa»[3]. Nell'Eucaristia, Cristo si consegna a noi, edificandoci continuamente come suo Corpo. «Pertanto, nella suggestiva circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e Chiesa stessa che fa l'Eucaristia, la causalità primaria è quella espressa nella prima formula: la Chiesa può celebrare e adorare il mistero di Cristo presente nell'Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificio della croce»[4]. L'Eucaristia precede cronologicamente ed ontologicamente la Chiesa e in questo modo si comprova di nuovo che il Signore ci ha «amato per primo».

Allo stesso tempo, Gesù ha reso perpetua la sua donazione personale mediante l'istituzione dell'Eucaristia durante l'Ultima Cena. In quell'«ora», Gesù anticipa la sua morte e la sua risurrezione. Di qui che possiamo affermare che «in questo dono Gesù Cristo consegnava alla Chiesa l'attualizzazione perenne del mistero pasquale»[5]. Tutto il Triduum paschale è come incluso, anticipato e «concentrato» per sempre nel Dono eucaristico. Per questo, ogni sacerdote che celebra la Santa Messa, assieme alla comunità che ad essa partecipa, ritorna all'«ora» della croce e della glorificazione, torna spiritualmente al luogo e alla hora sancta della redenzione[6]. Nell'Eucaristia, ci addentriamo nell'atto oblativo di Gesù e così, partecipando alla sua offerta, al suo Corpo e al suo Sangue, ci uniamo a Dio[7].

In questo «memoriale» del Calvario è presente tutto ciò che Cristo ha compiuto nella sua Passione e morte. «Pertanto non manca ciò che Cristo ha compiuto anche verso la Madre a nostro favore»[8]. In ogni celebrazione della Santa Messa, noi riascoltiamo quell'«Ecco tuo figlio!» detto dal Figlio a sua Madre, mentre Egli stesso ripete a noi: «Ecco tua Madre!» (Gv 19,26-27).

«Prendere con sé Maria, significa introdurla nel dinamismo dell'intera propria esistenza - non è una cosa esteriore - e in tutto ciò che costituisce l'orizzonte del proprio apostolato»[9]. Per questo «Vivere nell'Eucaristia il memoriale della morte di Cristo implica anche ricevere continuamente questo dono. [...] Maria è presente, con la Chiesa e come Madre della Chiesa, in ciascuna delle nostre Celebrazioni eucaristiche. Se Chiesa ed Eucaristia sono un binomio inscindibile, altrettanto occorre dire del binomio Maria ed Eucaristia»[10].

La raccomandazione della celebrazione quotidiana della Santa Messa, anche quando non vi fosse partecipazione di fedeli, deriva da una parte dal valore obiettivamente infinito di ogni Celebrazione eucaristica; «e trae poi motivo dalla sua singolare efficacia spirituale, perché, se vissuta con attenzione e fede, la Santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione»[11]. In questo percorso di conformazione e di trasformazione, l'incontro del sacerdote con Maria nella Santa Messa riveste un'importanza particolare. In realtà, «per la propria identificazione e conformazione sacramentale a Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria, ogni sacerdote può e deve sentirsi veramente figlio prediletto di questa altissima ed umilissima Madre»[12].

2. Nella Messa di Paolo VI

Nel Messale Romano nella sua editio typica tertia, espressione ordinaria della Lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino, la presenza materna di Maria si sperimenta in due momenti significativi della Celebrazione eucaristica: il Confiteor dell'atto penitenziale e la Preghiera eucaristica.

2.1. Il Confiteor. Nel cammino verso il Signore, ci rendiamo conto della nostra indegnità. L'uomo dinanzi a Dio si avverte peccatore e dalle sue labbra sorge spontanea la confessione della propria miseria. Si rende necessario chiedere all'interno della celebrazione che Dio stesso ci trasformi e che accetti di farci partecipare a quella actio Dei che costituisce la liturgia. Di fatto, lo spirito di continua conversione è una di quelle condizioni personali che rendono possibile la actuosa participatio dei fedeli e dello stesso sacerdote celebrante. «Non ci si può aspettare una partecipazione attiva alla Liturgia eucaristica, se ci si accosta ad essa superficialmente, senza prima interrogarsi sulla propria vita [...]. Un cuore riconciliato con Dio abilita alla vera partecipazione»[13].

L'atto penitenziale, che «si compie attraverso la formula di confessione generale di tutta la comunità»[14], ci aiuta a conformarci ai sentimenti di Cristo e a porre i mezzi perché si realizzi lo «stare con Dio»; mentre ci «forza» ad uscire da noi stessi, ci spinge a pregare con e per gli altri: non siamo soli. Grazie alla comunione dei santi, aiutiamo e ci sentiamo aiutati e sostenuti gli uni dagli altri. È in questo contesto che incontriamo una delle modalità dell'orazione liturgica mariana, la quale si presenta come ricordo dell'intercessione di Maria nel Confiteor. Come ricordava Paolo VI, «il popolo di Dio la invoca come Consolatrice degli afflitti, Salute degli infermi, Rifugio dei peccatori, per ottenere consolazione nella tribolazione, sollievo nella malattia, forza liberatrice dal peccato; perché Lei, libera da ogni peccato, conduce i suoi figli a questo: a vincere con energica determinazione il peccato»[15].

Il Confiteor, genuina formula di confessione, si incontra in diverse redazioni, a partire dal sec. IX, in ambito monastico. Di lì passerà alle chiese del clero secolare e lo troviamo come elemento fisso nell'Ordo della Curia papale anteriore al 1227[16]:

«Ideo precor beatam Mariam semper Virginem...».

«Per questo prego la Beata Maria, sempre Vergine...».

Maria, in comunione con Cristo unico Mediatore, prega il Padre per tutti i fedeli, suoi figli. Come ricorda il concilio Vaticano II: «La funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce questa unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l'efficacia. Ogni salutare influsso della Beata Vergine verso gli uomini non nasce da una necessità oggettiva, ma da una disposizione puramente gratuita di Dio, e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo; pertanto si fonda sulla mediazione di questi, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia, e non impedisce minimamente l'unione immediata dei credenti con Cristo, anzi la facilita»[17].

Maria «si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata»[18]. Simile cura Ella la dimostra particolarmente per i sacerdoti. «Maria li predilige infatti per due ragioni: perché sono più simili a Gesù, amore supremo del suo cuore, e perché anch'essi, come Lei, sono impegnati nella missione di proclamare, testimoniare e dare Cristo al mondo»[19]. Così si spiega che il concilio Vaticano II affermi: «Essa è la Madre del Sommo ed Eterno Sacerdote, la Regina degli Apostoli, il sostegno del loro ministero: essi [i presbiteri] devono quindi venerarla e amarla con devozione e culto filiale»[20].

2.2. La Preghiera eucaristica. Per quanto riguarda la memoria di Maria nelle preghiere eucaristiche del Messale Romano, «questa memoria quotidiana, per la sua collocazione al centro del santo Sacrificio, deve essere ritenuta come una forma particolarmente espressiva del culto che la Chiesa rende alla Benedetta dall'Altissimo (cf. Lc 1,28)»[21].

Questo ricordo di Maria Santissima si manifesta in due modi: la sua presenza nell'incarnazione e la sua intercessione gloriosa. Circa il primo modo, possiamo ricordare che il «sì» di Maria è la porta per la quale Dio si incarna, entra nel mondo. In questo modo, Maria è realmente e profondamente coinvolta nel mistero dell'incarnazione e pertanto della nostra salvezza. «L'incarnazione, il farsi uomo del Figlio, era dall'inizio finalizzata al dono di sé; al donarsi con molto amore nella croce, per farsi pane per la vita del mondo. Così sacrificio, sacerdozio e incarnazione vanno insieme e Maria sta nel centro di questo mistero»[22].

Così si trova espresso, ad esempio, nel prefazio della Preghiera eucaristica II, che si rifà alla Traditio apostolica, nonché nel Post-sanctus della IV. Le due espressioni sono molto simili:

«...e lo hai mandato a noi Salvatore e Redentore, fatto uomo per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria»(PE II).

«Egli si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato dalla Vergine Maria» (PE IV).

Nel contesto della Preghiera eucaristica, questa confessione di fede sottolinea la cooperazione di Maria Santissima al mistero dell'incarnazione e il suo legame con Cristo, come pure l'azione dello Spirito Santo. Con essa si intende presentare l'Eucaristia come presenza vera ed autentica del Verbo incarnato che ha sofferto ed è stato glorificato. L'Eucaristia, mentre rimanda alla Passione e risurrezione, sta allo stesso tempo in continuità con l'incarnazione.

Giovanni Paolo II segnala che «Maria concepì nell'annunciazione il Figlio divino nella verità anche fisica del Corpo e del Sangue, anticipando in sé ciò che in qualche misura si realizza sacramentalmente in ogni credente che riceve, nel segno del pane e del vino, il Corpo e il Sangue del Signore»[23]. Maria appare così legata alla relazione «Incarnazione-Eucaristia».

D'altro canto, la presenza di Maria Santissima nella preghiera eucaristica ci presenta anche la sua intercessione gloriosa. Il ricordo di Lei nella comunione dei santi è elemento tipico del Canone Romano e si ritrova nelle altre preghiere eucaristiche del Messale Romano, in sintonia con le anafore orientali. «La tensione escatologica suscitata dall'Eucaristia esprime e rinsalda la comunione con la Chiesa celeste. Non è un caso che nelle anafore orientali e nelle preghiere eucaristiche latine si ricordi[...] con venerazione la sempre Vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo»[24].

La memoria di Maria nel Canone Romano si arricchì con titoli solenni che ricordano la proclamazione del dogma della maternità divina del concilio di Efeso (431) e con espressioni che probabilmente derivano della omelie dei sommi pontefici[25]. La menzione solenne del Canone Romano recita:

«... in primis gloriosae semper virginis Mariae Genetricis Dei, et Domini nostri Iesu Christi».
«Veneriamo la memoria, anzitutto, della gloriosa e sempre Vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo» (Canone Romano).
Maria Santissima è esaltata con i titoli di gloriosa e semper Virgo, come la chiama sant'Epifanio[26]. D'altra parte, l'espressione Genetrix Dei è utilizzata con frequenza dai Padri latini, specialmente da sant'Ambrogio. Il suo inserimento nel Canone Romano è anteriore all'epoca del papa Leone Magno e molto probabilmente fu introdotta prima del concilio di Efeso[27]. Va inoltre evidenziato che Maria è ricordata prima di tutti i santi.

Il significato di questa menzione e di questo ricordo può essere triplice[28]: primo, la Chiesa facendo memoria di Maria entra in comunione con Lei; secondo, tale ricordo è logico, perché deriva dalla condizione di santità e gloria propria della Madre di Dio[29]; ultimo, a causa dell'intercessione che Ella esercita presso Dio[30]: «Per i loro meriti e le loro preghiere [di Maria e dei santi] donaci sempre [Signore] aiuto e protezione» (Canone Romano).

In un contesto simile a quello del Canone Romano, sebbene con piccole variazioni, si incontra la nostra richiesta a Maria e ai santi perché raggiungiamo la vita eterna:

«... donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la Beata Maria, Vergine e Madre di Dio...» (PE II).

«... perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti: con la Beata Maria, Vergine e Madre di Dio...» (PE III)[31].

«... concedi a noi, tuoi figli, di ottenere con la Beata Maria Vergine e Madre di Dio [...] l'eredità eterna del tuo regno...»(PE IV).

3. Nella Messa di san Pio V

Da ultimo, ricordiamo che nel Messale Romano promulgato dal beato Giovanni XXIII nel 1962, espressione straordinaria della Lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino, incontriamo menzionata Maria Santissima in altri due momenti della Celebrazione eucaristica, oltre a quelli rimasti anche nella forma ordinaria. Innanzitutto, nella supplica alla Santissima Trinità che il sacerdote prega dopo il Lavabo e che pone fine ai riti offertoriali. Vi si legge:

«Suscipe sancta Trinitas, hanc oblationem quam tibi offerimus ob memoriam passionis [...]; et in honorem beatae Mariae semper Virginis...»

Questa preghiera riassume le intenzioni e i frutti del sacrificio come epilogo dell'Offertorio. In effetti, dopo aver ricordato che l'offerta si compie in memoria della Passione, risurrezione e ascensione del Signore, si menzionano la Santissima Vergine e i santi Giovanni Battista, Pietro e Paolo. La menzione di Maria si colloca nel contesto di quella venerazione che la santa Chiesa con amore speciale le tributa a motivo del legame indissolubile che esiste tra Lei e l'opera salvifica del suo Figlio. Allo stesso tempo, in Lei ammira ed esalta il frutto più splendente della redenzione[32]. In questa preghiera si ricorda che «nell'Eucaristia la Chiesa si unisce pienamente a Cristo e al suo sacrificio, facendo proprio lo spirito di Maria»[33].

La menzione di Maria si incontra poi nell'embolismo Líbera nos che segue il Pater noster, in cui ci si esprime in questi termini:

«Libera nos, quaesumus Domine, ab omnibus malis, praeteritis, praesentibus et futuris: et intercedente beata et gloriosa semper Virgine Dei Genitrice Maria [...] da propitius pacem in diebus nostris...».

Anche questa orazione manifesta la perfetta unità esistente tra Lex orandi e Lex credendi, poiché «la sorgente della nostra fede e della liturgia eucaristica, infatti, è il medesimo evento: il dono che Cristo ha fatto di se stesso nel Mistero pasquale»[34]. Di fatto, questa orazione mostra che «a causa del suo carattere di intercessione, che si manifestò per la prima volta a Cana di Galilea, la mediazione di Maria continua nella storia della Chiesa e del mondo»[35].

4. Conclusione
Terminando questa breve panoramica sull'Ordo Missae, fatta di significativi incontri con Maria Santissima, possiamo affermare con uno dei grandi santi del nostro tempo: «Per me la prima devozione mariana - mi piace pensare così - è la Santa Messa [...]. Questa è infatti un'azione della Trinità: per volontà del Padre, cooperando con lo Spirito Santo, il Figlio si offre in oblazione redentrice. In questo insondabile mistero, si avverte, come attraverso il velo, il volto purissimo di Maria: Figlia di Dio Padre, Madre di Dio Figlio, Sposa di Dio Spirito Santo. L'incontro con Gesù nel Sacrificio dell'altare comporta necessariamente l'incontro con Maria, sua Madre»[36].


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[1] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 53.
[2] Concilio Vaticano II, Lumen gentium, n. 3.
[3] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 21.
[4] Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 14.
[5] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 5.
[6] Cf. ibid., n. 4.
[7] Cf. Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 13.
[8] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 57.
[9] Benedetto XVI, Udienza generale, 12.08.2009.
[10] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 57.
[11] Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 80.
[12] Benedetto XVI, Udienza generale, 12.08.2009.
[13] Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 55.
[14] Institutio Generalis Missalis Romani, n. 55.
[15] Paolo VI, Marialis cultus, n. 57.
[16] V. Raffa, Liturgia eucaristica. Mistagogia della Messa: dalla storia e dalla teologia alla pastorale pratica, Roma 2003, pp. 272-274.
[17] Concilio Vaticano II, Lumen gentium, n. 60.
[18] Ibid., n. 62.
[19] Benedetto XVI, Udienza generale, 12.08.2009.
[20] Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, n. 18.
[21] Paolo VI, Marialis cultus, n. 10.
[22] Benedetto XVI, Udienza generale, 12.08.2009.
[23] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 55.
[24] Ibid., n. 19.
[25] Cf. S. Meo, «La formula mariana Gloriosa semper Virgo Maria Genitrix Dei et Domini nostri Iesu Christi nel Canone romano e presso due Pontefici del V secolo», in Pontificia Academia Mariana Internationalis, De primordiis cultus mariani. Acta Congressus Mariologici-mariani in Lusitania anno 1967 celebrati, Romae 1970, II, pp. 439-458.
[26] Cf. M. Righetti, Historia de la liturgia, Madrid 1956, I, p. 334.
[27] M. Augé, L'anno liturgico: è Cristo stesso presente nella sua Chiesa, Città del Vaticano 2009, p. 247.
[28] Cf. J. Castellano, «In comunione con la Beata Vergine Maria. Varietà di espressioni della preghiera liturgica mariana», Rivista liturgica 75 (1988), p. 59.
[29] «La santità esemplare della Vergine muove i fedeli ad elevare gli occhi a Maria, che brilla come modello di virtù davanti a tutta la comunità degli eletti» (Paolo VI, Marialis cultus, n. 57).
[30] «La pietà verso la Madre del Signore si converte per il fedele in occasione di crescita nella grazia divina, finalità utlima di ogni azione pastorale. Perché è impossibile onorare la Piena di grazia (Lc 1,28) senza onorare in se stessi lo stato ri grazia, vale a dire, l'amicizia con Dio, la comunione con Lui, l'inabitazione dello Spirito» (Paolo VI, Marialis cultus, n. 57).
[31] «La recente Preghiera eucaristica III esprime con intenso anelito il desiderio degli oranti di condividere con la Madre l'eredità dei figli» (Ibid., n. 10).
[32] Cf. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, n. 102.
[33] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 58.
[34] Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 34.
[35] Giovanni Paolo II, Redemptoris mater, n. 40.
[36] J. Escrivá, La Virgen del Pilar. Libro de Aragón, Madrid 1976, p. 99.
Caterina63
00sabato 8 gennaio 2011 20:51

Maria e i sacerdoti
   

Tra la Vergine e il presbitero esiste una profonda e rodata consonanza basata sulla medesima vocazione, servizio e testimonianza ai valori del Regno.
 

Il 16 giugno 2009 Benedetto XVI, con una lettera inviata a tutti i sacerdoti del mondo, ha indetto uno speciale "Anno sacerdotale" iniziato il 19 giugno 2009, solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, e che terminerà nella stessa festività liturgica nel 2010.

L’Anno sacerdotale è stato occasionato dal 150° anniversario della morte di san Giovanni Maria Vianney (17861859), sacerdote e patrono dei parroci della Chiesa. Con tale celebrazione, scrive il Papa nella lettera, si vuole «contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi».

Se l’anno dedicato all’apostolo Paolo ha richiamato l’intera comunità cristiana a rafforzare nella propria esperienza credente il primato della Parola di Dio, con l’anno dedicato al santo Curato d’Ars, esemplare per il suo ministero di sacerdote e parroco in un tempo oltremodo difficile, il Pontefice intende riportare alla ribalta ecclesiale il fondamentale servizio e testimonianza di coloro che per grazia, vocazione e ministero sacro, sono chiamati oggi ad essere pastori secondo il cuore e la vita di Gesù, il Pastore buono delle nostre anime.

Il   card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della   Conferenza episcopale italiana, saluta alcuni sacerdoti durante la sua   visita ai terremotati d'Abruzzo (settembre 2009).
Il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana,
saluta alcuni sacerdoti durante la sua visita ai terremotati d’Abruzzo (settembre 2009 - foto Giuliani).

Alla Madre del Signore Benedetto XVI ha affidato quest’Anno sacerdotale, chiedendole «di suscitare nell’animo di ogni presbitero un generoso rilancio di quegli ideali di totale donazione a Cristo ed alla Chiesa che ispirarono il pensiero e l’azione del santo Curato d’Ars».

È questa una consuetudine che i Papi sovente hanno rinnovato nella ferma speranza che la Madre di Cristo sommo sacerdote come ha servito il suo divin Figlio serve con la sua materna carità coloro che lui ha scelto per continuare la sua evangelizzazione e la sua opera di salvezza a gloria di Dio.

A tal riguardo basti ricordare quanto scriveva il compianto Giovanni Paolo II nella prima lettera ai sacerdoti del Giovedì santo nel 1979: «C’è nel nostro sacerdozio ministeriale la dimensione stupenda e penetrante della vicinanza della Madre di Cristo. Cerchiamo dunque di vivere in questa dimensione. Se è lecito far qui riferimento anche alla propria esperienza, vi dirò che, scrivendo a voi, mi rifaccio soprattutto alla mia esperienza personale».

Proprio dall’esperienza spirituale che il sacerdote, come il laico o il religioso, intesse con la Madre del Signore emerge un dato ineludibile e caro che richiama al cuore un fatto indiscutibile: tra santa Maria e il presbitero sussiste una profonda e rodata consonanza basata sulla medesima vocazione, servizio, affetto e testimonianza ai valori del Regno di Dio. Per cui è stata una felice idea quella di Benedetto XVI di indire un anno sacerdotale in modo che l’intera comunità ecclesiale possa riscoprire la bellezza e l’impegno di così grande mistero e ministero sgorgato dal cuore misericordioso e premuroso di Cristo, e che declina la vicinanza e la grande attenzione di Dio per la nostra vita di credenti in vista della nostra destinazione escatologica, supplice Maria, la madre nostra e la madre celeste dei sacerdoti.

Il   buon Pastore, scultura paleocristiana, Museo della civiltà romana,   Roma.
Il buon Pastore, scultura paleocristiana, Museo della civiltà romana, Roma (foto Giuliani).

Purtroppo, osservava il vescovo Francesco Franzi, «l’abitudine di dare a tali espressioni un senso superficiale e vago, piuttosto devozionale e sentimentale, ostacola la presa di coscienza della realtà misterica che esse esprimono».

Infatti tali espressioni che possono a qualcuno sembrare ridondanti, sono invece declinanti il mistero e la realtà della materna presenza di Maria nella Chiesa pellegrinante; comunità che sin dal primo istante della sua divina costituzione l’ha vista perseverante e partecipe nello spirito del Risorto (cf At 1,14) del suo essere nella storia sacramento dell’unione di Dio in Cristo con tutto il genere umano.

Inoltre, non va sottaciuta l’appartenenza di Maria alla Chiesa e della Chiesa a Maria; Chiesa dei discepoli che è onorata e gioisce d’averla quale suo membro sovreminente e singolare (cf Lumen gentium, 53).

La stessa Chiesa sa di averla a titolo vitale, comunionale ed esemplare quale nobile porzione del popolo santo, come pure sa che Maria richiama alla memoria di tutti anche la pienezza del suo particolare status e carisma sacerdotale, che consiste soprattutto nell’aver offerto l’intera sua esistenza al Dio dell’Alleanza dando lode e gloria alla sua maestà e bontà, servendo con dedizione smisurata la persona e la salvezza del Figlio-Redentore, per poi, una volta assunta alla gloria del cielo, accompagnare con la sua potente e materna intercessione la comunità dei crismati dallo Spirito, essendo peraltro presente nel mistero della comunione dei santi ogni volta che la Chiesa mediante i suoi ministri celebra l’Eucaristia quale anamnesi sacramentale e salvifica di Gesù, dando così ragione e concretezza anche al suo servizio testimoniale-ecclesiale di "donna eucaristica" (cf Ecclesia de Eucharistia, 5358), che favorisce nei credenti la coscienza di appartenere e di essere come lei, nonostante i limiti propri di ciascuno, vere persone ecclesiali.

Salvatore M. Perrella

Invito all’approfondimento: M. Taggi, sj (a cura di), Anno sacerdotale. Sussidio per un itinerario di crescita personale e pastorale, Adp 2009, pp. 80, € 5,00.
  

Il sussidio

LA MADONNA.MADRE DEGLI ULTIMI E DEI DOTTI

(A. Galli, Centro stampa piceno 2007, pp. 827, € 15,00).
 

La   prima di copertina del volume di Attilio Galli. «La Madonna è una di noi, ma non come noi. Non è come noi nella nascita, non è come noi nella vita, non è come noi nella morte.

La sua concezione è stata "immacolata", cioè una concezione che differisce da tutte le altre concezioni umane, che non è contaminata dal peccato originale. Il termine "Concezione" vuol dire però che Maria ha avuto un inizio, è una creatura, è nata da un padre e da una madre come tutti gli uomini, in seno ad una famiglia, quella di Gioacchino e di Anna, ma nell’atto stesso del suo concepimento non ha contratto l’eredità peccaminosa dei nostri progenitori, Adamo ed Eva.

Maria è il gioiello della nuova creazione e ci riporta al Protovangelo, dove si dice che la stirpe di una donna schiaccerà la testa del serpente, simbolo del demonio. Divenuta l’inconciliabile nemica del serpente e della sua stirpe, Maria non conosce l’ombra del peccato per tutta la sua vita: dall’inizio alla sua assunzione al cielo.

Solo a queste condizioni Maria ha potuto ricevere per opera dello Spirito Santo il seme di Dio e darne il frutto in Cristo, rendendolo anche figlio dell’uomo.

A ragione lo scrittore francese Georges Bernanos definisce la Madonna la stessa "innocenza": "Ella detesta il peccato; non ha di esso nessuna esperienza, quell’esperienza che non è mancata ai più grandi santi, allo stesso Santo di Assisi per quanto serafico sia. Lo sguardo della Vergine è il solo sguardo veramente infantile, il solo vero sguardo d’infante che si sia levato sulla nostra vergogna e sulla nostra disgrazia".

La   chiesa di sant'Alessandro papa a Montadamo (Ascoli Piceno), che ospita   affreschi che cinquecenteschi di autori locali, tra i quali la Madonna   .
La chiesa di sant’Alessandro papa a Montadamo (Ascoli Piceno), che ospita affreschi
cinquecenteschi di autori locali, tra i quali la Madonna che compare nella prima di copertina
(foto in alto) del volume di Attilio Galli.

Perciò la santità di Maria è la più perfetta che possa esistere fra le creature del cielo e dell’universo terrestre, viene subito dopo quella di Dio. Eppure questa Vergine Madre è vissuta come una donna qualsiasi: non ha avuto né trionfo, né potere di miracoli. Suo Figlio non ha permesso che la gloria umana la sfiorasse, ma piuttosto che la sofferenza la possedesse » .

a.g.

Attilio Galli (1924-2009):«Per 62 anni ho elevato il mio calice a Dio per le mani di Maria. Ho affidato a lei il mio sacerdozio nel quotidiano Sacrificio, fecondo di grazia. A lei il mio canto commosso di riconoscenza».



http://www.stpauls.it/madre/1001md/1001md06.htm
Caterina63
00sabato 8 gennaio 2011 21:40

Maria e i sacerdoti
   

Essere preti col cuore di Cristo e della Vergine di Nazaret in un tempo, il nostro, difficile e contraddittorio.
 

Il carattere difficile e complesso, ma soprattutto precario, flessibile o liquido del contesto socio-culturale ed educazionale del nostro tempo detto post-moderno, dal punto di vista squisitamente religioso, viene sempre più assimilato a un sistema politeistico. Per alcuni, infatti, l’immagine del Pantheon, in quanto spazio popolato da entità potenzialmente infinite quanto al loro numero, ricopre molte delle dinamiche proprie di questo complesso e troppo spesso contraddittorio tipo di società. Per altri, invece, l’immagine che meglio rappresenta alcune caratteristiche dell’attuale società è quella del Far West. Se il Pantheon, per la sua forma circolare e per l’equidistanza di tutti gli altari dal centro, è metafora del "politeismo etico" e dell’assenza di punti di riferimento assoluti per l’uomo/donna dei nostri giorni, il Far West evoca il fatto che, sempre più spesso, nella nostra società, tutto è lasciato all’opinione del singolo o di gruppi di pressione e niente è più del tutto certo.

I contraccolpi che tutto questo provoca a livello individuale stanno sotto gli occhi di tutti; tra di essi, registriamo una crescente adesione a valori diversi secondo la diversità delle situazioni vitali; la molteplicità o assenza di appartenenze personali alle istituzioni o alle organizzazioni del sociale; il muoversi variegato tra le pieghe dell’esistente senza sentirsi necessariamente e definitivamente legati a nessuno; la difficoltà di dare continuità e futuro a progetti e decisioni prese.

IV   Convegno ecclesiale nazionale (Verona, 16-20.10.2006), Messa di apertura   presieduta dall'allora vescovo della città mons. Flavio Roberto   Carraro, ofm cap.
IV Convegno ecclesiale nazionale (Verona, 16-20.10.2006), Messa di apertura
presieduta dall’allora vescovo della città mons. Flavio Roberto Carraro, ofm cap (foto A. Giuliani).

In tale contesto si ha una concezione del mondo diversa dal passato, passando dal mondo inteso come "il creato" al mondo ritenuto come "natura", e in tale processo di "secolarizzazione del mondo" si concretizza la riduzione del mondo stesso a "deposito di cose"; scellerata opzione, che ha come risultante antropologica e cosmica un "mondo senza futuro" e un mondo come "patria spaesata". La nostra esistenza, infatti, che non ha più il futuro come prospettiva, sembra appiattita al livello del momento vissuto. Forse anche per questo oggi pare smarrito quell’ottimismo che aveva caratterizzato la modernità, o anche quella fiducia nel progresso civile e morale che aveva segnato, ad esempio, l’età illuministica.

Dinanzi a tale sfascio culturale e prassico, che arreca danni alla stessa condizione esistenziale, l’uomo e la donna dei nostri giorni corrono il rischio di divenire dei dislocati o dei decentrati. Situazione confusa, precaria e flessibile che porta conseguenzialmente anche ad elaborare proposte teologiche in cui la Rivelazione cristiana perde il suo carattere di verità e di universalità salvifica, o almeno si getta su di essa un’ombra di dubbio e di incertezza.

In tale situazione non pochi cristiani rimangono confusi e smarriti; altri, invece, vivono e/o sopravvivono con una fede infarcita di un penoso analfabetismo religioso, che sovente sfocia in pratiche superstiziose; altri, invece, sperimentano una vera e propria eclissi del senso religioso ed etico, attestandosi su posizioni lontane dal Vangelo e dalla Tradizione vivente ed attuale della Chiesa.

Questo stato di cose gradualmente ha portato al preoccupante fenomeno denominato desertificazione nella fede e nella ecclesialità della fede. Eppure, da sempre, la stragrande maggioranza degli uomini conosce la parola Dio, e si pone, in un modo o in un altro, la questione su di lui, anche se su tale interrogativo da sempre ci si dà risposte diverse. L’evoluzione del mondo, scriveva il martire evangelico tedesco Dietrich Bonhoeffer (+1945), è «pervenuta ai nostri giorni a un tale livello che l’uomo ha appreso a trovare una soluzione a tutti i problemi che lo interessano senza ricorrere alla "ipotesi Dio"».


Per cogliere il passato prossimo e remoto di questa «apostasia silenziosa di molti cristiani», nonché le sue caratteristiche e i suoi contenuti culturali, psicologico-sociali, comportamentali e religiosi, come anche del sempre più vasto fenomeno di disinteresse o di denigrazione del fatto religioso e di un parallelo e contraddittorio ritorno dell’Invisibile, dobbiamo tenere presente che essi costituiscono il frutto non tanto del recupero delle antiche radici della nostra civiltà, quanto della delusione nei confronti della modernità, dell’epoca cioè in cui ci si attendeva dalla ragione la soluzione di tutti i problemi.

Ma questa nostra epoca non ha affatto superato né rinnegato il soggettivismo moderno e l’esigenza di fondare le certezze sull’esperienza diretta. In sostanza la post-modernità offre ad angeli e demoni un habitat daccapo favorevole, ma non privo di insidie e di ambiguità. Viviamo infatti in un tempo assetato di Invisibile, ma propenso a mescolare nel suo calderone religione e magia, miracolo e superstizione, soprannaturale e occultismo, angeli e Ufo, diavoli e dischi volanti...

In tale difficile e contraddittorio contesto culturale, religioso e pratico, il filosofo Massimo Borghesi nel suo volume su Secolarizzazione e Nichilismo rileva come il «cristianesimo torna ad essere un’ipotesi per il presente. Si tratta però di un’"ipotesi", e non dell’unica. La gioventù odierna dimostra, nei confronti della dimensione religiosa, più di un’analogia con quella descritta da Walter Benjamin in un saggio del 1914 […]. Una gioventù che si muove tra scetticismo, nostalgia di ideali, religiosità informe. Posizione complessa, a tratti contraddittoria, che non può essere spiegata con l’uso consueto della categoria secolarizzazione». Una gioventù, osservava lo psicologo Umberto Galimberti nel 2008, sovente affascinata, ma anche delusa dal pervasivo ospite inquietante, che è il nichilismo dei nostri giorni.

Far tornare con limpidità, consapevolezza e forza testimoniale il Dio di Gesù e il suo Vangelo nella coscienza talvolta intorpidita di molti è una grossa sfida per la ragione ed il motivo predominante della fede e della stessa Chiesa; una sfida che chiama in prima linea i sacerdoti, ministri di Dio e del Vangelo di speranza del suo Figlio.

Salvatore M. Perrella

Invito all’approfondimento: C. Perrot-F. Serafini, Ministri di Dio, custodi del popolo. Le "radici" bibliche del sacerdozio, San Paolo 2009, pp. 128, € 9,00.
  

Il sussidio

IL VANGELO DEL CURATO D ’ARS
(C.Travaglino [a cura di ], San Paolo 2009, pp.192, € 12,00).


 

La   prima di copertina del volume edito dalla San Paolo nel novembre   scorso.Del Curato d’Ars (JeanMarie Vianney,1786-1859) si conoscono poche cose e, spesso, superficialmente: il fatto che stava in confessionale fino a 16 ore al giorno; il fatto che combatteva con un diavolo da lui stesso soprannominato Grappino; il fatto che fosse ignorante e che, per questo, non lo volessero far prete…

Ma, come spesso accade, dietro l’intonaco sta il muro che regge una vita e un senso: il Curato d’Ars, patrono dei parroci, era soprattutto un prete e un uomo di fede.

In questo libro il lettore, pur ritrovando qualche passaggio della storia e della leggenda dell’uomo Vianney, sarà condotto soprattutto a conoscere il cuore di un prete che «parlò di Dio con tutta la sua vita»,attraverso stralci delle sue omelie abbinati ai brani del Vangelo che commentava.

G.   Tiepolo (1696-1770), Il trionfo della Fortezza e della Speranza,   collezione Contini-Bonacossi, Firenze.
G. Tiepolo (1696-1770), Il trionfo della Fortezza e della Speranza, collezione Contini-Bonacossi, Firenze.

«E confidiamo nella nostra madre, Maria. Vi ho detto che dobbiamo avere una confidenza cieca in Gesù Cristo, perché siamo sicuri che non mancherà mai di venirci in aiuto in ogni nostra pena, purché andiamo da lui come figli dal padre. Vi dico anche che dobbiamo avere una grande fiducia verso la sua santa Madre, che è così buona, che desidera tanto aiutarci in ogni nostra necessità terrena, ma specialmente quando vogliamo ritornare al buon Dio. Se abbiamo qualche peccato che ci vergogniamo di confessare, gettiamoci ai suoi piedi: siamo sicuri che lei ci otterrà la grazia di confessarci bene e, nello stesso tempo, non mancherà di domandare il perdono per noi (…).

Diciamo pure che la virtù della speranza ci fa compiere tutte le nostre azioni con l’unico scopo di piacere a Dio, e non al mondo. Dobbiamo cominciare a praticare questa bella virtù quando ci svegliamo, offrendo il nostro cuore a Dio con amore, pensando quanto sarà grande la ricompensa della nostra giornata se tutto quello che facciamo lo faremo bene, col solo obiettivo di piacere al buon Dio »(pag.103).

c.t.


http://www.stpauls.it/madre/1002md/1002md06.htm
Caterina63
00sabato 8 gennaio 2011 21:53

«Un enorme interrogativo»
   

"La prima devozione che troviamo nella Chiesa è la devozione a Maria, la Regina degli apostoli, come la troviamo nel Cenacolo".
  

Don Giacomo Alberione non perdeva occasione per promuovere la devozione a Maria regina degli apostoli tra i suoi e divulgarla nella Chiesa.

Un’occasione preziosa l’ebbe durante il I Congresso internazionale dei religiosi (26 novembre-8 dicembre 1950), al quale fu invitato anche come relatore.

Altra occasione felice, che egli sfruttò per parlare e scrivere di Maria regina degli apostoli, fu l’Anno mariano indetto da Pio XII (8 dicembre 1953-8 dicembre 1954).

Ancora negli anni Quaranta, parlando alle Figlie di San Paolo, don Alberione si poneva un enorme interrogativo e proponeva un grande «passo avanti»: «Qual è allora la nostra missione mariana? Far conoscere Maria regina degli apostoli; farla imitare, farla pregare.

La prima devozione che troviamo nella Chiesa è la devozione alla Regina degli apostoli come la troviamo nel Cenacolo. Si è un po’ affievolita ed oscurata col trascorrere dei secoli. A noi il dolce incarico di raccogliere i fedeli attorno a Maria regina degli apostoli; a voi risvegliare questa devozione; a voi compiere questo dolcissimo ufficio nella Chiesa. Significa risvegliare gli apostolati, eccitare vocazioni.

Torniamo alle sorgenti. Alle sorgenti troviamo Maria regina degli apostoli. E se così è stato all’inizio della Chiesa, niente di più sicuro che attingere all’antica fede. L’acqua è più pura quando è raccolta nella sorgente.

Discesa dello Spirito Santo, icona del sec. XVII, Accademia   ecclesiastica moscovita, Mosca.
«Alle sorgenti troviamo Maria regina degli apostoli»
. Nella foto: Discesa dello Spirito Santo,
icona del sec. XVII, Accademia ecclesiastica moscovita, Mosca (foto Lores Riva).

Zelo grande per questo, lavoro instancabile, diffusione continua: dalla piccola medaglia ai fogli, periodici, libri. L’Istituto ha una grande missione da compiere. Si capisce che in principio si incontreranno difficoltà. Quando le prime volte si parlava di mettere una suora alle macchine da stampa, molti sorridevano, non perché questo fosse cosa cattiva; ma perché era cosa nuova. Far penetrare la devozione alla Regina degli apostoli: non capiranno subito; ma poco per volta, con molta pazienza: avrete compiuto una grande missione».

In altra occasione, sempre parlando alle Figlie di San Paolo: «Dapprincipio non si è potuto spiegare tutto. Si è cercato di spiegare con la devozione del santo Grignion de Montfort, ma ora bisogna fare un passo avanti; arrivare qui: all’Apostola, alla Regina degli apostoli, in modo che per Maria, in Maria, con Maria, da Maria apostola, non solo si agisca nella parte spirituale, ma in tutto l’Istituto, in tutto l’apostolato, in ogni anima».

«Ho sentito dire...»

Don Alberione avrebbe voluto che tutti cogliessero il significato pregnante – teologale, apostolico ed ecclesiale – della devozione alla Regina degli apostoli.

E si rammaricava quando gli risultava che questo era ancora incompreso: «Non si sa ancora abbastanza ciò che riguarda Maria regina degli apostoli, tanto che una volta ho sentito dire questa stranezza: nella immagine della Regina degli apostoli non c’è nulla che riguardi l’apostolato. Ma non c’è la Madonna che dà Gesù? E che cos’è l’apostolato se non dare Gesù? Voi non fate una distribuzione di pane: fate una distribuzione di verità, per dare al mondo Gesù. Dunque: nell’immagine della Regina degli apostoli c’è tutto. C’è poco nella nostra testa, alle volte!».

Turone   di Maxio, Vocazione di Pietro (sec. XIV), Biblioteca capitolare,   Verona.
«A voi risvegliare questa devozione... Significa risvegliare gli apostolati, eccitare vocazioni»
.
Nella foto: Turone di Maxio, Vocazione di Pietro (sec. XIV), Biblioteca capitolare, Verona (foto Angelo Bertotti).

Un episodio

In occasione dell’Anno mariano 1987-1988, il superiore generale don Renato Perino, nella sua Lettera alle comunità della SSP, tra l’altro narra il seguente episodio: «Tanti anni or sono ebbi la ventura di assistere don Alberione cercando di mediare fra lui e uno scultore scelto per tradurre plasticamente questa visione mariana: la Madre che offre al mondo il Figlio Via, Verità e Vita.

Ricordo la sua insistenza, a volte quasi supplichevole, affinché il Bambino non risultasse stretto a Maria, come da lei trattenuto in un gesto di tenerezza possessiva, ma fosse letteralmente offerto, donato al mondo, con le braccine aperte a croce e in mano il cartiglio della Parola, ma staccato fisicamente dal corpo della Madre. Nella creta e nel marmo era impossibile rendere tale atteggiamento senza compromettere la solidità della scultura. Sarebbe poi stato possibile nella fusione in bronzo o nelle resine.

Ma ciò dimostra fino a qual punto l’archetipo reso in simbolo figurativo della Regina degli apostoli stesse a cuore a don Alberione».

«Quando nelle case...»

In una meditazione alle Figlie di San Paolo, lamentando che «in casa nostra c’è troppa devozione senza colore» e pur ammettendo che «la Madonna può essere chiamata con vari titoli: Immacolata, Regina Martirum, Regina Virginum, ecc.», don Alberione ribadiva con vigore: «Da voi aspetta il titolo Regina apostolorum e aspetta la devozione in ordine a questo titolo.

Conoscere la Regina degli apostoli, amare la Regina degli apostoli, supplicare la Regina degli apostoli, zelare il culto alla Regina degli apostoli.

Quando nelle case tutto si fa per la Regina, si vede subito che vi è progresso di buon spirito. Fate Maria regina di ogni casa; governerà bene, come ha governato la casa di Nazaret».

La   prima di copertina del celebre Trattato della vera devozione alla santa   Vergine e il segreto di Maria, a cura di Stefano De Fiores,
La prima di copertina del celebre Trattato della vera devozione alla santa Vergine e il segreto di Maria,
a cura di Stefano De Fiores, San Paolo 2009, pp. 224, € 11,00.

"Colore"

E qualche mese dopo insisteva sul "colore" apostolico della devozione mariana: «Conoscere di più Maria: leggere di Maria i migliori autori e sentire volentieri parlare di Maria. Pregare Maria: le nostre belle preghiere alla Regina degli apostoli. La Chiesa stessa ci deve ricordare che la nostra particolare pietà mariana deve avere il colore di Maria Regina apostolorum».

Nell’opuscolo Maria: Discepola e Maestra del 1959, don Alberione concludeva la prima parte indicando queste "tre applicazioni": «La Famiglia paolina ha la missione di far conoscere, imitare, vivere Gesù Cristo in quanto maestro;

  • compirà santamente questa privilegiata missione facendo conoscere, amare, pregare Maria maestra: dedit orbi Magistrum Jesum, qui est benedictus fructus ventris sui.
  • Il Magistero paolino sarà immensamente più efficace se ispirato, guidato, confortato da Maria; Ipsa duce non fatigaris. Nessuno vorrà privarsi di un così grande aiuto.
  • Il Discepolato paolino va tutto innestato in Maria, che formerà Gesù Cristo in ogni aspirante: ciò significa diventare cristiani, apostoli, santi».

Giovanni Perego, ssp

http://www.stpauls.it/madre/1002md/1002md27.htm


 

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