Matteo 16,17-19 Tu sei Pietro e Matteo cap. 7 LA ROCCIA

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
°Teofilo°
00giovedì 23 luglio 2009 14:36

MATTEO 16,17-19

17 E Gesù: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli.

18 E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.

19 A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli".



Prima  Precedente  2-8 di 8  Successiva  Ultima 
Rispondi
Consiglia  Messaggio 2 di 8 nella discussione 
Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 01/06/2003 20.32

tratto dal libro "IL PRIMATO DI PIETRO" alla pag.291 di Oscar Cullmann.

Si tratta, com'è noto di un grosso nome nel mondo teologico ed esegetico, e desidero citarlo per il fatto che l'esegesi al brano di Matt. tanto discusso, fatto da Cullman, che non è cattolico, ma un onesto cultore della Parola, acquista uno spessore del tutto degno di nota.

Ecco il problema: a chi pensa Gesù, dicendo che il nuovo popolo di Dio sarà edificato sulla "roccia"?

L'interrogativo potrebbe sembrare superfluo: ma il riferimento alla persona di Pietro, che pare evidente, è stato ed è oggi ancora contestato, sia da parte protestante che da parte cattolica.

L'interpretazione dei riformantori, secondo i quali la roccia è soltanto la fede di Pietro, non è soddisfacente: essa non trova il minimo punto di appoggio nel testo, anzi il parallelismo delle due frasi: Tu sei Roccia e su questa Roccia edificherò la mia Chiesa, indica che questa seconda "roccia" non può che identificarsi con la prima.

In aramaico, ove troviamo nei due casi il medesimo termine KEFHA, la cosa risulta più evidente che in greco.

L'interpretazione secondo la quale Gesù non avrebbe detto "Tu sei Pietro" bensì "dico a te, si a te Pietro, sebbene possa richiamarsi all'uso aramaico, è puramente ipotetica.

Che con la roccia sia designato, in fondo Cristo stesso (cf.Mt21,42) può avere un fondo di verità, ma non è questo elemento ad essere qui affermato, bensì viene conferita ad un discepolo LA FUNZIONE DI ROCCIA che compete a Gesù.

Rimane quindi una sola possibilità: che con questa parola Gesù designi proprio colui al quale ha dato il nuovo nome "Roccia".

Se ci si riferisce alla fede di Pietro, non si comprende più chiaramente il rapporto con il conferimento del nuovo nome, mentre il "loghion" (espressione) intende certo riferirvisi e spiegarlo.

Il conferimento del nuovo nome, attestato anche indipendentemente da Matt.16,17 ss, è rivolto alla persona dell'individuo Pietro, proprio come, quando Gesù conferisci agli Zebedeidi il soprannome di "figli del tuono", egli ha in mente la loro personalità.

Mi paiono perciò insoddisfacenti tutti i commenti protestanti che cercano di stornare il riferimento a Pietro, in questo o in altri modi.

No, è un fatto che Gesù intende proprio la persona di Simone, quando dice che "su questa roccia" edificherà la sua "ekklesia": su questo discepolo, che durante la vita di Gesù ha posseduto quelle determinate qualità e quelle specifiche debolezze, su di lui che allora era il portavoce dei discepoli, il loro RAPPRESENTANTE nel bene come nel male - e in tal modo roccia del gruppo dei discepoli - su di lui deve essere fondata la Chiesa che dopo la morte di Gesù deve continuarne l'opera sulla terra.

°Teofilo°
00giovedì 23 luglio 2009 14:49

dal libro "Lettura pastorale del Vangelo di Matteo" di Jean Rademakers - Ed EDB

Rivelazione del Padre o rivelazione della carne e del sangue: Pietro-roccia (16, 13-20)


Attraccando all'altra riva del lago, Gesù " viene " (v. 13) in un territorio pagano, nella regione di Cesarea di Filippo; alla fine del capitolo, Mt ci dirà che bisogna vedere il " figlio dell'uomo "che viene" nel suo regno " (v. 28): la realtà fisica è il simbolo della realtà profonda. Per la fede, infatti, si tratta dello stesso passo, ma compreso a due livelli. E' ciò che deve far percepire la formazione intensiva cui Gesù sottoporrà i discepoli.
E' lui infatti che prende l'iniziativa di interrogarli: " Gli uomini, chi dicono che sia il figlio dell'uomo? " (v. 13). E' questa la domanda unica e decisiva, sulla quale si gioca il destino di ogni uomo: dire chi è Gesù è collocare al tempo stesso la propria esistenza su un terreno solido, incrollabile.
La risposta dei discepoli dipende da una buona informazione: Erode vedeva in lui Giovanni Battista risuscitato (14,2); altri lo prendevano per il profeta dei tempi messianici, Elia (cf. MI 3,23-24); altri ancora come una delle grandi figure profetiche della storia passata. Mt solo parla di Geremia (cf. 2, 17), forse per il suo carattere forte e nascosto al tempo stesso, contestatore e contestato. Ma è notevole che tutti si riferiscano al passato. Da nessuno Gesù è considerato come colui che adempie la promessa, ancor meno come colui che è la promessa adempiuta.
La risposta di Pietro è netta, e Mt si compiace di illustrarla tramite una rivelazione di Gesù, che gli esegeti e i teologi ecclesiologici non hanno mancato di scrutare in tutti i sensi.33 Nel dialogo che si svolge tra Gesù e il porta parola dei discepoli, limitiamoci a mettere in risalto alcuni punti che il testo medesimo pone in luce.
Anzitutto, come nelle beatitudini (cf. 5, 11), Gesù passa dalla terza persona: " Gli uomini, chi dicono che sia il figlio dell'uomo? " (v. 13), alla seconda: " Ma voi, chi dite... " e alla prima: " ... che io sia? " (v. 15). Notiamo che il verbo dire in una concezione semita significa ben più che il nostro dire; è anche fare; donde la gravita di una parola che non realizzi ciò che dice (cf. 12, 36). Dicendo a Gesù: " Tu sei il Cristo, il figlio del Dio il vivente " (v. 16), Pietro accetta che Gesù sia, nella sua vita, e messia e figlio di Dio. L'articolo,ripetuto da Mt davanti a ognuno dei quattro termini, indica che egli ha di mira ben più che un'affermazione di messianicità; si tratta piuttosto del riconoscimento della divinità di Gesù (cf. 26,63). " Messia " non è quindi più un titolo, o un personaggio proiettato in un futuro indeterminato: è il figlio del Dio vivente, lui che è chiamato Gesù di Nazaret. Questa dichiarazione è carica di conseguenze: significa che Gesù, come figlio di Dio, ha l'iniziativa assoluta e ultima; il suo modo di vivere e di salvare gli uomini si impone assolutamente. Servo sofferente e giudice dei segni dei tempi, egli è veramente " il figlio dell'uomo ".
La risposta di Gesù si apre con una " beatitudine " in seconda persona, che rivela a Pietro la portata di ciò che ha appena confessato. Il suo discernimento, e la scelta che ha fatto, non derivano " dalla carne e dal sangue " (v. 17), cioè dalle sue proprie forze (cf. Sir 14, 18), ma dal fatto che ha accolto in sé la fede che il Padre dona; la benedizione di Gesù (11,25.27) si realizza in questo uomo di poca fede (14,31; cf. 16,8), ma che si apre alla comprensione (cf. 15, 16; 16, 12). D'altronde è in forza di questa accoglienza che Pietro è da Gesù costituito " roccia " (petra) della sua chiesa; la casa fondata sulla roccia (7, 24) comincia a prendere il suo vero significato.
Il nome di qualcuno esprime, per un ebreo, la realtà più fondamentale del suo essere, la sua personalità profonda: Simone (cioè colui che obbedisce: Shim'on) era figlio di Giona (cioè della "colomba"): d'ora in avanti è costituito " roccia " del popolo da Dio convocato.34 Il nome del profeta " Giona " simboleggiava la comunità ebraica immersa nella diaspora a predicare la parola di Dio; infedele alla sua missione, essa la riscopre attraverso il naufragio nel mare, che evoca la potenza del male e della morte. Il segno di Giona, che Gesù applica a se stesso (16,4; 12,38-39), è quello del passaggio attraverso la morte. A sua volta, Simone, figlio di Giona, dovrà passare attraverso la morte e essere salvato dal Cristo risorto (cf. 14,30-31) per essere consacrato discepolo e divenire con Gesù figlio del Padre (cf. 12, 50). (...)

E' senza dubbio legittimo chiedersi se Pietro era pienamente cosciente di ciò che diceva e di ciò che gli veniva rivelato; dal v. 22 si capirà che non lo era affatto. E' chiaro infatti che non si possono pienamente accogliere la persona e la vita di Gesù, se non dopo il suo passaggio attraverso la morte e la risurrezione (v. 21). Inoltre, ogni vita, quella di Pietro come la nostra, è la storia di una libertà, fatta di impegni legati gli uni agli altri. L'impegno di Pietro, in nome di tutti i discepoli, approfondisce il loro rapporto con Gesù; questa accoglienza prepara il futuro nel quale dovrà essere confermato. Ma la chiesa primitiva, scoprendosi felice della rivelazione del Padre che legge nella risurrezione di Gesù, è in diritto di riconoscere le sue radici nella confessione di Cesarea.
Infine, si sa che più di un critico ha posto in dubbio l'autenticità matteana di questo testo (vv. 17-19).34 Così, per esempio, pare che Ireneo (verso il 180) non avesse nel suo vangelo il v. 18; tuttavia questa lacuna non gli impediva, basandosi sull'insieme del vangelo, di considerare la successione apostolica come un'istituzione voluta dal Cristo, tant'è vero che il carattere ecclesiale di Mt non si fonda unicamente su questo passo. Gli esegeti si trovano d'accordo nello scoprirvi un sapore molto semitico, e in esso alcuni leggono l'aramaico di Gesù; se è un'aggiunta al vangelo, è essa anteriore o posteriore al redattore matteano? La questione rimane aperta; finora non sono state portate delle prove decisive contro l'autenticità. Checché ne sia di questo problema, si può capire come la comunità cristiana, riconoscendosi nello Spirito come la comunità apostolica di Gesù Cristo, abbia scoperto in questo loghion un'espressione autentica dell'intenzione di Gesù riguardo alla propria esistenza ecclesiale

Caterina63
00sabato 5 marzo 2011 17:09

La vita nella Roccia


IX Domenica del Tempo Ordinario, 6 marzo 2011


 

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 4 marzo 2011 (ZENIT.org).- Mosè parlò al popolo dicendo: “Porrete dunque nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi. Vedete, io pongo oggi davanti a voi benedizione e maledizione: la benedizione, se obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, che oggi vi do; la maledizione, se non obbedirete ai comandi del Signore vostro Dio, e se vi allontanerete dalla via che oggi vi prescrivo, per seguire dèi stranieri che voi non avete conosciuto: Avrete cura di mettere in pratica tutte le norme e le leggi che oggi io pongo dinanzi a voi” (Dt 11,18.26-28.32).

Non chiunque mi dice: 'Signore, Signore', entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Pare mio che è nei cieli. (…) Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile ad un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa e la sua rovina fu grande” (Mt 7,21-27).

Il simbolo della pietra-roccia, evocato oggi da Gesù, è segno di quella forza, stabilità e sicurezza nella fede, che Egli stesso garantisce alla sua Chiesa: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa...” (Mt 16,13-19).

Tale stabilità divina è partecipata ad ogni membro della Chiesa, allo stesso modo in cui la forza di un cuore sano si trasmette efficacemente a tutti gli organi del corpo. Perciò il credente può vivere costantemente nella pace del cuore, nonostante le continue e profonde “scosse” di fatti drammatici e paurosi, nel cui epicentro si ritrova ogni volta a causa dei mezzi della comunicazione.

Per lo più, tuttavia, è a livello familiare e personale che si vivono situazioni ed eventi tali da investire il cuore con la forza di un vento che abbatte, trascinandolo via dalla sua pace come un fiume straripato si porta via una capanna. Perfino nell’età anziana, non di rado, la vita in famiglia è esposta ad un quotidiano, tormentoso soffio di venti contrari. Altre volte è la memoria di un fatto passato che continua ad allagare l’anima, mentre la coscienza tormentata non riesce a liberarsi dal turbamento.

Uno di questi fatti può essere un aborto volontario.

Anche a tutte queste vittime di colpevoli uragani spirituali, Gesù dice oggi: “Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà simile ad un uomo saggio che ha costruito la casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi.., ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia” (Mt 7,24-25).

E’ Dio che ha costruito la casa del nostro cuore, e solo Lui è perfettamente in grado di ricostruirla, se veramente ascoltiamo la sua Parola. Se un tempo il “no alla vita” ha fatto cadere la casa, molto più il “Sì alla vita” di Cristo la può ricostruire! Dobbiamo solo credere che “dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20).

E’ perciò necessario che, come spada nella roccia, la vita venga saldamente piantata nella Parola di Dio.

Nella sua incarnazione il Figlio di Dio ha proferito per noi tutti il “Sì alla vita”, come un consenso nuziale di unione con la natura umana. Questo “” è ora per noi una “Parola viva, efficace, più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito..e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12): significa che può realmente penetrare nell’anima, cioè nella persona, rigenerandola a livello della coscienza, della memoria, dei sentimenti, della volontà e della ragione.

Grazie all’ascolto assiduo della Parola, tutto il mio io diventa una spugna intrisa della vita di Gesù: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me”(Gal 2,20). In tal modo, non ostante le macerie del passato, la mia vita torna ad essere un “sì”, poiché Gesù mi fa abitare in una casa a prova di uragano e di terremoto: il Suo sacratissimo Cuore.

Mosè oggi raccomanda: “Porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole, ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi” (Dt 11,18): si tratta di un riferimento alla coscienza, chiamata a discernere il bene dal male con lo sguardo illuminato e illuminante della Parola divina, e ad operare di conseguenza con la volontà pratica, “mano” della ragione.

La Legge di Dio è posta nel cuore dell’uomo come una “roccia” in grado di assicurare stabilità a tutta la vita. Essa sta dentro di lui come voce della coscienza morale “incisa” nel nastro dell’essere dal suo Creatore e Signore. E’ questa una voce “vincolante”, non nel senso di una costrizione divina sulla volontà, bensì come libero invito a percorrere l’unica via necessaria per ottenere la benedizione divina, in alternativa alla sicura maledizione dovuta al rifiuto di ascoltarla. Il vincolo sta nella conoscenza, la quale “obbliga” a decidere per il vero bene, come l’occhio deve dischiudere le palpebre se vuole far entrare la luce.

Similmente a Mosè, Benedetto XVI ha recentemente affermato: “La tematica della sindrome post-abortiva...rivela la voce insopprimibile della coscienza morale, e la ferita gravissima che essa subisce ogni qualvolta l’azione umana tradisce l’innata vocazione al bene dell’essere umano, che essa testimonia.(…) E’ infatti il compito della coscienza morale discernere il bene dal male nelle diverse situazioni dell’esistenza, affinchè, sulla base di questo giudizio, l’essere umano possa liberamente orientarsi al bene.(…) Nella coscienza morale Dio parla a ciascuno e invita a difendere la vita umana in ogni momento. In questo legame personale con il Creatore sta la dignità profonda della coscienza morale e la ragione della sua inviolabilità” (Discorso alla Pontificia Accademia per la Vita , 26 febbraio 2011).

Al riguardo, il Papa si è rivolto in particolare ai medici, esortandoli “non venir meno al grave compito di difendere dall’inganno la coscienza di molte donne che pensano di trovare nell’aborto la soluzione a difficoltà familiari, economiche, sociali o a problemi di salute del loro bambino”.

Come quelle di Cristo da cui provengono, queste parole sono in grado di trasformare la sabbia in roccia, perché la vita torni ad essere positiva e felice come il “sì”, e lo sia per sempre nell’ascolto costante e consolante del Maestro che parla al cuore.


---------

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.


Caterina63
00sabato 5 marzo 2011 18:16
[SM=g1740733] 12PORTE - 3 marzo 2011: La parabola della casa costruita sulla sabbia o sulla roccia: è la parte conclusiva dell'ampio discorso della montagna, che ci offre la Liturgia della nona domenica del tempo ordinario.
Ricordiamo il percorso che abbiamo fatto in queste domeniche, prima di entrare mercoledì nell'itinerario della quaresima.
Abbiamo ripercorso i primi passi del ministero di Gesù in Galilea, nel racconto dell'evangelista Matteo: il Signore convoca attorno a sé un popolo nuovo, fondato sulla fede in lui. "Seguitemi!" è il primo comandamento che in fondo è anche il senso stesso della Chiesa: seguire lui, credere in lui, essere uniti a lui.
Il discorso della montagna ci ha spinto a riflettere accuratamente sul nostro rapporto con Cristo. "Io vi dico": queste parole Gesù le ha ripetute più volte e abbiamo compreso come il Cristianesimo non sia un insieme di precetti religiosi o di valori morali, ma è anzitutto l'incontro decisivo e trasformante con la persona di Gesù.
Arriviamo così alla casa sulla roccia: alla luce del percorso che abbiamo fatto sulla parola evangelica, possiamo così comprendere che la roccia è Cristo stesso. Credere in lui, amarlo come nostro Dio e come nostro prossimo più prossimo, cercare di imitarlo, ma soprattutto affidarci alla forza della sua parola e del suo dono.
E la casa da costruire è la nostra vita, nel suo senso più concreto: decisioni, responsabilità, obiettivi. Cristo riscatta e dà solidità, perché la roccia è per sempre.
Non ci sono molte alternative: la sabbia della presunzione di farcela da soli, della religione falsa, del pensare di salvarci da soli solo perché pensiamo di essere buoni, porta alla distruzione totale, alla rovina grande.
Il vangelo non si presenta a noi come una specie di consiglio per una vita buona. Più volte, nel discorso della montagna Gesù ha parlato con forte realismo del fuoco della Geena, della condanna eterna, e ora della grande rovina.
Ma il Vangelo resta "buona notizia": la vita, la vita eterna è possibile all'uomo che crede, e costruisce su di lui tutta la sua vita. (mons. Andrea Caniato).

it.gloria.tv/?media=135065



[SM=g1740738]

Caterina63
00domenica 6 marzo 2011 17:51
LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 06.03.2011

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

                          Pope Benedict XVI waves to the crowd gathered below in Saint Peter's square during his Sunday Angelus blessing at the Vatican March 6, 2011.

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Il Vangelo di questa domenica presenta la conclusione del “Discorso della montagna”, dove il Signore Gesù, attraverso la parabola delle due case costruite una sulla roccia e l’altra sulla sabbia, invita i discepoli ad ascoltare le sue parole e a metterle in pratica (cfr Mt 7,24).
In questo modo Egli colloca il discepolo e il suo cammino di fede nell’orizzonte dell’Alleanza, costituita dalla relazione che Dio intesse con l’uomo, attraverso il dono della sua Parola, entrando in comunicazione con noi. Il Concilio Vaticano II afferma: “Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé”. (Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 2). “In questa visione ogni uomo appare come il destinatario della Parola, interpellato e chiamato ad entrare in tale dialogo d’amore con una risposta libera” (Esort. Ap. postsin. Verbum Domini, 22). Gesù è la Parola vivente di Dio. Quando insegnava, la gente riconosceva nelle sue parole la stessa autorità divina, sentiva la vicinanza del Signore, il suo amore misericordioso, e rendeva lode a Dio.

In ogni epoca e in ogni luogo, chi ha la grazia di conoscere Gesù, specialmente attraverso la lettura del santo Vangelo, ne rimane affascinato, riconoscendo che nella sua predicazione, nei suoi gesti, nella sua Persona Egli ci rivela il vero volto di Dio, e al tempo stesso rivela noi a noi stessi, ci fa sentire la gioia di essere figli del Padre che è nei cieli, indicandoci la base solida su cui edificare la nostra vita.

Ma spesso l’uomo non costruisce il suo agire, la sua esistenza, su questa identità, e preferisce le sabbie delle ideologie, del potere, del successo e del denaro, pensando di trovarvi stabilità e la risposta alla insopprimibile domanda di felicità e di pienezza che porta nella propria anima. E noi, su che cosa vogliamo costruire la nostra vita? Chi può rispondere veramente all’inquietudine del nostro cuore? Cristo è la roccia della nostra vita! Egli è la Parola eterna e definitiva che non fa temere ogni sorta di avversità, ogni difficoltà, ogni disagio (cfr Verbum Domini, 10).

Possa la Parola di Dio permeare tutta la nostra vita, pensiero e azione, così come proclama la prima lettura della Liturgia odierna tratta dal Libro del Deuteronomio: “Porrete dunque nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi” (11,18). Cari fratelli, vi esorto a fare spazio, ogni giorno, alla Parola di Dio, a nutrirvi di essa, a meditarla continuamente. È un prezioso aiuto anche per mettersi al riparo da un attivismo superficiale, che può soddisfare per un momento l’orgoglio, ma che, alla fine, lascia vuoti e insoddisfatti.

Invochiamo l’aiuto della Vergine Maria la cui esistenza è stata segnata dalla fedeltà alla Parola di Dio. La contempliamo nell’Annunciazione, ai piedi della Croce e, ora, partecipe della gloria del Cristo Risorto. Come Lei, vogliamo rinnovare il nostro “sì” e affidare con fiducia a Dio il nostro cammino.

APPELLO

Seguo continuamente e con grande apprensione le tensioni che, in questi giorni, si registrano in diversi Paesi dell’Africa e dell’Asia.

Chiedo al Signore Gesù che il commovente sacrificio della vita del Ministro pakistano Shahbaz Bhatti svegli nelle coscienze il coraggio e l’impegno a tutelare la libertà religiosa di tutti gli uomini e, in tal modo, a promuovere la loro uguale dignità.

Il mio accorato pensiero si dirige poi alla Libia, dove i recenti scontri hanno provocato numerose morti e una crescente crisi umanitaria. A tutte le vittime e a coloro che si trovano in situazioni angosciose assicuro la mia preghiera e la mia vicinanza, mentre invoco assistenza e soccorso per le popolazioni colpite.

* * *


Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i ragazzi di Mattarello, Galzignano Terme, Sottomarina, Thiene, Arzignano e Altavilla Vicentina, e quelli di varie città della Campania, con tanti auguri per il loro cammino di crescita nella fede. Saluto gli alunni e i familiari della Scuola “Santa Dorotea” di Montecchio Emilia, i giovani di Lipomo, i fedeli provenienti da Como, Carmignano di Brenta, Povegliano Veronese, Anzio e Cecchina. A tutti auguro una buona domenica e un buon inizio, mercoledì prossimo, della santa Quaresima. Buona domenica!

                           Pope Benedict XVI waves to the crowd gathered below in Saint Peter's square during his Sunday Angelus blessing at the Vatican March 6, 2011.


Caterina63
00domenica 7 agosto 2011 15:02

l Papa: l’esperienza del profeta Elia che udì il passaggio di Dio e il travaglio di fede dell’apostolo Pietro ci fanno comprendere che il Signore prima ancora che lo cerchiamo o lo invochiamo, è Lui stesso che ci viene incontro, abbassa il cielo per tenderci la mano e portarci alla sua altezza; aspetta solo che ci fidiamo totalmente di Lui

ANGELUS: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Appello del Papa per Siria e Libia (TMNews)

Appello del Papa per Libia e Siria (Tg1)

All’Angelus il Papa lancia un accorato appello per la pacifica convivenza in Siria e la fine delle violenze in Libia (R.V.)

Occupazione, il Papa auspica una positiva soluzione per l'azienda campapa Irisbus (Izzo)

Dal Papa appello per la riconciliazione e la pace in Siria e Libia (AsiaNews)

Libia, l'appello di Benedetto XVI: "Tacciano le armi, prevalga il dialogo" (Repubblica)

Libia e Siria, l'appello di Papa Benedetto (Corriere)

Il Papa: la barca della Chiesa nel mare delle tribolazioni. Dio abbassa il Cielo per portarci alla sua altezza (Izzo)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 07.08.2011

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI recita l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti nel Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Pope Benedict XVI leads his Sunday Angelus prayer at his summer  residence in Castelgandolfo, southern Rome, August 7, 2011.


Cari fratelli e sorelle,

nel vangelo di questa domenica, incontriamo Gesù che, ritiratosi sul monte, prega per tutta la notte.
Il Signore, in disparte sia dalla gente che dai discepoli, manifesta la sua intimità con il Padre e la necessità di pregare in solitudine, al riparo dai tumulti del mondo. Questo allontanarsi, però, non deve essere inteso come un disinteresse verso le persone o un abbandono degli Apostoli.
Anzi - narra san Matteo – fece salire i discepoli sulla barca per "precederlo sull’altra riva" (Mt 14,22), per incontrarli di nuovo. Nel frattempo, la barca "distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario" (v. 24), ed ecco che "sul finire della notte [Gesù] andò verso di loro camminando sul mare" (v. 25); i discepoli furono sconvolti e scambiandolo per un fantasma "gridarono dalla paura" (v. 26), non lo riconobbero, non capirono che si trattava del Signore. Ma Gesù li rassicura: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (v. 27).
E’ un episodio, del quale i Padri della Chiesa hanno colto una grande ricchezza di significato.

Il mare simboleggia la vita presente e l’instabilità del mondo visibile; la tempesta indica ogni sorta di tribolazione, di difficoltà, che opprime l’uomo. La barca, invece, rappresenta la Chiesa edificata su Cristo e guidata dagli Apostoli. Gesù vuole educare i discepoli a sopportare con coraggio le avversità della vita, confidando in Dio, in Colui che si è rivelato al profeta Elia sull’Oreb nel "sussurro di una brezza leggera" (1 Re 19,12).

Il brano continua poi con il gesto dell’ apostolo Pietro, il quale, preso da uno slancio di amore verso il Maestro, chiese di andargli incontro, camminando sulle acque. "Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!»" (Mt 14,30).

Sant’Agostino, immaginando di rivolgersi all’apostolo, commenta: il Signore "sì è abbassato e t'ha preso per mano. Con le tue sole forze non puoi alzarti. Stringi la mano di Colui che scende fino a te" (Enarr. in Ps. 95,7: PL 36, 1233).

Pietro cammina sulle acque non per la propria forza, ma per la grazia divina, in cui crede, e quando viene sopraffatto dal dubbio, quando non fissa più lo sguardo su Gesù, ma ha paura del vento, quando non si fida pienamente della parola del Maestro, vuol dire che si sta allontanando la Lui ed è allora che rischia di affondare nel mare della vita.

Il grande pensatore Romano Guardini scrive che il Signore "è sempre vicino, essendo alla radice del nostro essere. Tuttavia, dobbiamo sperimentare il nostro rapporto con Dio tra i poli della lontananza e della vicinanza. Dalla vicinanza siamo fortificati, dalla lontananza messi alla prova" (Accettare se stessi, Brescia 1992, 71).

Cari amici, l’esperienza del profeta Elia che udì il passaggio di Dio e il travaglio di fede dell’apostolo Pietro, ci fanno comprendere che il Signore prima ancora che lo cerchiamo o lo invochiamo, è Lui stesso che ci viene incontro, abbassa il cielo per tenderci la mano e portarci alla sua altezza; aspetta solo che ci fidiamo totalmente di Lui.

Invochiamo la Vergine Maria, modello di affidamento pieno a Dio, perché, in mezzo a tante preoccupazioni, problemi, difficoltà che agitano il mare della nostra vita, risuoni nel cuore la parola rassicurante di Gesù: Coraggio, sono io, non abbiate paura!, e cresca la nostra fede in Lui.

DOPO L’ANGELUS

Pope Benedict XVI waves as he leads his Sunday Angelus prayer at  his summer residence in Castelgandolfo, southern Rome August 7, 2011.


Cari fratelli e sorelle,

seguo con viva preoccupazione i drammatici e crescenti episodi di violenza in Siria, che hanno provocato numerose vittime e gravi sofferenze. Invito i fedeli cattolici a pregare, affinché lo sforzo per la riconciliazione prevalga sulla divisione e sul rancore. Inoltre, rinnovo alle Autorità ed alla popolazione siriana un pressante appello, perché si ristabilisca quanto prima la pacifica convivenza e si risponda adeguatamente alle legittime aspirazioni dei cittadini, nel rispetto della loro dignità e a beneficio della stabilità regionale. Il mio pensiero va anche alla Libia, dove la forza delle armi non ha risolto la situazione. Esorto gli Organismi internazionali e quanti hanno responsabilità politiche e militari a rilanciare con convinzione e risolutezza la ricerca di un piano di pace per il Paese, attraverso il negoziato ed il dialogo costruttivo.



Witam serdecznie obecnych tu Polaków. Dzisiaj, łączę się duchowo ze wszystkimi, którzy z różnych stron Polski pielgrzymują pieszo do Sanktuarium na Jasnej Górze. Szczególnie pozdrawiam uczestników jubileuszowej, trzechsetnej Warszawskiej Pielgrzymki Pieszej. Niech to wędrowanie z Maryją w pielgrzymce wiary, umocni ewangeliczny wymiar waszego życia osobistego, rodzinnego i społecznego. Waszym modlitwom polecam również moją papieską posługę. Z serca wszystkim błogosławię.

[Do il mio cordiale benvenuto a tutti i Polacchi qui presenti. Oggi, mi unisco spiritualmente a quanti da diverse parti della Polonia si recano a piedi al Santuario di Jasna Góra (Częstochowa). In modo particolare, saluto i partecipanti alla ricorrenza giubilare del terzo centenario del "Pellegrinaggio a Piedi da Varsavia". Auguro che questo percorso con Maria, nel pellegrinaggio della fede, rafforzi la dimensione evangelica della vostra vita personale, familiare e sociale. Alle vostre preghiere affido anche il Mio Ministero papale. Benedico di cuore tutti voi.]

Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i giovani della diocesi di Albano che prenderanno parte alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, i ragazzi della Compagnia dei Tipi Loschi del Beato Pier Giorgio Frassati e gli esponenti del Centro Anziani di Marino.

Saluto la rappresentanza degli operai dell’azienda Irisbus di Flumeri (Avellino), con il fervido auspicio di una positiva soluzione dei problemi che ne rendono precaria l’attività lavorativa. A tutti auguro una buona domenica e una buona settimana.


Pope Benedict XVI waves prior to delivering his Sunday Angelus  prayer to pilgrims gathered in the courtyard of his summer residence of  Castel Gandolfo, 40 km southeast of Rome, on August 7, 2011. Pope Pope  Benedict XVI called Sunday for an adequate response to the 'legitimate  aspirations' of the Syrian people and a return to peaceful coexistence  in the conflict-torn nation.

Pope Benedict XVI waves prior to delivering his Sunday Angelus  prayer to pilgrims gathered in the courtyard of his summer residence of  Castel Gandolfo, 40 km southeast of Rome, on August 7, 2011. Pope  Benedict XVI urged the international community Sunday to 'revive' their  search for a peace plan for Libya, saying force was not the answer.

Pope Benedict XVI delivers his Sunday Angelus prayer to pilgrims  gathered in the courtyard of his summer residence of Castel Gandolfo, 40  km southeast of Rome, on August 7, 2011. Pope Pope Benedict XVI called  Sunday for an adequate response to the 'legitimate aspirations' of the  Syrian people and a return to peaceful coexistence in the conflict-torn  nation.

Pope Benedict XVI leads his Sunday Angelus prayer at his summer  residence in Castelgandolfo, southern Rome,  August 7, 2011.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 05:29.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com