Meditazioni per la Settimana Santa: dalla Domenica delle Palme alla santa Pasqua

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Caterina63
00sabato 16 aprile 2011 20:08

Come è nostra santa abitudine, ripercorreremo insieme questa Santa Settimana di Passione e di Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo...
vi ricordiamo che ci sono questi thread passati, ricchi di meditazioni e del Magistero del Santo Padre:

Settimana Santa, Triduo Pasquale (Meditazioni)  

Settimana Santa: Triduo Pasquale (meditazioni fino alla Pasqua) Anno 2010


Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2011 e qui Meditazioni e Preghiera per questo Tempo Liturgico



La Domenica delle Palme e il tropario dell'innografa Cassianì

In cielo assiso in trono
in terra sull'asinello


di MANUEL NIN

Il canone dell'ufficiatura del mattutino della domenica delle Palme nella tradizione bizantina è attribuito a Cosma, innografo bizantino della seconda metà del VII secolo, monaco di san Saba e vescovo di Maiouma. Il testo riprende il tema della risurrezione di Lazzaro: "L'ade tutto tremante, al tuo comando lasciò andare Lazzaro, morto da quattro giorni, perché tu, o Cristo, sei la risurrezione e la vita: in te è stata consolidata la Chiesa che acclama: Osanna, benedetto sei tu che vieni". La Chiesa che con i bimbi loda Cristo è la stessa che su di lui, pietra angolare, viene fondata: "Bevve il popolo d'Israele alla dura roccia tagliata da cui per tuo comando sgorgava l'acqua: ma la roccia sei tu, o Cristo, e su questa pietra è stata consolidata la Chiesa".

Alcuni tropari del canone sottolineano che chi entra umile su un puledro è anche il Creatore del cielo e della terra: "In cielo assiso in trono, in terra sull'asinello, o Cristo Dio, tu hai accolto la lode degli angeli e l'acclamazione dei fanciulli: Benedetto sei tu che vieni a richiamare Adamo dall'esilio. Vedendoti su un asinello, ti contemplavano come assiso sui cherubini, e per questo a te così gridavano: Osanna nel più alto dei cieli".

Il poema mette in parallelo le acclamazioni dei bimbi in questa domenica con il loro pianto quando furono sgozzati da Erode: "Poiché hai legato l'ade, o immortale, ucciso la morte e risuscitato il mondo, con palme ti esaltavano i bambini, o Cristo, come vincitore. I bimbi non saranno più sgozzati per il bimbo di Maria perché per tutti, bimbi e vecchi, tu solo sarai crocifisso. La spada non si volgerà più contro di noi, perché il tuo fianco sarà trafitto dalla lancia. Perciò diciamo esultanti: Benedetto sei tu che vieni per richiamare Adamo dall'esilio".

Il tropario dell'innografa Cassianì è uno dei testi per il mercoledì santo che viene cantato al mattutino e al vespro. Di bellezza e profondità uniche nel suo genere, è stato scritto da una monaca che visse a Costantinopoli nella prima metà del IX secolo. Canta l'unzione che la donna peccatrice riservò a Gesù prima della sua passione. La figura delle donne mirofore - portatrici di unguento (myron) - è nei vangeli, sia prima della passione di Cristo sia dopo la sua risurrezione. Il tropario non precisa l'identità della donna: una peccatrice, come viene presentata da Matteo e da Marco; oppure Maria sorella di Lazzaro, come viene presentata da Giovanni. Il testo è un canto alla misericordia, al perdono e all'amore eterno di Dio per l'uomo, pur peccatore.

La donna peccatrice percepisce la divinità di Cristo, il suo potere di guarire, la sua forza per perdonare e salvare. Il processo della sua conversione è presentato con l'immagine dell'assumere il ruolo di mirofora, che offrendo a Cristo l'unguento in previsione della sua sepoltura, come nel vangelo di Giovanni. E dopo la risurrezione sarà Cristo stesso a dare all'umanità redenta se stesso come unguento di salvezza.

"Ahimé, sono prigioniera di una notte senza luce di luna, furore tenebroso di incontinenza, amore di peccato! Accetta i torrenti delle mie lacrime, tu che attiri nelle nubi l'acqua del mare. Piègati ai gemiti del mio cuore, tu che hai piegato i cieli nel tuo ineffabile annientamento". La seconda parte del poema è la preghiera accorata della donna a Cristo. Il primo versetto non si riferisce soltanto all'oscurità dell'anima peccatrice, ma anche alla Pasqua celebrata nel giorno di luna piena. Essendo tutto il tropario indirizzato a Cristo, l'autrice usa immagini cristologicamente contrastanti per sottolineare sia la vera divinità di Cristo che la sua vera umanità, immagini che tra loro si completano. Sono da notare anche i due imperativi messi da Cassianì in bocca della donna: "accetta" e "piègati", forme verbali che danno l'idea della grande fiducia e libertà dell'uomo nei confronti di Dio.

"Bacerò i tuoi piedi immacolati, li asciugherò con i riccioli del mio capo, quei piedi di cui Eva a sera percepì il suono dei passi nel paradiso e per timore si nascose. Chi mai potrà scrutare la moltitudine dei miei peccati e l'abisso dei tuoi giudizi, o mio Salvatore, che salvi le anime?". La terza parte presenta l'atteggiamento della donna: il suo amore verso Cristo, che nel poema è chiaramente anche il Creatore che cammina nel paradiso e di cui Eva sente i passi. Il tema del Logos creatore è frequente nei Padri, ma nel testo è singolare la bellezza dell'immagine che accosta i piedi di Cristo baciati dalla donna ai piedi di cui Eva sente il suono nel paradiso. I peccati della donna sono moltitudine; ma i giudizi e le decisioni di Cristo nei suoi confronti sono un abisso di misericordia, evocata nella preghiera conclusiva: "Non disprezzare la tua serva, tu che possiedi incommensurabile la misericordia!".



(©L'Osservatore Romano 17 aprile 2011)


Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2011 e qui Meditazioni e Preghiera per questo Tempo Liturgico

PER UNA SANTA QUARESIMA 2010 NEL SUO TEMPO LITURGICO DI MEDITAZIONI

Sanctum Rosarium in latino, con la Meditazione dei Misteri e il Credo Mariano 

Benedetto XVI: SILENZIO E CONTEMPLAZIONE

L' ESAME DI COSCIENZA.......e la preparazione per una buona Confessione dei peccati!

ATTO DI RIPARAZIONE CONTRO IL DELITTO DELL'ABORTO  

La Pia Pratica della VIA CRUCIS (storia e Preghiera)

Novena (e Tridui) a san Domenico e ad altri Santi   L'Ave Maria e la Preghiera del Cuore

Litanie Domenicane, Lauretane, al Cuore di Gesù, ecc...   

Spirito Santo, Terza Persona della SS.ma Trinità (Novena e Preghiere)

Settimana Santa, Triduo Pasquale (Meditazioni)  

Settimana Santa: Triduo Pasquale (meditazioni fino alla Pasqua) Anno 2010

Preghiera PER LA NOTTE di padre Alfredo Pallotta, passionista ed esorcista (raccomandabile)

19 Marzo Festa di San Giuseppe, Sposo Casto di Maria Santissima e Custode della Santa Chiesa

Con particolare attenzione a questo argomento:

Riflettiamo sul DIGIUNO QUARESIMALE e le ipocrisie della modernità (da Fides et Forma)


Caterina63
00sabato 16 aprile 2011 20:11
È significativa la presenza femminile alle celebrazioni pasquali nella Gerusalemme paleocristiana

La Settimana santa raccontata da Egeria


di FABRIZIO BISCONTI

Sembra declinarsi al femminile il pellegrinaggio in Terra Santa nel momento paleocristiano, se si esclude il pellegrino di Bordeaux, che si recò presso le memorie dell'Antico e del Nuovo Testamento nel 333. Per il resto, infatti, emergono i nomi di donne illustri, tra le pellegrine, che avevano deciso di affrontare il lungo e faticoso viaggio verso i luoghi santi: da Melania a Paola e a sua figlia Eustochio, da Melania la giovane ad Egeria, che, tra il 381 e il 384, presumibilmente dalla Spagna, si recò in Terra Santa, lasciandoci uno dei diari di viaggio più dettagliati e avvincenti della tarda antichità.

D'altra parte, anche i sopralluoghi più antichi, testimoniati dalle fonti, parlano ancora al femminile, se Eusebio, riferendo della prassi di un pellegrinaggio massiccio di cristiani provenienti "da tutto il mondo" (Dimostrazione evangelica, 6, 18, 23), fa emergere dalla massa la figura della madre di Costantino (Vita di Costantino, 3, 42), Sozomeno ci informa che pure Eutropia, madre di Fausta, moglie dell'imperatore, raggiunse questi santi luoghi (Storia Ecclesiastica, 2, 4).

Ma torniamo a Egeria, nota anche come Silvia o Eteria, famosa, appunto, per il suo Itinerarium o Peregrinatio ad loca sancta, originaria, con ogni probabilità, della Galizia, parte dell'antica Hispania Citerior o Tarraconensis.
La nobildonna indirizza il suo prezioso diario alle consorelle, organizzandolo come una lunga epistula, pervenuta da un unico manoscritto aretino, mutilo nell'incipit e nell'epilogo. Ed è estremamente utile per la ricostruzione dei monumenti sorti sui luoghi biblici, ma anche della liturgia, dell'organizzazione ecclesiastica e monastica della Gerusalemme della fine del secolo IV.

Il racconto di Egeria si ferma a descrivere nei minimi particolari lo svolgimento del ciclo pasquale a Gerusalemme, secondo una dinamica rituale, che comporta la successione della Quaresima, della Settimana santa, dell'ottava di Pasqua, dell'Ascensione e della Pentecoste. Si desume, però, che mentre in occidente la Quaresima occupava il canonico arco dei quaranta giorni, a Gerusalemme essa era più lunga, nel senso che, pur conteggiando quaranta giorni di digiuno, la quaresima durava ben otto settimane, poiché le domeniche e i sabati non si digiunava, fatta eccezione per il sabato della vigilia di Pasqua.

La Quaresima nella Gerusalemme del tempo si configura, dunque, come una severa forma di digiuno, ispirato a quello osservato dal Cristo nel deserto. Egeria entra, poi, nel merito delle diverse prassi di digiuno seguite a Gerusalemme: alcuni mangiano solo alla sera; altri digiunano due volte alla settimana, ossia il mercoledì e il venerdì; altri, ancora, digiunano tutta la settimana a eccezione del sabato, della domenica e del giovedì; altri, infine, digiunano continuamente, mangiando solo il sabato e la domenica, tanto da essere definiti "monaci della settimana". Questi ultimi estendono, spesso, l'astensione dal cibo a tutto l'anno, in maniera rigorosa, privandosi del pane, dell'olio, della frutta e mangiando solo un po' di semola ammollata e acqua, secondo quanto precisa Egeria: sorbitio modica de farina (Diario di viaggio, 28).

Al digiuno si associa una forma di preghiera continua, comunitaria e inserita nella prassi liturgica locale. Particolarmente ricche si presentano le celebrazioni domenicali, che prendono avvio dall'alba con l'annuncio pasquale della resurrezione nella chiesa dell'Anàstasis e proseguono con le consuete celebrazioni della domenica, per sfociare, a mezzogiorno, nella processione che, dal Golgota, giunge al Santo Sepolcro. Sul far della sera, si celebra il "lucernale", che consiste in un susseguirsi di inni, antifone, salmi e preghiere alla luce di candele accese. Il mercoledì e il venerdì - giornate di digiuno per tutti - la celebrazione dell'ora nona, che culmina con la messa, si estendeva sino al vespro, mentre il venerdì si vegliava per tutta la notte, dal lucernale fino all'alba del sabato, quando si celebrava la messa per permettere ai digiunatori di assumere finalmente il cibo (Diario di viaggio, 24-27).

Per quanto riguarda la Settimana santa, essa è preparata già all'alba della penultima settimana prima di Pasqua, quando il vescovo, dopo aver celebrato l'Eucarestia, fissa l'appuntamento all'ora settima al Lazarium, laddove Maria, la sorella di Lazzaro, incontrò il Cristo. Qui sorgeva una chiesa, che si riempiva di fedeli per ascoltare il vangelo proclamato dal vescovo stesso che, poi, guidava i fedeli sino alla casa di Lazzaro - colma di altra gente, tanto da debordare nei campi vicini - per leggere il vangelo di Giovanni, che recitava: "sei giorni prima della Pasqua Gesù venne a Betania" (12, 1), annunciando esplicitamente la Pasqua.

Il giorno dopo, che dava avvio alla "Grande settimana" come veniva definita a Gerusalemme, tutti si radunavano al Martyrium del Golgota e, all'ora settima, ci si dava appuntamento sul Monte degli ulivi, per fare letture, intonare inni e pronunciare antifone. Verso le tre del pomeriggio, ci si recava cantando in processione sulla sommità del monte per leggere il vangelo relativo all'ingresso di Cristo in Gerusalemme, per poi scendere verso la città. Madri, bambini con rami di palma e di olivo, matrone e nobili giungevano, con lento passo processionale, sul far della sera, alla chiesa del Santo Sepolcro.

I tre giorni seguenti si trascorrevano in preghiera e culminavano con la lettura relativa al tradimento di Giuda (Matteo, 26, 14), durante la quale i presenti si commuovevano sino alle lacrime (Diario di viaggio, 34).

Il giovedì è caratterizzato dalla memoria della Cena, dalle preghiere sul monte degli ulivi, per rievocare la preghiera di Gesù e l'arresto (Matteo, 26, 47-56). All'alba si raggiunge il Golgota per leggere l'episodio del Cristo davanti a Pilato (Matteo, 27, 1-26). Il vescovo invita tutti a una breve pausa e fissa un appuntamento, di lì a poco, per rendere omaggio alle reliquie della croce. Da quel momento e fino alla notte i fedeli erano impegnati nella preghiera, nei canti e nelle letture, mentre, sul far del giorno, si recavano a pregare presso la colonna della flagellazione, nella chiesa di Sion. Dopo l'adorazione della croce, verso mezzogiorno, tra il Golgota e il Santo Sepolcro, si rievoca la passio Christi, in tutta la sua dinamica, attraverso le letture evangeliche e le prefigurazioni veterotestamentarie.

All'ora nona si legge il testo della passione secondo Giovanni (19, 30), e ci si reca sino al Sepolcro per leggere il luogo relativo alla richiesta del corpo del Cristo da parte di Giuseppe di Arimatea (Giovanni, 19, 38), dopo di che la veglia è riservata solo a quanti resistono e non sono sopraffatti dalla stanchezza. Il sabato non prevede riti speciali e ci si prepara per la grande veglia, che sfocia nel grande estuario della Pasqua.

Il racconto di Egeria dimostra che già nell'ultimo scorcio del IV secolo, la Pasqua non rappresentava un rito unico, ma un solenne e denso ciclo, culmine e soluzione della formazione della spiritualità cristiana. Il senso profondo di questa ricca liturgia si decodifica attraverso le parole di Leone Magno che, meno di un secolo più tardi, così si esprime: "Poiché dunque con la pratica quaresimale abbiamo voluto lavorare per avvertire in noi qualcosa della croce, nel tempo della passione del Signore dobbiamo fare ogni sforzo per ritrovarci partecipi della risurrezione del Cristo e passare, mentre siamo ancora uniti al nostro corpo, dalla morte alla vita" (Sermone, 71, 1).



(©L'Osservatore Romano 17 aprile 2011)

Caterina63
00domenica 17 aprile 2011 14:59
CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE, 17.04.2011

Alle ore 9.30 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI presiede, in Piazza San Pietro, la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore. Il Papa benedice le palme e gli ulivi e, al termine della processione, celebra la Santa Messa della Passione del Signore.
Alla celebrazione prendono parte, in occasione della ricorrenza diocesana della XXVI Giornata Mondiale della Gioventù sul tema: "Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede" (Col 2, 7) giovani di Roma e di altre Diocesi, come preludio della GMG 2011 che si terrà dal 16 al 21 agosto a Madrid (Spagna).
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia dopo la proclamazione della Passione del Signore secondo Matteo:

OMELIA DEL SANTO PADRE

                           Pope Benedict XVI attends the Palm Sunday celebration in Saint Peter's square at the Vatican, on April 17 2011. The Palm Sunday marks the holy week of Easter in celebration of the crucifixion and resurrection of Jesus Christ.

Cari fratelli e sorelle,
cari giovani!

Ci commuove nuovamente ogni anno, nella Domenica delle Palme, salire assieme a Gesù il monte verso il santuario, accompagnarLo lungo la via verso l’alto. In questo giorno, su tutta la faccia della terra e attraverso tutti i secoli, giovani e gente di ogni età Lo acclamano gridando: "Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!"

Ma che cosa facciamo veramente quando ci inseriamo in tale processione – nella schiera di coloro che insieme con Gesù salivano a Gerusalemme e Lo acclamavano come re di Israele? È qualcosa di più di una cerimonia, di una bella usanza? Ha forse a che fare con la vera realtà della nostra vita, del nostro mondo? Per trovare la risposta, dobbiamo innanzitutto chiarire che cosa Gesù stesso abbia in realtà voluto e fatto. Dopo la professione di fede, che Pietro aveva fatto a Cesarea di Filippo, nell’estremo nord della Terra Santa, Gesù si era incamminato come pellegrino verso Gerusalemme per le festività della Pasqua. È in cammino verso il tempio nella Città Santa, verso quel luogo che per Israele garantiva in modo particolare la vicinanza di Dio al suo popolo. È in cammino verso la comune festa della Pasqua, memoriale della liberazione dall’Egitto e segno della speranza nella liberazione definitiva.

Egli sa che Lo aspetta una nuova Pasqua e che Egli stesso prenderà il posto degli agnelli immolati, offrendo se stesso sulla Croce. Sa che, nei doni misteriosi del pane e del vino, si donerà per sempre ai suoi, aprirà loro la porta verso una nuova via di liberazione, verso la comunione con il Dio vivente. È in cammino verso l’altezza della Croce, verso il momento dell’amore che si dona. Il termine ultimo del suo pellegrinaggio è l’altezza di Dio stesso, alla quale Egli vuole sollevare l’essere umano.

La nostra processione odierna vuole quindi essere l’immagine di qualcosa di più profondo, immagine del fatto che, insieme con Gesù, c’incamminiamo per il pellegrinaggio: per la via alta verso il Dio vivente. È di questa salita che si tratta. È il cammino a cui Gesù ci invita. Ma come possiamo noi tenere il passo in questa salita? Non oltrepassa forse le nostre forze? Sì, è al di sopra delle nostre proprie possibilità.

Da sempre gli uomini sono stati ricolmi – e oggi lo sono quanto mai – del desiderio di "essere come Dio", di raggiungere essi stessi l’altezza di Dio. In tutte le invenzioni dello spirito umano si cerca, in ultima analisi, di ottenere delle ali, per potersi elevare all’altezza dell’Essere, per diventare indipendenti, totalmente liberi, come lo è Dio. Tante cose l’umanità ha potuto realizzare: siamo in grado di volare. Possiamo vederci, ascoltarci e parlarci da un capo all’altro del mondo. E tuttavia, la forza di gravità che ci tira in basso è potente. Insieme con le nostre capacità non è cresciuto soltanto il bene. Anche le possibilità del male sono aumentate e si pongono come tempeste minacciose sopra la storia. Anche i nostri limiti sono rimasti: basti pensare alle catastrofi che in questi mesi hanno afflitto e continuano ad affliggere l’umanità.

I Padri hanno detto che l’uomo sta nel punto d’intersezione tra due campi di gravitazione. C’è anzitutto la forza di gravità che tira in basso – verso l’egoismo, verso la menzogna e verso il male; la gravità che ci abbassa e ci allontana dall’altezza di Dio. Dall’altro lato c’è la forza di gravità dell’amore di Dio: l’essere amati da Dio e la risposta del nostro amore ci attirano verso l’alto. L’uomo si trova in mezzo a questa duplice forza di gravità, e tutto dipende dallo sfuggire al campo di gravitazione del male e diventare liberi di lasciarsi totalmente attirare dalla forza di gravità di Dio, che ci rende veri, ci eleva, ci dona la vera libertà.

Dopo la liturgia della Parola, all’inizio della Preghiera eucaristica durante la quale il Signore entra in mezzo a noi, la Chiesa ci rivolge l’invito: "Sursum corda – in alto i cuori!" Secondo la concezione biblica e nella visione dei Padri, il cuore è quel centro dell’uomo in cui si uniscono l’intelletto, la volontà e il sentimento, il corpo e l’anima. Quel centro, in cui lo spirito diventa corpo e il corpo diventa spirito; in cui volontà, sentimento e intelletto si uniscono nella conoscenza di Dio e nell’amore per Lui. Questo "cuore" deve essere elevato. Ma ancora una volta: noi da soli siamo troppo deboli per sollevare il nostro cuore fino all’altezza di Dio.

Non ne siamo in grado. Proprio la superbia di poterlo fare da soli ci tira verso il basso e ci allontana da Dio. Dio stesso deve tirarci in alto, ed è questo che Cristo ha iniziato sulla Croce.

Egli è disceso fin nell’estrema bassezza dell’esistenza umana, per tirarci in alto verso di sé, verso il Dio vivente. Egli è diventato umile, ci dice la seconda lettura. Soltanto così la nostra superbia poteva essere superata: l’umiltà di Dio è la forma estrema del suo amore, e questo amore umile attrae verso l’alto.

Il Salmo processionale numero 24, che la Chiesa ci propone come "canto di ascesa" per la liturgia di oggi, indica alcuni elementi concreti, che appartengono alla nostra ascesa e senza i quali non possiamo essere sollevati in alto: le mani innocenti, il cuore puro, il rifiuto della menzogna, la ricerca del volto di Dio. Le grandi conquiste della tecnica ci rendono liberi e sono elementi del progresso dell’umanità soltanto se sono unite a questi atteggiamenti – se le nostre mani diventano innocenti e il nostro cuore puro, se siamo in ricerca della verità, in ricerca di Dio stesso, e ci lasciamo toccare ed interpellare dal suo amore. Tutti questi elementi dell’ascesa sono efficaci soltanto se in umiltà riconosciamo che dobbiamo essere attirati verso l’alto; se abbandoniamo la superbia di volere noi stessi farci Dio. Abbiamo bisogno di Lui: Egli ci tira verso l’alto, nell’essere sorretti dalle sue mani – cioè nella fede – ci dà il giusto orientamento e la forza interiore che ci solleva in alto. Abbiamo bisogno dell’umiltà della fede che cerca il volto di Dio e si affida alla verità del suo amore.

La questione di come l’uomo possa arrivare in alto, diventare totalmente se stesso e veramente simile a Dio, ha da sempre impegnato l’umanità. È stata discussa appassionatamente dai filosofi platonici del terzo e quarto secolo. La loro domanda centrale era come trovare mezzi di purificazione, mediante i quali l’uomo potesse liberarsi dal grave peso che lo tira in basso ed ascendere all’altezza del suo vero essere, all’altezza della divinità.

Sant’Agostino, nella sua ricerca della retta via, per un certo periodo ha cercato sostegno in quelle filosofie. Ma alla fine dovette riconoscere che la loro risposta non era sufficiente, che con i loro metodi egli non sarebbe giunto veramente a Dio. Disse ai loro rappresentanti: Riconoscete dunque che la forza dell’uomo e di tutte le sue purificazioni non basta per portarlo veramente all’altezza del divino, all’altezza a lui adeguata. E disse che avrebbe disperato di se stesso e dell’esistenza umana, se non avesse trovato Colui che fa ciò che noi stessi non possiamo fare; Colui che ci solleva all’altezza di Dio, nonostante tutta la nostra miseria: Gesù Cristo che, da Dio, è disceso verso di noi e, nel suo amore crocifisso, ci prende per mano e ci conduce in alto.

Noi andiamo in pellegrinaggio con il Signore verso l’alto. Siamo in ricerca del cuore puro e delle mani innocenti, siamo in ricerca della verità, cerchiamo il volto di Dio. Manifestiamo al Signore il nostro desiderio di diventare giusti e Lo preghiamo: Attiraci Tu verso l’alto! Rendici puri! Fa’ che valga per noi la parola che cantiamo col Salmo processionale; che possiamo appartenere alla generazione che cerca Dio, "che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe" (Sal 24,6). Amen.

     Pope Benedict XVI attends the Palm Sunday procession in Saint Peter's square at the Vatican, on April 17 2011. The Palm Sunday marks the holy week of Easter in celebration of the crucifixion and resurrection of Jesus Christ.Pope Benedict XVI attends the Palm Sunday procession in Saint Peter's square at the Vatican, on April 17 2011. The Palm Sunday marks the holy week of Easter in celebration of the crucifixion and resurrection of Jesus Christ.

                                     Pope Benedict XVI kisses the main altar as he leads the Palm Sunday mass at the Vatican April 17, 2011.

                        Pope Benedict XVI celebrates the Palm Sunday mass in St Peter's square at the Vatican, on April 17, 2011. Palm Sunday marks the start of the holy week of Easter in celebration of the crucifixion and resurrection of Jesus Christ.


Saluto ed introduzione all'Angelus:

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, specialmente i giovani, ai quali do appuntamento a Madrid, per la Giornata Mondiale della Gioventù, nel prossimo mese di agosto.

Ed ora ci rivolgiamo in preghiera a Maria, affinché ci aiuti a vivere con fede intensa la Settimana Santa. Anche Maria esultò nello spirito quando Gesù fece il suo ingresso regale in Gerusalemme, compiendo le profezie; ma il suo cuore, come quello del Figlio, era pronto al Sacrificio. Impariamo da Lei, Vergine fedele, a seguire il Signore anche quando la sua via porta alla croce
.

Angelus Domini…






Caterina63
00domenica 17 aprile 2011 16:31

L’ambiente liturgico nel tempo di Quaresima

Aspetto penitenziale della chiesa

“In Quaresima non sono ammessi i fiori sull’altare e il suono degli strumenti è permesso soltanto per sostenere i canti, nel rispetto dell’indole penitenziale di questo tempo”(Paschalis sollemnitatis, n. 17)

* Il colore violaceo

Il colore liturgico proprio della quaresima è il violaceo. Conviene che di questo colore siano non solo gli abiti sacri (stola, casula, piviale, tunicella, velo omerale), ma anche il conopeo del tabernacolo e dell’ambone, e altre eventuali stoffe che adornano il presbiterio e la chiesa.


* L’assenza dei fiori

“Nel tempo di Quaresima è proibito ornare l’altare con i fiori. Fanno eccezione tuttavia la domenica Laetare (IV di Quaresima), le solennità e le feste” (Ordinamento Generale del Messale Romano, 2004, n. 305).

Anche l’assenza dei fiori costituisce un segno tipico della Quaresima. Sono permesse tuttavia piante verdi. Questa norma non è formalismo, ma uno strumento educativo, affinché i fedeli siano richiamati visivamente all’austerità del cuore, della mente e della vita in vista di una purificazione dello spirito, mediante la penitenza e la conversione. L’assenza dei fiori richiama il deserto biblico, che riporta l’uomo all’essenzialità delle cose, richiama l’attenzione a ciò che ha valore e dispone alla verifica dei fondamenti stessi dell’esistenza umana e cristiana.

“…Il deserto contribuisce a formare la psicologia dell’uomo in due modi: sviluppando in lui, prima l’idea dell’onnipotenza di Dio e poi quella della impotenza e nullità dell’uomo. Nel deserto le stelle sembrano così vicine che si ha l’impressione di poter arrivare fin su nel cielo a distaccarle. Non v’è anima viva, né animali, né ciuffo d’erba o un cespuglio su cui riposare lo sguardo. Non v’è se non il cielo cui l’anima possa aggrapparsi in quella solitudine desolata, e, dal momento che nel deserto gli occhi guardano molto il cielo e poco la sabbia, è molto naturale che si rimanga profondamente colpiti dalla onnipotenza di Dio. Un secondo effetto del deserto è il senso di assoluta insufficienza dell’uomo. E’ assurdo confidare in se stessi, perché nel deserto si è soli, impotenti. Quando l’acqua viene a mancare, solo Dio può guidare verso l’oasi salvatrice, La sovranità di Dio è tutto e davanti a Lui tutto scompare. Così, fatalmente, l’Oriente islamico è caduto nel suo peccato, come l’Occidente è caduto nel proprio. Il peccato del mondo orientale è di ritenere che Dio fa tutto e l’uomo nulla, come il peccato dell’Occidente è credere che l’uomo fa tutto e Dio nulla” (FULTON J. SHEEN, La crisi del mondo e la Chiesa, ed. La Tegnografica, Varese, 1956, p. 34-35)

Occorre naturalmente condurre i fedeli dal segno al suo significato e continuamente educarli alla lettura spirituale del linguaggio simbolico previsto dalla liturgia, in vista della applicazione nella vita del messaggio che nei segni è offerto. E’ questo il compito della catechesi liturgica, che ripropone oggi l’antica mistagogia dei Padri: attraverso i riti e le preci avviene l’iniziazione al mistero.

E’ tuttavia necessario che l’austerità quaresimale sia un segno vero, motivato ed incisivo. Affinché sia vero, occorre che sia realizzato con determinazione e buon gusto. Perché sia incisivo, bisogna curare una reale assenza di fiori, che non ammette eccezioni in occasione di funerali, matrimoni o altre evenienze. I fiori che vengono portati in queste circostanze devono essere tolti dopo la celebrazione e trasferiti fuori dell’ambito della chiesa. Anzi sarà opportuno che i parroci spieghino per tempo ai fedeli il senso del segno dell’austerità quaresimale, li invitino alla sobrietà e li orientino a devolvere il denaro in opere di carità.

E’ tuttavia conveniente che una sobria presenza di fiori metta in evidenza la croce penitenziale nella seconda domenica di Quaresima, per dar espressione alla luce della risurrezione, che già risplende nella gloria della trasfigurazione. Nella quarta domenica di quaresima, detta domenica “Laetare”, i fiori potranno adornare con misura l’altare della celebrazione per annunziare la gioia della Pasqua, ormai vicina. In questa domenica è bene indossare gli abiti color rosaceo e far gustare all’assemblea la letizia della Pasqua imminente, anche col suono dell’organo.

“…Sembra che a Bisanzio nella III domenica di Quaresima si celebrasse una festa in onore del S. Legno della Croce, a cui si tributava un omaggio di fiori. A Roma se ne volle imitare l’esempio, e in questa domenica il Papa si recava alla basilica stazionale di S. Croce, dev’era conservata una insigne porzione della vera Croce, tenendo in mano una rosa d’oro, profumata di musco, in signum passionis et resurrectionis D. N. J. C.,con la quale intendeva rendere all’insigne reliquia lo stesso ossequio che la Maddalena aveva tributato ai piedi del Salvatore nella cena di Betania. Pp. Leone IX, nel primo documento conosciuto a riguardo della Rosa aurea (1049), dice espressamente che essa è offerta in omaggio alla Croce: Quia eo tempore victoria recensetur D.N.J.C. qui in te passus est, o Crux sacratissima, tunc timenda, nunc appetenda et molenda” (RIGHETTI, vol. II, p.168).

* L’assenza del suono dell’organo

“In tempo di Quaresima è permesso il suono dell’organo e di altri strumenti musicali soltanto per sostenere il canto. Fanno eccezione tuttavia la domenica Laetare (IV di Quaresima), le solennità e le feste” (Ordinamento Generale del Messale Romano, 2004, n. 313).

Nel tempo di Quaresima il suono dell’organo e degli altri strumenti musicali ammessi deve solo accompagnare il canto. Non si suona quindi l’organo prima e dopo la celebrazione, né si fanno preludi entro la celebrazione stessa. Questa disposizione potrà sembrare limitativa, tuttavia, senza questi accorgimenti, osservati con fedeltà, il segno dell’assenza del suono dell’organo sarà inefficace, e non sarà percepito dalla comunità.Conviene far sì che questa sobrietà musicale vi sia anche fuori delle celebrazioni liturgiche, evitando in questo tempo, in chiesa, concerti, manifestazioni e uso dell’organo e degli strumenti musicali non consoni con lo spirito quaresimale. Infatti la chiesa deve aiutare ad entrare nel mistero del tempo anche il fedele che vi si reca da solo per la preghiera e la meditazione personale nel corso della giornata. Si informino debitamente i fedeli che in Quaresima dovessero celebrare particolari eventi di gioia, come il matrimonio o altri anniversari, di rispettare con prudenza e carità il clima liturgico che sta vivendo la Chiesa.



* La velazione delle immagini

“L’uso di coprire le croci e le immagini nella chiesa dalla domenica V di Quaresima può essere conservato secondo il giudizio della conferenza episcopale. Le croci rimangono coperte fino al termine della celebrazione della passione del Signore il Venerdì santo; le immagini fino all’inizio della veglia pasquale” (PS, n° 26; cfr. anche CONSILIUM AD EXEQUENDAM COSTITUTIONEM DE SACRA LITURGIA, Commento alla riforma dell’anno liturgico, in Enchiridion Vaticanum, Documenti ufficiali della Santa Sede, Bologna, ed. ED, 1990, vol. Supplemento 1°, n. 273).

La liturgia della Chiesa educa il popolo santo di Dio con le diverse e complementari espressioni del linguaggio umano: non solo la parola, ma anche il simbolo, il gesto, il movimento, la varietà degli oggetti, dei colori, dei profumi e degli addobbi.  In tal modo la celebrazione crea un evento globale, che avvolge l’assemblea in un concerto armonico di linguaggi e di espressioni eloquenti in ordine all’annunzio del Mistero celebrato in un ambiente pervaso da sacralità e nobiltà di forme. Ecco il senso del segno austero della ‘velazione’ degli altari, che la Chiesa prevede nella parte terminale della Quaresima, quando s’avanza ormai severo e grandioso il Mistero della Croce.   I fedeli, che in questi santi giorni entrano in chiesa ricevono con immediatezza il senso degli eventi incombenti: la cerchia dei nemici che si stringe intorno al Signore, l’incomprensione e il tradimento degli Apostoli, la tristezza del cuore del Divin Maestro e il suo ‘andarsene e nascondersi da loro’ (Gv 12, 36).

 

                                                                   

Velazione degli altari, V domenica di Quaresima – chiesa arcipretale di S.Marco in Rovereto (Tn)

Secondo la decisione della conferenza episcopale del triveneto, ad esempio, è lasciato alla discrezione di ogni parroco l’applicazione di questa tradizione (Cal. lit. dioc. 2010-2011, p. 118). Se la chiesa si adatta e lo si vede utile, si potrà riprendere questo costume, nel modo tradizionale o anche con una certa libertà ispirandosi all’uso antico e ad altri riti. Il rito ambrosiano, ad esempio, non prevedeva mai la copertura delle croci, e la velazione delle immagini veniva fatta già con la prima domenica di Quaresima.

“Essa deriva probabilmente dall’antica usanza, già attestata nel IX secolo, di stendere a principio della Quaresima un gran velo dinanzi all’altare, detto in Germania ‘panno della fame’, che lo nascondeva interamente agli occhi dei fedeli, e che veniva rimosso alle parole velum templi sissumest della Passione del mercoledì santo. Lo scopo di esso, secondo taluni, era pratico; il popolo, che non aveva calendario, doveva con ciò essere avvertito che si era in Quaresima. A giudizio del P. Thurston, il velo quaresimale voleva essere un ricordo dell’antica espulsione dei penitenti dalla chiesa. Quando la disciplina della penitenza decadde, ma nella Quaresima tutti i fedeli, coll’imposizione delle ceneri, vennero considerati messi spiritualmente in penitenza, non fu più possibile naturalmente farne l’espulsione dalla chiesa come una volta, ma si volle nascondere loro la vista del Sancta Sanctorum, per separarli in certo modo dal Santuario, fino a che nella Pasqua non si fossero riconciliati con Dio. Per un principio analogo, nel basso medio evo, molte Chiese usavano ricoprire sin dal principio della Quaresima le immagini e la Croce processionale, come si fa tuttora nel rito ambrosiano. La regola di limitarlo al tempo di Passione è recente; comparisce dapprima nel secolo XVII col Cerimoniale dei Vescovi” (RIGHETTI, vol. II. p. 175-176).

In tal modo si ritma il graduale entrare della Chiesa nel mistero della Passione del Signore. Le immagini così velate, rimarranno tali fino alla sera del Sabato santo, quando si preparerà la chiesa per la Veglia pasquale.



* La Croce penitenziale

Il simbolo principale, che dovrebbe emergere nel tempo di Quaresima, è la Croce penitenziale. Infatti la croce è la meta e la via della Quaresima. Come fu per Cristo, così è per la sua Chiesa. La croce penitenziale è semplice, di legno, senza il crocifisso e senza decorazioni. Deve essere sufficientemente grande per esser vista da tutta l’assemblea, non troppo grande, né troppo pesante, per poter essere comodamente portata dal sacerdote nelle processioni penitenziali e nella “Via crucis”. Essa fa il suo ingresso nella chiesa con la processione penitenziale il Mercoledì delle Ceneri. Da allora, posta su di un ceppo in un luogo ben visibile, “presiede” l’assemblea liturgica per tutto il tempo di Quaresima e ogni giorno riceve la venerazione dei fedeli:

“Ecco la croce del Signore:

è stoltezza per quelli che vanno in perdizione,

è potenza di Dio per quelli che si salvano!

Gloria a te vessillo di salvezza!”

(1Cor 1, 18  e LO, dalla liturgia del 14 sett.).

La croce precede le processioni stazionali e il pio esercizio della “Via crucis”. Infine, dopo aver guidato simbolicamente il cammino quaresimale del popolo pellegrinante, si congeda da esso alle soglie della settimana santa, quando l’attenzione si poserà sulle varie fasi del Mistero pasquale del Signore. Presso la croce possono venir accese, successivamente ogni domenica, cinque lampade, che ricordano le cinque piaghe del Signore e il crescente amore ed adesione della Chiesa al mistero del crocifisso.

La croce, senza il crocifisso, ricorda ai fedeli che è necessario esser crocifissi con Cristo per poter partecipare alla sua gloria. Infatti “Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui” (2Tim 2, 11).Stretta attorno alla croce nel tempo di Quaresima l’assemblea cristiana appare come il popolo ebreo nel deserto, che insidiato dai serpenti velenosi, ossia dal peccato, guarda con fede a Cristo innalzato sul legno per la nostra salvezza e ne ottiene risurrezione e vita.

Tratto da “L’Anno liturgico – Mistero, grazia e celebrazione”, ed. Vita Trentina, 2001.

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Liturgia culmen et fons


Caterina63
00martedì 19 aprile 2011 12:10

Le sei domande di "A Sua Immagine" al Papa (Sir)

VENERDÌ SANTO: LE SEI DOMANDE DI “A SUA IMMAGINE” AL PAPA

Arrivano da una donna musulmana della Costa d’Avorio e dai cristiani perseguitati in Iraq la terza e la quarta domanda su Gesù al Papa.
 
Benedetto XVI risponderà ai loro quesiti durante “A Sua Immagine - Speciale Venerdì Santo”, in onda su Rai Uno venerdì prossimo, 22 aprile, a partire dalle 14.10.

A rivolgersi al Papa sarà una mamma di religione musulmana che vive in un paese in guerra, la Costa d’Avorio, e vuole fare una domanda su Gesù, maestro di pace.

Dall’Iraq invece arriva il quesito di 7 giovani studenti di Baghdad che rischiano ogni giorno la vita per il solo fatto di essere cristiani.

Alla luce dei recenti attentati difatti, l’Iraq si è trasformato in terra di martirio per i cristiani. La trasmissione, condotta da Rosario Carello, vedrà per la prima volta il Papa ospite di un programma televisivo.

Le domande della signora musulmana e dei ragazzi iracheni saranno precedute da quelle di una mamma italiana che assiste da anni il proprio figlio in coma, e di una bimba giapponese che ha scritto al Papa per chiedere il perché del recente sisma.

Papa Benedetto XVI, durante la diretta di “A Sua Immagine”, risponderà a 6 domande: le ultime due domande selezionate arrivano dall’Italia.

Tutti gli ascoltatori che lo desiderano possono inviare i loro quesiti su Gesù ai seguenti recapiti: asuaimmagine@rai.it  oppure redazione A Sua immagine, Borgo Sant’Angelo, 23 00193 Roma.


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Istruzione sopra le feste del Signore,
della B. Vergine e dei Santi (dal Catechismo)

Parte prima: Delle feste del Signore

Della Pasqua di Risurrezione

69. Qual mistero si celebra nella festa di Pasqua?
Nella festa di Pasqua si celebra il mistero della Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, ossia il ricongiungersi della sua santissima anima al corpo dal quale era stata separata per la morte, e la nuova sua vita gloriosa ed immortale.

70. Perché la festa di Pasqua si celebra dalla Chiesa con tanta solennità ed allegrezza e si continua per tutta l'ottava?
La festa di Pasqua si celebra dalla Chiesa con tanta solennità, e si continua per tutta l'ottava, a motivo dell'eccellenza del mistero, che fu il compimento della nostra redenzione, ed è il fondamento della nostra religione.

71. Gesù Cristo ci ha redenti colla morte; come dunque la sua Risurrezione è il compimento della nostra redenzione?
Gesù Cristo colla sua morte ci liberò dal peccato e riconciliò con Dio; per mezzo poi della sua Risurrezione ci apri l'entrata all'eterna vita.

72. Perché si dice che la Risurrezione di Cristo è il fondamento di nostra religione?
La Risurrezione di Cristo si dice il fondamento di nostra religione, perché ci venne data da Gesù Cristo istesso come prova principale di sua divinità e della verità della nostra fede.

73. Donde è derivato il nome di Pasqua, che si dà alla festa della Risurrezione di Gesù Cristo?
Il nome di Pasqua che si dà alla festa della Risurrezione di Gesù Cristo, è derivato da una delle feste più solenni dell'antica legge istituita in memoria del passaggio dell'Angelo sterminatore dei primogeniti degli egiziani, e della miracolosa liberazione del popolo di Dio dalla schiavitù di Faraone re dell'Egitto, che era una figura della nostra liberazione dalla schiavitù del demonio; la qual festa celebravano gli ebrei con molti riti, ma specialmente con sacrificare e mangiare un agnello; ed ora noi celebriamo sopratutto col ricevere il vero agnello sacrificato per i nostri peccati.

74. Che vuoi dire la parola Pasqua?
Pasqua vuoi dire passaggio, e significa nell'antica legge il passaggio dell'Angelo, che per obbligare Faraone a lasciare andar libero il popolo di Dio, uccise i primogeniti degli egiziani, e trascorse le case degli ebrei contrassegnate col sangue dell'agnello sacrificato il giorno avanti, lasciandole immuni da tal flagello; nella nuova legge poi significa, che Gesù Cristo è passato dalla morte alla vita, e che trionfando del demonio, ci ha trasferiti dalla morte del peccato alla vita della grazia.

75. Che cosa dobbiamo noi fare per celebrare degnamente la festa di Pasqua?
Per celebrare degnamente la festa di Pasqua dobbiamo fare due cose: 1.° adorare con santa allegrezza e viva riconoscenza Gesù Cristo risorto; 2.° risuscitar spiritualmente con lui.

76. Che vuoi dire risuscitare con Gesù Cristo spiritualmente?
Risuscitare con Gesù Cristo spiritualmente vuol dire, che siccome Gesù Cristo per mezzo della sua risurrezione ha cominciato una vita nuova, immortale e celeste, così noi pure dobbiamo cominciare una nuova vita secondo lo spirito, rinunziando intieramente e per sempre al peccato e a tutto ciò che ci porta al peccato; amando Dio solo, e tutto ciò che ci porta a Dio.

77. Che vuoi dire la parola Alleluja, che si ripete sì spesso in questo santo giorno, e in tutto il tempo pasquale?
La parola Alleluja vuol dire: lodate Iddio, ed era grido festivo del popolo ebreo; per questo la Chiesa lo ripete molte volte in tempo di tanta allegrezza.

78. Perché nel tempo pasquale si prega stando in piedi?
Nel tempo pasquale si prega stando in piedi in segno di allegrezza, e per figurare la risurrezione del Signore.

FONTE



Caterina63
00martedì 19 aprile 2011 16:16

Maria e la passione e morte del Figlio

Seguiamo il racconto dell’intensa "com-passio matris" della Vergine nelle "rivelazioni apocrife" particolarmente significative de Il Vangelo segreto di Maria, opera già nota nei primi secoli.

Siamo giunti al sesto dei sette "quadri" individuati come componenti la narrazione apocrifa della vita della Madonna: 

<*>origini e nascita di Maria
<*>Maria al tempio
<*>il matrimonio con Giuseppe
<*>l’Annunciazione
<*>Maria, Madre-vergine
<*>Maria nella passione e risurrezione di Gesù
<*>dormizione e Assunzione della Vergine.

Parleremo dunque ora della partecipazione di Maria alla passione, morte e risurrezione del Figlio, secondo alcuni scritti apocrifi.

Dei sette "quadri" sopra nominati, questo è il più povero di riferimenti; anzi, sarebbe più esatto affermare che l’apporto in notizie e contenuti su quella parte di vita della Madonna che va dall’episodio di Gesù dodicenne nel tempio (termine di tempo convenzionale nella narrazione dei cosiddetti "Vangeli dell’infanzia") ai fatti della passione e risurrezione inclusi, è praticamente inesistente.

Tuttavia, non mancano rari accenni agli eventi della passione, morte (e specialmente della risurrezione) del Signore; anche se si ha l’impressione che gli autori degli apocrifi trovino difficoltà a delineare la partecipazione di Maria e a confrontarla con i misteri del Figlio, pur non mancando qualche spunto teologicamente rilevante.

Del resto, i Vangeli canonici al riguardo non ci dicono molto di più.

I giorni della passione e morte di Gesù

Il Vangelo di Nicodemo (scritto presumibilmente intorno all’anno 100-150 e tramandato nella prima parte anche separatamente, sotto il titolo Atti di Pilato), descrive accuratamente il processo di Gesù di fronte a Ponzio Pilato e, più in breve, la crocifissione. Quando rievoca la presenza di Maria sotto la croce, impoverisce con una esegesi estrapolata sia Giovanni 19,25-28 (episodio che narra l’affidamento, da parte di Gesù morente, del discepolo prediletto alla madre e della madre al discepolo), sia i sinottici; così né Maria, che si domanda come potrà programmare il suo futuro, né Giovanni avvertono il significato spirituale e soteriologico delle parole di Gesù. Il dato positivo è, invece, il collegamento della passione globalmente intesa con la profezia di Simeone, riportata in Luca 2, 34-35 (cf Vangelo di Nicodemo, XI, 5).

Un altro apocrifo, nel "Transito colbertino" dello Pseudo-Clemente (cf II, 1), riesce ad accostare bene il nucleo del dialogo tra Gesù e Maria: «a Giovanni, perché vergine nel corpo, Gesù consegna la madre dicendo: "Ecco tua madre", e alla madre: "Ecco tuo figlio". Da quell’istante Maria divenne oggetto costante delle sollecitudini di Giovanni per tutta la sua vita».

Per trovare maggiori riferimenti alla parte avuta dalla Madre di Gesù nella passione e morte del Signore, dobbiamo cercare tra le "rivelazioni apocrife" di tempi a noi più vicini: pensiamo, per tutte, a Il Vangelo segreto di Maria (un manoscritto scoperto solo nel 1884, ma già citato dai primi Padri della Chiesa e conosciuto già nel IV secolo dalla monaca spagnola Egeria, nel quale sono narrati aspetti inediti della vita di Gesù e si raccolgono le esperienze più segrete della sua santa Madre).

Altre suggestive pagine "apocrife" sulla partecipazione di Maria alla passione e morte di Gesù sono contenute nell’opera maggiore della mistica Maria Valtorta (la cui prima edizione risale al 1959, ed oggi è pubblicata in dieci volumi con il titolo L’Evangelo come mi è stato rivelato).

Infine, nulla ci dice al riguardo la monaca stigmatizzata tedesca Anna Katharina Emmerick nella sua Vita della santa Vergine Maria dove, dopo averci narrato le vicende della Madonna dalla storia dei suoi progenitori fino al ritorno della santa Famiglia dall’Egitto (cap. I-VIII), passa direttamente a parlare di Maria ad Efeso (cap. IX).

La sofferenza della Vergine nella passione del Signore,
secondo Il Vangelo segreto di Maria

Riportiamo intanto alcuni stralci della narrazione de Il Vangelo segreto di Maria (San Paolo, 2001), riprendendoli dal capitolo "In piedi, accanto alla croce" (pp. 187-229). È Maria stessa che racconta all’apostolo Giovanni l’intensità drammatica con la quale ha vissuto i giorni della passione e morte di Gesù.

«La Passione di Gesù fu certo infinitamente più dura della mia. Egli era Dio e io non lo ero. Egli era l’Agnello che prendeva su di sé i peccati del mondo e io una semplice donna che aveva avuto l’enorme privilegio di essere sua madre. Ero proprio sua madre, e se c’era un momento in cui far valere la mia condizione privilegiata, era quello .

«Non mi ero appellata alla mia maternità quando, nei momenti di gloria, tutti lo esaltavano e si battevano per servirlo. Allora lui non aveva bisogno di me. Adesso, invece, proprio quando perfino voi , i compagni più vicini, dubitavate di lui, avevo il diritto di rivendicare il mio ruolo di madre. Del resto, il privilegio per chi ama è aiutare l’essere amato; non c’è ricompensa più grande.

«In nessun istante di quella notte , né del giorno seguente si interruppe la comunicazione fra noi. Non so se lui lo sentisse: lo saprò quando mi riunirò con lui in cielo che, come intuisco, avverrà presto. So solo che, a partire da un determinato momento, sentii che il mio spirito era unito al suo e che questa era una grazia che il Signore mi aveva concesso per recargli sollievo.

«Per questo, anch’io come lui nel Getsemani caddi in ginocchio e pregai con angoscia e terrore. Avvertivo la sua profonda solitudine, sentivo il sangue che scorreva sulla sua fronte. Con lui, mentre pregava nell’orto degli Ulivi, supplicai il Padre di allontanargli il calice senza farlo soffrire; ma gli dissi anche che, prima di tutto, fosse fatta la sua volontà. Potei quasi udire le grida di quelli che arrivavano armati di spade e bastoni. Sentii perfettamente un bacio miserabile, il bacio del traditore, sulla sua guancia e sulla mia; e tremai come mai lo avevo fatto prima, poiché per la prima volta avvertii il respiro del Maligno vicino al mio volto.

«E poi tutto il resto che tu, , già conosci e che fu la sua spaventosa passione <...>. Sì, quella notte seppi ciò che stava succedendo: il grande scontro fra il bene e il male. E quella notte seppi che il mio piede avrebbe schiacciato la testa del serpente, mentre questi, disperato per la sconfitta, mi mordeva inutilmente il tallone. La mia forza, quella forza che sa avere solo una donna che è madre, aiutò mio figlio a vincere il serpente, il Maligno <...>» (Il Vangelo secondo Maria, pp. 208-210).

La Madonna continua quindi a riferire a Giovanni l’infinita dolorosa partecipazione che lei ha vissuto, momento dopo momento, nel seguito della passione del figlio, fino al Calvario: «, stordite e senza sapere cosa fare, ci lasciammo guidare dalla gente e ci dirigemmo verso il monte del Teschio, fuori dalle mura della città. Ben presto si seppe cosa stava succedendo nel gran frastuono che si era creato tutt’intorno: la comitiva con il reo era uscita dalla Torre Antonia e si dirigeva verso il Calvario. Andavano tutti molto in fretta per evitare il temuto contraccolpo dei supposti seguaci di mio figlio; ma di questi seguaci non restava nemmeno l’ombra: sembrava che ci fossimo solo noi donne, confuse fra la gente, senza paura ma con il cuore che batteva forte forte <...>.

«A un certo punto vidi mio figlio Gesù quasi accanto. Non potemmo dirci nulla, ma solo guardarci. Fu sufficiente. Io vidi il suo dolore e lui il mio. Sentivo che si appoggiava a me e resistetti al peso di tutto un Dio che ha bisogno dell’aiuto di un essere umano, perché quel Dio è anche un uomo e quell’essere umano è sua madre. Temetti che il peso mi schiacciasse, ma mi afferrai a Dio Padre; e mentre lui mi sosteneva, io sostenevo Dio suo Figlio, come se attraverso di me la Divinità si mettesse in contatto con se stessa, ben decisa a mantenere fino alla fine questa dolorosa situazione che era necessaria perché mio figlio bevesse fino in fondo il calice dell’amarezza.

«Se lo portarono via subito; ed io non lo vidi cadere più volte, come poi mi hanno raccontato. Vidi però la donna che, impietosita, deterse il suo volto con un telo <...>.

La madre di Gesù presso la croce

«Arrivammo così ai piedi della roccia, detta del Teschio, dove venivano crocifissi i malfattori. C’erano già due uomini inchiodati sulle rispettive croci, e nel centro era ritto un palo verticale sopra il quale sarebbe stato appeso mio figlio <...>. Lo vidi quando cominciarono a sollevarlo. Si fece un gran silenzio intorno, finché finirono di inchiodarlo. Allora, improvvisamente, scoppiarono le grida: gli insulti erano terribili e gli stessi soldati dovettero intervenire per allontanare i suoi nemici più crudeli e accaniti. Io, nonostante mi aspettassi di tutto, non riuscivo a credere a ciò che vedevo e ascoltavo: vidi persino una donna del popolo proferire bestialità in atteggiamento minaccioso nei suoi confronti; e vidi un tale che, paralitico, era stato guarito da Gesù, sputargli addosso e maledirlo. Allora caddi a terra sfinita <...>.

«Quando poi tu, Giovanni, ed io potemmo raggiungere le prime file, ciò che vidi mi colpì nel corpo e nell’anima come se mi avessero inferto in una sola volta tutti i colpi che lui aveva ricevuto, poco prima, nel cortile della Torre Antonia. Questa volta, però, anche se non mi restava neppure un briciolo di forza, non crollai, poiché il suo sguardo mi trovò subito e tutti e due ci sostenemmo a vicenda.

«Non so se prima avesse detto qualcosa, poiché era sulla croce già da un po’ di tempo, quando riuscimmo ad avvicinarci a lui; ma ciò che tu ed io, insieme alle altre donne, potemmo ascoltare da Gesù morente non lo potrò mai dimenticare. Disse, con l’ultimo filo di voce: "Donna, ecco tuo figlio" – "Figlio, ecco tua madre".

«Perché quell’affidamento reciproco? Ci ho messo molto tempo a capirlo, perché era come se qualcuno avesse la pretesa di soppiantarlo nel mio cuore <...>. Ma, abituata come ero a trattare con Dio, imparai che era arrivato il momento dell’oblazione totale e che, quindi, anche il sentimento più profondo di una madre doveva essere offerto, perché solo Dio regnasse nel mio cuore, in modo assoluto. La mia opera, mio figlio, moriva; e Dio, che me lo aveva dato, me lo toglieva. Me lo toglieva e mi chiedeva di accettare un altro, degli altri, al suo posto e di amare questi altri, compresi gli assassini di mio figlio, come lui li amava. Per questo, mentre lui moriva, anch’io morivo; mentre lui sperimentava l’unione assoluta con il Padre, anch’io perdevo tutto perché, da quel momento, non mi restasse altro che un "solo Dio" che sulla croce si era portato via anche i legittimi sentimenti di una madre» (Il Vangelo di Maria, pp. 214-219).

Il seguito di questa commovente narrazione de Il Vangelo segreto di Maria alla prossima puntata (qui a seguire dopo l'immagine), insieme a pagine parimenti intense di altri autori di scritti apocrifi.

Simone Moreno

Fonte Madre di Dio 2007 n.7


              Addolorata


La Vergine nella morte e risurrezione di Gesù

Tra i rari testi apocrifi che raccontano l’esperienza di Maria alla morte e risurrezione del suo figlio, occupa il primo posto la narrazione de Il Vangelo segreto di Maria, non privo di spunti teologici.

Dei sette quadri, che compongono la narrazione apocrifa della vita della Vergine, indubbiamente il sesto ("Maria nella passione e risurrezione di Gesù") è il più povero di riferimenti; più esattamente, l’apporto in notizie e contenuti sulla parte di vita della Madonna che riguarda i fatti della passione e morte del Signore è pressoché inesistente, mentre più consistenti sono gli accenni all’evento della risurrezione e ai giorni che seguirono, fino all’ascensione di Gesù al cielo.

Ma, del resto, i Vangeli canonici al riguardo non ci dicono molto di più.

Il dolore di Maria per la morte del figlio

Abbiamo ricordato, la scorsa volta, che, per trovare qualche riferimento alla parte avuta dalla madre di Gesù nella passione e morte del Signore, dobbiamo cercare tra le "rivelazioni apocrife" di tempi a noi più vicini: ossia a Il Vangelo segreto di Maria, di cui fu scoperto un manoscritto solo nel 1884, ma che era già noto ai primi Padri della Chiesa, nel quale sono narrati aspetti inediti della vita di Gesù e si raccolgono le esperienze più segrete della sua santa madre. Riportiamo un altro stralcio del racconto di questo libro tardo-apocrifo, dal capitolo "In piedi, accanto alla croce" (Il Vangelo segreto di Maria, pp. 187-229, San Paolo, 2001). È Maria stessa che narra all’apostolo Giovanni l’intensità drammatica con la quale ha vissuto i giorni della passione e morte di Gesù.

«Con quella sensibilità che mi proveniva dalla comunione piena con lui, avvertivo che qualsiasi cosa lo feriva, per cui gli dissi di sì
, lo rassicurai che da quel momento saresti stato mio figlio e che non avrei mai smesso di amarti e di prendermi cura di te, come avevo fatto con lui. Glielo dissi senza parlare, ma lui lo capì immediatamente. Emise un profondo respiro, come sollevato. Era venuto per rendervi i suoi fratelli. Aveva già ottenuto che chiamaste "Padre" suo Padre. Tuttavia, perché la fratellanza fosse completa, era necessario che condivideste anche la madre. Pertanto, come il Padre vi accettava come figli, proprio attraverso il sacrificio volontario del suo unico figlio, altrettanto doveva fare la madre. Ed era il figlio adorato a chiederglielo <...>.

«Poco dopo, levò gli occhi al cielo e poi mi guardò. "Tutto è compiuto", mi disse. E, chinato il capo, affidò definitivamente il suo spirito nelle mani del Padre.

«Non so come spiegarti ciò che provai, Giovanni, perché io stessa ne rimasi stupita. Fu come se mi levassero un peso di dosso; un peso che non volevo perdere, perché quel peso era la sua vita, e senza la sua vita sicuramente non potevo continuare a vivere. Tuttavia, mi sentii completamente liberata da un carico. E, mentre voi eravate in preda allo sconforto e le mie compagne, soprattutto Maria Maddalena, cadevano a terra e gridavano torcendosi le mani per il dolore e si strappavano i capelli per la disperazione, io ero serena.

«Ero preoccupata e mi rimproveravo di non essere distrutta, disperata. Mio figlio era appena morto ed io ero triste, indubbiamente, ma non riuscivo a sentirmi in preda allo sconforto, non potevo. Per me era terribile vederlo lì appeso al legno, ridotto un cencio, sfigurato, torturato in modo indicibile, con la ferita della lancia che grondava ancora sangue e con la fronte e il volto sudici di fango e con i coaguli che, a goccioloni, cadevano dalle ferite prodotte sul capo dalla corona di spine. Ma non è che non soffrissi o non sentissi dolore; ma non potevo sprofondare nel pozzo senza fondo in cui tu e le mie compagne eravate sommersi <...>.

«E così ebbi di nuovo Gesù tra le mie braccia. Era morto. Abbracciavo il suo corpo e baciavo dolcemente il suo viso, ma non riuscivo ancora a piangere. Gli chiusi come potei gli occhi, quegli occhi che avevo aperto alla vita e posai un ultimo bacio sulle palpebre e sulla fronte <...>».

Dopo che ebbero deposto Gesù nel sepolcro, Nicodemo e sua moglie accompagnarono Maria con grande premura nella loro casa.

«Avvertii tuttavia che Dio si faceva presente in me, poco a poco, dolcemente. Con amore di sposo, mi tranquillizzava. Allora ricordai che mio figlio mi aveva ripetuto che sarebbe risuscitato e, quindi, doveva essere vivo in qualche luogo a me sconosciuto e che impediva che lo sentissi vicino a me come prima; ma era vivo, in qualche modo lo era ancora, perché non sentivo che era morto. E per questo, nonostante tutto ciò che avevo visto, non ero sprofondata in quell’abisso di dolore e di disperazione in cui eravate caduti tutti voi» (pp. 219-225).

Cristo risorto appare anzitutto alla madre

Segue quindi il racconto della Vergine che testimonia la prima apparizione di Gesù risorto a lei, prima ancora che alla Maddalena e ai suoi discepoli.

«Pregando e piangendo, in ginocchio accanto al letto, mi riaddormentai. Ricordo soltanto che, come trentaquattro anni prima , avvertii improvvisamente che c’era qualcuno nella stanza e mi svegliai di soprassalto. Era notte fonda e, tuttavia, avevo la sensazione che una luce straordinaria brillasse intorno a me, anche se tutto continuava ad essere al buio. Allora lo vidi. Non ebbi bisogno di chiedere chi fosse. Non ebbi il minimo dubbio. Era lì ed era lui, in attesa che mi destassi, vegliando il mio sonno. "Figlio!", gridai; e mi buttai tra le sue braccia. "Madre! – mi disse, mentre passava la mano sui miei capelli in disordine – sta’ tranquilla. È finito tutto. Sono di nuovo qui, con te". Allora mi baciò. Ti assicuro, Giovanni, che era lui, che erano le sue braccia, i suoi baci, la sua voce, il suo sguardo.

«"Abbiamo vinto, madre. Finalmente il Maligno è stato sconfitto. Finalmente la morte è stata eliminata. La vittoria è nostra ed è definitiva. Tu pure vi hai partecipato <...>, accanto alla croce, piena di fede e di speranza. Questo sarà il tuo compito eterno: essere madre di tutti, educatrice di tutti, consolatrice di tutti, mediatrice di tutti". "Di tutti, figlio?" ricordo che gli domandai un po’ stupita. "Sì, di tutti, – mi rispose – perché non sono venuto a salvare quelli che erano già salvi, ma coloro che erano perduti. Di tutti, compresi i miei peggiori nemici, di coloro che mi hanno ucciso. Sei madre di tutti, anche di coloro che non mi conoscono e di coloro che mi disprezzano. Sono morto per tutti, tutti amo e redimo. E tu non puoi escludere dal tuo cuore coloro che io accetto <...>".

«Restammo ancora insieme per molto tempo, seduti tutti e due sul letto, abbracciandoci e con le mani nelle mani. Quando già cominciava ad albeggiare, si congedò da me. "Vado da Maddalena e dalle altre" – mi disse –. E mi diede un lungo e definitivo abbraccio e un ultimo bacio. Poi se ne andò come era venuto, senza far rumore, senza essere notato» (pp. 227-229).

Nel capitolo successivo, intitolato: "L’ora dei miei figli", il racconto di Maria a Giovanni si sviluppa sullo schema della narrazione dei Vangeli canonici (Mt 28; Mc 16; Lc 24; Gv 20-21), mettendo in evidenza – a differenza dei Vangeli che lo ignorano – il fatto che la madre di Gesù fosse sempre presente alle apparizioni di Cristo ai suoi discepoli.

Maria ricorda di non essere stata invece presente al momento dell’ascensione del Signore; ricostruendo peraltro il momento dolcissimo del suo incontro con il figlio, prima che se ne andasse per sempre da questo mondo: «La sera prima della sua partenza , me ne stavo tranquilla nella casa , da sola, come cercavo sempre di fare, per raccogliermi in preghiera e godere della comunicazione spirituale con lui che ora non si interrompeva mai, quando notai che la sua vicinanza si intensificava e, aprendo gli occhi, lo vidi di nuovo accanto a me. Sorrideva, ma seppi subito che doveva darmi una triste notizia: "È arrivata l’ora di andare, madre, – mi disse –; ma non essere triste, torneremo a vederci presto. Vorrei portarti con me subito, ma hai una missione da compiere e per ora sei necessaria qui in terra"» (p. 235).

A ragione, alla voce "Apocrifi" del Nuovo Dizionario di Mariologia, Elio Peretto può scrivere che per i Vangeli apocrifi «non priva d’interesse teologico è l’alba del giorno della risurrezione». E spiega: «I Vangeli canonici non parlano di apparizioni di Gesù alla madre. Per visione oculare o per comunicazione orale sanno che Gesù è risorto Maria Maddalena, le altre donne recatesi al sepolcro, alcuni apostoli e poi alla sera tutto il gruppo dei discepoli. La Vergine non è ricordata tra questi privilegiati.

«Parlano invece dell’apparizione di Gesù alla madre il Vangelo di Bartolomeo e quello di Gamaliele in contesti dove cristologia ed ecclesiologia si intersecano e, nonostante le puntualizzazioni dei testi canonici (cf Gv 20, 1-18), a Maria è riconosciuto un ruolo superiore a quello di Pietro e della Maddalena. È lei la prima persona alla quale Gesù si manifesta dopo la risurrezione, e riceve l’invito di comunicare agli apostoli il prodigio (cf Vangelo di Bartolomeo, 8; Vangelo di Gamaliele VI, 17).

Inoltre, «con sorprendente chiarezza, da alcuni passaggi del Transito romano (ma come riflesso di At 1, 14) Maria è designata madre degli apostoli e della Chiesa nascente, là dove Giovanni la proclama sorella divenuta madre dei Dodici, madre dei salvati (cf capp. 16.18). La risposta della Madonna a tale apprezzamento ha il suo punto discriminante nella dichiarazione: "Ecco che si sono raccolti (gli Apostoli) ed io mi trovo in mezzo a loro come vite fruttifera, come quando ero con te e tu, <=Gesù>, eri quale vite in mezzo ai tuoi angeli" (cap. 29)».

Tale testo, «piuttosto tardivo, delinea con sufficiente precisione il ruolo di Maria in seno alla Chiesa nascente e la coscienza che ha di continuare l’opera del Figlio in veste di madre dei credenti. Tratto caratteristico del Vangelo di Bartolomeo è il rapporto confidenziale che si stabilisce, dopo un primo momento di esitazione, tra Maria e il gruppo dei discepoli» (Nuovo dizionario di mariologia, San Paolo 1986, p. 120s.).

Simone Moreno

FONTE:
Madre di Dio, 2007, fasc. 8-9

Caterina63
00mercoledì 20 aprile 2011 10:51

Pacomio: catechesi sulla Settimana Santa









Apa Pacomio, l'archimandrita di Tabennesi: sui sei giorni della santa Pasqua.

1. Lottiamo, miei cari, in questi sei giorni di Pasqua, perché ci vengono dati ogni anno in vista della redenzione delle nostre anime affinché in essi compiamo le opere di Dio. In sei giorni, infatti, da principio, furono creati il cielo e la terra e Dio lavorò la sua creazione fino a che fu compiuta, e il settimo giorno si riposò da tutte le sue opere (cf. Gen 2,2).

2. Questi giorni Dio li ha creati perché anche noi, ciascuno secondo il suo stato di vita, lavoriamo in questi sei giorni alle opere di Dio: silenzio (cf. 2Ts 3,12), lavoro manuale, preghiere numerose (cf. 1Ts 5,17), custodia della bocca (cf. Sal 38,2), purezza del corpo e cuore santo (cf. 1Cor 7,34), ciascuno secondo la sua opera. E anche noi, dunque, riposiamoci il settimo giorno e festeggiamo la domenica della santa resurrezione provvedendo con ogni sollecitudine alle sante preghiere comuni e benedicendo il Padre dell'universo che ha avuto misericordia di noi. Egli ci ha invitato il grande Pastore delle pecore disperse (cf. Eb 13,20) per radunarci nel suo santo gregge (cf. Ez 24,5; Gv 10,14).

3. Non scoraggiamoci affatto in questi santi giorni, ma chi si dà al digiuno con gioia, in silenzio, saggezza e grande pace, chi si astiene da cibi ricercati, chi si è allontanato dai vani piaceri, chi pratica prostrazioni e preghiere incessanti, chi si impone rinunce al sonno e veglie numerose, ciascuno insomma vigili sulla sua perseveranza perché ci accada quanto sta scritto negli Atti: alcuni su tavole, altri su rottami della nave e così tutti giunsero salvi alla riva (At 27,44).

4. Siano in lutto cielo e terra (cf. Ger 4,28) durante questi sei giorni di Pasqua! Quando colui che si è assiso nei cieli alla destra del Padre suo (cf. Mt 26,64; At 7,55) ci mostra benevolenza, l'imperatore deponga il diadema che porta e la corona imperiale in segno di lutto, poiché per la testa del re della pace fu preparata una corona di spine colma di punte acuminate (cf. Mt 27,29).
I ricchi depongano i loro abiti multicolori, le vesti di porpora violetta e scarlatta (cf. Ger 10,9), perché il Signore fu spogliato delle sue vesti e i soldati le tirarono a sorte (cf. Mt 27,35).
Chi mangia, beve e si diverte in questo mondo, sia sobrio in questi giorni di sofferenza, perché il Signore della vita stette in mezzo a coloro che lo maltrattavano a causa dei nostri peccati (cf. Is 53,5).
Chi pratica l'ascesi si affatichi ancor di più nel suo regime di vita fino ad astenersi dal bere acqua, che è la gioia dei cani, perché appeso alla croce egli chiese un po' d'acqua e gli fu dato da bere aceto mescolato a fiele (cf. Mt 27,34).
Le donne ricche depongano i loro ornamenti in questi giorni di dolore, colmi di lutto, perché il re della gloria, in vesti ignobili, stava... [la catechesi ci è giunta incompleta]



[San Pacomio, Catechesi sui sei giorni di Pasqua]




 ATTENZIONE, INIZIA LA NOVENA PER SANTA CATERINA DA SIENA, NON IGNORIAMOLA.... CLICCATE QUI SOTTO:

NOVENA (o Triduo) A SANTA CATERINA DA SIENA Festa del 29 aprile



Caterina63
00mercoledì 20 aprile 2011 12:00
 ATTENZIONE, INIZIA LA NOVENA PER SANTA CATERINA DA SIENA, NON IGNORIAMOLA.... CLICCATE QUI SOTTO:

NOVENA (o Triduo) A SANTA CATERINA DA SIENA Festa del 29 aprile



                        Pope Benedict XVI waves to faithful as he arrives for his weekly general audience on April 20, 2011 at St Peter's square at The Vatican.

BENEDETTO XVI: UDIENZA, NELLA VEGLIA PASQUALE “VITTORIA DEFINITIVA SULLA MORTE”

“Il Figlio di Dio, dopo essersi fatto uomo in obbedienza al Padre, divenendo in tutto simile a noi eccetto il peccato, ha accettato di compiere fino in fondo la sua volontà, di affrontare per amore nostro la passione e la croce, per farci partecipi della sua risurrezione, affinché in Lui e per Lui possiamo vivere per sempre, nella consolazione e nella pace”.

È dedicata al Triduo Pasquale la catechesi odierna di Benedetto XVI, espressa quasi tutta a braccio. 
Durante l’Udienza generale, il Papa ha esortato “ad accogliere questo mistero di salvezza, a partecipare intensamente al Triduo pasquale”, “a cercare in questi giorni il raccoglimento e la preghiera” e a “celebrare il sacramento della Riconciliazione”.

Il Giovedì Santo, ha ricordato il Pontefice, “è il giorno in cui si fa memoria dell’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio ministeriale”, attraverso la Messa crismale e la memoria dell’Ultima Cena, “nella quale Gesù istituì il Memoriale della sua Pasqua”.
Nel cenacolo, “consapevole della sua morte imminente, Gesù, vero Agnello pasquale, offre sé stesso per la nostra salvezza. Pronunciando la benedizione sul pane e sul vino, Egli anticipa il sacrificio della croce e manifesta l’intenzione di perpetuare la sua presenza in mezzo ai discepoli: sotto le specie del pane e del vino, Egli si rende presente in modo reale col suo corpo donato e col suo sangue versato”.

mercoledì 20 aprile 2011

CATECHESI DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Clicca qui per ascoltare l'audio integrale della catechesi. 




                          Pope Benedict XVI addresses faithful during his weekly general audience on April 20, 2011 at St Peter's square at The Vatican.


Il Papa: La missione di Gesù non era questa totale indifferenza e libertà; la sua missione era portare in sé tutta la nostra sofferenza, tutto il dramma umano. E perciò proprio questa umiliazione del Getsemani è essenziale per la missione dell'Uomo-Dio. Egli porta in sé la nostra sofferenza, la nostra povertà, e la trasforma secondo la volontà di Dio


L’UDIENZA GENERALE, 20.04.2011

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha incentrato la sua meditazione sul significato del Triduo Pasquale, culmine dell’itinerario quaresimale.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti
.
L’Udienza Generale si è conclusa con la recita del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Triduo Pasquale

Cari fratelli e sorelle,

siamo ormai giunti al cuore della Settimana Santa, compimento del cammino quaresimale. Domani entreremo nel Triduo Pasquale, i tre giorni santi in cui la Chiesa fa memoria del mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù. Il Figlio di Dio, dopo essersi fatto uomo in obbedienza al Padre, divenendo in tutto simile a noi eccetto il peccato (cfr Eb 4,15), ha accettato di compiere fino in fondo la sua volontà, di affrontare per amore nostro la passione e la croce, per farci partecipi della sua risurrezione, affinché in Lui e per Lui possiamo vivere per sempre, nella consolazione e nella pace. Vi esorto pertanto ad accogliere questo mistero di salvezza, a partecipare intensamente al Triduo pasquale, fulcro dell’intero anno liturgico e momento di particolare grazia per ogni cristiano; vi invito a cercare in questi giorni il raccoglimento e la preghiera, così da attingere più profondamente a questa sorgente di grazia. A tale proposito, in vista delle imminenti festività, ogni cristiano è invitato a celebrare il sacramento della Riconciliazione, momento di speciale adesione alla morte e risurrezione di Cristo, per poter partecipare con maggiore frutto alla Santa Pasqua.

Il Giovedì Santo è il giorno in cui si fa memoria dell’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio ministeriale. In mattinata, ciascuna comunità diocesana, radunata nella Chiesa Cattedrale attorno al Vescovo, celebra la Messa crismale, nella quale vengono benedetti il sacro Crisma, l’Olio dei catecumeni e l’Olio degli infermi.

A partire dal Triduo pasquale e per l’intero anno liturgico, questi Oli verranno adoperati per i Sacramenti del Battesimo, della Confermazione, delle Ordinazioni sacerdotale ed episcopale e dell’Unzione degli Infermi; in ciò si evidenzia come la salvezza, trasmessa dai segni sacramentali, scaturisca proprio dal Mistero pasquale di Cristo; infatti, noi siamo redenti con la sua morte e risurrezione e, mediante i Sacramenti, attingiamo a quella medesima sorgente salvifica. Durante la Messa crismale, domani, avviene anche il rinnovo delle promesse sacerdotali. Nel mondo intero, ogni sacerdote rinnova gli impegni che si è assunto nel giorno dell’Ordinazione, per essere totalmente consacrato a Cristo nell’esercizio del sacro ministero a servizio dei fratelli. Accompagniamo i nostri sacerdoti con la nostra preghiera.

Nel pomeriggio del Giovedì Santo inizia effettivamente il Triduo pasquale, con la memoria dell’Ultima Cena, nella quale Gesù istituì il Memoriale della sua Pasqua, dando compimento al rito pasquale ebraico. Secondo la tradizione, ogni famiglia ebrea, radunata a mensa nella festa di Pasqua, mangia l’agnello arrostito, facendo memoria della liberazione degli Israeliti dalla schiavitù d’Egitto; così nel cenacolo, consapevole della sua morte imminente, Gesù, vero Agnello pasquale, offre sé stesso per la nostra salvezza (cfr 1Cor 5,7). Pronunciando la benedizione sul pane e sul vino, Egli anticipa il sacrificio della croce e manifesta l’intenzione di perpetuare la sua presenza in mezzo ai discepoli: sotto le specie del pane e del vino, Egli si rende presente in modo reale col suo corpo donato e col suo sangue versato. Durante l’Ultima Cena, gli Apostoli vengono costituiti ministri di questo Sacramento di salvezza; ad essi Gesù lava i piedi (cfr Gv 13,1-25), invitandoli ad amarsi gli uni gli altri come Lui li ha amati, dando la vita per loro. Ripetendo questo gesto nella Liturgia, anche noi siamo chiamati a testimoniare fattivamente l’amore del nostro Redentore.

Il Giovedì Santo, infine, si chiude con l’Adorazione eucaristica, nel ricordo dell’agonia del Signore nell’orto del Getsemani. Lasciato il cenacolo, Egli si ritirò a pregare, da solo, al cospetto del Padre. In quel momento di comunione profonda, i Vangeli raccontano che Gesù sperimentò una grande angoscia, una sofferenza tale da fargli sudare sangue (cfr Mt 26,38).

Nella consapevolezza della sua imminente morte in croce, Egli sente una grande angoscia e la vicinanza della morte. In questa situazione, appare anche un elemento di grande importanza per tutta la Chiesa. Gesù dice ai suoi: rimanete qui e vigilate; e questo appello alla vigilanza concerne proprio questo momento di angoscia, di minaccia, nella quale arriverà il proditore [traditore], ma concerne tutta la storia della Chiesa.

E' un messaggio permanente per tutti i tempi, perché la sonnolenza dei discepoli era non solo il problema di quel momento, ma è il problema di tutta la storia. La questione è in che cosa consiste questa sonnolenza, in che cosa consisterebbe la vigilanza alla quale il Signore ci invita. Direi che la sonnolenza dei discepoli lungo la storia è una certa insensibiltà dell'anima per il potere del male, un’insensibilità per tutto il male del mondo.

Noi non vogliamo lasciarci turbare troppo da queste cose, vogliamo dimenticarle: pensiamo che forse non sarà così grave, e dimentichiamo. E non è soltanto insensibilità per il male, mentre dovremmo vegliare per fare il bene, per lottare per la forza del bene. È insensibilità per Dio: questa è la nostra vera sonnolenza; questa insensibilità per la presenza di Dio che ci rende insensibili anche per il male. Non sentiamo Dio - ci disturberebbe - e così non sentiamo, naturalmente, anche la forza del male e rimaniamo sulla strada della nostra comodità.

L'adorazione notturna del Giovedì Santo, l'essere vigili col Signore, dovrebbe essere proprio il momento per farci riflettere sulla sonnolenza dei discepoli, dei difensori di Gesù, degli apostoli, di noi, che non vediamo, non vogliamo vedere tutta la forza del male, e che non vogliamo entrare nella sua passione per il bene, per la presenza di Dio nel mondo, per l'amore del prossimo e di Dio.

Poi, il Signore comincia a pregare. I tre apostoli - Pietro, Giacomo, Giovanni - dormono, ma qualche volta si svegliano e sentono il ritornello di questa preghiera del Signore: “Non la mia volontà, ma la tua sia realizzata”.

Che cos'è questa mia volontà, che cos'è questa tua volontà, di cui parla il Signore? La mia volontà è “che non dovrebbe morire”, che gli sia risparmiato questo calice della sofferenza: è la volontà umana, della natura umana, e Cristo sente, con tutta la consapevolezza del suo essere, la vita, l'abisso della morte, il terrore del nulla, questa minaccia della sofferenza.

E Lui più di noi, che abbiamo questa naturale avversione contro la morte, questa paura naturale della morte, ancora più di noi, sente l'abisso del male. Sente, con la morte, anche tutta la sofferenza dell'umanità. Sente che tutto questo è il calice che deve bere, deve far bere a se stesso, accettare il male del mondo, tutto ciò che è terribile, l’avversione contro Dio, tutto il peccato. E possiamo capire come Gesù, con la sua anima umana, sia terrorizzato davanti a questa realtà, che percepisce in tutta la sua crudeltà: la mia volontà sarebbe non bere il calice, ma la mia volontà è subordinata alla tua volontà, alla volontà di Dio, alla volontà del Padre, che è anche la vera volontà del Figlio.

E così Gesù trasforma, in questa preghiera, l’avversione naturale, l’avversione contro il calice, contro la sua missione di morire per noi; trasforma questa sua volontà naturale in volontà di Dio, in un “sì” alla volontà di Dio. L'uomo di per sé è tentato di opporsi alla volontà di Dio, di avere l’intenzione di seguire la propria volontà, di sentirsi libero solo se è autonomo; oppone la propria autonomia contro l’eteronomia di seguire la volontà di Dio. Questo è tutto il dramma dell'umanità.

Ma in verità questa autonomia è sbagliata e questo entrare nella volontà di Dio non è un’opposizione a sé, non è una schiavitù che violenta la mia volontà, ma è entrare nella verità e nell'amore, nel bene. E Gesù tira la nostra volontà, che si oppone alla volontà di Dio, che cerca l'autonomia, tira questa nostra volontà in alto, verso la volontà di Dio. Questo è il dramma della nostra redenzione, che Gesù tira in alto la nostra volontà, tutta la nostra avversione contro la volontà di Dio e la nostra avversione contro la morte e il peccato, e la unisce con la volontà del Padre: “Non la mia volontà ma la tua”. In questa trasformazione del “no” in “sì”, in questo inserimento della volontà creaturale nella volontà del Padre, Egli trasforma l'umanità e ci redime. E ci invita a entrare in questo suo movimento: uscire dal nostro “no” ed entrare nel “sì” del Figlio. La mia volontà c'è, ma decisiva è la volontà del Padre, perché questa è la verità e l'amore.

Un ulteriore elemento di questa preghiera mi sembra importante. I tre testimoni hanno conservato - come appare nella Sacra Scrittura - la parola ebraica o aramaica con la quale il Signore ha parlato al Padre, lo ha chiamato: “Abbà”, padre. Ma questa formula, “Abbà”, è una forma familiare del termine padre, una forma che si usa solo in famiglia, che non si è mai usata nei confronti di Dio. Qui vediamo nell'intimo di Gesù come parla in famiglia, parla veramente come Figlio col Padre. Vediamo il mistero trinitario: il Figlio che parla col Padre e redime l'umanità.

Ancora un’osservazione. La Lettera agli Ebrei ci ha dato una profonda interpretazione di questa preghiera del Signore, di questo dramma del Getsemani. Dice: queste lacrime di Gesù, questa preghiera, queste grida di Gesù, questa angoscia, tutto questo non è semplicemente una concessione alla debolezza della carne, come si potrebbe dire. Proprio così realizza l'incarico del Sommo Sacerdote, perché il Sommo Sacerdote deve portare l'essere umano, con tutti i suoi problemi e le sofferenze, all'altezza di Dio. E la Lettera agli Ebrei dice: con tutte queste grida, lacrime, sofferenze, preghiere, il Signore ha portato la nostra realtà a Dio (cfr Eb 5,7ss). E usa questa parola greca “prosferein”, che è il termine tecnico per quanto deve fare il Sommo Sacerdote per offrire, per portare in alto le sue mani.

Proprio in questo dramma del Getsemani, dove sembra che la forza di Dio non sia più presente, Gesù realizza la funzione del Sommo Sacerdote. E dice inoltre che in questo atto di obbedienza, cioè di conformazione della volontà naturale umana alla volontà di Dio, viene perfezionato come sacerdote. E usa di nuovo la parola tecnica per ordinare sacerdote. Proprio così diventa realmente il Sommo Sacerdote dell'umanità e apre così il cielo e la porta alla risurrezione.

Se riflettiamo su questo dramma del Getsemani, possiamo anche vedere il grande contrasto tra Gesù con la sua angoscia, con la sua sofferenza, in confronto con il grande filosofo Socrate, che rimane pacifico, senza perturbazione davanti alla morte. E sembra questo l'ideale. Possiamo ammirare questo filosofo, ma la missione di Gesù era un'altra. La sua missione non era questa totale indifferenza e libertà; la sua missione era portare in sé tutta la nostra sofferenza, tutto il dramma umano. E perciò proprio questa umiliazione del Getsemani è essenziale per la missione dell'Uomo-Dio. Egli porta in sé la nostra sofferenza, la nostra povertà, e la trasforma secondo la volontà di Dio. E così apre le porte del cielo, apre il cielo: questa tenda del Santissimo, che finora l’uomo ha chiuso contro Dio, è aperta per questa sua sofferenza e obbedienza.

Queste alcune osservazioni per il Giovedì Santo, per la nostra celebrazione della notte del Giovedì Santo.

Il Venerdì Santo faremo memoria della passione e della morte del Signore; adoreremo Cristo Crocifisso, parteciperemo alle sue sofferenze con la penitenza e il digiuno. Volgendo “lo sguardo a colui che hanno trafitto” (cfr Gv 19,37), potremo attingere dal suo cuore squarciato che effonde sangue ed acqua come da una sorgente; da quel cuore da cui scaturisce l’amore di Dio per ogni uomo riceviamo il suo Spirito. Accompagniamo quindi nel Venerdì Santo anche noi Gesù che sale il Calvario, lasciamoci guidare da Lui fino alla croce, riceviamo l’offerta del suo corpo immolato. Infine, nella notte del Sabato Santo, celebreremo la solenne Veglia Pasquale, nella quale ci è annunciata la risurrezione di Cristo, la sua vittoria definitiva sulla morte che ci interpella ad essere in Lui uomini nuovi. Partecipando a questa santa Veglia, la Notte centrale di tutto l’Anno Liturgico, faremo memoria del nostro Battesimo, nel quale anche noi siamo stati sepolti con Cristo, per poter con Lui risorgere e partecipare al banchetto del cielo (cfr Ap 19,7-9).

Cari amici, abbiamo cercato di comprendere lo stato d’animo con cui Gesù ha vissuto il momento della prova estrema, per cogliere ciò che orientava il suo agire. Il criterio che ha guidato ogni scelta di Gesù durante tutta la sua vita è stata la ferma volontà di amare il Padre, di essere uno col Padre, e di essergli fedele; questa decisione di corrispondere al suo amore lo ha spinto ad abbracciare, in ogni singola circostanza, il progetto del Padre, a fare proprio il disegno di amore affidatogli di ricapitolare ogni cosa in Lui, per ricondurre a Lui ogni cosa. Nel rivivere il santo Triduo, disponiamoci ad accogliere anche noi nella nostra vita la volontà di Dio, consapevoli che nella volontà di Dio, anche se appare dura, in contrasto con le nostre intenzioni, si trova il nostro vero bene, la via della vita. La Vergine Madre ci guidi in questo itinerario, e ci ottenga dal suo Figlio divino la grazia di poter spendere la nostra vita per amore di Gesù, nel servizio dei fratelli. Grazie.



Caterina63
00mercoledì 20 aprile 2011 20:12
[SM=g1740733] Ringraziando il Blog di Raffaella per averne dato l'anticipazione, abbiamo pensato bene di ricavare un video per accompagnare la monumentale Catechesi di oggi del Papa sulla Settimana Santa....
Un vero portento da non perdere!!


[SM=g1740722]
it.gloria.tv/?media=147968




[SM=g1740717]

[SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]



Caterina63
00giovedì 21 aprile 2011 08:44

Giovedi Santo - "Fate questo in memoria di me"

- S. Messa Crismale - - Lavanda dei piedi - Ultima Cena: - Istituzione della Santissima Eucarestia e...
...istituzione dell'Ordine Sacro -


Caterina63
00giovedì 21 aprile 2011 11:12
[SM=g1740717] [SM=g1740720] Amici, entriamo nel vivo del Triduo Pasquale, lasciandoci accompagnare dalla Madre del Sofferente, del Dolente, del nostro Redentore....

it.gloria.tv/?media=148238


Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org

Il Coro Don Bellani canta " Stava Maria Dolente"
cliccate qui per saperne di più
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...




[SM=g1740738]

[SM=g1740750] [SM=g1740752]

Caterina63
00giovedì 21 aprile 2011 15:09

Il Papa: Non è forse vero che l’Occidente, i Paesi centrali del Cristianesimo sono stanchi della loro fede e, annoiati della propria storia e cultura, non vogliono più conoscere la fede in Gesù Cristo? Abbiamo motivo di gridare in quest’ora a Dio: “Non permettere che diventiamo un non-popolo! Fa’ che ti riconosciamo di nuovo! Infatti, ci hai unti con il tuo amore, hai posto il tuo Spirito Santo su di noi. Fa’ che la forza del tuo Spirito diventi nuovamente efficace in noi, affinché con gioia testimoniamo il tuo messaggio!"


SANTA MESSA DEL CRISMA NELLA BASILICA VATICANA, 21.04.2011


Alle ore 9.30 di oggi, ricorrenza del Giovedì Santo, il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa Crismale, Liturgia che si celebra in questo giorno in tutte le Chiese Cattedrali.
La Messa del Crisma è concelebrata dal Santo Padre con i Cardinali, i Vescovi ed i Presbiteri - diocesani e religiosi - presenti a Roma.
Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la rinnovazione delle promesse sacerdotali, vengono benedetti l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e il crisma.
Riportiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia dopo la lettura del Santo Vangelo:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Al centro della liturgia di questa mattina sta la benedizione degli oli sacri – dell’olio per l’unzione dei catecumeni, di quello per l’unzione degli infermi e del crisma per i grandi Sacramenti che conferiscono lo Spirito Santo: Confermazione, Ordinazione sacerdotale e Ordinazione episcopale. Nei Sacramenti il Signore ci tocca per mezzo degli elementi della creazione. L’unità tra creazione e redenzione si rende visibile. I Sacramenti sono espressione della corporeità della nostra fede che abbraccia corpo e anima, l’uomo intero. Pane e vino sono frutti della terra e del lavoro dell'uomo.
Il Signore li ha scelti come portatori della sua presenza. L’olio è simbolo dello Spirito Santo e, al tempo stesso, ci rimanda a Cristo: la parola “Cristo” (Messia) significa “l’Unto”. L’umanità di Gesù, mediante l’unità del Figlio col Padre, è inserita nella comunione con lo Spirito Santo e così è “unta” in maniera unica, è penetrata dallo Spirito Santo. Ciò che nei re e nei sacerdoti dell’Antica Alleanza era avvenuto in modo simbolico nell’unzione con olio, con la quale venivano istituiti nel loro ministero, avviene in Gesù in tutta la sua realtà: la sua umanità è penetrata dalla forza dello Spirito Santo.

Egli apre la nostra umanità per il dono dello Spirito Santo. Quanto più siamo uniti a Cristo, tanto più veniamo colmati dal suo Spirito, dallo Spirito Santo. Noi ci chiamiamo “cristiani”: “unti” – persone che appartengono a Cristo e per questo partecipano alla sua unzione, sono toccate dal suo Spirito. Non voglio soltanto chiamarmi cristiano, ma voglio anche esserlo, ha detto sant’Ignazio d’Antiochia. Lasciamo che proprio questi oli sacri, che vengono consacrati in quest’ora, ci ricordino tale compito intrinseco della parola “cristiano” e preghiamo il Signore, affinché sempre più non solo ci chiamiamo cristiani, ma anche lo siamo.

Nella liturgia di questo giorno si benedicono, come già detto, tre oli. In tale triade si esprimono tre dimensioni essenziali dell’esistenza cristiana, sulle quali ora vogliamo riflettere.

C’è innanzitutto l’olio dei catecumeni. Quest’olio indica come un primo modo di essere toccati da Cristo e dal suo Spirito – un tocco interiore col quale il Signore attira le persone vicino a sé. Mediante questa prima unzione, che avviene ancora prima del Battesimo, il nostro sguardo si rivolge quindi alle persone che si mettono in cammino verso Cristo – alle persone che sono alla ricerca della fede, alla ricerca di Dio. L’olio dei catecumeni ci dice: non solo gli uomini cercano Dio. Dio stesso si è messo alla ricerca di noi.

Il fatto che Egli stesso si sia fatto uomo e sia disceso negli abissi dell’esistenza umana, fin nella notte della morte, ci mostra quanto Dio ami l’uomo, sua creatura. Spinto dall’amore, Dio si è incamminato verso di noi. “Cercandomi Ti sedesti stanco … che tanto sforzo non sia vano!”, preghiamo nel Dies Irae. Dio è alla ricerca di me. Voglio riconoscerLo? Voglio essere da Lui conosciuto, da Lui essere trovato? Dio ama gli uomini. Egli viene incontro all’inquietudine del nostro cuore, all’inquietudine del nostro domandare e cercare, con l’inquietudine del suo stesso cuore, che lo induce a compiere l’atto estremo per noi. L’inquietudine nei confronti di Dio, l’essere in cammino verso di Lui, per conoscerLo meglio, per amarLo meglio, non deve spegnersi in noi. In questo senso dovremmo sempre rimanere catecumeni. “Ricercate sempre il suo volto”, dice un Salmo (105,4). Agostino, al riguardo, ha commentato: Dio è tanto grande da superare sempre infinitamente tutta la nostra conoscenza e tutto il nostro essere.

Il conoscere Dio non si esaurisce mai. Per tutta l’eternità possiamo, con una gioia crescente, sempre continuare a cercarLo, per conoscerLo sempre di più ed amarLo sempre di più. “Inquieto è il nostro cuore, finché non riposi in te”, ha detto Agostino all’inizio delle sue Confessioni. Sì, l’uomo è inquieto, perché tutto ciò che è temporale è troppo poco. Ma siamo veramente inquieti verso di Lui? Non ci siamo forse rassegnati alla sua assenza e cerchiamo di bastare a noi stessi? Non permettiamo simili riduzioni del nostro essere umano! Rimaniamo continuamente in cammino verso di Lui, nella nostalgia di Lui, nell’accoglienza sempre nuova di conoscenza e di amore!

C’è poi l’olio per l’Unzione degli infermi. Abbiamo davanti a noi la schiera delle persone sofferenti: gli affamati e gli assetati, le vittime della violenza in tutti i Continenti, i malati con tutti i loro dolori, le loro speranze e disperazioni, i perseguitati e i calpestati, le persone col cuore affranto. Circa il primo invio dei discepoli da parte di Gesù, san Luca ci narra: “Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi” (9,2). Il guarire è un incarico primordiale affidato da Gesù alla Chiesa, secondo l’esempio dato da Lui stesso che risanando ha percorso le vie del Paese.

Certo, il compito principale della Chiesa è l’annuncio del regno di Dio. Ma proprio questo stesso annuncio deve essere un processo di guarigione: “…fasciare le piaghe dei cuori spezzati”, viene detto oggi nella prima lettura dal profeta Isaia (61,1). L’annuncio del regno di Dio, della bontà illimitata di Dio, deve suscitare innanzitutto questo: guarire il cuore ferito degli uomini. L’uomo per la sua stessa essenza è un essere in relazione. Se, però, è perturbata la relazione fondamentale, la relazione con Dio, allora anche tutto il resto è perturbato. Se il nostro rapporto con Dio è perturbato, se l’orientamento fondamentale del nostro essere è sbagliato, non possiamo neppure veramente guarire nel corpo e nell’anima. Per questo, la prima e fondamentale guarigione avviene nell’incontro con Cristo che ci riconcilia con Dio e risana il nostro cuore affranto. Ma oltre questo compito centrale fa parte della missione essenziale della Chiesa anche la guarigione concreta della malattia e della sofferenza. L’olio per l’Unzione degli infermi è espressione sacramentale visibile di questa missione. Fin dagli inizi è maturata nella Chiesa la chiamata a guarire, è maturato l’amore premuroso verso persone angustiate nel corpo e nell’anima. È questa anche l’occasione per ringraziare una volta tanto le sorelle e i fratelli che in tutto il mondo portano un amore risanatore agli uomini, senza badare alla loro posizione o confessione religiosa. Da Elisabetta di Turingia, Vincenzo de’ Paoli, Louise de Marillac, Camillo de Lellis fino a Madre Teresa – per ricordare soltanto alcuni nomi – attraversa il mondo una scia luminosa di persone, che ha origine nell’amore di Gesù per i sofferenti e i malati. Per questo ringraziamo in quest’ora il Signore. Per questo ringraziamo tutti coloro che, in virtù della fede e dell’amore, si mettono a fianco dei sofferenti, dando con ciò, in definitiva, testimonianza della bontà propria di Dio.

L’olio per l’Unzione degli infermi è segno di quest’olio della bontà del cuore, che queste persone – insieme con la loro competenza professionale – portano ai sofferenti. Senza parlare di Cristo, Lo manifestano.

Al terzo posto c’è infine il più nobile degli oli ecclesiali, il crisma, una mistura di olio di oliva e profumi vegetali. È l’olio dell’unzione sacerdotale e di quella regale, unzioni che si riallacciano alle grandi tradizioni d’unzione dell’Antica Alleanza. Nella Chiesa quest’olio serve soprattutto per l’unzione nella Confermazione e nelle Ordinazioni sacre. La liturgia di oggi collega con quest’olio le parole di promessa del profeta Isaia: “Voi sarete chiamati ‘sacerdoti del Signore’, ‘ministri del nostro Dio’ sarete detti” (61,6). Con ciò il profeta riprende la grande parola di incarico e di promessa, che Dio aveva rivolto a Israele presso il Sinai: “Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19,6). Nel vasto mondo e per il vasto mondo, che in gran parte non conosceva Dio, Israele doveva essere come un santuario di Dio per la totalità, doveva esercitare una funzione sacerdotale per il mondo. Doveva portare il mondo verso Dio, aprirlo a Lui. San Pietro, nella sua grande catechesi battesimale, ha applicato tale privilegio e tale incarico di Israele all’intera comunità dei battezzati, proclamando: “Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio” (1Pt 2,9s).

Battesimo e Confermazione costituiscono l’ingresso in questo popolo di Dio, che abbraccia tutto il mondo; l’unzione nel Battesimo e nella Confermazione è un’unzione che introduce in questo ministero sacerdotale per l’umanità. I cristiani sono popolo sacerdotale per il mondo. I cristiani dovrebbero rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarLo e condurre a Lui. Quando parliamo di questo nostro comune incarico, in quanto siamo battezzati, ciò non è una ragione per farne un vanto.

È una domanda che, insieme, ci dà gioia e ci inquieta: siamo veramente il santuario di Dio nel mondo e per il mondo? Apriamo agli uomini l’accesso a Dio o piuttosto lo nascondiamo? Non siamo forse noi – popolo di Dio – diventati in gran parte un popolo dell’incredulità e della lontananza da Dio? Non è forse vero che l’Occidente, i Paesi centrali del Cristianesimo sono stanchi della loro fede e, annoiati della propria storia e cultura, non vogliono più conoscere la fede in Gesù Cristo? Abbiamo motivo di gridare in quest’ora a Dio: “Non permettere che diventiamo un non-popolo! Fa’ che ti riconosciamo di nuovo! Infatti, ci hai unti con il tuo amore, hai posto il tuo Spirito Santo su di noi. Fa’ che la forza del tuo Spirito diventi nuovamente efficace in noi, affinché con gioia testimoniamo il tuo messaggio!

Nonostante tutta la vergogna per i nostri errori, non dobbiamo, però, dimenticare che anche oggi esistono esempi luminosi di fede; che anche oggi vi sono persone che, mediante la loro fede e il loro amore, danno speranza al mondo.

Quando il prossimo 1° maggio verrà beatificato Papa Giovanni Paolo II, penseremo pieni di gratitudine a lui quale grande testimone di Dio e di Gesù Cristo nel nostro tempo, quale uomo colmato di Spirito Santo. Insieme con lui pensiamo al grande numero di coloro che egli ha beatificato e canonizzato e che ci danno la certezza che la promessa di Dio e il suo incarico anche oggi non cadono nel vuoto. Mi rivolgo infine a voi, cari confratelli nel ministero sacerdotale. Il Giovedì Santo è in modo particolare il nostro giorno. Nell’ora dell’Ultima Cena il Signore ha istituito il sacerdozio neotestamentario. “Consacrali nella verità” (Gv 17,17), ha pregato il Padre – per gli Apostoli e per i sacerdoti di tutti i tempi. Con grande gratitudine per la vocazione e con umiltà per tutte le nostre insufficienze rinnoviamo in quest’ora il nostro “sì” alla chiamata del Signore: Sì, voglio unirmi intimamente al Signore Gesù – rinunciando a me stesso … spinto dall’amore di Cristo. Amen.


 















 



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Papa/ Messa in san pietro, nel pomeriggio al via triduo pasquale

Domani intervista tv, alla fine qualche giorno a Castel Gandolfo


Il Papa ha iniziato alle 9.30 a San Pietro la messa crismale del giovedì santo. Nel pomeriggio iniziano il 'triduo pasquale'. Nella messa mattutina vengono benedetti gli oli dei catecumeni e degli infermi e il crisma.

Alle 17.30, nella basilica di San Giovanni in Laterano, il Papa celebra la messa 'in Coena Domini', con la quale ha inizio il 'triduo pasquale', la celebrazione in tre giorni della Pasqua quale passaggio dalla passione e morte di Cristo alla sepoltura, fino alla risurrezione.

Durante la messa ha luogo il tradizionale rito della lavanda dei piedi.

Domani il Papa presiede alle 17, a San Pietro, la celebrazione della Passione del Signore nel 'venerdì santo', "giorno della Passione e Morte del Signore e del digiuno, quale segno esteriore della nostra partecipazione al suo sacrificio".

Alle 21.15 al Colosseo Benedetto XVI presiede la tradizionale Via Crucis. I testi di meditazione per le 14 stazioni di quest'anno sono stati composti, per incarico di Ratzinger, dalla suora agostiniana Maria Rita Piccione, del Monastero dei Santi Quattro Coronati a Roma.
Nel primo pomeriggio, intanto, alle 14.10, su Rai1 andrà in onda un'intervista al Papa realizzata straordinariamente dalla trasmissione 'A sua immagine'. Benedetto XVI risponde alle domande di alcuni telespettatori su temi come gli stati vegetativi, la situazione dei cristiani in Costa d'Avorio, l'incidente nucleare di Fukushima. Il giorno dopo, sabato, alle 21 ha avvio, a San Pietro, la solenne Veglia nella notte santa di Pasqua.

Domenica, infine, alle 10.15, sul sagrato della basilica vaticana, la solenne celebrazione della messa del giorno nella Pasqua di Risurrezione del Signore. Non vi è omelia, in quanto alla messa seguirà la benedizione 'Urbi et Orbi' con l'augurio pasquale.
Nel pomeriggio il Papa si trasferisce in elicottero a Castel Gandolfo per alcuni giorni di riposo prima della beatificazione di Wojtyla.





Caterina63
00giovedì 21 aprile 2011 20:17

Benedetto XVI: Cari amici, per il Papa è un grande conforto sapere che in ogni Celebrazione eucaristica tutti pregano per lui; che la nostra preghiera si unisce alla preghiera del Signore per Pietro. Solo grazie alla preghiera del Signore e della Chiesa il Papa può corrispondere al suo compito di confermare i fratelli – di pascere il gregge di Gesù e di farsi garante per quell’unità che diventa testimonianza visibile della missione di Gesù da parte del Padre

Pope Benedict XVI, center, washes the foot of an unidentified priest, during the Holy Thursday rite of the washing of feet, in St. John in Lateran Basilica in Rome, Thursday, April 21, 2011. Pope Benedict XVI washes the feet of a dozen priests in a Holy Thursday ceremony to symbolize humility. Earlier the pontiff celebrated the Holy Thursday Mass that marks the start of the Easter celebrations.


SANTA MESSA IN COENA DOMINI


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

"Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione" (Lc 22,15): con queste parole Gesù ha inaugurato la celebrazione del suo ultimo convito e dell’istituzione della santa Eucaristia. Gesù è andato incontro a quell’ora desiderandola. Nel suo intimo ha atteso quel momento in cui avrebbe donato se stesso ai suoi sotto le specie del pane e del vino.
Ha atteso quel momento che avrebbe dovuto essere in qualche modo le vere nozze messianiche: la trasformazione dei doni di questa terra e il diventare una cosa sola con i suoi, per trasformarli ed inaugurare così la trasformazione del mondo. Nel desiderio di Gesù possiamo riconoscere il desiderio di Dio stesso – il suo amore per gli uomini, per la sua creazione, un amore in attesa. L’amore che attende il momento dell’unione, l’amore che vuole attirare gli uomini a sé, per dare compimento con ciò anche al desiderio della stessa creazione: essa, infatti, è protesa verso la manifestazione dei figli di Dio (cfr Rm 8,19). Gesù ha desiderio di noi, ci attende.

E noi, abbiamo veramente desiderio di Lui? C’è dentro di noi la spinta ad incontrarLo? Bramiamo la sua vicinanza, il diventare una cosa sola con Lui, di cui Egli ci fa dono nella santa Eucaristia? Oppure siamo indifferenti, distratti, pieni di altro?

Dalle parabole di Gesù sui banchetti sappiamo che Egli conosce la realtà dei posti rimasti vuoti, la risposta negativa, il disinteresse per Lui e per la sua vicinanza. I posti vuoti al banchetto nuziale del Signore, con o senza scuse, sono per noi, ormai da tempo, non una parabola, bensì una realtà presente, proprio in quei Paesi ai quali Egli aveva manifestato la sua vicinanza particolare. Gesù sapeva anche di ospiti che sarebbero sì venuti, ma senza essere vestiti in modo nuziale – senza gioia per la sua vicinanza, seguendo solo un’abitudine, e con tutt’altro orientamento della loro vita. San Gregorio Magno, in una delle sue omelie, si domandava: Che genere di persone sono quelle che vengono senza abito nuziale? In che cosa consiste questo abito e come lo si acquista? La sua risposta è: Quelli che sono stati chiamati e vengono hanno in qualche modo fede. È la fede che apre loro la porta. Ma manca loro l’abito nuziale dell’amore. Chi vive la fede non come amore non è preparato per le nozze e viene mandato fuori. La comunione eucaristica richiede la fede, ma la fede richiede l’amore, altrimenti è morta anche come fede.

Da tutti e quattro i Vangeli sappiamo che l’ultimo convito di Gesù prima della Passione fu anche un luogo di annuncio. Gesù ha proposto ancora una volta con insistenza gli elementi portanti del suo messaggio. Parola e Sacramento, messaggio e dono stanno inscindibilmente insieme. Ma durante l’ultimo convito, Gesù ha soprattutto pregato. Matteo, Marco e Luca usano due parole per descrivere la preghiera di Gesù nel punto centrale della Cena: “eucharistesas” ed “eulogesas” – “ringraziare” e “benedire”. Il movimento ascendente del ringraziare e quello discendente del benedire vanno insieme. Le parole della transustanziazione sono parte di questa preghiera di Gesù. Sono parole di preghiera. Gesù trasforma la sua Passione in preghiera, in offerta al Padre per gli uomini. Questa trasformazione della sua sofferenza in amore possiede una forza trasformatrice per i doni, nei quali ora Egli dà se stesso. Egli li dà a noi affinché noi e il mondo siamo trasformati. Lo scopo proprio e ultimo della trasformazione eucaristica è la nostra stessa trasformazione nella comunione con Cristo. L’Eucaristia ha di mira l’uomo nuovo, il mondo nuovo così come esso può nascere soltanto a partire da Dio mediante l’opera del Servo di Dio.
Da Luca e soprattutto da Giovanni sappiamo che Gesù nella sua preghiera durante l’Ultima Cena ha anche rivolto suppliche al Padre – suppliche che al tempo stesso contengono appelli ai suoi discepoli di allora e di tutti i tempi.

Vorrei in quest’ora scegliere soltanto una supplica che, secondo Giovanni, Gesù ha ripetuto quattro volte nella sua Preghiera sacerdotale. Quanto deve averLo angustiato nel suo intimo! Essa rimane continuamente la sua preghiera al Padre per noi: è la preghiera per l’unità. Gesù dice esplicitamente che tale supplica non vale soltanto per i discepoli allora presenti, ma ha di mira tutti coloro che crederanno in Lui (cfr Gv 17,20). Chiede che tutti diventino una sola cosa “come tu, Padre, sei in me e io in te … perché il mondo creda” (Gv 17,21).

L’unità dei cristiani può esserci soltanto se i cristiani sono intimamente uniti a Lui, a Gesù. Fede e amore per Gesù, fede nel suo essere uno col Padre e apertura all’unità con Lui sono essenziali. Questa unità non è dunque una cosa soltanto interiore, mistica. Deve diventare visibile, così visibile da costituire per il mondo la prova della missione di Gesù da parte del Padre. Per questo tale supplica ha un nascosto senso eucaristico che Paolo ha chiaramente evidenziato nella Prima Lettera ai Corinzi: “Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1Cor 10,16s).

Con l’Eucaristia nasce la Chiesa. Noi tutti mangiamo lo stesso pane, riceviamo lo stesso corpo del Signore e questo significa: Egli apre ciascuno di noi al di là di se stesso. Egli ci rende tutti una cosa sola. L’Eucaristia è il mistero dell’intima vicinanza e comunione di ogni singolo col Signore. Ed è, al tempo stesso, l’unione visibile tra tutti. L’Eucaristia è Sacramento dell’unità. Essa giunge fin nel mistero trinitario, e crea così al contempo l’unità visibile. Diciamolo ancora una volta: essa è l’incontro personalissimo col Signore e, tuttavia, non è mai soltanto un atto di devozione individuale.

La celebriamo necessariamente insieme. In ogni comunità vi è il Signore in modo totale. Ma Egli è uno solo in tutte le comunità. Per questo, della Preghiera eucaristica della Chiesa fanno necessariamente parte le parole: “una cum Papa nostro et cum Episcopo nostro”. Questa non è un’aggiunta esteriore a ciò che avviene interiormente, bensì espressione necessaria della realtà eucaristica stessa. E menzioniamo il Papa e il Vescovo per nome: l’unità è del tutto concreta, ha dei nomi. Così l’unità diventa visibile, diventa segno per il mondo e stabilisce per noi stessi un criterio concreto.

San Luca ci ha conservato un elemento concreto della preghiera di Gesù per l’unità: “Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,31s).

Oggi constatiamo con dolore nuovamente che a Satana è stato concesso di vagliare i discepoli visibilmente davanti a tutto il mondo. E sappiamo che Gesù prega per la fede di Pietro e dei suoi successori. Sappiamo che Pietro, che attraverso le acque agitate della storia va incontro al Signore ed è in pericolo di affondare, viene sempre di nuovo sorretto dalla mano del Signore e guidato sulle acque. Ma poi segue un annuncio e un incarico. “Tu, una volta convertito…”:

Tutti gli esseri umani, eccetto Maria, hanno continuamente bisogno di conversione. Gesù predice a Pietro la sua caduta e la sua conversione. Da che cosa Pietro ha dovuto convertirsi? All’inizio della sua chiamata, spaventato dal potere divino del Signore e dalla propria miseria, Pietro aveva detto: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore!” (Lc 5,8).

Alla luce del Signore egli riconosce la sua insufficienza. Proprio così, nell’umiltà di chi sa di essere peccatore, egli viene chiamato. Egli deve sempre di nuovo ritrovare questa umiltà. Presso Cesarea di Filippo Pietro non aveva voluto accettare che Gesù avrebbe dovuto soffrire ed essere crocifisso. Ciò non era conciliabile con la sua immagine di Dio e del Messia. Nel cenacolo egli non ha voluto accettare che Gesù gli lavasse i piedi: ciò non si adattava alla sua immagine della dignità del Maestro. Nell’orto degli ulivi ha colpito con la spada. Voleva dimostrare il suo coraggio. Davanti alla serva, però, ha affermato di non conoscere Gesù. In quel momento ciò gli sembrava una piccola bugia, per poter rimanere nelle vicinanze di Gesù. Il suo eroismo è crollato in un gioco meschino per un posto al centro degli avvenimenti. Tutti noi dobbiamo sempre di nuovo imparare ad accettare Dio e Gesù Cristo così come Egli è, e non come noi vorremmo che fosse. Anche noi stentiamo ad accettare che Egli si sia legato ai limiti della sua Chiesa e dei suoi ministri.

Anche noi non vogliamo accettare che Egli sia senza potere in questo mondo. Anche noi ci nascondiamo dietro pretesti, quando l’appartenenza a Lui ci diventa troppo costosa e troppo pericolosa. Tutti noi abbiamo bisogno di conversione che accoglie Gesù nel suo essere-Dio ed essere-Uomo. Abbiamo bisogno dell’umiltà del discepolo che segue la volontà del Maestro. In quest’ora vogliamo pregarLo di guardare anche a noi come ha guardato Pietro, nel momento opportuno, con i suoi occhi benevoli, e di convertirci.

Pietro, il convertito, è chiamato a confermare i suoi fratelli. Non è un fatto esteriore che questo compito gli venga affidato nel cenacolo. Il servizio dell’unità ha il suo luogo visibile nella celebrazione della santa Eucaristia.

Cari amici, per il Papa è un grande conforto sapere che in ogni Celebrazione eucaristica tutti pregano per lui; che la nostra preghiera si unisce alla preghiera del Signore per Pietro. Solo grazie alla preghiera del Signore e della Chiesa il Papa può corrispondere al suo compito di confermare i fratelli – di pascere il gregge di Gesù e di farsi garante per quell’unità che diventa testimonianza visibile della missione di Gesù da parte del Padre.

“Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi”. Signore, tu hai desiderio di noi, di me. Tu hai desiderio di partecipare te stesso a noi nella santa Eucaristia, di unirti a noi. Signore, suscita anche in noi il desiderio di te. Rafforzaci nell’unità con te e tra di noi. Dona alla tua Chiesa l’unità, perché il mondo creda. Amen.

                           Pope Benedict XVI, foreground second from left, walks past the altar after washing the feet of the prelates behind him, during the Holy Thursday rite of the washing of feet, in St. John in Lateran Basilica in Rome, Thursday, April 21, 2011. Pope Benedict XVI washes the feet of a dozen priests in a Holy Thursday ceremony to symbolize humility. Earlier the pontiff celebrated the Holy Thursday Mass that marks the start of the Easter celebrations.


Caterina63
00venerdì 22 aprile 2011 10:50

hora tertia - "et crucifixerunt Eum"


"tradidit eis illum ut crucifigeretur"
"Golgotha ubi crucifixerunt Eum et cum eo alios duos, hinc et hinc, medium autme Iesum"
"Erat autem scritum: Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum; ...

Et erat scriptum hebraice, graece et latine"

hora sexta - "Tenebrae factae sunt per totam terram"

...si fece buio...





in attesa della Via Crucis con il Papa, meditiamo anche questo link:


Le ultime parole di Gesù sulla Croce (meditazione) e sulla Risurrezione in Gv.11

Pope Benedict XVI holds the Cross during the celebration of the Lord's Passion on Good Friday on April 22, 2011 at Saint Peter's Basilica at The Vatican. Pope Benedict XVI, celebrates the Passion of the Lord in the afternoon before presiding over the stations of the Cross, re-enacting Jesus Christ's final hours and crucifixion, later in the evening at Rome's Colosseum.Pope Benedict XVI (R) puts the tiara on during the celebration of the Lord's Passion on Good Friday on April 22, 2011 at Saint Peter's Basilica at The Vatican. Pope Benedict XVI, celebrates the Passion of the Lord in the afternoon before presiding over the stations of the Cross, re-enacting Jesus Christ's final hours and crucifixion, later in the evening at Rome's Colosseum.
Pope Benedict XVI prays during the celebration of the Lord's Passion on Good Friday on April 22, 2011 at Saint Peter's Basilica at The Vatican. Pope Benedict XVI, celebrates the Passion of the Lord in the afternoon before presiding over the stations of the Cross, re-enacting Jesus Christ's final hours and crucifixion, later in the evening at Rome's Colosseum.
Pope Benedict XVI takes place to celebrate the Lord's Passion on Good Friday on April 22, 2011 at Saint Peter's Basilica at The Vatican. Pope Benedict XVI, celebrates the Passion of the Lord in the afternoon before presiding over the stations of the Cross, re-enacting Jesus Christ's final hours and crucifixion, later in the evening at Rome's Colosseum.Pope Benedict XVI (C) holds the Cross during the celebration of the Lord's Passion on Good Friday on April 22, 2011 at Saint Peter's Basilica at The Vatican. Pope Benedict XVI, celebrates the Passion of the Lord in the afternoon before presiding over the stations of the Cross, re-enacting Jesus Christ's final hours and crucifixion, later in the evening at Rome's Colosseum.
Pope Benedict XVI (R) arrives to celebrate the Lord's Passion on Good Friday on April 22, 2011 at Saint Peter's Basilica at The Vatican. Pope Benedict XVI, celebrates the Passion of the Lord in the afternoon before presiding over the stations of the Cross, re-enacting Jesus Christ's final hours and crucifixion, later in the evening at Rome's Colosseum.

Caterina63
00venerdì 22 aprile 2011 23:04
PAROLE DEL SANTO PADRE AL TERMINE DELLA VIA CRUCIS

Cari fratelli e sorelle,

questa notte abbiamo accompagnato nella fede Gesù che percorre l’ultimo tratto del suo cammino terreno, il tratto più doloroso, quello del Calvario. Abbiamo ascoltato il clamore della folla, le parole della condanna, la derisione dei soldati, il pianto della Vergine Maria e delle donne. Ora siamo immersi nel silenzio di questa notte, nel silenzio della croce, nel silenzio della morte.

E’ un silenzio che porta in sé il peso del dolore dell’uomo rifiutato, oppresso, schiacciato, il peso del peccato che ne sfigura il volto, il peso del male. Questa notte abbiamo rivissuto, nel profondo del nostro cuore, il dramma di Gesù, carico del dolore, del male, del peccato dell’uomo.

Che cosa rimane ora davanti ai nostri occhi? Rimane un Crocifisso; una Croce innalzata sul Golgota, una Croce che sembra segnare la sconfitta definitiva di Colui che aveva portato la luce a chi era immerso nel buio, di Colui che aveva parlato della forza del perdono e della misericordia, che aveva invitato a credere nell’amore infinito di Dio per ogni persona umana. Disprezzato e reietto dagli uomini, davanti a noi sta l’«uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia» (Is 53,3).

Ma guardiamo bene quell’uomo crocifisso tra la terra e il Cielo, contempliamolo con uno sguardo più profondo, e scopriremo che la Croce non è il segno della vittoria della morte, del peccato, del male ma è il segno luminoso dell’amore, anzi della vastità dell’amore di Dio, di ciò che non avremmo mai potuto chiedere, immaginare o sperare: Dio si è piegato su di noi, si è abbassato fino a giungere nell’angolo più buio della nostra vita per tenderci la mano e tirarci a sé, portarci fino a Lui
.

La Croce ci parla dell’amore supremo di Dio e ci invita a rinnovare, oggi, la nostra fede nella potenza di questo amore, a credere che in ogni situazione della nostra vita, della storia, del mondo, Dio è capace di vincere la morte, il peccato, il male, e di donarci una vita nuova, risorta. Nella morte in croce del Figlio di Dio, c’è il germe di una nuova speranza di vita, come il chicco che muore dentro la terra.

In questa notte carica di silenzio, carica di speranza, risuona l’invito che Dio ci rivolge attraverso le parole di sant’Agostino: «Abbiate fede! Voi verrete da me e gusterete i beni della mia mensa, com'è vero che io non ho ricusato d'assaporare i mali della mensa vostra... Vi ho promesso la mia vita... Come anticipo vi ho elargito la mia morte, quasi a dirvi: Ecco, io vi invito a partecipare della mia vita... È una vita dove nessuno muore, una vita veramente beata, che offre un cibo incorruttibile, un cibo che ristora e mai vien meno. La meta a cui vi invito, ecco… è l'amicizia con il Padre e lo Spirito Santo, è la cena eterna, è la comunione con me… è partecipare della mia vita» (cfr Discorso 231, 5).

Fissiamo il nostro sguardo su Gesù Crocifisso e chiediamo nella preghiera: Illumina, Signore, il nostro cuore, perché possiamo seguirti sul cammino della Croce, fa’ morire in noi l’«uomo vecchio», legato all’egoismo, al male, al peccato, rendici «uomini nuovi», uomini e donne santi, trasformati e animati dal tuo amore


Faithful carry the Cross during one of the stations of the Way of the Cross led by Pope Benedict XVI on Good Friday on April 22, 2011 in front of the Colosseum in Rome.Pope Benedict XVI looks on as he leads the Via Crucis (Way of the Cross) procession at the Colosseum in downtown Rome April 22, 2011.

Pope Benedict XVI (R) blesses faithful as he leads the Way of the Cross on Good Friday on April 22, 2011 in front of the Colosseum in Rome.Pope Benedict XVI blesses faithful as he leads the Way of the Cross on Good Friday on April 22, 2011 in front of the Colosseum in Rome.

Pope Benedict XVI kneels as he arrives to lead the Via Crucis (Way of the Cross) procession at the Colosseum in downtown Rome April 22, 2011.Pope Benedict XVI prays as he leads the Way of the Cross on Good Friday on April 22, 2011 in front of the Colosseum in Rome.


ORA SIAMO IMMERSI NEL SILENZIO DEL SABATO SANTO.....

con queste parole del Papa, faremo anche noi silenzio....per contemplare i Misteri esposti in tutta questa Quaresima e nel Triduo Pasquale....ci rileggiamo domani per la Santa Pasqua di Nostro Signore...


propter Parasceven - "venit Joseph ab Arimathaea "

"Post haec autem rogavit Pilatum Ioseph ab Arimatheaea, ... ut tolleret corpus Iesu. ..."




"Erat in loco ubi crucifixus est, hortus: et in horto monumentum novum... Ibi ergo propter Parasceven Iudaeorum, quia iuxta erat monumentum, posuerunt Iesum"

Caterina63
00sabato 23 aprile 2011 09:02
[SM=g1740717] [SM=g1740720] SABATO SANTO, IL GIORNO DEL "SILENZIO DI DIO"....

....e fu sepolto, discese agli inferi....

[SM=g1740734]


Vi segnialiamo la meravigliosa catechesi del Papa sul Sabato Santo, fatta in occasione della visita alla Sindone... [SM=g1740722]

qui l'audio
benedictxvi.tv/audio/2010/750-2-05-2010-turin-holy-shroud-sp...


qui il sito del nostro amico russo [SM=g1740721] benedictxvi.tv/site/page/12/

SANTA PASQUA A TUTTI!!
[SM=g1740750] [SM=g1740752]





Caterina63
00sabato 23 aprile 2011 16:07
La crocifissione e la risurrezione negli inni di Efrem il Siro

Discese dal legno come frutto
e salì al cielo come primizia


di MANUEL NIN

Efrem il Siro, morto nel 373, canta il mistero della nostra salvezza in 35 inni pasquali che trattano gli azzimi, la crocifissione e la risurrezione. Nell'ottavo inno sulla crocifissione sono contemplati i luoghi e gli strumenti legati alla passione di Cristo, ognuno acclamato "beato". Il giardino del Getsemani è messo in parallelo col giardino dell'Eden: "Beato sei tu, luogo, che fosti degno di quel sudore del Figlio che su di te cadde.

Alla terra mescolò il suo sudore per allontanare il sudore di Adamo. Beata la terra, che egli profumò con il suo sudore e che malata fu guarita".

L'Eden è presentato come il luogo della volontà divisa tra il precetto di Dio e l'astuzia del serpente, che nel Getsemani si ricompone: "Beato sei tu, luogo, perché hai fatto gioire il giardino delle delizie con le tue preghiere. In esso era divisa la volontà di Adamo verso il suo creatore. Nel giardino Gesù entrò, pregò e ricompose la volontà che si era divisa nel giardino e disse: Non la mia ma la tua volontà!".


Beato è dichiarato anche il Golgota: "Beato sei anche tu, o Golgota! Il cielo ha invidiato la tua piccolezza. Non quando il Signore se ne stava lassù nel cielo avvenne la riconciliazione. È su di te che fu saldato il nostro debito. È partendo da te che il ladrone aprì l'Eden. Colui che fu ucciso su di te mi ha salvato". E il buon ladrone è beato perché condotto nel paradiso dal Signore stesso.

Molto bella è anche l'immagine, per contrasto, tra coloro che tradirono (Giuda), negarono (Pietro) e fuggirono (i discepoli) e colui che dall'alto della croce (il ladrone) lo annunzia, come se Efrem volesse sottolineare che sulla croce il ladrone diventa apostolo: "Beato anche tu, ladrone, perché a causa della tua morte la Vita ti ha incontrato. Il nostro Signore ti ha preso e adagiato nell'Eden. Giuda tradì con inganno, anche Simone rinnegò e i discepoli fuggendo si nascosero; tu però lo hai annunziato".

Nello stesso inno Efrem accosta Giuseppe di Arimatea allo sposo di Maria. Il ruolo di costui nell'accogliere il Bambino neonato, nel fasciarlo, nel vederlo schiudere gli occhi, diventa in qualche modo il ruolo dell'altro Giuseppe verso Cristo calato dalla croce: "Beato sei tu, che hai lo stesso nome di Giuseppe il giusto, perché avvolgesti e seppellisti il Vivente defunto; chiudesti gli occhi al Vigilante addormentato che si addormentò e spogliò lo sheol".

Beato è anche il sepolcro, grembo che rinchiude per sempre la morte: "Beato sei anche tu, sepolcro unico, poiché la luce unigenita sorse in te. Dentro di te fu vinta la morte orgogliosa, che in te il Vivente morto ha cacciato via. Il sepolcro e il giardino sono simbolo dell'Eden nel quale Adamo morì di una morte invisibile. Il Vivente sepolto che risuscitò nel giardino risollevò colui che era caduto nel giardino".

Nel primo inno sulla Risurrezione canta il mistero della salvezza: "Volò e discese quel Pastore di tutti: cercò Adamo pecora smarrita, sulle proprie spalle la portò e salì". Efrem accosta il grembo del Padre e quello di Maria e dei credenti, gravidi del Verbo di Dio: "Il Verbo del Padre venne dal suo grembo e rivestì il corpo in un altro grembo. Da grembo a grembo egli procedette e i grembi casti furono ripieni di lui. Benedetto colui che prese dimora in noi!".

Il santo poeta sottolinea la coerenza di tutto il mistero della salvezza fino all'ascensione in cielo: "Dall'alto fluì come fiume e da Maria come una radice. Dal legno discese come frutto e salì al cielo come primizia. Dall'alto discese come Signore e dal ventre uscì come servo. Si inginocchiò la morte davanti a lui nello sheol e alla sua risurrezione la vita lo adorò".

Infine, l'incarnazione è vista come l'avvicinarsi di Cristo verso l'umanità debole e malata: "Gli impuri non aborrì e i peccatori non schivò. Degli innocenti gioì molto e molto desiderò i semplici". Tutta la redenzione è nel suo farsi vicino agli uomini per portarli alla sua gloria divina: "Nel fiume lo annoverarono tra i battezzandi, e nel mare lo contarono tra i dormienti. Sul legno come ucciso e nel sepolcro come un cadavere. Chi per noi, Signore, come te? Il Grande che si fece piccolo, il Vigilante che si addormentò, il Puro che fu battezzato, il Vivente che perì, il Re disprezzato per dare a tutti onore".



(©L'Osservatore Romano 24 aprile 2011)



LA PASSIONE DI GESÙ secondo le rivelazioni di Suor Anna Caterina
Emmerick
Parte II: Passione, morte e sepultura
Parte III: La Resurrezione




Vi ricordiamo che questa ed altre Meditazioni, le potete trovare anche nel forum di raccolta testi:

cliccate sull'immagine


e nello specifico qui:

LA PASSIONE DI GESU' nelle Visioni della Beata suor Caterina Emmerich 


Caterina63
00domenica 24 aprile 2011 00:12

Santa Pasqua di Resurrezione

 
Risurrezione

SEQUENZA

Alla vittima pasquale, s'innalzi oggi il sacrificio di lode.
L'agnello ha redento il suo gregge,
l'Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre.

Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa.

«Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?».
«La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto,
e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti.
Cristo, mia speranza, è risorto; e vi precede in Galilea».

Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto.
Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza.

***

Víctmæ pascháli láudes: ímmolent
Christiáni.
Agnus redémit oves: Christus
ínnocens Patri reconciliávit
peccatóres.

Mors et vita duéllo conflixére miràndo:
dux vitæ mórtuus, regnat vívus.
Dic nobis, María, quid vidísti in via?
Sepúlcrum Christi vivéntis: et glóriam
vidi resurgéntis.

Angélicos testes, sudárium, et vestes.
Surréxit Christus spes mea: præcédit
vos in Galilǽam.
Scímus Christum surrexísse a mórtuis
vere: tu nobis, victor Rex, miserére.

Pope Benedict XVI holds a candle during the Easter Vigil Papal mass on Holy Saturday on April 23, 2011 at St Peter's basilica at The Vatican.Pope Benedict XVI holds a candle during the Easter Vigil Papal mass on Holy Saturday on April 23, 2011 at St Peter's basilica at The Vatican.

Pope Benedict XVI holds the pastoral staff as he celebrates the Easter Vigil mass, in St. Peter's Basilica, at the Vatican, Saturday, April 23, 2011. The pontif began Saturday night's ceremony by lighting a candle that symbolizes the resurrection of Christ, which the faithful mark on Easter Sunday.Pope Benedict XVI prays during a Papal mass on Holy Saturday on April 23, 2011 at St Peter's basilica at The Vatican.

Buona Pasqua di Nostro Signore
Gesù Cristo!
Cristo è veramente Risorto, Alleluia!



REGINA DEL CIELO rallegrati 
(durante il tempo pasquale al posto dell'Angelus)

Regina dei cieli, rallegrati, alleluia:

Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia,

è risorto, come aveva promesso, alleluia.

Prega il Signore per noi, alleluia.

V.) Rallegrati, Vergine Maria, alleluia.

R). Perchè il Signore è veramente risorto, alleluia!

Preghiamo - O Dio, che nella gloriosa risurrezione del tuo

Figlio hai ridonato la gioia al mondo intero, per intercessione

di Maria Vergine concedi a noi di godere la gioia senza fine

della vita eterna.

Per Cristo nostro Signore.

Gloria al Padre...

L'eterno riposo...

IN LATINO:

Regina coeli, laetare, alleluia: Quia quem meruisti portare, alleluia. Resurrexit sicut dixit, alleluia. Ora pro nobis Deum, alleluia.


V. Gaude et laetare, Virgo Maria, Alleluia,

R. Quia surrexit Dominus vere, alleluia.


Oremus: Deus qui per resurrectionem Filii tui, Domini nostri Iesu Christi, mundum laetificare dignatus es: praesta, quaesumus, ut per eius Genetricem Virginem Mariam, perpetuae capiamus gaudia vitae. Per eundem Christum Dominum nostrum.

R. Amen.






VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA

Basilica Vaticana
Sabato Santo, 23 aprile 2011

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Due grandi segni caratterizzano la celebrazione liturgica della Veglia Pasquale. C’è innanzitutto il fuoco che diventa luce. La luce del cero pasquale, che nella processione attraverso la chiesa avvolta nel buio della notte diventa un’onda di luci, ci parla di Cristo quale vera stella del mattino, che non tramonta in eterno – del Risorto nel quale la luce ha vinto le tenebre. Il secondo segno è l’acqua. Essa richiama, da una parte, le acque del Mar Rosso, lo sprofondamento e la morte, il mistero della Croce. Poi però ci si presenta come acqua sorgiva, come elemento che dà vita nella siccità. Diventa così l’immagine del Sacramento del Battesimo, che ci rende partecipi della morte e risurrezione di Gesù Cristo.

Della liturgia della Veglia Pasquale, tuttavia, fanno parte non soltanto i grandi segni della creazione, luce e acqua.

Caratteristica del tutto essenziale della Veglia è anche il fatto che essa ci conduce ad un ampio incontro con la parola della Sacra Scrittura. Prima della riforma liturgica c’erano dodici letture veterotestamentarie e due neotestamentarie. Quelle del Nuovo Testamento sono rimaste. Il numero delle letture dell’Antico Testamento è stato fissato a sette, ma può, a seconda delle situazioni locali, essere ridotto anche a tre letture.

La Chiesa vuole condurci, attraverso una grande visione panoramica, lungo la via della storia della salvezza, dalla creazione attraverso l’elezione e la liberazione di Israele fino alle testimonianze profetiche, con le quali tutta questa storia si dirige sempre più chiaramente verso Gesù Cristo. Nella tradizione liturgica tutte queste letture venivano chiamate profezie. Anche quando non sono direttamente preannunci di avvenimenti futuri, esse hanno un carattere profetico, ci mostrano l’intimo fondamento e l’orientamento della storia. Esse fanno in modo che la creazione e la storia diventino trasparenti all’essenziale. Così ci prendono per mano e ci conducono verso Cristo, ci mostrano la vera Luce.

Il cammino attraverso le vie della Sacra Scrittura comincia, nella Veglia Pasquale, con il racconto della creazione. Con ciò la liturgia vuole dirci che anche il racconto della creazione è una profezia. Non è un’informazione sullo svolgimento esteriore del divenire del cosmo e dell’uomo. I Padri della Chiesa ne erano ben consapevoli. Non intesero tale racconto come narrazione sullo svolgimento delle origini delle cose, bensì quale rimando all’essenziale, al vero principio e al fine del nostro essere. Ora, ci si può chiedere: ma è veramente importante nella Veglia Pasquale parlare anche della creazione? Non si potrebbe cominciare con gli avvenimenti in cui Dio chiama l’uomo, si forma un popolo e crea la sua storia con gli uomini sulla terra? La risposta deve essere: no. Omettere la creazione significherebbe fraintendere la stessa storia di Dio con gli uomini, sminuirla, non vedere più il suo vero ordine di grandezza. Il raggio della storia che Dio ha fondato giunge fino alle origini, fino alla creazione.

La nostra professione di fede inizia con le parole: “Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra”. Se omettiamo questo primo articolo del Credo, l’intera storia della salvezza diventa troppo ristretta e troppo piccola. La Chiesa non è una qualsiasi associazione che si occupa dei bisogni religiosi degli uomini, ma che ha, appunto, lo scopo limitato di tale associazione. No, essa porta l’uomo in contatto con Dio e quindi con il principio di ogni cosa. Per questo Dio ci riguarda come Creatore, e per questo abbiamo una responsabilità per la creazione. La nostra responsabilità si estende fino alla creazione, perché essa proviene dal Creatore. Solo perché Dio ha creato il tutto, può darci vita e guidare la nostra vita. La vita nella fede della Chiesa non abbraccia soltanto un ambito di sensazioni e di sentimenti e forse di obblighi morali. Essa abbraccia l’uomo nella sua interezza, dalle sue origini e in prospettiva dell’eternità. Solo perché la creazione appartiene a Dio, noi possiamo far affidamento su di Lui fino in fondo. E solo perché Egli è Creatore, può darci la vita per l’eternità. La gioia per la creazione, la gratitudine per la creazione e la responsabilità per essa vanno una insieme all’altra.

Il messaggio centrale del racconto della creazione si lascia determinare ancora più precisamente. San Giovanni, nelle prime parole del suo Vangelo, ha riassunto il significato essenziale di tale racconto in quest’unica frase: “In principio era il Verbo”.

In effetti, il racconto della creazione che abbiamo ascoltato prima è caratterizzato dalla frase che ricorre con regolarità: “Dio disse…”. Il mondo è un prodotto della Parola, del Logos, come si esprime Giovanni con un termine centrale della lingua greca. “Logos” significa “ragione”, “senso”, “parola”. Non è soltanto ragione, ma Ragione creatrice che parla e che comunica se stessa. È Ragione che è senso e che crea essa stessa senso. Il racconto della creazione ci dice, dunque, che il mondo è un prodotto della Ragione creatrice. E con ciò esso ci dice che all’origine di tutte le cose non stava ciò che è senza ragione, senza libertà, bensì il principio di tutte le cose è la Ragione creatrice, è l’amore, è la libertà. Qui ci troviamo di fronte all’alternativa ultima che è in gioco nella disputa tra fede ed incredulità: sono l’irrazionalità, l'assenza di libertà e il caso il principio di tutto, oppure sono ragione, libertà, amore il principio dell’essere? Il primato spetta all’irrazionalità o alla ragione? È questa la domanda di cui si tratta in ultima analisi. Come credenti rispondiamo con il racconto della creazione e con San Giovanni: all’origine sta la ragione. All’origine sta la libertà. Per questo è cosa buona essere una persona umana.

Non è così che nell’universo in espansione, alla fine, in un piccolo angolo qualsiasi del cosmo si formò per caso anche una qualche specie di essere vivente, capace di ragionare e di tentare di trovare nella creazione una ragione o di portarla in essa. Se l’uomo fosse soltanto un tale prodotto casuale dell’evoluzione in qualche posto al margine dell’universo, allora la sua vita sarebbe priva di senso o addirittura un disturbo della natura. Invece no: la Ragione è all’inizio, la Ragione creatrice, divina. E siccome è Ragione, essa ha creato anche la libertà; e siccome della libertà si può fare uso indebito, esiste anche ciò che è avverso alla creazione. Per questo si estende, per così dire, una spessa linea oscura attraverso la struttura dell’universo e attraverso la natura dell’uomo. Ma nonostante questa contraddizione, la creazione come tale rimane buona, la vita rimane buona, perché all’origine sta la Ragione buona, l’amore creatore di Dio. Per questo il mondo può essere salvato. Per questo possiamo e dobbiamo metterci dalla parte della ragione, della libertà e dell’amore – dalla parte di Dio che ci ama così tanto che Egli ha sofferto per noi, affinché dalla sua morte potesse sorgere una vita nuova, definitiva, risanata.

Il racconto veterotestamentario della creazione, che abbiamo ascoltato, indica chiaramente quest’ordine delle realtà. Ma ci fa fare un passo ancora più avanti. Ha strutturato il processo della creazione nel quadro di una settimana che va verso il Sabato, trovando in esso il suo compimento. Per Israele, il Sabato era il giorno in cui tutti potevano partecipare al riposo di Dio, in cui uomo e animale, padrone e schiavo, grandi e piccoli erano uniti nella libertà di Dio. Così il Sabato era espressione dell’alleanza tra Dio e uomo e la creazione. In questo modo, la comunione tra Dio e uomo non appare come qualcosa di aggiunto, instaurato successivamente in un mondo la cui creazione era già terminata. L’alleanza, la comunione tra Dio e l’uomo, è predisposta nel più profondo della creazione.

Sì, l’alleanza è la ragione intrinseca della creazione come la creazione è il presupposto esteriore dell’alleanza. Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo dove Egli possa comunicare il suo amore e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. Davanti a Dio, il cuore dell’uomo che gli risponde è più grande e più importante dell’intero immenso cosmo materiale che, certamente, ci lascia intravedere qualcosa della grandezza di Dio.

A Pasqua e dall’esperienza pasquale dei cristiani, però, dobbiamo ora fare ancora un ulteriore passo. Il Sabato è il settimo giorno della settimana. Dopo sei giorni, in cui l’uomo partecipa, in un certo senso, al lavoro della creazione di Dio, il Sabato è il giorno del riposo. Ma nella Chiesa nascente è successo qualcosa di inaudito: al posto del Sabato, del settimo giorno, subentra il primo giorno. Come giorno dell’assemblea liturgica, esso è il giorno dell’incontro con Dio mediante Gesù Cristo, il quale nel primo giorno, la Domenica, ha incontrato i suoi come Risorto dopo che essi avevano trovato vuoto il sepolcro. La struttura della settimana è ora capovolta. Essa non è più diretta verso il settimo giorno, per partecipare in esso al riposo di Dio. Essa inizia con il primo giorno come giorno dell’incontro con il Risorto.

Questo incontro avviene sempre nuovamente nella celebrazione dell’Eucaristia, in cui il Signore entra di nuovo in mezzo ai suoi e si dona a loro, si lascia, per così dire, toccare da loro, si mette a tavola con loro. Questo cambiamento è un fatto straordinario, se si considera che il Sabato, il settimo giorno come giorno dell’incontro con Dio, è profondamente radicato nell’Antico Testamento. Se teniamo presente quanto il corso dal lavoro verso il giorno del riposo corrisponda anche ad una logica naturale, la drammaticità di tale svolta diventa ancora più evidente. Questo processo rivoluzionario, che si è verificato subito all’inizio dello sviluppo della Chiesa, è spiegabile soltanto col fatto che in tale giorno era successo qualcosa di inaudito. Il primo giorno della settimana era il terzo giorno dopo la morte di Gesù. Era il giorno in cui Egli si era mostrato ai suoi come il Risorto. Questo incontro, infatti, aveva in sé qualcosa di sconvolgente. Il mondo era cambiato. Colui che era morto viveva di una vita, che non era più minacciata da alcuna morte. Si era inaugurata una nuova forma di vita, una nuova dimensione della creazione. Il primo giorno, secondo il racconto della Genesi, è il giorno in cui prende inizio la creazione. Ora esso era diventato in un modo nuovo il giorno della creazione, era diventato il giorno della nuova creazione.

Noi celebriamo il primo giorno. Con ciò celebriamo Dio, il Creatore, e la sua creazione. Sì, credo in Dio, Creatore del cielo e della terra. E celebriamo il Dio che si è fatto uomo, ha patito, è morto ed è stato sepolto ed è risorto.

Celebriamo la vittoria definitiva del Creatore e della sua creazione. Celebriamo questo giorno come origine e, al tempo stesso, come meta della nostra vita. Lo celebriamo perché ora, grazie al Risorto, vale in modo definitivo che la ragione è più forte dell’irrazionalità, la verità più forte della menzogna, l’amore più forte della morte. Celebriamo il primo giorno, perché sappiamo che la linea oscura che attraversa la creazione non rimane per sempre. Lo celebriamo, perché sappiamo che ora vale definitivamente ciò che è detto alla fine del racconto della creazione: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,31).
Amen.


Pope Benedict XVI (R) baptizes Iris Teo Pech Leng from Singapore as he leads the Easter Vigil mass in Saint Peter's Basilica in Vatican April 23, 2011.
Pope Benedict XVI (C) celebrates a Papal mass on Holy Saturday on April 23, 2011 at St Peter's basilica at The Vatican.

Caterina63
00domenica 24 aprile 2011 09:20
[SM=g1740717] [SM=g1740720] REGINA DEL CIELO rallegrati
(durante il tempo pasquale al posto dell'Angelus)

Regina dei cieli, rallegrati, alleluia:

Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia,

è risorto, come aveva promesso, alleluia.

Prega il Signore per noi, alleluia.

V.) Rallegrati, Vergine Maria, alleluia.

R). Perchè il Signore è veramente risorto, alleluia!

Preghiamo - O Dio, che nella gloriosa risurrezione del tuo

Figlio hai ridonato la gioia al mondo intero, per intercessione

di Maria Vergine concedi a noi di godere la gioia senza fine

della vita eterna.

Per Cristo nostro Signore.

Gloria al Padre...
L'eterno riposo...

IN LATINO:

Regina coeli, laetare, alleluia: Quia quem meruisti portare, alleluia. Resurrexit sicut dixit, alleluia. Ora pro nobis Deum, alleluia.

V. Gaude et laetare, Virgo Maria, Alleluia,
R. Quia surrexit Dominus vere, alleluia.

Oremus: Deus qui per resurrectionem Filii tui, Domini nostri Iesu Christi, mundum laetificare dignatus es: praesta, quaesumus, ut per eius Genetricem Virginem Mariam, perpetuae capiamus gaudia vitae. Per eundem Christum Dominum nostrum.
R. Amen.

Auguri a tutti di Buona Pasqua di Nostro Signore Gesù Cristo!
Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org


it.gloria.tv/?media=149255



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Caterina63
00domenica 24 aprile 2011 09:55

Quaestio/21: Il rito del Resurrexit nella Domenica di Pasqua

                                              

A Roma, nel Medio Evo la Messa pasquale aveva un solenne preludio nella storica cappella di S. Lorenzo al Laterano (oggi Santuario della Scala Santa). L’Oratorio chiamato ancora oggi comunemente Sancta Sanctorum, era considerato uno dei luoghi più sacri della città di Roma. In esso con la preziosa reliquia della Croce, si custodiva l’immagine Acheropita del Salvatore.

L’immagine era chiamata acheropita perché creduta non dipinta di mano d’uomo (è una parola di origine greca: da “(a-)” privativo, “χείρ (chèir)” (mano) e “ποιείν (poièin)” (fare) il cui significato è “non fatto da mano umana”). L’origine di questa immagine è sconosciuta ma probabilmente fu portata a Roma dall’Oriente. La prima menzione si trova nel Liber Pontificalis nella biografia di Stefano II (752-757)[1]. Riproduce l’immagine completa del Salvatore, in grandezza quasi naturale, seduto in trono, dipinta su tela applicata sopra una tavola di legno delle dimensioni di m. 1,50 x 0,70 circa.

L’icona è stata restaurata diverse volte. Innocenzo III (1198-1216) fece coprire con un rivestimento d’argento tutta la figura ad eccezione del volto. Inoltre, più tardi, fu aperta una porticina all’altezza dei piedi, la quale permetteva di fare la lavanda rituale e l’unzione dei medesimi in talune circostanze (come nella processione del giorno dell’Assunta) e di baciarli quando il Papa si recava a venerare l’immagine.

Nel secolo XII, secondo un’antica tradizione, che già S. Girolamo faceva risalire ai primi secoli cristiani, l’annuncio della Risurrezione veniva dato dal Papa, prima di recarsi a cantare la Messa solenne a Santa Maria Maggiore, la basilica stazionale di Pasqua. Lo attestano il Liber Politicus[2](anche Ordo Romanus XI)[3], cerimoniale scritto nel 1143-1144, e il Liber Censuum Romanae Ecclesiae[4] (anche Ordo Romanus XII)[5], redatto intorno al 1192 da Cencio Camerario, il futuro Papa Onorio III. Eccone la descrizione che riportiamo dall’Ordo Romanus XII seguendo la traduzione di Schuster:

“Il mattino di Pasqua, dopo Prima, il Pontefice Romano, rivestito di piviale bianco, con i diaconi Cardinali che indossano le dalmatiche e le mitre, i suddiaconi in tunicella e gli altri ordini inferiori di chierici e i suoi cappellani, va alla cappella di San Lorenzo (…)

Qui fatta orazione, (il Papa) riveste i paramenti sino alla dalmatica, quindi si reca ad adorare il Salvatore. Apre l’immagine, bacia i piedi del Salvatore dicendo tre volte: Surrexit Dominus de sepulchro, a cui tutti rispondono: Qui pro nobis pependit in ligno. Alleluia.

Baciato il Salvatore, si reca al trono e dà la pace all’arcidiacono, il quale dopo di lui ha baciato il piede dell’immagine, dicendogli: Surrexit Dominus vere; questi risponde: Et apparuit Simoni. Il secondo diacono, baciati i piedi del Salvatore, si accosta a ricevere la pace dal Sommo Pontefice e dall’arcidiacono e si pone in fila. Gli altri Cardinali fanno egualmente (…)

In tanto la schola canta: Crucifixum in carne e Ego sum alpha et omega. Terminata la pace il Pontefice indossa la pianeta bianca, il pallio e la mitra solenne”[6] e in processione si va a Santa Maria Maggiore per la Messa pontificale.

Col trasporto della sede in Avignone, la funzione del Resurrexit dinanzi all’Acheropita decadde e quando i Papi tornarono a Roma, la stazione di Pasqua venne trasferita nella basilica di San Pietro. Sarà nella Domenica di Pasqua dell’anno 2000 quando il Resurrexit, l’antico rito della testimonianza di fede del Papa di fronte all’icona del Salvatore, sarà ripreso di nuovo[7].

Nel svolgimento di questo momento di preghiera, espressione di fede nella risurrezione, troviamo almeno tre elementi molto antichi, di cui il terzo non è stato ripreso nell 2000: l’annunzio della risurrezione, la venerazione dell’icona e il bacio di pace.

Il primo elemento, l’annunzio festoso della risurrezione Christus Dominus resurrexit! che a Gerusalemme, come sappiamo dal suo Typicon, già nel IV sec. era dato nell’Anastasis dal Patriarca il mattino di Pasqua[8], si constata comune, sebbene con forme diverse, in tutte le Comunità occidentali[9]. E così si fa tuttora nel rito bizantino[10].

Questo gioioso annunzio trova il loro autentico significato nel testo del Vangelo di Luca che descrive lo stupore di Pietro nel vedere il sepolcro vuoto e l’attestazione degli Undici che il Signore era davvero risorto ed era apparso a Simone (Lc 24, 12.34; cf. Gv 20, 3-10).

L’apparizione del Risorto a Pietro e agli altri testimoni è il fondamento teologico della fede pasquale. Così lo ricorda ilCatechismo: “Le donne furono così le prime messaggere della risurrezione di Cristo per gli stessi Apostoli. A loro Gesù appare in seguito: prima a Pietro, poi ai Dodici. Pietro chiamato a confermare la fede dei suoi fratelli, vede dunque il Risorto prima di loro ed è nella sua testimonianza che la comunità esclama: ‘Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone’ (Lc 24,34)”[11].

Il Papa, Vescovo di Roma e successore di san Pietro, incontra il Signore risorto nell’icona del Santissimo Salvatore e con la semplicità e la spontaneità della Sacra Scrittura grida, Surrexit Dominus de sepulchro. Nel giorno di Pasqua, il Romano Pontefice diventa, il primo testimone davanti a tutta la Chiesa, della risurrezione del Signore.

Il secondo elemento, la venerazione dell’icona risulta parimenti antico. In realtà non possiamo dimenticare che un’espressione di grande importanza nell’ambito della pietà popolare è l’uso di immagini sacre che, secondo i canoni della cultura e la molteplicità delle arti, aiutano i fedeli a porsi davanti ai misteri della fede cristiana. La venerazione per le immagini sacre appartiene, infatti, alla natura della pietà cattolica.

Ambedue gli elementi, l’annunzio della risurrezione e la venerazione dell’icona, caratteristici di questa sosta di preghiera adorante e di fede, che il Romano Pontefice fa nella mattina di Pasqua, ci collegano al linguaggio della pietà popolare.

“Il linguaggio verbale e gestuale della pietà popolare, pur conservando la semplicità e la spontaneità d’espressione, deve sempre risultare curato, in modo da far trasparire in ogni caso, insieme alla verità di fede, la grandezza dei misteri cristiani (…) Una grande varietà e ricchezza di espressioni corporee, gestuali e simboliche caratterizza la pietà popolare. Si pensi esemplarmente all’uso di baciare o toccare con la mano le immagini, i luoghi, le reliquie e gli oggetti sacri. Simili espressioni, che si tramandano da secoli di padre in figlio, sono modi diretti e semplici di manifestare esternamente il sentire del cuore e l’impegno di vivere cristianamente”[12].

Così la religiosità, come la pietà popolare,

“costituisce un’espressione della fede che si avvale di elementi culturali di un determinato ambiente, interpretando ed interpellando la sensibilità dei partecipanti in modo vivace ed efficace. La religiosità popolare (…) ha come sorgente la fede e dev’essere, pertanto, apprezzata e favorita. Essa, nelle sue manifestazioni più autentiche, non si contrappone  alla centralità della Sacra Liturgia, ma, favorendo la fede del popolo, che la considera una sua connaturale espressione religiosa, predispone alla celebrazione dei sacri misteri”[13].

Nel quadro di queste parole s’inserisce questo particolare annunzio della Risurrezione da parte del successore di Pietro, prima della celebrazione eucaristica.

Il rito del Resurrexit, come atto di fede, di pietà e di devozione del Romano Pontefice davanti all’icona del Santissimo Salvatore, trova il suo spazio al di fuori della celebrazione dell’Eucaristia, sebbene abbia il suo naturale coronamento nella celebrazione liturgica che si svolge subito dopo. Questa sosta di preghiera adorante, e lieto annunzio del Risorto, prepara la celebrazione.

Come ricordava Benedetto XVI,

“la fede dei discepoli ha dovuto adeguarsi progressivamente. Essa ci si presenta come un pellegrinaggio che ha il suo momento sorgivo nell’esperienza del Gesù storico, trova il suo fondamento nel mistero pasquale, ma deve poi avanzare ancora grazie all’azione dello Spirito Santo. Tale è stata anche la fede della Chiesa nel corso della storia, tale è pure la fede di noi, cristiani di oggi. Saldamente appoggiata sulla “roccia” di Pietro, è un pellegrinaggio verso la pienezza di quella verità che il Pescatore di Galilea professò con appassionata convinzione: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16)[14]. E possiamo domandarci, com’è arrivato Pietro a questa fede? E che cosa viene chiesto a noi, se vogliamo metterci in maniera sempre più convinta sulle sue orme? La risposta è chiara: “solo l’esperienza del silenzio e della preghiera offre l’orizzonte adeguato in cui può maturare e svilupparsi la conoscenza più vera, aderente e coerente, di quel mistero”[15].

Il rito del Resurrexit ci dispone ad essere testimoni e contemplatori di questo grande mistero: Surrexit Dominus vere et apparuit Simoni. Alleluia, alleluia, alleluia. © Vatican.va


[1] Cfr. H. GRISAR, “L’immagine acheropita del Salvatore al Sancta Sanctorum”, La Civiltà Cattolica 58 (1907) 434-435; M. RIGHETTI, Manuale di Storia Liturgica 2. L’anno liturgico, Ed. Ancora, Milano 19693.20052, 281.[2] Cfr. P. FABRE – L. DUCHESNE, Benedicti beati Petri Canonici Liber Politicus in Le Liber Censuum de l’Eglise romaine II, Parigi 1905/1910, 152. 

[3] Cfr. J. MABILLON – M. GERMAIN, Museum Italicum seu collectio veterum scriptorum ex Bibliothecis Italicis II, Lutetiae Parisiorum 1724 (PL 78) 1042.

[4] Cfr. P. FABRE L. DUCHESNE, Gesta Pauperis Scolaris Albini 32, 131 in FABRE -DUCHESNE, Le Liber Censuum de l’Eglise romaine XV, I, Parigi 1905/1910, 297.

[5] Cfr. J. MABILLON – M. GERMAIN, Museum Italicum seu collectio veterum scriptorum ex Bibliothecis Italicis II, Lutetiae Parisiorum 1724 (PL 78) 1077.

[6] I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum I, Ed. Marietti, Casale Monferrato 1963, 379.

[7] Cfr. Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, Magnum IubilaeumTrinitati Canticum, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007, 287-292; P. MARINI e altri, La nuova icona acheropita di Cristo Salvatore per la liturgia papale nella domenica di Pasqua, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007.

[8] Cfr. J. SUNTINGER, Mimetisch-anamnetische Elemente in der päpstlichen Ostersonntagsliturgie “Verkündigung der Auferstehung” und “Stationsvesper” AM Lateran, Dissertatio ad Doctoratum Sacrae Liturgiae assequendum in Pontificio Instituto Liturgico, Roma 2002, 115.

[9] Cfr. M. HUGLO, “L’Annuncio Pasquale della Liturgia Ambrosiana”, Ambrosius 33 (1957) 88-91.

[10] Cfr. M. RIGHETTI, Manuale di Storia Liturgica 2. L’anno liturgico, Ed. Ancora, Milano 19693.20052, 282.

[11] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 641.

[12] Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su Pietà popolare e Liturgia. Principi e orientamenti, Città del Vaticano 2002, nn. 14-15.

[13] GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 21-IX-2001.

[14] BENEDETTO XVI, Omelia nella solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, 29-VI-2007.

[15] GIOVANNI PAOLO II, Lett. apost. Novo millennio ineunte (6-I-2001) n. 20.





Caterina63
00domenica 24 aprile 2011 22:05
MESSAGGIO PASQUALE DEL SANTO PADRE E BENEDIZIONE "URBI ET ORBI", 24.04.2011
in una piazza gremita....

                      Pope Benedict XVI gives the "Urbi et Orbi" blessing in Saint Peter's Square at the Vatican April 24, 2011. Pope Benedict, in his Easter message to the world, on Sunday lamented that the day's joy was marred by war in Libya and urged Europe to welcome desperate migrants fleeing strife in north Africa.
                Pope Benedict XVI gives the "Urbi et Orbi" blessing in Saint Peter's Square at the Vatican April 24, 2011. Pope Benedict, in his Easter message to the world, on Sunday lamented that the day's joy was marred by war in Libya and urged Europe to welcome desperate migrants fleeing strife in north Africa.Pope Benedict XVI holds his cross as he gives the "Urbi et Orbi" blessing in Saint Peter's Square at the Vatican April 24, 2011. Pope Benedict, in his Easter message to the world, on Sunday lamented that the day's joy was marred by war in Libya and urged Europe to welcome desperate migrants fleeing strife in north Africa.
Alle ore 12, dalla loggia centrale della Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI rivolge ai fedeli presenti in Piazza San Pietro ed a quanti lo ascoltano attraverso la radio e la televisione il Messaggio che riportiamo di seguito:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

"In resurrectione tua, Christe, caeli et terra laetentur – Nella tua risurrezione, o Cristo, gioiscano i cieli e la terra" (Lit. Hor.).

Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero!

Il mattino di Pasqua ci ha riportato l’annuncio antico e sempre nuovo: Cristo è risorto! L’eco di questo avvenimento, partita da Gerusalemme venti secoli fa, continua a risuonare nella Chiesa, che porta viva nel cuore la fede vibrante di Maria, la Madre di Gesù, la fede di Maddalena e delle altre donne, che per prime videro il sepolcro vuoto, la fede di Pietro e degli altri Apostoli.

Fino ad oggi – anche nella nostra era di comunicazioni ultratecnologiche – la fede dei cristiani si basa su quell’annuncio, sulla testimonianza di quelle sorelle e di quei fratelli che hanno visto prima il masso rovesciato e la tomba vuota, poi i misteriosi messaggeri i quali attestavano che Gesù, il Crocifisso, era risorto; quindi Lui stesso, il Maestro e Signore, vivo e tangibile, apparso a Maria di Magdala, ai due discepoli di Emmaus, infine a tutti gli undici, riuniti nel Cenacolo (cfr Mc 16,9-14).

La risurrezione di Cristo non è il frutto di una speculazione, di un’esperienza mistica: è un avvenimento, che certamente oltrepassa la storia, ma che avviene in un momento preciso della storia e lascia in essa un’impronta indelebile. La luce che abbagliò le guardie poste a vigilare il sepolcro di Gesù ha attraversato il tempo e lo spazio. E’ una luce diversa, divina, che ha squarciato le tenebre della morte e ha portato nel mondo lo splendore di Dio, lo splendore della Verità e del Bene.

Come i raggi del sole, a primavera, fanno spuntare e schiudere le gemme sui rami degli alberi, così l’irradiazione che promana dalla Risurrezione di Cristo dà forza e significato ad ogni speranza umana, ad ogni attesa, desiderio, progetto. Per questo il cosmo intero oggi gioisce, coinvolto nella primavera dell’umanità, che si fa interprete del muto inno di lode del creato. L’alleluia pasquale, che risuona nella Chiesa pellegrina nel mondo, esprime l’esultanza silenziosa dell’universo, e soprattutto l’anelito di ogni anima umana sinceramente aperta a Dio, anzi, riconoscente per la sua infinita bontà, bellezza e verità.

"Nella tua risurrezione, o Cristo, gioiscano i cieli e la terra". A questo invito alla lode, che si leva oggi dal cuore della Chiesa, i "cieli" rispondono pienamente: le schiere degli angeli, dei santi e dei beati si uniscono unanimi alla nostra esultanza. In Cielo tutto è pace e letizia. Ma non è così, purtroppo, sulla terra! Qui, in questo nostro mondo, l’alleluia pasquale contrasta ancora con i lamenti e le grida che provengono da tante situazioni dolorose: miseria, fame, malattie, guerre, violenze. Eppure, proprio per questo Cristo è morto ed è risorto! E’ morto anche a causa dei nostri peccati di oggi, ed è risorto anche per la redenzione della nostra storia di oggi. Perciò, questo mio messaggio vuole raggiungere tutti e, come annuncio profetico, soprattutto i popoli e le comunità che stanno soffrendo un’ora di passione, perché Cristo Risorto apra loro la via della libertà, della giustizia e della pace.

Possa gioire la Terra che, per prima, è stata inondata dalla luce del Risorto. Il fulgore di Cristo raggiunga anche i Popoli del Medio Oriente, affinché la luce della pace e della dignità umana vinca le tenebre della divisione, dell’odio e delle violenze. In Libia la diplomazia ed il dialogo prendano il posto delle armi e si favorisca, nell’attuale situazione conflittuale, l’accesso dei soccorsi umanitari a quanti soffrono le conseguenze dello scontro. Nei Paesi dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente, tutti i cittadini - ed in particolare i giovani - si adoperino per promuovere il bene comune e per costruire società, dove la povertà sia sconfitta ed ogni scelta politica risulti ispirata dal rispetto per la persona umana. Ai tanti profughi e ai rifugiati, che provengono da vari Paesi africani e sono stati costretti a lasciare gli affetti più cari arrivi la solidarietà di tutti; gli uomini di buona volontà siano illuminati ad aprire il cuore all’accoglienza, affinché in modo solidale e concertato si possa venire incontro alle necessità impellenti di tanti fratelli; a quanti si prodigano in generosi sforzi e offrono esemplari testimonianze in questa direzione giunga il nostro conforto e apprezzamento.

Possa ricomporsi la civile convivenza tra le popolazioni della Costa d’Avorio, dove è urgente intraprendere un cammino di riconciliazione e di perdono per curare le profonde ferite provocate dalle recenti violenze. Possano trovare consolazione e speranza la terra del Giappone, mentre affronta le drammatiche conseguenze del recente terremoto, e i Paesi che nei mesi scorsi sono stati provati da calamità naturali che hanno seminato dolore e angoscia.

Gioiscano i cieli e la terra per la testimonianza di quanti soffrono contraddizioni, o addirittura persecuzioni per la propria fede nel Signore Gesù. L’annuncio della sua vittoriosa risurrezione infonda in loro coraggio e fiducia.

Cari fratelli e sorelle! Cristo risorto cammina davanti a noi verso i nuovi cieli e la terra nuova (cfr Ap 21,1), in cui finalmente vivremo tutti come un’unica famiglia, figli dello stesso Padre. Lui è con noi fino alla fine dei tempi. Camminiamo dietro a Lui, in questo mondo ferito, cantando l’alleluia. Nel nostro cuore c’è gioia e dolore, sul nostro viso sorrisi e lacrime. Così è la nostra realtà terrena. Ma Cristo è risorto, è vivo e cammina con noi. Per questo cantiamo e camminiamo, fedeli al nostro impegno in questo mondo, con lo sguardo rivolto al Cielo.

Buona Pasqua a tutti!

            Pope Benedict XVI (L) delivers the Urbi and Orbi message and blessing to faithful after the Easter Holy Mass on April 24, 2011 at St Peter's square at The Vatican.Pope Benedict XVI delivers the Urbi and Orbi message and blessing to faithful after the Easter Holy Mass on April 24, 2011 at St Peter's square at The Vatican.

VATICAN CITY, VATICAN - APRIL 24:  Pope Benedict XVI attends Easter Mass at St. Peter's Square on April 24, 2011 in Vatican City, Vatican.Pope Benedict XVI waves to faithful as he arrives to celebrate the Easter Holy Mass on April 24, 2011 at St Peter's square at The Vatican. Later in the day, the pontiff will deliver the Urbi and Orbi message and blessing.

           Pope Benedict XVI blesses with holy water as he leads the Easter Mass in Saint Peter's Square at the Vatican April 24, 2011.Pope Benedict XVI (C) celebrates the Easter Holy Mass on April 24, 2011 at St Peter's square at The Vatican. Later in the day, the pontiff will deliver the Urbi and Orbi message and blessing.


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 VI RICORDIAMO CHE SONO IN ATTO DUE NOVENE:

NOVENA (o Triduo) A SANTA CATERINA DA SIENA Festa del 29 aprile

La preziosa Coroncina alla Divina Misericordia


A SANTA CATERINA ED ALLA CORONCINA DELLA  DIVINA MISERICORDIA
Caterina63
00mercoledì 27 aprile 2011 15:00
L’UDIENZA GENERALE, 27.04.2011

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA


Il Tempo Pasquale


   Pope Benedict XVI waves as he drives through the crowd of the faithful prior to the weekly general audience in St. Peter's square at the Vatican, Wednesday, April 27, 2011.Pope Benedict XVI waves to faithful during his weekly general audience on April 27, 2011 at St Peter's square at The Vatican.


Cari fratelli e sorelle,

in questi primi giorni del Tempo Pasquale, che si prolunga fino a Pentecoste, siamo ancora ricolmi della freschezza e della gioia nuova che le celebrazioni liturgiche hanno portato nei nostri cuori.
Pertanto, oggi vorrei riflettere con voi brevemente sulla Pasqua, cuore del mistero cristiano. Tutto, infatti, prende avvio da qui: Cristo risorto dai morti è il fondamento della nostra fede. Dalla Pasqua si irradia, come da un centro luminoso, incandescente, tutta la liturgia della Chiesa, traendo da essa contenuto e significato.
La celebrazione liturgica della morte e risurrezione di Cristo non è una semplice commemorazione di questo evento, ma è la sua attualizzazione nel mistero, per la vita di ogni cristiano e di ogni comunità ecclesiale, per la nostra vita. Infatti, la fede nel Cristo risorto trasforma l’esistenza, operando in noi una continua risurrezione, come scriveva san Paolo ai primi credenti: «Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità» (Ef 5, 8-9).
Come possiamo allora far diventare “vita” la Pasqua? Come può assumere una “forma” pasquale tutta la nostra esistenza interiore ed esteriore? Dobbiamo partire dalla comprensione autentica della risurrezione di Gesù: tale evento non è un semplice ritorno alla vita precedente, come lo fu per Lazzaro, per la figlia di Giairo o per il giovane di Nain, ma è qualcosa di completamente nuovo e diverso. La risurrezione di Cristo è l’approdo verso una vita non più sottomessa alla caducità del tempo, una vita immersa nell’eternità di Dio. Nella risurrezione di Gesù inizia una nuova condizione dell’essere uomini, che illumina e trasforma il nostro cammino di ogni giorno e apre un futuro qualitativamente diverso e nuovo per l’intera umanità. Per questo, san Paolo non solo lega in maniera inscindibile la risurrezione dei cristiani a quella di Gesù (cfr 1Cor 15,16.20), ma indica anche come si deve vivere il mistero pasquale nella quotidianità della nostra vita.
Nella Lettera ai Colossesi, egli dice: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo seduto alla destra di Dio, rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (3,1-2). A prima vista, leggendo questo testo, potrebbe sembrare che l'Apostolo intenda favorire il disprezzo delle realtà terrene, invitando cioè a dimenticarsi di questo mondo di sofferenze, di ingiustizie, di peccati, per vivere in anticipo in un paradiso celeste. Il pensiero del “cielo” sarebbe in tale caso una specie di alienazione. Ma, per cogliere il senso vero di queste affermazioni paoline, basta non separarle dal contesto. L'Apostolo precisa molto bene ciò che intende per «le cose di lassù», che il cristiano deve ricercare, e «le cose della terra», dalle quali deve guardarsi.
Ecco anzitutto quali sono «le cose della terra» che bisogna evitare: «Fate morire – scrive san Paolo – ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria» (3,5-6). Far morire in noi il desiderio insaziabile di beni materiali, l’egoismo, radice di ogni peccato. Dunque, quando l'Apostolo invita i cristiani a distaccarsi con decisione dalle «cose della terra», vuole chiaramente far capire ciò che appartiene all’«uomo vecchio» di cui il cristiano deve spogliarsi, per rivestirsi di Cristo.
Come è stato chiaro nel dire quali sono le cose verso le quali non bisogna fissare il proprio cuore, con altrettanta chiarezza san Paolo ci indica quali sono le «cose di lassù», che il cristiano deve invece cercare e gustare. Esse riguardano ciò che appartiene all’«uomo nuovo», che si è rivestito di Cristo una volta per tutte nel Battesimo, ma che ha sempre bisogno di rinnovarsi «ad immagine di Colui che lo ha creato» (Col 3,10). Ecco come l’Apostolo delle Genti descrive queste «cose di lassù»: «Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri (...). Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto» (Col 3,12-14). San Paolo è dunque ben lontano dall'invitare i cristiani, ciascuno di noi, ad evadere dal mondo nel quale Dio ci ha posti. E’ vero che noi siamo cittadini di un'altra «città», dove si trova la nostra vera patria, ma il cammino verso questa meta dobbiamo percorrerlo quotidianamente su questa terra. Partecipando fin d'ora alla vita del Cristo risorto dobbiamo vivere da uomini nuovi in questo mondo, nel cuore della città terrena.
E questa è la via non solo per trasformare noi stessi, ma per trasformare il mondo, per dare alla città terrena un volto nuovo che favorisca lo sviluppo dell'uomo e della società secondo la logica della solidarietà, della bontà, nel profondo rispetto della dignità propria di ciascuno. L’Apostolo ci ricorda quali sono le virtù che devono accompagnare la vita cristiana; al vertice c'è la carità, alla quale tutte le altre sono correlate come alla fonte e alla matrice. Essa riassume e compendia «le cose del cielo»: la carità che, con la fede e la speranza, rappresenta la grande regola di vita del cristiano e ne definisce la natura profonda.
La Pasqua, quindi, porta la novità di un passaggio profondo e totale da una vita soggetta alla schiavitù del peccato ad una vita di libertà, animata dall’amore, forza che abbatte ogni barriera e costruisce una nuova armonia nel proprio cuore e nel rapporto con gli altri e con le cose. Ogni cristiano, così come ogni comunità, se vive l’esperienza di questo passaggio di risurrezione, non può non essere fermento nuovo nel mondo, donandosi senza riserve per le cause più urgenti e più giuste, come dimostrano le testimonianze dei Santi in ogni epoca e in ogni luogo.

Sono tante anche le attese del nostro tempo: noi cristiani, credendo fermamente che la risurrezione di Cristo ha rinnovato l’uomo senza toglierlo dal mondo in cui costruisce la sua storia, dobbiamo essere i testimoni luminosi di questa vita nuova che la Pasqua ha portato. La Pasqua è dunque dono da accogliere sempre più profondamente nella fede, per poter operare in ogni situazione, con la grazia di Cristo, secondo la logica di Dio, la logica dell’amore. La luce della risurrezione di Cristo deve penetrare questo nostro mondo, deve giungere come messaggio di verità e di vita a tutti gli uomini attraverso la nostra testimonianza quotidiana.

Cari amici, Sì, Cristo è veramente risorto! Non possiamo tenere solo per noi la vita e la gioia che Egli ci ha donato nella sua Pasqua, ma dobbiamo donarla a quanti avviciniamo. E’ il nostro compito e la nostra missione: far risorgere nel cuore del prossimo la speranza dove c’è disperazione, la gioia dove c’è tristezza, la vita dove c’è morte. Testimoniare ogni giorno la gioia del Signore risorto significa vivere sempre in “modo pasquale” e far risuonare il lieto annuncio che Cristo non è un’idea o un ricordo del passato, ma una Persona che vive con noi, per noi e in noi, e con Lui, per e in Lui possiamo fare nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5)
Grazie.

                             Pope Benedict XVI waves as he drives through the crowd of the faithful prior to the weekly general audience in St. Peter's square at the Vatican, Wednesday, April 27, 2011.

                             Pope Benedict XVI waves as he arrives for his weekly general audience on April 27, 2011 at St Peter's square at The Vatican.

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