Messaggi del Papa sul senso del peccato- Formazione delle coscienze - valore dello sport...

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Caterina63
00sabato 14 marzo 2009 19:51
Messaggio del Papa al corso promosso dalla Penitenzieria Apostolica

Formazione delle coscienze
per non smarrire il senso del peccato



(©L'Osservatore Romano - 15 marzo 2009)

"Formare rettamente le coscienze" è una priorità pastorale di fronte a una società che sta smarrendo il senso del peccato:  lo scrive il Papa nel messaggio ai partecipanti al XX corso per il foro interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica.





Al Venerato Fratello
il Signor Cardinale
James Francis Stafford
Penitenziere Maggiore


Ben volentieri, anche quest'anno, mi rivolgo con affetto a Lei, Signor Cardinale, e ai cari partecipanti al Corso per il Foro interno, promosso da codesta Penitenzieria Apostolica e giunto ormai alla sua XX edizione. Tutti saluto con affetto, a cominciare da Lei, venerato Fratello, estendendo il mio grato pensiero al Reggente, al personale della Penitenzieria, agli organizzatori di questo incontro, come pure ai Religiosi di diversi Ordini che amministrano il sacramento della Penitenza nelle Basiliche Papali di Roma.

Questa vostra benemerita iniziativa pastorale, che attira sempre più interesse ed attenzione, come testimonia il numero di quanti vi prendono parte, costituisce un singolare seminario di aggiornamento pastorale, i cui risultati non confluiranno, come gli Atti di altri convegni, solo in un'apposita pubblicazione, ma diventeranno sussidi utili ai partecipanti per fornire risposte adeguate a quanti incontreranno nell'amministrazione del sacramento della Penitenza. In questo nostro tempo, costituisce senz'altro una delle priorità pastorali quella di formare rettamente la coscienza dei credenti perché, come ho avuto modo di ribadire in altre occasioni, nella misura in cui si perde il senso del peccato, aumentano purtroppo i sensi di colpa, che si vorrebbero eliminare con insufficienti rimedi palliativi.

Alla formazione delle coscienze contribuiscono molteplici e preziosi strumenti spirituali e pastorali da valorizzare sempre più; tra questi mi limito quest'oggi ad evidenziare brevemente la catechesi, la predicazione, l'omelia, la direzione spirituale, il sacramento della Riconciliazione e la celebrazione dell'Eucaristia.
 
Anzitutto, la catechesi. Come tutti i sacramenti, anche quello della Penitenza richiede una catechesi previa e una catechesi mistagogica per approfondire il sacramento "per ritus et preces", come ben sottolinea la Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium del Vaticano ii (cfr. n. 48). Una adeguata catechesi offre un contributo concreto all'educazione delle coscienze stimolandole a percepire sempre meglio il senso del peccato, oggi in parte sbiadito o peggio obnubilato da un modo di pensare e di vivere "etsi Deus non daretur", secondo la nota espressione di Grotius, tornata di grande attualità, e che denota un relativismo chiuso al vero senso della vita.

Alla catechesi va unito un sapiente utilizzo della predicazione, che nella storia della Chiesa ha conosciuto forme diverse secondo la mentalità e le necessità pastorali dei fedeli. Anche oggi, nelle nostre comunità si praticano vari stili di comunicazione che utilizzano sempre più i moderni strumenti telematici a nostra disposizione. In effetti, gli attuali media, se da un lato rappresentano una sfida con cui misurarsi, dall'altra offrono provvidenziali opportunità per annunciare in modo nuovo e più vicino alle sensibilità contemporanee la perenne ed immutabile Parola di verità che il divin Maestro ha affidato alla sua Chiesa.

L'omelia, che con la riforma voluta dal Concilio Vaticano ii ha riacquistato il suo ruolo "sacramentale" all'interno dell'unico atto di culto costituito dalla liturgia della Parola e da quella dell'Eucaristia (SC 56), è senz'altro la forma di predicazione più diffusa, con la quale ogni domenica si educa la coscienza di milioni di fedeli. Nel recente Sinodo dei Vescovi, dedicato appunto alla Parola di Dio nella Chiesa, diversi Padri Sinodali hanno opportunamente insistito sul valore e l'importanza dell'omelia da adattare alla mentalità contemporanea.

A formare le coscienze contribuisce anche la "direzione spirituale". Oggi più di ieri c'è bisogno di "maestri di spirito" saggi e santi:  un importante servizio ecclesiale, per il quale occorre senz'altro una vitalità interiore da implorare come dono dello Spirito Santo mediante intensa e prolungata preghiera e una preparazione specifica da acquisire con cura. Ogni sacerdote poi è chiamato ad amministrare la misericordia divina nel sacramento della Penitenza, mediante il quale rimette in nome di Cristo i peccati e aiuta il penitente a percorrere il cammino esigente della santità con retta ed informata coscienza.

Per poter compiere tale indispensabile ministero ogni presbitero deve alimentare la propria vita spirituale e curare un permanente aggiornamento teologico e pastorale. Infine, la coscienza del credente si affina sempre più grazie a una devota e consapevole partecipazione alla Santa Messa, che è il sacrificio di Cristo per la remissione dei peccati. Ogni volta che il sacerdote celebra l'Eucaristia, nella Preghiera eucaristica ricorda che il Sangue di Cristo è versato in remissione dei nostri peccati per cui, nella partecipazione sacramentale al memoriale del Sacrificio della Croce, si compie l'incontro pieno della misericordia del Padre con ciascuno di noi.

Esorto i partecipanti al Corso a fare tesoro di quanto hanno appreso sul sacramento della Penitenza. Nei contesti diversi in cui si troveranno a vivere e a operare, procurino di mantenere sempre viva in se stessi la consapevolezza di dover essere degni "ministri" della misericordia divina e responsabili educatori delle coscienze. Si ispirino all'esempio dei santi confessori e maestri di spirito, tra i quali mi piace ricordare particolarmente il Curato d'Ars, san Giovanni Maria Vianney, di cui proprio quest'anno ricordiamo il 150° anniversario della morte. Di lui è stato scritto che "per oltre quarant'anni guidò in modo mirabile la parrocchia a lui affidata... con l'assidua predicazione, la preghiera e una vita di penitenza.

Ogni giorno nella catechesi che impartiva a bambini e adulti, nella riconciliazione che amministrava ai penitenti e nelle opere pervase di quell'ardente carità, che egli attingeva dalla santa Eucaristia come da una fonte, avanzò a tal punto da diffondere in ogni dove il suo consiglio e avvicinare saggiamente tanti a Dio" (Martirologio, 4 agosto). Ecco un modello a cui guardare e un protettore da invocare ogni giorno.
 
Vegli infine sul ministero sacerdotale di ciascuno la Vergine Maria, che nel tempo di Quaresima invochiamo e onoriamo come "discepola del Signore" e "Madre di riconciliazione". Con questi sentimenti, mentre esorto ciascuno a dedicarsi con impegno al ministero delle confessioni e della direzione spirituale, imparto di cuore a Lei, venerato Fratello, ai presenti al Corso e alle persone care la mia Benedizione. 


   Dal Vaticano, 12 Marzo 2009



Caterina63
00sabato 17 aprile 2010 16:49
A distanza di un anno il Santo Padre ricelebra VERSO DIO nella Cappella Paolina e sempre con la Commissione teologica...davvero "i teologi" non comprendono i gesti del Papa? Occhi al cielo

e nuovamente ha fatto l'omelia a braccio ora riportata da Radio Vaticana


                                     



CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA CON I MEMBRI DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, 15.04.2010

Alle ore 7.30 di questa mattina (16.4.2010), nella Cappella Paolina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto la Concelebrazione Eucaristica con i Membri della Pontificia Commissione Biblica.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Santa Messa:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

non ho trovato il tempo di preparare una vera omelia.
Vorrei soltanto invitare ciascuno alla personale meditazione proponendo e sottolineando alcune frasi della Liturgia odierna, che si offrono al dialogo orante tra noi e la Parola di Dio. La parola, la frase che vorrei proporre alla comune meditazione è questa grande affermazione di san Pietro: "Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini" (At 5,29). San Pietro sta davanti alla suprema istituzione religiosa, alla quale normalmente si dovrebbe obbedire, ma Dio sta al di sopra di questa istituzione e Dio gli ha dato un altro "ordinamento": deve obbedire a Dio. L'obbedienza a Dio è la libertà, l'obbedienza a Dio gli dà la libertà di opporsi all'istituzione.

E qui gli esegeti attirano la nostra attenzione sul fatto che la risposta di san Pietro al Sinedrio è quasi fino ad verbum identica alla risposta di Socrate al giudizio nel tribunale di Atene. Il tribunale gli offre la libertà, la liberazione, a condizione però che non continui a ricercare Dio. Ma cercare Dio, la ricerca di Dio è per lui un mandato superiore, viene da Dio stesso. E una libertà comprata con la rinuncia al cammino verso Dio non sarebbe più libertà. Quindi deve obbedire non a questi giudici - non deve comprare la sua vita perdendo se stesso - ma deve obbedire a Dio. L'obbedienza a Dio ha il primato.

Qui è importante sottolineare che si tratta di obbedienza e che è proprio l'obbedienza che dà libertà. Il tempo moderno ha parlato della liberazione dell'uomo, della sua piena autonomia, quindi anche della liberazione dall'obbedienza a Dio.

L'obbedienza non dovrebbe più esserci, l'uomo è libero, è autonomo: nient'altro. Ma questa autonomia è una menzogna: è una menzogna ontologica, perché l'uomo non esiste da se stesso e per se stesso, ed è anche una menzogna politica e pratica, perché la collaborazione, la condivisione della libertà è necessaria. E se Dio non esiste, se Dio non è un'istanza accessibile all'uomo, rimane come suprema istanza solo il consenso della maggioranza. Di conseguenza, il consenso della maggioranza diventa l'ultima parola alla quale dobbiamo obbedire. E questo consenso — lo sappiamo dalla storia del secolo scorso — può essere anche un "consenso nel male".

Così vediamo che la cosiddetta autonomia non libera veramente l'uomo. L'obbedienza verso Dio è la libertà, perché è la verità, è l'istanza che si pone di fronte a tutte le istanze umane. Nella storia dell'umanità queste parole di Pietro e di Socrate sono il vero faro della liberazione dell'uomo, che sa vedere Dio e, in nome di Dio, può è deve obbedire non tanto agli uomini, ma a Lui e liberarsi, così, dal positivismo dell'obbedienza umana. Le dittature sono state sempre contro questa obbedienza a Dio. La dittatura nazista, come quella marxista, non possono accettare un Dio che sia al di sopra del potere ideologico; e la libertà dei martiri, che riconoscono Dio, proprio nell’obbedienza al potere divino, è sempre l'atto di liberazione nel quale giunge a noi la libertà di Cristo.

Oggi, grazie a Dio, non viviamo sotto dittature, ma esistono forme sottili di dittatura: un conformismo che diventa obbligatorio, pensare come pensano tutti, agire come agiscono tutti, e le sottili aggressioni contro la Chiesa, o anche quelle meno sottili, dimostrano come questo conformismo possa realmente essere una vera dittatura. Per noi vale questo: si deve obbedire più a Dio che agli uomini.

Ma ciò suppone che conosciamo veramente Dio e che vogliamo veramente obbedire a Lui. Dio non è un pretesto per la propria volontà, ma è realmente Lui che ci chiama e ci invita, se fosse necessario, anche al martirio. Perciò, confrontati con questa parola che inizia una nuova storia di libertà nel mondo, preghiamo soprattutto di conoscere Dio, di conoscere umilmente e veramente Dio e, conoscendo Dio, di imparare la vera obbedienza che è il fondamento della libertà umana.

Scegliamo una seconda parola dalla Prima Lettura: san Pietro dice che Dio ha innalzato Cristo alla sua destra come capo e salvatore (cfr v. 31). Capo è traduzione del termine greco archegos, che implica una visione molto più dinamica: archegos è colui che mostra la strada, che precede, è un movimento, un movimento verso l'alto. Dio lo ha innalzato alla sua destra - quindi parlare di Cristo come archegos vuol dire che Cristo cammina avanti a noi, ci precede, ci mostra la strada. Ed essere in comunione con Cristo è essere in un cammino, salire con Cristo, è sequela di Cristo, è questa salita in alto, è seguire l'archegos, colui che è già passato, che ci precede e ci mostra la strada.

Qui, evidentemente, è importante che ci venga detto dove arriva Cristo e dove dobbiamo arrivare anche noi: hypsosen - in alto - salire alla destra del Padre. Sequela di Cristo non è soltanto imitazione delle sue virtù, non è solo vivere in questo mondo, per quanto ci è possibile, simili a Cristo, secondo la sua parola, ma è un cammino che ha una meta. E la meta è la destra del Padre. C'è questo cammino di Gesù, questa sequela di Gesù che termina alla destra del Padre. All'orizzonte di tale sequela appartiene tutto il cammino di Gesù, anche l'arrivare alla destra del Padre.

In questo senso la meta di questo cammino è la vita eterna alla destra del Padre in comunione con Cristo. Noi oggi abbiamo spesso un po' paura di parlare della vita eterna. Parliamo delle cose che sono utili per il mondo, mostriamo che il Cristianesimo aiuta anche a migliorare il mondo, ma non osiamo dire che la sua meta è la vita eterna e che da tale meta vengono poi i criteri della vita. Dobbiamo capire di nuovo che il Cristianesimo rimane un "frammento" se non pensiamo a questa meta, che vogliamo seguire l'archegos all'altezza di Dio, alla gloria del Figlio che ci fa figli nel Figlio e dobbiamo di nuovo riconoscere che solo nella grande prospettiva della vita eterna il Cristianesimo rivela tutto il senso. Dobbiamo avere il coraggio, la gioia, la grande speranza che la vita eterna c'è, è la vera vita e da questa vera vita viene la luce che illumina anche questo mondo.

Se si può dire che, anche prescindendo dalla vita eterna, dal Cielo promesso, è meglio vivere secondo i criteri cristiani, perché vivere secondo la verità e l'amore, anche se sotto tante persecuzioni, è in sé stesso bene ed è meglio di tutto il resto, è proprio questa volontà di vivere secondo la verità e secondo l'amore che deve anche aprire a tutta la larghezza del progetto di Dio con noi, al coraggio di avere già la gioia nell'attesa della vita eterna, della salita seguendo il nostro archegos. E Soter è il Salvatore, che ci salva dall'ignoranza, cerca le cose ultime. Il Salvatore ci salva dalla solitudine, ci salva da un vuoto che rimane nella vita senza l'eternità, ci salva dandoci l'amore nella sua pienezza. Egli è la guida. Cristo, l'archegos, ci salva dandoci la luce, dandoci la verità, dandoci l'amore di Dio.

Poi soffermiamoci ancora su un versetto: Cristo, il Salvatore, ha dato a Israele conversione e perdono dei peccati (v. 31) - nel testo greco il termine è metanoia - ha dato penitenza e perdono dei peccati. Questa per me è un'osservazione molto importante: la penitenza è una grazia.

C'è una tendenza in esegesi che dice: Gesù in Galilea avrebbe annunciato una grazia senza condizione, assolutamente incondizionata, quindi anche senza penitenza, grazia come tale, senza precondizioni umane. Ma questa è una falsa interpretazione della grazia.

La penitenza è grazia; è una grazia che noi riconosciamo il nostro peccato, è una grazia che conosciamo di aver bisogno di rinnovamento, di cambiamento, di una trasformazione del nostro essere. Penitenza, poter fare penitenza, è il dono della grazia. E devo dire che noi cristiani, anche negli ultimi tempi, abbiamo spesso evitato la parola penitenza, ci appariva troppo dura.

Adesso, sotto gli attacchi del mondo che ci parlano dei nostri peccati, vediamo che poter fare penitenza è grazia. E vediamo che è necessario far penitenza, cioè riconoscere quanto è sbagliato nella nostra vita, aprirsi al perdono, prepararsi al perdono, lasciarsi trasformare.
Il dolore della penitenza, cioè della purificazione, della trasformazione, questo dolore è grazia, perché è rinnovamento, è opera della misericordia divina.


E così queste due cose che dice san Pietro — penitenza e perdono — corrispondono all'inizio della predicazione di Gesù: metanoeite, cioè convertitevi (cfr Mc 1,15). Quindi questo è il punto fondamentale: la metanoia non è una cosa privata, che parrebbe sostituita dalla grazia, ma la metanoia è l'arrivo della grazia che ci trasforma.

E infine una parola del Vangelo, dove ci viene detto che chi crede avrà la vita eterna (cfr Gv 3,36). Nella fede, in questo "trasformarsi" che la penitenza dona, in questa conversione, in questa nuova strada del vivere, arriviamo alla vita, alla vera vita. E qui mi vengono in mente due altri testi. Nella "Preghiera sacerdotale" il Signore dice: questa è la vita, conoscere te e il tuo consacrato (cfr Gv 17,3). Conoscere l'essenziale, conoscere la Persona decisiva, conoscere Dio e il suo Inviato è vita, vita e conoscenza, conoscenza di realtà che sono la vita. E l'altro testo è la risposta del Signore ai Sadducei circa la Risurrezione, dove, dai libri di Mosè, il Signore prova il fatto della Risurrezione dicendo: Dio è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe (cfr Mt 22,31-32; Mc 12,26-27; Lc 20,37-38). Dio non è Dio dei morti. Se Dio è Dio di questi, sono vivi. Chi è scritto nel nome di Dio partecipa alla vita di Dio, vive. E così credere è essere iscritti nel nome di Dio. E così siamo vivi. Chi appartiene al nome di Dio non è un morto, appartiene al Dio vivente. In questo senso dovremmo capire il dinamismo della fede, che è un iscrivere il nostro nome nel nome di Dio e così un entrare nella vita.

Preghiamo il Signore perché questo succeda e realmente, con la nostra vita, conosciamo Dio, perché il nostro nome entri nel nome di Dio e la nostra esistenza diventi vera vita: vita eterna, amore e verità.

Amen!

Caterina63
00sabato 13 novembre 2010 20:20
Benedetto XVI ai partecipanti all'assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura

Linguaggi nuovi e creativi
per dialogare con tutti


Nella ricerca della verità e della bellezza la Chiesa vuole dialogare con tutti. Per questo deve avvalersi, con impegno creativo ma anche con senso critico e con attento discernimento, dei nuovi linguaggi e delle nuove modalità comunicative. È il senso del discorso rivolto dal Papa ai partecipanti all'assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, ricevuti in udienza sabato mattina, 13 novembre, nella Sala Clementina.

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di incontrarvi al termine dell'Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, nel corso della quale avete approfondito il tema:  "Cultura della comunicazione e nuovi linguaggi". Ringrazio il Presidente, Mons. Gianfranco Ravasi, per le belle parole, e saluto tutti i partecipanti, grato per il contributo offerto allo studio di tale tematica, assai rilevante per la missione della Chiesa.

Parlare di comunicazione e di linguaggio significa, infatti, non solo toccare uno dei nodi cruciali del nostro mondo e delle sue culture, ma, per noi credenti, significa avvicinarsi al mistero stesso di Dio che, nella sua bontà e sapienza, ha voluto rivelarsi e manifestare la sua volontà agli uomini (Concilio Vaticano ii, Cost. dogm. Dei Verbum, 2).

In Cristo, infatti, Dio si è rivelato a noi come Logos, che si comunica e ci interpella, allacciando la relazione che fonda la nostra identità e dignità di persone umane, amate come figli dall'unico Padre (cfr. Es. ap. postsinodale Verbum Domini, 6.22.23).

Comunicazione e linguaggio sono anche dimensioni essenziali della cultura umana, costituita da informazioni e nozioni, da credenze e stili di vita, ma anche da regole, senza le quali difficilmente le persone potrebbero progredire nell'umanità e nella socialità. Ho apprezzato l'originale scelta di inaugurare la Plenaria nella Sala della Protomoteca al Campidoglio, cuore civile e istituzionale di Roma, con una tavola-rotonda sul tema:  "Nella Città in ascolto dei linguaggi dell'anima". In tale modo, il Dicastero ha inteso esprimere uno dei suoi compiti essenziali:  mettersi in ascolto degli uomini e delle donne del nostro tempo, per promuovere nuove occasioni di annuncio del Vangelo. Ascoltando, dunque, le voci del mondo globalizzato, ci accorgiamo che è in atto una profonda trasformazione culturale, con nuovi linguaggi e nuove forme di comunicazione, che favoriscono anche nuovi e problematici modelli antropologici.

In questo contesto, i Pastori e i fedeli avvertono con preoccupazione alcune difficoltà nella comunicazione del messaggio evangelico e nella trasmissione della fede, all'interno della stessa comunità ecclesiale. Come ho scritto nell'Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini:  "tanti cristiani hanno bisogno che sia loro riannunciata in modo persuasivo la Parola di Dio, così da poter sperimentare concretamente la forza del Vangelo" (n. 96).

I problemi sembrano talora aumentare quando la Chiesa si rivolge agli uomini e alle donne lontani o indifferenti ad una esperienza di fede, ai quali il messaggio evangelico giunge in maniera poco efficace e coinvolgente. In un mondo che fa della comunicazione la strategia vincente, la Chiesa, depositaria della missione di comunicare a tutte le genti il Vangelo di salvezza, non rimane indifferente ed estranea; cerca, al contrario, di avvalersi con rinnovato impegno creativo, ma anche con senso critico e attento discernimento, dei nuovi linguaggi e delle nuove modalità comunicative.
 
L'incapacità del linguaggio di comunicare il senso profondo e la bellezza dell'esperienza di fede può contribuire all'indifferenza di tanti, soprattutto giovani; può diventare motivo di allontanamento, come affermava già la Costituzione Gaudium et spes, rilevando che una presentazione inadeguata del messaggio nasconde più che manifestare il genuino volto di Dio e della religione (cfr. n. 19).
 
La Chiesa vuole dialogare con tutti, nella ricerca della verità; ma perché il dialogo e la comunicazione siano efficaci e fecondi è necessario sintonizzarsi su una medesima frequenza, in ambiti di incontro amichevole e sincero, in quell'ideale "Cortile dei Gentili" che ho proposto parlando alla Curia Romana un anno fa e che il Dicastero sta realizzando in diversi luoghi emblematici della cultura europea.

Oggi non pochi giovani, storditi dalle infinite possibilità offerte dalle reti informatiche o da altre tecnologie, stabiliscono forme di comunicazione che non contribuiscono alla crescita in umanità, ma rischiano anzi di aumentare il senso di solitudine e di spaesamento. Dinanzi a tali fenomeni, ho parlato più volte di emergenza educativa, una sfida a cui si può e si deve rispondere con intelligenza creativa, impegnandosi a promuovere una comunicazione umanizzante, che stimoli il senso critico e la capacità di valutazione e di discernimento.

Anche nell'odierna cultura tecnologica, è il paradigma permanente dell'inculturazione del Vangelo a fare da guida, purificando, sanando ed elevando gli elementi migliori dei nuovi linguaggi e delle nuove forme di comunicazione. Per questo compito, difficile e affascinante, la Chiesa può attingere allo straordinario patrimonio di simboli, immagini, riti e gesti della sua tradizione. In particolare il ricco e denso simbolismo della liturgia deve splendere in tutta la sua forza come elemento comunicativo, fino a toccare profondamente la coscienza umana, il cuore e l'intelletto. La tradizione cristiana, poi, ha sempre strettamente collegato alla liturgia il linguaggio dell'arte, la cui bellezza ha una sua particolare forza comunicativa.

Lo abbiamo sperimentato anche domenica scorsa, a Barcellona, nella Basilica della Sagrada Familia, opera di Antoni Gaudí, che ha coniugato genialmente il senso del sacro e della liturgia con forme artistiche tanto moderne quanto in sintonia con le migliori tradizioni architettoniche. Tuttavia, più incisiva ancora dell'arte e dell'immagine nella comunicazione del messaggio evangelico è la bellezza della vita cristiana. Alla fine, solo l'amore è degno di fede e risulta credibile. La vita dei santi, dei martiri, mostra una singolare bellezza che affascina e attira, perché una vita cristiana vissuta in pienezza parla senza parole. Abbiamo bisogno di uomini e donne che parlino con la loro vita, che sappiano comunicare il Vangelo, con chiarezza e coraggio, con la trasparenza delle azioni, con la passione gioiosa della carità.

Dopo essere stato pellegrino a Santiago de Compostela ed aver ammirato in migliaia di persone, soprattutto giovani, la forza coinvolgente della testimonianza, la gioia di mettersi in cammino verso la verità e la bellezza, auspico che tanti nostri contemporanei possano dire, riascoltando la voce del Signore, come i discepoli di Emmaus:  "Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via?" (Lc 24, 32). Cari amici, vi ringrazio per quanto quotidianamente fate con competenza e dedizione e, mentre vi affido alla materna protezione di Maria Santissima, di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica.


(©L'Osservatore Romano - 14 novembre 2010)

Caterina63
00lunedì 15 novembre 2010 18:40
Il Papa a una rappresentanza dei maestri di sci italiani

Nello sport non c'è spazio
per l'idolatria del corpo


Benedetto XVI ha ricevuto in udienza lunedì mattina, 15 novembre, nella Sala Clementina, i maestri di sci italiani, accompagnati dal ministro degli Affari esteri, Frattini. In particolare il Papa ha ringraziato il ministro per la pronta accoglienza in Italia di numerosi cattolici feriti nel recente attentato a Baghdad.

Signor Ministro,
gentili Signore e Signori,
sono lieto di porgere a voi tutti il mio cordiale saluto. Un deferente pensiero rivolgo all'onorevole Franco Frattini, Ministro degli Affari Esteri dello Stato Italiano, che ha voluto partecipare a questa Udienza, essendo lui stesso parte del folto gruppo degli istruttori di sci. Lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di tutti e, con l'occasione, gli esprimo la mia viva gratitudine per essersi adoperato affinché numerosi cattolici, feriti di recente a Baghdad, fossero accolti prontamente in Italia.
Grazie. La vostra presenza mi suggerisce due brevi riflessioni, sul valore rispettivamente dello sport e dell'ambiente naturale.

L'attività sportiva rientra tra i mezzi che concorrono allo sviluppo armonico della persona ed al suo perfezionamento morale (cfr. Conc Vat. ii, Dich. Gravissimum educationis, 4). Anche il vostro impegno come "Maestri di sci" contribuisce a stimolare alcune capacità, ad esempio la costanza nel perseguire gli obiettivi, il rispetto delle regole, la tenacia nell'affrontare e superare le difficoltà. Praticato con passione e senso etico, lo sport, oltre che esercitare ad un sano agonismo, diventa scuola per apprendere e approfondire valori umani e cristiani.


Esso, infatti, insegna ad armonizzare dimensioni importanti della persona umana favorendo il suo sviluppo integrale. Mediante l'attività sportiva, la persona comprende meglio che il suo corpo non può essere considerato un oggetto, ma che, attraverso la corporeità, esprime se stessa ed entra in relazione con gli altri. In tal modo, l'equilibrio tra la dimensione fisica e quella spirituale porta a non idolatrare il corpo, ma a rispettarlo, a non farne uno strumento da potenziare a tutti i costi, utilizzando magari anche mezzi non leciti.

L'altro aspetto a cui vorrei accennare è suggerito dal fatto che lo sci si pratica immersi nell'ambiente montano, un ambiente che, in modo speciale, ci fa sentire piccoli, ci restituisce la giusta dimensione del nostro essere creature, ci rende capaci di interrogarci sul senso del creato, di guardare in alto, di aprirci al Creatore. Penso a quante volte salendo su una montagna per poi scendervi sciando, oppure praticando lo sci da fondo, vi si sono aperti panorami che, in modo spontaneo, elevano lo spirito e invitano ad alzare lo sguardo non solo esteriore, ma anche del cuore.

Contemplando la creazione l'uomo riconosce la grandezza di Dio, sorgente ultima del proprio essere e dell'universo. Non va dimenticato che il rapporto con il creato costituisce un elemento importante per lo sviluppo dell'identità umana e neppure il peccato dell'uomo ha eliminato il suo compito di essere custode del mondo. Anche l'attività sportiva può essere concepita e vissuta come parte di questa responsabilità. I progressi nell'ambito scientifico e tecnologico danno all'uomo la possibilità di intervenire e manipolare la natura, ma il rischio, sempre in agguato, è quello di volersi sostituire al Creatore e di ridurre il creato quasi a un prodotto da usare e consumare.

Qual è invece l'atteggiamento giusto da assumere? Sicuramente è quello di un profondo sentimento di gratitudine e riconoscenza, ma anche di responsabilità nel conservare e coltivare l'opera di Dio (cfr. Gen 2, 15). L'attività sportiva aiuta a perseguire tali obiettivi incidendo sullo stesso stile di vita, che viene orientato all'insegna dell'equilibrio, dell'autodisciplina e del rispetto. In particolare per voi, poi, il contatto con la natura è motivo per coltivare un profondo amore verso la creazione di Dio.

Alla luce di queste riflessioni, il vostro ruolo appare rilevante sia per una sana formazione sportiva, sia per un'educazione al rispetto dell'ambiente. Si tratta perciò di un compito da attuare in modo non isolato, ma d'intesa con le famiglie, specialmente quando i vostri allievi sono minori, e in collaborazione con la scuola e le altre realtà educative. Importante è anche la vostra testimonianza di fedeli laici che, pur nel contesto dell'attività sportiva, sanno dare la giusta centralità ai momenti fondamentali per la vita di fede, specialmente alla santificazione della domenica come giorno del Signore.

Cari amici, vi ringrazio per la vostra cordiale visita e, mentre vi auguro ogni bene per l'attività professionale e sportiva, vi assicuro la mia preghiera e di cuore benedico voi tutti, i vostri familiari e i vostri allievi.


(©L'Osservatore Romano - 15-16 novembre 2010)



Pope Benedict XVI receives a pair of skis during an audience with Italian ski teachers at the Vatican November 15, 2010.

In this picture made available by the Vatican newspaper Osservatore Romano, Pope Benedict XVI greets children during a private audience granted to Italian Ski Masters, at the Vatican, Monday, Nov. 15, 2010.

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