Omelie del Papa nella Messa delle 7 del mattino a Santa Marta (2)

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Caterina63
00lunedì 2 settembre 2013 11:45
[SM=g1740758] Con settembre Papa Francesco riprende anche le Messe a Santa Marta, quella del mattino alle ore 7,00 e così, dopo aver seguito il Pontefice nei primi mesi, da marzo a luglio 2013 le cui omelie troverete qui, riprendiamo una nuova pagina per offrire a tutti spunti di meditazione quotidiana....

Messa del Papa a Santa Marta: "Mai uccidere il prossimo con la nostra lingua"


Dove c’è Dio non ci sono odio, invidia e gelosia e non ci sono quelle chiacchiere che uccidono i fratelli: è quanto ha affermato Papa Francesco stamani 2 settembre, a Santa Marta, dove ha ripreso a celebrare la Messa con i gruppi dopo la pausa estiva. Il servizio di Sergio Centofanti:

L’incontro di Gesù con i suoi conterranei, gli abitanti di Nazaret, come lo racconta il Vangelo di San Luca proposto dalla liturgia del giorno, è stato al centro dell’omelia del Papa. I nazaretani ammirano Gesù – osserva il Pontefice – ma aspettano da lui un qualcosa di strabiliante: “volevano un miracolo, volevano lo spettacolo” per credere in lui. Così Gesù dice che non hanno fede e “loro si sono arrabbiati, tanto. Si sono alzati, e spingevano Gesù fino al monte per buttarlo giù, per ucciderlo”:

“Ma guardate com’è cambiata la cosa: cominciarono con bellezza, con ammirazione, e finivano con un crimine: volendo uccidere Gesù. Questo per la gelosia, l’invidia, tutte queste cose … Questa non è una cosa che è successa duemila anni fa: questo succede ogni giorno nel nostro cuore, nelle nostre comunità. Quando in una comunità si dice: ‘Ah, che buono, questo che è venuto da noi!’. Se ne parla bene il primo giorno; il secondo, non tanto; e il terzo si incomincia a spettegolare e finiscono spellandolo”.

Così i nazaretani “volevano uccidere Gesù”:

“Ma quelli che in una comunità fanno chiacchiere sui fratelli, sui membri della comunità, vogliono uccidere: lo stesso di questo! L’Apostolo Giovanni, nella prima Lettera, capitolo III, versetto 15c, dice questo: ‘Quello che odia nel suo cuore suo fratello, è un omicida’. Noi siamo abituati alle chiacchiere, ai pettegolezzi. Ma quante volte le nostre comunità, anche la nostra famiglia, sono un inferno dove si gestisce questa criminalità di uccidere il fratello e la sorella con la lingua!”.

“Una comunità, una famiglia – ha proseguito il Papa - viene distrutta per questa invidia, che semina il diavolo nel cuore e fa che uno parli male dell’altro, e così si distrugga”. “In questi giorni – ha sottolineato - stiamo parlando tanto della pace”, vediamo le vittime delle armi, ma bisogna pensare anche alle nostre armi quotidiane: “la lingua, le chiacchiere, lo spettegolare”. Ogni comunità – ha concluso il Papa - deve vivere invece con il Signore ed essere “come il Cielo”:

“Perché sia pace in una comunità, in una famiglia, in un Paese, nel mondo, dobbiamo incominciare così: essere con il Signore. E dov’è il Signore non c’è l’invidia, non c’è la criminalità, non c’è l’odio, non ci sono le gelosie. C’è fratellanza. Chiediamo questo al Signore: mai uccidere il prossimo con la nostra lingua, ed essere con il Signore come tutti noi saremo in Cielo. Così sia”.

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Gesù non ha bisogno di eserciti per vincere il male......

2013-09-03 Radio Vaticana

“Sempre dove è Gesù c’è umiltà, mitezza e amore”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha messo l’accento sulla distinzione tra la “luce tranquilla” di Gesù che parla al nostro cuore e la luce del mondo, una “luce artificiale” che ci rende superbi e orgogliosi. Il servizio di Alessandro Gisotti:


L’identità cristiana è “un’identità della luce non delle tenebre”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dalle parole di San Paolo rivolte ai primi discepoli di Gesù: “Voi fratelli non siete nelle tenebre, siete tutti figli della Luce”. Questa Luce, ha osservato il Papa, “non è stata ben voluta dal mondo”. Ma Gesù, ha detto, è venuto proprio per salvarci dal peccato, “la sua Luce ci salva dalle tenebre”. D’altro canto, ha soggiunto, oggi “si può pensare che ci sia la possibilità” di avere la luce “con tante cose scientifiche e tante cose dell’umanità”:

“Si può conoscere tutto, si può avere scienza di tutto e questa luce sulle cose. Ma la luce di Gesù è un’altra cosa. Non è una luce dell’ignoranza, no! E’ una luce di sapienza e di saggezza, ma è un’altra cosa che la luce del mondo. La luce che ci offre il mondo è una luce artificiale, forse forte - più forte è quella di Gesù, eh! - forte come un fuoco d’artificio, come un flash della fotografia. Invece, la luce di Gesù è una luce mite, è una luce tranquilla, è una luce di pace, è come la luce nella notte di Natale: senza pretese”.

E’, ha detto ancora il Papa, una luce che “si offre e dà pace”. La luce di Gesù, ha proseguito, “non fa spettacolo, è una luce che viene nel cuore”. Tuttavia, ha avvertito, “è vero che il diavolo tante volte viene travestito da angelo di luce: a lui piace imitare Gesù e si fa buono, ci parla tranquillamente, come ha parlato a Gesù dopo il digiuno nel deserto”.

Ecco perché dobbiamo chiedere al Signore “la saggezza del discernimento per conoscere quando è Gesù che ci dà la luce e quando è proprio il demonio, travestito da angelo di luce”:

“Quanti credono di vivere nella luce e sono nelle tenebre, ma non se ne accorgono. Come è la luce che ci offre Gesù? La luce di Gesù possiamo conoscerla, perché è una luce umile, non è una luce che si impone: è umile. E’ una luce mite, con la fortezza della mitezza. E’ una luce che parla al cuore ed è anche una luce che ti offre la Croce. Se noi nella nostra luce interiore siamo uomini miti, sentiamo la voce di Gesù nel cuore e guardiamo senza paura la Croce: quella è luce di Gesù”.

Ma se, invece, viene una luce che ti “rende orgoglioso”, ha ammonito, una luce che “ti porta a guardare gli altri dall’alto”, a disprezzare gli altri, “alla superbia, quella non è luce di Gesù: è luce del diavolo, travestito da Gesù, da angelo di luce”.
Il Papa ha così indicato il modo per distinguere la vera luce da quella falsa: “Sempre dove è Gesù c’è umiltà, mitezza, amore e Croce”. Mai, ha soggiunto, “troveremo un Gesù che non sia umile, mite, senza amore e senza Croce”.

Dobbiamo allora andare dietro di Lui, “senza paura”, seguire la sua luce perché la luce di Gesù “è bella e fa tanto bene”. Nel Vangelo odierno, ha concluso, Gesù scaccia il demonio e la gente è presa da timore di fronte ad una parola che scaccia gli spiriti impuri:

“Gesù non ha bisogno di un esercito per scacciare via i demoni, non ha bisogno della superbia, non ha bisogno della forza, dell’orgoglio. ‘Che parola è mai questa che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?’ Questa è una parola umile, mite, con tanto amore; è una parola che ci accompagna nei momenti di Croce. Chiediamo al Signore che ci dia oggi la grazia della sua Luce e ci insegni a distinguere quando la luce è di Lui e quando è una luce artificiale, fatta dal nemico, per ingannarci”.


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Caterina63
00venerdì 6 settembre 2013 10:18

PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Ascolto, rinuncia e missione

Giovedì, 5 settembre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 203, Ven. 6/09/2013)

 

Quando il Signore passa nella nostra vita, ci dice sempre una parola e ci fa una promessa. Ma ci chiede anche di spogliarci di qualcosa e ci affida una missione. Lo ha ricordato Papa Francesco durante la messa celebrata questa mattina, giovedì 5 settembre, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Commentando l’episodio della «pesca miracolosa» narrato da Luca (5, 1-11) nel brano evangelico proclamato durante la liturgia, il Pontefice ha ricordato sant’Agostino, il quale «ripete una frase che mi ha sempre colpito. Dice: “Ho paura quando passa il Signore”. Perché? “Perché ho paura che passi e io non me ne accorga”. E il Signore passa nella nostra vita come è accaduto qui, nella vita di Pietro, di Giacomo, di Giovanni».

In questo caso il Signore è passato nella vita dei suoi discepoli con un miracolo. Ma, ha puntualizzato il Papa, «non sempre Gesù passa nella nostra vita con un miracolo». Anche se, ha aggiunto, «si fa sempre sentire. Sempre. E quando il Signore passa, sempre succede quello che è accaduto qui: ci dice qualcosa, ci fa sentire qualcosa, poi ci dice una parola, che è una promessa; ci chiede qualcosa nel nostro modo di vivere, di lasciare qualcosa, di spogliarci di qualcosa. E poi ci dà una missione».

Questi tre aspetti del passaggio di Gesù nella nostra vita — ci dice «una parola che è una promessa», ci chiede «di spogliarci di qualcosa», ci affida «una missione» — sono ben rappresentati dal brano di Luca. Il Santo Padre ha richiamato in particolare la reazione di Pietro al miracolo di Gesù: «Simone, che era così tanto sanguigno, è andato da lui: “Ma Signore allontanati da me che sono peccatore”. Lo sentiva davvero, perché lui era così. E Gesù cosa gli dice? “Non temere”».

«Bella questa parola, tante volte ripetuta: “Non avere paura, non temere”» ha commentato il Pontefice, aggiungendo: «E poi, e qui è la promessa, gli dice: “Ti farò pescatore di uomini”. Sempre il Signore, quando viene nella nostra vita, quando passa nel nostro cuore, ci dice una parola e ci fa una promessa: “Vai avanti, coraggio, non temere: tu farai questo!”». È «un invito a seguirlo». E «quando sentiamo questo invito e vediamo che nella nostra vita c’è qualcosa che non va, dobbiamo correggerlo» e dobbiamo essere pronti a lasciare qualsiasi cosa, con generosità. Anche se «nella nostra vita — ha precisato il Papa — c’è qualcosa di buono, Gesù ci invita a lasciarla per seguirlo più da vicino. È come è accaduto agli apostoli che hanno lasciato tutto, come dice il Vangelo: “E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono”».

La vita cristiana, dunque, «è sempre un seguire il Signore». Ma per seguirlo bisogna prima «sentire cosa ci dice»; e poi bisogna «lasciare quello che in quel momento dobbiamo lasciare e seguirlo».

Infine, c’è la missione che Gesù ci affida. Egli infatti «non dice mai: “Segui me!” senza poi dire la missione. Dice sempre: “Lascia e seguimi per questo”». Dunque se «andiamo sulla strada di Gesù — ha puntualizzato il Pontefice — è per fare qualcosa. Questa è la missione».

È «una sequenza che si ripete anche quando andiamo a pregare». Infatti «la nostra preghiera — ha sottolineato il Santo Padre — deve sempre avere questi tre momenti». Prima di tutto, l’ascolto della parola di Gesù, una parola attraverso la quale egli ci dà la pace e ci assicura la sua vicinanza. Poi il momento della nostra rinuncia: dobbiamo essere pronti a «lasciare qualcosa: “Signore, cosa vuoi che lasci per esserti più vicino?”. Forse in quel momento non lo dice. Ma noi facciamo la domanda, generosamente». Infine, il momento della missione: la preghiera ci aiuta sempre a capire quello che «dobbiamo fare».

Ecco allora la sintesi del nostro pregare: «Sentire il Signore, avere il coraggio di spogliarci di qualcosa che ci impedisce di andare di fretta per seguirlo e infine prendere la missione». Ciò non vuol dire che non si debbano affrontare delle tentazioni. Pietro, ha ricordato Papa Francesco, ha peccato gravemente rinnegando Gesù. Ma poi il Signore lo ha perdonato, Giacomo e Giovanni hanno peccato di carrierismo. Ma anche a loro il Signore ha concesso il perdono. Dunque è importante pregare tenendo ben presenti questi tre momenti. «Possiamo chiedere — ha concluso — agli apostoli, che hanno vissuto da tanto vicino queste cose, di darci la grazia di fare sempre una preghiera cercando di ascoltare la parola e la promessa di Gesù; di avere la voglia di lasciare quello che ci impedisce di seguire da vicino Gesù; e di aprire il cuore per ricevere la missione».



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Papa Francesco: la Chiesa custodisce il matrimonio, immagine dell'unione di Cristo con la Chiesa



Il cristiano sia sempre gioioso come quando si va a nozze. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani 6 settembre, alla Casa Santa Marta. Il Papa ha inoltre sottolineato che bisogna vincere la tentazione di gettare la novità del Vangelo in otri vecchi ed ha ribadito che il Sacramento del matrimonio è immagine dell’unione di Cristo con la Chiesa. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

“Quando c’è lo sposo non si può digiunare, non si può essere tristi”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dalla risposta di Gesù agli scribi, di cui parla il Vangelo odierno. E subito ha sottolineato che il Signore torna spesso su questa immagine dello sposo. Gesù, ha detto, ci fa vedere il rapporto fra Lui e la Chiesa come nozze. “Penso – ha osservato il Papa – che questo proprio sia il motivo più profondo perché la Chiesa custodisce tanto il Sacramento del matrimonio e lo chiama Sacramento grande, perché è proprio l’immagine dell’unione di Cristo con la Chiesa”. Il Pontefice si è dunque soffermato sui due atteggiamenti che il cristiano dovrebbe vivere in queste nozze: innanzitutto “la gioia, perché c’è una grande festa”:

“Il cristiano è fondamentalmente gioioso. E per questo alla fine del Vangelo, quando portano il vino, quando parla del vino, mi fa pensare alle nozze di Cana: e per questo Gesù ha fatto quel miracolo; per questo la Madonna, quando si è accorta che non c’era più vino, ma se non c’è vino non c’è festa… Immaginiamo finire quelle nozze, bevendo il tè o il succo: non va… è festa e la Madonna chiede il miracolo. E così è la vita cristiana. La vita cristiana ha questo atteggiamento gioioso, gioioso di cuore”.

Certo, ha aggiunto il Papa “ci sono davvero momenti di croce, momenti di dolore, ma sempre c’è quella pace profonda della gioia, perché la vita cristiana si vive come festa, come le nozze di Gesù con la Chiesa”. Ed ha ricordato come alcuni dei primi martiri andassero al martirio come se si andasse a nozze; anche in quel momento avevano “un cuore gioioso”. La Chiesa, ha poi ribadito, si unisce col Signore “come una sposa col suo sposo e alla fine del mondo sarà la festa definitiva”. Il secondo atteggiamento che deve tenere il cristiano, ha proseguito, lo troviamo nella parabola delle nozze del figlio del re. Tutti vengono invitati alla festa, buoni e cattivi. Ma quando inizia la festa, il re guarda chi non ha la veste nuziale:

“A noi viene l’idea: ‘Ma, padre, com’è? Sono stati trovati negli incroci delle strade e si chiede loro la veste nuziale? Questo non va… Cosa significa questo?’. E’ semplicissimo! Soltanto Dio ci chiede una cosa per entrare in questa festa: la totalità. Lo Sposo è il più importante; lo Sposo riempie tutto! E questo ci porta alla prima Lettura, che ci parla tanto fortemente della totalità di Gesù, primogenito di tutta la creazione. In Lui furono create tutte le cose, per mezzo di Lui sono state create e in vista di Lui. Tutto! Lui è il centro, proprio tutto!”.

Gesù, ha soggiunto, “è anche il capo del Corpo della Chiesa; Egli è principio. E Dio ha dato a Lui la pienezza, la totalità, perché in Lui siano riconciliate tutte le cose”. Se dunque il primo atteggiamento è la festa, ha detto Papa Francesco, “il secondo atteggiamento è riconoscere Lui come l’Unico!”. Il Signore, ha detto ancora, “soltanto ci chiede questo: riconoscere Lui come l’Unico Sposo”. Lui “è sempre fedele e chiede a noi la fedeltà”. Ecco perché quando vogliamo “avere una piccola festicciola nostra, che non sia questa grande festa, non va”. Il Signore, ha ribadito, ci dice che non si possono servire due padroni: o si serve Dio o si serve il mondo:

“Questo è il secondo atteggiamento cristiano: riconoscere Gesù come il tutto, il centro, la totalità. Ma sempre avremo la tentazione di buttare questa novità del Vangelo, questo vino nuovo in atteggiamenti vecchi… E’ il peccato, tutti siamo peccatori. Ma riconoscerlo: ‘Questo è un peccato’. Non dire questo va con questo. No! Gli otri vecchi non possono portare il vino nuovo. E’ la novità del Vangelo. Gesù è lo sposo, lo sposo che sposa la Chiesa, lo sposo che ama la Chiesa, che dà la sua vita per la Chiesa. E Gesù fa questa festa di nozze! Gesù ci chiede a noi la gioia della festa, la gioia di essere cristiani. E ci chiede pure la totalità: è tutto Lui. E se noi abbiamo qualcosa che non è di Lui, pentirsi, chiedere perdono e andare avanti. Che il Signore ci dia, a tutti noi, la grazia di avere sempre questa gioia, come se andassimo a nozze. E anche avere questa fedeltà che è l’unico sposo è il Signore”.




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Il Papa: guardarsi da devozioni e rivelazioni che non portano a Cristo, il centro sia sempre Gesù



Il cristiano non deve mai dimenticare che il centro della sua vita è Gesù Cristo: è quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di questo sabato alla Casa Santa Marta. Il Papa ha affermato che dobbiamo vincere la tentazione di essere “cristiani senza Gesù” o cristiani che “cercano soltanto devozioni, ma Gesù non c’è”. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

Papa Francesco ha dedicato tutta la sua omelia alla centralità di Gesù nella vita del cristiano. “Gesù – ha detto – è il centro. Gesù è il Signore”. Eppure, ha constatato, questa parola non sempre la capiamo bene, “non si capisce tanto facilmente”. Gesù, ha affermato, “non è un signore tale o quale” ma “il Signore, l’unico Signore”. Ed è Lui il centro che “ci rigenera e ci fonda”, questo è il Signore: “il centro”. I farisei di cui ci parla il Vangelo odierno, ha quindi osservato, mettevano “il centro della loro religiosità in tanti comandamenti”. E anche oggi, “se non c’è Gesù al centro, ci saranno altre cose”. Ed ecco che allora “incontriamo tanti cristiani senza Cristo, senza Gesù”:

“Per esempio, quelli che hanno la malattia dei farisei e sono cristiani che mettono la loro fede, la loro religiosità in tanti comandamenti: in tanti … ‘Ah, devo fare questo, devo fare questo, devo fare questo…’. Cristiani di atteggiamento … ‘Ma perché fai questo?’ – ‘No: si deve fare!’. ‘Ma perché?’ – ‘Ah, non so, ma si deve fare’. E Gesù, dov’è? Un comandamento è valido se viene da Gesù: io faccio questo perché il Signore vuole che io faccia questo. Ma siccome io sono un cristiano senza Cristo, faccio questo e non so perché lo devo fare”.

Ci sono, ha aggiunto, “altri cristiani senza Cristo: quelli che soltanto cercano devozioni”, “ma Gesù non c’è”. “Se le tue devozioni ti portano a Gesù – ha detto il Papa - quello va bene. Ma se tu rimani lì, qualcosa non va”. C’è poi, ha proseguito, “un altro gruppo di cristiani senza Cristo: quelli che cercano cose un po’ rare, un po’ speciali, che vanno dietro a delle rivelazioni private”, mentre la Rivelazione si è conclusa con il Nuovo Testamento. Il Papa ha avvertito in questi cristiani la voglia di andare “allo spettacolo della rivelazione, a sentire delle cose nuove”. “Ma – è l’esortazione rivolta loro dal Papa - prendi il Vangelo!”:

“Ma, padre, qual è la regola per essere cristiano con Cristo, e non diventare cristiani senza Cristo? E qual è il segno che una persona è un cristiano con Cristo?”. La regola è semplice: soltanto è valido quello che ti porta a Gesù, e soltanto è valido quello che viene da Gesù. Gesù è il centro, il Signore, come Lui stesso dice. Questo ti porta a Gesù? Vai avanti. Questo comandamento, questo atteggiamento viene da Gesù? Vai avanti. Ma se non ti porta a Gesù e se non viene da Gesù, ma … non si sa, è un po’ pericoloso”.

E ancora, si chiede il Papa: “Qual è il segno che io sono cristiano con Gesù?”. Il segno, ha detto, è semplice: è quello del cieco nato che si prostra davanti a Gesù per adorarlo:

“Ma se tu non riesci ad adorare Gesù, qualcosa ti manca. Una regola, un segno. La regola è: sono un buon cristiano, sono sulla strada del buon cristiano se faccio quello che viene da Gesù e faccio quello che mi porta a Gesù, perché Lui è il centro. Il segno è: sono capace di adorare; l’adorazione. Questa preghiera di adorazione davanti a Gesù. Il Signore ci faccia capire che soltanto Lui è il Signore, è l’unico Signore. E ci dia anche la grazia di amarLo tanto, di seguirLo, di andare sulla strada che Lui ci ha insegnato”.



del sito Radio Vaticana 

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Caterina63
00martedì 10 settembre 2013 08:38

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Il Papa: la speranza cristiana non è ottimismo, è molto di più, è Gesù



La virtù della speranza – forse meno conosciuta di quella della fede e della carità – non va mai confusa con l’ottimismo umano, che è un atteggiamento più umorale. Per un cristiano, la speranza è Gesù in persona, è la sua forza di liberare e rifare nuova ogni vita. Lo ha affermato lunedì mattina, 9 settembre Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta presso Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

La speranza è “un dono” di Gesù, la speranza è Gesù stesso, ha il suo “nome”. Speranza non è quella di chi di solito guarda al “bicchiere mezzo pieno”: quello è semplicemente “ottimismo”, e “l’ottimismo è un atteggiamento umano che dipende da tante cose”. L’omelia mattutina di Papa Francesco si impernia all’inizio su questa distinzione. Lo spunto viene dalla Lettera nella quale Paolo scrive ai Colossesi “Cristo in voi, speranza della gloria”. Eppure, obietta il Papa, “la speranza è una virtù di ‘seconda classe’”, la “virtù umile” se paragonata alle più citate fede e carità. Per questo può accadere che sia confusa con un sereno buon umore:

“Ma la speranza è un’altra cosa, non è ottimismo. La speranza è un dono, è un regalo dello Spirito Santo e per questo Paolo dirà: ‘Mai delude’. La speranza mai delude, perché? Perché è un dono che ci ha dato lo Spirito Santo. Ma Paolo ci dice che la speranza ha un nome. La speranza è Gesù. Non possiamo dire: 'Io ho speranza nella vita, ho speranza in Dio', no: se tu non dici: 'Ho speranza in Gesù, in Gesù Cristo, Persona viva, che adesso viene nell’Eucaristia, che è presente nella sua Parola', quella non è speranza. E’ buon umore, ottimismo…”.

Dal Vangelo, Papa Francesco prende poi il secondo spunto del giorno. L’episodio è quello in cui Gesù guarisce di sabato la mano paralizzata di un uomo, suscitando la riprovazione di scribi e farisei. Col suo miracolo, osserva il Papa, Gesù libera la mano dalla malattia e dimostra “ai rigidi” che la loro “non è la strada della libertà”. “Libertà e speranza vanno insieme: dove non c’è speranza non può esserci libertà”, afferma Papa Francesco. Che soggiunge: “Gesù libera dalla malattia, dal rigore e dalla mano paralizzata quest’uomo, rifà la vita di questi due, la fa di nuovo”:

“Gesù, la speranza, rifà tutto. E’ un miracolo costante. Non solo ha fatto miracoli di guarigione, tante cose: quelli erano soltanto segni, segnali di quello che sta facendo adesso, nella Chiesa. Il miracolo di rifare tutto: quello che fa nella mia vita, nella tua vita, nella nostra vita. Rifare. E questo che rifà Lui è proprio il motivo della nostra speranza. E’ Cristo che rifà tutte le cose più meravigliosamente della Creazione, è il motivo della nostra speranza. E questa speranza non delude, perché Lui è fedele. Non può rinnegare se stesso. Questa è la virtù della speranza”.

E qui, Papa Francesco rivolge uno sguardo in particolare ai sacerdoti. “È un po’ triste – ammette quando uno trova un prete senza speranza”, mentre è bello trovarne uno che arriva alla fine della vita “non con l’ottimismo ma con la speranza”. “Questo prete – continua – è attaccato a Gesù Cristo, e il popolo di Dio ha bisogno che noi preti diamo questo segno di speranza, viviamo questa speranza in Gesù che rifà tutto”:

“Il Signore che è la speranza della gloria, che è il centro, che è la totalità, ci aiuti in questa strada: dare speranza, avere passione per la speranza. E, come ho detto, non sempre è ottimismo ma è quella che la Madonna, nel Suo cuore, ha avuto nel buio più grande: la sera del Venerdì fino alla prima mattina della Domenica. Quella speranza: Lei l’aveva. E quella speranza ha rifatto tutto. Che il Signore ci dia questa grazia”.



del sito Radio Vaticana 


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Il Papa: no ad atteggiamenti trionfalistici nella Chiesa, annunciare Gesù senza timore e vergogna



I cristiani sono chiamati ad annunciare Gesù senza timore, senza vergogna e senza trionfalismo. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani 10 settembre, alla Casa Santa Marta. Il Papa ha messo l’accento sul rischio di diventare cristiani senza Risurrezione e ha ribadito che Cristo è sempre il centro e la speranza della nostra vita. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

Gesù è il Vincitore, Colui che ha vinto sulla morte e sul peccato. Papa Francesco ha svolto la sua omelia prendendo spunto dalle parole su Gesù nella Lettera di San Paolo ai Colossesi. A tutti noi, ha detto il Papa, San Paolo consiglia di camminare con Gesù “perché Lui ha vinto, camminare in Lui radicati e costruiti su di Lui, su questa vittoria, saldi nella fede”. Questo è il punto chiave, ha ribadito: “Gesù è risorto!”. Ma, ha proseguito, non è sempre facile capirlo. Il Papa ricorda, per esempio, che quando San Paolo si rivolse ai greci ad Atene venne ascoltato con interesse fino a quando parlò di Risurrezione. “Questo ci fa paura, meglio lasciarla lì”. Un episodio che ci interroga anche oggi:

“Ci sono tanti cristiani senza Risurrezione, cristiani senza il Cristo Risorto: accompagnano Gesù fino alla tomba, piangono, gli vogliono tanto bene, ma fino a lì. Pensando a questo atteggiamento dei cristiani senza il Cristo Risorto, io ne ho trovati tre, ma ce ne sono tanti: i timorosi, i cristiani timorosi; i vergognosi, quelli che hanno vergogna; e i trionfalistici. Questi tre non si sono incontrati col Cristo Risorto! I timorosi: sono quelli della mattina della Resurrezione, quelli di Emmaus che se ne vanno, hanno paura”.

Gli Apostoli, ha rammentato il Papa, si chiudono nel Cenacolo per timore dei giudei, anche la Maddalena piange perché hanno portato via il Corpo del Signore. “I timorosi – ha ammonito – sono così: temono di pensare alla Resurrezione”. E’ come, ha osservato, se rimanessero “nella prima parte della partitura”, “abbiamo timore del Risorto”.
Ci sono poi i cristiani vergognosi. “Confessare che Cristo è risorto – ha constatato – dà un po’ di vergogna in questo mondo” che “va tanto avanti nelle scienze”. A questi cristiani, ha detto, Paolo dice di fare attenzione che nessuno li faccia preda con la filosofia e con i vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana. Questi, ha detto, “hanno vergogna” di dire che “Cristo, con la sua carne, con le sue piaghe è risorto”.
C’è infine il gruppo dei cristiani che “nel loro intimo non credono nel Risorto e vogliono fare loro una risurrezione più maestosa di quella” vera. Sono i cristiani “trionfalistici”:

“Non sanno la parola ‘trionfo’, soltanto dicono ‘trionfalismo’, perché hanno come un complesso di inferiorità e vogliono fare… Quando noi guardiamo questi cristiani, con tanti atteggiamenti trionfalistici, nella loro vita, nei loro discorsi e nelle loro pastorale, nella Liturgia, tante cose così, è perché nel più intimo non credono profondamente nel Risorto. E Lui è il Vincitore, il Risorto. E poi ha vinto. Per questo, senza timore, senza paura, senza trionfalismo, semplicemente guardando il Signore Risorto, la sua bellezza, anche mettere le dita nelle piaghe e la mano nel fianco”.

“Questo – ha soggiunto – è il messaggio che oggi Paolo ci dà”: Cristo “è tutto”, è la totalità e la speranza, “perché è lo Sposo, il Vincitore”. Il Vangelo odierno, ha detto ancora, ci mostra una folla di gente che va ad ascoltare Gesù e ci sono anche tanti malati che cercano di toccarlo, perché da Lui “usciva una forza che guariva tutti”:

“La nostra fede, la fede nel Risorto: quello vince il mondo! Andiamo verso di Lui e lasciamoci, come questi malati, toccare da Lui, dalla sua forza, perché Lui è con le ossa e con la carne, non è un’idea spirituale che va… Lui è vivo. E’ proprio Risorto. E così ha vinto il mondo. Che il Signore ci dia la grazia di capire e vivere queste cose”.



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Se vuoi amare il nemico contempla la Passione di Gesù e la dolcezza di Maria: così il Papa a Santa Marta



“L’umanità sofferente” di Gesù e la “dolcezza” di Maria. Sono i due “poli” cui deve guardare il cristiano per riuscire a vivere ciò che il Vangelo chiede. Papa Francesco lo ha affermato all’omelia della Messa di giovedì mattina 12 settembre, Memoria del Nome Santissimo di Maria presieduta nella Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

Il Vangelo è esigente, chiede “cose forti” a un cristiano: capacità di perdonare, magnanimità, amore per i nemici… C’è un solo modo per riuscire a metterle in pratica: “contemplare la Passione, l’umanità di Gesù” e imitare il comportamento di sua Madre. E proprio alla Madonna, di cui oggi la Chiesa ricorda il “Santo Nome”, Papa Francesco ha dedicato il primo pensiero dell’omelia. Una volta, ha detto, la festa odierna era detta del “dolce Nome di Maria”. Poi, la definizione è cambiata, “ma nella preghiera – ha osservato – è rimasta questa dolcezza del suo nome”:

“Ne abbiamo bisogno, di dolcezza, oggi, dalla Madonna, per capire queste cose che Gesù ci chiede, no? Perché questo è un elenco non facile da vivere. Amate i nemici, fate il bene, prestate senza sperare nulla… A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra, a chi ti strappa il mantello non rifiutare anche la tunica … Ma, sono cose forti, no? Ma tutto questo, a suo modo, è stato vissuto dalla Madonna: è la grazia della mansuetudine, la grazia della mitezza”.

Anche S. Paolo, nella Lettera ai Colossesi della liturgia del giorno, invita i cristiani a rivestirsi di “sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine”, di sopportazione e perdono reciproco. E qui, ha commentato Papa Francesco, “la nostra domanda viene subito: ma, come posso fare questo? Come mi preparo per far questo? Cosa devo studiare per fare questo?”. La risposta, ha affermato il Papa, “è chiara”: “Noi, con il nostro sforzo, non possiamo farlo. Noi non possiamo fare questo. Soltanto una grazia può farlo in noi”. E questa grazia, ha soggiunto, passa per una strada precisa:

“Pensare a Gesù soltanto. Se il nostro cuore, se la nostra mente è con Gesù, il trionfatore, quello che ha vinto la morte, il peccato, il demonio, tutto, possiamo fare questo che ci chiede lo stesso Gesù e che ci chiede l’Apostolo Paolo: la mitezza, l’umiltà, la bontà, la tenerezza, la mansuetudine, la magnanimità. Se non guardiamo Gesù, se non siamo con Gesù non possiamo fare questo. E’ una grazia: è la grazia che viene dalla contemplazione di Gesù”.

In particolare, ha proseguito Papa Francesco, c’è un aspetto particolare della vita di Gesù cui deve rivolgersi la contemplazione del cristiano: la sua Passione, la sua “umanità sofferente”. “E’ così – ha ripetuto con insistenza – dalla contemplazione di Gesù, della nostra vita nascosta con Gesù in Dio, possiamo portare avanti questi atteggiamenti, queste virtù che il Signore ci chiede. Non c’è un’altra strada”:

“Pensare al suo silenzio mite: questo sarà il tuo sforzo. Lui farà il resto. Lui farà tutto quello che manca. Ma devi fare quello: nascondere la tua vita in Dio con Cristo. Questo si fa con la contemplazione dell’umanità di Gesù, dell’umanità sofferente. Non c’è un’altra strada: non ce n’è. E’ l’unica. Per essere buoni cristiani, contemplare l’umanità di Gesù e l’umanità sofferente. Per dare testimonianza, per poter dare questa testimonianza, quello. Per perdonare, contempla Gesù sofferente. Per non odiare il prossimo, contempla Gesù sofferente. Per non chiacchierare contro il prossimo, contempla Gesù sofferente. L’unico. Nascondi la tua vita con Cristo in Dio: questo è il consiglio che ci dà l’Apostolo. E’ il consiglio per diventare umili, miti e buoni, magnanimi, teneri”.






Caterina63
00venerdì 13 settembre 2013 11:13

Il Papa: le chiacchiere sono criminali perché uccidono Dio e il prossimo



Chi parla male del prossimo è un ipocrita che non ha “il coraggio di guardare i propri difetti”. E’ il monito levato da Papa Francesco, nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta, 13 settembre Memoria di San Giovanni Crisostomo detto "bocca d'oro". Il Papa ha sottolineato che le chiacchiere hanno una “dimensione di criminalità”, perché ogni volta che parliamo male dei nostri fratelli, imitiamo il gesto omicida di Caino. Il servizio di Alessandro Gisotti: RealAudioMP3

“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non t’accorgi della trave che è nel tuo?” Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia partendo dall’interrogativo posto da Gesù che scuote le coscienze di ogni uomo, in ogni tempo. Dopo averci parlato dell’umiltà, ha osservato, Gesù ci parla del suo contrario, “di quell’atteggiamento odioso verso il prossimo, di quel diventare giudice del fratello”. E qui, ha affermato, Gesù “dice una parola forte: ipocrita”:

“Quelli che vivono giudicando il prossimo, parlando male del prossimo, sono ipocriti, perché non hanno la forza, il coraggio di guardare i loro propri difetti. Il Signore non fa, su questo, tante parole. Poi dirà, più avanti, che quello che ha nel suo cuore un po’ d’odio contro il fratello è un omicida... Anche l’Apostolo Giovanni, nella sua prima Lettera, lo dice, chiaro: colui che odia suo fratello, cammina nelle tenebre; chi giudica il fratello, cammina nelle tenebre”.

Ogni volta che noi “giudichiamo i nostri fratelli nel nostro cuore – ha proseguito – e peggio, quando ne parliamo di questo con gli altri siamo cristiani omicidi”:

“Un cristiano omicida … Non lo dico io, eh?, lo dice il Signore. E su questo punto, non c’è posto per le sfumature. Se tu parli male del fratello, uccidi il fratello. E noi, ogni volta che lo facciamo, imitiamo quel gesto di Caino, il primo omicida della Storia”.

E aggiunge che in questo tempo in cui si parla di guerre e si chiede tanto la pace, “è necessario un gesto di conversione nostro”. “Le chiacchiere – ha avvertito – sempre vanno su questa dimensione della criminalità. Non ci sono chiacchiere innocenti”. La lingua, ha detto ancora riprendendo l’Apostolo Giacomo, è per lodare Dio, “ma quando la nostra lingua la usiamo per parlare male del fratello o della sorella, la usiamo per uccidere Dio”, “l’immagine di Dio nel fratello”. Qualcuno, ha affermato il Papa, potrebbe dire che una persona si meriti le chiacchiere. Ma non può essere così:

“‘Ma vai, prega per lui! Vai, fai penitenza per lei! E poi, se è necessario, parla a quella persona che può rimediare al problema. Ma non dirlo a tutti!’. Paolo è stato un peccatore forte, e dice di se stesso: ‘Prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia’. Forse nessuno di noi bestemmia – forse. Ma se qualcuno di noi chiacchiera, certamente è un persecutore e un violento. Chiediamo per noi, per la Chiesa tutta, la grazia della conversione dalla criminalità delle chiacchiere all’amore, all’umiltà, alla mitezza, alla mansuetudine, alla magnanimità dell’amore verso il prossimo”.

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L'albero della croce

Sabato, 14 settembre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 211, Dom. 15/09/2013)

 

Storia dell’uomo e storia di Dio si intrecciano nella croce. Una storia essenzialmente di amore. È un mistero immenso, che da soli non possiamo comprendere. Come «assaggiare quel miele di aloe, quella dolcezza amara del sacrificio di Gesù?». Papa Francesco ne ha indicato il modo, questa mattina, sabato 14 settembre, festa dell’esaltazione della santa croce, durante la messa celebrata nella cappella di Santa Marta.

Commentando le letture del giorno, tratte dalla lettera ai Filippesi (2, 6-11) e dal Vangelo di Giovanni (3, 13-17), il Pontefice ha detto che è possibile comprendere «un pochino» il mistero della croce «in ginocchio, nella preghiera», ma anche con «le lacrime». Anzi sono proprio le lacrime quelle che «ci avvicinano a questo mistero». Infatti, «senza piangere», soprattutto senza «piangere nel cuore, mai capiremo questo mistero».
È il «pianto del pentito, il pianto del fratello e della sorella che guarda tante miserie umane e le guarda anche in Gesù, in ginocchio e piangendo». E, soprattutto, ha evidenziato il Papa, «mai soli!». Per entrare in questo mistero che «non è un labirinto, ma gli assomiglia un po’» abbiamo sempre «bisogno della Madre, della mano della mamma». Maria, ha aggiunto, «ci faccia sentire quanto grande e quanto umile è questo mistero, quanto dolce come il miele e quanto amaro come l’aloe».

I padri della Chiesa, ha ricordato il Papa, «comparavano sempre l’albero del Paradiso a quello del peccato. L’albero che dà il frutto della scienza, del bene, del male, della conoscenza, con l’albero della croce». Il primo albero «aveva fatto tanto male», mentre l’albero della croce «ci porta alla salvezza, alla salute, perdona quel male».
Questo è «il percorso della storia dell’uomo». Un cammino che permette di «trovare Gesù Cristo Redentore, che dà la sua vita per amore». Un amore che si manifesta nell’economia della salvezza, come ha ricordato il Santo Padre, secondo le parole dell’evangelista Giovanni.

Dio infatti, ha detto il Pontefice, «non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui». E come ci ha salvato? «con quest’albero della croce». Dall’altro albero, sono iniziati «l’autosufficienza, l’orgoglio e la superbia di volere conoscere tutto secondo la nostra mentalità, secondo i nostri criteri, anche secondo quella presunzione di essere e diventare gli unici giudici del mondo».
Questa, ha detto, «è la storia dell’uomo». Sull’albero della croce, invece, c’è la storia di Dio, che «ha voluto assumere la nostra storia e camminare con noi». È proprio nella prima lettura che l’apostolo Paolo «riassume in poche parole tutta la storia di Dio: Gesù Cristo, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio di essere come Dio». Ma, ha spiegato, «svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini». Cristo, infatti, «umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e una morte di croce». È questo «il percorso della storia di Dio». E perché lo fa? Si è chiesto il Pontefice. La risposta si trova nelle parole di Gesù a Nicodemo: «Dio, infatti, ha amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna». Dio, ha concluso «fa questo percorso per amore, non c’è altra spiegazione».


 




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Amore per il popolo e umiltà, virtù necessarie per chi governa: così il Papa a Santa Marta



Umiltà e amore sono caratteristiche indispensabili per chi governa, mentre i cittadini, soprattutto se cattolici, non possono disinteressarsi della politica: è quanto ha detto Papa Francesco stamani 16 settembre durante la Messa a Santa Marta, invitando anche a pregare per le autorità. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Il Vangelo del centurione che chiede con umiltà e fiducia la guarigione del servo e la lettera di San Paolo a Timoteo con l’invito a pregare per i governanti, hanno dato lo spunto al Papa per “riflettere sul servizio dell’autorità”. Chi governa – afferma Papa Francesco – “deve amare il suo popolo”, perché “un governante che non ama, non può governare: al massimo potrà disciplinare, mettere un po’ di ordine, ma non governare”. Il Papa pensa a Davide, “a come amava il suo popolo”, tanto che dopo il peccato del censimento dice al Signore di non punire il popolo ma lui. Così, “le due virtù di un governante” sono l’amore per il popolo e l’umiltà:

“Non si può governare senza amore al popolo e senza umiltà! E ogni uomo, ogni donna che deve prendere possesso di un servizio di governo, deve farsi queste due domande: ‘Io amo il mio popolo, per servirlo meglio? Sono umile e sento tutti gli altri, le diverse opinioni, per scegliere la migliore strada?’. Se non si fa queste domande il suo governo non sarà buono. Il governante, uomo o donna, che ama il suo popolo è un uomo o una donna umile”.

D’altra parte, San Paolo esorta i governati ad elevare preghiere “per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla”. I cittadini non possono disinteressarsi della politica:

“Nessuno di noi può dire: ‘Ma io non c’entro in questo, loro governano…'. No, no, io sono responsabile del loro governo e devo fare il meglio perché loro governino bene e devo fare il meglio partecipando nella politica come io posso’. La politica - dice la Dottrina Sociale della Chiesa - è una delle forme più alte della carità, perché è servire il bene comune. Io non posso lavarmi le mani, eh? Tutti dobbiamo dare qualcosa!”.

C’è l’abitudine – osserva il Papa – di dire solo male dei governanti e fare chiacchiere sulle “cose che non vanno bene”: “e tu senti il servizio della Tv e bastonano, bastonano; tu leggi il giornale e bastonano …. sempre il male, sempre contro!”. Forse – ha proseguito – “il governante, sì, è un peccatore, come Davide lo era, ma io devo collaborare con la mia opinione, con la mia parola, anche con la mia correzione” perché tutti “dobbiamo partecipare al bene comune!”. E se “tante volte abbiamo sentito: ‘un buon cattolico non si immischia in politica’ – ha sottolineato - questo non è vero, quella non è una buona strada”:

“Un buon cattolico si immischia in politica, offrendo il meglio di sé, perché il governante possa governare. Ma qual è la cosa migliore che noi possiamo offrire ai governanti? La preghiera! E’ quello che Paolo dice: ‘Preghiera per tutti gli uomini e per il re e per tutti quelli che stanno al potere’. ‘Ma, Padre, quella è una cattiva persona, deve andare all’inferno…’. ‘Prega per lui, prega per lei, perché possa governare bene, perché ami il suo popolo, perché serva il suo popolo, perché sia umile!’. Un cristiano che non prega per i governanti, non è un buon cristiano! ‘Ma, Padre, come pregherò per questo? Questa è una persona che non va...’. ‘Prega perché si converta!’. Ma pregare. E questo non lo dico io, lo dice San Paolo, la Parola di Dio”.

Dunque – conclude il Papa – “diamo il meglio di noi, idee, suggerimenti, il meglio, ma soprattutto il meglio è la preghiera. Preghiamo per i governanti, perché ci governino bene, perché portino la nostra patria, la nostra nazione avanti e anche il mondo, che ci sia la pace e il bene comune”.



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Il Papa: la Chiesa è una mamma coraggiosa che porta i suoi figli all’incontro con Gesù;
non c'è riconciliazione fuori della Chiesa



La Chiesa ha il coraggio di una donna che difende i suoi figli per portarli all’incontro col suo Sposo. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha preso spunto dall’incontro tra Gesù e la vedova di Naim per parlare della dimensione della “vedovanza” della Chiesa che, ha detto, cammina nella storia cercando l’incontro con il Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

Gesù ha la “capacità di patire con noi, di essere vicino alle nostre sofferenze e farle sue”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia partendo dall’incontro tra Gesù e la vedova di Naim, di cui parla il Vangelo odierno. Gesù, ha sottolineato, “fu preso da grande compassione” per questa donna vedova che ora aveva perso anche il figlio. Gesù, ha proseguito, “sapeva cosa significasse una donna vedova in quel tempo” e osserva che “il Signore ha uno speciale amore per le vedove, le cura”. Leggendo questo passo del Vangelo, ha poi affermato, penso anche che "questa vedova" sia "un’icona della Chiesa, perché anche la Chiesa è in un certo senso vedova”:

“Il suo Sposo se ne è andato e Lei cammina nella storia, sperando di trovarlo, di incontrarsi con Lui. E Lei sarà la sposa definitiva. Ma in questo frattempo Lei - la Chiesa - è sola! Non è il Signore visibile. Ha una certa dimensione di vedovanza… E mi fa pensare alla vedovanza della Chiesa. Questa Chiesa coraggiosa, che difende i figli, come quella vedova che andava dal giudice corrotto per difendere, difendere e alla fine ha vinto. La nostra madre Chiesa è coraggiosa! Ha quel coraggio di una donna che sa che i suoi figli sono suoi e deve difenderli e portarli all’incontro col suo Sposo”.

Il Papa si è soffermato su alcune figure di vedove nella Bibbia, in particolare sulla coraggiosa vedova maccabea con sette figli che vengono martirizzati per non rinnegare Dio. La Bibbia, ha sottolineato, dice di questa donna che parlava ai figli “in dialetto, nella prima lingua”. E, ha osservato, anche la nostra Chiesa madre ci parla in dialetto, in “quella lingua della vera ortodossia che tutti noi capiamo, quella lingua del catechismo” che “ci dà proprio la forza di andare avanti nella lotta contro il male”:

“Questa dimensione di vedovanza della Chiesa, che cammina nella storia, sperando di incontrare, di trovare il suo Sposo… La nostra madre Chiesa è così! E’ una Chiesa che, quando è fedele, sa piangere. Quando la Chiesa non piange, qualcosa non va bene. Piange per i suoi figli e prega! Una Chiesa che va avanti e fa crescere i suoi figli, dà loro forza e li accompagna fino all’ultimo congedo per lasciarli nelle mani del suo Sposo e che alla fine anche Lei incontrerà. Questa è la nostra madre Chiesa! Io la vedo in questa vedova, che piange. E cosa dice il Signore alla Chiesa? ‘Non piangere. Io sono con te, io ti accompagno, io ti aspetto là, nelle nozze, le ultime nozze, quelle dell’agnello. Fermati, questo tuo figlio che era morto, adesso vive!’”.

E questo, ha proseguito, “è il dialogo del Signore con la Chiesa”. Lei “difende i figli, ma quando vede che i figli sono morti, piange e il Signore Le dice: ‘Io sono con te e tuo figlio è con me’”. Come ha detto al ragazzo a Naim di alzarsi dal suo letto di morte, ha aggiunto il Papa, tante volte Gesù dice anche a noi di alzarci “quando siamo morti per il peccato e andiamo a chiedere perdono”. E cosa fa dunque Gesù “quando ci perdona, quando ci ridà la vita?”: ci restituisce a nostra madre:

“La nostra riconciliazione col Signore non finisce nel dialogo 'Io, tu e il prete che mi dà il perdono'; finisce quando Lui ci restituisce alla nostra madre. Lì finisce la riconciliazione, perché non c’è cammino di vita, non c’è perdono, non c’è riconciliazione fuori della madre Chiesa. E così, vedendo questa vedova, mi vengono tutte queste cose, un po’ senza ordine… Ma vedo in questa vedova l’icona della vedovanza della Chiesa che è in cammino per trovare il suo Sposo. Mi viene la voglia di chiedere al Signore la grazia di essere sempre fiduciosi di questa ‘mamma’ che ci difende, ci insegna, ci fa crescere e ci parla il dialetto”.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/09/17/il_papa:_la_chiesa_è_una_mamma_coraggiosa_che_porta_i_suoi_figli/it1-729156
del sito Radio Vaticana 





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Caterina63
00sabato 21 settembre 2013 10:37

             

 Messa del Papa a Santa Marta

Il potere del denaro

 

Bisogna guardarsi dal cedere alla tentazione di idolatrare il denaro. Significherebbe indebolire la nostra fede e correre così il rischio di assuefarsi all'inganno di desideri insensati e dannosi, tali da portare l'uomo sul punto di affogare nella rovina e nella perdizione.
Da questo pericolo ha messo in guardia Papa Francesco durante l'omelia della messa celebrata questa mattina, venerdì 20, nella cappella di Santa Marta.

"Gesù - ha detto il Santo Padre commentando le letture - ci aveva detto chiaramente, e anche definitivamente, che non si possono servire due signori: non si può servire Dio e il denaro. C'è qualcosa tra questi due che non va. C'è qualcosa nell'atteggiamento di amore verso il denaro che ci allontana da Dio". E citando la prima lettera di san Paolo a Timoteo (6, 2-12), il Papa ha detto: "Quelli che vogliono arricchirsi cadono nella tentazione dell'inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione".

L'avidità infatti - ha proseguito - "è la radice di tutti i mali.
Presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti. È tanto il potere del denaro che ti fa deviare dalla fede pura. Ti toglie la fede, l'indebolisce e tu la perdi". E, sempre restando alla lettera paolina, ha fatto notare che più avanti l'apostolo afferma che "se qualcuno insegna diversamente e non segue le sane parole del Signore nostro Gesù Cristo e la dottrina conforme alla vera religiosità è accecato dall'orgoglio, non comprende nulla ed è un maniaco di questioni oziose e discussioni inutili".

Ma san Paolo va ancora oltre e, ha notato il Pontefice, scrive che è proprio da questo "che nascono le invidie, i litigi, le maldicenze, i sospetti cattivi, i conflitti di uomini corrotti nella mente e privi della verità che considerano la religione come fonte di guadagno".

Il vescovo di Roma si è poi riferito a quanti dicono di essere cattolici perché vanno a messa, a quelli che intendono il loro essere cattolici come uno status e che "sotto sotto fanno gli affari loro".
A questo proposito il Papa ricorda che Paolo usa un termine particolare, che "troviamo tanto, tanto frequentemente sui giornali: Uomini corrotti nella mente! Il denaro corrompe. Non c'è via d'uscita. Se tu scegli questa via del denaro alla fine sarai un corrotto. Il denaro ha questa seduzione di portarti, di farti scivolare lentamente nella tua perdizione. E per questo Gesù è tanto deciso: non puoi servire Dio e il denaro, non si può: o l'uno o l'altro. E questo non è comunismo, questo è Vangelo puro. Queste cose sono parola di Gesù".

Ma "cosa succede dunque con il denaro?" si è domandato il Papa. " Il denaro - è stata la sua risposta - ti offre un certo benessere: ti va bene, ti senti un po' importante e poi sopraggiunge la vanità. Lo abbiamo letto nel Salmo [48]: ti viene questa vanità. Questa vanità che non serve, ma ti senti una persona importante".

Vanità, orgoglio, ricchezza: è ciò di cui si vantano gli uomini descritti nel salmo: quelli che "confidano nella loro forza, e si vantano della loro grande ricchezza".

Ma allora qual è la verità?
La verità, ha spiegato il Papa, è che "nessuno può riscattare se stesso, né pagare a Dio il proprio prezzo. Troppo caro sarebbe il riscatto di una vita. Nessuno può salvarsi con il denaro", anche se è forte la tentazione di inseguire "la ricchezza per sentirsi sufficiente, la vanità per sentirsi importante e, alla fine, l'orgoglio e la superbia".

Il Papa ha poi inserito il peccato legato alla bramosia del denaro, con tutto ciò che ne consegue, nel primo dei dieci comandamenti: si pecca di "idolatria" ha detto: "Il denaro - ha infatti spiegato - diventa idolo e tu gli dai culto. E per questo Gesù ci dice: non puoi servire all'idolo denaro e al Dio vivente. O l'uno o l'altro".

I primi Padri della Chiesa "dicevano una parola forte: il denaro è lo sterco del diavolo. È così, perché ci fa idolatri e ammala la nostra mente con l'orgoglio e ci fa maniaci di questioni oziose e ti allontana dalla fede. Corrompe". L'apostolo Paolo ci dice invece di tendere alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza. Contro la vanità, contro l'orgoglio "serve la mitezza". Anzi "questa è la strada di Dio, non quella del potere idolatrico che può darti il denaro. È la strada dell'umiltà di Cristo Gesù che essendo ricco si è fatto povero per arricchirci proprio con la sua povertà. Questa è la strada per servire Dio. E che il Signore aiuti tutti noi a non cadere nella trappola dell'idolatria del denaro".




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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Come un soffio sulla brace

Sabato, 21 settembre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 217, Dom. 22/09/2013)

 

«Uno sguardo che ti porta a crescere, ad andare avanti; che ti incoraggia, perché ti fa sentire che lui ti vuole bene»; che dà il coraggio necessario per seguirlo. È stata incentrata sugli sguardi di Gesù la meditazione di Papa Francesco durante la messa a Santa Marta di questa mattina, sabato 21 settembre. È una data fondamentale nella biografia di Jorge Mario Bergoglio, perché al giorno della festa liturgica di San Matteo di sessant’anni fa — era il 21 settembre 1953 — egli fa risalire la propria scelta di vita. Forse anche per questo, commentando il racconto della conversione dell’evangelista (Matteo, 9, 9-13), il Pontefice ha sottolineato il potere degli sguardi di Cristo, capaci di cambiare per sempre la vita di coloro sui quali si posano.

Proprio com’è accaduto per l’esattore delle tasse divenuto suo discepolo: «Per me è un po’ difficile capire come Matteo abbia potuto sentire la voce di Gesù», che in mezzo a tantissima gente gli dice «seguimi». Anzi, il vescovo di Roma non è certo che il chiamato abbia sentito la voce del Nazareno, ma ha la certezza che egli abbia «sentito nel suo cuore lo sguardo di Gesù che lo guardava. E quello sguardo è anche un volto», che «gli ha cambiato la vita. Noi diciamo: lo ha convertito».
C’è poi un’altra azione descritta nella scena: «Appena sentito nel suo cuore quello sguardo, egli si alzò e lo seguì». Per questo il Papa ha fatto notare che «lo sguardo di Gesù ci alza sempre; ci porta su», ci solleva; mai ci «lascia lì» dov’eravamo prima di incontrarlo. Né tantomeno toglie qualcosa: «Mai ti abbassa, mai ti umilia, ti invita ad alzarti», e facendo sentire il suo amore dà il coraggio necessario per poterlo seguire.

Ecco allora l’interrogativo del Papa: «Ma come era questo sguardo di Gesù»? La risposta è che «non era uno sguardo magico», poiché Cristo «non era uno specialista in ipnosi», ma ben altro. Basti pensare a «come guardava i malati e li guariva» o a «come guardava la folla che lo commuoveva, perché la sentiva come pecore senza pastore». E soprattutto secondo il Santo Padre per avere una risposta all’interrogativo iniziale occorre riflettere non solo su «come guardava Gesù», ma anche su «come si sentivano guardati» i destinatari di quegli sguardi. Perché — ha spiegato — «Gesù guardava ognuno» e «ognuno si sentiva guardato da lui», come se egli chiamasse ciascuno con il proprio nome.

Per questo lo sguardo di Cristo «cambia la vita». A tutti e in ogni situazione. Anche, ha aggiunto Papa Francesco, nei momenti di difficoltà e di sfiducia. Come quando chiede ai suoi discepoli: anche voi volete andarvene? Lo fa guardandoli «negli occhi e loro sono stati incoraggiati a dire: no, veniamo con te»; o come quando Pietro dopo averlo rinnegato, incontrò di nuovo lo sguardo di Gesù, «che gli cambiò il cuore e lo portò a piangere con tanta amarezza: uno sguardo che cambiava tutto». E infine c’è «l’ultimo sguardo di Gesù», quello con il quale dall’alto della croce, «guardò la mamma, guardò il discepolo»: con quello sguardo «ci ha detto che la sua mamma era la nostra: e la Chiesa è madre». Per questo motivo «ci farà bene pensare, pregare su questo sguardo di Gesù e anche lasciarci guardare da lui».

Papa Francesco è quindi tornato alla scena evangelica, che prosegue con Gesù seduto a tavola con pubblicani e peccatori. «Si è sparsa la voce e tutta la società, ma non la società “pulita”, si è sentita invitata a quel pranzo», ha commentato Papa Francesco, perché «Gesù li aveva guardati e quello sguardo su di loro è stato come un soffio sulla brace; hanno sentito che c’era fuoco dentro»; e hanno anche sperimentato «che Gesù li faceva salire», li innalzava, «li riportava alla dignità», perché «lo sguardo di Gesù sempre ci fa degni, ci dà dignità».

Infine il Papa ha individuato un’ultima caratteristica nello sguardo di Gesù: la generosità. È un maestro che pranza con la sporcizia della città, ma che sa anche come «sotto quella sporcizia ci fossero le braci del desiderio di Dio» desiderose che qualcuno le «aiutasse a farsi fuoco». E questo è ciò che fa proprio «lo sguardo di Gesù»: allora come oggi. «Credo che tutti noi nella vita — ha detto Papa Francesco — abbiamo sentito questo sguardo e non una, ma tante volte. Forse nella persona di un sacerdote che ci insegnava la dottrina o ci perdonava i peccati, forse nell’aiuto di persone amiche». E soprattutto «tutti noi ci troveremo davanti a quello sguardo, quello sguardo meraviglioso». Per questo andiamo «avanti nella vita, nella certezza che lui ci guarda e che ci attende per guardarci definitivamente. E quell’ultimo sguardo di Gesù sulla nostra vita sarà per sempre, sarà eterno». Per farlo si può chiedere aiuto nella preghiera a tutti «i santi che sono stati guardati da Gesù», affinché «ci preparino per lasciarci guardare nella vita e ci preparino anche per quell’ultimo sguardo di Gesù».


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Il Papa: il Sacramento non è un rito magico, è l’incontro con Gesù che ci aspetta



Gesù ci aspetta sempre, questa è l’umiltà di Dio. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani 24 settembre, alla Casa Santa Marta. Il Papa, che ha preso spunto dal Salmo “Andremo con gioia alla Casa del Signore”, ha sottolineato che il Sacramento non è un rito magico, ma l’incontro con Gesù che ci accompagna nella vita. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

“Andremo con gioia alla Casa del Signore”. Papa Francesco ha preso spunto dal Salmo di oggi, recitato dopo la Prima Lettura, per soffermarsi sulla presenza del Signore nella nostra vita. Una presenza che accompagna. Nella storia del Popolo di Dio, ha osservato il Papa, ci sono “momenti belli che danno gioia” e anche momenti brutti “di dolore, di martirio, di peccato”:

“E sia nei momenti brutti, sia nel momenti belli una cosa sempre è la stessa: il Signore è là, mai abbandona il Suo popolo! Perché il Signore, quel giorno del peccato, del primo peccato, ha preso una decisione, ha fatto una scelta: fare Storia con il Suo popolo. E Dio, che non ha Storia, perché è eterno, ha voluto fare Storia, camminare vicino al Suo popolo. Ma di più: farsi uno di noi e come uno di noi, camminare con noi, in Gesù. E questo ci parla, ci dice dell’umiltà di Dio”.

Ecco allora che la grandezza di Dio, ha soggiunto, è proprio la sua umiltà: “Ha voluto camminare con il suo Popolo”. E quando il suo Popolo “si allontanava da Lui con il peccato, con l’idolatria”, “Lui era lì” ad aspettare. E anche Gesù, ha detto, viene con “questo atteggiamento di umiltà”. Vuole “camminare con il Popolo di Dio, camminare con i peccatori; anche camminare con i superbi”. Il Signore, ha affermato, ha fatto tanto “per aiutare questi cuori superbi dei farisei”:

“Umiltà. Dio sempre aspetta. Dio è accanto a noi, Dio cammina con noi, è umile: ci aspetta sempre. Gesù sempre ci aspetta. Questa è l’umiltà di Dio. E la Chiesa canta con gioia questa umiltà di Dio che ci accompagna, come lo abbiamo fatto con il Salmo. ‘Andremo con gioia alla casa del Signore’: andiamo con gioia perché Lui ci accompagna, Lui è con noi. E il Signore Gesù, anche nella nostra vita personale ci accompagna: con i Sacramenti. Il Sacramento non è un rito magico: è un incontro con Gesù Cristo, ci incontriamo il Signore. E’ Lui che è accanto a noi e ci accompagna”.

Gesù si fa “compagno di cammino”. “Anche lo Spirito Santo – ha soggiunto – ci accompagna e ci insegna tutto quello che noi non sappiamo, nel cuore” e “ci ricorda tutto quello che Gesù ci ha insegnato”. E così “ci fa sentire la bellezza della buona strada”. “Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo – ha ribadito Papa Francesco – sono compagni di cammino, fanno Storia con noi”. E questo, ha proseguito, la Chiesa lo celebra “con tanta gioia, anche nella Eucaristia” con la “quarta preghiera eucaristica” dove “si canta quell’amore tanto grande di Dio che ha voluto essere umile, che ha voluto essere compagno di cammino di tutti noi, che ha voluto anche Lui farsi Storia con noi”.

“E se Lui è entrato nella Storia di noi, entriamo anche noi un po’ nella Storia di Lui, o almeno chiediamoGli la grazia di lasciarci scrivere la Storia da Lui: che Lui ci scriva la nostra Storia. E’ sicura”.


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Caterina63
00giovedì 26 settembre 2013 14:49

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

La preghiera per la pace in Medio Oriente

Mercoledì, 25 settembre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 220, Giov. 26/09/2013)

 

La vergogna dinanzi a Dio, la preghiera per implorare la misericordia divina e la piena fiducia nel Signore. Sono questi i cardini della riflessione proposta da Papa Francesco questa mattina, mercoledì 25 settembre, durante la messa nella cappella di Santa Marta concelebrata con i cardinali Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, e Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, insieme a un gruppo di vescovi maroniti venuti dal Libano, dalla Siria, dalla Terra Santa e da diversi altri Paesi di ogni continente.

Nel commentare le letture della liturgia (Esdra 9, 5-9; Luca 9, 1-6), il Santo Padre ha detto che, in particolare, il brano tratto dal libro di Esdra gli ha fatto pensare ai vescovi maroniti e, come di consueto, ha riassunto il suo pensiero intorno a tre concetti. Innanzitutto l’atteggiamento di vergogna e confusione di Esdra davanti a Dio, fino al punto da non poter alzare gli occhi verso di lui. Vergogna e confusione di tutti noi per i peccati commessi, che ci hanno portato alla schiavitù poiché abbiamo servito idoli che non sono Dio.

La preghiera è il secondo concetto. Seguendo l’esempio di Esdra, che in ginocchio alza le mani verso Dio implorando misericordia, così dobbiamo fare noi per i nostri innumerevoli peccati. Una preghiera che, ha detto il Papa, bisogna elevare anche per la pace in Libano, in Siria e in tutto il Medio Oriente. È la preghiera sempre e comunque, ha precisato, la strada che dobbiamo percorrere per affrontare i momenti difficili, come le prove più drammatiche e il buio che talora ci avvolge in situazioni imprevedibili. Per trovare la via di uscita da tutto ciò, ha sottolineato il Pontefice, bisogna incessantemente pregare.

Infine, fiducia assoluta in Dio che mai ci abbandona. È il terzo concetto proposto dal Santo Padre. Siamo certi, ha detto, che il Signore è con noi e, pertanto, il nostro camminare deve farsi perseverante grazie alla speranza che infonde fortezza. La parola dei pastori diventerà rassicurante per i fedeli: il Signore non ci abbandonerà mai.

Dopo la comunione, il cardinale Bechara Raï ha rivolto al Santo Padre un ringraziamento e un saluto molto cordiali a nome dei vescovi partecipanti, di tutti i maroniti e dell’intero Libano, confermando la loro fedeltà a Pietro e al suo successore «che ci sostiene nel nostro cammino spesso spinoso». In particolare ha ringraziato il Papa per il forte impulso che ha dato alla ricerca della pace: «La sua preghiera e esortazione per la pace in Siria e nel Medio Oriente ha seminato speranza e conforto».





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catechismo

Papa Francesco: non si può conoscere Gesù in prima classe, bisogna coinvolgersi con Lui



Per conoscere Gesù, bisogna coinvolgersi con Lui. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani 26 settembre, alla Casa Santa Marta. Il Papa ha affermato che Gesù non si può conoscere in “prima classe”, ma nella vita quotidiana di tutti i giorni. Quindi, ha indicato i tre linguaggi necessari per conoscere Gesù: “della mente, del cuore e dell’azione”. Il servizio di Alessandro Gisotti: RealAudioMP3

Chi è costui, da dove viene? Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dalla domanda che Erode si pone su Gesù. Un interrogativo, ha detto, che in realtà pongono tutti coloro che incontrano Gesù. E’ una domanda, ha affermato, “che si può fare per curiosità” o si “può fare per sicurezza”. E osserva che, leggendo il Vangelo, vediamo che “alcuni incominciano a sentire paura di questo uomo, perché li può portare a un conflitto politico con i romani”. “Ma chi è questo che fa tanti problemi?”, ci si chiede. Perché davvero, ha detto il Papa, “Gesù fa problemi”:

“Non si può conoscere Gesù senza avere problemi. E io oserò dire: ‘Ma se tu vuoi avere un problema, vai per la strada di conoscere Gesù. Non uno, tanti ne avrai!’. Ma è la strada per conoscere Gesù! Non si può conoscere Gesù in prima classe! Gesù si conosce nell’andare quotidiano di tutti i giorni. Non si può conoscere Gesù nella tranquillità, neppure nella biblioteca… Conoscere Gesù!”.

Certo, ha aggiunto, “si può conoscere Gesù nel Catechismo”, perché “il Catechismo ci insegna tante cose su Gesù”. E, ha detto, “dobbiamo studiarlo, dobbiamo impararlo”. Così “conosciamo il Figlio di Dio, che è venuto per salvarci; capiamo tutta la bellezza della storia della Salvezza, dell’amore del Padre, studiando il Catechismo”. E tuttavia, ha osservato, quanti hanno letto il Catechismo della Chiesa Cattolica da quando è stato pubblicato oltre 20 anni fa?

“Sì, si deve conoscere Gesù nel Catechismo. Ma non è sufficiente conoscerlo con la mente: è un passo. Ma Gesù è necessario conoscerlo nel dialogo con Lui, parlando con Lui, nella preghiera, in ginocchio. Se tu non preghi, se tu non parli con Gesù, non lo conosci. Tu sai cose di Gesù, ma non vai con quella conoscenza che ti dà il cuore nella preghiera. Conoscere Gesù con la mente, lo studio del Catechismo; conoscere Gesù col cuore, nella preghiera, nel dialogo con Lui. Questo ci aiuta abbastanza, ma non è sufficiente... C’è una terza strada per conoscere Gesù: è la sequela. Andare con Lui, camminare con Lui”.

Bisogna “andare, percorrere le sue strade, camminando”. E’ necessario, ha affermato, “conoscere Gesù col linguaggio dell’azione”. Ecco allora come si può conoscere davvero Gesù con questi “tre linguaggi - della mente, del cuore e dell’azione”. Se, dunque, “io conosco Gesù così – è stata la sua conclusione - mi coinvolgo con Lui”:

“Non si può conoscere Gesù senza coinvolgersi con Lui, senza scommettere la vita per Lui. Quando tanta gente - anche noi - si fa questa domanda ‘Ma chi è questo?’, la Parola di Dio ci risponde: ‘Tu vuoi conoscere chi sia questo? Leggi quello che la Chiesa ti dice di Lui, parla con Lui nella preghiera e cammina sulla sua strada con Lui. Così, tu conoscerai chi è quest’uomo’. Questa è la strada! Ognuno deve fare la sua scelta!”.




del sito Radio Vaticana 


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Il Papa: il cristiano non evita la Croce ma porta le umiliazioni con gioia e pazienza



La prova per capire se si è cristiani sta nella “capacità di portare con gioia e pazienza le umiliazioni”. Papa Francesco ha sottolineato questo aspetto della vita di fede nell’omelia della Messa celebrata questa mattina 27 settembre in Casa Santa Marta. Il Papa ha messo nuovamente in guardia dalla “tentazione del benessere spirituale”, che impedisce di amare Cristo con tutto se stessi. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

Sì, “ma fino a un certo punto”. Il pericolo della tiepidezza, di una fede fatta di calcoli e passi trattenuti, è sempre dietro l’angolo. E Papa Francesco la snida con il consueto argomentare, che non lascia spazio a scuse. Punto di partenza, il Vangelo di Luca, nel brano in cui Gesù chiede prima ai discepoli cosa dica la gente di Lui e poi cosa dicano loro stessi, fino alla risposta di Pietro: “Il Cristo di Dio”. “Questa domanda è rivolta anche a noi”, osserva il Papa, che elenca subito dopo una serie di risposte dalle quali trapela l’essenza di una fede matura per metà. “Per te chi sono io? Il padrone di questa ditta, un buon profeta, un buon maestro, uno che ti fa bene al cuore?” – che pure è “tutto vero”. Sono “Uno che cammina con te nella vita, che ti aiuta ad andare avanti, a essere un po’ buono?”. Sì, è vero, ma non finisce lì:

“E’ stato lo Spirito Santo a toccare il cuore di Pietro per dire chi è Gesù. Se è il Cristo, il Figlio di Dio vivo, è un mistero, eh? Chi può spiegare quello... Ma Lui l’ha detto. E se ognuno di noi, nella sua preghiera, guardando il Tabernacolo, dice al Signore tu: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo', primo non può dirlo da se stesso, deve essere lo Spirito Santo a dirlo in lui. E, secondo, preparati, perché Lui ti risponderà: ‘E’ vero’”.

Alla risposta di Pietro, Gesù chiede di non rivelarlo a nessuno e poi annuncia la sua Passione, la sua morte e la sua Risurrezione. E qui, Papa Francesco ricorda la reazione del capo degli Apostoli, descritta nel Vangelo di San Matteo, che dichiara: “Questo non ti accadrà mai”. “Pietro – commenta il Papa – si spaventa, si scandalizza”, né più né meno di tanti cristiani che dicono: “Mai ti succederà questo! Io ti seguo fino a qui”. Un modo, cioè – pungola Papa Francesco – di “seguire Gesù per conoscerlo fino a un certo punto”:

“E questa è la tentazione del benessere spirituale. Abbiamo tutto: abbiamo la Chiesa, abbiamo Gesù Cristo, i Sacramenti, la Madonna, tutto, un bel lavoro per il Regno di Dio; siamo buoni, tutti. Perché almeno dobbiamo pensare questo, perché se pensiamo il contrario è peccato! Ma non basta con il benessere spirituale fino ad un certo punto. Come quel giovane che era ricco: voleva andare con Gesù, ma fino ad un certo punto. Manca quest’ultima unzione del cristiano, per essere cristiano davvero: l’unzione della croce, l’unzione dell’umiliazione. Lui umiliò se stesso fino alla morte, morte di tutto. Questa è la pietra di paragone, la verifica della nostra realtà cristiana: sono un cristiano della cultura del benessere? Sono un cristiano che accompagna il Signore fino alla croce? Il segno è la capacità di portare le umiliazioni”.

Lo scandalo della Croce continua però a bloccare molti cristiani. Tutti – constata Papa Francesco – vogliono risorgere, ma “non tutti” intendono farlo per la strada della Croce. E anzi, si lamentano dei torti o degli affronti subiti, comportandosi all’opposto di ciò che Gesù ha fatto e chiede di imitare:

“La verifica se un cristiano è un cristiano davvero è la sua capacità di portare con gioia e con pazienza le umiliazioni; e come questa è una cosa che non piace... ci sono tanti cristiani che, guardando il Signore, chiedono umiliazioni per assomigliare più a Lui. Questa è la scelta: o cristiano di benessere – che andrai al Cielo, eh?, sicuro ti salverai, eh? – o cristiano vicino a Gesù, per la strada di Gesù”.



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Caterina63
00sabato 28 settembre 2013 12:21

gendarmeria

Il Papa al Corpo dei gendarmi: difendete il Vaticano dalla zizzania delle chiacchiere



La “chiacchiere” sono una “lingua vietata” in Vaticano, perché è una lingua che genera il male. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta questa mattina, 28 settembre, al cospetto del Corpo della Gendarmeria Vaticana, nei pressi della Grotta di Lourdes dei Giardini Vaticani, per San Michele Arcangelo loro protettore. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Nella rocca del Vaticano, il male ha un passaggio attraverso il quale s’insinua per spargere il suo veleno: è la “chiacchiera”, quella che porta l’uno a parlare male dell’altro e distrugge l'unità. E dal contagio di questa “zizzania” nessuno è immune. Davanti agli uomini della Gendarmeria Vaticana che lo guardano schierati, Papa Francesco si sottrae da una riflessione giusta ma forse scontata sul ruolo del gendarme difensore della sicurezza del Vaticano, per mettere nel mirino un altro avversario molto più subdolo della delinquenza comune e contro il quale è fondamentale ingaggiare la “lotta”:

“Qualcuno di voi potrà dirmi: ‘Ma, padre, noi come c’entriamo qui col diavolo? Noi dobbiamo difendere la sicurezza di questo Stato, di questa città: che non ci siano i ladri, che non ci siano i delinquenti, che non vengano i nemici a prendere la città’. Ma, anche quello è vero, ma Napoleone non tornerà più, eh? Se ne è andato. E non è facile che venga un esercito qui a prendere la città. La guerra oggi, almeno qui, si fa altrimenti: è la guerra del buio contro la luce; della notte contro il giorno”.

Per questo, prosegue Papa Francesco, “vi chiedo non solo di difendere le porte, le finestre del Vaticano” – peraltro un lavoro necessario e importante – ma di difendere “come il vostro patrono San Michele” le porte del cuore di chi lavora in Vaticano, dove la tentazione “entra” esattamente come altrove:

“Ma c’è una tentazione... Ma, io vorrei dirla – la dico così per tutti, anche per me, per tutti – però è una tentazione che al diavolo piace tanto: quella contro l’unità, quando le insidie vanno proprio contro l’unità di quelli che vivono e lavorano in Vaticano. E il diavolo cerca di creare la guerra interna, una sorta di guerra civile e spirituale, no? E’ una guerra che non si fa con le armi, che noi conosciamo: si fa con la lingua”.

Una lingua armata appunto dalle “chiacchiere”, sorta di veleno dal quale Papa Francesco mette costantemente in guardia. E questo è ciò “che chiedo a voi”, incalza quindi il Papa all’indirizzo dei gendarmi, “di difenderci mutuamente dalle chiacchiere”:

Chiediamo a San Michele che ci aiuti in questa guerra: mai parlare male uno dell’altro, mai aprire le orecchie alle chiacchiere. E se io sento che qualcuno chiacchiera, fermarlo! ‘Qui non si può: gira la porta di Sant’Anna, va fuori e chiacchiera là! Qui non si può!’ ... è quello, eh? Il buon seme sì: parlare bene uno dell’altro sì, ma la zizzania no!”.





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Chiedere la grazia di non fuggire la Croce: così il Papa a Santa Marta



Chiedere la grazia di non fuggire la Croce: questa la preghiera del Papa durante la Messa di stamane, 28, a Santa Marta. L’omelia ha preso lo spunto dal Vangelo del giorno in cui Gesù annuncia ai discepoli la sua passione. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3

“Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini”: queste parole di Gesù –afferma il Papa – gelano i discepoli che pensavano a un cammino trionfante. Parole che “restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso” e “avevano timore di interrogarlo su questo argomento”: per loro era “meglio non parlare”, era “meglio non capire che capire la verità” che Gesù diceva:

“Avevano paura della Croce, avevano paura della Croce. Lo stesso Pietro, dopo quella confessione solenne nella regione della Cesarea di Filippo, quando Gesù un’altra volta dice questo, rimprovera il Signore: ‘No, mai, Signore! Questo no!’. Aveva paura della Croce. Ma non solo i discepoli, non solo Pietro, lo stesso Gesù aveva paura della Croce! Lui non poteva ingannarsi, Lui sapeva. Tanta era la paura di Gesù che quella sera del giovedì ha sudato il sangue; tanta era la paura di Gesù che quasi ha detto lo stesso di Pietro, quasi… ‘Padre, toglimi questo calice. Si faccia la tua volontà!’. Questa era la differenza!”.

La Croce ci fa paura anche nell’opera di evangelizzazione, ma – osserva il Papa – c’è la “regola” che “il discepolo non è più grande del Maestro. C’è la regola che non c’è redenzione senza l’effusione del sangue”, non c’è opera apostolica feconda senza la Croce:

“Forse noi pensiamo, ognuno di noi può pensare: ‘E a me, a me cosa accadrà? Come sarà la mia Croce?’. Non sappiamo. Non sappiamo, ma ci sarà! Dobbiamo chiedere la grazia di non fuggire dalla Croce quando verrà: con paura, eh! Quello è vero! Quello ci fa paura. Ma la sequela di Gesù finisce là. Mi vengono in mente le ultime parole che Gesù ha detto a Pietro, in quella incoronazione pontificia nel Tiberiade: ‘Mi ami? Pasci! Mi ami? Pasci!’… Ma le ultime parole erano quelle: ‘Ti porteranno dove tu non vuoi andare!’. La promessa della Croce”.

Il Papa conclude la sua omelia con una preghiera a Maria:

“Vicinissima a Gesù, nella Croce, era sua madre, la sua mamma. Forse oggi, il giorno che noi la preghiamo, sarà buono chiederle la grazia non di togliere il timore – quello deve venire, il timore della Croce… - ma la grazia di non spaventarci e fuggire dalla Croce. Lei era lì e sa come si deve stare vicino alla Croce”.




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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

L’aria della Chiesa

Lunedì, 30 settembre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 224, Lun. 30-Mart. 01/10/2013)

 

Pace e gioia: «questa è l’aria della Chiesa». Commentando le letture della messa celebrata nella mattina di lunedì 30 settembre, nella cappella di Santa Marta, Papa Francesco si è soffermato sull’atmosfera che si respira quando la Chiesa sa cogliere la presenza costante del Signore. Un’atmosfera di pace, appunto, dove regna la gioia del Signore.

Gli episodi di riferimento sono quelli tratti dal libro di Zaccaria (8, 1-8) — con la profezia delle piazze di Gerusalemme che si riempiranno di vecchi appoggiati al bastone, per manifestare il valore della loro longevità, accanto a giovani che giocano felici, per mostrare la gioia del popolo di Dio — e dal brano del Vangelo di Luca (9, 46-50) che narra della disputa sorta tra gli apostoli su chi fosse il più grande tra di loro.

Nei due brani il Pontefice vede una sorta di discussione, o meglio, uno scambio di opinioni sull’organizzazione della Chiesa. Ma, ha ricordato, «al Signore piace sorprendere» e così «sposta il centro della discussione»: prende un bambino accanto a sé e dice: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». E i discepoli non capivano.

«Nella prima lettura — ha specificato il Papa — abbiamo sentito la promessa di Dio al suo popolo: tornerò a Sion, dimorerò a Gerusalemme e Gerusalemme sarà chiamata città fedele. Il Signore tornerà». Ma «quali sono i segni che il Signore è tornato? Una bella organizzazione? Un governo che vada avanti tutto pulito, tutto perfetto?» si è domandato. Per rispondere il Santo Padre ha riproposto l’immagine della piazza di Gerusalemme gremita di vecchi e di bambini.

Dunque «quelli che lasciamo da parte quando pensiamo a un programma di organizzazione — ha affermato — saranno il segno della presenza di Dio: i vecchi e i bambini. I vecchi perché portano con loro la saggezza, la saggezza della loro vita, la saggezza della tradizione, la saggezza della storia, la saggezza della legge di Dio; e i bambini perché sono anche la forza, il futuro, quelli che porteranno avanti con la loro forza e con la loro vita il futuro».

Il futuro di un popolo — ha ribadito Papa Francesco — «è proprio qui e qui, nei vecchi e nei bambini. E un popolo che non si prende cura dei suoi vecchi e dei suoi bambini non ha futuro, perché non avrà memoria e non avrà promessa. I vecchi e i bambini sono il futuro di un popolo».

Purtroppo, ha aggiunto, è una triste consuetudine mettere da parte i bambini «con una caramella o con un gioco». Così come lo è il non lasciar parlare i vecchi e «fare a meno dei loro consigli». Eppure Gesù raccomanda di prestare massima attenzione ai bambini, di non scandalizzarli; così come ricorda che «l’unico comandamento che porta con sé una benedizione è proprio il quarto, quello sui genitori, sui vecchi: onorare».

I discepoli volevano naturalmente «che la Chiesa andasse avanti senza problemi. Ma questo — ha avvertito il Pontefice — può diventare una tentazione per la Chiesa: la Chiesa del funzionalismo, la Chiesa ben organizzata. Tutto a posto». Ma non è così, perché sarebbe una Chiesa «senza memoria e senza promessa»; e questo certamente «non può andare».

«Il profeta — ha proseguito il Santo Padre — ci dice della vitalità della Chiesa. Non ci dice però: ma io sarò con voi e tutte le settimane avrete un documento per pensare; ogni mese faremo una riunione per pianificare». Tutto ciò, ha aggiunto, è necessario ma non è il segno della presenza di Dio. Quale sia questo segno lo dice il Signore: «Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. E le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle che giocheranno sulle sue piazze».

«Il gioco — ha concluso il vescovo di Roma — ci fa pensare alla gioia. È la gioia del Signore. E questi anziani seduti con il bastone in mano, ci fanno pensare alla pace. Pace e gioia, questa è l’aria della Chiesa».


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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

L’umiltà è la forza del Vangelo

Il Papa invita a pregare per il lavoro del Consiglio di cardinali

Martedì, 1° ottobre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 225, Merc. 02/10/2013)

 

«Oggi, qui in Vaticano, comincia la riunione con i cardinali consultori che stanno già concelebrando nella messa: chiediamo al Signore che il nostro lavoro di oggi ci faccia tutti più umili, più miti, più pazienti, più fiduciosi di Dio. Perché così la Chiesa possa dare una bella testimonianza alla gente. E vedendo il popolo di Dio, vedendo la Chiesa, sentano la voglia di venire con noi».
Sono le parole di Papa Francesco, a conclusione dell’omelia della messa celebrata con i componenti del Consiglio di cardinali martedì mattina, 1° ottobre, nella cappella di Santa Marta. E nel giorno della festa di santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni, il Papa ne ha ricordato la testimonianza di fede e di umiltà.

Papa Francesco ha iniziato l’omelia commentando il passo evangelico di Luca (9, 51-56): «Gesù — ha detto — rimprovera questi due apostoli», Giacomo e Giovanni, perché «volevano che scendesse il fuoco dal cielo sopra quelli che non avevano voluto riceverlo» in un villaggio di samaritani. E «forse nella sua immaginazione c’era l’archetipo del fuoco che è sceso su Sodoma e Gomorra e ha distrutto tutto».
I due apostoli, ha spiegato il Pontefice, «sentivano che chiudere la porta a Gesù era una grande offesa: queste persone dovevano essere punite». Ma «il Signore si voltò e li rimproverò: questo non è il nostro spirito». Infatti, ha aggiunto Papa Francesco, «il Signore va sempre avanti, ci fa conoscere come è la strada del cristiano. Non è, in questo caso, una strada di vendetta. Lo Spirito cristiano è un’altra cosa, dice il Signore. È lo spirito che lui ci farà vedere nel momento più forte della sua vita, nella passione: spirito di umiltà, spirito di mitezza».

«E oggi, nella ricorrenza di santa Teresa di Gesù Bambino — ha affermato il vescovo di Roma — ci farà bene pensare a questo spirito di umiltà, di tenerezza, di bontà. Questo spirito mite proprio del Signore che vuole da tutti noi. Dov’è la forza che ci porta a questo spirito? Proprio nell’amore, nella carità, nella consapevolezza che noi siamo nelle mani del Padre. Come leggevamo all’inizio della messa: il Signore ci porta, ci porta su, ci fa andare avanti, è con noi, ci guida».

Il libro del Deuteronomio, ha proseguito il Pontefice, «dice che Dio ci guida come un padre guida il suo bambino: con tenerezza. Quando si sente questo, non viene la voglia di far scendere un fuoco dal cielo. No, non viene. Viene l’altro spirito»: lo spirito «di quella carità che tutto soffre, tutto perdona, che non si vanta, che è umile, che non cerca se stessa».

Papa Francesco ha riproposto a questo punto la forza e l’attualità della figura di santa Teresa di Gesù Bambino: «La Chiesa saggia ha fatto questa santa — umile, piccola, fiduciosa di Dio, mite — patrona delle missioni. Non si capisce questo. La forza del Vangelo è proprio lì, perché il Vangelo arriva proprio al punto più alto nell’umiliazione di Gesù. Umiltà che diviene umiliazione. E la forza del Vangelo è proprio nell’umiltà. Umiltà del bambino che si lascia guidare dall’amore e dalla tenerezza del Padre».

Il Pontefice è quindi tornato alla prima lettura della celebrazione, tratta dal libro di Zaccaria (8, 20-23). «In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle nazioni afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: “Vogliamo venire con voi perché abbiamo udito che Dio è con voi”».

E ha così proseguito: «La Chiesa, ci diceva Benedetto XVI, cresce per attrazione, per testimonianza. E quando la gente, i popoli vedono questa testimonianza di umiltà, di mitezza, di mansuetudine, sentono il bisogno» di cui parla «il profeta Zaccaria: “Vogliamo venire con voi!”.

La gente sente quel bisogno davanti alla testimonianza della carità. È questa carità pubblica senza prepotenza, non sufficiente, umile, che adora e serve. È semplice la carità: adorare Dio e servire gli altri. Questa testimonianza fa crescere la Chiesa». Proprio per questo, ha concluso Papa Francesco, santa Teresa di Gesù Bambino «tanto umile, ma tanto fiduciosa in Dio, è stata nominata patrona delle missioni, perché il suo esempio fa che la gente dica: vogliamo venire con voi».

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Caterina63
00giovedì 3 ottobre 2013 11:42



Il Papa: non trasformiamo la memoria in semplice ricordo, la Messa non è un evento sociale



“Quando Dio viene e si avvicina sempre c’è festa”: è quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta, 3 ottobre 2013, alla quale hanno partecipato anche i porporati del “Consiglio di cardinali” riunito in questi giorni in Vaticano con il Pontefice. Nell’omelia, il Papa ha sottolineato che non bisogna trasformare la memoria della salvezza in un ricordo, in “un evento abituale”. La Messa, ha ribadito, non è un evento sociale ma presenza del Signore in mezzo a noi. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Esdra legge dall’alto il Libro della Legge, che si pensava perduto, e il popolo commosso piange di gioia. Papa Francesco ha preso spunto dal brano del Libro di Neemia, nella Prima lettura di oggi, per incentrare la sua omelia sul tema della memoria. Il Popolo di Dio, ha osservato, “aveva la memoria della Legge, ma era una memoria lontana”, in quel giorno invece “la memoria si è fatta vicina” e “questo tocca il cuore”. Piangevano “di gioia, non di dolore”, ha detto, “perché avevano l’esperienza della vicinanza della salvezza”:

“E questo è importante non solamente nei grandi momenti storici, ma nei momenti della nostra vita: tutti abbiamo la memoria della salvezza, tutti. Ma mi domando: questa memoria è vicina a noi, o è una memoria un po’ lontana, un po’ diffusa, un po’ arcaica, un po’ di museo … può andarsene lontano … E quando la memoria non è vicina, quando noi non abbiamo questa esperienza della vicinanza della memoria, questa entra in un processo di trasformazione, e la memoria diventa un semplice ricordo”.

Quando la memoria si fa lontana, ha aggiunto, “si trasforma in ricordo; ma quando si fa vicina, si trasforma in gioia e questa è la gioia del popolo”. Questo, ha detto ancora, costituisce “un principio della nostra vita cristiana”. Quando la memoria si fa vicina, ha ribadito, “fa due cose: riscalda il cuore e ci dà gioia”:

“E questa gioia è la nostra forza. La gioia della memoria vicina. Invece, la memoria addomesticata, che si allontana e diventa un semplice ricordo, non riscalda il cuore, non ci dà gioia e non ci dà forza. Questo incontro con la memoria è un evento di salvezza, è un incontro con l’amore di Dio che ha fatto storia con noi e ci ha salvati; è un incontro di salvezza. Ed è tanto bello essere salvati, che bisogna fare festa”.

“Quando Dio viene e si avvicina – ha affermato - sempre c’è festa”. E “tante volte – ha constatato – noi cristiani abbiamo paura della festa: questa festa semplice e fraterna che è un dono della vicinanza del Signore”. La vita, ha soggiunto, “ci porta ad allontanare questa vicinanza, soltanto a mantenere il ricordo della salvezza, non la memoria che è viva”. La Chiesa, ha sottolineato, ha la “sua memoria”: la “memoria della Passione del Signore”. Anche a noi, ha avvertito, accade però “di allontanare questa memoria e trasformarla in un ricordo, in un evento abituale”:

“Ogni settimana andiamo in chiesa, oppure è morto quello, andiamo al funerale … e questa memoria, tante volte, ci annoia, perché non è vicina. E’ triste, ma la Messa tante volte si trasforma in un evento sociale e non siamo vicini alla memoria della Chiesa, che è la presenza del Signore davanti a noi. Immaginiamo questa bella scena nel Libro di Neemia: Esdra che porta il Libro della memoria di Israele e il popolo che si avvicina alla sua memoria e piange, il cuore è riscaldato, è gioioso, sente che la gioia del Signore è la sua forza. E fa festa, senza paura, semplicemente”.

“Chiediamo al Signore – ha concluso il Papa – la grazia di avere sempre la sua memoria vicina a noi, una memoria vicina e non addomesticata dall’abitudine, da tante cose, e allontanata in un semplice ricordo”.




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Il Papa: un “lontano” può ascoltare la voce del Signore, il "vicino" può chiudere il cuore a Dio



Lasciamoci scrivere la nostra vita da Dio. E’ l’esortazione levata stamani, 7 ottobre,  da Papa Francesco che, nella Messa alla Casa Santa Marta, si è soffermato sulle figure di Giona e del Buon Samaritano. A volte, ha osservato il Papa, può succedere che anche un cristiano, un cattolico fugga da Dio, mentre un peccatore, considerato lontano da Dio, ascolti la voce del Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

Giona serve il Signore, prega tanto e fa del bene, ma quando il Signore lo chiama comincia a fuggire. Papa Francesco ha svolto la sua omelia incentrandola sul tema della “fuga da Dio”. Giona, sottolinea, “aveva la sua storia scritta” e “non voleva essere disturbato”. Il Signore lo invia a Ninive e lui “prende una nave per la Spagna. Fuggiva dal Signore”:

“La fuga da Dio. Si può fuggire da Dio, ma [pur] essendo cristiano, essendo cattolico, essendo dell’Azione Cattolica, essendo prete, vescovo, Papa … tutti, tutti possiamo fuggire da Dio! E’ una tentazione quotidiana.
Non ascoltare Dio, non ascoltare la sua voce, non sentire nel cuore la sua proposta, il suo invito. Si può fuggire direttamente.
Ci sono altre maniere di fuggire da Dio, un po’ più educate, un po’ più sofisticate, no? Nel Vangelo, c’è quest’uomo mezzo morto, buttato sul pavimento della strada, e per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada – un degno sacerdote, proprio con la talare, bene, bravissimo! Ha visto e ha guardato: ‘Arrivo tardi a Messa’, e se n’è andato oltre. Non aveva sentito la voce di Dio, lì”.


Passa poi un levita, che, dice il Papa, avrà forse pensato: “Se io lo prendo o se io mi avvicino, forse sarà morto, e domani devo andare dal giudice e dare la testimonianza…” e passò oltre. Anche lui, osserva il Papa, fugge “da questa voce di Dio”. E aggiunge: “Soltanto ha la capacità di capire la voce di Dio uno che abitualmente fuggiva da Dio, un peccatore”, un samaritano. Questo, constata, “è un peccatore, lontano da Dio”, eppure “ha sentito la voce di Dio e si è avvicinato”. Il samaritano, osserva, “non era abituato alle pratiche religiose, alla vita morale, anche teologicamente era sbagliato”, perché i samaritani “credevano che Dio si dovesse adorare da un’altra parte e non dove voleva il Signore”. E tuttavia, è stata la sua riflessione, il samaritano “ha capito che Dio lo chiamava, e non fuggì”. “Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite versandovi olio e vino, poi lo caricò sulla cavalcatura” e ancora “lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Ha perso tutta la serata”:

“Il sacerdote è arrivato in tempo per la Santa Messa, e tutti i fedeli contenti; il levita ha avuto, il giorno dopo, una giornata tranquilla secondo quello che lui aveva pensato di fare, perché non ha avuto tutto questo imbroglio di andare dal giudice e tutte queste cose … E perché Giona fuggì da Dio? Perché il sacerdote fuggì da Dio? Perché il levita fuggì da Dio? Perché avevano il cuore chiuso, e quando tu hai il cuore chiuso, non può sentire la voce di Dio. Invece, un samaritano che era in viaggio ‘vide e ne ebbe compassione’: aveva il cuore aperto, era umano. E l’umanità lo avvicinò”.

“Giona – osserva il Papa - aveva un disegno della sua vita: lui voleva scrivere la sua storia” e così anche il sacerdote e il levita. “Un disegno di lavoro”. Invece, prosegue il Pontefice, questo peccatore, il samaritano “si è lasciato scrivere la vita da Dio: ha cambiato tutto, quella sera, perché il Signore gli ha avvicinato la persona di questo povero uomo, ferito, malamente ferito, buttato sulla strada”:

“Io mi domando, a me, e domando anche a voi: ci lasciamo scrivere la vita, la nostra vita, da Dio o vogliamo scriverla noi? E questo ci parla della docilità: siamo docili alla Parola di Dio? ‘Sì, io voglio essere docile!’. Ma tu, hai capacità di ascoltarla, di sentirla? Tu hai capacità di trovare la Parola di Dio nella storia di ogni giorno, o le tue idee sono quelle che ti reggono, e non lasci che la sorpresa del Signore ti parli?”

“Tre persone che sono in fuga da Dio – ha riassunto il Papa - e un’altra in situazione irregolare” che è “capace di ascoltare, aprire il cuore e non fuggire”. Sono sicuro, ha detto il Pontefice, che tutti noi vediamo che “il samaritano, il peccatore, non è fuggito da Dio”. Il Signore, ha concluso, “ci conceda di sentire la voce del Signore, la Sua voce, che ci dice: Va e anche tu fa così!”.


del sito Radio Vaticana 

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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Chi sceglie la parte migliore

Martedì, 8 ottobre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 231, Merc. 09/10/2013)

 

Pregare significa aprire la porta al Signore affinché possa fare qualcosa per risistemare le nostre cose. Il sacerdote che fa il suo dovere, ma non apre la porta al Signore, rischia di diventare solo un “professionista”. Papa Francesco, durante la messa celebrata questa mattina martedì 8 ottobre, nella cappella di Santa Marta, si è soffermato sul valore della preghiera: non quella “a pappagallo” ma quella “fatta con il cuore” che porta «a guardare il Signore, ad ascoltare il Signore, a chiedere al Signore».

La riflessione si è sviluppata a partire dalle letture della liturgia, tratte dal libro di Giona (3, 1-10) e dal Vangelo di Luca (10, 38-42). In particolare, facendo riferimento al brano evangelico il Pontefice ha proposto come modello da seguire l’atteggiamento di Maria, una delle due donne che avevano ospitato Gesù nella loro casa. Maria infatti si ferma ad ascoltare e a guardare il Signore, mentre Marta, la sorella, continua a occuparsi delle faccende di casa.

«La parola del Signore — ha esordito il Papa — è chiara: Maria ha scelto la parte migliore, quella della preghiera, quella della contemplazione di Gesù. Agli occhi della sorella era perdere tempo». Maria si ferma a guardare il Signore come una bambina meravigliata, «invece di lavorare come faceva lei».

L’atteggiamento di Maria è quello giusto perché, ha spiegato il Pontefice, ella «ascoltava il Signore e pregava con il suo cuore». Ecco cosa «vuole dirci il Signore. Il primo compito nella vita è questo: la preghiera. Ma non la preghiera delle parole come i pappagalli, ma la preghiera del cuore», attraverso la quale è possibile «guardare il Signore, ascoltare il Signore, chiedere al Signore. E noi sappiamo che la preghiera fa dei miracoli».

La stessa cosa insegna l’episodio narrato nel libro di Giona: un “testardo” lo ha definito il Santo Padre perché «non voleva fare quello che il Signore gli chiedeva». Solo dopo che il Signore lo ebbe salvato dal ventre di una balena, ha ricordato il Pontefice, Giona si decise: «Signore farò quello che tu dici. E andò per le strade di Ninive» annunciando la sua profezia: la città sarebbe stata distrutta da Dio se i cittadini non avessero cambiato in meglio il loro modo di vivere. Giona «era un profeta “professionista” — ha precisato il vescovo di Roma — e diceva: ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta. Lo diceva seriamente, con forza. E questi niniviti si sono spaventati e hanno cominciato a pregare con le parole, con il cuore, con il corpo. La preghiera ha fatto il miracolo».

Anche in questo racconto, ha affermato Papa Francesco, «si vede quello che Gesù dice a Marta: Maria ha scelto la parte migliore. La preghiera fa miracoli, davanti ai problemi» che ci sono nel mondo. Ma ci sono anche quelli che il Papa ha definito «pessimisti». Queste persone «dicono: niente si può cambiare, la vita è così. Mi fa pensare a una canzone triste della mia terra che dice: lasciamo perdere. Laggiù nel forno ci incontreremo tutti».

Certo, ha sottolineato, è una visione «un po’ pessimista della vita» che ci porta a chiederci: «Perché pregare? Ma lascia perdere, la vita è così! Andiamo avanti. Facciamo quello che possiamo». È questo l’atteggiamento avuto da Marta, ha spiegato il Pontefice, la quale «faceva cose, ma non pregava». E poi c’è il comportamento di altri, come quel «testardo Giona». Questi sono «i giustizieri». Giona «andava e profetizzava; ma nel suo cuore diceva: se la meritano, se la meritano, se la sono cercata. Lui profetizzava, ma non pregava, non chiedeva al Signore perdono per loro, soltanto li bastonava». Questi, ha sottolineato il Santo Padre, «si credono giusti». Ma alla fine, come è capitato con Giona, si rivelano degli egoisti.

Giona, per esempio, ha spiegato ancora il Papa, quando Dio ha salvato il popolo di Ninive, «si è arrabbiato con il Signore: ma tu sempre sei così, sempre perdoni!». E «anche noi — ha commentato il Pontefice — quando non preghiamo, quello che facciamo è chiudere la porta al Signore» cosicché «lui non possa fare nulla. Invece la preghiera davanti a un problema, a una situazione difficile, a una calamità, è aprire la porta al Signore, perché venga»: lui, infatti, sa «risistemare le cose».

In conclusione Papa Francesco ha esortato a pensare a Maria, la sorella di Marta, che «ha scelto la parte migliore e ci fa vedere la strada, come si apre la porta al Signore», al re di Ninive «che non era un santo», a tutto il popolo: «Facevano cose brutte. Ma quando hanno pregato, digiunato e hanno aperto la porta al Signore, il Signore ha fatto il miracolo del perdono. E pensiamo a Giona che non pregava, fuggiva da Dio sempre. Profetizzava, era forse un buon “professionista”, possiamo dire oggi un buon prete che faceva i suoi compiti, ma mai apriva la porta al Signore con la preghiera. Chiediamo al Signore che ci aiuti a scegliere sempre la parte migliore».

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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Il coraggio della preghiera

Giovedì, 10 ottobre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 233, Ven 09/10/2013)

 

La nostra preghiera deve essere coraggiosa, non tiepida, se vogliamo non solo ottenere le grazie necessarie ma soprattutto, attraverso essa, conoscere il Signore. Se lo chiediamo, sarà lui stesso a portarci la sua grazia. Papa Francesco questa mattina, 10 ottobre, durante la messa celebrata a Santa Marta, è tornato a parlare della forza e del coraggio della preghiera.

Alla necessità di pregare con insistenza se necessario, ma sempre lasciandosi coinvolgere da essa, richiama il brano liturgico del Vangelo di Luca (11, 5-13) «con questa parabola — ha spiegato il Pontefice — dell’amico invadente, l’amico inopportuno», che a notte fonda va a chiedere a un altro amico del pane per sfamare un conoscente appena giunto in casa sua e al quale non aveva nulla da offrire. «Con questa richiesta — ha notato — l’amico deve alzarsi dal letto e dargli il pane. E Gesù in un’altra occasione ci parla di questo: nella parabola della vedova che andava dal giudice corrotto, il quale non la sentiva, non voleva sentirla; ma lei era tanto importuna, infastidiva tanto, che alla fine, per allontanarla in modo che non le desse troppo fastidio, ha fatto giustizia, quello che lei chiedeva. Questo ci fa pensare alla nostra preghiera. Come preghiamo noi? Preghiamo così per abitudine, pietosamente, ma tranquilli, o ci mettiamo con coraggio davanti al Signore per chiedere la grazia, per chiedere quello per il quale preghiamo?».

L’atteggiamento è importante perché «una preghiera che non sia coraggiosa — ha affermato il Pontefice — non è una vera preghiera». Quando si prega ci vuole «il coraggio di avere fiducia che il Signore ci ascolta, il coraggio di bussare alla porta. Il Signore lo dice, perché chiunque chiede riceve e a chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto».

Ma, si è chiesto il Santo Padre, la nostra preghiera è così? Oppure ci limitiamo a dire: «Signore ho bisogno, fammi la grazia»? In una parola, «ci lasciamo coinvolgere nella preghiera? Sappiamo bussare al cuore di Dio?». Per rispondere il vescovo di Roma è tornato al brano evangelico, alla fine del quale «Gesù ci dice: quale padre tra voi se il figlio gli chiede un pesce gli darà una serpe? O se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione? Se voi siete padri darete il bene ai figli. E poi va avanti: se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo... E ci aspettiamo che prosegua dicendo: darà cose buone a voi. Invece no, non dice quello! Darà lo Spirito Santo a quelli che lo chiedono. E questa è una cosa grande».

Perciò «quando noi preghiamo coraggiosamente, il Signore non solo ci dà la grazia, ma ci dà anche se stesso nella grazia». Perché «il Signore — ha spiegato il Papa con un’espressione incisiva — mai dà o invia una grazia per posta: la porta lui, è lui la grazia!».

«Oggi — ha detto in conclusione — nella preghiera, nella colletta, abbiamo detto al Signore di darci quello che anche la preghiera non osa chiedere. E che cosa è quello che noi non osiamo chiedere? Lui stesso! Noi chiediamo una grazia, ma non osiamo dire: vieni tu a portarmela. Sappiamo che una grazia sempre è portata da lui: è lui che viene e ce la dà. Non facciamo la brutta figura di prendere la grazia e non riconoscere che quello che ce la porta, quello che ce la dà, è il Signore».

 


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Il Papa: il demonio non si vince con atteggiamenti a metà, seguire Gesù senza sfumature



Dobbiamo sempre vigilare contro l’inganno del demonio. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani 11 ottobre a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che non si può seguire la vittoria di Gesù sul male “a metà” e ha ribadito che non dobbiamo confondere, relativizzare la verità nella lotta contro il demonio. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

Gesù scaccia i demoni e qualcuno comincia a dare spiegazioni “per diminuire la forza del Signore”. Papa Francesco incentra l’omelia sul Vangelo odierno e subito sottolinea che sempre c’è la tentazione di voler sminuire la figura di Gesù come fosse “al massimo un guaritore”, da non prendere “tanto sul serio”. Un atteggiamento, ha osservato, che è “arrivato ai nostri giorni”:

“Ci sono alcuni preti che quando leggono questo brano del Vangelo, questo e altri, dicono: ‘Ma, Gesù ha guarito una persona da una malattia psichica’. Non leggono questo qui, no? E’ vero che in quel tempo si poteva confondere un’epilessia con la possessione del demonio; ma è anche vero che c’era il demonio! E noi non abbiamo diritto di fare tanto semplice la cosa, come per dire: ‘Tutti questi non erano indemoniati; erano malati psichici’. No! La presenza del demonio è nella prima pagina della Bibbia e la Bibbia finisce anche con la presenza del demonio, con la vittoria di Dio sul demonio”.

Per questo, ha avvertito, “non dobbiamo essere ingenui”. Il Papa ha, quindi, osservato che il Signore ci dà alcuni criteri per “discernere” la presenza del male e per andare sulla “strada cristiana quando ci sono le tentazioni”. Uno dei criteri è di “non seguire la vittoria di Gesù sul male” solo “a metà”. “O sei con me – dice il Signore – o sei contro di me”. Gesù, ha soggiunto, è venuto a distruggere il demonio, “a darci la liberazione” dalla “schiavitù del diavolo su di noi”. E, ha ammonito, non si può dire che così “esageriamo”. “In questo punto – ha detto – non ci sono sfumature. C’è una lotta e una lotta dove si gioca la salute, la salute eterna, la salvezza eterna” di tutti noi. C’è poi il criterio della vigilanza. “Dobbiamo sempre vigilare – ha esortato il Papa – vigilare contro l’inganno, contro la seduzione del maligno”:

“E noi possiamo farci la domanda: ‘Io vigilo su di me, sul mio cuore, sui miei sentimenti, sui miei pensieri? Custodisco il tesoro della grazia? Custodisco la presenza dello Spirito Santo in me? O lascio così, sicuro, credo che vada bene?’ Ma se tu non custodisci, viene quello che è più forte di te. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino. La vigilanza!
Ma, tre criteri, eh! Non confondere la verità. Gesù lotta contro il diavolo: primo criterio.
Secondo criterio: chi non è con Gesù, è contro Gesù. Non ci sono atteggiamenti a metà.
Terzo criterio: la vigilanza sul nostro cuore, perché il demonio è astuto. Mai è scacciato via per sempre! Soltanto l’ultimo giorno lo sarà”.

Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, ha rammentato il Papa, “si aggira per luoghi deserti, cercando sollievo e non trovandone dice: ‘Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito’. E quando la trova “spazzata e adorna”. Allora va, “prende altri sette spiriti peggiori di lui, vengono e prendono dimora”. E, così, “l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima”:

“La vigilanza, perché la strategia di lui è quella: ‘Tu ti sei fatto cristiano, vai avanti nella tua fede, io ti lascio, ti lascio tranquillo. Ma poi quando ti sei abituato e non fai tanta vigilanza e ti senti sicuro, io torno’. Il Vangelo di oggi incomincia con il demonio scacciato e finisce con il demonio che torna! San Pietro lo diceva: ‘E’ come un leone feroce, che gira intorno a noi’. E’ così.
‘Ma, Padre, lei è un po’ antico! Ci fa spaventare con queste cose…’. No, io no! E’ il Vangelo! E queste non sono bugie: è la Parola del Signore! Chiediamo al Signore la grazia di prendere sul serio queste cose. Lui è venuto a lottare per la nostra salvezza. Lui ha vinto il demonio! Per favore, non facciamo affari con il demonio! Lui cerca di tornare a casa, di prendere possesso di noi… Non relativizzare, vigilare! E sempre con Gesù!”.






del sito Radio Vaticana 

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Caterina63
00giovedì 17 ottobre 2013 16:32

Il Papa: non basta la religiosità perfetta per salvarsi, cristiani si liberino da “sindrome di Giona”



Bisogna combattere la “sindrome di Giona” che ci porta all’ipocrisia di pensare che per salvarci bastino le nostre opere. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di lunedì mattina 14 ottobre,  alla Casa Santa Marta. Il Papa ha messo in guardia da “un atteggiamento di religiosità perfetta”, che guarda alla dottrina ma non si cura della salvezza della “povera gente”. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

La “sindrome di Giona” e il “segno di Giona”. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia su questo binomio. Gesù, ha osservato, parla nel Vangelo odierno di “generazione malvagia”. E’ molto forte la sua parola. Ma, ha avvertito il Papa, non si riferisce alla gente “che lo seguiva con tanto amore”, bensì ai “dottori della legge” che “cercavano di metterlo alla prova e farlo cadere in trappola”. Questa gente, infatti, “gli chiedeva segni” e Gesù risponde che solo gli verrà dato “il segno di Giona”. C’è però, ha ammonito Papa Francesco, anche la “sindrome di Giona”. Il Signore gli chiede di andare a Ninive e lui fugge in Spagna. Giona, ha detto, “aveva le cose chiare”: “la dottrina è questa”, “si deve fare questo” e i peccatori “si arrangino, io me ne vado”. Quelli che “vivono secondo questa sindrome di Giona”, ha aggiunto il Pontefice, Gesù “li chiama ipocriti, perché non vogliono la salvezza” della “povera gente”, degli “ignoranti” e “peccatori”:

“La ‘sindrome di Giona’ non ha lo zelo per la conversione della gente, cerca una santità – mi permetto la parola – una santità di ‘tintoria’, tutta bella, tutta benfatta, ma senza quello zelo di andare a predicare il Signore. Ma il Signore di fronte a questa generazione ammalata dalla ‘sindrome di Giona’ promette il segno di Giona. L’altra versione, quella di Matteo, dice: Giona è stato dentro la balena tre notti e tre giorni, riferimento a Gesù nel sepolcro – alla sua morte e alla sua Risurrezione – e quello è il segno che Gesù promette, contro l’ipocrisia, contro questo atteggiamento di religiosità perfetta, contro questo atteggiamento di un gruppo di farisei”.

C’è una parabola nel Vangelo, ha soggiunto il Pontefice, che dipinge benissimo questo aspetto: quella del fariseo e del pubblicano che pregano nel tempio. Il fariseo, “tanto sicuro di se stesso”, davanti all’altare ringrazia Dio per non essere come il pubblicano che invece solo chiede la pietà del Signore, riconoscendosi peccatore. Ecco allora che “il segno che Gesù promette per il suo perdono, tramite la sua morte e la sua Risurrezione”, ha detto il Papa, “è la sua misericordia”: “Misericordia voglio e non sacrifici”:

“Il segno di Giona, il vero, è quello che ci dà la fiducia di essere salvati per il sangue di Cristo. Quanti cristiani, quanti ce ne sono, pensano che saranno salvati soltanto per quello che loro fanno, per le loro opere. Le opere sono necessarie, ma sono una conseguenza, una risposta a quell’amore misericordioso che ci salva. Ma le opere sole, senza questo amore misericordioso non servono. Invece, la ‘sindrome di Giona’ ha fiducia soltanto nella sua giustizia personale, nelle sue opere”.

Gesù parla dunque di “generazione malvagia” e “alla pagana, alla regina di Saba, quasi la nomina giudice: si alzerà contro gli uomini di questa generazione”. E questo, ha evidenziato, “perché era una donna inquieta, una donna che cercava la saggezza di Dio”:

“Ecco, la ‘sindrome di Giona’ ci porta alla ipocrisia, a quella sufficienza, ad essere cristiani puliti, perfetti, ‘perché noi facciamo queste opere: compiamo i comandamenti, tutto’. E’ una grossa malattia. E il segno di Giona, che la misericordia di Dio in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, per la nostra salvezza. Sono due parole nella prima lettura che si collegano con questo. Paolo dice di se stesso che è apostolo non perché ha studiato questo, no: apostolo per chiamata. E ai cristiani dice: ‘Siete voi chiamati da Gesù Cristo’. Il segno di Giona ci chiama: seguire il Signore, peccatori, siamo tutti, con umiltà, con mitezza. C’è una chiamata, anche una scelta”.

“Approfittiamo oggi di questa liturgia – ha concluso il Papa – per domandarci e fare una scelta: cosa preferisco io? La sindrome di Giona o il segno di Giona?”




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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Amore a Dio e al prossimo contro idolatria e ipocrisia

Martedì, 15 ottobre 2013


 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 237, Merc. 16/10/2013)

 

Ipocrisia e idolatria «sono peccati grossi» che hanno origini storiche, ma che ancora oggi si ripetono con frequenza, anche fra i cristiani. Superarli «è tanto difficile»: per farlo «abbiamo bisogno della grazia di Dio». È la riflessione suggerita a Papa Francesco dalle letture della messa celebrata questa mattina, martedì 15 ottobre, nella cappella di Santa Marta.

«Il Signore — ha esordito — ci ha detto che il primo comandamento è adorare Dio, amare Dio. Il secondo è amare il prossimo come se stesso. La liturgia oggi ci parla di due vizi contro questi comandamenti», che in realtà, ha notato, è uno solo: amare Dio e il prossimo. E i vizi di cui si parla effettivamente «sono peccati grossi: l’idolatria e l’ipocrisia». L’apostolo Paolo, ha notato il Pontefice, non risparmia parole per descrivere l’idolatria. È «focoso», «forte» e dice: «L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà, perché l’idolatria è un’empietà, è una mancanza di pietas. È una mancanza di quel senso di adorare Dio che tutti noi abbiamo dentro. E l’ira di Dio si rivela contro ogni empietà, contro gli uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia». Essi soffocano la verità della fede, di quella fede «che ci è data in Gesù Cristo, nella quale si rivela la giustizia di Dio». È, ha proseguito il Papa, come un cammino da fede in fede «come diceva spesso Giovanni: grazia su grazia, di fede in fede. Il cammino della fede». Ma tutti noi «abbiamo bisogno di adorare, perché abbiamo l’impronta di Dio dentro di noi» e «quando non adoriamo Dio adoriamo le creature» e questo è «il passaggio dalla fede all’idolatria».

Gli idolatri «non hanno alcun motivo di scusa. Pur avendo conosciuto Dio — ha sottolineato il Vescovo di Roma — non l’hanno glorificato, né ringraziato come Dio». Ma qual è la strada degli idolatri? Lo dice molto chiaramente san Paolo ai romani. È una strada che fa smarrire: «Si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata». A questo conduce «l’egoismo del proprio pensiero, il pensiero onnipotente» che dice «quello che io penso è vero, io penso la verità, io faccio la verità con il mio pensiero». E proprio mentre si dichiaravano sapienti, gli uomini di cui parla san Paolo «sono diventati stolti. E hanno scambiato la gloria di Dio incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi, di rettili».

Si potrebbe essere portati a pensare, ha avvertito il Papa, che si tratti di atteggiamenti del passato: «Oggi nessuno di noi va per le strade ad adorare statue». Ma non è così perché «anche oggi — ha detto il Pontefice — ci sono tanti idoli e anche oggi ci sono tanti idolatri. Tanti che si credono sapienti, anche fra noi, fra i cristiani». E ha subito aggiunto: «Io non parlo di quelli che non sono cristiani; li rispetto. Ma fra noi parliamo in famiglia». Molti cristiani infatti «si credono sapienti, sanno tutto», ma alla fine «diventano stolti e cambiano la gloria di Dio, incorruttibile, con un’immagine: il proprio io», con le proprie idee, con la propria comodità.

E non è una cosa d’altri tempi perché «anche oggi — ha evidenziato il Pontefice — per le strade ci sono gli idoli». Ma c’è di più, ha aggiunto: «Tutti noi abbiamo dentro qualche idolo nascosto. E possiamo domandarci davanti a Dio qual è il mio idolo nascosto, quello che occupa il posto del Signore. Uno scrittore francese, molto religioso, si arrabbiava facilmente. Era il suo difetto, si arrabbiava facilmente e spesso. Diceva: chi non prega Dio, prega il diavolo. Se tu non adori Dio, adori un idolo, sempre». Il bisogno dell’uomo di adorare, di Dio, che nasce dal fatto di portare impressa dentro di noi la sua «impronta», è tale «che se non c’è il Dio vivente, ci saranno questi idoli». E concludendo, in modo quasi provocatorio, il Papa ha chiesto a tutti di fare un esame di coscienza e di porsi la domanda: «Qual è il mio idolo»?

L’altro peccato «contro il primo comandamento proposto dalla liturgia di oggi è l’ipocrisia», ha proseguito il Santo Padre. Lo spunto per questa ulteriore riflessione è stato offerto dal racconto di Luca in cui si parla di «quell’uomo che invita Gesù a pranzo e si scandalizza perché non si lava le mani» e pensa che Gesù sia un «ingiusto» poiché «non compie quello che deve essere compiuto».

Ma così «come Paolo non risparmia parole contro gli idolatri — ha notato il Santo Padre — così Gesù non risparmia parole contro gli ipocriti: voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e cattiveria. È chiarissimo! Siete avidi e cattivi, stolti». Usa «la stessa parola che Paolo dice degli idolatri: sono diventati stolti, stolti. E che consiglio dà Gesù? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro il piatto ed ecco per voi tutto sarà più puro».

Gesù consiglia dunque di «non guardare le apparenze» ma di andare al cuore della verità: «Il piatto è il piatto, ma è più importante quello che è dentro il piatto: il pasto. Ma se tu sei un vanitoso, se tu sei un carrierista, se tu sei un ambizioso, se tu sei una persona che sempre si vanta di se stesso o al quale piace vantarsi, perché ti credi perfetto, fa un po’ d’elemosina e quella guarirà la tua ipocrisia».

«Ecco — ha concluso il Papa — la strada del Signore: adorare Dio, amare Dio sopra di tutto, e amare il prossimo. È tanto semplice, ma tanto difficile. Si può fare soltanto con la grazia. Chiediamo la grazia».

 



Il Papa: “cristiani ideologici” sono malattia grave, chiudono la porta che conduce a Gesù



Se un cristiano “diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede”. E’ quanto sottolineato, stamani 17 ottobre, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Pontefice ha messo in guardia i cristiani da un atteggiamento da “chiave in tasca e porta chiusa” ed ha ribadito che quando non si prega si abbandona la fede e si cade nell’ideologia e nel moralismo. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

“Guai a voi, dottori della legge, che avete portato via la chiave della conoscenza!”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia, muovendo dall’avvertimento di Gesù, di cui parla il Vangelo odierno. Il Papa ha attualizzato questo monito. “Quando andiamo per strada e ci troviamo davanti una chiesa chiusa – ha affermato – sentiamo qualcosa di strano”, perché “una chiesa chiusa non si capisce”.
A volte, ha sottolineato, “ci dicono spiegazioni” che non sono tali: “sono pretesti, sono giustificazioni, ma la realtà è che la chiesa è chiusa e la gente che passa davanti non può entrare”. E, ancora peggio, “il Signore che è dentro non può uscire”. Oggi, ha detto il Papa, Gesù ci parla di questa “immagine della chiusura”, è “l’immagine di quei cristiani che hanno in mano la chiave, ma la portano via, non aprono la porta”. Anzi peggio, “si fermano sulla porta” e “non lasciano entrare”, e così facendo “neppure loro entrano”. La “mancanza di testimonianza cristiana – ha osservato – fa questo” e “quando quel cristiano è un prete, un vescovo o un Papa è peggio”. Ma, si chiede Papa Francesco, come succede che un “cristiano cade in questo atteggiamento di chiave in tasca e porta chiusa?”:

“La fede passa, per così dire, per un alambicco e diventa ideologia. E l’ideologia non convoca. Nelle ideologie non c’è Gesù: la sua tenerezza, amore, mitezza. E le ideologie sono rigide, sempre. Di ogni segno: rigide. E quando un cristiano diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede: non è più discepolo di Gesù, è discepolo di questo atteggiamento di pensiero, di questo... E per questo Gesù dice loro: ‘Voi avete portato via la chiave della conoscenza’. La conoscenza di Gesù è trasformata in una conoscenza ideologica e anche moralistica, perché questi chiudevano la porta con tante prescrizioni”.

Gesù, ha proseguito il Papa, ce l’ha detto: “Voi caricate sulle spalle della gente tante cose; solo una è necessaria”. Questo è, dunque, il processo “spirituale, mentale” di chi vuole la chiave in tasca e la porta chiusa:

“La fede diventa ideologia e l’ideologia spaventa, l’ideologia caccia via la gente, allontana, allontana la gente e allontana la Chiesa dalla gente. Ma è una malattia grave, questa dei cristiani ideologici. E’ una malattia, ma non è nuova, eh? Già l’Apostolo Giovanni, nella sua prima Lettera, parlava di questo. I cristiani che perdono la fede e preferiscono le ideologie. Il suo atteggiamento è: diventare rigidi, moralisti, eticisti, ma senza bontà. La domanda può essere questa, no? Ma perché un cristiano può diventare così? Cosa succede nel cuore di quel cristiano, di quel prete, di quel vescovo, di quel Papa, che diventa così? Semplicemente una cosa: quel cristiano non prega. E se non c’è la preghiera, tu sempre chiudi la porta”.

“La chiave che apre la porta alla fede – ha aggiunto il Papa – è la preghiera”. E ha avvertito: “Quando un cristiano non prega, succede questo. E la sua testimonianza è una testimonianza superba”. Chi non prega è “un superbo, è un orgoglioso, è un sicuro di se stesso. Non è umile. Cerca la propria promozione”. Invece, ha affermato, “quando un cristiano prega, non si allontana dalla fede, parla con Gesù”. E, ha precisato, “dico pregare, non dico dire preghiere, perché questi dottori della legge dicevano tante preghiere” per farsi vedere. Gesù, invece, dice: “Quando tu preghi, va nella tua stanza e prega il Padre di nascosto, da cuore a cuore”. “Una cosa – ha detto ancora il Papa – è pregare e un’altra cosa è dire preghiere”:

“Questi non pregano, abbandonano la fede e la trasformano in ideologia moralistica, casuistica, senza Gesù. E quando un profeta o un buon cristiano li rimprovera, fanno lo stesso che hanno fatto con Gesù: ‘Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile – questi ideologici sono ostili – e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie – sono insidiosi – per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca’. Non sono trasparenti. Eh, poverini, sono gente sporcata dalla superbia. Chiediamo al Signore la grazia, primo: non smettere di pregare, per non perdere la fede, rimanere umili. E così non diventeremo chiusi, che chiudono la strada al Signore”.


del sito Radio Vaticana 

***

[SM=g1740758] ottimo il commento di Don Antonio Ucciardo su questa omelia di stamani del Papa...

Qualcuno già si allarma per le parole del Santo Padre nell'omelia di questa mattina. Sì, è vero: il Papa non ha la santa abitudine di dire con chiarezza a chi si riferisce.
Presuppone sempre la conoscenza della fede.
Tuttavia, l'esempio iniziale e la conclusione, con il riferimento alla comunità di Giovanni e all'ideologia condannata dall'Apostolo, non lascia dubbi.
I destinatari sono i moderni gnostici, coloro che fanno di Gesù un maestro di morale (senza regole) e un ispiratore di umanizzazione.
Vale a dire la massima parte di teologi, docenti, profeti itineranti o da conferenze, preti e vescovi (mi permetto di citare questi ultimi perché lo ha fatto il Papa).
C'è la rigidità dell'ortodossia della fede, davanti alla quale nessun Papa potrebbe mai obiettare.
E c'è la rigidità di una presunta fede che deriva dalle idee, dalle scuole di pensiero, dalle sicurezze mondane.
Soltanto gli ingenui possono credere che i maestri di questo cristianesimo umanizzante e solidale sappiano essere misericordiosi e aperti all'altro.
In realtà sono chiusi nel loro mondo, e chiunque non condivida il loro pensiero è semplicemente un poveretto da commiserare.
Motivo per il quale hanno schernito pubblicamente, senza pudore, quel sant'uomo di Benedetto ed ora stappano bottiglie davanti ad ogni respiro di Francesco. Solo che Francesco sta stigmatizzando il loro pensiero e non quello di chi si aggrappa alla fede della Chiesa di sempre.


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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Il tramonto dell’apostolo

Venerdì, 18 ottobre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 240, Sab. 19/10/2013)

 

Un pellegrinaggio singolare è quello indicato da Papa Francesco durante la messa celebrata stamane, venerdì 18 ottobre, a Santa Marta. È la visita alle case di riposo dove sono ospitati preti e suore anziani. Si tratta di veri e propri «santuari di apostolicità e di santità – ha detto il Vescovo di Roma – che abbiamo nella Chiesa» dove dunque vale la pena andare come «in pellegrinaggio». Questa indicazione è stata il punto di arrivo di una riflessione che ha preso spunto dal confronto tra le letture della liturgia del giorno: il brano del Vangelo di Luca (10, 1-9) — nel quale si racconta «l’inizio della vita apostolica», quando i discepoli sono stati chiamati ed erano «giovani, forti e gioiosi» — e la seconda lettera di san Paolo a Timoteo (4, 10-17) nella quale l’apostolo, ormai vicino al «tramonto della sua esistenza», si sofferma sulla «fine della vita apostolica». Da questo confronto si capisce, ha spiegato il Papa, che ogni «apostolo ha un inizio gioioso, entusiasta, con Dio dentro; ma non gli è risparmiato il tramonto». E, ha confidato, «a me fa bene pensare al tramonto dell’apostolo».

Il pensiero è quindi andato a «tre icone»: Mosè, Giovanni il Battista e Paolo. Mosè è «quel capo del popolo di Dio, coraggioso, che lottava contro i nemici e lottava anche con Dio per salvare il popolo. È forte, ma alla fine si ritrova solo sul monte Nebo a guardare la terra promessa», nella quale però non può entrare. Anche al Battista «negli ultimi tempi non vengono risparmiate le angosce». Si domanda se ha sbagliato, se ha preso la vera strada, e ai suoi amici chiede di andare a domandare a Gesù «sei tu o dobbiamo aspettare ancora?». È tormentato dall’angoscia; al punto che «l’uomo più grande nato da donna», come lo ha definito Cristo stesso, finisce «sotto il potere di un governante debole, ubriaco e corrotto, sottoposto al potere dell’invidia di un’adultera e del capriccio di una ballerina».

Infine c’è Paolo, il quale confida a Timoteo tutta la sua amarezza. Per descriverne la sofferenza, il vescovo di Roma ha usato l’espressione «non è nel settimo cielo». E ha poi riproposto le parole dell’apostolo: «Figlio mio, Dema mi ha abbandonato, avendo preferito le cose di questo mondo; Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi con te Marco e portalo, mi sarà utile; portami il mantello che ho lasciato, i libri e le pergamene. E ancora: Alessandro, il fabbro, mi ha procurato molti danni. Anche tu guardati da lui, perché si è accanito contro la nostra predicazione».

Il Papa ha proseguito ricordando il racconto che Paolo fa del processo: «nella prima difesa nessuno mi ha assistito, tutti mi hanno abbandonato, però il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annunzio del Vangelo». Un’immagine che, secondo il Pontefice, racchiude in sé il «tramonto» di ogni apostolo: «solo, abbandonato, tradito»; assistito soltanto dal Signore che «non abbandona, non tradisce», perché «Lui è fedele, non può rinnegare se stesso».

La grandezza dell’apostolo — ha sottolineato il Papa — sta dunque nel fare con la vita quello che il Battista diceva: «è necessario che lui cresca e io diminuisca»; l’apostolo è colui «che dà la vita perché il Signore cresca. E alla fine c’è il tramonto». È stato così anche per Pietro, ha fatto notare Papa Francesco, al quale Gesù ha predetto: «Quando tu sarai vecchio ti porteranno dove tu non vorrai andare».

La meditazione sulle fasi finali delle vite di questi personaggi ha così suggerito al Santo Padre «il ricordo di quei santuari di apostolicità e di santità che sono le case di riposo dei preti e delle suore». Strutture che ospitano, ha aggiunto, «bravi preti e brave suore, invecchiati, con il peso della solitudine, che aspettano che venga il Signore a bussare alla porta dei loro cuori». Purtroppo, ha commentato il Papa, noi tendiamo a dimenticare questi santuari: «non sono posti belli, perché uno vede cosa ci aspetta». Di contro però «se guardiamo più nel profondo, sono bellissimi», per la ricchezza di umanità che vi è dentro. Visitarli dunque significa fare «veri pellegrinaggi, verso questi santuari di santità e di apostolicità», alla stessa stregua dei pellegrinaggi che si fanno nei santuari mariani o in quelli dedicati ai santi.

«Ma mi chiedo — ha aggiunto il Papa — noi cristiani abbiamo la voglia di fare una visita — che sarà un vero pellegrinaggio! — a questi santuari di santità e di apostolicità che sono le case di riposo dei preti e delle suore? Uno di voi mi diceva, giorni fa, che quando andava in un Paese di missione, andava al cimitero e vedeva tutte le tombe dei vecchi missionari, preti e suore, lì da 50, 100, 200 anni, sconosciuti. E mi diceva: “Ma, tutti questi possono essere canonizzati, perché alla fine conta soltanto questa santità quotidiana, questa santità di tutti i giorni”».

Nelle case di riposo «queste suore e questi preti — ha detto il Papa — aspettano il Signore un po’ come Paolo: un po’ tristi, davvero, ma anche con una certa pace, col volto allegro». Proprio per questo fa «bene a tutti pensare a questa tappa della vita che è il tramonto dell’apostolo». E, concludendo, ha chiesto di pregare il Signore di custodire i sacerdoti e le religiose che si trovano nella fase finale della loro esistenza, affinché possano ripetere almeno un’altra volta «sì, Signore, voglio seguirti».





Il Papa: l'attaccamento ai soldi distrugge persone e famiglie, usiamo i beni che Dio ci dà per aiutare gli altri



La cupidigia, l’attaccamento ai soldi, distrugge le persone, distrugge le famiglie e i rapporti con gli altri: è quanto ha detto il Papa lunedì mattina 21 ottobre  durante la Messa a Santa Marta. L'invito non è quello di scegliere la povertà in se stessa, ma di utilizzare le ricchezze che Dio ci dà per aiutare chi ha bisogno. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3

Commentando il Vangelo del giorno, in cui un uomo chiede a Gesù di intervenire per risolvere una questione di eredità con suo fratello, il Papa sviluppa il problema del nostro rapporto con i soldi:

“Questo è un problema di tutti i giorni. Quante famiglie distrutte abbiamo visto per il problema di soldi: fratello contro fratello; padre contro figlio… E’ questo il primo lavoro che fa questo atteggiamento dell’essere attaccato ai soldi, distrugge! Quando una persona è attaccata ai soldi, distrugge se stessa, distrugge la famiglia! I soldi distruggono! Fanno questo, no? Ti attaccano. I soldi servono per portare avanti tante cose buone, tanti lavori per sviluppare l’umanità, ma quando il tuo cuore è attaccato così, ti distrugge”.

Gesù racconta la parabola dell’uomo ricco, che vive per accumulare “tesori per sé” e “non si arricchisce presso Dio”. L’avvertimento di Gesù è quello di tenersi lontano da ogni cupidigia:

“E’ quello che fa male: la cupidigia nel mio rapporto con i soldi. Avere di più, avere di più, avere di più… Ti porta all’idolatria, ti distrugge il rapporto con gli altri! Non i soldi, ma l’atteggiamento, che si chiama cupidigia. Poi anche questa cupidigia ti ammala, perché ti fa pensare soltanto tutto in funzione dei soldi. Ti distrugge, ti ammala… E alla fine - questo è il più importante - la cupidigia è uno strumento dell’idolatria, perché va per la strada contraria a quella che ha fatto Dio con noi. San Paolo ci dice che Gesù Cristo, che era ricco, si è fatto povero per arricchire noi. Quella è la strada di Dio: l’umiltà, l’abbassarsi per servire. Invece la cupidigia ti porta per la strada contraria: tu, che sei un povero uomo, ti fai Dio per la vanità. E’ l’idolatria!”.

Per questo – prosegue il Papa - Gesù dice cose “tanto dure, tanto forti contro questo attaccamento al denaro. Ci dice che non si può servire due padroni: o Dio o il denaro. Ci dice di non preoccuparci, che il Signore sa di che cosa abbiamo bisogno” e ci invita “all’abbandono fiducioso verso il Padre, che fa fiorire i gigli dal campo e dà da mangiare agli uccelli”. L’uomo ricco della parabola continua a pensare solo alle ricchezze, ma Dio gli dice: “Stolto, questa notte ti sarà richiesta la tua vita!”. “Questa strada contraria alla strada di Dio – conclude il Papa - è una stoltezza, ti porta lontano dalla vita, distrugge ogni fraternità umana”:

“Il Signore ci insegna qual è il cammino: non è il cammino della povertà per la povertà. No! E’ il cammino della povertà come strumento, perché Dio sia Dio, perché Lui sia l’unico Signore! No l’idolo d’oro! E tutti i beni che abbiamo, il Signore ce li dà per fare andare avanti il mondo, andare avanti l’umanità, per aiutare, per aiutare gli altri. Rimanga oggi nel nostro cuore la Parola del Signore: ‘Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede'".


 


Caterina63
00martedì 22 ottobre 2013 23:26

Il Papa: Dio non ci salva per decreto, si immischia con noi per guarire le nostre ferite



2013-10-22 Radio Vaticana

Contemplazione, vicinanza, abbondanza: sono le tre parole intorno alle quali Papa Francesco ha incentrato la sua omelia nella Messa di stamani 22 ottobre alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che non si può capire Dio soltanto con l’intelligenza ed ha sottolineato che “la sfida di Dio” è “immischiarsi” nelle nostre vite per guarire le nostre piaghe, proprio come ha fatto Gesù. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Per entrare nel mistero di Dio non basta l’intelligenza, ma servono “contemplazione, vicinanza e abbondanza”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha preso spunto dalla Prima Lettura di oggi, un brano della Lettera di San Paolo ai Romani.

La Chiesa, ha detto il Papa, “quando vuole dirci qualcosa” sul mistero di Dio, “soltanto usa una parola: meravigliosamente”. Questo mistero, ha proseguito, è “un mistero meraviglioso”:

“Contemplare il mistero, questo che Paolo ci dice qui, sulla nostra salvezza, sulla nostra redenzione, soltanto si capisce in ginocchio, nella contemplazione. Non soltanto con l’intelligenza. Quando l’intelligenza vuole spiegare un mistero, sempre – sempre! – diventa pazza! E così è accaduto nella Storia della Chiesa. La contemplazione: intelligenza, cuore, ginocchia, preghiera … tutto insieme, entrare nel mistero. Quella è la prima parola che forse ci aiuterà”.

La seconda parola che ci aiuterà ad entrare nel mistero, ha detto, è “vicinanza. “Un uomo ha fatto il peccato - ha rammentato - un uomo ci ha salvato”. “E’ il Dio vicino!” E’, ha proseguito, “vicino a noi, alla nostra storia”.
Dal primo momento, ha aggiunto, “quando ha scelto nostro Padre Abramo, ha camminato con il suo popolo”. E questo si vede anche con Gesù che fa “un lavoro di artigiano, di operaio”:

“A me, l’immagine che viene è quella dell’infermiere, dell’infermiera in un ospedale: guarisce le ferite ad una ad una, ma con le sue mani. Dio si coinvolge, si immischia nelle nostre miserie, si avvicina alle nostre piaghe e le guarisce con le sue mani, e per avere mani si è fatto uomo. E’ un lavoro di Gesù, personale. Un uomo ha fatto il peccato, un uomo viene a guarirlo. Vicinanza. Dio non ci salva soltanto per un decreto, una legge; ci salva con tenerezza, ci salva con carezze, ci salva con la sua vita, per noi”.

La terza parola, ha ripreso il Papa, è “abbondanza”. “Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia”. “Ognuno di noi – ha osservato – sa le sue miserie, le conosce bene. E abbondano!” Ma, ha evidenziato, “la sfida di Dio è vincere questo, guarire le piaghe" come ha fatto Gesù. Anzi di più: “fare quel regalo sovrabbondante del suo amore, della sua grazia”.

E così, ha avvertito Papa Francesco, “si capisce quella preferenza di Gesù per i peccatori”:

“Nel cuore di questa gente abbondava il peccato. Ma Lui andava da loro con quella sovrabbondanza di grazia e di amore. La grazia di Dio sempre vince, perché è Lui stesso che si dona, che si avvicina, che ci accarezza, che ci guarisce. E per questo ma, forse ad alcuni di noi non piace dire questo, ma quelli che sono più vicini al cuore di Gesù sono i più peccatori, perché Lui va a cercarli, chiama tutti: ‘Venite, venite!’. E quando gli chiedono una spiegazione, dice: ‘Ma, quelli che hanno buona salute non hanno bisogno del medico; io sono venuto per guarire, per salvare’”.

Alcuni Santi – ha poi affermato – dicono che uno dei peccati più brutti sia la diffidenza: diffidare di Dio”. Ma, si chiede il Papa, “come possiamo diffidare di un Dio così vicino, così buono, che preferisce il nostro cuore peccatore?” Questo mistero, ha ribadito ancora, “non è facile capirlo, non si capisce bene, con l’intelligenza”. Soltanto, “forse, ci aiuteranno queste tre parole”: contemplazione, vicinanza e abbondanza. E’ un Dio, ha concluso il Papa, “che sempre vince con la sovrabbondanza della sua grazia, con la sua tenerezza”, “con la sua ricchezza di misericordia”.





I cristiani ideologi, i cristiani da salotto, i cristiani giustizieri, trionfalisti e chiacchieroni. Ma anche i cristiani senza Cristo e quelli dalla “sindrome di Giona”. E per finire, i cristiani “all’acqua di rose”. 
Al di là della Chiesa e della Curia, se c’è una 'riforma' che Papa Francesco sta attuando è quella della coscienza del popolo di Dio, denunciando, con le quotidiane omelie a Santa Marta, le tentazioni e i cliché con cui il cristiano rischia di allontanarsi da Cristo.

Il Papa: i cristiani prendano sul serio la propria fede, non vivano "all’acqua di rosa"



Tutti i battezzati sono chiamati a camminare sulla strada della santificazione, non si può essere “cristiani a metà cammino”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani 24 ottobre alla Casa Santa Marta. Il Pontefice ha affermato che sempre nella nostra vita c’è un prima e un dopo Gesù, sottolineando che Cristo ha operato in noi “una seconda creazione” che noi dobbiamo portare avanti con il nostro modo di vivere. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

Prima e dopo Gesù. Papa Francesco ha svolto la sua omelia, prendendo spunto dal passaggio della Lettera ai Romani incentrato sul mistero della nostra redenzione. L’Apostolo Paolo, ha osservato il Papa, “cerca di spiegarci questo con la logica del prima e dopo: prima di Gesù e dopo di Gesù”. San Paolo considera il prima “spazzatura”, mentre il dopo è come una nuova creazione. E ci indica “una strada per vivere secondo questa logica del prima e dopo”:

“Siamo stati ri-fatti in Cristo! Quello che ha fatto Cristo in noi è una ri-creazione: il sangue di Cristo ci ha ri-creato. E’ una seconda creazione! Se prima tutta la nostra vita, il nostro corpo, la nostra anima, le nostre abitudini erano sulla strada del peccato, dell’iniquità, dopo questa ri-creazione dobbiamo fare lo sforzo di camminare sulla strada della giustizia, della santificazione. Utilizzate questa parola: la santità. Tutti noi siamo stati battezzati: in quel momento, i nostri genitori - noi eravamo bambini - a nome nostro, hanno fatto l’Atto di fede: ‘Credo in Gesù Cristo”, che ci ha perdonato i peccati’. Credo in Gesù Cristo!”.

Questa fede in Gesù Cristo, ha proseguito, “dobbiamo riassumerla” e “portarla avanti col nostro modo di vivere”. E ha aggiunto: “vivere da cristiano è portare avanti questa fede in Cristo, questa ri-creazione”. E con la fede, ha detto, portare avanti le opere che nascono da questa fede, “opere per la santificazione”. Dobbiamo portare avanti, ha ribadito, “la prima santificazione che tutti noi abbiamo ricevuto nel Battesimo”:

“Davvero noi siamo deboli e tante volte, tante volte, facciamo peccati, imperfezioni… E questo è sulla strada della santificazione? Sì e no! Se tu ti abitui: ‘Ho una vita un po’ così, ma io credo in Gesù Cristo, ma vivo come voglio’… Eh, no, quello non ti santifica; quello non va! E’ un controsenso! Ma se tu dici: ‘Io, sì, sono peccatore; io sono debole’ e vai sempre dal Signore e gli dici: ‘Ma, Signore, tu hai la forza, dammi la fede! Tu puoi guarirmi!’. E nel Sacramento della riconciliazione ti fai guarire, sì anche le nostre imperfezioni servono a questa strada di santificazione. Ma sempre questo è: prima e dopo”.

“Prima dell’Atto di Fede, prima dell’accettazione di Gesù Cristo che ci ha ri-creati col suo sangue – ha ripreso il Papa – eravamo sulla strada dell’ingiustizia”. Dopo, invece, “siamo sulla strada della santificazione, ma dobbiamo prenderla sul serio!” E, ha soggiunto, per prenderla sul serio, bisogna fare le opere di giustizia, opere “semplici”: “adorare Dio: Dio è il primo sempre! E poi fare ciò che Gesù ci consiglia: aiutare gli altri”. Queste opere, ha rammentato, “sono le opere che Gesù ha fatto nella sua vita: opere di giustizia, opere di ri-creazione”. “Quando noi diamo da mangiare a un affamato”, ha detto, “ri-creiamo in lui la speranza. E così con gli altri”. Se invece “accettiamo la fede e poi non la viviamo – ha avvertito - siamo cristiani soltanto a memoria”:

“Senza questa coscienza del prima e del dopo della quale ci parla Paolo, il nostro cristianesimo non serve a nessuno! E più: va sulla strada dell’ipocrisia. ‘Mi dico cristiano, ma vivo come pagano!’. Alcune volte diciamo ‘cristiani a metà cammino’, che non prendono sul serio questo. Siamo santi, giustificati, santificati per il sangue di Cristo: prendere questa santificazione e portarla avanti! E non si prende sul serio! Cristiani tiepidi: ‘Ma, sì, sì; ma, no, no’. Un po’ come dicevano le nostre mamme: ‘cristiano all’acqua di rosa, no!’. Un po’ così… Un po’ di vernice di cristiano, un po’ di vernice di catechesi… Ma dentro non c’è una vera conversione, non c’è questa convinzione di Paolo: ‘Tutto ho lasciato perdere e considero spazzatura, per guadagnare Cristo e essere trovato in Lui’”.

Questa, ha detto, “era la passione di Paolo e questa è la passione di un cristiano!” Bisogna, ha proseguito, “lasciare perdere tutto quello che ci allontana da Gesù Cristo” e “fare tutto nuovo: tutto è novità in Cristo!”. E questo, è stato l’incoraggiamento del Papa, “si può fare”. Lo ha fatto San Paolo, ma anche tanti cristiani: “non solo i santi, quelli che conosciamo; anche i santi anonimi, quelli che vivono il cristianesimo sul serio”. La domanda che, dunque, oggi possiamo farci, ha detto, è proprio se vogliamo vivere il cristianesimo sul serio, se vogliamo portare avanti questa ri-creazione. “Chiediamo a San Paolo – ha concluso Papa Francesco – che ci dia la grazia di vivere come cristiani sul serio, di credere davvero che siamo stati santificati per il sangue di Gesù Cristo”.







Il Papa: la lotta di un cristiano contro il male è anche confessare con sincerità e concretezza i peccati



Avere il coraggio davanti al confessore di chiamare i peccati con il loro nome, senza nasconderli. L’omelia di questa mattina 25 ottobre, nella Messa celebrata a Casa Santa Marta, è stata interamente incentrata da Papa Francesco sul Sacramento della Riconciliazione. Confessarsi, ha detto, è andare incontro all’amore di Gesù con sincerità di cuore e con la trasparenza dei bambini, non rifiutando ma anzi accogliendo la “grazia della vergogna”, che fa percepire il perdono di Dio. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

Per molti credenti adulti, confessarsi davanti al sacerdote è uno sforzo insostenibile – che induce sovente a scansare il Sacramento – o una pena tale che al dunque trasforma un momento di verità in un esercizio di finzione. San Paolo, nella Lettera ai Romani commentata da Papa Francesco, fa esattamente il contrario: ammette pubblicamente davanti alla comunità che nella “sua carne non abita il bene”. Afferma di essere uno “schiavo” che non fa il bene che vuole, ma compie il male che non vuole. Questo accade nella vita di fede, osserva il Papa, per cui “quando voglio fare il bene, il male è accanto a me”:

“E questa è la lotta dei cristiani. E’ la nostra lotta di tutti i giorni. E noi non sempre abbiamo il coraggio di parlare come parla Paolo su questa lotta. Sempre cerchiamo una via di giustificazione: ‘Ma sì, siamo tutti peccatori’. Ma, lo diciamo così, no? Questo lo dice drammaticamente: è la lotta nostra. E se noi non riconosciamo questo, mai possiamo avere il perdono di Dio. Perché se l’essere peccatore è una parola, un modo di dire, una maniera di dire, non abbiamo bisogno del perdono di Dio. Ma se è una realtà, che ci fa schiavi, abbiamo bisogno di questa liberazione interiore del Signore, di quella forza. Ma più importante qui è che per trovare la via d’uscita, Paolo confessa alla comunità il suo peccato, la sua tendenza al peccato. Non la nasconde”.

La confessione dei peccati fatta con umiltà è ciò “che la Chiesa chiede a tutti noi”, ricorda Papa Francesco, che cita anche l’invito di S. Giacomo: “Confessate tra voi i peccati”. Ma “non – chiarisce il Papa – per fare pubblicità”, ma “per dare gloria a Dio” e riconoscere che è “Lui che mi salva”. Ecco perché, prosegue il Papa, per confessarsi si va dal fratello, “il fratello prete”: è per comportarsi come Paolo. Soprattutto, sottolinea, con la stessa “concretezza”:

“Alcuni dicono: ‘Ah, io mi confesso con Dio’. Ma è facile, è come confessarti per e-mail, no? Dio è là lontano, io dico le cose e non c’è un faccia a faccia, non c’è un quattrocchi. Paolo confessa la sua debolezza ai fratelli faccia a faccia. Altri: ‘No, io vado a confessarmi’ ma si confessano di cose tanto eteree, tanto nell’aria, che non hanno nessuna concretezza. E quello è lo stesso che non farlo. Confessare i nostri peccati non è andare ad una seduta di psichiatria, neppure andare in una sala di tortura: è dire al Signore ‘Signore sono peccatore’, ma dirlo tramite il fratello, perché questo dire sia anche concreto. ‘E sono peccatore per questo, per questo e per questo’”.

Concretezza, onestà e anche – soggiunge Papa Francesco – una sincera capacità di vergognarsi dei propri sbagli: non ci sono viottoli in ombra alternativi alla strada aperta che porta al perdono di Dio, a percepire nel profondo del cuore il suo perdono e il suo amore.
E qui il Papa indica chi imitare, i bambini:

“I piccoli hanno quella saggezza: quando un bambino viene a confessarsi, mai dice una cosa generale. ‘Ma, padre ho fatto questo e ho fatto questo a mia zia, all’altro ho detto questa parola’ e dicono la parola. Ma sono concreti, eh? Hanno quella semplicità della verità. E noi abbiamo sempre la tendenza di nascondere la realtà delle nostre miserie. Ma c’è una cosa bella: quando noi confessiamo i nostri peccati come sono alla presenza di Dio, sempre sentiamo quella grazia della vergogna. Vergognarsi davanti a Dio è una grazia. E’ una grazia: ‘Io mi vergogno’. Pensiamo a Pietro quando, dopo il miracolo di Gesù nel lago: ‘Ma, Signore, allontanati da me, io sono peccatore’. Si vergognava del suo peccato davanti alla santità di Gesù Cristo”.








MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Una giornata particolare

Lunedì, 28 ottobre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 248, Mart. 29/10/2013)

 

È bello pregare l’uno per l’altro. Durante la messa celebrata nella cappella di Santa Marta questa mattina, lunedì 28 ottobre, Papa Francesco si è soffermato sul valore della preghiera fatta per il prossimo che sta attraversando un momento di difficoltà.

La riflessione del Pontefice è iniziata con un commento del passo evangelico di Luca (6, 12-19) dove si racconta la scelta dei dodici apostoli compiuta da Gesù. È una giornata «un po’ speciale — ha detto — per la scelta degli apostoli». Una scelta, ha aggiunto, che avviene solo dopo che Gesù ha pregato il Padre «da solo».

Quando Gesù, infatti, prega il Padre è solo con lui. Poi si ritrova insieme ai suoi discepoli e ne sceglie dodici che chiama apostoli. Quindi con loro va tra la gente che lo aspettava per essere guarita. Questi sono tre i momenti che caratterizzano la giornata: Gesù che trascorre «una notte intera a pregare il Padre» sul monte; Gesù tra i suoi apostoli; Gesù tra la gente. E in tutti e tre questi momenti, ha spiegato il Papa, la preghiera è il punto centrale: Gesù prega il Padre perché con Lui «aveva intimità»; lo prega «per la gente che andava a trovarlo»; e lo prega anche «per gli apostoli».

Per aiutare a comprendere meglio il senso della preghiera di Gesù, il Pontefice ha ricordato anche «quel bel discorso dopo la cena del giovedì santo, quando prega il Padre dicendo: Io prego per questi, i miei; ma poi prego per tutti, anche per quelli che verranno e che crederanno».

Quella di Gesù «è una preghiera universale» ma è anche «una preghiera personale». Non a caso, ha ricordato il Pontefice, «la notte di quello stesso giorno guarda Pietro che faceva il coraggioso e dice: Pietro, Satana ha ottenuto il permesso di passarvi al vaglio come il grano; ma io ho pregato per te affinché non venga meno la tua fede». E poi lo esorta: «Prega per ognuno il Padre». E  ha subito aggiunto: «Io vorrei che oggi tutti noi guardassimo Gesù che prega».

Ma, si è domandato il Papa, se è vero che Gesù a quel tempo pregava, oggi prega ancora? «Eh sì, lo dice la Bibbia» ha risposto. E ha spiegato: «È l’intercessore, quello che prega», e prega il Padre «con noi e davanti noi. Gesù ci ha salvato. Ha fatto questa grande preghiera, il sacrificio della sua vita per salvarci. Siamo giustificati grazie a Lui. Adesso se n’è andato. E prega».

Dunque «Gesù è una persona, è un uomo con carne come la nostra, ma in gloria. Gesù ha le piaghe sulle mani, sui piedi, sul fianco. E quando prega fa vedere al Padre il prezzo della giustificazione e prega per noi. È come se dicesse: Padre, che non si perda questo». Gesù, ha proseguito Papa Francesco, ha sempre in mente la nostra salvezza. E «per questo, quando preghiamo diciamo: Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio. Perché lui è il primo a pregare, è il nostro fratello. È uomo come noi. Gesù è l’intercessore».

Dopo aver guadagnato per noi la redenzione e dopo averci giustificati, si è chiesto ancora il Santo Padre, «adesso cosa fa? Intercede, prega per noi» ha risposto. «Penso — ha proseguito — cosa avrà sentito Pietro quando, dopo averlo rinnegato, Gesù l’ha guardato e lui ha pianto. Ha sentito che quello che Gesù aveva detto era vero. Aveva pregato per lui e per questo poteva piangere, poteva pentirsi».

«Tante volte — ha aggiunto il Pontefice — fra noi ci diciamo: Prega per me, eh? Ne ho bisogno, ho tanti problemi, tante cose, prega per me». E questa, ha affermato, «è una cosa buona» perché «dobbiamo pregare uno per l’altro». E ha chiesto «Diciamo a Gesù “Prega per me, tu che sei il primo di noi, tu prega per me”? Sicuro che prega; ma dirgli: “Prega per me Signore, tu sei l’intercessore” è mostrare una grande fiducia. Lui prega per me, lui prega per tutti noi. E prega coraggiosamente, perché fa vedere al Padre il prezzo della nostra giustizia, le sue piaghe».

«Pensiamo tanto a questo — ha detto in conclusione — e ringraziamo il Signore; ringraziamo un fratello che prega con noi e prega per noi, intercede per noi. E parliamo con Gesù. Diciamogli: “Signore, tu sei l’intercessore, tu mi hai salvato, mi hai giustificato, ma adesso prega per me”. Affidiamogli i nostri problemi, la nostra vita, perché lui li porti al Padre».

 



Caterina63
00sabato 2 novembre 2013 13:53

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

La speranza, questa sconosciuta

Martedì, 29 ottobre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 249, Merc. 30/10/2013)

 

La speranza è la più umile delle tre virtù teologali, perché nella vita si nasconde. Tuttavia essa ci trasforma in profondità, così come «una donna incinta è donna» ma è come se si trasformasse perché diventa mamma. Della speranza Papa Francesco ha parlato questa mattina, martedì 29 ottobre, durante la messa celebrata a Santa Marta riflettendo sull’atteggiamento dei cristiani in attesa della rivelazione del Figlio di Dio.

A questo atteggiamento è legata la speranza, una virtù, ha detto all’inizio dell’omelia, che si è rivelata più forte delle sofferenze, così come scrive san Paolo nella lettera ai romani (8, 18-25). «Paolo — ha notato il Pontefice — si riferisce alle sofferenze del tempo presente, e dice che non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi». L’apostolo parla di «ardente aspettativa», una tensione verso la rivelazione che riguarda tutto il creato. «Questa tensione è la speranza — ha detto ancora — e vivere nella speranza è vivere in questa tensione», nell’attesa della rivelazione del Figlio di Dio, quando cioè tutta la creazione, «e anche ognuno di noi», sarà liberata dalla schiavitù «per entrare nella gloria dei figli di Dio».

«Paolo — ha poi proseguito — ci parla della speranza. Anche nel capitolo precedente della lettera ai romani aveva parlato della speranza. Ci aveva detto che la speranza non delude, è sicura». Tuttavia essa non è facile da capire; e sperare non vuol dire essere ottimisti. Dunque «la speranza non è ottimismo, non è quella capacità di guardare alle cose con buon animo e andare avanti», e non è neppure semplicemente un atteggiamento positivo, come quello di certe «persone luminose, positive». Questa, ha detto il Santo Padre «è una cosa buona, ma non è la speranza».

Si dice, ha spiegato il Santo Padre, che sia «la più umile delle tre virtù, perché si nasconde nella vita. La fede si vede, si sente, si sa cosa è; la carità si fa, si sa cosa è. Ma cos’è la speranza?». La risposta del Pontefice è stata chiara: «Per avvicinarci un po’ possiamo dire per prima cosa che è un rischio. La speranza è una virtù rischiosa, una virtù, come dice san Paolo, di un’ardente aspettativa verso la rivelazione del Figlio di Dio. Non è un’illusione. È quella che avevano gli israeliti» i quali, quando furono liberati dalla schiavitù, dissero: «ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si riempì di sorriso e la nostra lingua di gioia».

Ecco, ha spiegato, questo è quanto avverrà quando ci sarà la rivelazione del Figlio di Dio. «Avere speranza significa proprio questo: essere in tensione verso questa rivelazione, verso questa gioia che riempirà la nostra bocca di sorriso». E ha esclamato: «È bella questa immagine!». Poi ha raccontato che «i primi cristiani la dipingevano come un’ancora. La speranza era un’ancora»; un’ancora fissata nella riva dell’aldilà.
La nostra vita è come camminare sulla corda verso quell’ancora. «Ma dove siamo ancorati noi?» si è domandato il Papa . «Siamo ancorati proprio là, sulla riva di quell’oceano tanto lontano o siamo ancorati in una laguna artificiale che abbiamo fatto noi, con le nostre regole, i nostri comportamenti, i nostri orari, i nostri clericalismi, i nostri atteggiamenti ecclesiastici — non ecclesiali, eh? —. Siamo ancorati là dove tutto è comodo e sicuro? Questa non è la speranza».

Paolo, ha aggiunto Papa Francesco, «cerca poi un’altra icona della speranza, quella del parto. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione, e anche noi con la creazione, “geme e soffre le doglie del parto fino a oggi”. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello spirito, gemiamo — pensate alla donna che partorisce — gemiamo interiormente aspettando. Siamo in attesa. Questo è un parto». La speranza, ha aggiunto, si pone in questa dinamica del dare la vita. Non è una cosa visibile anche per chi vive «nella primizia dello Spirito». Ma sappiamo che «lo Spirito lavora. Il Vangelo — ha precisato il Papa riferendosi al brano di Luca (13, 18-21) — dice qualcosa su questo. Lo Spirito lavora in noi. Lavora come se fosse un granello di senape, piccolino ma dentro è pieno di vita e di forza e va avanti sino all’albero. Lo Spirito lavora come il lievito che è capace di lievitare tutta la farina. Così lavora lo Spirito».

La speranza «è una grazia da chiedere»; infatti «una cosa è vivere nella speranza, perché nella speranza siamo salvati, e un’altra cosa è vivere come buoni cristiani e non di più; vivere in attesa della rivelazione, o vivere bene con i comandamenti»; essere ancorati sulla riva del mondo futuro «o parcheggiati nella laguna artificiale».

Per spiegare meglio il concetto il Pontefice ha indicato come è cambiato l’atteggiamento di Maria, «una ragazza giovane», quando ha saputo di essere mamma: «Va’ e aiuta e canta quel cantico di lode». Perché, ha spiegato Papa Francesco, «quando una donna è incinta, è donna» ma è come se si trasformasse nel profondo perché ora «è mamma». E la speranza è qualcosa di simile: «cambia il nostro atteggiamento». Per questo, ha aggiunto, «chiediamo la grazia di essere uomini e donne di speranza».

Alla conclusione, rivolgendosi a un gruppo di sacerdoti messicani che celebravano il venticinquesimo anniversario del loro sacerdozio, il Papa, indicando l’immagine mariana che gli avevano portato in dono, ha detto: «Guardate alla vostra Madre, figura della speranza dell’America. Guardate, è dipinta incinta. È la Madonna d’America, è la Madonna della speranza. Chiedete a lei la grazia affinché gli anni a venire siano per voi anni di speranza», la grazia «di vivere come preti di speranza» che donano speranza.




MESSA DEL PONTEFICE SULLA TOMBA DI
GIOVANNI PAOLO II NELLA BASILICA VATICANA


Due icone e una domanda

Giovedì, 31 ottobre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 251, Ven. 01/10/2013)

Due icone e una domanda. Papa Francesco le ha proposte stamane, giovedì 31 ottobre, nella messa celebrata sulla tomba del beato Giovanni Paolo II nella cappella di San Sebastiano della basilica vaticana. Con il Santo Padre hanno concelebrato oltre centoventi sacerdoti, in gran parte polacchi, tra i quali l’elemosiniere pontificio monsignor Konrad Krajewski. Commentando le letture del giorno tratte dalla Lettera ai Romani (8, 31-39) e dal Vangelo di Luca (13, 31-35) il Papa ha pronunciato la seguente omelia.

In queste letture ci sono due cose che colpiscono. Prima, la sicurezza di Paolo: «Nessuno può allontanarmi dall’amore di Cristo». Ma tanto amava il Signore — perché lo aveva visto, lo aveva trovato, il Signore gli aveva cambiato la vita — tanto lo amava che diceva che nessuna cosa poteva allontanarlo da Lui. Proprio questo amore del Signore era il centro, proprio il centro della vita di Paolo.

Nelle persecuzioni, nelle malattie, nei tradimenti, ma, tutto quello che lui ha vissuto, tutte queste cose che gli sono accadute nella sua vita, niente di questo ha potuto allontanarlo dall’amore di Cristo.
Era il centro proprio della sua vita, il riferimento: l’amore di Cristo. E senza l’amore di Cristo, senza vivere di questo amore, riconoscerlo, nutrirci di quell’amore, non si può essere cristiano: il cristiano, quello che si sente guardato dal Signore, con quello sguardo tanto bello, amato dal Signore e amato sino alla fine. Sente...
Il cristiano sente che la sua vita è stata salvata per il sangue di Cristo. E questo fa l’amore: questo rapporto d’amore.
Quello è il primo che a me colpisce tanto.

L’altra cosa che mi colpisce è questa tristezza di Gesù, quando guarda Gerusalemme. «Ma tu, Gerusalemme, che non hai capito l’amore». Non ha capito la tenerezza di Dio, con quell’immagine tanto bella, che dice Gesù. Non capire l’amore di Dio: il contrario di quello che sentiva Paolo. Ma sì, Dio mi ama, Dio ci ama, ma è una cosa astratta, è una cosa che non mi tocca il cuore ed io mi arrangio nella vita come posso. Non c’è fedeltà lì. E il pianto del cuore di Gesù verso Gerusalemme è questo: «Gerusalemme, tu non sei fedele; tu non ti sei lasciata amare; e tu ti sei affidata a tanti idoli, che ti promettevano tutto, ti dicevano di darti tutto, poi ti hanno abbandonata».

Il cuore di Gesù, la sofferenza dell’amore di Gesù: un amore non accettato, non ricevuto. Queste due icone oggi: quella di Paolo che resta fedele fino alla fine all’amore di Gesù, di là trova la forza per andare avanti, per sopportare tutto. Lui si sente debole, si sente peccatore, ma ha la forza in quell’amore di Dio, in quell’incontro che ha avuto con Gesù Cristo.
Dall’altra parte, la città e il popolo infedele, non fedele, che non accetta l’amore di Gesù, o peggio ancora, eh? Che vive quest’amore ma a metà: un po’ sì, un po’ no, secondo le proprie convenienze. Guardiamo Paolo con il suo coraggio che viene da questo amore, e guardiamo Gesù che piange su quella città, che non è fedele. Guardiamo la fedeltà di Paolo e l’infedeltà di Gerusalemme e al centro guardiamo Gesù, il suo cuore, che ci ama tanto. Che possiamo farcene? La domanda: io somiglio più a Paolo o a Gerusalemme? Il mio amore a Dio è tanto forte come quello di Paolo o il mio cuore è un cuore tiepido come quello di Gerusalemme? Il Signore, per intercessione del Beato Giovanni Paolo II, ci aiuti a rispondere a questa domanda. Così sia!




Caterina63
00venerdì 8 novembre 2013 12:55
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA

DOMUS SANCTAE MARTHAE

L’invito alla festa non ha prezzo

Martedì, 5 novembre 2013





(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 254, Merc. 06/10/2013)



«L’esistenza cristiana è un invito» gratuito alla festa; un invito che non si può comprare, perché viene da Dio, e al quale bisogna rispondere con la partecipazione e con la condivisione. È la riflessione suggerita a Papa Francesco dalle letture liturgiche (Romani 12, 5-16a; Luca 14, 15-24) della messa celebrata stamane, martedì 5 novembre, a Santa Marta. Letture — ha spiegato — che «ci mostrano com’è la carta d’identità del cristiano; com’è un cristiano». E dalle quali si apprende «prima di tutto» che «l’esistenza cristiana è un invito: diventiamo cristiani soltanto se siamo invitati».

Il vescovo di Roma ha individuato le modalità di questo invito — si tratta, ha detto, di «un invito gratuito — e il mittente: Dio. Ma la gratuità, ha avvertito, implica anche delle conseguenze, la prima delle quali è che se non si è stati invitati, non si può reagire semplicisticamente rispondendo: «Comprerò l’entrata per andare!». Infatti «non si può! Per entrare  non si può pagare: o sei invitato o non puoi entrare. E se nella nostra coscienza non abbiamo questa certezza di essere invitati, non abbiamo capito cosa è un cristiano. Siamo invitati gratuitamente, per la pura grazia di Dio, puro amore del Padre. È stato Gesù, con il suo sangue, che ci ha aperto questa possibilità».

Papa Francesco ha poi chiarito cosa significhi in concreto l’invito del Signore per ogni cristiano: non un invito «a fare una passeggiata», ma «a una festa; alla gioia: alla gioia di essere salvato, alla gioia di essere redento», la gioia di condividere la vita con Gesù. E ha anche suggerito cosa debba intendersi con il termine “festa”: «un raduno di persone che parlano, ridono, festeggiano, sono felici» ha detto. Ma l’elemento principale è appunto la “riunione” di più individui. «Io fra le persone mentalmente normali non ho mai visto uno che faccia festa da solo: sarebbe un po’ noioso!» ha spiegato con una battuta, evocando la triste immagine di chi è intento ad «aprire la bottiglia del vino» per brindare in solitudine.

La festa dunque esige lo stare in compagnia, «con gli altri, in famiglia, con gli amici». La festa, insomma, «si condivide». Per questo essere cristiano implica «appartenenza. Si appartiene a questo corpo», fatto di «gente che è stata invitata a festa»; una festa che «ci unisce tutti», una «festa di unità».

Il brano del Vangelo di Luca offre tra l’altro «la lista di quelli che sono stati invitati»: i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi. «Quelli che hanno problemi — ha sottolineato il Pontefice — e che sono un po’ emarginati dalla normalità della città, saranno i primi in questa festa». Ma c’è anche posto per tutti gli altri; anzi, nella versione di Matteo il Vangelo chiarisce ancora meglio: «Tutti, buoni e cattivi». E da quel “tutti” Papa Francesco trae la conseguenza che «la Chiesa non è solo per le persone buone», ma che «anche i peccatori, tutti noi peccatori siamo stati invitati», per dare vita a «una comunità che ha doni diversi». Una comunità nella quale «tutti hanno una qualità, una virtù», perché la festa si fa mettendo in comune con tutti ciò che ciascuno ha.

Insomma, «alla festa si partecipa totalmente». Non ci si può limitare a dire: «Io vado a festa, ma mi fermo al primo salutino, perché devo stare soltanto con tre o quattro che conosco». Perché «questo non si può fare nella Chiesa: o entri con tutti, o rimani fuori. Non puoi fare una selezione».

Un ulteriore aspetto analizzato dal Pontefice riguarda la misericordia di Dio, che raggiunge persino quanti declinano l’invito o fingono di accettarlo ma non partecipano pienamente alla festa. Lo spunto ancora una volta è venuto dal brano di Luca, che elenca le scuse accampate da alcuni degli invitati troppo indaffarati. I quali «partecipano alla festa solo di nome: non accettano l’invito, dicono di sì», ma il loro è un no. Per Papa Francesco sono gli antesignani di quei «cristiani che si contentano soltanto di essere nella lista degli invitati. Cristiani “elencati”». Purtroppo però essere «elencato come cristiano» non «è sufficiente. Se non entri nella festa, non sei cristiano; sarai nell’elenco, però questo non serve per la tua salvezza», ha ammonito il Papa.

Riassumendo la sua riflessione, il Pontefice ha elencato cinque significati collegati con l’immagine dell’«entrare in chiesa» e, di conseguenza, dell’«entrare nella Chiesa».
1. Anzitutto si tratta di «una grazia, un invito; non si può comprare questo diritto».
2. In secondo luogo, comporta il «fare comunità, partecipare tutto quello che noi abbiamo — le virtù, le qualità che il Signore ci ha dato — nel servizio l’uno per l’altro».
3. Inoltre, richiede di «essere disponibili a quello che il Signore ci chiede».
4. E vuol dire anche «non chiedere strade speciali o porte speciali».
5. Da ultimo, significa «entrare nel popolo di Dio che cammina verso l’eternità» e nel quale «nessuno è protagonista», perché «abbiamo Uno che ha fatto tutto» e solo lui può essere “il protagonista”.
Da qui l’esortazione di Papa Francesco a metterci «tutti dietro a lui; e chi non è dietro di lui, è uno che si scusa». Come quello che, parafrasando il Vangelo, dice: «Ho comprato il campo, mi sono sposato, ho comprato i buoi, ma non posso andare dietro a lui».


Certo, ha avvertito il Santo Padre, «il Signore è molto generoso» e «apre tutte le porte». Egli «capisce anche quello che gli dice: No, Signore, non voglio venire da te. Lo capisce e lo aspetta, perché è misericordioso». Ma non accetta le menzogne: «Al Signore — ha rimarcato — non piace quell’uomo che dice di sì e fa di no. Che fa finta di ringraziare per tante cose belle, ma in realtà va per la sua strada; che ha delle buone maniere, ma fa la propria volontà, non quella del Signore».

Ecco allora l’invito conclusivo del Papa, che ha esortato a chiedere a Dio la grazia di comprendere «quanto è bello essere invitati alla festa, quanto è bello condividere con tutti le proprie qualità, quanto è bello stare con lui»; e, al contrario, quanto è «brutto giocare fra il sì e il no; dire di sì, ma accontentarsi soltanto» di essere “elencati” nella lista dei cristiani.



MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
A Dio non piace perdere
Giovedì, 7 novembre 2013



(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 256, Ven. 08/10/2013)



Dio è un padre «a cui non piace perdere». Egli cerca, con gioia e «con una debolezza d’amore», le persone smarrite, suscitando spesso «la musica dell’ipocrisia mormoratrice» dei benpensanti. È la chiave di lettura suggerita da Papa Francesco nell’omelia della messa celebrata giovedì mattina, 7 novembre, nella cappella della Casa Santa Marta, a commento dal passo evangelico di Luca (15, 1-10) proposto nella liturgia.

Il Pontefice ha iniziato la sua meditazione proprio descrivendo l’atteggiamento dei farisei e degli scribi che studiavano Gesù «per capire cosa faceva», scandalizzandosi per «le cose che lui faceva. E scandalizzati mormoravano contro di lui: ma quest’uomo è un pericolo!». Scribi e farisei, ha spiegato il Santo Padre, credevano che Gesù fosse un pericolo. Ecco perché il venerdì santo «chiedono la crocifissione». E prima ancora — ha ricordato — erano arrivati a dire: «È meglio che un uomo solo muoia per il popolo e che non vengano i romani. Quest’uomo è un pericolo!».

Ciò che più li scandalizzava, ha proseguito Papa Francesco, era vedere Gesù «andare a pranzo e a cena con i pubblicani e i peccatori, parlare con loro». Di qui la reazione: «Quest’uomo offende Dio, dissacra il ministero del profeta che è un ministero sacro»; e lo «dissacra per avvicinarsi a questa gente».

«La musica di questa mormorazione — e Gesù lo dirà a loro in faccia — è la musica dell’ipocrisia» ha affermato il Papa, evidenziando come nel brano evangelico Gesù risponda a «questa ipocrisia mormoratrice con una parabola». Quattro volte  in questo piccolo brano ricorre «la parola gioia o allegria: tre volte gioia e una allegria».

In pratica è come se Gesù dicesse: «Voi vi scandalizzate ma mio Padre gioisce». È proprio questo «il messaggio più profondo: la gioia di Dio». Un Dio «a cui non piace perdere. E per questo, per non perdere, esce da sé e va, cerca». È «un Dio che cerca tutti quelli che sono lontani da lui». Proprio «come il pastore» della parabola raccontata dall’evangelista Luca, «che va a cercare la pecora smarrita» e, nonostante sia buio, lascia le altre pecore «al sicuro e va a trovare quella» che manca, «va a cercarla».

Il nostro, dunque, è «un Dio che cerca. Il suo lavoro — ha sottolineato il Pontefice — è cercare: andare a cercare per rinvitare. Come abbiamo sentito ieri: invitare alla festa tutti, buoni e cattivi». In sostanza Dio «non tollera perdere uno dei suoi. Questa sarà anche la preghiera di Gesù il giovedì santo: Padre, che non si perda nessuno di quelli che tu mi hai dato».

È dunque «un Dio che cammina per cercarti  e ha una certa debolezza d’amore per quelli che si sono più allontanati, che si sono perduti. Va e li cerca. E come cerca? Cerca fino alla fine. Come questo pastore che va nel buio cercando finché trova» la pecora smarrita; o «come la donna quando perde quella moneta: accende la lampada, spazza la casa e cerca accuratamente». Dio cerca perché pensa: «Questo figlio non lo perdo, è mio! E non voglio perderlo!», Egli «è nostro Padre. Sempre ci cerca».

Ma il “lavoro” di Dio non è solo cercare e trovare. Perché, ha affermato il Pontefice, «quando ci trova, quando ha trovato la pecorella», non la mette in disparte né domanda: «Perché ti sei perduta, perché sei caduta?». Piuttosto la riporta al posto giusto. «Possiamo dire forzando la parola» — ha spiegato — che Dio «risistema: sistema un’altra volta» la persona che ha cercato e trovato; cosicché, quando il pastore la riporta in mezzo alle altre, la pecora smarrita non si senta dire «tu sei persa» ma: «tu sei una di noi». Ne «ha tutto il diritto», così come la moneta ritrovata dalla donna sta «nel portafoglio come le altre monete. Non c’è differenza». Perché «un Dio che cerca è un Dio che risistema tutti quelli che ha trovato. E quando fa questo è un Dio che gioisce. La gioia di Dio non è la morte del peccatore ma la sua vita: è la gioia».

La parabola del Vangelo mostra dunque «quanto lontana era dal cuore di Dio questa gente che mormorava contro Gesù. Non lo conoscevano. Credevano — ha detto il Pontefice — che essere religiosi, essere persone buone», fosse «andare sempre bene, anche educati e tante volte fare finta di essere educati. Questa è l’ipocrisia della mormorazione. Invece la gioia del Padre Dio è quella dell’amore. Ci ama». Anche se diciamo «Ma io sono un peccatore: ho fatto questo, questo e questo...» Dio ci risponde: «Io ti amo lo stesso e vado a cercarti e ti porto a casa!». Così, ha concluso il Papa, «è nostro Padre».





Il Papa prega per i figli dei "devoti della dea tangente", la corruzione toglie la dignità


Stamani, durante la Messa dell'8.11.2013  celebrata nella Cappellina di Santa Marta, il Papa ha pregato per i tanti giovani che ricevono dai genitori “pane sporco”, guadagni frutto di tangenti e corruzione, e hanno fame di dignità perché il lavoro disonesto toglie la dignità.

La parabola dell’amministratore disonesto dà lo spunto al Papa per parlare “dello spirito del mondo, della mondanità”, di “come agisce questa mondanità e quanto pericolosa sia”. Gesù “pregava il Padre perché i suoi discepoli non cadessero nella mondanità”. “E’ il nemico”:

“Quando noi pensiamo ai nostri nemici, davvero pensiamo prima al demonio, perché è proprio quello che ci fa male. L’atmosfera, lo stile di vita piace tanto al demonio, è questa mondanità: vivere secondo i valori - fra virgolette - del mondo. E questo amministratore è un esempio di mondanità. Qualcuno di voi potrà dire: ‘Ma, questo uomo ha fatto quello che fanno tutti!’. Ma tutti, no! Alcuni amministratori, amministratori di aziende, amministratori pubblici; alcuni amministratori del governo... Forse non sono tanti. Ma è un po’ quell’atteggiamento della strada più breve, più comoda per guadagnarsi la vita”.

Nella parabola, il padrone loda l’amministratore disonesto per la sua furbizia:

“Eh sì, questa è una lode alla tangente! E l’abitudine della tangente è un’abitudine mondana e fortemente peccatrice. E’ un’abitudine che non viene da Dio: Dio ci ha comandato di portare il pane a casa col nostro lavoro onesto! E quest’uomo, amministratore, lo portava, ma come? Dava da mangiare ai suoi figli pane sporco! E i suoi figli, forse educati in collegi costosi, forse cresciuti in ambienti colti, avevano ricevuto dal loro papà, come pasto, sporcizia, perché il loro papà, portando pane sporco a casa, aveva perso la dignità! E questo è un peccato grave! Perché si incomincia forse con una piccola bustarella, ma è come la droga, eh!”.

Dunque – afferma il Papa – l’abitudine alle tangenti diventa una dipendenza. Ma se c’è una “furbizia mondana” – prosegue Papa Francesco – c’è anche una “furbizia cristiana, di fare le cose un po’ svelte … non con lo spirito del mondo”, ma onestamente.
E’ ciò che dice Gesù quando invita ad essere astuti come i serpenti e semplici come colombe: mettere insieme queste due dimensioni – ha sottolineato - “è una grazia dello Spirito Santo”, un dono che dobbiamo chiedere. Infine, conclude con una preghiera:


“Forse oggi ci farà bene a tutti noi pregare per tanti bambini e ragazzi che ricevono dai loro genitori pane sporco: anche questi sono affamati, sono affamati di dignità! Pregare perché il Signore cambi il cuore di questi devoti della dea tangente e se ne accorgano che la dignità viene dal lavoro degno, dal lavoro onesto, dal lavoro di ogni giorno e non da queste strade più facili che alla fine ti tolgono tutto. E poi finirei come quell’altro del Vangelo che aveva tanti granai, tanti silos ripieni e non sapeva che farne: ‘Questa notte dovrai morire’, ha detto il Signore. Questa povera gente che ha perso la dignità nella pratica delle tangenti soltanto porta con sé non il denaro che ha guadagnato, ma la mancanza di dignità! Preghiamo per loro!”.





Breve omelia del Papa stamani a Santa Marta nella Messa celebrata nella Festa liturgica della Dedicazione della Basilica Lateranense, 9.11.2013.

Papa Francesco ha ricordato che la festa odierna è festa della città di Roma, della Chiesa di Roma e della Chiesa universale. La Basilica Lateranense, infatti, è la Cattedrale di Roma e “Madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe”.

Il Pontefice ha tratto dalle letture “tre icone” che ci parlano della Chiesa.
Dalla prima lettura, di Ezechiele, e dal Salmo 45, l’icona del fiume di acqua che sgorga dal Tempio e che rallegra la città di Dio, immagine della grazia che sostiene e alimenta la vita della Chiesa.
Dalla seconda lettura, di San Paolo ai Corinzi, l’icona della pietra, che è Gesù Cristo, fondamento su cui è costruita la Chiesa.

Dal Vangelo della purificazione del Tempio, l’icona della riforma della Chiesa: “Ecclesia semper reformanda”, perché i membri della Chiesa sono sempre peccatori e hanno bisogno di conversione.

Il Papa ha concluso invitando i fedeli a pregare perché la Chiesa possa sempre far scorrere l’acqua della grazia, sia sempre fondata su Cristo, gli rimanga fedele e i suoi membri si lascino sempre convertire da Gesù.







Caterina63
00martedì 12 novembre 2013 13:09

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Peccatori sì corrotti no

Lunedì, 11 novembre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 259, Lun.-Mart. 10-11/11/2013)

 

  «Peccatori sì, corrotti no».
Papa Francesco, durante la messa celebrata questa mattina, lunedì 11 novembre, nella cappella di Santa Marta, è tornato a parlare della corruzione, meglio dei corrotti la cui «doppia vita» li rende simili «a una putredine verniciata».

La riflessione del Pontefice ha preso spunto dalla lettura di un brano del Vangelo di Luca (17, 1-6): «Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai — ha confidato — vedo sempre un ritratto di Gesù. Lo abbiamo sentito tante volte: lui non si stanca di perdonare. E ci consiglia di fare lo stesso».
Il Pontefice si è poi soffermato sulla figura del peccatore che chiede perdono, ma pur essendo davvero pentito cade ancora e cade più volte nel peccato. Egli, ha spiegato il Papa, «si pente ma non può uscire da questo; è debole. È la debolezza del peccato originale». C’è la buona volontà, ma c’è anche la debolezza e «il Signore perdona».
L’unica condizione è quella di «andare da lui — ha aggiunto — e dire: “Ho peccato, perdonami. Vorrei non farlo più, ma io sono debole”. Questo è il peccatore». E l’atteggiamento di Gesù è sempre quello del perdono - ma quando il pentimento è vero e sincero, quando si piange per le proprie debolezze e si chiede a Gesù di aiutarci.

Nel brano del Vangelo è contenuto un altro passaggio in cui, ha notato il Vescovo di Roma, Gesù dice: «Guai a colui a causa del quale vengono gli scandali». Gesù, ha spiegato, «non parla del peccato ma dello scandalo» e dice: «È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi!».

Il Pontefice si è quindi chiesto: «Ma che differenza c’è tra il peccare e lo scandalizzare? Che differenza c’è tra fare un peccato e fare qualche cosa che dà scandalo e fa male, tanto male?». La differenza, ha detto, è che «chi pecca e si pente chiede perdono, si sente debole, si sente figlio di Dio, si umilia e chiede la salvezza di Gesù. Ma chi dà scandalo non si pente e continua a peccare e fa finta di essere cristiano». È come se conducesse «una doppia vita» e, ha aggiunto, «la doppia vita di un cristiano fa tanto male».

A questo proposito il Pontefice ha richiamato come esempio colui che mette la mano in tasca e fa vedere che aiuta la Chiesa mentre con l’altra mano ruba «allo Stato, ai poveri». Questi «è un ingiusto» per il quale sarebbe stato meglio — «e non lo dico io ma Gesù» ha sottolineato il Papa — che gli mettessero una macina da mulino e lo gettassero in mare. Non si parla di perdono qui, «perché questa persona inganna», ha detto il Papa facendo poi riferimento alla prima lettura, tratta dal libro della Sapienza (1, 1-7), dove si legge: «Il santo spirito, che ammaestra, fugge ogni inganno, si tiene lontano dai discorsi insensati e viene scacciato al sopraggiungere dell’ingiustizia».

«Dove c’è l’inganno — ha commentato Papa Francesco — non c’è lo Spirito di Dio. Questa è la differenza tra peccatore e corrotto. Quello che fa la doppia vita è un corrotto. Quello che pecca invece vorrebbe non peccare, ma è debole o si trova in una condizione a cui non può trovare una soluzione ma va dal Signore è chiede perdono. A questo il Signore vuole bene, lo accompagna, è con lui. E noi dobbiamo dire, noi tutti che siamo qui: peccatori sì, corrotti no». I corrotti, ha spiegato ancora il Papa, non sanno cosa sia l’umiltà. Gesù li paragonava ai sepolcri imbiancati: belli di fuori ma dentro pieni di ossa marce. «E un cristiano che si vanta di essere cristiano ma non fa vita da cristiano — ha rimarcato — è un corrotto».

Tutti conosciamo qualcuno che «è in questa situazione e tutti sappiamo — ha aggiunto — quanto male fanno alla Chiesa i cristiani corrotti, i preti corrotti. Quanto male fanno alla Chiesa! Non vivono nello spirito del Vangelo, ma nello spirito della mondanità. E san Paolo lo dice chiaramente ai romani: Non conformatevi a questo mondo (cfr. Romani 12, 2). Ma nel testo originale è ancora più forte: non entrare negli schemi di questo mondo, nei parametri di questo mondo, perché sono proprio questi, questa mondanità, che portano alla doppia vita».

Avviandosi a conclusione il Santo Padre ha detto: «Una putredine verniciata: questa è la vita del corrotto. E Gesù semplicemente a questi non li chiamava peccatori. Ma gli diceva ipocriti». Gesù, ha ricordato ancora, perdona sempre, non si stanca di perdonare. L’unica condizione che chiede è che non si voglia condurre questa doppia vita: «Chiediamo oggi al Signore di fuggire da ogni inganno, di riconoscerci peccatori. Peccatori sì, corrotti no».

 



 


Il Papa: anche quando ci rimprovera, Dio ci accarezza e mai ci ferisce



Affidiamoci a Dio come una bambino si affida alle mani del suo papà. E’ quanto affermato da Papa Francesco alla Messa di stamani 12 novembre alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che il Signore mai ci abbandona e ha sottolineato che anche quando ci rimprovera, Dio non ci dà uno schiaffo ma una carezza. Il servizio diAlessandro Gisotti:RealAudioMP3 

“Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità”, ma “per l’invidia del diavolo è entrata la morte nel mondo”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi sulla Prima Lettura, un passo del Libro della Sapienza che ricorda la nostra creazione. L’invidia del diavolo, ha affermato il Papa, ha fatto sì che iniziasse questa guerra, “questa strada che finisce con la morte”. Quest’ultima, ha ribadito, “è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono”. E’ un esperienza che tutti facciamo:

“Tutti dobbiamo passare per la morte, ma una cosa è passare per questa esperienza con una appartenenza al diavolo e un’altra cosa è passare per questa esperienza dalla mano di Dio. E a me piace sentire questo: ‘Siamo nelle mani di Dio dall’inizio’. La Bibbia ci spiega la Creazione, usando una immagine bella: Dio che, con le sue mani ci fa dal fango, dalla terra a Sua immagine e somiglianza. Sono state le mani di Dio che ci hanno creato: il Dio artigiano, eh! Come un artigiano ci ha fatto. Queste mani del Signore… Le mani di Dio, che non ci hanno abbandonato”. 

La Bibbia, ha proseguito, narra che il Signore dice al suo popolo: “Io ho camminato con te, come un papà con suo figlio, portandolo per mano”. Sono proprio le mani di Dio, ha soggiunto, “che ci accompagnano nel cammino”:

“Nostro Padre, come un Padre con suo figlio, ci insegna a camminare. Ci insegna ad andare per la strada della vita e della salvezza. Sono le mani di Dio che ci carezzano nei momenti del dolore, ci confortano. E’ nostro Padre che ci carezza! Ci vuole tanto bene. E anche in queste carezze, tante volte, c’è il perdono. Una cosa che a me fa bene pensarla. Gesù, Dio, ha portato con sé le sue piaghe: le fa vedere al Padre. Questo è il prezzo: le mani di Dio sono mani piagate per amore! E questo ci consola tanto”.

Tante volte, ha proseguito, sentiamo dire da persone che non sanno a chi affidarsi: “Mi affido alle mani di Dio!”. Questo, ha osservato Papa Francesco, “è bello” perché "lì stiamo sicuri: è la massima sicurezza, perché è la sicurezza del nostro Padre che ci vuole bene”. “Le mani di Dio – ha commentato – anche ci guariscono dalle nostre malattie spirituali”:

“Pensiamo alle mani di Gesù, quando toccava gli ammalati e li guariva… Sono le mani di Dio: ci guariscono! Io non mi immagino Dio dandoci uno schiaffo! Non me lo immagino. Rimproverandoci, sì me lo immagino, perché lo fa. Ma mai, mai, ci ferisce. Mai! Ci accarezza. Anche quando deve rimproverarci lo fa con una carezza, perché è Padre. ‘Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio’. Pensiamo alle mani di Dio, che ci ha creato come un artigiano, ci ha dato la salute eterna. Sono mani piagate e ci accompagnano nella strada delle vita. Affidiamoci alle mani di Dio, come un bambino si affida alla mano del suo papà. E’ una mano sicura quella!”





Il Papa: lo spirito di curiosità ci allontana dalla sapienza e dalla pace di Dio



Lo spirito di curiosità genera confusione e ci allontana dallo Spirito della sapienza che, invece, ci dà pace: è quanto ha affermato stamani 14 novembre il Papa nella Messa celebrata nella Cappella di Casa Santa Marta, in Vaticano. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

L’omelia del Papa inizia con il commento sulla prima lettura, tratta dal Libro della Sapienza, dove si descrive “lo stato d’animo dell’uomo e della donna spirituale”, del vero cristiano e della vera cristiana che vivono "nella sapienza dello Spirito Santo. E questa sapienza li porta avanti con questo spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile”:

“Questo è camminare nella vita con questo spirito: lo spirito di Dio, che ci aiuta a giudicare, a prendere decisioni secondo il cuore di Dio. E questo spirito ci dà pace, sempre! E’ lo spirito di pace, lo spirito d’amore, lo spirito di fraternità. E la santità è proprio questo. Quello che Dio chiede ad Abramo - 'Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile' - è questo: questa pace. Andare sotto la mozione dello Spirito di Dio e di questa saggezza. E quell’uomo e quella donna che camminano così, si può dire che sono un uomo e una donna saggia. Un uomo saggio e una donna saggia, perché si muovono sotto la mozione della pazienza di Dio”

Ma nel Vangelo – sottolinea il Papa – “ci troviamo davanti ad un altro spirito, contrario a questo della sapienza di Dio: lo spirito di curiosità”: 

“E’ quando noi vogliamo impadronirci dei progetti di Dio, del futuro, delle cose; conoscere tutto, prendere in mano tutto… I farisei domandarono a Gesù: ‘Quando verrà il Regno di Dio?’. Curiosi! Volevano conoscere la data, il giorno… Lo spirito di curiosità ci allontana dallo Spirito della sapienza, perché soltanto interessano i dettagli, le notizie, le piccole notizie di ogni giorno. O come si farà questo? E’ il come: è lo spirito del come! E lo spirito di curiosità non è un buono spirito: è lo spirito di dispersione, di allontanarsi da Dio, lo spirito di parlare troppo. E Gesù anche va a dirci una cosa interessante: questo spirito di curiosità, che è mondano, ci porta alla confusione”. 

La curiosità – prosegue il Pontefice – ci spinge a voler sentire che il Signore è qua oppure è là; o ci fa dire: “Ma io conosco un veggente, una veggente, che riceve lettere della Madonna, messaggi dalla Madonna”. E il Papa commenta: “Ma, guardi, la Madonna è Madre! E ci ama a tutti noi. Ma non è un capoufficio della Posta, per inviare messaggi tutti i giorni”. “Queste novità – afferma - allontanano dal Vangelo, allontanano dallo Spirito Santo, allontanano dalla pace e dalla sapienza, dalla gloria di Dio, dalla bellezza di Dio”. Perché “Gesù dice che il Regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione: viene nella saggezza”.

“Il Regno di Dio è in mezzo a voi!”, dice Gesù: è “questa azione dello Spirito Santo, che ci dà la saggezza, che ci dà la pace. Il Regno di Dio non viene nella confusione, come Dio non parlò al profeta Elia nel vento, nella tormenta” ma “parlò nella soave brezza, la brezza della sapienza”:


“Così Santa Teresina - Santa Teresa di Gesù Bambino - diceva che lei doveva fermarsi sempre davanti allo spirito di curiosità. Quando parlava con un’altra suora e questa suora raccontava una storia, qualcosa della famiglia, della gente, alcune volte passava ad un altro argomento e lei aveva voglia di conoscere la fine di questa storia. Ma sentiva che quello non era lo spirito di Dio, perché era uno spirito di dispersione, di curiosità. Il Regno di Dio è in mezzo a noi: non cercare cose strane, non cercare novità con questa curiosità mondana. Lasciamo che lo Spirito ci porti avanti, con quella saggezza che è una soave brezza. Questo è lo Spirito del Regno di Dio, di cui parla Gesù. Così sia”.





Messa a Santa Marta. Il Papa: la preghiera dell'uomo è la debolezza di Dio



La preghiera dell’uomo è la debolezza di Dio: è quanto ha affermato il Papa durante la Messa presieduta a Santa Marta stamani 16 novembre 2013. Erano presenti i canonici del Capitolo della Basilica di San Pietro. Tra i concelebranti anche il cardinale arciprete Angelo Comastri. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

Al centro dell’omelia, il Vangelo in cui Gesù invita a pregare senza stancarsi, raccontando la parabola della vedova che chiede con insistenza a un giudice iniquo che gli venga fatta giustizia. Così - afferma il Papa - “Dio fa e farà giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di Lui”, come è accaduto con Israele guidato da Mosè fuori dall’Egitto: 

“Quando chiama Mosè gli dice: ‘Ho sentito il pianto, il lamento del mio popolo’. Il Signore ascolta. E nella prima Lettura abbiamo ascoltato quello che ha fatto il Signore, quella parola onnipotente: ‘Dal Cielo viene come un guerriero implacabile’. Quando il Signore prende la difesa del suo popolo è così: è un guerriero implacabile e salva il suo popolo. Salva, rinnova tutto: ‘Tutto il Creato fu modellato di nuovo nella propria natura come prima’. ‘Il Mar Rosso divenne una strada senza ostacoli … e coloro che la tua mano proteggeva, passarono con tutto il popolo’”. 

Il Signore – prosegue il Papa - “ha sentito la preghiera del suo popolo, perché ha sentito nel suo cuore che i suoi eletti soffrivano” e lo salva in modo potente: 

“Questa è la forza di Dio. E qual è la forza degli uomini? Qual è la forza dell’uomo? Questa della vedova: bussare al cuore di Dio, bussare, chiedere, lamentarsi di tanti problemi, tanti dolori e chiedere al Signore la liberazione da questi dolori, da questi peccati, da questi problemi. La forza dell’uomo è la preghiera e anche la preghiera dell’uomo umile è la debolezza di Dio. Il Signore è debole soltanto in questo: è debole in confronto alla preghiera del suo popolo”.

“Il culmine della forza di Dio, della salvezza di Dio – spiega il Papa - è “nell’Incarnazione del Verbo”. Quindi, rivolgendosi ai canonici di San Pietro, ricorda che il loro “lavoro è proprio bussare al cuore di Dio”, “pregare, pregare il Signore per il popolo di Dio”. E i canonici a San Pietro, “proprio nella Basilica più vicina al Papa” dove giungono tutte le preghiere del mondo, raccolgono queste preghiere e le presentano al Signore: questo “è un servizio universale, un servizio di Chiesa”: 

“Voi siete come la vedova: pregare, chiedere, bussare al cuore di Dio, ogni giorno. E non si addormentava mai la vedova quando faceva questo, era coraggiosa. E il Signore ascolta la preghiera del suo popolo. Voi siete rappresentanti privilegiati del popolo di Dio in questo ruolo di pregare il Signore, per tanti bisogni della Chiesa, dell’umanità, di tutti. Vi ringrazio per questo lavoro. Ricordiamo sempre che Dio ha una forza, quando Lui vuole che cambi tutto. ‘Tutto fu modellato di nuovo’ dice. Lui è capace di modellare tutto di nuovo, ma ha anche una debolezza: la nostra preghiera; la vostra preghiera universale vicina al Papa in San Pietro. Grazie di questo servizio e andate avanti così per il bene della Chiesa”.






 
Caterina63
00lunedì 18 novembre 2013 15:03
  Papa Francesco sta cominciando a mettere i puntini sulle "i" non sappiamo se merito anche dello scandalo (quello che Gesù definisce necessario) con l'intervista a Scalfari e se dalle parole infelici di Napolitano.... ma resta palese che l'omelia di stamani è da incorniciare e da tenere il alta considerazione... Invito TUTTI - soprattutto ai cultori del "papa-piacione" a tenerne conto per rispondere anche ai vari difensori dello spirito adulto ..... o anche per istruire .... il chè sarebbe una delle opere di carità spirituali, precetto della Chiesa 

Il Papa: Dio ci salvi dallo spirito mondano che negozia tutto e dal pensiero unico



Il Signore ci salvi dallo “spirito mondano che negozia tutto”, non solo i valori ma anche la fede. E’ quanto affermato stamani 18 novembre 2013, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha quindi avvertito che bisogna stare in guardia da una “globalizzazione dell’uniformità egemonica”, frutto della mondanità. Il servizio di Alessandro GisottiRealAudioMP3 


Il Popolo di Dio preferisce allontanarsi dal Signore davanti ad una proposta di mondanità. Papa Francesco ha preso spunto dalla Prima Lettura, un passo del Libro dei Maccabei, per soffermarsi sulla “radice perversa” della mondanità. Le guide del popolo, sottolinea il Papa, non vogliono più che Israele sia isolato dalle altre nazioni e così, abbandonano le proprie tradizioni, per andare a trattare con il re. Vanno a “negoziare” e sono entusiasti per questo. E’ come, annota, se dicessero “siamo progressisti, andiamo con il progresso dove va tutta la gente”. Si tratta, avverte, dello “spirito del progressismo adolescente” che “si crede che andare avanti in qualsiasi scelta è meglio che rimanere nelle abitudini della fedeltà”. Questa gente, dunque, negozia con il re “la fedeltà al Dio sempre fedele”. “Questo – è il monito del Papa – si chiama apostasia”, “adulterio”. Non stanno, infatti, negoziando alcuni valori, evidenzia, “negoziano proprio l’essenziale del suo essere: la fedeltà al Signore”. 

“E questa è una contraddizione: non negoziamo i valori ma negoziamo la fedeltà. E questo è proprio il frutto del demonio, del principe di questo mondo, che ci porta avanti con lo spirito di mondanità. E poi, accadono le conseguenze. Hanno preso le abitudini dei pagani, poi un passo avanti: il re prescrisse in tutto il suo regno che tutti formassero un solo popolo e ciascuno abbandonasse le proprie usanze. Non è la bella globalizzazione dell’unità di tutte le Nazioni, ma, ognuna con le proprie usanze ma unite, ma è la globalizzazione dell’uniformità egemonica, è proprio il pensiero unico. E questo pensiero unico è frutto della mondanità”. 

E dopo questo, rammenta, “tutti i popoli si adeguarono agli ordini del re; accettarono anche il suo culto, sacrificarono agli idoli e profanarono il sabato”. Passo dopo passo, “si va avanti su questa strada”. E alla fine, rammenta il Papa, “il re innalzò sull’altare un abominio di devastazione”: 

“Ma, Padre, questo succede anche oggi? Sì. Perché lo spirito della mondanità anche oggi c’è, anche oggi ci porta con questa voglia di essere progressisti sul pensiero unico. Se presso qualcuno veniva trovato il Libro dell’Alleanza e se qualcuno obbediva alla Legge, la sentenza del re lo condannava a morte: e questo l’abbiamo letto sui giornali, in questi mesi. Questa gente ha negoziato la fedeltà al suo Signore; questa gente, mossa dallo spirito del mondo, ha negoziato la propria identità, ha negoziato l’appartenenza ad un popolo, un popolo che Dio ama tanto, che Dio vuole come popolo suo”. 

Il Papa fa riferimento, dunque, al romanzo, di inizio ‘900, “Il padrone del mondo” che si sofferma proprio su “quello spirito di mondanità che ci porta all’apostasia”. Oggi, avverte il Papa, si pensa che “dobbiamo essere come tutti, dobbiamo essere più normali, come fanno tutti, con questo progressismo adolescente”. E poi, osserva amaramente, “segue la storia”: “le condanne a morte, i sacrifici umani”. “Ma voi – è l’interrogativo del Papa – pensate che oggi non si facciano, i sacrifici umani? Se ne fanno tanti, tanti! E ci sono delle leggi che li proteggono”: 

“Ma quello che ci consola è che davanti a questo cammino che fa lo spirito del mondo, il principe di questo mondo, il cammino di infedeltà, sempre rimane il Signore che non può rinnegare se stesso, il Fedele: Lui sempre ci aspetta, Lui ci ama tanto e Lui ci perdona quando noi, pentiti per qualche passo, per qualche piccolo passo in questo spirito di mondanità, andiamo da Lui, il Dio fedele davanti al Suo popolo che non è fedele. Con lo spirito di figli della Chiesa preghiamo il Signore perché con la Sua bontà, con la Sua fedeltà ci salvi da questo spirito mondano che negozia tutto; che ci protegga e ci faccia andare avanti, come ha fatto andare avanti il suo popolo nel deserto, portandolo per mano, come un papà porta il suo bambino. Alla mano del Signore andremo sicuri”.



del sito Radio Vaticana 


  ( P.S. vi aggiungo che il romanzo citato (e che trovate cliccando qui)  è molto caro alla tradizione della Chiesa del '900 ;-) anzi, è una delle prime letture che si consiglia di fare in questo tempo moderno....)




Il Papa: Dio ci insegni a rispettare i nonni, nella loro memoria c'è il futuro di un popolo



Un popolo che “non rispetta i nonni” è senza memoria e dunque senza futuro. È l’insegnamento offerto stamattina, 19 novembre, da Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata in Casa S. Marta. Il Papa ha commentato la vicenda biblica dell’anziano Eleàzaro, che scelse il martirio per coerenza con la sua fede in Dio e per dare una testimonianza di rettitudine ai giovani. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Scegliere la morte, anziché scamparla con l’aiuto di amici compiacenti, pur di non tradire Dio e anche per non mostrare ai giovani che in fondo l’ipocrisia può tornare utile, anche se si tratta di rinnegare la propria fede. C’è tutto questo nella vicenda del nobile Eleàzaro, figura biblica del Libro dei Maccabei proposta dalla liturgia del giorno, che agli aguzzini che volevano costringerlo all’abiura preferisce il martirio, il sacrificio della vita piuttosto che una salvezza strappata con l'ipocrisia. “Quest’uomo – osserva Papa Francesco – di fronte alla scelta fra l’apostasia e la fedeltà non dubita”, rifiutando “quell’atteggiamento del fingere, del fingere pietà, del fingere religiosità…”. Anzi, invece di badare a sé “pensa ai giovani”, a quello che il suo atto di coraggio potrà lasciare loro in ricordo:

“La coerenza di quest’uomo, la coerenza della sua fede, ma anche la responsabilità di lasciare un’eredità nobile, un’eredità vera. Noi viviamo in un tempo nel quale gli anziani non contano. E’ brutto dirlo, ma si scartano, eh? Perché danno fastidio. Gli anziani sono quelli che ci portano la storia, che ci portano la dottrina, che ci portano la fede e ce la danno in eredità. Sono quelli che, come il buon vino invecchiato, hanno questa forza dentro per darci un’eredità nobile”.

E qui Papa Francesco ricorda una storiella ascoltata da piccolo. Protagonista è una famiglia – “papà, mamma, tanti bambini” – e il nonno, che quando a tavola mangiava la zuppa “si sporcava la faccia”. Infastidito, il papà spiega ai figli perché il nonno si comporti così quindi compra un tavolino a parte dove isolare il genitore. Quello stesso papà un giorno torna a casa e vede uno dei figli giocare con il legno. “Cosa fai?”, gli chiede. “Un tavolino”, risponde il bimbo. “E perché?”. “Per te, papà, per quando tu diventi vecchio come il nonno”:

“Questa storia mi ha fatto tanto bene, tutta la vita. I nonni sono un tesoro. La Lettera agli Ebrei (13,7) ci dice: ‘Ricordatevi dei vostri capi, che vi hanno predicato, quelli che vi hanno predicato la Parola di Dio. E considerando il loro esito, imitatene la fede’. La memoria dei nostri antenati ci porta all’imitazione della fede. Davvero la vecchiaia tante volte è un po’ brutta, eh? Per le malattie che porta e tutto questo, ma la sapienza che hanno i nostri nonni è l’eredità che noi dobbiamo ricevere. Un popolo che non custodisce i nonni, un popolo che non rispetta i nonni, non ha futuro, perché non ha memoria, ha perso la memoria”.

“Ci farà bene – è il commento finale di Papa Francesco – pensare a tanti anziani e anziane, tanti che sono nelle case di riposo, e anche tanti – è brutta la parola, ma diciamola – abbandonati dai loro. Sono il tesoro della nostra società”:

“Preghiamo per i nostri nonni, le nostre nonne, che tante volte hanno avuto un ruolo eroico nella trasmissione della fede in tempo di persecuzione. Quando papà e mamma non c’erano a casa e anche avevano idee strane, che la politica di quel tempo insegnava, sono state le nonne quelle che hanno trasmesso la fede. Quarto comandamento: è l’unico che promette qualcosa in cambio. E’ il comandamento della pietà. Essere pietoso con i nostri antenati. Chiediamo oggi la grazia ai vecchi Santi - Simeone, Anna, Policarpo e Eleazaro - a tanti vecchi Santi: chiediamo la grazia di custodire, ascoltare e venerare i nostri antenati, i nostri nonni”.


del sito Radio Vaticana 





Papa Francesco: nel tempio non si va a celebrare un rito ma ad adorare Dio



Il tempio è un luogo sacro in cui ciò che più importa non è la ritualità, ma “adorare il Signore”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata questa mattina, 22 novembre, a Casa S. Marta. Il Papa ha posto l’accento anche sull’essere umano che in quanto “tempio dello Spirito Santo” è chiamato ad ascoltare dentro di sé Dio, a chiederGli perdono e a seguirlo. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Il Tempio è la casa di pietra dove un popolo custodisce la sua anima davanti a Dio. Ma Tempio sacro è anche il corpo di un singolo individuo, in cui Dio parla e il cuore ascolta. Papa Francesco sviluppa l’omelia su queste due dimensioni, che corrono parallele nella vita cristiana. Lo spunto è venuto dal brano liturgico dell’Antico Testamento, in cui Giuda Maccabeo riconsacra il Tempio distrutto dalle guerre. “Il Tempio – osserva il Papa – come un luogo di riferimento della comunità, un luogo di riferimento del popolo di Dio”, dove ci si reca per molti motivi uno dei quali – spiega – supera tutti gli altri:

“Il Tempio è il luogo dove la comunità va a pregare, a lodare il Signore, a rendere grazie, ma soprattutto ad adorare: nel Tempio si adora il Signore. E questo è il punto più importante. Anche, questo è valido per le cerimonie liturgiche: in questa cerimonia liturgica, cosa è più importante? I canti, i riti – belli, tutto…? Più importante è l’adorazione: tutta al comunità riunita guarda l’altare dove si celebra il sacrificio e adora. Ma, io credo – umilmente lo dico – che noi cristiani forse abbiamo perso un po’ il senso della adorazione, e pensiamo: andiamo al Tempio, ci raduniamo come fratelli – quello è buono, è bello! – ma il centro è lì dove è Dio. E noi adoriamo Dio”.

Dall’affermazione scaturisce la domanda, diretta: “I nostri templi – si chiede Papa Francesco – sono luoghi di adorazione, favoriscono l’adorazione? Le nostre celebrazioni favoriscono l’adorazione?”. Gesù – ricorda il Papa, citando il Vangelo odierno – scaccia gli “affaristi” che avevano preso il Tempio per un luogo di traffici piuttosto che di adorazione. Ma c’è un altro “Tempio” e un’altra sacralità da considerare nella vita di fede:

“San Paolo ci dice che noi siamo templi dello Spirito Santo. Io sono un tempio. Lo Spirito di Dio è in me. E anche ci dice: ‘Non rattristate lo Spirito del Signore che è dentro di voi!’. E anche qui, forse non possiamo parlare come prima dell’adorazione, ma di una sorta di adorazione che è il cuore che cerca lo Spirito del Signore dentro di sé e sa che Dio è dentro di sé, che lo Spirito Santo è dentro di sé. Lo ascolta e lo segue”.

Certo, la sequela di Dio presuppone una continua purificazione, “perché siamo peccatori”, ribadisce Papa Francesco. Che insiste: "Purificarci con la preghiera, con la penitenza, con il Sacramento della riconciliazione, con l’Eucaristia". E così, “in questi due templi – il tempio materiale, il luogo di adorazione, e il tempio spirituale dentro di me, dove abita lo Spirito Santo – in questi due templi – conclude il Papa – il nostro atteggiamento deve essere la pietà che adora e ascolta, che prega e chiede perdono, che loda il Signore”:

“E quando si parla della gioia del Tempio, si parla di questo: tutta la comunità in adorazione, in preghiera, in rendimento di grazie, in lode. Io in preghiera con il Signore, che è dentro di me perché io sono ‘tempio’. Io in ascolto, io in disponibilità. Che il Signore ci conceda questo vero senso del Tempio, per potere andare avanti nella nostra vita di adorazione e di ascolto della Parola di Dio”.











Caterina63
00lunedì 25 novembre 2013 16:15

Il Papa: i cristiani facciano scelte definitive, come testimoniano i martiri di ogni tempo




Affidarsi al Signore, anche nelle situazioni limite. E’ l’esortazione di Papa Francesco, nella Messa di stamani 25 novembre alla Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che i cristiani sono chiamati a scelte definitive, come ci insegnano i martiri di ogni tempo. Anche oggi, ha osservato, ci sono fratelli perseguitati che sono da esempio per noi e ci incoraggiano ad affidarci totalmente al Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Scegliere il Signore, “in una situazione al limite”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi sulle figure che ci presentano la Prima Lettura, tratta dal Libro di Daniele, e il Vangelo: i giovani ebrei schiavi alla corte di Nabucodonosor e la vedova che va al Tempio ad adorare il Signore. In entrambe i casi, ha osservato il Papa, sono al limite: la vedova in condizione di miseria, i giovani in quella di schiavitù. La vedova getta tutto quello che aveva sul tesoro del Tempio, i giovani restano fedeli al Signore a rischio della vita:

"Tutti e due – la vedova e i giovani – hanno rischiato. Nel loro rischio hanno scelto per il Signore, con un cuore grande, senza interesse personale, senza meschinità. Non avevano un atteggiamento meschino. Il Signore, il Signore è tutto. Il Signore è Dio e si affidarono al Signore. E questo non l’hanno fatto per una forza – mi permetto la parola – fanatica, no: 'Questo dobbiamo farlo Signore', no! C’è un’altra cosa: si sono affidati, perché sapevano che il Signore è fedele. Si sono affidati a quella fedeltà che sempre c’è, perché il Signore non può mutarsi, non può: sempre è fedele, non può non essere fedele, non può rinnegare se stesso”. 

Questa fiducia nel Signore, ha soggiunto, li ha portati “a fare questa scelta, per il Signore”, perché sanno che Lui “è fedele”. Una scelta che vale nelle piccole cose come nelle scelte grandi e difficili: 

“Anche nella Chiesa, nella storia della Chiesa si trovano uomini, donne, anziani, giovani, che fanno questa scelta. Quando noi sentiamo la vita dei martiri, quando noi leggiamo sui giornali le persecuzioni contro i cristiani, oggi, pensiamo a questi fratelli e sorelle in situazioni limite, che fanno questa scelta. Loro vivono in questo tempo. Loro sono un esempio per noi e ci incoraggiano a gettare sul tesoro della Chiesa tutto quello che abbiamo per vivere”. 

Il Signore, ha rammentato il Papa, aiuta i giovani ebrei in schiavitù ad uscire dalle difficoltà e anche la vedova viene aiutata dal Signore. C’è la lode di Gesù per lei e dietro la lode c’è anche una vittoria: 

“Ci farà bene pensare a questi fratelli e sorelle che, in tutta la nostra storia, anche oggi, fanno scelte definitive. Ma anche pensiamo a tante mamme, a tanti padri di famiglia che ogni giorno fanno scelte definitive per andare avanti con la loro famiglia, con i loro figli. E questo è un tesoro nella Chiesa. Loro ci danno testimonianza, e davanti a tanti che ci danno testimonianza chiediamo al Signore la grazia del coraggio, del coraggio di andare avanti nella nostra vita cristiana, nelle situazioni abituali, comuni, di ogni giorno e anche nelle situazioni limite”.








Il Papa: il momento è dell'uomo, il tempo è di Dio ed è Lui che lo illumina con la speranza



L’uomo può credersi sovrano del momento, ma solo Cristo è padrone del tempo. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa di stamattina, 26 novembre, celebrata in Casa Santa Marta. Il Papa ha indicato nella preghiera la virtù per discernere ogni singolo momento della vita e nella speranza in Gesù quella per guardare alla fine del tempo. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Due consigli, per capire lo scorrere del presente e prepararsi alla fine dei tempi: preghiera e speranza. La preghiera, assieme al discernimento, aiuta a decifrare i singoli momenti della vita e a orientarli a Dio. La speranza è il faro a lunga gittata che illumina l’ultimo approdo, quello di una singola vita e insieme – in senso escatologico – quello della fine dei tempi. Papa Francesco riflette sul Vangelo del giorno, nel quale Gesù spiega ai fedeli nel Tempio cosa dovrà accadere prima della fine dell’umanità, rassicurando sul fatto che nemmeno il peggiore dei drammi dovrà gettare nella disperazione chi crede in Dio. Osserva il Papa: “In questa strada verso la fine del nostro cammino, di ognuno di noi e anche di tutta l’umanità, il Signore ci consiglia due cose, due cose che sono differenti, sono diverse secondo come viviamo, perché è differente vivere nel momento e differente è vivere nel tempo”:

“E il cristiano è un uomo o una donna che sa vivere nel momento e che sa vivere nel tempo. Il momento è quello che noi abbiamo in mano adesso: ma questo non è il tempo, questo passa! Forse noi possiamo sentirci padroni del momento, ma l’inganno è crederci padroni del tempo: il tempo non è nostro, il tempo è di Dio! Il momento è nelle nostre mani e anche nella nostra libertà di come prenderlo. E di più: noi possiamo diventare sovrani del momento, ma del tempo soltanto c’è un sovrano, un solo Signore, Gesù Cristo.”.

Dunque, avverte Papa Francesco citando le parole di Gesù, non bisogna lasciarsi “ingannare nel momento”, perché ci sarà chi approfitterà della confusione per presentarsi come Cristo. “ll cristiano, che è un uomo o una donna del momento, deve avere – afferma – quelle due virtù, quei due atteggiamenti per vivere il momento: la preghiera e il discernimento”. E distingue:

“E per conoscere i veri segni, per conoscere la strada che devo prendere in questo momento è necessario il dono del discernimento e la preghiera per farlo bene. Invece per guardare il tempo, del quale soltanto il Signore è padrone, Gesù Cristo, noi non possiamo avere nessuna virtù umana. La virtù per guardare il tempo deve essere data, regalata dal Signore: è la speranza! Preghiera e discernimento per il momento; speranza per il tempo”.

“E così – conclude Papa Francesco – il cristiano si muove in questa strada, momento dopo momento, con la preghiera e il discernimento, ma lascia il tempo alla speranza":

“Il cristiano sa aspettare il Signore in ogni momento, ma spera nel Signore alla fine dei tempi. Uomo e donna di momento e di tempo: di preghiera e discernimento, e di speranza. Ci dia il Signore la grazia di camminare con la saggezza, che anche è un dono di Lui: la saggezza che nel momento ci porti a pregare e discernere. E nel tempo, che è il messaggero di Dio, ci faccia vivere con speranza”. 






Il Papa: la fede non è un fatto privato, adorare Dio fino alla fine, nonostante apostasia e persecuzioni



Ci sono “poteri mondani” che vorrebbero che la religione fosse “una cosa privata”. Ma Dio, che ha vinto il mondo, si adora fino alla fine “con fiducia e fedeltà”. È il pensiero che Papa Francesco ha offerto durante l’omelia della Messa celebrata questa mattina 28 novembre in Casa S. Marta. I cristiani che oggi sono perseguitati – ha detto – sono il segno della prova che prelude alla vittoria finale di Gesù. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Nella lotta finale tra Dio e il Male, che la liturgia di fine anno propone in questi giorni, c’è una grande insidia, che Papa Francesco chiama “la tentazione universale”. La tentazione di cedere alle lusinghe di chi vorrebbe averla vinta su Dio, avendo la meglio su chi crede in Lui. Ma proprio chi crede ha un riferimento limpido cui guardare. È la storia di Gesù, con le prove patite nel deserto e poi le “tante” sopportate nella sua vita pubblica, condite da “insulti” e “calunnie”, fino all’affronto estremo, la Croce, dove però il principe del mondo perde la sua battaglia davanti alla Risurrezione del Principe della pace.

Papa Francesco indica questi passaggi della vita di Cristo perché – sostiene – nello sconvolgimento finale del mondo, descritto nel Vangelo, la posta in gioco è più alta del dramma rappresentato dalle calamità naturali:


“Quando Gesù parla di questa calamità in un altro brano ci dice che sarà una profanazione del tempio, una profanazione della fede, del popolo: sarà la abominazione, sarà la desolazione della abominazione. Cosa significa quello? Sarà come il trionfo del principe di questo mondo: la sconfitta di Dio. Lui sembra che in quel momento finale di calamità, sembra che si impadronirà di questo mondo, sarà il padrone del mondo”. 

Ecco il cuore della “prova finale”: la profanazione della fede. Che tra l’altro è ben evidente – osserva Papa Francesco – da ciò che patisce il profeta Daniele, nel racconto della prima lettura: gettato nella fossa dei leoni per aver adorato Dio invece che il re. Dunque, “la desolazione della abominazione” – ribadisce il Papa – ha un nome preciso, “il divieto di adorazione”:

“Non si può parlare di religione, è una cosa privata, no? Di questo pubblicamente non si parla. I segni religiosi sono tolti. Si deve obbedire agli ordini che vengono dai poteri mondani. Si possono fare tante cose, cose belle, ma non adorare Dio. Divieto di adorazione. Questo è il centro di questa fine. E quando arrivi alla pienezza – al ‘kairos’ di questo atteggiamento pagano, quando si compie questo tempo – allora sì, verrà Lui: ‘E vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria’. I cristiani che soffrono tempi di persecuzione, tempi di divieto di adorazione sono una profezia di quello che ci accadrà a tutti”.

Eppure, conclude Papa Francesco, nel momento in cui i “tempi dei pagani sono stati compiuti” è quello il momento di alzare il capo, perché è “vicina” la “vittoria di Gesù Cristo”:

“Non abbiamo paura, soltanto Lui ci chiede fedeltà e pazienza. Fedeltà come Daniele, che è stato fedele al suo Dio e ha adorato Dio fino alla fine. E pazienza, perché i capelli della nostra testa non cadranno. Così ha promesso il Signore. Questa settimana ci farà bene pensare a questa apostasia generale, che si chiama divieto di adorazione e domandarci: ‘Io adoro il Signore? Io adoro Gesù Cristo, il Signore? O un po’ metà e metà, faccio il gioco del principe di questo mondo?’. Adorare fino alla fine, con fiducia e fedeltà: questa è la grazia che dobbiamo chiedere questa settimana”.







  Il Papa: il cristiano non cede al “pensiero debole”, ma pensa secondo Dio



Il cristiano pensa secondo Dio e per questo rifiuta il pensiero debole ed uniforme. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa a Casa Santa Marta del 29 novembre. Il Papa ha affermato che, per capire i segni dei tempi, un cristiano non può pensare solo con la testa, ma anche con il cuore e con lo spirito che ha dentro. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Il Signore insegna ai suoi discepoli a comprendere i “segni dei tempi”, segni che i farisei non riescono a cogliere. Papa Francesco ha preso spunto dal Vangelo odierno per soffermarsi sul “pensare in cristiano”. Chi segue Gesù, ha osservato, non pensa solo con la testa, ma anche con il cuore e “lo spirito che ha dentro”. Altrimenti non si può comprendere “il passo di Dio nella storia”:

“Nel Vangelo, Gesù non si arrabbia, ma fa finta quando i discepoli non capivano le cose. A quelli di Emmaus dice: ‘Stolti e tardi di cuore’. ‘Stolti e tardi di cuore’… Quello che non capisce le cose di Dio è una persona così. Il Signore vuole che noi capiamo cosa succede: cosa succede nel mio cuore, cosa succede nella mia vita, cosa succede nel mondo, nella storia… Cosa significa questo che accade adesso? Questi sono i segni dei tempi! Invece, lo spirito del mondo ci fa altre proposte, perché lo spirito del mondo non ci vuole popolo: ci vuole massa, senza pensiero, senza libertà”.

Lo spirito del mondo, ha ribadito, “vuole che andiamo per una strada di uniformità”, ma, come avverte San Paolo, “lo spirito del mondo ci tratta come se noi non avessimo la capacità di pensare da noi stessi; ci tratta come persone non libere”:

“Il pensiero uniforme, il pensiero uguale, il pensiero debole, un pensiero così diffuso. Lo spirito del mondo non vuole che noi ci chiediamo davanti a Dio: 'Ma perché questo, perché quell’altro, perché accade questo?'. O anche ci propone un pensiero prêt-à-porter, secondo i propri gusti: ‘Io penso come mi piace!’. Ma quello va bene, dicono loro… Ma quello che lo spirito del mondo non vuole è questo che Gesù ci chiede: il pensiero libero, il pensiero di un uomo e di una donna che sono parte del popolo di Dio e la salvezza è stata proprio questa! Pensate ai profeti… ‘Tu non eri mio popolo, adesso ti dico popolo mio’: così dice il Signore. E questa è la salvezza: farci popolo, popolo di Dio, avere libertà”.

“E Gesù – ha soggiunto – ci chiede di pensare liberamente, pensare per capire cosa succede”. La verità, ha detto ancora il Papa, è che “da soli non possiamo! Abbiamo bisogno dell’aiuto del Signore”. Ne abbiamo bisogno “per capire i segni dei tempi” e, ha evidenziato, “lo Spirito Santo ci dà questo regalo, un dono: l’intelligenza per capire e non perché altri mi dicano cosa succede”:

“Qual è la strada che il Signore vuole? Sempre con lo spirito di intelligenza per capire i segni dei tempi. E’ bello chiedere al Signore Gesù questa grazia, che ci invii il suo spirito di intelligenza, perché noi non abbiamo un pensiero debole, non abbiamo un pensiero uniforme e non abbiamo un pensiero secondo i propri gusti: soltanto abbiamo un pensiero secondo Dio. Con questo pensiero, che è un pensiero di mente, di cuore e di anima. Con questo pensiero, che è dono dello Spirito, cercare cosa significano le cose e capire bene i segni dei tempi”.

Questa, ha concluso, è dunque la grazia che dobbiamo chiedere oggi al Signore: “La capacità che ci dà lo Spirito” per “capire bene i segni dei tempi”.






Caterina63
00lunedì 2 dicembre 2013 14:38

  Papa Francesco: Natale è lasciarsi incontrare da Gesù col cuore aperto perché ci rinnovi la vita



Prepararsi al Natale con la preghiera, la carità e la lode: con un cuore aperto a lasciarsi incontrare dal Signore che tutto rinnova: è l'invito lanciato da Papa Francesco nella Messa presieduta a Santa Marta in questo primo lunedì, 2 dicembre, del Tempo di Avvento. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

Commentando il passo del Vangelo del giorno in cui il centurione romano chiede con grande fede a Gesù la guarigione del servo, il Papa ha ricordato che in questi giorni “cominciamo un nuovo cammino”, un “cammino di Chiesa … verso il Natale”. Andiamo incontro al Signore, “perché il Natale – ha precisato - non è soltanto una ricorrenza temporale oppure un ricordo di una cosa bella”:

“Il Natale è di più: noi andiamo per questa strada per incontrare il Signore. Il Natale è un incontro! E camminiamo per incontrarlo: incontrarlo col cuore, con la vita; incontrarlo vivente, come Lui è; incontrarlo con fede. E non è facile vivere con la fede. Il Signore, nella parola che abbiamo ascoltato, si meravigliò di questo centurione: si meravigliò della fede che lui aveva. Lui aveva fatto un cammino per incontrare il Signore, ma lo aveva fatto con fede. Per questo non solo lui ha incontrato il Signore, ma ha sentito la gioia di essere incontrato dal Signore. E questo è proprio l’incontro che noi vogliamo: l’incontro della fede!”.

E più che essere noi ad incontrare il Signore – sottolinea il Papa – è importante “lasciarci incontrare da Lui”:

“Quando noi soltanto incontriamo il Signore, siamo noi - fra virgolette, diciamolo - i padroni di questo incontro; ma quando noi ci lasciamo incontrare da Lui, è Lui che entra dentro di noi, è Lui che ci rifà tutto di nuovo, perché questa è la venuta, quello che significa quando viene il Cristo: rifare tutto di nuovo, rifare il cuore, l’anima, la vita, la speranza, il cammino. Noi siamo in cammino con fede, con la fede di questo centurione, per incontrare il Signore e principalmente per lasciarci incontrare da Lui!”.

Ma occorre il cuore aperto:

“Cuore aperto, perché Lui incontri me! E mi dica quello che Lui vuol dirmi, che non sempre è quello che io voglio che mi dica! Lui è il Signore e Lui mi dirà quello ha per me, perché il Signore non ci guarda tutti insieme, come una massa. No, no! Ci guarda ognuno in faccia, negli occhi, perché l’amore non è un amore così, astratto: è amore concreto! Da persona a persona: il Signore, persona, guarda me, persona. Lasciarci incontrare dal Signore è proprio questo: lasciarci amare dal Signore!”. 

In questo cammino verso il Natale – ha concluso il Papa – ci aiutano alcuni atteggiamenti: “la perseveranza nella preghiera, pregare di più; l’operosità nella carità fraterna, avvicinarci un po’ di più a quelli che hanno bisogno; e la gioia nella lode del Signore”. Dunque: “la preghiera, la carità e la lode”, con il cuore aperto “perché il Signore ci incontri”.





Il Papa: impensabile una Chiesa senza gioia, annunciare Cristo col sorriso



La Chiesa deve essere sempre gioiosa come Gesù. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani, 3 dicembre, alla Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che la Chiesa è chiamata a trasmettere la gioia del Signore ai suoi figli, una gioia che dona la vera pace. Il servizio di Alessandro GisottiRealAudioMP3 

Pace e gioia. Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi su questo binomio. Nella prima Lettura tratta dal Libro di Isaia, ha osservato, scorgiamo il desiderio di pace che tutti abbiamo. Una pace che, dice Isaia, ci porterà il Messia. Nel Vangelo, invece, “possiamo intravedere un po’ l’anima di Gesù, il cuore di Gesù: un cuore gioioso”:

“Noi pensiamo sempre a Gesù quando predicava, quando guariva, quando camminava, andava per le strade, anche durante l’Ultima Cena… Ma non siamo tanto abituati a pensare a Gesù sorridente, gioioso. Gesù era pieno di gioia: pieno di gioia. In quella intimità con suo Padre: ‘Esultò di gioia nello Spirito Santo e lodò il Padre’. E’ proprio il mistero interno di Gesù, quel rapporto con il Padre nello Spirito. E’ la sua gioia interna, la sua gioia interiore che Lui dà a noi”. 

“E questa gioia – ha osservato – è la vera pace: non è una pace statica, quieta, tranquilla”. No, “la pace cristiana è una pace gioiosa, perché il nostro Signore è gioioso”. E, anche, è gioioso “quando parla del Padre: ama tanto il Padre che non può parlare del Padre senza gioia”. Il nostro Dio, ha ribadito, “è gioioso”. E Gesù “ha voluto che la sua sposa, la Chiesa, anche lei fosse gioiosa”: 

“Non si può pensare una Chiesa senza gioia e la gioia della Chiesa è proprio questo: annunciare il nome di Gesù. Dire: ‘Lui è il Signore. Il mio sposo è il Signore. E’ Dio. Lui ci salva, Lui cammina con noi’. E quella è la gioia della Chiesa, che in questa gioia di sposa diventa madre. Paolo VI diceva: la gioia della Chiesa è proprio evangelizzare, andare avanti e parlare del suo Sposo. E anche trasmettere questa gioia ai figli che lei fa nascere, che lei fa crescere”. 

E così, ha soggiunto, contempliamo che la pace di cui ci parla Isaia “è una pace che si muove tanto, è una pace di gioia, una pace di lode”, una pace che possiamo dire “rumorosa, nella lode, una pace feconda nella maternità di nuovi figli”. Una pace, ha detto ancora Papa Francesco, “che viene proprio nella gioia della lode alla Trinità e della evangelizzazione, di andare ai popoli a dire chi è Gesù”. “Pace e gioia”, ha ribadito. E ha messo l’accento su quello che dice Gesù, “una dichiarazione dogmatica”, quando afferma: “Tu hai deciso così, di rivelarti non ai sapienti ma ai piccoli”:

“Anche nelle cose tanto serie, come questa, Gesù è gioioso, la Chiesa è gioiosa. Deve essere gioiosa. Anche nella sua vedovanza - perché la Chiesa ha una parte di vedova che aspetta il suo sposo che torni - anche nella sua vedovanza, la Chiesa è gioiosa nella speranza. Il Signore ci dia a tutti noi questa gioia, questa gioia di Gesù, lodando il Padre nello Spirito. Questa gioia della nostra madre Chiesa nell’evangelizzare, nell’annunziare il suo Sposo”.









Papa Francesco: ascoltare e non mettere in pratica la Parola di Dio non solo non serve ma fa anche male



Chi pronuncia parole cristiane senza Cristo, cioè senza metterle in pratica, fa male a se stesso e agli altri, perché è vinto dall’orgoglio e causa divisione, anche nella Chiesa: è questo, in sintesi, quanto ha affermato Papa Francesco, stamani, durante la Messa presieduta nella Cappella di Santa Marta stamani il 5 dicembre. Il servizio diSergio Centofanti:RealAudioMP3 

Ascoltare e mettere in pratica la parola del Signore è come costruire la casa sulla roccia. Papa Francesco spiega la parabola evangelica proposta dalla liturgia del giorno. Gesù rimproverava i farisei di conoscere i comandamenti ma di non realizzarli nella loro vita: “sono parole buone”, ma se non sono messe in pratica “non solo non servono, ma fanno male: ci ingannano, ci fanno credere che noi abbiamo una bella casa, ma senza fondamenta”. Una casa che non è costruita sulla roccia:

“Questa figura della roccia si riferisce al Signore. Isaia, nella Prima Lettura, lo dice: ‘Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna!’. La roccia è Gesù Cristo! La roccia è il Signore! Una parola è forte, dà vita, può andare avanti, può tollerare tutti gli attacchi, se questa parola ha le sue radici in Gesù Cristo. Una parola cristiana che non ha le sue radici vitali, nella vita di una persona, in Gesù Cristo, è una parola cristiana senza Cristo! E le parole cristiane senza Cristo ingannano, fanno male! Uno scrittore inglese, una volta, parlando delle eresie diceva che un’eresia è una verità, una parola, una verità, che è diventata pazza. Quando le parole cristiane sono senza Cristo incominciano ad andare sul cammino della pazzia”. 

E una pazzia – spiega il Papa - che fa diventare superbi: 

“Una parola cristiana senza Cristo ti porta alla vanità, alla sicurezza di te stesso, all’orgoglio, al potere per il potere. E il Signore abbatte queste persone. Questa è una costante nella storia della Salvezza. Lo dice Anna, la mamma di Samuele; lo dice Maria nel Magnificat: il Signore abbatte la vanità, l’orgoglio di quelle persone che si credono di essere roccia. Queste persone che soltanto vanno dietro una parola, ma senza Gesù Cristo: una parola cristiana pure, ma senza Gesù Cristo, senza il rapporto con Gesù Cristo, senza la preghiera con Gesù Cristo, senza il servizio a Gesù Cristo, senza l’amore a Gesù Cristo. Questo è quello che il Signore oggi ci dice: di costruire la nostra vita su questa roccia e la roccia è Lui”.

“Ci farà bene fare un esame di coscienza – afferma il Papa - per capire “come sono le nostre parole”, se sono parole “che credono di essere potenti”, capaci “di darci la salvezza”, o se “sono parole con Gesù Cristo”: 

“Mi riferisco alle parole cristiane, perché quando non c’è Gesù Cristo anche questo ci divide fra di noi, fa la divisione nella Chiesa. Chiedere al Signore la grazia di aiutarci in questa umiltà, che dobbiamo avere sempre, di dire parole cristiane in Gesù Cristo, non senza Gesù Cristo. Con questa umiltà di essere discepoli salvati e di andare avanti non con parole che, per credersi potenti, finiscono nella pazzia della vanità, nella pazzia dell’orgoglio. Che il Signore ci dia questa grazia dell’umiltà di dire parole con Gesù Cristo, fondate su Gesù Cristo!”.









Il Papa: pregare è dare “fastidio” a Dio perché ci ascolti, sempre sicuri del suo intervento



Pregare con insistenza e con la certezza che Dio ascolterà la nostra preghiera. Su questo aspetto ha riflettuto Papa Francesco nell’omelia della Messa celebrata questa mattina 6 dicembre in Casa Santa Marta. La preghiera, ha affermato, il Papa ha due atteggiamenti: è “bisognosa” e allo stesso tempo è “sicura” del fatto che Dio, nei suoi tempi e nei suoi modi, esaudirà il bisogno. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

La preghiera, quando è cristiana sul serio, oscilla tra il bisogno che sempre contiene e la certezza di essere esaudita, anche se non si sa con esattezza quando. Questo perché chi prega non teme di disturbare Dio e nutre una fiducia cieca nel suo amore di Padre. Cieca come i due non vedenti del brano del Vangelo di oggi, che gridano dietro a Gesù il loro bisogno di essere guariti. O come il cieco di Gerico, che invoca l’intervento del Maestro con una voce più alta di chi vuole zittirlo. Perché Gesù stesso – ricorda Papa Francesco – ci ha insegnato a pregare come “l’amico fastidioso” che mendica del cibo a mezzanotte, o come “la vedova col giudice corrotto”:

“Non so se forse questo suona male, ma pregare è un po’ dare fastidio a Dio, perché ci ascolti. Ma, il Signore lo dice: come l’amico a mezzanotte, come la vedova al giudice… E’ attirare gli occhi, attirare il cuore di Dio verso di noi… E questo lo hanno fatto anche quei lebbrosi che gli si avvicinarono: ‘Se tuvuoipuoi guarirci!’. Lo hanno fatto con una certa sicurezza. Così, Gesù ci insegna a pregare. Quando noi preghiamo, pensiamo a volte: ‘Ma, sì, io dico questo bisogno, lo dico al Signore una, due, tre volte, ma non con tanta forza. Poi mi stanco di chiederlo e mi dimentico di chiederlo’. Questi gridavano e non si stancavano di gridare. Gesù ci dice: ‘Chiedete’, ma anche ci dice: ‘Bussate alla porta’, e chi bussa alla porta fa rumore, disturba, dà fastidio”.

Insistenza ai limiti del fastidio, dunque. Ma anche una incrollabile certezza. I ciechi del Vangelo sono ancora di esempio. “Si sentono – afferma Papa Francesco – sicuri di chiedere al Signore la salute”, perché alla domanda di Gesù se credano che Egli possa guarirli, loro rispondono: “Sì, Signore, crediamo! Siamo sicuri!”: 

“E la preghiera ha questi due atteggiamenti: è bisognosa ed è sicura. Preghiera bisognosa sempre: la preghiera, quando noi chiediamo qualcosa, è bisognosa: 'Ho questo bisogno, ascoltami, Signore'. Ma anche, quando è vera, è sicura: ‘Ascoltami! Io credo che tu possa farlo perché tu lo hai promesso’”.

“Lui l’ha promesso”: ecco la pietra angolare su cui poggia la certezza di una preghiera. “Con questa sicurezza – ripete Papa Francesco – noi diciamo al Signore i nostri bisogni, ma sicuri che lui possa farlo”. Pregare, dice ancora, è sentirci rivolgere da Gesù la domanda ai due ciechi: “Tu credi che io possa fare questo?”:

“Lui può farlo. Quando lo farà, come lo farà non lo sappiamo. Questa è la sicurezza della preghiera. Il bisogno di dirlo con verità, al Signore. ‘Sono cieco, Signore. Ho questo bisogno. Ho questa malattia. Ho questo peccato. Ho questo dolore…’, ma sempre la verità, come è la cosa. E Lui sente il bisogno, ma sente che noi chiediamo il suo intervento con sicurezza. Pensiamo se la nostra preghiera è bisognosa ed è sicura: bisognosa, perché diciamo la verità a noi stessi, e sicura, perché crediamo che il Signore possa fare quello che noi chiediamo”.




SANTA MESSA CONCELEBRATA DA PAPA FRANCESCO 
CON IL PATRIARCA DI ALESSANDRIA DEI COPTI CATTOLICI, S.B. IBRAHIM ISAAC SIDRAK
NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE

Omelia in occasione della significazione della 
ecclesiastica communio concessa al Patriarca Copto Cattolico

Lunedì, 9 dicembre 2013

 

Beatitudine, Eminenza,
Venerati fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, 
Cari fratelli e sorelle,

Per la prima volta ho la gioia di accogliere come Vescovo di Roma un nuovo Patriarca venuto a compiere un significativo gesto di comunione con il Successore di Pietro. Accettando l’elezione canonica, Vostra Beatitudine ha subito chiesto la «ecclesiastica communio» con la “Chiesa che presiede alla carità universale”. Il mio venerato Predecessorel’ha concessa di buon grado, memore del legame col Successore di Pietro che la Chiesa di Alessandria dei Copti Cattolici ha sempre mantenuto lungo la sua storia. Siete espressione della predicazione di San Marco Evangelista: ed è proprio questa l’eredità che egli vi ha lasciato come buon interprete dell’Apostolo Pietro.

Nella prima lettura, il profeta Isaia (cfr 35,1-10) ha risvegliato nei nostri cuori l’attesa del ritorno glorioso del Signore. L’incoraggiamento «agli smarriti di cuore» lo sentiamo rivolto a quanti nella vostra amata terra egiziana sperimentano insicurezza e violenza, talora a motivo della fede cristiana. «Coraggio: non temete!»: ecco le consolanti parole che trovano conferma nella fraterna solidarietà. Sono grato a Dio per questo incontro che mi dà modo di rafforzare la vostra e la nostra speranza, perché è la stessa: «...la terra bruciata ...e il suolo riarso - infatti - si muteranno in sorgenti d’acqua» e si aprirà finalmente la «via santa», la via della gioia e della felicità, «e fuggiranno tristezza e pianto». Questa è la nostra speranza, la speranza comune delle nostre due Chiese.

Il vangelo (cfr Lc 5,17-26) ci presenta Cristo che vince le paralisi dell’umanità. Descrive la potenza della misericordia divina che perdona e scioglie ogni peccato quando incontra una fede autentica. Le paralisi delle coscienze sono contagiose. Con la complicità delle povertà della storia, e del nostro peccato, possono espandersi ed entrare nelle strutture sociali e nelle comunità fino a bloccare popoli interi. Ma il comando di Cristo può ribaltare la situazione: «Àlzati, cammina!». Preghiamo con fiducia perché in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente la pace possa sempre rialzarsi dalle soste troppo ricorrenti e talora drammatiche.
Si fermino, invece, per sempre l’inimicizia e le divisioni.
Riprendano speditamente le intese di pace spesso paralizzate da contrapposti e oscuri interessi. Siano date finalmente reali garanzie di libertà religiosa a tutti, insieme al diritto per i cristiani di vivere serenamente là dove sono nati, nella patria che amano come cittadini da duemila anni, per contribuire come sempre al bene di tutti. Il Signore Gesù, che esperimentò con la Santa Famiglia la fuga e venne ospitato nella vostra terra generosa, vegli sugli egiziani che per le strade del mondo cercano dignità e sicurezza. E andiamo sempre avanti, cercando il Signore, cercando nuove strade, nuove vie per avvicinarci al Signore. E se fosse necessario aprire un buco sul tetto per avvicinarci tutti al Signore, che la nostra immaginazione creativa della carità ci porti a questo: a trovare e a fare strade di incontro, strade di fratellanza, strade di pace.

Per parte nostra desideriamo «glorificare Dio», sostituendo al timore lo stupore: ancora oggi possiamo vedere «cose prodigiose». Il prodigio dell’Incarnazione del Verbo e, perciò, della assoluta vicinanza di Dio all’umanità, nel quale sempre ci colloca il mistero dell’Avvento. Il vostro grande padre Atanasio, posto così vicino alla Cattedra di Pietro nella Basilica Vaticana, interceda per noi, con San Marco e San Pietro, e soprattutto con l’Immacolata e Tuttasanta Madre di Dio. Ci ottengano dal Signore la gioia del Vangelo, donata in abbondanza ai discepoli e ai testimoni. Così sia.




Caterina63
00martedì 10 dicembre 2013 11:27

Il Papa: la porta del Signore è sempre aperta, il cristiano non perda mai la speranza



Quando Gesù si avvicina a noi, sempre apre le porte e ci dà speranza. E’ quanto affermato da Papa Francesco, stamani 10 dicembre, nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che non dobbiamo avere paura della consolazione del Signore, ma anzi dobbiamo chiederla e cercarla. Una consolazione che ci fa sentire la tenerezza di Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

“Consolate, consolate il mio popolo”. Papa Francesco ha iniziato la sua omelia soffermandosi su un passo del Libro del Profeta Isaia, Libro della consolazione d’Israele. Il Signore, ha osservato, si avvicina al suo popolo per consolarlo, “per dargli pace”. E questo “lavoro di consolazione” è così forte che “rifà tutte le cose”. Il Signore compie una vera ri-creazione:

“Ricrea le cose. E la Chiesa non si stanca di dire che questa ri-creazione è più meravigliosa della creazione. Il Signore più meravigliosamente ricrea. E così visita il suo popolo: ricreando, con quella potenza. E sempre il popolo di Dio aveva questa idea, questo pensiero, che il Signore verrà a visitarlo. Ricordiamo le ultime parole di Giuseppe ai suoi fratelli: ‘Quando il Signore vi visiterà portate con voi le mie ossa’. Il Signore visiterà il suo popolo. E’ la speranza di Israele. Ma lo visiterà con questa consolazione”. 

“E la consolazione – ha proseguito – è questo rifare tutto non una volta, tante volte, con l’universo e anche con noi”. Questo “rifare del Signore”, ha detto il Papa, ha due dimensioni che è importante sottolineare. “Quando il Signore si avvicina – ha affermato – ci dà speranza; il Signore rifà con la speranza; sempre apre una porta. Sempre”. Quando il Signore si avvicina a noi, ha tenuto a ribadire, “non chiude le porte, le apre”. Il Signore “nella sua vicinanza – ha soggiunto – ci dà la speranza, questa speranza che è una vera fortezza nella vita cristiana. E’ una grazia, è un dono”: 

“Quando un cristiano dimentica la speranza, o peggio perde la speranza, la sua vita non ha senso. E’ come se la sua vita fosse davanti ad un muro: niente. Ma il Signore ci consola e ci rifà, con la speranza, andare avanti. E anche lo fa con una vicinanza speciale a ognuno, perché il Signore consola il suo popolo e consola ognuno di noi. Bello come il brano di oggi finisce: ‘Come un pastore egli fa pascolare il gregge, e con il suo braccio lo raduna, porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri’. Quell’immagine di portare gli agnellini sul petto e portare dolcemente le madri: questa è la tenerezza. Il Signore ci consola con tenerezza”.

Dio che è potente, ha proseguito, "non ha paura della tenerezza". "Lui si fa tenerezza, si fa bambino, si fa piccolo”. Nel Vangelo, ha osservato, Gesù stesso lo dice: “Così è la volontà del Padre, che neanche uno di questi piccoli si perda”. Agli occhi del Signore, ha aggiunto, “ognuno di noi è molto, molto importante. E Lui si dà con tenerezza”. E così ci fa “andare avanti, dandoci speranza”. Questo, ha detto ancora, “è stato il principale lavoro di Gesù” nei “40 giorni fra la Risurrezione e l’Ascensione: consolare i discepoli; avvicinarsi e dare consolazione”:

“Avvicinarsi e dare speranza, avvicinarsi con tenerezza. Ma pensiamo alla tenerezza che ha avuto con gli apostoli, con la Maddalena, con quelli di Emmaus. Si avvicinava con tenerezza: ‘Dammi da mangiare’. Con Tommaso: 'Metti il tuo dito qui'. Sempre così è il Signore. Così è la consolazione del Signore. Che il Signore ci dia a tutti noi la grazia di non avere paura della consolazione del Signore, di essere aperti: chiederla, cercarla, perché è una consolazione che ci darà speranza e ci farà sentire la tenerezza di Dio Padre”.







Papa Francesco: verso il Natale nel silenzio, per ascoltare la tenerezza di Dio



Preparandoci al Natale ci farà bene fare un po’ di silenzio per ascoltare Dio che ci parla con la tenerezza di un papà e di una mamma: è questo, in sintesi, quanto ha detto oggi Papa Francesco nella Messa presieduta a Santa Marta in questo secondo giovedì, 12 dicembre, del Tempo di Avvento. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

Prendendo spunto dalla lettura tratta dal profeta Isaia, il Papa sottolinea non tanto “quello che dice il Signore”, ma “come lo dice”. Dio ci parla come fanno un papà e una mamma con il loro bambino:

“Quando il bambino fa un brutto sogno, si sveglia, piange … papà va e dice: non temere, non temere, ci sono io, qui. Così ci parla il Signore. ‘Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, larva di Israele’. Il Signore ha questo modo di parlarci: si avvicina … Quando guardiamo un papà o una mamma che parlano al loro figliolo, noi vediamo che loro diventano piccoli e parlano con la voce di un bambino e fanno gesti di bambini. Uno che guarda dal di fuori può pensare: ma questi sono ridicoli! Si rimpiccioliscono, proprio lì, no? Perché l’amore del papà e della mamma ha necessità di avvicinarsi, dico questa parola: di abbassarsi proprio al mondo del bambino. Eh sì: se papà e mamma gli parlano normalmente, il bambino capirà lo stesso; ma loro vogliono prendere il modo di parlare del bambino. Si avvicinano, si fanno bambini. E così è il Signore”.

I teologi greci – ricorda il Papa – spiegavano questo atteggiamento di Dio con “una parola ben difficile: la synkatábasi”, ovvero “la condiscendenza di Dio che discende a farsi come uno di noi”:

“E poi, il papà e la mamma dicono anche cose un po’ ridicole al bambino: ‘Ah, amore mio, giocattolo mio …’, e tutte queste cose. Anche il Signore lo dice: ‘Vermiciattolo di Giacobbe’, ‘tu sei come un vermiciattolo per me, una cosina piccolina, ma ti amo tanto’. Questo è il linguaggio del Signore, il linguaggio d’amore di padre, di madre. Parola del Signore? Sì, sentiamo quello che ci dice. Ma anche vediamo come lo dice. E noi dobbiamo fare quello che fa il Signore, fare quello che dice e farlo come lo dice: con amore, con tenerezza, con quella condiscendenza verso i fratelli”.

Dio – spiega Papa Francesco citando l’incontro di Elia con il Signore - è come “la brezza soave”, o - come dice il testo originale – “un filo sonoro di silenzio”: così “si avvicina il Signore, con quella sonorità del silenzio propria dell’amore. Senza dare spettacolo”. E “si fa piccolo per farmi potente; Lui va alla morte, con quella condiscendenza, perché io possa vivere”:

“Questa è la musica del linguaggio del Signore, e noi nella preparazione al Natale dobbiamo sentirla: ci farà bene sentirla, ci farà tanto bene. Normalmente, il Natale sembra una festa di molto rumore: ci farà bene fare un po’ di silenzio e sentire queste parole di amore, queste parole di tanta vicinanza, queste parole di tenerezza … ‘Tu sei un vermiciattolo, ma io ti amo tanto!’. Per questo. E fare silenzio, in questo tempo in cui, come dice il prefazio, noi siamo vigilanti in attesa”.








Il Papa: i cristiani allergici ai predicatori criticano sempre, ma sono chiusi allo Spirito



I cristiani allergici ai predicatori hanno sempre qualcosa da criticare, ma in realtà hanno paura di aprire la porta allo Spirito Santo e diventano tristi: lo ha affermato il Papa stamani 13 dicembre nella Messa presieduta a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

Nel Vangelo del giorno, Gesù paragona la generazione del suo tempo a quei bambini sempre scontenti “che non sanno giocare con felicità, che sempre rifiutano l’invito degli altri: se suonano, non ballano; se cantano un canto di lamento, non piangono … nessuna cosa gli va bene”. Papa Francesco spiega che quella gente “non era aperta alla Parola di Dio”. Il loro rifiuto “non è al messaggio, è al messaggero”. Rifiutano Giovanni Battista, che “non mangia e non beve” ma dicono che “è un indemoniato!”. Rifiutano Gesù, perché dicono che “è un mangione, un beone, amico di pubblicani e peccatori”. Hanno sempre un motivo per criticare il predicatore :

“E loro, la gente di quel tempo, preferivano rifugiarsi in una religione più elaborata: nei precetti morali, come quel gruppo di farisei; nel compromesso politico, come i sadducei; nella rivoluzione sociale, come gli zeloti; nella spiritualità gnostica, come gli esseni. Erano con il loro sistema ben pulito, ben fatto. Ma il predicatore, no. Anche Gesù fa fare loro memoria: ‘I vostri padri hanno fatto lo stesso con i profeti’. Il popolo di Dio ha una certa allergia per i predicatori della Parola: i profeti, li ha perseguitati, li ha uccisi”. 

Queste persone, dunque, – prosegue il Papa – dicono di accettare la verità della rivelazione, “ma il predicatore, la predicazione, no. Preferiscono una vita ingabbiata nei loro precetti, nei loro compromessi, nei loro piani rivoluzionari o nella loro spiritualità” disincarnata. Sono quei cristiani sempre scontenti di quello che dicono i predicatori: 

“Questi cristiani che sono chiusi, che sono ingabbiati, questi cristiani tristi … non sono liberi. Perché? Perché hanno paura della libertà dello Spirito Santo, che viene tramite la predicazione. E questo è lo scandalo della predicazione, del quale parlava San Paolo: lo scandalo della predicazione che finisce nello scandalo della Croce. Scandalizza che Dio ci parli tramite uomini con limiti, uomini peccatori: scandalizza! E scandalizza di più che Dio ci parli e ci salvi tramite un uomo che dice che è il Figlio di Dio ma finisce come un criminale. Quello scandalizza”.

“Questi cristiani tristi – afferma il Papa - non credono nello Spirito Santo, non credono in quella libertà che viene dalla predicazione, che ti ammonisce, ti insegna, ti schiaffeggia, pure; ma è proprio la libertà che fa crescere la Chiesa”: 

“Vedendo questi bambini che hanno paura di ballare, di piangere, paura di tutto, che chiedono sicurezza in tutto, penso a questi cristiani tristi che sempre criticano i predicatori della Verità, perché hanno paura di aprire la porta allo Spirito Santo. Preghiamo per loro, e preghiamo anche per noi, che non diventiamo cristiani tristi, tagliando allo Spirito Santo la libertà di venire a noi tramite lo scandalo della predicazione”.








Papa Francesco: quando nella Chiesa manca la profezia, c'è il clericalismo



Quando manca la profezia nella Chiesa, manca la vita stessa di Dio e ha il sopravvento il clericalismo: è quanto ha affermato Papa Francesco stamani, 16 dicembre, nella Messa presieduta a Santa Marta nel terzo lunedì d’Avvento. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

Il profeta – ha affermato il Papa commentando le letture del giorno – è colui che ascolta le parole di Dio, sa vedere il momento e proiettarsi sul futuro. “Ha dentro di sé questi tre momenti”: il passato, il presente e il futuro:

“Il passato: il profeta è cosciente della promessa e ha nel suo cuore la promessa di Dio, l’ha viva, la ricorda, la ripete. Poi guarda il presente, guarda il suo popolo e sente la forza dello Spirito per dirgli una parola che lo aiuti ad alzarsi, a continuare il cammino verso il futuro. Il profeta è un uomo di tre tempi: promessa del passato; contemplazione del presente; coraggio per indicare il cammino verso il futuro. E il Signore sempre ha custodito il suo popolo, con i profeti, nei momenti difficili, nei momenti nei quali il Popolo era scoraggiato o era distrutto, quando il Tempio non c’era, quando Gerusalemme era sotto il potere dei nemici, quando il popolo si domandava dentro di sé: ‘Ma Signore tu ci ha promesso questo! E adesso cosa succede?’”. 

E’ quello che “è successo nel cuore della Madonna – ha proseguito Papa Francesco - quando era ai piedi della Croce”.
In questi momenti “è necessario l’intervento del profeta. E non sempre il profeta è ricevuto, tante volte è respinto. Lo stesso Gesù dice ai Farisei che i loro padri hanno ucciso i profeti, perché dicevano cose che non erano piacevoli: dicevano la verità, ricordavano la promessa! E quando nel popolo di Dio manca la profezia – ha osservato ancora il Papa - manca qualcosa: manca la vita del Signore!”. “Quando non c’è profezia la forza cade sulla legalità”, ha il sopravvento il legalismo. Così, nel Vangelo i “sacerdoti sono andati da Gesù a chiedere la cartella di legalità: ‘Con quale autorità fai queste cose? Noi siamo i padroni del Tempio!’”. “Non capivano le profezie. Avevano dimenticato la promessa! Non sapevano leggere i segni del momento, non avevano né occhi penetranti, né udito della Parola di Dio: soltanto avevano l’autorità!” 


“Quando nel popolo di Dio non c’è profezia, il vuoto che lascia quello viene occupato dal clericalismo: è proprio questo clericalismo che chiede a Gesù: ‘Con quale autorità fai tu queste cose? Con quale legalità?’. E la memoria della promessa e la speranza di andare avanti vengono ridotte soltanto al presente: né passato, né futuro speranzoso. Il presente è legale: se è legale vai avanti”.

Ma quando regna il legalismo, la Parola di Dio non c’è e il popolo di Dio che crede, piange nel suo cuore, perché non trova il Signore: gli manca la profezia. Piange “come piangeva la mamma Anna, la mamma di Samuele, chiedendo la fecondità del popolo, la fecondità che viene dalla forza di Dio, quando Lui ci risveglia la memoria della sua promessa e ci spinge verso il futuro, con la speranza. Questo è il profeta! Questo è l’uomo dall’occhio penetrante e che ode le parole di Dio”:

“La nostra preghiera in questi giorni, nei quali ci prepariamo al Natale del Signore, sia: ‘Signore, che non manchino i profeti nel tuo popolo!’. Tutti noi battezzati siamo profeti. ‘Signore, che non dimentichiamo la tua promessa! Che non ci stanchiamo di andare avanti! Che non ci chiudiamo nelle legalità che chiudono le porte! Signore, libera il tuo popolo dalla spirito del clericalismo e aiutalo con lo spirito di profezia’”.





La Messa mattutina con il personale di "Santa Marta", gli auguri al Papa di tre senza fissa dimora e dei suoi collaboratori



Questa mattina, 17 dicembre, nel giorno del suo 77* compleanno , il Santo Padre ha voluto che alla Messa mattutina nella Casa Santa Marta fosse presente il personale della stessa Casa, in modo da vivere la celebrazione in un clima particolarmente familiare.

Il Vangelo odierno della genealogia, ricco dei nomi degli antenati di Gesù, ha dato occasione al Papa per ricordare affettuosamente nel corso dell’omelia anche i nomi di alcuni dei dipendenti presenti. Ha concelebrato con il Papa il decano del Collegio cardinalizio, il cardinale Angelo Sodano, in rappresentanza del Collegio.
Dopo la Messa, come di abitudine, il Papa ha salutato tutti personalmente. Il segretario di Stato, mons. Pietro Parolin ha fatto gli auguri al Papa anche a nome dei suoi collaboratori nella Segreteria di Stato. Agli auguri si è unito l’elemosiniere, mons. Konrad Krajewski, che ha presentato al Papa tre persone senza fissa dimora che soggiornano nel quartiere vicino al Vaticano. I presenti, con il direttore della Casa Santa Marta, hanno accompagnato gli auguri al Papa con un canto. Poi, tutti hanno partecipato alla colazione nel refettorio della Domus. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 


Dio mai ci lascia soli, ma sempre cammina con noi. Papa Francesco ha preso spunto dal Vangelo odierno, incentrato sulla genealogia di Gesù, per soffermarsi sulla presenza del Signore nella nostra vita:

“Qualcuno una volta ho sentito che diceva: ‘Ma questo brano del Vangelo sembra l’elenco telefonico!’ E no, è tutt’altra cosa: questo brano del Vangelo è pura storia e ha un argomento importante. E’ pura storia, perché Dio, come diceva San Leone Papa, Dio ha inviato il suo Figlio. E Gesù è consustanziale al Padre, Dio, ma anche consustanziale alla Madre, una donna. E questa è quella consustanzialità della Madre. Dio si è fatto storia. Dio ha voluto farsi storia. E’ con noi. Ha fatto il cammino con noi”. 

Dopo il primo peccato nel Paradiso, ha sottolineato il Papa, “Lui ha avuto questa idea: fare il cammino con noi”. Ha chiamato Abramo, “il primo nominato in questa lista” e “lo ha invitato a camminare”. E Abramo “ha incominciato quel cammino”. E poi Isacco, Giacobbe, Giuda. “E così va questo cammino nella storia”. Dio, ha affermato il Papa, “cammina con il suo popolo. Dio non ha voluto venire a salvarci senza storia. Lui ha voluto fare storia con noi”. Una storia, ha rilevato, “che va dalla santità al peccato. In questo elenco ci sono santi”, “ma in questo elenco ci sono anche i peccatori”:

“I peccatori di alto livello, che hanno fatto peccati grossi. E Dio ha fatto storia con loro. Peccatori, che non hanno risposto a tutto quello che Dio pensava per loro. Pensiamo a Salomone, tanto grande, tanto intelligente, e finì, poveraccio, lì, che non sapeva come si chiamava! Ma Dio era con lui. E questo è il bello, no? Dio è consustanziale a noi. Fa storia con noi. Di più: quando Dio vuol dire chi è, dice ‘Io sono il Dio di Abramo, di Isacco e Giacobbe’. Ma qual è il cognome di Dio? Siamo noi, ognuno di noi. Lui prende da noi il nome per farlo il suo cognome. ‘Io sono il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Pedro, di Marietta, di Armony, di Marisa, di Simone, di tutti!’ Da noi prende il cognome. Il cognome di Dio è ognuno di noi”.

“Lui, il nostro Dio – ha soggiunto – ha fatto storia con noi, ha preso il cognome dal nostro nome”, “si è lasciato scrivere la storia da noi”. “Noi – è stata la sua riflessione – scriviamo questa storia di grazia e peccato e Lui va dietro a noi”. Questa, ha ribadito, “è l’umiltà di Dio, la pazienza di Dio, l’amore di Dio. E’ nostro!” E questo, ha confidato, fa commuovere. “Tanto amore, tanta tenerezza, di avere un Dio così”: 

“La sua gioia è stata condividere la sua vita con noi. Il Libro della Sapienza dice che la gioia del Signore è fra i figli dell’uomo, con noi. Avvicinandosi il Natale, viene da pensare: se Lui ha fatto la sua storia con noi, se Lui ha preso il suo cognome da noi, se Lui ha lasciato che noi scrivessimo la sua storia, almeno lasciamo, noi, che Lui ci scriva la nostra storia. E quella è la santità: ‘Lasciare che il Signore ci scriva la nostra storia’. E questo è un augurio di Natale per tutti noi. Che il Signore ti scriva la storia e che tu lasci che Lui te la scriva. Così sia!”



     




Caterina63
00venerdì 20 dicembre 2013 21:43

Il Papa: il mistero del nostro incontro con Dio si comprende in un silenzio che non cerca pubblicità



Solo il silenzio custodisce il mistero del cammino che l'uomo compie con Dio. Lo ha affermato Papa Francesco nell'omelia della Messa presieduta questa mattina 20 dicembre in Casa Santa Marta. Il Signore, ha aggiunto il Papa, ci dia "la grazia di amare il silenzio", che ha bisogno di essere "custodito" lontano da ogni "pubblicità". Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Nella storia della salvezza, non il clamore né la platealità, ma l’ombra e il silenzio sono i “luoghi” in cui Dio ha scelto di manifestarsi all’uomo. Confini evanescenti da cui il suo mistero ha preso di volta in volta una forma visibile, ha preso carne. A suggerire la riflessione di Papa Francesco sono gli istanti dell’Annunciazione, proposta dal Vangelo di oggi, in particolare il passo in cui l’Angelo dice a Maria che la potenza dell’Altissimo la “coprirà con la sua ombra”. Come, in fondo, quasi della stessa sostanza dell’ombra era fatta anche la nube con la quale, ricorda il Papa, Dio aveva protetto gli ebrei nel deserto: 

“Il Signore sempre ha avuto cura del mistero e ha coperto il mistero. Non ha fatto pubblicità del mistero. Un mistero che fa pubblicità di sé non è cristiano, non è il mistero di Dio: è una finta di mistero! E questo è quello che è accaduto alla Madonna qui, quando riceve suo Figlio: il mistero della sua maternità verginale è coperto. E’ coperto tutta la vita! E Lei lo sapeva. Quest’ombra di Dio, nella nostra vita, ci aiuta a scoprire il nostro mistero: il nostro mistero dell’incontro col Signore, il nostro mistero del cammino della vita col Signore”.

“Ognuno di noi – afferma Papa Francesco – sa come misteriosamente opera il Signore nel nostro cuore, nella nostra anima”. E qual è – soggiunge – “la nube, la potenza, com’è lo stile dello Spirito Santo per coprire il nostro mistero?”:

“Questa nube in noi, nella nostra vita si chiama silenzio: il silenzio è proprio la nube che copre il mistero del nostro rapporto col Signore, della nostra santità e dei nostri peccati. Questo mistero che non possiamo spiegare. Ma quando non c’è silenzio nella vita nostra, il mistero si perde, va via. Custodire il mistero col silenzio! Quella è la nube, quella è la potenza di Dio per noi, quella è la forza dello Spirito Santo”.

La Madre di Gesù è stata la perfetta icona del silenzio. Dall’annuncio della sua eccezionale maternità al Calvario. Penso, osserva Papa Francesco, a “quante volte ha taciuto e quante volte non ha detto quello che sentiva per custodire il mistero del rapporto con suo Figlio”, fino al silenzio più crudo, “ai piedi della Croce”:

“Il Vangelo non ci dice nulla: se ha detto una parola o no… Era silenziosa, ma dentro il suo cuore, quante cose diceva al Signore! ‘Tu, quel giorno - questo è quello che abbiamo letto - mi hai detto che sarà grande; tu mi ha detto che gli avresti dato il Trono di Davide, suo padre, che avrebbe regnato per sempre e adesso lo vedo lì!’. La Madonna era umana! E forse aveva la voglia di dire: ‘Bugie! Sono stata ingannata!’: Giovanni Paolo II diceva questo, parlando della Madonna in quel momento. Ma Lei, col silenzio, ha coperto il mistero che non capiva e con questo silenzio ha lasciato che questo mistero potesse crescere e fiorire nella speranza”.

“Il silenzio è quello che custodisce il mistero”, per cui il mistero “del nostro rapporto con Dio, del nostro cammino, della nostra salvezza – ripete Papa Francesco – non può essere messo all’aria, pubblicizzato". Che il Signore "ci dia a tutti la grazia di amare il silenzio, di cercarlo e avere un cuore custodito dalla nube del silenzio”.



 ATTENZIONE:  l'omelia di stamani  potrebbe trarre in inganno quelli che non conoscono la Parola di Dio 

il Papa dice:

“Il Vangelo non ci dice nulla: se ha detto una parola o no… Era silenziosa, ma dentro il suo cuore, quante cose diceva al Signore!"

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bè no, i Vangeli ci danno ben "7 interventi" vocali di Maria 

1 e 2 in Luca per l'Annunciazione c'è il bellissimo dialogo fra Maria e Gabriele con più di una parola;

3 e 4 sempre in Luca ((cf Lc 1,39-55). troviamo il Magnificat pronunciato da Maria; "L’anima mia magnifica il Signore" e "tutte le generazioni mi chiameranno beata" sono due parole sostanziali attraverso le quali Maria parla per sè stessa, ma dove nella seconda parla anche della Chiesa nel suo mistero di maternità;

5. Nel ritrovare Gesù tra i dottori, Giuseppe e Maria restano stupiti, e Maria gli dice: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). 

6 e 7 Alle nozze di Cana, venuto a mancare il vino, Maria dice a Gesù: «Non hanno più vino». Poi dice ai servi: «Fate quello che vi dirà». (Mc.18)
anche qui sono due parole chiarissime: nella prima rivolge una constatazione di fatto, fa da tramite; nella seconda sa che la sua preghiera verrà ora esaudita e dice a noi cosa dobbiamo fare....

Allora è ovvio che il Papa non sta negando tutto questo, non sta negando i pilastri di queste parole di Maria, egli parla di un altro silenzio e lo spiega quando dice:
"Penso, osserva Papa Francesco, a “quante volte ha taciuto e quante volte non ha detto quello che sentiva per custodire il mistero del rapporto con suo Figlio”, fino al silenzio più crudo, “ai piedi della Croce”

un silenzio, quello spiegato dal Papa, che non posso che condividere 






Il Papa: a Natale, facciamo posto a Gesù invece che alle spese e al rumore



A Natale, come Maria, facciamo posto a Gesù che viene. E’ l’esortazione di Papa Francesco nella Messa di stamani 23 a Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che il Signore visita ogni giorno la sua Chiesa ed ha messo in guardia da un atteggiamento di chiusura della nostra anima. Il cristiano, ha ribadito, deve sempre vivere in vigilante attesa del Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Natale è vicino. In questi giorni che precedono la nascita del Signore, Papa Francesco ha sottolineato che la Chiesa, come Maria, è in attesa di un parto. Anche Lei, ha osservato, “sentiva quello che sentono tutte le donne in quel tempo”. Sente queste “percezioni interiori nel suo corpo, nella sua anima” che il figlio sta arrivando. Maria, ha detto il Papa, sente nel cuore che vuole guardare il volto del suo Bambino. Noi come Chiesa, ha soggiunto, “accompagniamo la Madonna in questo cammino di attesa” e quasi “vogliamo affrettare questa nascita" di Gesù. Il Signore viene due volte, ha detto Papa Francesco, “quella che commemoriamo adesso, la nascita fisica” e quella in cui “verrà alla fine a chiudere la storia”. Ma, come afferma San Bernardo, c’è anche una terza nascita:

“C’è una terza venuta del Signore: quella di ogni giorno. Il Signore ogni giorno visita la sua Chiesa! Visita ognuno di noi e anche la nostra anima entra in questa somiglianza: la nostra anima assomiglia alla Chiesa, la nostra anima assomiglia a Maria. I padri del deserto dicono che Maria, la Chiesa e l’anima nostra sono femminili e quello che si dice di una, analogamente si può dire dell’altra. La nostra anima anche è in attesa, in questa attesa per la venuta del Signore; un’anima aperta che chiama: 'Vieni, Signore!'”.

E anche ad ognuno di noi, in questi giorni, ha proseguito, “lo Spirito Santo ci muove a fare questa preghiera: Vieni! Vieni!”. Tutti i giorni dell’Avvento, ha rammentato, “abbiamo detto nel prefazio che noi, la Chiesa, come Maria, siamo vigilanti nell’attesa”. E la vigilanza, ha evidenziato, “è la virtù” del pellegrino. Noi tutti “siamo pellegrini!”:

“E mi domando: siamo in attesa o siamo chiusi? Siamo vigilanti o siamo sicuri in un albergo, lungo il cammino e non vogliamo più andare avanti? Siamo pellegrini o siamo erranti? Per questo la Chiesa ci invita a pregare questo 'Vieni!', ad aprire la nostra anima e che la nostra anima sia, in questi giorni, vigilante nell’attesa. Vigilare! cosa succede in noi se viene il Signore o se non viene? Se c’è posto per il Signore o c’è posto per feste, per fare spese, fare rumore… La nostra anima è aperta, com’è aperta la Santa Madre Chiesa e com’era aperta la Madonna? O la nostra anima è chiusa e abbiamo attaccato sulla porta un cartellino, molto educato, che dice: 'Si prega di non disturbare!'”.

“Il mondo – ha avvertito il Papa – non finisce con noi, noi non siamo più importanti del mondo: è il Signore, con la Madonna e con la Madre Chiesa!”. Ecco allora, ha detto, “ci farà bene ripetere” l’invocazione: “O saggezza, o chiave di Davide, o Re delle genti, vieni!”:

“E oggi ripetere tante volte 'Vieni!', e cercare che la nostra anima non sia un’anima che dica: 'Do not disturb'. No! Che sia un’anima aperta, che sia un’anima grande, per ricevere il Signore in questi giorni e che incominci a sentire quello che domani nell’antifona ci dirà la Chiesa: ‘Sappiate che oggi viene il Signore! E domani vedrete la sua gloria!’”.












Caterina63
00venerdì 10 gennaio 2014 12:26


  ANNO 2014

 

Il Papa: mettere alla prova il nostro cuore per ascoltare Gesù, non i falsi profeti


Il cristiano sa vigilare sul suo cuore per distinguere ciò che viene da Dio e ciò che viene dai falsi profeti. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di martedì mattina 7 gennaio 2014 a Casa Santa Marta, la prima dopo le festività natalizie. Il Papa ha ribadito che la via di Gesù è quella del servizio e dell’umiltà. Una via che tutti i cristiani sono chiamati a seguire. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

“Rimanete nel Signore”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo da questa esortazione dell’Apostolo Giovanni, contenuta nella Prima lettura. Un “consiglio di vita”, ha osservato, che Giovanni ripete in modo “quasi ossessivo”. L’Apostolo indica “uno degli atteggiamenti del cristiano che vuole rimanere nel Signore: conoscere cosa succede nel proprio cuore”. Per questo avverte di non prestare fede a ogni spirito, ma di mettere “alla prova gli spiriti”. E’ necessario, ha evidenziato il Papa, saper “discernere gli spiriti”, discernere se una cosa ci fa “rimanere nel Signore o ci allontana da Lui”. “Il nostro cuore – ha soggiunto – sempre ha desideri, ha voglie, ha pensieri”. Ma, si è chiesto, “questi sono del Signore o alcuni di questi ci allontanano dal Signore?” Ecco allora che l’Apostolo Giovanni ci esorta a “mettere alla prova” ciò che pensiamo e desideriamo:

“Se questo va nella linea del Signore, così andrai bene, ma se non va… Mettete alla prova gli spiriti per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono venuti nel mondo. Profeti o profezie o proposte: ‘Io ho voglia di far questo!’. Ma questo non ti porta al Signore, ti allontana da Lui. Per questo è necessaria la vigilanza. Il cristiano è un uomo o una donna che sa vigilare il suo cuore. E tante volte il nostro cuore, con tante cose che vanno e vengono, sembra un mercato rionale: di tutto, tu trovi di tutto lì... E no! Dobbiamo saggiare – questo è del Signore e questo non è – per rimanere nel Signore”.

Qual è, dunque, il criterio per capire se una cosa viene da Cristo oppure dall’anticristo? San Giovanni, ha affermato il Papa, ha un’idea chiara, “semplice”: “Ogni spirito che riconosce Gesù Cristo, venuto nella carne, è di Dio. Ogni spirito che non riconosce Gesù non è di Dio: è lo spirito dell’anticristo”. Ma cosa significa, dunque, “riconoscere che il Verbo è venuto in carne?” Vuol dire, ha osservato il Pontefice, “riconoscere la strada di Gesù Cristo”, riconoscere che Lui, “essendo Dio, si è abbassato, si è umiliato” fino alla “morte di croce”:

“Quella è la strada di Gesù Cristo: l’abbassamento, l’umiltà, l’umiliazione pure. Se un pensiero, se un desiderio ti porta su quella strada di umiltà, di abbassamento, di servizio agli altri, è di Gesù. Ma se ti porta sulla strada della sufficienza, della vanità, dell’orgoglio, sulla strada di un pensiero astratto, non è di Gesù. Pensiamo alle tentazioni di Gesù nel deserto: tutte e tre le proposte che fa il demonio a Gesù sono proposte che volevano allontanarlo da questa strada, la strada del servizio, dell’umiltà, dell’umiliazione, della carità. Ma la carità fatta con la sua vita, no? Alle tre tentazioni Gesù dice di no: ‘No, questa non è la mia strada!’”.

Il Papa ha, quindi, invitato tutti a pensare proprio a cosa succede nel nostro cuore. A cosa pensiamo e sentiamo, a cosa vogliamo, a vagliare gli spiriti. “Io metto alla prova quello che penso, quello che voglio, quello che desidero – ha domandato – o prendo tutto?”:

“Tante volte, il nostro cuore è una strada, passano tutti lì… Mettere alla prova. E scelgo sempre le cose che vengono da Dio? So quale sono quelle che vengono da Dio? Conosco il vero criterio per discernere i miei pensieri, i miei desideri? Pensiamo questo e non dimentichiamo che il criterio è l’Incarnazione del Verbo. Il Verbo è venuto in carne: questo è Gesù Cristo! Gesù Cristo che si è fatto uomo, Dio fatto uomo, si è abbassato, si è umiliato per amore, per servire tutti noi. E l’Apostolo Giovanni ci conceda questa grazia di conoscere cosa succede nel nostro cuore e avere la saggezza di discernere quello che viene da Dio e quello che non viene da Dio”.




Papa Francesco: l’amore cristiano è concreto e generoso, non è quello delle telenovele



L’amore cristiano ha sempre la caratteristica di essere “concreto”. Quindi, è un amore che “è più nelle opere che nelle parole”, è “più nel dare che nel ricevere”. Lo ha riaffermato giovedì mattina Papa Francesco, all’omelia della Messa presieduta in Casa Santa Marta il 9 gennaio 2014. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Nessuna romanticheria: o è un amore altruista e sollecito, che si rimbocca le maniche e guarda ai poveri, che preferisce dare piuttosto che ricevere, o non ha niente a che vedere con l’amore cristiano. Papa Francesco è netto sulla questione e si lascia guidare, nella riflessione, anzitutto dalle parole della prima Lettera di Giovanni, in cui l’Apostolo insiste nel ripetere: “Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi”. L’esperienza della fede, osserva il Papa, sta proprio in questo “doppio rimanere”:

“Noi in Dio e Dio in noi: questa è la vita cristiana. Non rimanere nello spirito del mondo, non rimanere nella superficialità, non rimanere nella idolatria, non rimanere nella vanità. No, no: rimanere nel Signore. E Lui contraccambia questo: Lui rimane in noi. Ma, primo, rimane Lui in noi. Tante volte lo cacciamo via e noi non possiamo rimanere in Lui. E’ lo Spirito quello che rimane”. 

Chiarita la dinamica dello spirito che muove l’amore cristiano, Papa Francesco passa a esaminare la carne. “Rimanere nell’amore” di Dio, afferma, non è tanto un’estasi del cuore, "una cosa bella da sentire":

“Guardate che l’amore di cui parla Giovanni non è l’amore delle telenovele! No, è un’altra cosa. L’amore cristiano ha sempre una qualità: la concretezza. L’amore cristiano è concreto. Lo stesso Gesù, quando parla dell’amore, ci parla di cose concrete: dare da mangiare agli affamati, visitare gli ammalati e tante cose concrete. L’amore è concreto. La concretezza cristiana. E quando non c’è questa concretezza, si può vivere un cristianesimo di illusioni, perché non si capisce bene dove è il centro del messaggio di Gesù. Non arriva questo amore ad essere concreto: è un amore di illusioni, come queste illusioni che avevano i discepoli quando, guardando Gesù, credevano che fosse un fantasma”.

Il “fantasma” è quello che appunto – nell’episodio del Vangelo di oggi – i discepoli scorgono meravigliati e timorosi venire verso di loro camminando sul mare. Ma il loro stupore nasce da una durezza di cuore, perché – dice lo stesso il Vangelo – “non avevano compreso” la moltiplicazione dei pani avvenuta poco prima. “Se tu hai il cuore indurito – commenta Papa Francesco – tu non puoi amare e pensi che l’amore sia quello di figurarsi cose. No, l’amore è concreto”. E questa concretezza, soggiunge, si fonda su due criteri:

“Primo criterio: amare con le opere, non con le parole. Le parole le porta via il vento! Oggi sono, domani non sono. Secondo criterio di concretezza è: nell’amore è più importante dare che ricevere. Quello che ama dà, dà ... Dà cose, dà vita, dà se stesso a Dio e agli altri. Invece chi non ama, chi è egoista, sempre cerca di ricevere, sempre cerca di avere cose, avere vantaggi. Rimanere col cuore aperto, non come era quello dei discepoli, che era chiuso, che non capivano niente: rimanere in Dio e Dio rimane in noi; rimanere nell’amore”.







Papa Francesco: la fede può tutto, i cristiani convinti a metà sono cristiani sconfitti



“La Chiesa è piena di cristiani sconfitti”, cristiani “convinti a metà”. Invece “la fede può tutto” e “vince il mondo”, ma occorre il coraggio di affidarsi a Dio: è quanto ha affermato Papa Francesco presiedendo stamani, 10 gennaio 2014, la Messa a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Al centro dell’omelia del Papa, il brano della prima Lettera di San Giovanni in cui l’apostolo “insiste” su “quella parola che per lui è come l’espressione della vita cristiana”: “rimanere nel Signore”, per amare Dio e il prossimo. Questo “rimanere nell’amore” di Dio è opera dello Spirito Santo e della nostra fede e produce un effetto concreto:

“Chiunque rimane in Dio, chiunque è stato generato da Dio, chiunque rimane nell’amore vince il mondo e la vittoria è la nostra fede. Da parte nostra, la fede. Da parte di Dio - per questo ‘rimanere’ - lo Spirito Santo, che fa questa opera di grazia. Da parte nostra, la fede. E’ forte! E questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede! La nostra fede può tutto! E’ vittoria! E questo sarebbe bello che lo ripetessimo, anche a noi, perché tante volte siamo cristiani sconfitti. Ma la Chiesa è piena di cristiani sconfitti, che non credono in questo, che la fede è vittoria; che non vivono questa fede, perché se non si vive questa fede, c’è la sconfitta e vince il mondo, il principe del mondo”.

Gesù – ricorda il Papa – ha lodato molto la fede dell’emorroissa, della cananea o del cieco nato e diceva che chi ha fede come un granello di senape può muovere le montagne. “Questa fede – afferma - chiede a noi due atteggiamenti: confessare e affidarci”. Innanzitutto “confessare”:

“La fede è confessare Dio, ma il Dio che si è rivelato a noi, dal tempo dei nostri padri fino ad ora; il Dio della storia. E questo è quello che tutti i giorni noi recitiamo nel Credo. E una cosa è recitare il Credo dal cuore e un’altra come pappagalli, no? Credo, credo in Dio, credo in Gesù Cristo, credo… Io credo in quello che dico? Questa confessione di fede è vera o io la dico un po’ a memoria, perché si deve dire? O credo a metà? Confessare la fede! Tutta, non una parte! Tutta! E questa fede custodirla tutta, come è arrivata a noi, per la strada della tradizione: tutta la fede! E’ come posso sapere se io confesso bene la fede? C’è un segno: chi confessa bene la fede, e tutta la fede, ha capacità di adorare, adorare Dio”.

“Noi sappiamo come chiedere a Dio, come ringraziare Dio – ha proseguito il Papa - ma adorare Dio, lodare Dio è di più! Soltanto chi ha questa fede forte è capace dell’adorazione”. E Papa Francesco aggiunge: “Io oso dire che il termometro della vita della Chiesa è un po’ basso in questo”: c’è poca capacità di adorare, “non ne abbiamo tanta, alcuni sì…”. E questo “perché nella confessione della fede noi non siamo convinti o siamo convinti a metà”. Dunque – sottolinea il Papa – il primo atteggiamento è confessare la fede e custodirla. L’altro atteggiamento è “affidarsi”:

“L’uomo o la donna che ha fede si affida a Dio: si affida! Paolo, in un momento buio della sua vita, diceva: ‘Io so bene a chi mi sono affidato’. A Dio! Al Signore Gesù! Affidarsi: e questo ci porta alla speranza. Così come la confessione della fede ci porta all’adorazione e alla lode di Dio, l’affidarsi a Dio ci porta ad un atteggiamento di speranza. Ci sono tanti cristiani con una speranza con troppa acqua, non forte: una speranza debole. Perché? Perché non hanno la forza e il coraggio di affidarsi al Signore. Ma se noi cristiani crediamo confessando la fede, anche facendo la custodia della fede, e affidandoci a Dio, al Signore, saremo cristiani vincitori. E questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede!”.




Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/10/papa_francesco:_la_fede_pu%C3%B2_tutto,_i_cristiani_convinti_a_met%C3%A0_sono/it1-762694 
del sito Radio Vaticana 







Il Papa: il rapporto con Gesù salva i sacerdoti da mondanità e idolatria del 'dio Narciso'



Il vero sacerdote, unto da Dio per il suo popolo, ha un rapporto stretto con Gesù: quando questo manca, il prete diventa “untuoso”, un idolatra, devoto del ‘dio Narciso’: è quanto ha affermato Papa Francesco nella Messa presieduta stamani, 11 gennaio a Santa Marta. Hanno concelebrato il cardinale Angelo Bagnasco e un gruppo di sacerdoti dell’arcidiocesi di Genova. Il servizio di Sergio CentofantiRealAudioMP3 

L’omelia di Papa Francesco è tutta dedicata ai sacerdoti. Commentando la prima lettera di San Giovanni, laddove dice che abbiamo la vita eterna perché crediamo nel nome di Gesù, il Papa si chiede come sia il rapporto dei sacerdoti con Gesù, perché “la forza di un sacerdote è in questo rapporto”. “Gesù, quando cresceva in popolarità – osserva - andava dal Padre”, si ritirava “in luoghi deserti a pregare”. “Questa è un po’ la pietra di paragone di noi preti – ha affermato - se andiamo o non andiamo a trovare Gesù; qual è il posto di Gesù Cristo nella mia vita sacerdotale? Un rapporto vivo, da discepolo a Maestro, da fratello a fratello, da pover’uomo a Dio, o è un rapporto un po’ artificiale … che non viene dal cuore?”: 

“Noi siamo unti dallo Spirito e quando un sacerdote si allontana da Gesù Cristo può perdere l’unzione. Nella sua vita, no: essenzialmente ce l’ha … ma la perde. E invece di essere unto finisce per essere untuoso. E quanto male fanno alla Chiesa i preti untuosi! Quelli che mettono la loro forza nelle cose artificiali, nelle vanità, in un atteggiamento … in un linguaggio lezioso … Ma, quante volte si sente dire con dolore: ‘Ma, questo è un prete-farfalla!’, perché sempre è nelle vanità … Questo non ha il rapporto con Gesù Cristo! Ha perso l’unzione: è un untuoso”. 

Il Papa ha quindi aggiunto:

“Noi sacerdoti abbiamo tanti limiti: siamo peccatori, tutti. Ma se andiamo da Gesù Cristo, se cerchiamo il Signore nella preghiera – la preghiera di intercessione, la preghiera di adorazione – siamo buoni sacerdoti, benché siamo peccatori. Ma se ci allontaniamo da Gesù Cristo, dobbiamo compensare questo con altri atteggiamenti … mondani. E così, tutte queste figure … anche il prete-affarista, il prete-imprenditore … Ma il prete che adora Gesù Cristo, il prete che parla con Gesù Cristo, il prete che cerca Gesù Cristo e che si lascia cercare da Gesù Cristo: questo è il centro della nostra vita. Se non c’è questo, perdiamo tutto. E cosa daremo alla gente?”. 

“Il nostro rapporto con Gesù Cristo, rapporto di unti per il suo popolo – ha esortato il Papa - cresca in noi” sacerdoti “ogni giorno di più”: 

“Ma, è bello trovare preti che hanno dato la loro vita come sacerdoti, davvero, e di cui la gente dice: ‘Ma, sì, ha un caratteraccio, ha questo, ha quello … ma è un prete!’. E la gente ha il fiuto! Invece, quando la gente vede i preti – per dire una parola – idolatri, che invece di avere Gesù, hanno i piccoli idoli … piccoli … alcuni devoti del ‘dio Narciso’, anche … Quando la gente vede questi, la gente dice: ‘Poveraccio!’. Quello che ci salva dalla mondanità e dall’idolatria che ci fa untuosi, quello che ci conserva nella unzione, è il rapporto con Gesù Cristo. E oggi, a voi che avete avuto la gentilezza di venire a concelebrare qui, con me, auguro questo: ma perdete tutto nella vita, ma non perdete questo rapporto con Gesù Cristo! Questa è la vostra vittoria. E avanti, con questo!”.




Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/11/il_papa:_il_rapporto_con_ges%C3%B9_salva_i_sacerdoti_da_mondanit%C3%A0_e/it1-763031 
del sito Radio Vaticana 




Papa Francesco: l'amore di Dio aggiusta le nostre storie storte



L’amore di Dio aggiusta i nostri sbagli, le nostre storie di peccatori, perché non ci abbandona mai, anche se noi non capiamo questo amore: è quanto ha affermato il Papa celebrando stamane, 13 gennaio, la Messa a Santa Marta in questo primo lunedì del Tempo ordinario. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Gesù chiama Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni: stanno pescando, ma lasciano subito le reti e lo seguono. Commentando il Vangelo del giorno, il Papa sottolinea che il Signore vuole preparare i suoi discepoli alla loro nuova missione. “E’ proprio di Dio, dell’amore di Dio” – afferma Papa Francesco – “preparare le strade … preparare le nostre vite, per ognuno di noi. Lui non ci fa cristiani per generazione spontanea: Lui prepara! Prepara la nostra strada, prepara la nostra vita, da tempo”:

“Sembra che Simone, Andrea, Giacomo, Giovanni siano stati qui definitivamente eletti, sì sono stati eletti! Ma loro in questo momento non sono stati definitivamente fedeli! Dopo questa elezione hanno sbagliato, hanno fatto proposte non cristiane al Signore: hanno rinnegato il Signore! Pietro in grado superlativo, gli altri per timore: sono spaventati e sono andati vita. Hanno abbandonato il Signore. Il Signore prepara. E poi, dopo la Resurrezione, il Signore ha dovuto continuare questo cammino di preparazione fino al giorno di Pentecoste. E dopo Pentecoste anche, alcuni di questi - Pietro, per esempio ha sbagliato e Paolo ha dovuto correggerlo. Ma il Signore prepara”.

Così – prosegue il Papa - il Signore “ci prepara da tante generazioni”: 

“E quando le cose non vanno bene, Lui si immischia nella storia e arrangia la situazione e va avanti con noi. Ma pensiamo alla genealogia di Gesù Cristo, a quella lista: questo genera questo, questo genera questo, questo genera questo… In quella lista di storia ci sono peccatori e peccatrici. Ma come ha fatto il Signore? Si è immischiato, ha corretto la strada, ha regolato le cose. Pensiamo al grande Davide, un grande peccatore e poi un grande santo. Il Signore sa! Quando il Signore ci dice ‘Con amore eterno, Io ti ho amato’ si riferisce a questo. Da tante generazioni il Signore ha pensato a noi, a ognuno di noi!”.

“Mi piace pensare – afferma Papa Francesco - che il Signore abbia i sentimenti della coppia che è in attesa di un figlio: lo aspetta. Ci aspetta sempre in questa storia e poi ci accompagna durante la storia. Questo è l’amore eterno del Signore; eterno, ma concreto! Anche un amore artigianale, perché Lui va facendo la storia, va preparando la strada a ognuno di noi. E questo è l’amore di Dio” che “ci ama da sempre e mai ci abbandona! Preghiamo il Signore di conoscere questa tenerezza del suo cuore”. E questo – osserva - è “un atto di fede” e non è facile credere questo: 

“Perché il nostro razionalismo dice: ‘Ma come il Signore, con tante persone che ha, pensa a me? Ma ha preparato la strada a me!'. Con le nostre mamme, le nostre nonne, i nostri padri, i nostri nonni e bisnonni… Il Signore fa così. E’ questo il suo amore: concreto, eterno e anche artigianale. Preghiamo, chiedendo questa grazia di capire l’amore di Dio. Ma non si capisce mai! Si sente, si piange, ma capirlo di qua, non si capisce. Anche questo ci dice quanto grande è questo amore. Il Signore che ci prepara da tempo, cammina con noi, preparando gli altri. E’ sempre con noi! Chiediamo la grazia di capire col cuore questo grande amore”.








Caterina63
00martedì 14 gennaio 2014 14:21

  Il Papa: i cristiani non siano legalisti, la fede non è peso sulle spalle della gente



Quattro modelli di credenti, per riflettere sulla vera testimonianza del cristiano. Nella Messa mattutina, 14 gennaio, alla Casa Santa Marta, Papa Francesco si è ispirato alle figure presenti nelle Letture del giorno per sottolineare che la novità portata da Gesù è l’amore di Dio per ognuno di noi. Quindi, ha messo in guardia da atteggiamenti ipocriti o legalisti che allontano la gente dalla fede. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Papa Francesco si è soffermato, nella sua omelia, su quattro modelli di credenti, prendendo spunto dalle Letture del giorno: Gesù, gli scribi, il sacerdote Eli e i suoi due figli, anch’essi sacerdoti. Il Vangelo, ha osservato, ci dice qual era “l’atteggiamento di Gesù nella sua catechesi”, “insegnava come uno che ha autorità e non come gli scribi”. Questi ultimi, ha affermato, “insegnavano, predicavano ma legavano la gente con tante cose pesanti sulle spalle, e la povera gente non poteva andare avanti”:

“E Gesù stesso dice che loro non muovevano queste cose nemmeno con un dito, no? E poi, dirà alla gente: ‘Fate quello che dicono ma non quello che fanno!’. Gente incoerente… Ma sempre questi scribi, questi farisei, è come se bastonassero la gente, no? ‘Dovete fare questo, questo e questo’, alla povera gente… E Gesù disse: ‘Ma, così voi chiudete – lo dice a loro! – la porta del Regno dei Cieli. Non lasciate entrare, e neppure voi entrate!’. E’ una maniera, un modo di predicare, di insegnare, di dare testimonianza della propria fede… E così, quanti ci sono che pensano che la fede sia cosa così…”.

Nella Prima Lettura, tratta dal Libro di Samuele, ha quindi affermato, troviamo la figura di Eli, “un povero prete, debole, tiepido” che “lasciava fare tante cose brutte ai suoi figli”. Eli era seduto davanti a uno stipite del Tempio del Signore e guarda Anna, una signora, “che pregava a suo modo, chiedendo un figlio”. Questa donna, ha affermato il Papa, “pregava come prega la gente umile: semplicemente, ma dal suo cuore, con angoscia”. Anna “muoveva le labbra”, come fanno “tante donne buone” “nelle nostre chiese, nei nostri santuari”. Pregava così “e chiedeva un miracolo”. E l’anziano Eli la guardava e diceva: “Ma, questa è una ubriaca!” e “la disprezzò”. Lui, ha ammonito il Papa, “era il rappresentante della fede, il dirigente della fede, ma il suo cuore non sentiva bene e disprezzò questa signora” 

“Quante volte il popolo di Dio si sente non benvoluto da quelli che devono dare testimonianza: dai cristiani, dai laici cristiani, dai preti, dai vescovi… ‘Ma, povera gente, non capisce niente... Deve fare un corso di teologia per capire bene’. Ma, perché ho certa simpatia per quest’uomo? Perché nel cuore ancora aveva l’unzione, perché quando la donna gli spiega la sua situazione, Eli le dice: ‘Vai in pace, e il Dio di Israele ti conceda quello che gli hai chiesto’. Viene fuori l’unzione sacerdotale: pover’uomo, l’aveva nascosta dentro e la sua pigrizia… è un tiepido. E poi finisce male, poveretto”.

I suoi figli, ha proseguito, non si vedono nel passo della Prima Lettura, ma erano quelli che gestivano il Tempio, “erano briganti”. “Erano sacerdoti, ma briganti”. “Andavano dietro al potere, dietro ai soldi – ha detto il Papa – sfruttavano la gente, approfittavano delle elemosine, dei doni” e “il Signore li punisce forte”.
Questa, ha poi osservato, “è la figura del cristiano corrotto”, “del laico corrotto, del prete corrotto, del vescovo corrotto, che profitta della sua situazione, del suo privilegio della fede, di essere cristiano” e “il suo cuore finisce corrotto”, come succede a Giuda. Da un cuore corrotto, ha proseguito, esce “il tradimento”. Giuda “tradisce Gesù”. I figli di Eli sono dunque il terzo modello di credente.
E poi c’è il quarto, Gesù. E di Lui la gente dice: “Questo insegna come uno che ha autorità: questo è un insegnamento nuovo!” Ma dov’è la novità, si chiede Papa Francesco? E’ “il potere della santità”, “la novità di Gesù è che con sé porta la Parola di Dio, il messaggio di Dio, cioè l’amore di Dio a ognuno di noi”. Gesù, ha ribadito, “avvicina Dio alla gente e per farlo si avvicina Lui: è vicino ai peccatori”. Gesù, ha ricordato il Papa, perdona l’adultera, “parla di teologia con la Samaritana, che non era un angiolino”. Gesù, ha spiegato ancora, “cerca il cuore delle persone, Gesù si avvicina al cuore ferito delle persone. A Gesù soltanto interessa la persona, e Dio”. Gesù, ha evidenziato, “vuole che la gente si avvicini, che lo cerchi e si sente commosso quando la vede come pecora senza pastore”. E tutto questo atteggiamento, ha rilevato, “è quello per cui la gente dice: ‘Ma, questo è un insegnamento nuovo!’”. No, ha osservato il Papa, “non è nuovo l’insegnamento: è il modo di farlo, nuovo. E’ la trasparenza evangelica”:

“Chiediamo al Signore che queste due Letture ci aiutino nella nostra vita di cristiani: tutti. Ognuno nel suo posto. A non essere legalisti puri, ipocriti come gli scribi e i farisei. A non essere corrotti come i figli di Eli. A non essere tiepidi come Eli, ma a essere come Gesù, con quello zelo di cercare la gente, di guarire la gente, di amare la gente e con questo dirle: ‘Ma, se io faccio questo così piccolo, pensa come ti ama Dio, come è tuo Padre!’. Questo è l’insegnamento nuovo che Dio chiede da noi. Chiediamo questa grazia”.










Il Papa: diamo al santo popolo di Dio pane di vita, non pasto avvelenato



Gli scandali nella Chiesa avvengono perché non c'è un rapporto vivo con Dio e con la sua Parola: lo ha affermato Papa Francesco nella sua omelia mattutina, durante la Messa presieduta a Santa Marta, oggi 16 gennaio. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

Commentando la lettura del giorno e il salmo responsoriale, che raccontano una dura sconfitta degli israeliti ad opera dei filistei, il Papa osserva che il popolo di Dio in quell’epoca aveva abbandonato il Signore. Si diceva che la Parola di Dio era “rara” in quel tempo. Il vecchio sacerdote Eli era un “tiepido” e i suoi figli “corrotti, spaventavano il popolo e lo bastonavano”. Gli israeliti per combattere contro i filistei utilizzano l’arca dell’alleanza, ma come una cosa “magica”, “una cosa esterna”. E vengono sconfitti: l’arca è presa dai nemici. Non c’è fede vera in Dio, nella sua presenza reale nella vita:

“Questo brano della Scrittura ci fa pensare come è il nostro rapporto con Dio, con la Parola di Dio: è un rapporto formale? È un rapporto lontano? La Parola di Dio entra nel nostro cuore, cambia il nostro cuore, ha questo potere o no, è un rapporto formale, tutto bene? Ma il cuore è chiuso a quella Parola! E ci porta a pensare a tante sconfitte della Chiesa, a tante sconfitte del popolo di Dio semplicemente perché non sente il Signore, non cerca il Signore, non si lascia cercare dal Signore! E poi dopo la tragedia, la preghiera, questa: ‘Ma, Signore, che è successo? Hai fatto di noi il disprezzo dei nostri vicini. Lo scherno e la derisione di chi ci sta intorno. Ci hai reso la favola delle genti! Su di noi i popoli scuotono il capo’”.

Il Papa pensa agli scandali della Chiesa:

“Ma ci vergogniamo? Tanti scandali che io non voglio menzionare singolarmente, ma tutti ne sappiamo… Sappiamo dove sono! Scandali, alcuni che hanno fatto pagare tanti soldi: sta bene! Si deve fare così…. La vergogna della Chiesa! Ma ci siamo vergognati di quegli scandali, di quelle sconfitte di preti, di vescovi, di laici? La Parola di Dio in quegli scandali era rara; in quegli uomini e in quelle donne la Parola di Dio era rara! Non avevano un legame con Dio! Avevano una posizione nella Chiesa, una posizione di potere, anche di comodità. Ma la Parola di Dio, no! ‘Ma, io porto una medaglia’; ‘Io porto la Croce’… Sì, come questi portavano l’arca! Senza il rapporto vivo con Dio e con la Parola di Dio! Mi viene in mente quella Parola di Gesù per quelli per i quali vengono gli scandali… E qui lo scandalo è venuto: tutta una decadenza del popolo di Dio, fino alla debolezza, alla corruzione dei sacerdoti”.

Papa Francesco conclude l’omelia rivolgendo il suo pensiero al popolo di Dio:

“Povera gente! Povera gente! Non diamo da mangiare il pane della vita; non diamo da mangiare - in quei casi - la verità! E persino diamo da mangiare pasto avvelenato, tante volte! ‘Svegliati, perché dormi Signore!’. Questa sia la nostra preghiera! ‘Destati! Non respingerci per sempre! Perché nascondi il tuo volto? Perché dimentichi la nostra miseria ed oppressione?’. Chiediamo al Signore di non dimenticare mai la Parola di Dio, che è viva, che entri nel nostro cuore e non dimenticare mai il santo popolo fedele di Dio, che ci chiede pasto forte!”.








Il Papa: un cristiano non tralascia la Parola di Dio per seguire quella più alla moda



Il dono di essere figli di Dio non si può “vendere” per un malinteso senso di “normalità”, che induce a dimenticare la sua Parola e a vivere come se Dio non esistesse. È la riflessione di fondo che Papa Francesco ha proposto questa mattina 17 gennaio, durante l’omelia della Messa presieduta in Casa Santa Marta. Il servizio diAlessandro De Carolis:RealAudioMP3 

La tentazione di voler essere “normali”, quando invece si è figli di Dio. Che in sostanza vuol dire ignorare la Parola del Padre e inseguirne una solo umana, la “parola della propria voglia”, scegliendo in certo modo di “vendere” il dono di una predilezione per immergersi in una “uniformità mondana”.
Questa tentazione il popolo ebreo dell’Antico Testamento l’ha avuta più di una volta, ricorda Papa Francesco, che si sofferma sull’episodio proposto dal brano della liturgia tratto dal primo Libro di Samuele. In esso, i capi del popolo chiedono allo stesso Samuele, ormai invecchiato, di stabilire per loro un nuovo re, di fatto pretendendo di autogovernarsi. In quel momento, osserva il Papa, “il popolo rigetta Dio: non solo non sente la Parola di Dio, ma la rigetta”. E la frase rivelatrice di questo distacco, sottolinea il Papa, è quella proferita dagli anziani d’Israele: vogliamo un “re giudice”, perché così “saremo anche noi come tutti i popoli”. Cioè, osserva il Papa, “rigettano il Signore dell’amore, rigettano l’elezione e cercano la strada della mondanità”, in modo analogo a tanti cristiani di oggi: 


“La normalità della vita esige dal cristiano fedeltà alla sua elezione e non venderla per andare verso una uniformità mondana. Questa è la tentazione del popolo, e anche la nostra. Tante volte, dimentichiamo la Parola di Dio, quello che ci dice il Signore, e prendiamo la parola di moda, no?, anche quella della telenovela è di moda, prendiamo quella, è più divertente! L’apostasia è proprio il peccato della rottura con il Signore, ma è chiara: l’apostasia si vede chiaramente. Questo è più pericoloso, la mondanità, perché è più sottile”.

“E’ vero che il cristiano deve essere normale, come sono normali le persone”, riconosce Papa Francesco, “ma – insiste – ci sono valori che il cristiano non può prendere per sé. Il cristiano deve ritenere su di sé la Parola di Dio che gli dice: ‘Tu sei mio figlio, tu sei eletto, io sono con te, io cammino con te’”. Resistendo quindi alla tentazione – come nell’episodio della Bibbia – di considerarsi vittime di “un certo complesso di inferiorità”, di non sentirsi un “popolo normale”:

“La tentazione viene e indurisce il cuore e quando il cuore è duro, quando il cuore non è aperto, la Parola di Dio non può entrare. Gesù diceva a quelli di Emmaus: ‘Stolti e tardi di cuore!’. Avevano il cuore duro, non potevano capire la Parola di Dio. E la mondanità ammorbidisce il cuore, ma male: mai è una cosa buona il cuore morbido! Il buono è il cuore aperto alla Parola di Dio, che la riceve. Come la Madonna, che meditava tutte queste cose in cuor suo, dice il Vangelo. Ricevere la Parola di Dio per non allontanarsi dall’elezione”. 

Chiediamo, allora – conclude Papa Francesco – “la grazia di superare i nostri egoismi: l’egoismo di voler fare la mia, come io voglio”:

“Chiediamo la grazia di superarli e chiediamo la grazia della docilità spirituale, cioè di aprire il cuore alla Parola di Dio e non fare come hanno fatto questi nostri fratelli, che hanno chiuso il cuore perché si erano allontanati da Dio e da tempo non sentivano e non capivano la Parola di Dio. Il Signore ci dia la grazia di un cuore aperto per ricevere la Parola di Dio e per meditarla sempre. E da lì prendere la vera strada”.








Il Papa: il nostro è il Dio delle sorprese, accogliamo la novità del Vangelo



La libertà cristiana sta nella “docilità alla Parola di Dio”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani 20 gennaio alla Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che dobbiamo essere sempre pronti ad accogliere la “novità” del Vangelo e le “sorprese di Dio”. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

“La Parola di Dio è viva ed efficace, discerne i sentimenti ed i pensieri del cuore”. Papa Francesco è partito da questa considerazione per svolgere la sua omelia. E ha subito sottolineato che per accogliere davvero la Parola di Dio dobbiamo avere un atteggiamento di “docilità”. “La Parola di Dio – ha osservato – è viva e perciò viene e dice quello che vuole dire: non quello che io aspetto che dica o quello che io spero che dica”. E’ una Parola “libera”. Ed è anche “sorpresa, perché il nostro Dio è il Dio delle sorprese”. E’ “novità”:

“Il Vangelo è novità. La Rivelazione è novità. Il nostro Dio è un Dio che sempre fa le cose nuove e chiede da noi questa docilità alla sua novità. Nel Vangelo, Gesù è chiaro in questo, è molto chiaro: vino nuovo in otri nuovi. Il vino lo porta Dio, ma dev’essere ricevuto con questa apertura alla novità. E questo si chiama docilità. Noi possiamo domandarci: io sono docile alla Parola di Dio o faccio sempre quello che io credo che sia la Parola di Dio? O faccio passare la Parola di Dio per un alambicco e alla fine è un’altra cosa rispetto a quello che Dio vuole fare?”. 

Se io faccio questo, ha soggiunto, “finisco come il pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, e lo strappo diventa peggiore”. E ha evidenziato che “quello di adeguarsi alla Parola di Dio per poter riceverla” è “tutto un atteggiamento ascetico”: 

“Quando io voglio prendere l’elettricità dalla fonte elettrica, se l’apparecchio che io ho non va, cerco un adattatore. Noi dobbiamo sempre cercare di adattarci, di adeguarci a questa novità della Parola di Dio, essere aperti alla novità. Saul, proprio l’eletto di Dio, unto di Dio, aveva dimenticato che Dio è sorpresa e novità. Aveva dimenticato, si era chiuso nei suoi pensieri, nei suoi schemi, e così ha ragionato umanamente”. 

Il Papa si è soffermato sulla Prima Lettura. Ha così rammentato che, al tempo di Saul, quando uno vinceva una battaglia prendeva il bottino e con parte di esso si compiva il sacrificio. “Questi animali tanto belli – afferma dunque Saul – saranno per il Signore”. Ma, ha rilevato il Papa, “ha ragionato con il suo pensiero, con il suo cuore, chiuso nelle abitudini”, mentre “il nostro Dio, non è un Dio delle abitudini: è un Dio delle sorprese”. Saul “non ha obbedito alla Parola di Dio, non è stato docile alla Parola di Dio”. E Samuele gli rimprovera proprio questo, “gli fa sentire che non ha obbedito, non è stato servo, è stato signore, lui. Si è impadronito della Parola di Dio”. “La ribellione, non obbedire alla Parola di Dio – ha affermato ancora il Papa – è peccato di divinazione”. Ed ha aggiunto: “L’ostinazione, la non docilità a fare quello che tu vuoi e non quello che vuole Dio, è peccato di idolatria”. E questo, ha proseguito, “ci fa pensare” su “cosa è la libertà cristiana, cosa è l’obbedienza cristiana”:

“La libertà cristiana e l’obbedienza cristiana sono docilità alla Parola di Dio, è avere quel coraggio di diventare otri nuovi, per questo vino nuovo che viene continuamente. Questo coraggio di discernere sempre: discernere, dico, non relativizzare. Discernere sempre cosa fa lo Spirito nel mio cuore, cosa vuole lo Spirito nel mio cuore, dove mi porta lo Spirito nel mio cuore. E obbedire. Discernere e obbedire. Chiediamo oggi la grazia della docilità alla Parola di Dio, a questa Parola che è viva ed efficace, che discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”.












Caterina63
00martedì 21 gennaio 2014 13:43

Il Papa: custodiamo la nostra piccolezza per dialogare con il Signore



Custodiamo la nostra piccolezza per dialogare con la grandezza del Signore. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, oggi 21 gennaio 2014. Il Pontefice ha sottolineato che il Signore ha con noi un rapporto personale, non è mai un dialogo con la massa. Il Signore, ha proseguito, sceglie sempre i piccoli, chi ha meno potere perché guarda alla nostra umiltà. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Il Signore e i piccoli. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia su questo binomio e subito ha sottolineato che “il rapporto del Signore con il suo popolo è un rapporto personale” è “sempre, da persona a persona”. Lui, ha soggiunto, “è il Signore e il popolo ha nome”, “non è un dialogo fra il potente e la massa”. E’ un dialogo “personale”: 

“E in un popolo, ognuno ha il suo posto. Mai il Signore parla alla gente così, alla massa, mai. Sempre parla personalmente, con i nomi. E sceglie personalmente. Il racconto della creazione è una figura che fa vedere questo: è lo stesso Signore che con le sue mani artigianalmente fa l’uomo e gli dà un nome: 'Tu ti chiami Adam'. E così incomincia quel rapporto fra Dio e la persona. E c’è un’altra cosa, c’è un rapporto fra Dio e noi piccoli: Dio, il grande, e noi piccoli. Dio, quando deve scegliere le persone, anche il suo popolo, sempre sceglie i piccoli”.

Dio, ha proseguito, sceglie il suo popolo perché è “il più piccolo”, ha “meno potere” degli altri popoli. C’è proprio un “dialogo fra Dio e la piccolezza umana”. Anche la Madonna dirà: “Il Signore ha guardato la mia umiltà”. Il Signore “ha scelto i piccoli”. Nella prima Lettura di oggi, ha osservato, “si vede questo atteggiamento del Signore, chiaramente”. Il profeta Samuele sta davanti al più grande dei figli di Iesse e pensa che sia “il suo consacrato, perché era un uomo alto, grande”. Ma il Signore, ha osservato il Papa, gli dice di “non guardare al suo aspetto né alla sua statura” e aggiunge: “Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo”. Infatti, ha ribadito il Pontefice, “l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore. Il Signore sceglie secondo i suoi criteri”. E sceglie “i deboli e i miti, per confondere i potenti della terra”. Alla fine, dunque, “il Signore sceglie Davide, il più piccolo”, che “non contava per il padre”. “Non era a casa”, era “a custodire le pecore”. Eppure, proprio Davide “è stato eletto”: 

“Tutti noi col Battesimo siamo stati eletti dal Signore. Tutti siamo eletti. Ci ha scelto uno per uno. Ci ha dato un nome e ci guarda. C’è un dialogo, perché così ama il Signore. Anche Davide poi è diventato re e ha sbagliato. Ne ha fatti forse tanti, ma la Bibbia ci racconta due sbagli forti, due sbagli di quelli pesanti. Cosa ha fatto Davide? Si è umiliato. E’ tornato alla sua piccolezza e ha detto: ‘Sono peccatore’. E ha chiesto perdono e ha fatto penitenza”. 

E dopo il secondo peccato, ha proseguito, Davide ha detto al Signore: “Punisci me, non il popolo. Il popolo non ha la colpa, io sono colpevole”. Davide, è stata la riflessione del Papa, “ha custodito la sua piccolezza, col pentimento, con la preghiera, con il pianto”. “Pensando queste cose, a questo dialogo fra il Signore e la nostra piccolezza”, ha soggiunto, “mi domando dov’è la fedeltà cristiana”: 

“La fedeltà cristiana, la nostra fedeltà, è semplicemente custodire la nostra piccolezza, perché possa dialogare con il Signore. Custodire la nostra piccolezza. Per questo l’umiltà, la mitezza, la mansuetudine sono tanto importanti nella vita del cristiano, perché è una custodia della piccolezza, alla quale piace guardare il Signore. E sarà sempre il dialogo fra la nostra piccolezza e la grandezza del Signore. Ci dia il Signore, per intercessione di San Davide - anche per intercessione della Madonna che cantava gioiosa a Dio, perché aveva guardato la sua umiltà - ci dia il Signore la grazia di custodire la nostra piccolezza davanti a Lui”.







 

Papa Francesco: gelosie, invidie e chiacchiere dividono e distruggono le comunità cristiane



I cristiani chiudano le porte a gelosie, invidie e chiacchiere che dividono e distruggono le nostre comunità: è l’esortazione lanciata da Papa Francesco, stamani 23 gennaio 2014, nella Messa presieduta a Santa Marta nella sesta giornata di preghiera per l’unità dei cristiani. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

La riflessione del Papa è partita dalla prima lettura del giorno che parla della vittoria degli israeliti sui filistei grazie al coraggio del giovane Davide. La gioia della vittoria si trasforma presto in tristezza e gelosia per il re Saul di fronte alle donne che lodano Davide per aver ucciso Golia. Allora, “quella grande vittoria – afferma Papa Francesco - incomincia a diventare sconfitta nel cuore del re” in cui si insinua, come accadde in Caino, il “verme della gelosia e dell’invidia”. E come Caino con Abele, il re decide di uccidere Davide. “Così fa la gelosia nei nostri cuori – osserva il Papa - è un’inquietudine cattiva, che non tollera che un fratello o una sorella abbia qualcosa che io non ho”. Saul, “invece di lodare Dio, come facevano le donne d’Israele, per questa vittoria, preferisce chiudersi in se stesso, rammaricarsi” e “cucinare i suoi sentimenti nel brodo dell’amarezza”: 

“La gelosia porta ad uccidere. L’invidia porta ad uccidere. E’ stata proprio questa porta, la porta dell’invidia, per la quale il diavolo è entrato nel mondo. La Bibbia dice: ‘Per l’invidia del diavolo è entrato il male nel mondo’. La gelosia e l’invidia aprono le porte a tutte le cose cattive. Anche divide la comunità. Una comunità cristiana, quando soffre – alcuni dei membri – di invidia, di gelosia, finisce divisa: uno contro l’altro. E’ un veleno forte questo. E’ un veleno che troviamo nella prima pagina della Bibbia con Caino”. 

Nel cuore di una persona colpita dalla gelosia e dall’invidia – sottolinea ancora il Papa - accadono “due cose chiarissime”. La prima cosa è l’amarezza: 

“La persona invidiosa, la persona gelosa è una persona amara: non sa cantare, non sa lodare, non sa cosa sia la gioia, sempre guarda ‘che cosa ha quello ed io non ne ho’. E questo lo porta all’amarezza, un’amarezza che si diffonde su tutta la comunità. Sono, questi, seminatori di amarezza. E il secondo atteggiamento, che porta la gelosia e l’invidia, sono le chiacchiere. Perché questo non tollera che quello abbia qualcosa, la soluzione è abbassare l’altro, perché io sia un po’ alto. E lo strumento sono le chiacchiere. Cerca sempre e vedrai che dietro una chiacchiera c’è la gelosia e c’è l’invidia. E le chiacchiere dividono la comunità, distruggono la comunità. Sono le armi del diavolo”. 

“Quante belle comunità cristiane” – ha esclamato il Papa – procedevano bene, ma poi in uno dei membri è entrato il verme della gelosia e dell’invidia e, con questo, la tristezza, il risentimento dei cuori e le chiacchiere. “Una persona che è sotto l’influsso dell’invidia e della gelosia – ribadisce – uccide”, come dice l’apostolo Giovanni: “Chi odia il suo fratello è un omicida”. E “l’invidioso, il geloso, incomincia ad odiare il fratello”. Quindi, conclude:

“Oggi, in questa Messa, preghiamo per le nostre comunità cristiane, perché questo seme della gelosia non venga seminato fra noi, perché l’invidia non prenda posto nel nostro cuore, nel cuore delle nostre comunità, e così possiamo andare avanti con la lode del Signore, lodando il Signore, con la gioia. E’ una grazia grande, la grazia di non cadere nella tristezza, nell’essere risentiti, nella gelosia e nell’invidia”.







Papa Francesco: con gli altri costruire sempre ponti di dialogo non muri di risentimento



Non è facile costruire il dialogo con gli altri, specie se da loro ci divide un rancore. Ma il cristiano cerca sempre questa strada di ascolto e riconciliazione, con umiltà e mitezza, perché è ciò che ha insegnato Gesù. È il pensiero di sintesi dell’omelia tenuta da Papa Francesco alla Messa mattutina in Casa S. Marta, oggi 24 gennaio. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Mi spezzo ma non mi piego, afferma una certa saggezza popolare. Mi piego pur di non spezzare, suggerisce la sapienza cristiana. Due modi di intendere la vita: il primo, con la sua durezza, facilmente destinato ad alzare muri di incomunicabilità tra le persone, fino alla degenerazione dell’odio. Il secondo incline a gettare ponti di comprensione, anche dopo un diverbio, una lite. Ma, avverte Papa Francesco, a patto di ricercare e praticare “l’umiltà”.
L’omelia a Casa Santa Marta è una prosecuzione di quella di ieri. Al centro della lettura liturgica, e della riflessione del Papa, ancora lo scontro tra il Re Saul e Davide. Il secondo, a un tratto, ha l’occasione di uccidere il primo ma, osserva Papa Francesco, sceglie “un’altra strada: la strada di avvicinarsi, di chiarire la situazione, di spiegarsi. La strada del dialogo per fare la pace”:

“Per dialogare è necessaria la mitezza, senza gridare. E necessario anche pensare che l’altra persona ha qualcosa di più di me, e Davide lo pensava: ‘Lui è l’unto del Signore, è più importante di me’. L’umiltà, la mitezza… Per dialogare, è necessario fare quello che abbiamo chiesto oggi nella preghiera, all’inizio della Messa: farsi tutto a tutti. Umiltà, mitezza, farsi tutto a tutti e anche – però non è scritto nella Bibbia – tutti sappiamo che per fare queste cose bisogna ingoiare tanti rospi. Ma, dobbiamo farlo, perché la pace si fa così: con l’umiltà, l’umiliazione, cercando sempre di vedere nell’altro l’immagine di Dio”.

“Dialogare è difficile”, riconosce Papa Francesco. Ma peggio del tentare di costruire un ponte con un avversario è lasciar ingigantire nel cuore il rancore verso di lui. In questo modo, afferma, restiamo “isolati in questo brodo amaro del nostro risentimento”. Un cristiano, invece, ha per modello Davide, che vince l’odio con “un atto di umiltà”:

“Umiliarsi, e sempre fare il ponte, sempre. Sempre. E questo è essere cristiano. Non è facile. Non è facile. Gesù lo ha fatto: si è umiliato fino alla fine, ci ha fatto vedere la strada. Ed è necessario che non passi tanto tempo: quando c’è il problema, il più presto possibile, nel momento in cui si possa fare, dopo che è passata la tormenta, avvicinarsi al dialogo, perché il tempo fa crescere il muro, come fa crescere l’erba cattiva che impedisce la crescita del grano. E quando i muri crescono è tanto difficile la riconciliazione: è tanto difficile!”.

Non è un problema se “alcune volte volano i piatti” – “in famiglia, nelle comunità, nei quartieri” – ripete Papa Francesco. L’importante è “cercare la pace il più presto possibile”, con una parola, un gesto. Un ponte piuttosto che un muro, come quello che per tanti anni ha diviso Berlino. Perché “anche, nel nostro cuore – dice Papa Francesco – c’è la possibilità di diventare Berlino con il Muro con altri”:

“Io ho paura di questi muri, di questi muri che crescono ogni giorno e favoriscono i risentimenti. Anche l’odio. Pensiamo a questo giovane Davide: avrebbe potuto vendicarsi perfettamente, avrebbe potuto mandare via il re e lui ha scelto la strada del dialogo, con l’umiltà, la mitezza, la dolcezza. Oggi, possiamo chiedere a San Francesco di Sales, Dottore della dolcezza, che dia a tutti noi la grazia di fare ponti con gli altri, mai muri”.











Papa Francesco: grazie ai tanti sacerdoti santi che danno la loro vita nel silenzio



La Chiesa non si può capire come semplice organizzazione umana, la differenza la fa l'unzione che dona a vescovi e sacerdoti la forza dello Spirito per servire il popolo di Dio: è quanto ha affermato Papa Francesco nella Messa presieduta stamani 27 gennaio  a Santa Marta. Il Pontefice ha ringraziato i tanti sacerdoti santi che danno la vita nell'anonimato del loro servizio quotidiano. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

Commentando la prima lettura del giorno, che parla delle tribù d’Israele che ungono Davide come loro re, il Papa spiega il significato spirituale dell’unzione. “Senza questa unzione – ha affermato - Davide sarebbe stato soltanto il capo” di “un’azienda”, di una “società politica, che era il Regno d’Israele”, sarebbe stato un semplice “organizzatore politico”. Invece, “dopo l’unzione, lo Spirito del Signore” scende su Davide e rimane con lui. E la Scrittura dice: “Davide andava sempre più crescendo in potenza e il Signore Dio degli eserciti era con lui”. “Questa – osserva Papa Francesco - è proprio la differenza dell’unzione”. L’unto è una persona scelta dal Signore. Così è nella Chiesa per i vescovi e i preti:

“I vescovi non sono eletti soltanto per portare avanti un’organizzazione, che si chiama Chiesa particolare, sono unti, hanno l’unzione e lo Spirito del Signore è con loro. Ma tutti i vescovi, tutti siamo peccatori, tutti! Ma siamo unti. Ma tutti vogliamo essere più santi ogni giorno, più fedeli a questa unzione. E quello che fa la Chiesa proprio, quello che dà l’unità alla Chiesa, è la persona del vescovo, in nome di Gesù Cristo, perché è unto, non perché è stato votato dalla maggioranza. Perché è unto. E in questa unzione una Chiesa particolare ha la sua forza. E per partecipazione anche i preti sono unti”. 

L’unzione – prosegue il Papa – avvicina i vescovi e i preti al Signore e dà loro la gioia e la forza “di portare avanti un popolo, di aiutare un popolo, di vivere al servizio di un popolo”. Dona la gioia di sentirsi “eletti dal Signore, guardati dal Signore, con quell’amore con cui il Signore ci guarda, tutti noi”. Così, “quando pensiamo ai vescovi e ai preti, dobbiamo pensarli così: unti”: 

“Al contrario non si capisce la Chiesa, ma non solo non si capisce, non si può spiegare come la Chiesa vada avanti soltanto con le forze umane. Questa diocesi va avanti perché ha un popolo santo, tante cose, e anche un unto che la porta, che l’aiuta a crescere. Questa parrocchia va avanti perché ha tante organizzazioni, tante cose, ma anche ha un prete, un unto che la porta avanti. E noi nella storia conosciamo una minima parte, ma quanti vescovi santi, quanti sacerdoti, quanti preti santi che hanno lasciato la loro vita al servizio della diocesi, della parrocchia; quanta gente ha ricevuto la forza della fede, la forza dell’amore, la speranza da questi parroci anonimi, che noi non conosciamo. Ce ne sono tanti!”

Sono tanti – dice Papa Francesco – “i parroci di campagna o parroci di città, che con la loro unzione hanno dato forza al popolo, hanno trasmesso la dottrina, hanno dato i sacramenti, cioè la santità”:

“’Ma, padre, io ho letto su un giornale che un vescovo ha fatto tal cosa o che un prete ha fatto tal cosa!’. ‘Eh sì, anche io l’ho letto, ma, dimmi, sui giornali vengono le notizie di quello che fanno tanti sacerdoti, tanti preti in tante parrocchie di città e di campagna, tanta carità che fanno, tanto lavoro che fanno per portare avanti il loro popolo?’. Ah, no! Questa non è notizia. Eh, quello di sempre: fa più rumore un albero che cade, che una foresta che cresce. Oggi pensando a questa unzione di Davide, ci farà bene pensare ai nostri vescovi e ai nostri preti coraggiosi, santi, buoni, fedeli e pregare per loro. Grazie a loro oggi noi siamo qui!”.













Caterina63
00martedì 28 gennaio 2014 11:04


Il Papa: esultiamo per un goal ma spesso lodiamo il Signore con freddezza



La preghiera di lode ci fa fecondi. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani 28 gennaio alla Casa Santa Marta. Il Papa, commentando la danza gioiosa di Davide per il Signore di cui parla la Prima Lettura, ha sottolineato che, se ci chiudiamo nella formalità, la nostra preghiera diventa fredda e sterile. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo da questa immagine gioiosa, raccontata nel Secondo Libro di Samuele. Tutto il Popolo di Dio, ha rammentato, era in festa perché l’Arca dell’Alleanza tornava a casa. La preghiera di lode di Davide, ha proseguito, “lo portò a uscire da ogni compostezza e a danzare davanti al Signore” con “tutte le forze”. Questa, ha commentato, “era proprio la preghiera di lode!” E ha confidato che, leggendo questo passo, ha “pensato subito” a Sara, dopo aver partorito Isacco: “Il Signore mi ha fatto ballare di gioia!”. Questa anziana. come il giovane Davide – ha evidenziato – “ha ballato di gioia” davanti al Signore. “A noi – ha poi osservato – è facile capire la preghiera per chiedere una cosa al Signore, anche per ringraziare il Signore”. Anche capire la “preghiera di adorazione”, ha detto, “non è tanto difficile”. Ma la preghiera di lode “la lasciamo da parte, non ci viene così spontanea”:

“‘Ma, Padre, questo è per quelli del Rinnovamento nello Spirito, non per tutti i cristiani!’. No, la preghiera di lode è una preghiera cristiana per tutti noi! Nella Messa, tutti i giorni, quando cantiamo il Santo… Questa è una preghiera di lode: lodiamo Dio per la sua grandezza, perché è grande! E gli diciamo cose belle, perché a noi piace che sia così. ‘Ma, Padre, io non sono capace… Io devo…’. Ma sei capace di gridare quando la tua squadra segna un goal e non sei capace di cantare le lodi al Signore? Di uscire un po’ dal tuo contegno per cantare questo? Lodare Dio è totalmente gratuito! Non chiediamo, non ringraziamo: lodiamo!” 

Dobbiamo pregare “con tutto il cuore”, ha proseguito: “E’ un atto anche di giustizia, perché Lui è grande! E’ il nostro Dio!”. Davide, ha poi rammentato, “era tanto felice, perché tornava l’arca, tornava il Signore: anche il suo corpo pregava con quella danza”: 

“Una bella domanda che noi possiamo farci oggi: ‘Ma come va la mia preghiera di lode? Io so lodare il Signore? So lodare il Signore o quando prego il Gloria o prego il Sanctus lo faccio soltanto con la bocca e non con tutto il cuore?’. Cosa mi dice Davide, danzando qui? E Sara, ballando di gioia? Quando Davide entra in città incomincia un’altra cosa: una festa!”

“La gioia della lode – ha ribadito – ci porta alla gioia della festa. La festa della famiglia”. Il Papa ha così ricordato che quando Davide rientra nel palazzo, la figlia del re Saul, Mikal, lo rimprovera e gli domanda se non provi vergogna per aver ballato in quel modo davanti a tutti, lui che è il re. Mikal “disprezzò Davide”: 

“Io mi domando quanto volte noi disprezziamo nel nostro cuore persone buone, gente buona che loda il Signore come le viene, così spontaneamente, perché non sono colti, non seguono gli atteggiamenti formali? Ma, disprezzo! E dice la Bibbia che Mikal è rimasta sterile per tutta la vita per questo! Cosa vuol dire la Parola di Dio qui? Che la gioia, che la preghiera di lode ci fa fecondi! Sara ballava nel momento grande della sua fecondità, a novant’anni! La fecondità che ci dà la lode al Signore, la gratuità di lodare il Signore. Quell’uomo o quella donna che loda il Signore, che prega lodando il Signore, che quando prega il Gloria si rallegra di dirlo, quando canta il Sanctus nella Messa si rallegra di cantarlo, è un uomo o una donna fecondo”. 

Invece, ha avvertito, “quelli che si chiudono nella formalità di una preghiera fredda, misurata, forse finiscono come Mikal: nella sterilità della sua formalità”. Il Papa ha invitato, dunque, a immaginare Davide che danza “con tutte le forze davanti al Signore e pensiamo che bello sia fare le preghiera di lode”. Ci farà bene, ha concluso, ripetere le parole del Salmo 23 che abbiamo pregato oggi: “Alzate, porte, la vostra fronte; alzatevi soglie antiche ed entri il re della gloria. Il Signore, forte e valoroso, è il re della gloria!”













Papa Francesco: dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa



“Non si capisce un cristiano senza Chiesa”: lo ha affermato stamani 30 gennaio 2014 Papa Francesco durante la Messa presieduta a Santa Marta. Il Pontefice ha indicato tre pilastri del senso di appartenenza ecclesiale: l’umiltà, la fedeltà e la preghiera per la Chiesa. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

L’omelia del Papa è partita dalla figura del re Davide, come viene presentata dalle letture del giorno: un uomo che parla col Signore come un figlio parla con il padre e anche se riceve un “no” alle sue richieste, lo accetta con gioia. Davide – osserva Papa Francesco – aveva “un sentimento forte di appartenenza al popolo di Dio”. E questo – ha proseguito – ci fa chiedere su quale sia il nostro senso di appartenenza alla Chiesa, il nostro sentire con la Chiesa e nella Chiesa:

“Il cristiano non è un battezzato che riceve il Battesimo e poi va avanti per la sua strada. Il primo frutto del Battesimo è farti appartenere alla Chiesa, al popolo di Dio. Non si capisce un cristiano senza Chiesa. E per questo il grande Paolo VI diceva che è una dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa; ascoltare Cristo ma non la Chiesa; stare con Cristo al margine della Chiesa. Non si può. E’ una dicotomia assurda. Il messaggio evangelico noi lo riceviamo nella Chiesa e la nostra santità la facciamo nella Chiesa, la nostra strada nella Chiesa. L’altro è una fantasia o, come lui diceva, una dicotomia assurda”. 

Il “sensus ecclesiae” – ha affermato - è “proprio il sentire, pensare, volere, dentro la Chiesa”. Ci sono “tre pilastri di questa appartenenza, di questo sentire con la Chiesa. Il primo è l’umiltà”, nella consapevolezza di essere “inseriti in una comunità come una grazia grande”:

“Una persona che non è umile, non può sentire con la Chiesa, sentirà quello che a lei piace, a lui piace. E’ questa umiltà che si vede in Davide: ‘Chi sono io, Signore Dio, e che cosa è la mia casa?’. Con quella coscienza che la storia di salvezza non è incominciata con me e non finirà quando io muoio. No, è tutta una storia di salvezza: io vengo, il Signore ti prende, ti fa andare avanti e poi ti chiama e la storia continua. La storia della Chiesa incominciò prima di noi e continuerà dopo di noi. Umiltà: siamo una piccola parte di un grande popolo, che va sulla strada del Signore”. 

Il secondo pilastro è la fedeltà, “che va collegata all’ubbidienza”:

“Fedeltà alla Chiesa; fedeltà al suo insegnamento; fedeltà al Credo; fedeltà alla dottrina, custodire questa dottrina. Umiltà e fedeltà. Anche Paolo VI ci ricordava che noi riceviamo il messaggio del Vangelo come un dono e dobbiamo trasmetterlo come un dono, ma non come una cosa nostra: è un dono ricevuto che diamo. E in questa trasmissione essere fedeli. Perché noi abbiamo ricevuto e dobbiamo dare un Vangelo che non è nostro, che è di Gesù, e non dobbiamo – diceva Lui – diventare padroni del Vangelo, padroni della dottrina ricevuta, per utilizzarla a nostro piacere”. 

Il terzo pilastro – ha detto il Papa – è un servizio particolare: “pregare per la Chiesa”. “Come va la nostra preghiera per la Chiesa? – domanda Papa Francesco - Preghiamo per la Chiesa? Nella Messa tutti i giorni, ma a casa nostra, no? Quando facciamo le nostre preghiere?”. Pregare per tutta la Chiesa, in tutte le parti del mondo. “Che il Signore –ha concluso il Papa - ci aiuti ad andare su questa strada per approfondire la nostra appartenenza alla Chiesa e il nostro sentire con la Chiesa”.







Il Papa: se perdiamo il senso di Dio, il peggiore dei peccati ci appare una piccolezza



Quando viene meno la presenza di Dio tra gli uomini, “si perde il senso del peccato” e così può accadere di far pagare ad altri il prezzo della nostra “mediocrità cristiana”. Lo ha affermato oggi Papa Francesco all’omelia della Messa mattutina, 31 gennaio, in Casa Santa Marta.
Chiediamo a Dio, ha esortato il Papa, la grazia che in noi non diminuisca mai la presenza “del suo Regno”. Il servizio di Alessandro De Carolis:




Un peccato grave, come ad esempio l’adulterio, derubricato a “problema da risolvere”.


La scelta che compie il re Davide, narrata nella prima Lettura di oggi, diventa lo specchio davanti al quale Papa Francesco pone la coscienza di ogni cristiano. Davide si invaghisce di Betsabea, moglie di Uria, un suo generale, gliela prende e spedisce il marito in prima linea in battaglia, causandone la morte e di fatto perpetrando un assassinio. Eppure, adulterio e omicidio non lo scuotono più di tanto. “Davide si trova davanti a un grosso peccato, ma lui non lo sente peccato”, osserva il Papa. “Non gli viene in mente di chiedere perdono. Quello che gli viene in mente è: ‘Come risolvo questo?’”:


“A tutti noi può accadere questa cosa. Tutti siamo peccatori e tutti siamo tentati e la tentazione è il pane nostro di ogni giorno. Se qualcuno di noi dicesse: ‘Ma io mai ho avuto tentazioni’, o sei un cherubino o sei un po’ scemo, no? Si capisce… E’ normale nella vita la lotta e il diavolo non sta tranquillo, lui vuole la sua vittoria. Ma il problema – il problema più grave in questo brano – non è tanto la tentazione e il peccato contro il nono comandamento, ma è come agisce Davide. E Davide qui non parla di peccato, parla di un problema che deve risolvere. Questo è un segno! Quando il Regno di Dio viene meno, quando il Regno di Dio diminuisce, uno dei segni è che si perde il senso del peccato”.

Ogni giorno, recitando il “Padre Nostro”, noi chiediamo a Dio “Venga il Tuo Regno…”, il che – spiega Papa Francesco – vuol dire “cresca il Tuo Regno”. Quando invece si perde il senso del peccato, si perde anche “il senso del Regno di Dio” e al suo posto – sottolinea il Papa – emerge una “visione antropologica superpotente”, quella per cui “io posso tutto”:

“La potenza dell’uomo al posto della gloria di Dio! Questo è il pane di ogni giorno. Per questo la preghiera di tutti i giorni a Dio ‘Venga il tuo Regno, cresca il tuo Regno’, perché la salvezza non verrà dalle nostre furbizie, dalle nostre astuzie, dalla nostra intelligenza nel fare gli affari. La salvezza verrà dalla grazia di Dio e dall’allenamento quotidiano che noi facciamo di questa grazia nella vita cristiana”.

“Il più grande peccato di oggi è che gli uomini hanno perduto il senso del peccato”.
Papa Francesco cita questa celebre frase di Pio XII e poi sposta lo sguardo su Uria, l’uomo incolpevole mandato a morte per la colpa del suo re. Uria, dice il Papa, diventa allora l’emblema di tutte le vittime della nostra inconfessata superbia:


“Io vi confesso, quando vedo queste ingiustizie, questa superbia umana, anche quando vedo il pericolo che a me stesso avvenga questo, il pericolo di perdere il senso del peccato, mi fa bene pensare ai tanti Uria della storia, ai tanti Uria che anche oggi soffrono la nostra mediocrità cristiana, quando noi perdiamo il senso del peccato, quando noi lasciamo che il Regno di Dio cada… Questi sono i martiri dei nostri peccati non riconosciuti. Ci farà bene oggi pregare per noi, perché il Signore ci dia sempre la grazia di non perdere il senso del peccato, perché il Regno non cali in noi. Anche portare un fiore spirituale alla tomba di questi Uria contemporanei, che pagano il conto del banchetto dei sicuri, di quei cristiani che si sentono sicuri”.







Caterina63
00lunedì 3 febbraio 2014 13:23

Il Papa: un uomo di governo non strumentalizza Dio e il suo popolo



Non usare Dio e il popolo per difendersi nei momenti di difficoltà. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani 3 febbraio 2014 a Casa Santa Marta. Commentando l’atteggiamento del re Davide nei confronti del tradimento del figlio Assalonne, il Papa ha esortato a scegliere sempre la via dell’affidamento a Dio. Il servizio di Alessandro GisottiRealAudioMP3 

Il re Davide fugge perché suo figlio Assalonne lo ha tradito. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia sulla Prima lettura, tratta dal Secondo Libro di Samuele, che narra di questo “grande tradimento” e delle sue conseguenze. Davide è triste perché “anche il popolo” era col figlio contro il re. E sente “come se questo figlio fosse morto”. Ma qual è, dunque, la reazione di Davide “davanti a questo tradimento del figlio?”. Il Pontefice indica tre atteggiamenti. Innanzitutto, Davide, “uomo di governo, prende la realtà come è e sa che questa guerra sarà molto” dura e “che ci saranno tanti morti”. Quindi, “fa la scelta di non far morire il suo popolo”. Lui, ha osservato il Papa, “poteva lottare in Gerusalemme contro le forze di suo figlio”, ma sceglie che Gerusalemme non sia distrutta:

“Davide, questo è il primo atteggiamento, per difendersi non usa né Dio né il suo popolo, e questo significa l’amore di un re per il suo Dio e il suo popolo. Un re peccatore - conosciamo la storia – ma un re anche con questo amore tanto grande: era tanto attaccato al suo Dio e tanto attaccato al suo popolo e non usa per difendersi né Dio né il suo popolo. Nei momenti brutti della vita accade che forse nella disperazione uno cerchi di difendersi come può e anche di usare Dio e di usare la gente. Lui no, il primo atteggiamento è quello: non usare Dio e il suo popolo”.

Davide sceglie dunque di fuggire. Il suo secondo atteggiamento è “penitenziale”. Sale la montagna “piangendo”, camminando “col capo coperto e a piedi scalzi”. E tutta la “gente che era con lui aveva il capo coperto e, salendo, piangeva”. E’ davvero “un cammino penitenziale”. “Forse – è stata la riflessione del Papa – nel suo cuore aveva pensato tante cose brutte, tanti peccati, che aveva fatto”, pensa di non essere “innocente”. Pensa anche che non sia giusto che il figlio lo tradisca, ma riconosce di non essere un santo e “sceglie la penitenza”:

“Questa salita al monte ci fa pensare a quell’altra salita di Gesù, anche Lui addolorato, a piedi scalzi, con la sua croce saliva il monte. Questo atteggiamento penitenziale. Davide accetta di essere in lutto e piange. Noi, quando accade una cosa del genere nella nostra vita sempre cerchiamo – è un istinto che abbiamo – di giustificarci. Davide non si giustifica, è realista, cerca di salvare l’arca di Dio, il suo popolo, e fa penitenza per quella strada. E’ un grande: un grande peccatore e un grande santo. Come vanno insieme queste due cose… Dio lo sa!”.

E nel cammino, ha soggiunto il Papa, appare un altro personaggio: Simei, che getta sassi contro Davide e contro tutti i suoi servi. E’ un “nemico” che va maledicendo Davide. Uno degli amici del re afferma, quindi, di voler uccidere questo “disgraziato”, questo “cane morto”. Ma Davide lo ferma: “invece di scegliere la vendetta contro tanti insulti, sceglie di affidarsi a Dio”. Anzi, dice di lasciare che Simei lo maledica perché “glielo ha ordinato il Signore”. E aggiunge: “Lui sa sempre quello che accade, il Signore lo permette”. "Forse - pensa ancora Davide - il Signore guarderà la mia afflizione e mi renderà il bene in cambio della maledizione d'oggi".
Il terzo atteggiamento di Davide è dunque l’affidamento al Signore. Il comportamento di Davide, ha così rilevato il Papa, può aiutare anche noi, “perché tutti noi passiamo nella vita” per momenti di buio e di prova. Ecco allora i tre atteggiamenti di Davide: “Non negoziare Dio” e “la nostra appartenenza”; “accettare la penitenza e piangere sui nostri sbagli”; infine “non cercare, noi, di fare giustizia con le nostre mani, ma affidarci a Dio”: 

“E’ bello sentire questo e vedere questi tre atteggiamenti: un uomo che ama Dio, ama il suo popolo e non lo negozia; un uomo che si sa peccatore e fa penitenza; un uomo che è sicuro del suo Dio e si affida a Lui. Davide è santo e noi lo veneriamo come santo. Chiediamo a lui che ci insegni questi atteggiamenti nei momenti brutti della vita”.









Papa Francesco: anche Dio piange, ha il cuore di un padre che non rinnega mai i suoi figli



Anche Dio piange: il suo pianto è come quello di un padre che ama i figli e non li rinnega mai anche se sono ribelli, ma sempre li aspetta. E' quanto ha affermato Papa Francesco durante la Messa presieduta stamani, 4 febbraio, a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Le letture del giorno presentano la figura di due padri: il re Davide, che piange la morte del figlio ribelle Assalonne, e Giàiro, capo della Sinagoga, che prega Gesù di guarire la figlia. Il Papa spiega il pianto di Davide alla notizia dell’uccisione del figlio, nonostante questi combattesse contro di lui per conquistare il regno. L’esercito di Davide ha vinto, ma a lui non interessava la vittoria, “aspettava il figlio! Gli interessava soltanto il figlio! Era re, era capo del Paese, ma era padre! E così quando è arrivata la notizia della fine di suo figlio, fu scosso da un tremito: salì al piano di sopra … e pianse”:

“Diceva andandosene: ‘Figlio mio, Assalonne. Figlio mio! Figlio mio, Assalonne! Fossi morto io invece di te! Assalonne, Figlio mio! Figlio mio!’. Questo è il cuore di un padre, che non rinnega mai suo figlio. ‘E’ un brigante. E’ un nemico. Ma è mio figlio!’. E non rinnega la paternità: pianse… Due volte Davide pianse per un figlio: questa e l’altra quando stava per morire il figlio dell’adulterio. Anche quella volta ha fatto digiuno, penitenza per salvare la vita del figlio. Era padre!”.

L’altro padre è il capo della Sinagoga, “una persona importante – afferma il Papa - ma davanti alla malattia della figlia non ha vergogna di gettarsi ai piedi di Gesù: ‘La mia figlioletta sta morendo, vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva!’. Non ha vergogna”, non pensa a quello che potranno dire gli altri, perché è padre. Davide e Giàiro sono due padri:

“Per loro ciò che è più importante è il figlio, la figlia! Non c’è un’altra cosa. L’unica cosa importante! Ci fa pensare alla prima cosa che noi diciamo a Dio, nel Credo: ‘Credo in Dio Padre…’. Ci fa pensare alla paternità di Dio. Ma Dio è così. Dio è così con noi! ‘Ma, Padre, Dio non piange!’. Ma come no! Ricordiamo Gesù, quando ha pianto guardando Gerusalemme. ‘Gerusalemme, Gerusalemme! Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le ali’. Dio piange! Gesù ha pianto per noi! E quel pianto di Gesù è proprio la figura del pianto del Padre, che ci vuole tutti con sé”. 

“Nei momenti difficili” - sottolinea Papa Francesco – “il Padre risponde. Ricordiamo Isacco, quando va con Abramo a fare il sacrificio: Isacco non era sciocco, se ne era accorto che portavano il legno, il fuoco, ma non la pecorella per il sacrificio. Aveva angoscia nel cuore! E cosa dice? ‘Padre!’. E subito: ‘Eccomi figlio!’. Il Padre rispose”.
Così, Gesù, nell’Orto degli Ulivi, dice “con quell’angoscia nel cuore: ‘Padre, se è possibile, allontana da me questo calice!’. E gli angeli sono venuti a dargli forza. Così è il nostro Dio: è Padre! E’ un Padre così!”. Un Padre come quello che aspetta il figlio prodigo che è andato via “con tutti i soldi, con tutta l’eredità. Ma il padre lo aspettava” tutti i giorni e “lo ha visto da lontano”. “Quello è il nostro Dio!" - ha osservato il Papa - e "la nostra paternità" - quella dei padri di famiglia come la paternità spirituale di vescovi e sacerdoti - "deve essere come questa. Il Padre ha come un’unzione che viene dal figlio: non può capire se stesso senza il figlio! E per questo ha bisogno del figlio: lo aspetta, lo ama, lo cerca, lo perdona, lo vuole vicino a sé, tanto vicino come la gallina vuole i suoi pulcini”:


“Andiamo oggi a casa con queste due icone: Davide che piange e l’altro, capo della Sinagoga, che si getta davanti a Gesù, senza paura di diventare una vergogna e far ridere gli altri. In gioco erano i loro figli: il figlio e la figlia. E con queste due icone diciamo: ‘Credo in Dio Padre…’. E chiediamo allo Spirito Santo - perché soltanto è Lui, lo Spirito Santo – che ci insegni a dire ‘Abbà, Padre!’. E’ una grazia! Poter dire a Dio ‘Padre!’ col cuore è una grazia dello Spirito Santo. Chiederla a Lui!”.







Il Papa: chiedere la grazia di morire nella Chiesa, nella speranza e lasciando l'eredità di una vita cristiana



Nella Messa presieduta questa mattina, 6 febbraio, a Santa Marta, il Papa ha riflettuto sul mistero della morte, invitando a chiedere a Dio tre grazie: morire nella Chiesa, morire nella speranza e morire lasciando l’eredità di una testimonianza cristiana. Il servizio di Sergio Centofanti:

Nella sua omelia, il Papa commenta la prima Lettura del giorno che racconta la morte di Davide, dopo una vita spesa al servizio del suo popolo. Sottolinea tre cose: la prima è che Davide muore “in seno al suo popolo”. Vive fino alla fine “la sua appartenenza al Popolo di Dio. Aveva peccato: lui stesso si chiama ‘peccatore’, ma mai se ne è andato fuori dal Popolo di Dio!”:

“Peccatore sì, traditore no! E questa è una grazia: rimanere sino alla fine nel Popolo di Dio. Avere la grazia di morire in seno alla Chiesa, proprio in seno al Popolo di Dio. E questo è il primo punto che io vorrei sottolineare. Anche per noi chiedere la grazia di morire a casa. Morire a casa, nella Chiesa. E questa è una grazia! Questo non si compra! E’ un regalo di Dio e dobbiamo chiederlo: ‘Signore, fammi il regalo di morire a casa, nella Chiesa!’. Peccatori sì, tutti, tutti lo siamo! Ma traditori no! Corrotti no! Sempre dentro! E la Chiesa è tanto madre che ci vuole anche così, tante volte sporchi, ma la Chiesa ci pulisce: è madre!”.

Seconda riflessione: Davide muore “tranquillo, in pace, sereno” nella certezza di andare “dall’altra parte con i suoi” padri. “Questa – afferma Papa Francesco - è un’altra grazia: la grazia di morire nella speranza, nella consapevolezza” che “dall’altra parte ci attendono; dall’altra parte anche continua la casa, continua la famiglia”, non saremo soli. “E questa è una grazia che dobbiamo chiedere – osserva - perché negli ultimi momenti della vita noi sappiamo che la vita è una lotta e lo spirito del male vuole il bottino”:

“Santa Teresina di Gesù Bambino diceva che, nei suoi ultimi tempi, nella sua anima c’era una lotta e quando lei pensava al futuro, a quello che l’aspettava dopo la morte, in cielo, sentiva come una voce che diceva: ‘Ma no, non essere sciocca ti aspetta il buio. Ti aspetta soltanto il buio del niente!’. Così dice. E’ la voce del diavolo, del demonio, che non voleva che lei si affidasse a Dio. Morire in speranza e morire affidandosi a Dio! E chiedere questa grazia. Ma affidarsi a Dio incomincia adesso, nelle piccole cose della vita, anche nei grandi problemi: affidarsi sempre al Signore! E così uno prende questa abitudine di affidarsi al Signore e cresce la speranza. Morire a casa, morire in speranza”. 

La terza riflessione è sull’eredità che lascia Davide. Ci sono “tanti scandali sull’eredità” – ha ricordato il Papa – “scandali nelle famiglie, che dividono”. Davide, invece, “lascia l’eredità di 40 anni di governo” e “il popolo consolidato, forte”. “Un detto popolare - ha proseguito - dice che ogni uomo deve lasciare nella vita un figlio, deve piantare un albero e deve scrivere un libro: questa è l’eredità migliore!”. Quindi ha invitato a chiedersi: “Che eredità lasciò io a quelli che vengono dietro di me? Un’eredità di vita? Ho fatto tanto il bene che la gente mi vuole come padre o come madre? Ho piantato un albero? Ho dato la vita, saggezza? Ho scritto un libro?”. Davide lascia questa eredità a suo figlio, dicendogli: “Tu sii forte e mostrati uomo. Osserva la legge del Signore, tuo Dio, procedendo nelle sue vie e seguendo le sue leggi!”:

“Questa è l’eredità: è la nostra testimonianza da cristiani lasciata agli altri. E alcuni di noi lasciano una grande eredità: pensiamo ai Santi che hanno vissuto il Vangelo con tanta forza, che ci lasciano una strada di vita e un modo di vivere come eredità. Ecco le tre cose che mi vengono al cuore nella lettura di questo brano sulla morte di Davide: chiedere la grazia di morire a casa, morire nella Chiesa; chiedere la grazia di morire in speranza, con speranza; e chiedere la grazia di lasciare una bella eredità, un’eredità umana, un’eredità fatta con la testimonianza della nostra vita cristiana. Che San Davide ci conceda a tutti noi queste tre grazie!”.





Il Papa: essere cristiani non è un privilegio, annunciare il Vangelo con umiltà



Annunciare il Vangelo senza approfittarsi della condizione di cristiani. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani 7 febbraio a Casa Santa Marta. Il Papa ha svolto la sua omelia a partire dal martirio di Giovanni Battista ed ha sottolineato che, come lui, il vero discepolo di Cristo segue la via dell’umiltà senza impadronirsi della profezia. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Erode fa uccidere Giovanni per accontentare l’amante Erodìade e il capriccio di sua figlia. Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi sulla tragica morte del Battista, narrata dal Vangelo odierno. Giovanni, ha osservato il Papa, è “un uomo che ha avuto un tempo breve di vita, un tempo breve per annunciare la Parola di Dio”. Era l’uomo, ha soggiunto, che “Dio aveva inviato per preparare la strada a suo Figlio”. E Giovanni finisce male la sua vita, nella corte di Erode “che era in banchetto”: 

“Quando c’è la corte è possibile fare di tutto: la corruzione, i vizi, i crimini. Le corti favoriscono queste cose. Cosa ha fatto Giovanni? Prima di tutto annunziò il Signore. Annunziò che era vicino il Salvatore, il Signore, che era vicino il Regno di Dio. E lo aveva fatto con forza. E battezzava. Esortava tutti a convertirsi. Era un uomo forte. E annunziava Gesù Cristo”. 

“La prima cosa che ha fatto Giovanni, grande, è annunziare Gesù Cristo”. Un’altra cosa che ha fatto, ha proseguito il Papa, “è che non s’impadronì della sua autorità morale.” Il Papa ha ricordato che gli era stata data “la possibilità di dire ‘Io sono il Messia’, perché aveva tanta autorità morale”, “tutta la gente andava da lui”. E il Vangelo narra che Giovanni a tutti diceva di convertirsi. E i farisei, i dottori vedevano questa sua forza: “Era un uomo retto”. Gli chiedono dunque se fosse lui il Messia. E, in quel “momento della tentazione, della vanità” poteva fare una “faccia da immaginetta” e dire: “Ma, non so...” con una “falsa umiltà”. Invece è stato chiaro: “No! Io non lo sono! Dietro di me viene uno che è più forte di me, cui io non sono degno di piegarmi per sciogliere i legacci dei suoi calzari”. Giovanni, ha ribadito il Papa, “è stato chiaro”, “non ha rubato il titolo. Non si è impadronito del mestiere”. Questa, dunque, “è la seconda cosa che ha fatto lui, “uomo di verità”: “Non rubare la dignità". La terza cosa che ha fatto Giovanni, ha soggiunto, “è imitare Cristo”. Anche Erode, che lo aveva ucciso, “credeva che Gesù fosse Giovanni”. Giovanni, ha osservato, ha imitato Gesù “soprattutto sul cammino dell’abbassarsi: Giovanni si è umiliato, si è abbassato fino alla fine, fino alla morte”. Anche, ha detto, c’è “lo stesso stile di morte, vergognoso: Gesù come un brigante, come un ladro, come un criminale, sulla croce”:

“Morti umilianti. Ma anche Giovanni ha avuto il suo ‘orto degli ulivi’, la sua angoscia in carcere, quando credeva di avere sbagliato, e manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù: ‘Ma dimmi, sei tu o ho sbagliato e c’è un altro?’ Il buio dell’anima, quel buio che purifica come Gesù nell’orto degli ulivi. E Gesù ha risposto a Giovanni come il Padre ha risposto a Gesù, confortando. Quel buio dell’uomo di Dio, della donna di Dio. Penso in questo momento al buio dell’anima della Beata Teresa di Calcutta, no? Ah, la donna che tutto il mondo lodava, Premio Nobel! Ma lei sapeva che in un momento della sua vita, lungo, c’era soltanto il buio dentro”.

“Annunziatore di Gesù Cristo”, ha aggiunto, Giovanni “non si impadronì della profezia”, lui “è l’icona di un discepolo”. Ma, si è chiesto il Papa, “dove è stata la sorgente di questo atteggiamento di discepolo?”. In un incontro. Il Vangelo, ha rammentato, ci parla dell’incontro di Maria ed Elisabetta, quando Giovanni ballò di gioia nel grembo di Elisabetta. Erano cugini. “Forse – ha detto - si sono trovati dopo alcune volte. E quell’incontro ha riempito di gioia, di tanta gioia il cuore di Giovanni e lo ha trasformato in discepolo”. Giovanni è “l’uomo che annunzia Gesù Cristo, che non si mette al posto di Gesù Cristo e che segue la strada di Gesù Cristo”: 

“Ci farà bene oggi, a noi, domandarci sul nostro discepolato: annunziamo Gesù Cristo? Approfittiamo o non approfittiamo della nostra condizione di cristiani come se fosse un privilegio? Giovanni non si impadronì della profezia. Terzo: andiamo sulla strada di Gesù Cristo? La strada dell’umiliazione, dell’umiltà, dell’abbassamento per il servizio? E se noi troviamo che non siamo fermi in questo, domandarci: ‘Ma quando è stato il mio incontro con Gesù Cristo, quell’incontro che mi riempì di gioia?’. E tornare all’incontro, tornare alla prima Galilea dell’incontro. Tutti noi ne abbiamo una! Tornare là! Rincontrarci con il Signore e andare avanti su questa strada tanto bella, nella quale Lui deve crescere e noi venire meno”.




T
del sito Radio Vaticana 





 

Caterina63
00lunedì 10 febbraio 2014 11:15

  Il Papa: vivere il mistero della presenza di Dio nella Messa, venire a Santa Marta non è tappa turistica



Riscoprire il senso del sacro, il mistero della presenza reale di Dio nella Messa: è l’invito di Papa Francesco durante la celebrazione eucaristica presieduta stamani 10 febbraio 2014 a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti

La prima Lettura del giorno parla di una teofania di Dio ai tempi del re Salomone. Il Signore scende come nube sul Tempio, che viene riempito della gloria di Dio. Il Signore – commenta il Papa – parla al suo Popolo in tanti modi: attraverso i profeti, i sacerdoti, la Sacra Scrittura. Ma con le teofanie parla in un’altra maniera, “diversa dalla Parola: è un’altra presenza, più vicina, senza mediazione, vicina. E’ la Sua presenza”. “Questo – spiega - succede nella celebrazione liturgica.
La celebrazione liturgica non è un atto sociale, un buon atto sociale; non è una riunione dei credenti per pregare assieme. E’ un’altra cosa. Nella liturgia, Dio è presente”, ma è una presenza più vicina. Nella Messa, infatti, “la presenza del Signore è reale, proprio reale”:  

“Quando noi celebriamo la Messa, noi non facciamo una rappresentazione dell’Ultima Cena: no, non è una rappresentazione. E’ un’altra cosa: è proprio l’Ultima Cena. E’ proprio vivere un’altra volta la Passione e la morte redentrice del Signore. E’ una teofania: il Signore si fa presente sull’altare per essere offerto al Padre per la salvezza del mondo. Noi sentiamo o diciamo: ‘Ma, io non posso, adesso, devo andare a Messa, devo andare a sentire Messa’. La Messa non si ‘sente’, si partecipa, e si partecipa in questa teofania, in questo mistero della presenza del Signore tra noi”. 

Il presepe, la Via Crucis, sono rappresentazioni – ha spiegato ancora Papa Francesco – la Messa, invece, “è una commemorazione reale, cioè è una teofania: Dio si avvicina ed è con noi, e noi partecipiamo al mistero della Redenzione”. Purtroppo – ha sottolineato – tante volte guardiamo l’orologio a Messa, “contiamo i minuti”: “non è l’atteggiamento proprio che ci chiede la liturgia: la liturgia è tempo di Dio e spazio di Dio, e noi dobbiamo metterci lì, nel tempo di Dio, nello spazio di Dio e non guardare l’orologio”: 

“La liturgia è proprio entrare nel mistero di Dio, lasciarsi portare al mistero ed essere nel mistero. Per esempio, io sono sicuro che tutti voi venite qui per entrare nel mistero; però, forse qualcuno dice: ‘Ah, io devo andare a Messa a Santa Marta perché nella gita turistica di Roma c’è andare a visitare il Papa a Santa Marta, tutte le mattine: è un posto turistico, no?’ (ride). Tutti voi venite qui, noi ci riuniamo qui per entrare nel mistero: è questa la liturgia. E’ il tempo di Dio, è lo spazio di Dio, è la nube di Dio che ci avvolge tutti”. 

Il Papa ricorda che, da bambino, durante la preparazione alla Prima Comunione, c’era un canto che indicava come l’altare fosse custodito dagli angeli per dare “il senso della gloria di Dio, dello spazio di Dio, del tempo di Dio”. E quando, durante le prove, si portavano le ostie, dicevano ai bambini: “Guardate che queste non sono quelle che voi riceverete: queste non valgono niente, perché ci sarà la consacrazione!”. Così, conclude il Papa, “celebrare la liturgia è avere questa disponibilità ad entrare nel mistero di Dio”, nel suo spazio, nel suo tempo, e affidarsi “a questo mistero”:

“Ci farà bene oggi chiedere al Signore che dia a tutti noi questo ‘senso del sacro’, questo senso che ci fa capire che una cosa è pregare a casa, pregare in chiesa, pregare il Rosario, pregare tante belle preghiere, fare la Via Crucis, tante cose belle, leggere la Bibbia … e un’altra cosa è la celebrazione eucaristica. Nella celebrazione entriamo nel mistero di Dio, in quella strada che noi non possiamo controllare: soltanto è Lui l’Unico, Lui la gloria, Lui è il potere, Lui è tutto. Chiediamo questa grazia: che il Signore ci insegni ad entrare nel mistero di Dio”.




del sito Radio Vaticana 





Il Papa: credenti trasformati in pagani dalla vanità e pagani che giungono alla fede dall'umiltà



Un credente può perdere la fede a causa delle sue passioni e vanità, mentre un pagano può diventare credente attraverso la sua umiltà: questo, in sintesi, quanto ha detto il Papa stamani, 13 febbraio, durante la Messa presieduta a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

Le letture del giorno fanno riflettere su un duplice cammino: “dall’idolatria al Dio vivente” e, al contrario, “dal Dio vivente verso l’idolatria”. La meditazione del Papa parte dal Vangelo, in cui una “donna coraggiosa”, una cananea, cioè una pagana, chiede a Gesù di liberare la figlia dal demonio.

E’ una madre “disperata” – commenta Papa Francesco – “e una madre, davanti alla salute di un figlio, fa di tutto”. “Gesù le spiega che lui è venuto prima per le pecore della casa d’Israele, ma glielo spiega con un linguaggio duro: ‘Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini’. Questa donna, che certamente non era andata all’università, sapeva come rispondere”. E risponde – sottolinea il Papa – “non con la sua intelligenza, ma con le sue viscere di madre, con il suo amore: ‘Ma anche i cagnolini mangiano quello che cade dalla mensa; dà a me, queste briciole a me!’”. Questa donna – spiega il Papa – “non ha avuto vergogna” e per la sua fede Gesù “le ha fatto il miracolo”:


“Si era esposta al rischio di fare una brutta figura, ma ha insistito, e dal paganesimo e dall’idolatria ha trovato la salute per sua figlia e per lei ha trovato il Dio vivente. Questo è il cammino di una persona di buona volontà, che cerca Dio e lo trova. Il Signore la benedice. Quanta gente fa questo cammino e il Signore l’aspetta! Ma è lo stesso Spirito Santo che li porta avanti per fare questo cammino. Ogni giorno nella Chiesa del Signore ci sono persone che fanno questo cammino, silenziosamente, per trovare il Signore, perché si lasciano portare avanti dallo Spirito Santo”. 

“Ma c’è anche il cammino contrario” – osserva il Papa - quello di Salomone, come riportato dalla prima lettura. Salomone era “l’uomo più saggio della terra”, aveva ricevuto da Dio grandi benedizioni, aveva “una fama universale, tutto il potere”, era “un credente in Dio, ma cosa è successo?”. Gli piacevano le donne e aveva tante concubine pagane che gli hanno fatto “deviare il cuore per seguire altri dei”: così ha introdotto gli idoli in Israele. “E queste donne hanno indebolito il cuore di Salomone lentamente, lentamente. Il suo cuore non restò integro con il Signore, come il cuore di Davide, suo padre”:

“Il suo cuore si indebolì, si è indebolito così e ha perso la fede. Ha perso la fede. L’uomo più saggio del mondo si è lasciato portare avanti per un amore indiscreto, senza discrezione; si è lasciato andare avanti per le sue passioni. ‘Ma padre, Salomone non ha perso la fede, lui credeva in Dio ed era capace di recitare la Bibbia!’. Sì, è vero, ma avere fede non significa essere capaci di recitare il Credo. Ma tu puoi recitare il Credo e avere perso la fede”. 

Salomone – ha proseguito il Papa – “era peccatore, come suo padre Davide. Ma poi è andato avanti e da peccatore si è convertito in corrotto. Il suo cuore era corrotto, per questa idolatria. Suo padre era peccatore, ma il Signore aveva perdonato tutti i peccati, perché lui era umile e chiedeva perdono”. Salomone, invece, era “tanto saggio”, ma la vanità e le sue passioni lo hanno portato alla corruzione. E’ proprio nel cuore, dove si perde la fede”:

“Il seme maligno delle sue passioni è cresciuto nel cuore di Salomone e lo ha portato all’idolatria. E abbiamo sentito, dopo la prima Lettura, nell’Alleluja, questo bel consiglio: ‘Accogliete con docilità la Parola’ - con docilità – ‘la Parola che è stata piantata in voi può portarvi alla salvezza’. Facciamo la strada di quella donna cananea, di quella donna pagana, accogliendo la Parola di Dio, che è stata piantata in noi e che ci porterà alla salvezza. Che la Parola di Dio, potente, ci custodisca in questa strada e non permetta che noi finiamo nella corruzione e questa ci porti all’idolatria”.








Il Papa: il cristiano sia agnello sempre, vinca la tentazione di farsi lupo



Il cristiano non sta mai fermo, cammina sempre oltre le difficoltà. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani 14 febbraio alla Casa Santa Marta. Nella festa dei Santi Patroni d’Europa, Cirillo e Metodio, il Pontefice si è soffermato sull’identità del discepolo. Il Vangelo, ha avvertito, si annuncia con gioia, lamentandosi non si fa un favore al Signore. E ha messo in guardia dalla tentazione di farsi lupi tra i lupi. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Come deve essere un discepolo di Gesù? Papa Francesco ha preso spunto dalle figure di Cirillo e Metodio per soffermarsi sull’identità del cristiano. E commentando la prima Lettura tratta dagli Atti degli Apostoli ha subito sottolineato che il cristiano è “inviato”. Il Signore invia i suoi discepoli, gli chiede di andare avanti. “E questo – ha osservato – significa che il cristiano è un discepolo del Signore che cammina, che va sempre avanti”: 

“Non si può pensare a un cristiano fermo: un cristiano che rimane fermo è ammalato, nella sua identità cristiana, ha qualche malattia in quella identità. Il cristiano è discepolo per camminare, per andare. Ma il Signore questo anche, alla fine - l’abbiamo sentito nel Salmo, il congedo del Signore - alla fine: ‘Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo’. Andate. Camminate. Ecco: un primo atteggiamento dell’identità cristiana è camminare, e camminare anche se ci sono difficoltà, andare oltre le difficoltà”.

Questo, ha soggiunto, è quello che è successo con Paolo ad Antiochia di Pisidia, “dove c’era difficoltà con la comunità ebrea e allora sono andati i pagani, avanti”. Gesù, ha poi rammentato il Papa, “esorta ad andare agli incroci delle strade” e a invitare “tutti, buoni e cattivi”. Così dice il Vangelo, ha ribadito: “Anche i cattivi! Tutti”. Il cristiano, dunque, “cammina” e “se ci sono difficoltà, va oltre, per annunziare che il Regno di Dio è vicino”. Un secondo aspetto dell’identità del cristiano, ha proseguito, “è che il cristiano deve rimanere sempre agnello”. Il cristiano, ha riaffermato, “è un agnello, e deve conservare questa identità”. Il Signore ci manda “come agnelli in mezzo ai lupi”. Ma, si è chiesto il Papa, qualcuno potrebbe proporre di usare la “forza contro di loro”. Pensiamo a Davide, ha così osservato, “quando doveva lottare contro il filisteo: volevano vestirlo con tutte le armature di Saulo e non poteva muoversi”. Così, ha spiegato Papa Francesco, “non era se stesso, non era l’umile, non era il semplice Davide. Alla fine, lui ha preso la fionda e ha vinto la battaglia”: 

“Come agnelli… Non diventare lupi… Perché, a volte, la tentazione ci fa pensare: ‘Ma questo è difficile, questi lupi sono furbi e io sarò anche più furbo di loro, eh?’. Agnello. Non scemo, ma agnello. Agnello. Con l’astuzia cristiana, ma agnello sempre. Perché se tu sei agnello, Lui ti difende. Ma se tu ti senti forte come il lupo, Lui non ti difende, ti lascia solo, e i lupi ti mangeranno crudo".

Terzo aspetto di questa identità, ha detto, è lo “stile del cristiano” che è “la gioia”. I cristiani, ha affermato, “sono persone che esultano perché conoscono il Signore e portano il Signore”. E ha avvertito che “non si può camminare in cristiano senza gioia, non si può camminare come agnello senza gioia”. Anche “nei problemi, anche nelle difficoltà, anche nei propri sbagli e peccati – ha ribadito il Papa – c’è la gioia di Gesù che sempre perdona e aiuta”. Il Vangelo allora “deve andare avanti, portato da questi agnelli inviati dal Signore che cammina, con gioia”: 

“Non fanno un favore al Signore né alla Chiesa quei cristiani che hanno un tempo di adagio-lamentoso, che vivono sempre così, lamentandosi, di tutto, tristi… Questo non è lo stile del discepolo. Sant’Agostino dice ai cristiani: ‘Vai, vai avanti, canta e cammina!’. Con la gioia: è quello lo stile del cristiano. Annunciare il Vangelo con gioia. E il Signore fa tutto. Invece, la troppa tristezza, questa troppa tristezza, anche l’amarezza ci porta a vivere un cosiddetto cristianesimo senza Cristo: la Croce svuota i cristiani che sono davanti al Sepolcro piangendo, come la Maddalena, ma senza la gioia di aver trovato il Risorto”.

Nella festa dei due discepoli cristiani, Cirillo e Metodio, ha riaffermato Papa Francesco, la Chiesa ci fa riflettere sulla “identità cristiana”. Il cristiano, ha detto, “mai sta fermo, è un uomo o una donna che cammina sempre, che cammina oltre le difficoltà”. E cammina, ha ribadito, “come agnello, non è sufficiente delle sue forze: è un uomo o una donna che cammina con gioia”. Il Signore, ha concluso il Papa, “per l’intercessione di questi due fratelli Santi, Patroni dell’Europa, ci conceda la grazia di vivere come cristiani che camminano come agnelli e con gioia”.







Il Papa: è la pazienza del popolo di Dio nelle prove della vita che fa andare avanti la Chiesa



La pazienza del popolo di Dio che sopporta con fede le prove quotidiane della vita è ciò che fa andare avanti la Chiesa: è quanto ha affermato Papa Francesco stamani 17 febbraio nella Messa presieduta a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

“La pazienza non è rassegnazione, è un’altra cosa”: il Papa commenta la Lettera di San Giacomo dove dice: “Considerate perfetta letizia, quando subite ogni sorta di prove”. “Sembra un invito a fare il fachiro” – osserva – ma non è così. La pazienza, sopportare le prove, “le cose che noi non vogliamo”, fa “maturare la nostra vita. Chi non ha pazienza vuole tutto subito, tutto di fretta. Chi non conosce questa saggezza della pazienza – sottolinea Papa Francesco - è una persona capricciosa, come i bambini che sono capricciosi” e nessuna cosa va loro bene. “La persona che non ha pazienza – spiega - è una persona che non cresce, che rimane nei capricci del bambino, che non sa prendere la vita come viene: o questo o niente. Questa è una delle tentazioni: diventare capricciosi”. “Un’altra tentazione di quelli che non hanno pazienza – afferma il Papa - è l’onnipotenza” di volere subito una cosa, come accade ai farisei che chiedono a Gesù un segno dal cielo: “volevano uno spettacolo, un miracolo”:

“Confondono il modo di agire di Dio con il modo di agire di uno stregone. E Dio non agisce come uno stregone, Dio ha il suo modo di andare avanti. La pazienza di Dio. Anche Lui ha pazienza. Ogni volta che noi andiamo al sacramento della riconciliazione, cantiamo un inno alla pazienza di Dio! Ma il Signore come ci porta sulle sue spalle, con quanta pazienza, con quanta pazienza! La vita cristiana deve svolgersi su questa musica della pazienza, perché è stata proprio la musica dei nostri padri, del popolo di Dio, quelli che hanno creduto alla Parola di Dio, che hanno seguito il comandamento che il Signore aveva dato al nostro padre Abramo: ‘Cammina davanti a me e sii irreprensibile’”. 

Il popolo di Dio – afferma il Papa citando la Lettera agli Ebrei – “ha sofferto tanto, sono stati perseguitati, ammazzati”, ma ha avuto “la gioia di salutare da lontano le promesse” di Dio. “Questa è la pazienza” che “noi dobbiamo avere nelle prove: la pazienza di una persona adulta, la pazienza di Dio” che ci porta sulle sue spalle. E questa – ha proseguito - è “la pazienza del nostro popolo”: 

“Quanto paziente è il nostro popolo! Ancora adesso! Quando andiamo nelle parrocchie e troviamo quelle persone che soffrono, che hanno problemi, che hanno un figlio disabile o hanno una malattia, ma portano avanti con pazienza la vita. Non chiedono segni, come questi del Vangelo, che volevano un segno. Dicevano: ‘Dateci un segno!’. No, non chiedono, ma sanno leggere i segni dei tempi: sanno che quando germoglia il fico, viene la primavera; sanno distinguere quello. Invece, questi impazienti del Vangelo di oggi, che volevano un segno, non sapevano leggere i segni dei tempi, e per questo non hanno riconosciuto Gesù”. 

Il Papa conclude la sua omelia lodando la “gente del nostro popolo, gente che soffre, che soffre tante, tante cose, ma non perde il sorriso della fede, che ha la gioia della fede”:

“E questa gente, il nostro popolo, nelle nostre parrocchie, nelle nostre istituzioni - tanta gente – è quella che porta avanti la Chiesa, con la sua santità, di tutti i giorni, di ogni giorno. ‘Fratelli, considerate perfetta letizia, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza e la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti ed integri, senza mancare di nulla’ (Gc 1, 2-4). Che il Signore ci dia a tutti noi la pazienza, la pazienza gioiosa, la pazienza del lavoro, della pace, ci dia la pazienza di Dio, quella che Lui ha, e ci dia la pazienza del nostro popolo fedele, che è tanto esemplare”.












 

Caterina63
00martedì 18 febbraio 2014 13:09





Il Papa: le tentazioni, un contagio che uccide. La Parola di Gesù la cura che salva



Resistere alla seduzione delle tentazioni è possibile solo “quando si ascolta la Parola di Gesù”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta questa mattina 18 febbraio in Casa S. Marta. Nonostante le nostre debolezze, ha ripetuto il Papa, Cristo ci dà sempre “fiducia” e ci schiude un orizzonte più ampio dei nostri limiti. Il servizio di Alessandro De Carolis:

La tentazione si manifesta come un'innocua attrattiva e finisce per trasformarsi in una gabbia, della quale spesso più che cercare scampo si tenta di minimizzarne la schiavitù, sordi alla Parola di Dio. All’omelia, Papa Francesco riafferma una verità e una sequenza descritte da San Giacomo in un passo della sua Lettera, proposta dalla liturgia. La verità è che non è mai Dio a tentare l’uomo, bensì le sue passioni. La sequenza è quella prodotta dalle passioni stesse le quali, dice l'Apostolo, “concepiscono e generano il peccato. E il peccato, una volta commesso, produce la morte”:

“La tentazione, da dove viene? Come agisce dentro di noi? L’apostolo ci dice che non viene da Dio, ma dalle nostre passioni, dalle nostre debolezze interiori, dalle ferite che ha lasciato in noi il peccato originale: da lì vengono, le tentazioni, da queste passioni. E’ curioso, la tentazione ha tre caratteristiche: cresce, contagia e si giustifica. Cresce: incomincia con un’aria tranquilla, e cresce… Lo stesso Gesù diceva questo, quando ha parlato della parabola del grano e della zizzania: il grano cresceva, ma anche la zizzania seminata dal nemico. E la tentazione cresce: cresce, cresce… E se uno non la ferma, occupa tutto”.

Inoltre, prosegue Papa Francesco, la tentazione “cerca un altro per farsi compagnia, contagia” e “in questo crescere e contagiare, la tentazione ci chiude in un ambiente da dove non si può uscire con facilità”. È l’esperienza degli Apostoli narrata nel Vangelo del giorno, che vede i Dodici incolparsi a vicenda sotto gli occhi del Maestro per non aver portato del pane a bordo della barca. Gesù, ricorda il Papa, forse sorridendo a quel bisticcio, li invita a guardarsi “dal lievito dei farisei, di Erode”. Ma gli Apostoli per un po’ insistono, senza ascoltarLo, “tanto chiusi nel problema di chi avesse la colpa di non aver portato il pane, che – commenta Papa Francesco – non avevano spazio, non avevano tempo, non avevano luce per la Parola di Dio”:

“E così, quando noi siamo in tentazione, non sentiamo la Parola di Dio: non sentiamo. Non capiamo. E Gesù ha dovuto ricordare la moltiplicazione dei pani per farli uscire da quell’ambiente, perché la tentazione ci chiude, ci toglie ogni capacità di lungimiranza, ci chiude ogni orizzonte, e così ci porta al peccato. Quando noi siamo in tentazione, soltanto la Parola di Dio, la Parola di Gesù ci salva. Sentire quella Parola che ci apre l’orizzonte… Lui sempre è disposto a insegnarci come uscire dalla tentazione. E Gesù è grande perché non solo ci fa uscire dalla tentazione, ma ci da più fiducia”.

Questa fiducia, afferma il Papa, è “una forza grande, quando siamo in tentazione: il Signore ci aspetta”, “si fida di noi così tentati, peccatori”, “apre sempre orizzonti”. Viceversa, ripete Papa Francesco, il diavolo con “la tentazione, chiude, chiude, chiude” e fa “crescere” un ambiente simile alla barca degli Apostoli. E non lasciarsi “imprigionare” da questo tipo di ambiente, conclude, è possibile soltanto “quando si ascolta la Parola di Gesù”:

“Chiediamo al Signore che sempre, come ha fatto con i discepoli, con la sua pazienza, quando siamo in tentazione ci dica: ‘Fermati, stai tranquillo. Ricordati cosa ho fatto con te in quel momento, in quel tempo: ricordati. Alza gli occhi, guarda l’orizzonte, non chiudere, non chiuderti, vai avanti’. E questa Parola ci salverà dal cadere in peccato nel momento della tentazione”.








Il Papa: per conoscere Gesù non basta il catechismo, bisogna seguirlo come discepoli



Gesù si conosce seguendolo, prima che studiandolo. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata questa mattina 20 febbraio in Casa Santa Marta. Ogni giorno, ha spiegato, Cristo ci domanda "chi" Lui sia per noi, ma la risposta è possibile darla vivendo come suoi discepoli. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

È una vita da discepolo, più che una vita da studioso, che permette a un cristiano di conoscere davvero chi sia Gesù per lui. Un cammino sulle orme del Maestro, dove possono intrecciarsi testimonianze limpide e anche tradimenti, cadute e nuovi slanci, ma non solo un approccio di tipo intellettuale. Per spiegarlo, Papa Francesco prende a modello Pietro, che il Vangelo del giorno ritrae contemporaneamente nelle vesti di “coraggioso” testimone – colui che alla domanda di Gesù agli Apostoli: “Chi dite che io sia per voi?”, afferma: “Tu sei il Cristo” – e subito dopo in quelle di avversario, quando ritiene di dover rimproverare Gesù che ha appena annunciato di dover soffrire e morire, per poi risorgere. “Tante volte”, osserva il Papa, “Gesù si rivolge a noi e ci domanda: ‘Ma per te chi sono io?’”, ottenendo “la stessa risposta di Pietro, quella che abbiamo imparato nel catechismo”. Ma non basta:  

“Sembra che per rispondere a quella domanda che noi tutti sentiamo nel cuore – ‘Chi è Gesù per noi?’ – non è sufficiente quello che noi abbiamo imparato, studiato nel catechismo, che è importante studiarlo e conoscerlo, ma non è sufficiente. Per conoscere Gesù è necessario fare il cammino che ha fatto Pietro: dopo questa umiliazione, Pietro è andato con Gesù avanti, ha visto i miracoli che Gesù faceva, ha visto il suo potere, poi ha pagato le tasse, come gli aveva detto Gesù, ha pescato un pesce, tolto una moneta, ha visto tanti miracoli del genere. Ma, a un certo punto, Pietro ha rinnegato Gesù, ha tradito Gesù, e ha imparato quella tanto difficile scienza – più che scienza, saggezza – delle lacrime, del pianto”.

Pietro, prosegue Papa Francesco, chiede perdono a Gesù e nonostante ciò, dopo la Risurrezione, si sente interrogare per tre volte da Lui sulla spiaggia di Tiberiade, e probabilmente – dice il Papa – nel riaffermare l'amore totale per il suo Maestro piange e si vergogna nel ricordare i suoi tre rinnegamenti:

“Questa prima domanda – ‘Chi sono io per voi, per te?’ – a Pietro, soltanto si capisce lungo una strada, dopo una lunga strada, una strada di grazia e di peccato, una strada di discepolo. Gesù a Pietro e ai suoi Apostoli non ha detto 'Conoscimi!' ha detto ‘Seguimi!’. E questo seguire Gesù ci fa conoscere Gesù. Seguire Gesù con le nostre virtù, anche con i nostri peccati, ma seguire sempre Gesù. Non è uno studio di cose che è necessario, ma è una vita di discepolo”.

Ci vuole, insiste Papa Francesco, “un incontro quotidiano con il Signore, tutti i giorni, con le nostre vittorie e le nostre debolezze”. Ma, aggiunge, è anche “un cammino che noi non possiamo fare da soli”. È necessario l’intervento dello Spirito Santo:

“Conoscere Gesù è un dono del Padre, è Lui che ci fa conoscere Gesù; è un lavoro dello Spirito Santo, che è un grande lavoratore. Non è un sindacalista, è un grande lavoratore e lavora in noi, sempre. Fa questo lavoro di spiegare il mistero di Gesù e di darci questo senso di Cristo. Guardiamo Gesù, Pietro, gli apostoli e sentiamo nel nostro cuore questa domanda: ‘Chi sono io per te?’. E come discepoli chiediamo al Padre che ci dia la conoscenza di Cristo nello Spirito Santo, ci spieghi questo mistero”.







Il Papa: una fede senza opere, che non coinvolge, sono solo parole



“Una fede che non dà frutto nelle opere non è fede”. È l’affermazione con la quale Papa Francesco ha aperto l’omelia della Messa presieduta questa mattina 21 febbraio in Casa Santa Marta. Il Papa ha offerto la Messa per i 90 anni oggi compiuti dal cardinale Silvano Piovanelli, arcivescovo emerito di Firenze, ringraziandolo “per il suo lavoro, la sua testimonianza e la sua bontà”. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Il mondo è pieno di cristiani che recitano molto le parole del Credo e molto poco le mettono in pratica. O di eruditi che incasellano la teologia in una serie di possibilità, senza che tale sapienza abbia poi riflessi concreti nella vita.

È un rischio che duemila anni fa San Giacomo aveva già paventato e che Papa Francesco riprende nell’omelia, commentando il passo in cui l’Apostolo ne parla nella sua Lettera. “La sua affermazione – osserva – è chiara: la fede senza il frutto nella vita, una fede che non dà frutto nelle opere, non è fede”:

“Anche noi sbagliamo tante volte su questo: ‘Ma io ho tanta fede’, sentiamo dire. ‘Io credo tutto, tutto…’. E forse questa persona che dice quello ha una vita tiepida, debole. La sua fede è come una teoria, ma non è viva nella sua vita. L’Apostolo Giacomo, quando parla di fede, parla proprio della dottrina, di quello che è il contenuto della fede. Ma voi potete conoscere tutti i comandamenti, tutte le profezie, tutte le verità di fede, ma se questo non va alla pratica, non va alle opere, non serve. Possiamo recitare il Credo teoricamente, anche senza fede, e ci sono tante persone che lo fanno così. Anche i demoni! I demoni conoscono benissimo quello che si dice nel Credo e sanno che è Verità”.

Le parole di Papa Francesco riecheggiano l’asserzione di San Giacomo: “Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demoni lo credono e tremano”. La differenza, soggiunge il Papa, è che i demoni “non hanno fede”, perché “avere fede non è avere una conoscenza”, bensì “ricevere il messaggio di Dio” portato da Cristo. Nel Vangelo – prosegue Papa Francesco – si trovano due segni rivelatori di chi “sa quello che si deve credere ma non ha fede”. Il primo segno è la “casistica”, rappresentato da coloro che domandavano a Gesù se fosse lecito pagare le tasse o quale dei sette fratelli del marito avrebbe dovuto sposare la donna rimasta vedova. Il secondo segno è “l’ideologia”:

“I cristiani che pensano la fede ma come un sistema di idee, ideologico: anche al tempo di Gesù, c’erano. L’Apostolo Giovanni dice di loro che sono l’anticristo, gli ideologi della fede, di qualsiasi segno siano. A quel tempo c’erano gli gnostici, ma ci saranno tanti… E così, questi che cadono nella casistica o questi che cadono nell’ideologia sono cristiani che conoscono la dottrina ma senza fede, come i demoni. Con la differenza che quelli tremano, questi no: vivono tranquilli”.

Al contrario, ricorda Papa Francesco, nel Vangelo ci sono anche esempi di “persone che non conoscono la dottrina ma hanno tanta fede”. Papa Francesco cita l’episodio della Cananea, che con la sua fede strappa la guarigione per sua figlia vittima di una possessione, e la Samaritana che apre il suo cuore perché – dice il Papa “ha incontrato non verità astratte”, ma “Gesù Cristo”. E ancora, il cieco guarito da Gesù e che per questo viene interrogato da farisei e dottori della legge finché si inginocchia con semplicità e adora chi lo ha sanato. Tre persone, è la considerazione finale del Papa, che dimostrano come fede e testimonianza siano indissolubili:

“La fede porta sempre alla testimonianza. La fede è un incontro con Gesù Cristo, con Dio, e di lì nasce e ti porta alla testimonianza. E’ questo che l’Apostolo vuole dire: una fede senza opere, una fede che non ti coinvolga, che non ti porti alla testimonianza, non è fede. Sono parole e niente più che parole”.







Papa Francesco: Gesù non ci lascia soli per la strada, seguirlo è avere una casa, la Chiesa



Seguire Gesù non è “un’idea” ma un “continuo rimanere a casa”, la Chiesa, dove Cristo riporta sempre chiunque, anche chi se ne è allontanato. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa di questa mattina 24 febbraio, nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Un ragazzo preso da convulsioni che si rotola a terra schiumando, in un mezzo a una folla sconvolta e inerme. E suo padre che quasi si aggrappa a Gesù, implorandolo di liberare suo figlio dalla possessione diabolica. È il dramma con cui apre il Vangelo di oggi e che Papa Francesco considera punto per punto: il cicaleccio degli astanti, che discutono senza costrutto, Gesù che arriva e si informa, “il chiasso che viene meno”, il padre angosciato che emerge dalla folla e decide contro ogni speranza di sperare in Gesù. E Gesù, che mosso a pietà dalla fede cristallina di quel papà, scaccia lo spirito e poi si china con dolcezza sul giovane, che pare morto, aiutandolo a rialzarsi:

“Tutto quel disordine, quella discussione finisce in un gesto: Gesù che si abbassa, prende il bambino. Questi gesti di Gesù ci fanno pensare. Gesù quando guarisce, quando va tra la gente e guarisce una persona, mai la lascia sola. Non è un mago, uno stregone, un guaritore che va e guarisce e continua: ad ognuno lo fa tornare al suo posto, non lo lascia per strada. E sono gesti bellissimi del Signore”.

Ecco l’insegnamento, spiega Papa Francesco: “Gesù – afferma – sempre ci fa tornare a casa, mai ci lascia sulla strada da soli”. Il Vangelo, ricorda, è disseminato di questi gesti. La risurrezione di Lazzaro, la vita donata alla figlia di Giairo e quella al ragazzo di una mamma vedova. Ma anche la pecora smarrita riportata all’ovile o la moneta perduta e ritrovata dalla donna:

“Perché Gesù non è venuto dal Cielo solo, è Figlio di un popolo. Gesù è la promessa fatta a un popolo e la sua identità è anche appartenenza a quel popolo, che da Abramo cammina verso la promessa. E questi gesti di Gesù ci insegnano che ogni guarigione, ogni perdono sempre ci fanno tornare al nostro popolo, che è la Chiesa”.

Gesù perdona sempre e i suoi gesti – prosegue Papa Francesco – diventano anche “rivoluzionari”, o “inesplicabili”, quando il suo perdono raggiunge chi si è allontanato “troppo”, come il pubblicano Matteo o il suo collega Zaccheo. Inoltre, ripete Papa Francesco, Gesù sempre, “quando perdona, fa tornare a casa. E così non si può capire Gesù" senza il popolo di Dio. È “un’assurdità amare Cristo, senza la Chiesa, sentire Cristo ma non la Chiesa, seguire Cristo al margine della Chiesa”, ribadisce Papa Francesco citando e parafrasando una volta ancora Paolo VI. “Cristo e la Chiesa sono uniti”, e “ogni volta che Cristo chiama una persona, la porta alla Chiesa”. Per questo, soggiunge, “è bene” che un bambino “venga a battezzarsi nella Chiesa”, la “Chiesa madre”:

“E questi gesti di tanta tenerezza di Gesù ci fanno capire questo: che la nostra dottrina, diciamo così, o il nostro seguire Cristo, non è un’idea, è un continuo rimanere a casa. E se ognuno di noi ha la possibilità e la realtà di andarsene da casa per un peccato, uno sbaglio – Dio sa – la salvezza è tornare a casa, con Gesù nella Chiesa. Sono gesti di tenerezza. Uno a uno, il Signore ci chiama così, al suo popolo, dentro la sua famiglia, la nostra madre, la Santa Chiesa. Pensiamo a questi gesti di Gesù”.






Il Papa: bimbi affamati nei campi profughi e i fabbricanti d’armi fanno festa



Bimbi affamati nei campi profughi, mentre i fabbricanti d’armi fanno festa nei salotti. E’ l’immagine forte che Papa Francesco ha evocato nella Messa di martedì mattina 25 febbraio 2014 a Casa Santa Marta. Tutta l’omelia del Pontefice è stata un accorato appello per la pace e contro ogni guerra, nel mondo come in famiglia. Il Papa ha ribadito che la pace non può essere solo una “parola” e ha esortato tutti i cristiani a non “abituarsi” allo scandalo della guerra. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Da dove vengono le guerre e le liti in mezzo a voi? Papa Francesco ha preso spunto dalla Lettera dell’Apostolo Giacomo, nella Prima Lettura, per levare una vibrante condanna di tutte le guerre. E commentando i litigi tra i discepoli di Gesù per chiarire chi fosse il più grande tra loro, ha subito evidenziato che quando “i cuori si allontanano nasce la guerra”. “Ogni giorno, sui giornali, troviamo guerre – ha constatato con amarezza – in questo posto si sono divisi in due, cinque morti”, in un altro luogo altre vittime:

“E i morti sembrano far parte di una contabilità quotidiana. Siamo abituati a leggere queste cose! E se noi avessimo la pazienza di elencare tutte le guerre che in questo momento ci sono nel mondo, sicuramente avremmo parecchie carte scritte. Sembra che lo spirito della guerra si sia impadronito di noi. Si fanno atti per commemorare il centenario di quella Grande Guerra, tanti milioni di morti… E tutti scandalizzati! Ma oggi è lo stesso! Invece di una grande guerra, piccole guerre dappertutto, popoli divisi… E per conservare il proprio interesse si ammazzano, si uccidono fra di loro”.

“Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi?”, ribadisce il Papa. “Le guerre, l’odio, l’inimicizia – ha risposto – non si comprano al mercato: sono qui, nel cuore.” Ha così ricordato che quando da bambini, nel catechismo, “ci spiegavano la storia di Caino e Abele, tutti noi eravamo scandalizzati”, non si poteva accettare che uno uccidesse il fratello. Oggi, però, “tanti milioni si uccidono tra fratelli, fra di loro. Ma siamo abituati”. La Prima Guerra Mondiale, ha detto ancora, “ci scandalizza, ma questa grande guerra un po’ dappertutto”, un po’ “nascosta, non ci scandalizza! E muoiono tanti per un pezzo di terra, per una ambizione, per un odio, per una gelosia razziale”. “La passione – ha soggiunto – ci porta alla guerra, allo spirito del mondo”: 

“Anche abitualmente davanti a un conflitto, ci troviamo in una situazione curiosa: andare avanti per risolverlo, litigando. Col linguaggio di guerra. Non viene prima il linguaggio di pace! E le conseguenze? Pensate ai bambini affamati nei campi dei rifugiati… Pensate a questo soltanto: questo è il frutto della guerra! E se volete pensate ai grandi salotti, alle feste che fanno quelli che sono i padroni delle industrie delle armi, che fabbricano le armi, le armi che finiscono lì. Il bambino ammalato, affamato, in un campo di rifugiati e le grandi feste, la buona vita che fanno quelli che fabbricano le armi”. 

“Cosa succede nel nostro cuore?”, ha ripetuto. L’Apostolo Giacomo, ha detto il Papa, ci dà un consiglio semplice: “Avvicinatevi a Dio ed Egli si avvicinerà a voi”. Quindi, ha avvertito che “questo spirito di guerra, che ci allontana da Dio, non è soltanto lontano da noi” è “anche a casa nostra”: 

“Quante famiglie distrutte perché il papà, la mamma non sono capaci di trovare la strada della pace e preferiscono la guerra, fare causa… La guerra distrugge! ‘Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Forse non vengono dalle vostre passioni?’. Nel cuore! Io vi propongo oggi di pregare per la pace, per quella pace che soltanto sembra sia diventata una parola, niente di più. Perché questa parola abbia la capacità di agire, seguiamo il consiglio dell’Apostolo Giacomo: ‘Riconoscete la vostra miseria!”.  

Quella miseria, ha proseguito, da cui vengono le guerre: “Le guerre nelle famiglie, le guerre nel quartiere, le guerre dappertutto”. “Chi di noi ha pianto – ha domandato ancora – quando legge un giornale, quando in tv vede quelle immagini? Tanti morti”. “Le vostre risa – ha detto riprendendo l’Apostolo Giacomo – si cambino in lutto e la vostra allegria in tristezza…”. Questo, ha detto, “è quello che deve fare oggi 25 febbraio” un “cristiano davanti a tante guerre, dappertutto”: “Piangere, fare lutto, umiliarsi”. “Il Signore – ha concluso – ci faccia capire questo e ci salvi dall’abituarci alle notizie di guerra”.






Caterina63
00venerdì 28 febbraio 2014 17:19


  Papa Francesco: cristiani incoerenti, scandalo che uccide



Il cristiano incoerente dà scandalo e lo scandalo uccide: sono parole molto forti quelle che Papa Francesco ha pronunciato durante la Messa, stamani 27 febbraio, presieduta a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

L’omelia del Papa ha preso lo spunto da una Cresima amministrata durante la Messa. Chi riceve questo Sacramento – ha affermato Papa Francesco – “manifesta la sua voglia di essere cristiano. Essere cristiano significa dare testimonianza di Gesù Cristo”: è una persona che “pensa come cristiano, sente come cristiano e agisce come cristiano. E questa è la coerenza di vita di un cristiano”. Uno – ha poi osservato - può dire anche di avere fede, “ma se manca una di queste cose, non c’è il cristiano”, “c’è qualcosa che non va, c’è una certa incoerenza”. E i cristiani “che vivono ordinariamente, comunemente nell’incoerenza, fanno tanto male”: 

“Abbiamo sentito l’apostolo San Giacomo cosa dice ad alcuni incoerenti, che si vantavano di essere cristiani, ma sfruttavano i loro dipendenti, e dice così: ‘Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre e che voi non avete pagato grida; e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore Onnipotente’. E’ forte il Signore. Se uno sente questo, può pensare: ‘Ma questo lo ha detto un comunista!’. No, no, l’ha detto l’apostolo Giacomo! E’ Parola del Signore. E’ l’incoerenza. E quando non c’è la coerenza cristiana e si vive con questa incoerenza, si fa lo scandalo. E i cristiani che non sono coerenti fanno lo scandalo”. 

“Gesù – ha proseguito il Papa - parla troppo forte contro lo scandalo: ‘Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, uno solo di questi fratelli, sorelle che hanno fede, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare’. Un cristiano incoerente fa tanto male” e “lo scandalo uccide”. “Tante volte – ha aggiunto Papa Francesco - abbiamo sentito: ‘Ma padre, io credo in Dio, ma non nella Chiesa, perché voi cristiani dite una cosa e ne fate un’altra’”. E ancora: “Io credo in Dio, ma in voi no”. “E’ per la incoerenza”: 

“Se tu ti trovi davanti – figuriamoci! – davanti un ateo e ti dice che non crede in Dio, tu puoi leggergli tutta una biblioteca, dove si dice che Dio esiste e anche provare che Dio esiste, e lui non avrà fede. Ma se davanti a questo ateo tu dai testimonianza di coerenza di vita cristiana, qualcosa incomincerà a lavorare nel suo cuore. Sarà proprio la testimonianza tua quella che a lui porterà questa inquietudine sulla quale lavora lo Spirito Santo. E’ una grazia che tutti noi, tutta la Chiesa deve chiedere: ‘Signore, che siamo coerenti’”. 

Dunque, conclude il Papa, occorre pregare, “perché per vivere nella coerenza cristiana è necessaria la preghiera, perché la coerenza cristiana è un dono di Dio e dobbiamo chiederlo”: “Signore, che io sia coerente! Signore, che io non scandalizzi mai, che io sia una persona che pensi come cristiano, che senta come cristiano, che agisca come cristiano”. E quando cadiamo per la nostra debolezza, chiediamo perdono:

“Tutti siamo peccatori, tutti, ma tutti abbiamo la capacità di chiedere perdono. E Lui mai si stanca di perdonare! Avere l’umiltà di chiedere perdono: ‘Signore, non sono stato coerente qui. Perdono!’. Andare avanti nella vita con coerenza cristiana, con la testimonianza di quello che crede in Gesù Cristo, che sa che è peccatore, ma che ha il coraggio di chiedere perdono quando sbaglia e che ha tanta paura di scandalizzare. Il Signore ci dia questa grazia a tutti noi”.







Il Papa: accompagnare, non condannare, quanti sperimentano il fallimento del proprio amore



Dietro la casistica c’è sempre una trappola contro di noi e contro Dio. E’ quanto affermato stamani 28 febbraio da Papa Francesco nella Messa a Casa Santa Marta. Il Papa, commentando il Vangelo odierno, si è soffermato sulla bellezza del matrimonio ed ha avvertito che bisogna accompagnare, non condannare, quanti sperimentano il fallimento del proprio amore. Quindi, ha ribadito che Cristo è lo Sposo della Chiesa e dunque non si può comprendere l’una senza l’Altro. Il servizio di Alessandro Gisotti:


I dottori della legge cercano di porre delle trappole a Gesù per “togliergli l’autorità morale”. Papa Francesco ha preso spunto dal Vangelo di oggi per offrire una catechesi sulla bellezza del matrimonio. I farisei, ha osservato, si presentano da Gesù con il problema del divorzio. Il loro stile, ha rilevato, è sempre lo stesso: “la casistica”, “E’ lecito questo o no?
“Sempre il piccolo caso. E questa è la trappola: dietro la casistica, dietro il pensiero casistico, sempre c’è una trappola. Sempre! Contro la gente, contro di noi e contro Dio, sempre! ‘Ma è lecito fare questo? Ripudiare la propria moglie?’. E Gesù rispose, domandando loro cosa dicesse la legge e spiegando perché Mose ha fatto quella legge così. Ma non si ferma lì: dalla casistica va al centro del problema e qui va proprio ai giorni della Creazione. E’ tanto bello quel riferimento del Signore: ‘Dall’inizio della Creazione, Dio li fece maschio e femmina, per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne’”. 

Il Signore, ha proseguito il Papa, “si riferisce al capolavoro della Creazione” che sono appunto l’uomo e la donna. E Dio, ha detto, “non voleva l’uomo solo, lo voleva” con la “sua compagna di cammino”. E’ un momento poetico, ha osservato, quando Adamo incontra Eva: “E’ l’inizio dell’amore: andate insieme come una sola carne”. Il Signore, ha quindi ribadito, “sempre prende il pensiero casistico e lo porta all’inizio della rivelazione”. D’altro canto, ha poi spiegato, “questo capolavoro del Signore non è finito lì, nei giorni della Creazione, perché il Signore ha scelto questa icona per spiegare l’amore che Lui ha verso il suo popolo”. Al punto, ha rammentato, che “quando il popolo non è fedele" Lui "gli parla, con parole di amore”: 

“Il Signore prende questo amore del capolavoro della Creazione per spiegare l’amore che ha con il suo popolo. E un passo in più: quando Paolo ha bisogno di spiegare il mistero di Cristo, lo fa anche in rapporto, in riferimento alla sua Sposa: perché Cristo è sposato, Cristo era sposato, aveva sposato la Chiesa, il suo popolo. Come il Padre aveva sposato il Popolo di Israele, Cristo sposò il suo popolo. Questa è la storia dell’amore, questa è la storia del capolavoro della Creazione! E davanti a questo percorso di amore, a questa icona, la casistica cade e diventa dolore. Ma quando questo lasciare il padre e la madre e unirsi a una donna, farsi una sola carne e andare avanti e questo amore fallisce, perché tante volte fallisce, dobbiamo sentire il dolore del fallimento, accompagnare quelle persone che hanno avuto questo fallimento nel proprio amore. Non condannare! Camminare con loro! E non fare casistica con la loro situazione”. 

Quando uno legge questo, è stata la sua riflessione, “pensa a questo disegno d’amore, questo cammino d’amore del matrimonio cristiano, che Dio ha benedetto nel capolavoro della sua Creazione”. Una “benedizione – ha avvertito – che mai è stata tolta. Neppure il peccato originale l’ha distrutta!”. Quando uno pensa a questo, dunque, “vede quanto bello è l’amore, quanto bello è il matrimonio, quanto bella è la famiglia, quanto bello è questo cammino e quanto amore anche noi, quanta vicinanza dobbiamo avere per i fratelli e le sorelle che nella vita hanno avuto la disgrazia di un fallimento nell’amore”. Richiamandosi infine a San Paolo, Papa Francesco ha sottolineato la bellezza “dell’amore che Cristo ha per la sua sposa, la Chiesa!”:

“Anche qui dobbiamo stare attenti che non fallisca l’amore! Parlare di un Cristo troppo scapolo: Cristo sposò la Chiesa! E non si può capire Cristo senza la Chiesa e non si può capire la Chiesa senza Cristo. Questo è il grande mistero del capolavoro della Creazione. Che il Signore ci dia a tutti i noi la grazia di capirlo e anche la grazia di mai cadere in questi atteggiamenti casistici dei farisei, dei dottori della legge”.







Papa Francesco: pregare perché Dio mandi preti e suore liberi da idolatria vanità, potere e denaro



Pregare Dio per le vocazioni, perché mandi preti e suore con il cuore soltanto per Lui, liberi dall’idolatria della vanità, del potere e del denaro: è l’esortazione lanciata da Papa Francesco stamani 3 marzo 2014 durante la Messa a Santa Marta. Ce ne parla Sergio CentofantiRealAudioMP3 

Il Vangelo dell’uomo ricco che si getta in ginocchio davanti a Gesù per chiedergli cosa debba fare per avere in eredità la vita eterna, è stato al centro dell’omelia di Papa Francesco. Quest’uomo – sottolinea il Papa - “aveva tanta voglia di sentire le parole di Gesù”: era “un uomo buono, perché fin dalla sua giovinezza aveva osservato i comandamenti. Un uomo buono”, dunque, “ma questo non era sufficiente, per lui: voleva di più. Lo Spirito Santo lo spingeva”. Gesù lo guarda con amore e gli fa la proposta: “Vendi tutto e vieni con me a predicare il Vangelo”. Ma quello, sentendo queste parole, “si fece scuro in volto e se ne andò rattristato” perché possedeva molti beni:

“Il suo cuore inquieto, proprio per lo Spirito Santo che lo spingeva ad avvicinarsi a Gesù e a seguirlo, era un cuore pieno, e lui non ha avuto il coraggio di svuotarlo. E ha fatto la scelta: i soldi. Il cuore pieno di soldi … Ma non era un ladro, un reo: no, no, no! Era un uomo buono: mai aveva rubato, mai! Mai truffato: erano soldi onesti. Ma il suo cuore era imprigionato lì, era legato ai soldi e non aveva la libertà di scegliere. I soldi hanno scelto per lui”. 

“Quanti giovani – ha proseguito Papa Francesco - sentono nel loro cuore questa ‘chiamata’ ad avvicinarsi a Gesù, e sono entusiasti”, “non hanno vergogna di inginocchiarsi” davanti a Lui, di “dare dimostrazione pubblica della loro fede in Gesù Cristo” e “vogliono seguirlo, ma, quando hanno il cuore pieno di un’altra cosa e non sono tanto coraggiosi per svuotarlo, tornano indietro, e quella gioia diviene tristezza”. Anche oggi ci sono tanti giovani che hanno la vocazione, ma a volte c’è qualcosa “che li ferma”:

“Dobbiamo pregare perché il cuore di questi giovani possa svuotarsi, svuotarsi di altri interessi, di altri amori, perché il cuore divenga libero. E questa è la preghiera per le vocazioni: ‘Signore, mandaci, mandaci suore, mandaci preti, difendili dall’idolatria, dall’idolatria della vanità, dall’idolatria della superbia, dall’idolatria del potere, dall’idolatria del denaro’. E la nostra preghiera è per preparare questi cuori per poter seguire da vicino Gesù”. 

L’uomo di questo Vangelo – ha affermato il Papa - è “tanto buono e poi tanto infelice”. Ci sono tanti giovani oggi così. Per questo occorre elevare a Dio una preghiera intensa:

“E’ la preghiera: ‘Aiuta, Signore, questi giovani, perché siano liberi e non siano schiavi, perché abbiano il cuore soltanto per te’, e così la chiamata del Signore può venire, può dare frutto. E questa è la preghiera per le vocazioni. Dobbiamo farne tanta: pregare. Ma, sempre stare attenti: le vocazioni ci sono. Dobbiamo aiutare affinché crescano, affinché il Signore possa entrare in quei cuori e dare questa gioia indicibile e gloriosa che ha ogni persona che segue da vicino Gesù”.






Il Papa: oggi ci sono cristiani condannati perché hanno una Bibbia



“La Croce è sempre nella strada cristiana”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani 4 marzo 2014 a Casa Santa Marta. Il Papa ha incentrato la sua omelia sulle persecuzioni dei cristiani e ha avvertito che oggi ci sono più martiri che nei primi tempi della Chiesa. Quindi, ha affermato che la vita cristiana non è “un vantaggio commerciale”, ma “è semplicemente seguire Gesù”. Il servizio di Alessandro GisottiRealAudioMP3 

Gesù aveva appena finito di parlare sul pericolo delle ricchezze e Pietro gli domanda cosa riceveranno i discepoli che hanno lasciato tutto per seguirlo. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo da questo confronto, narrato dal Vangelo odierno, e subito ha sottolineato che Gesù “è generoso”. In verità, risponde il Signore, “non c’è nessuno che abbia lasciato” la famiglia, la casa, i campi che “non riceva già ora in questo tempo, cento volte tanto”. Forse, ha commentato il Papa, Pietro pensa che “andare dietro Gesù” sia una “bella attività commerciale”, perché ci fa guadagnare cento volte tanto. Ma Gesù aggiunge che accanto a questo guadagno ci saranno persecuzioni:

“Come se dicesse: ‘Sì, voi avete lasciato tutto e riceverete qui, in terra, tante cose: ma con la persecuzione!’. Come un’insalata con l’olio della persecuzione: sempre! Questo è il guadagno del cristiano e questa è la strada di quello che vuole andare dietro a Gesù, perché è la strada che ha fatto Lui: Lui è stato perseguitato! E’ la strada dell’abbassamento. Quello che Paolo dice ai Filippesi: ‘Si abbassò. Si è fatto uomo e si abbassò fino alla morte, morte di croce’. Questo è propria la tonalità della vita cristiana”. 

Così anche nelle Beatitudini, ha proseguito il Papa, quando Gesù dice: “Beati voi quando vi insulteranno, quando sarete perseguitati a causa del mio nome”, “è una delle Beatitudini la persecuzione”. I discepoli, ha rammentato, “subito dopo la venuta dello Spirito Santo, hanno cominciato a predicare e sono cominciate le persecuzioni: Pietro è andato in carcere”, Stefano è stato ucciso e poi “tanti discepoli fino al giorno d’oggi”. “La Croce – ha ammonito – è sempre nella strada cristiana!” “Noi – ha ribadito – avremo tanti fratelli, tante sorelle, tante madri, tanti padri nella Chiesa, nella comunità cristiana”, ma “anche avremo la persecuzione”:

“Perché il mondo non tollera la divinità di Cristo. Non tollera l’annuncio del Vangelo. Non tollera le Beatitudini. E così la persecuzione: con la parola, le calunnie, le cose che dicevano dei cristiani nei primi secoli, le diffamazioni, il carcere… Ma noi dimentichiamo facilmente. Ma pensiamo ai tanti cristiani, 60 anni fa, nei campi, nelle prigioni dei nazisti, dei comunisti: tanti! Per essere cristiani! Anche oggi… ‘Ma oggi abbiamo più cultura e non ci sono queste cose’. Ci sono! E io vi dico che oggi ci sono più martiri che nei primi tempi della Chiesa.” 

Tanti fratelli e sorelle, ha proseguito, “che danno testimonianza di Gesù, offrono la testimonianza di Gesù e sono perseguitati”. Cristiani, ha constatato con amarezza, che non possono neppure avere la Bibbia con sé: 

“Sono condannati perché hanno una Bibbia. Non possono portare il segno della croce. E questa è la strada di Gesù. Ma è una strada gioiosa, perché mai il Signore ci prova più di quello che noi possiamo portare. La vita cristiana non è un vantaggio commerciale, non è un fare carriera: è semplicemente seguire Gesù! Ma quando seguiamo Gesù succede questo. Pensiamo se noi abbiamo dentro di noi la voglia di essere coraggiosi nella testimonianza di Gesù. Anche pensiamo - ci farà bene - ai tanti fratelli e sorelle che oggi - oggi! - non possono pregare insieme, perché sono perseguitati; non possono avere il libro del Vangelo o una Bibbia, perché sono perseguitati”.

Pensiamo, ha detto ancora, a quei fratelli che “non possono andare a Messa, perché è vietato”. Quante volte, ha affermato, “viene un prete di nascosto, fra di loro, fanno finta di essere a tavola, a prendere un tè e lì celebrano la Messa”, “perché non li vedano”. “Questo – ha avvertito il Papa - succede oggi”. Pensiamo, ha concluso, se siamo disposti “a portare la Croce come Gesù? A portare persecuzioni per dare testimonianza di Gesù”, come “fanno questi fratelli e sorelle che oggi sono umiliati e perseguitati”; “questo pensiero ci farà bene a tutti”.







Caterina63
00venerdì 7 marzo 2014 16:27

Il Papa: il digiuno più difficile è chinarsi sull'uomo ferito, digiuno è anche una carezza



“Io mi vergogno della carne di mio fratello, di mia sorella?”. È una delle domande che hanno caratterizzato l’omelia di Papa Francesco, durante la Messa di stamattina 7 marzo 2014 a Casa Santa Marta. Il Papa ha messo in risalto che la vita di fede è strettamente connessa a una vita di carità verso i poveri, senza la quale ciò che si professa è solo ipocrisia. Il servizio diAlessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Il cristianesimo non è una regola senz’anima, un prontuario di osservanze formali per gente che indossa la faccia buona dell’ipocrisia per nascondere un cuore vuoto di carità. Il cristianesimo è la “carne” stessa di Cristo che si china senza vergognarsi su chi soffre. Per spiegare questa contrapposizione, Papa Francesco riprende il dialogo del Vangelo odierno tra Gesù e i dottori della legge, i quali criticano i discepoli per il fatto di non rispettare il digiuno, a differenza loro e dei farisei che invece di digiuni ne praticano molti. Il fatto, obietta il Papa, è che i dottori della legge avevano trasformato l’osservanza dei Comandamenti in una “formalità”, trasformando la “vita religiosa” in “un’etica” e dimenticandone la radice, cioè “una storia di salvezza, di elezione, di alleanza”:

“Ricevere dal Signore l’amore di un Padre, ricevere dal Signore l’identità di un popolo e poi trasformarla in una etica è rifiutare quel dono di amore. Questa gente ipocrita sono persone buone, fanno tutto quello che si deve fare. Sembrano buone! Sono eticisti, ma eticisti senza bontà, perché hanno perso il senso di appartenenza a un popolo! La salvezza, il Signore la dà dentro un popolo, nell’appartenenza a un popolo”.

Eppure, osserva il Papa, già il Profeta Isaia – nel passo ricordato nella Prima lettura – aveva descritto con chiarezza quale fosse il digiuno secondo la visione di Dio: “Sciogliere le catene inique”, “rimandare liberi gli oppressi”, ma anche “dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri senza tetto”, “vestire uno che vedi nudo”.

“Quello è il digiuno che vuole il Signore! Digiuno che si preoccupa della vita del fratello, che non si vergogna - lo dice Isaia stesso - della carne del fratello. La nostra perfezione, la nostra santità va avanti con il nostro popolo, nel quale noi siamo eletti e inseriti. Il nostro atto di santità più grande è proprio nella carne del fratello e nella carne di Gesù Cristo. L’atto di santità di oggi, nostro, qui, nell’altare, non è un digiuno ipocrita: è non vergognarci della carne di Cristo che viene oggi qui! E’ il mistero del Corpo e del Sangue di Cristo. E’ andare a dividere il pane con l’affamato, a curare gli ammalati, gli anziani, quelli che non possono darci niente in contraccambio: quello è non vergognarsi della carne!”.

Questo significa che il “digiuno più difficile”, afferma Papa Francesco, è “il digiuno della bontà”. È il digiuno di cui è capace il Buon Samaritano, che si china sull’uomo ferito, e non è quello del sacerdote, che guarda lo stesso sventurato ma tira diritto, forse per timore di contaminarsi. E dunque, conclude, “questa è la proposta della Chiesa oggi: io mi vergogno della carne di mio fratello, di mia sorella?”:

“Quando io do l’elemosina, lascio cadere la moneta senza toccare la mano? E se per caso la tocco, faccio così, subito? Quando io do un’elemosina, guardo negli occhi di mio fratello, di mia sorella? Quando io so che una persona è ammalata, vado a trovarla? La saluto con tenerezza? C’è un segno che forse ci aiuterà, è una domanda: so carezzare gli ammalati, gli anziani, i bambini o ho perso il senso della carezza? Questi ipocriti non sapevano carezzare! Se ne erano dimenticati… Non vergognarsi della carne di nostro fratello: è la nostra carne! Come noi facciamo con questo fratello, con questa sorella, saremo giudicati”.



  si riprende dopo la pausa degli Esercizi Spirituali


Papa Francesco: la misericordia è la via della pace nel mondo



Perdonare per trovare misericordia: questo è il cammino che porta la pace nei nostri cuori e nel mondo: è quanto, in sintesi, ha detto Papa Francesco nell'omelia di lunedì mattina, 17 marzo, durante la Messa presieduta a Santa Marta. Il servizio di Sergio CentofantiRealAudioMP3 

“Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”: il Papa commenta l’esortazione di Gesù, affermando subito che “non è facile capire questo atteggiamento della misericordia” perché siamo abituati a giudicare: “non siamo persone che danno naturalmente un po’ di spazio alla comprensione e anche alla misericordia”. “Per essere misericordiosi – osserva - ci sono necessari due atteggiamenti. Il primo è la conoscenza di se stessi”: sapere che “abbiamo fatto tante cose non buone: siamo peccatori!”. E di fronte al pentimento, “la giustizia di Dio … si trasforma in misericordia e perdono”. Ma è necessario vergognarsi dei peccati:

“E’ vero, nessuno di noi ha ammazzato nessuno, ma tante piccole cose, tanti peccati quotidiani, di tutti i giorni… E quando uno pensa: ‘Ma che cosa, ma che cuore piccolino: ho fatto questo contro il Signore!’. E vergognarsi! Vergognarsi davanti a Dio e questa vergogna è una grazia: è la grazia di essere peccatori. ‘Io sono peccatore e mi vergogno davanti a Te e ti chiedo il perdono’. E’ semplice, ma è tanto difficile dire: ‘Io ho peccato’”.

Spesso – osserva Papa Francesco – giustifichiamo il nostro peccato scaricando la colpa sugli altri, come hanno fatto Adamo ed Eva. “Forse – ha proseguito - l’altro mi ha aiutato, ha facilitato la strada per farlo, ma lo ho fatto io! Se noi facciamo questo, quante cose buone ci saranno, perché saremo umili!”. E “con questo atteggiamento di pentimento siamo più capaci di essere misericordiosi, perché sentiamo su di noi la misericordia di Dio”, come diciamo nel Padre Nostro: “Perdona, come noi perdoniamo”. Così, “se io non perdono, io sono un po’ fuori gioco!”.

L’altro atteggiamento per essere misericordiosi – ha poi affermato il Papa – “è allargare il cuore”, perché “un cuore piccolo” ed “egoista è incapace di misericordia”:

“Allargare il cuore! ‘Ma io sono peccatore’. ‘Ma guarda cosa ha fatto questo, quello…. Io ne ho fatte tante! Chi sono io per giudicarlo?’. Questa frase: ‘Chi sono io per giudicare questo? Chi sono io per chiacchierare di questo? Chi sono io per? Chi sono io che ho fatto le stesse cose o peggio?’. Il cuore allargato! E il Signore lo dice: ‘Non giudicate e non sarete giudicati! Non condannate e non sarete condannati! Perdonate e sarete perdonati! Date e vi sarà dato!’. Questa generosità del cuore! E cosa vi sarà dato? Una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo. E’ l’immagine delle persone che andavano a prendere il grano con il grembiule e allargavano il grembiule per ricevere più, più grano. Se tu hai il cuore largo, grande, tu puoi ricevere di più”.

Il cuore grande – ha detto Papa Francesco – “non condanna, ma perdona, dimentica” perché “Dio ha dimenticato i miei peccati; Dio ha perdonato i miei peccati. Allargare il cuore. Questo è bello! - esclama il Papa - Siate misericordiosi”:

“L’uomo e la donna misericordiosi hanno un cuore largo, largo: sempre scusano gli altri e pensano ai loro peccati. ‘Ma hai visto cosa ha fatto questo?’. ‘Ma io ne ho abbastanza con quello che ho fatto io e non mi immischio!’. Questo è il cammino della misericordia che dobbiamo chiedere. Ma se tutti noi, se tutti i popoli, le persone, le famiglie, i quartieri, avessimo questo atteggiamento, quanta pace ci sarebbe nel mondo, quanta pace nei nostri cuori! Perché la misericordia ci porta alla pace. Ricordatevi sempre: ‘Chi sono io per giudicare?’. Vergognarsi e allargare il cuore. Che il Signore ci dia questa grazia”.








Il Papa: la Quaresima è per cambiare la vita, no agli ipocriti “truccati” da santi



La Quaresima è un tempo per “aggiustare la vita”, “per avvicinarsi al Signore”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di martedì mattina 18 marzo a Casa Santa Marta. Il Papa ha messo in guardia dal sentirsi “migliori degli altri”. Gli ipocriti, ha avvertito, “si truccano da buoni” e non comprendono che “nessuno è giusto da se stesso”, tutti “abbiamo bisogno di essere giustificati”. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Conversione. Papa Francesco ha iniziato la sua omelia sottolineando che questa è la parola chiave della Quaresima, tempo propizio “per avvicinarci” a Gesù. E commentando la prima Lettura, tratta dal Libro di Isaia, ha osservato che il Signore chiama alla conversione due “città peccatrici” come Sodoma e Gomorra. Questo, ha affermato, evidenzia che tutti “abbiamo bisogno di cambiare la vita”, di guardare “bene nella nostra anima” dove sempre troveremo qualcosa. La Quaresima dunque, ha soggiunto, è proprio questo “aggiustare la vita”, avvicinandosi al Signore. Lui, ha detto, “ci vuole vicini” e ci assicura che “ci aspetta per perdonarci”. Tuttavia, ha ammonito, il Signore vuole “un avvicinamento sincero” e ci mette in guardia dall’essere ipocriti:

“Cosa fanno gli ipocriti? Si truccano, si truccano da buoni: fanno faccia di immaginetta, pregano guardando al cielo, facendosi vedere, si sentono più giusti degli altri, disprezzano gli altri. ‘Mah - dicono - io sono molto cattolico, perché mio zio è stato un grande benefattore, la mia famiglia è questa e io sono... ho imparato... conosciuto il vescovo tale, il cardinale tale, il padre tale... Io sono...’. Si sentono migliori degli altri. Questa è l’ipocrisia. Il Signore dice: ‘No, quello no’. Nessuno è giusto da se stesso. Tutti abbiamo bisogno di essere giustificati. E l’unico che ci giustifica è Gesù Cristo”. 

Per questo, ha soggiunto, dobbiamo avvicinarci al Signore: “Per non essere cristiani truccati, che quando passa questa apparenza, si vede la realtà che non sono cristiani”. Qual è, allora, “la pietra di paragone per cui noi non siamo ipocriti e ci avviciniamo al Signore?” La risposta, ha sottolineato il Papa, ce la dà il Signore stesso nella prima Lettura quando dice: “Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni, cessate di fare il male, imparate a fare il bene”. Questo è l’invito. Ma, si chiede Francesco, “qual è il segno che andiamo su una buona strada?”: 

“‘Soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova’. Avere cura del prossimo: del malato, del povero, di quello che ha bisogno, dell’ignorante. Questa è la pietra di paragone. Gli ipocriti non sanno fare questo, non possono, perché sono tanto pieni di se stessi che sono ciechi per guardare gli altri. Quando uno cammina un po’ e si avvicina al Signore, la luce del Signore gli fa vedere queste cose e va ad aiutare i fratelli. Questo è il segno, questo è il segno della conversione”.

Certo, ha osservato, “non è tutta la conversione”, quella infatti “è l’incontro con Gesù Cristo”, ma “il segno che noi siamo con Gesù Cristo è questo: curare i fratelli, quelli più poveri, quelli ammalati, come il Signore ci insegna” e come leggiamo nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo:

“La Quaresima è per aggiustare la vita, sistemare la vita, cambiare la vita, per avvicinarsi al Signore. Il segno che noi siamo lontani dal Signore è l’ipocrisia. L’ipocrita non ha bisogno del Signore, si salva da se stesso, così pensa, e si traveste da santo. Il segno che noi ci siamo avvicinati al Signore con la penitenza, chiedendo perdono, è che noi abbiamo cura dei fratelli bisognosi. Il Signore ci dia a tutti luce e coraggio: luce per conoscere cosa succede dentro di noi e coraggio per convertirci, per avvicinarci al Signore. E’ bello essere vicino al Signore”.






Papa Francesco: chi confida in se stesso e non nel Signore perde il nome, cioè tutto



L'uomo che confida in se stesso, nelle proprie ricchezze o nelle ideologie è destinato all'infelicità. Chi confida nel Signore, invece, dà frutti anche nel tempo della siccità: è quanto ha detto il Papa stamani, durante la Messa a Santa Marta giovedì mattina 20 marzo. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo”, “l’uomo che confida in se stesso”: sarà come “un tamerisco nella steppa”, condannato dalla siccità a rimanere senza frutti e a morire. Il Papa parte dalla prima lettura del giorno che definisce, invece, “benedetto l’uomo che confida nel Signore”: “è come un albero piantato lungo un corso d’acqua” che nel tempo della siccità “non smette di produrre frutti”. “Soltanto nel Signore – afferma Papa Francesco - è la nostra sicura fiducia. Altre fiducie non servono, non ci salvano, non ci danno vita, non ci danno gioia”. E anche se lo sappiamo, “ci piace confidare in noi stessi, confidare in quell’amico o confidare in quella situazione buona che ho o in quell’ideologia" e "il Signore resta un po’ da parte”. L’uomo, così, si chiude in se stesso, “senza orizzonti, senza porte aperte, senza finestre” e “non avrà salvezza, non può salvare se stesso”. Ed è quello che succede al ricco del Vangelo – spiega il Papa – “aveva tutto: indossava vestiti di porpora, mangiava tutti i giorni, grandi banchetti”. "Era tanto contento", ma "non si accorgeva che alla porta della sua casa, coperto di piaghe”, c’era un povero. Il Papa sottolinea che il Vangelo dice il nome del povero: si chiamava Lazzaro. Mentre il ricco “non ha nome”:

“E questa è la maledizione più forte di quello che confida in se stesso o nelle forze, nelle possibilità degli uomini e non in Dio: perdere il nome. Come ti chiami? Conto numero tale, nella banca tale. Come ti chiami? Tante proprietà, tante ville, tanti... Come ti chiami? Le cose che abbiamo, gli idoli. E tu confidi in quello, e quest’uomo è maledetto”. 

“Tutti noi abbiamo questa debolezza, questa fragilità – afferma il Papa - di mettere le nostre speranze in noi stessi o negli amici o nelle possibilità umane soltanto e ci dimentichiamo del Signore. E questo ci porta sulla strada … della infelicità”:

“Oggi, in questa giornata di Quaresima, ci farà bene domandarci: dove è la mia fiducia? Nel Signore o sono un pagano, che confido nelle cose, negli idoli che io ho fatto? Ancora ho nome o ho incominciato a perdere il nome e mi chiamo ‘Io’? Io, me, con me, per me, soltanto io? Per me, per me … sempre quell’egoismo: ‘Io’. Questo non ci dà salvezza”.

Ma “alla fine – osserva Papa Francesco - c’è una porta di speranza” per quanti confidano in se stessi e “hanno perso il nome”:

“Alla fine, alla fine, alla fine sempre c’è una possibilità. E quest’uomo, quando se ne è accorto che aveva perso il nome, aveva perso tutto, tutto, alza gli occhi e dice una sola parola: ‘Padre’. E la risposta di Dio è una sola parola: ‘Figlio!’. Se alcuni di noi nella vita, di tanto avere fiducia nell’uomo e in noi stessi, finiamo per perdere il nome, per perdere questa dignità, ancora c’è la possibilità di dire questa parola che è più che magica, è più, è forte: ‘Padre’. Lui sempre ci aspetta per aprire una porta che noi non vediamo e ci dirà: ‘Figlio’. Chiediamo al Signore la grazia che a tutti noi ci dia la saggezza di avere fiducia soltanto in Lui, non nelle cose, nelle forze umane, soltanto in Lui”.






Papa Francesco: necessarie umiltà e preghiera per non "impadronirsi" della Parola di Dio



Per non “uccidere” nel cuore la Parola di Dio, bisogna essere umili e capaci di pregare. Due atteggiamenti che Papa Francesco ha indicato nel commentare il Vangelo durante la Messa presieduta in Casa Santa Marta nel terzo venerdì di Quaresima 21 marzo. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Ci si può impadronire della Parola di Dio e disporne a proprio piacimento, se un cristiano non è umile e non prega. Lo spunto per mettere in risalto e in guardia da questa insidia Papa Francesco lo prende dal Vangelo del giorno, in cui Gesù racconta la parabola dei vignaioli omicidi, che dapprima uccidono i servi e da ultimo il figlio del padrone della vigna con l’intenzione di impadronirsi dell’eredità. Ad ascoltare questa parabola ci sono farisei, anziani, sacerdoti ai quali – spiega il Papa – Gesù si rivolge per far capire loro “dove sono caduti” per non avere “il cuore aperto alla Parola di Dio”:

“Questo è il dramma di questa gente, e anche il dramma nostro! Si sono impadroniti della Parola di Dio. E la Parola di Dio diventa parola loro, una parola secondo il loro interesse, le loro ideologie, le loro teologie… ma al loro servizio. E ognuno la interpreta secondo la propria volontà, secondo il proprio interesse. Questo è il dramma di questo popolo. E per conservare questo, uccidono. Questo è successo a Gesù”.

“I capi dei sacerdoti e dei farisei – prosegue Papa Francesco – capirono che parlava di loro, quando avevano sentito questa parabola di Gesù. Cercavano di catturarlo e farlo morire”. In questo modo, afferma il Papa, “la Parola di Dio diventa morta, diventa imprigionata, lo Spirito Santo è ingabbiato nei desideri di ognuno di loro”. Ed è esattamente quello accade a noi, osserva Papa Francesco, “quando non siamo aperti alla novità della Parola di Dio, quando non siamo obbedienti alla Parola di Dio”:

“Ma, c’è una frase che ci dà speranza. La Parola di Dio è morta nel cuore di questa gente; anche, può morire nel nostro cuore! Ma non finisce, perché è viva nel cuore dei semplici, degli umili, del popolo di Dio. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla del popolo di Dio, perché lo considerava un profeta. Quella folla semplice – che andava dietro a Gesù, perché quello che Gesù diceva faceva loro bene al cuore, riscaldava loro il cuore – questa gente non aveva sbagliato: non usava la Parola di Dio per il proprio interesse, sentiva e cercava di essere un po’ più buona”.

E noi, si chiede in conclusione Papa Francesco, “cosa possiamo fare per non uccidere la parola di Dio”, per “essere docili, “per non ingabbiare lo Spirito Santo”? “Due cose semplici”, è la sua risposta:

“Questo è l’atteggiamento di quello che vuole ascoltare la Parola di Dio: primo, umiltà; secondo, preghiera. Questa gente non pregava. Non aveva bisogno di pregare. Si sentivano sicuri, si sentivano forti, si sentivano 'dei'. Umiltà e preghiera: con l’umiltà e la preghiera andiamo avanti per ascoltare la Parola di Dio e obbedirle. Nella Chiesa. Umiltà e preghiera nella Chiesa. E così, non succederà a noi quello che è accaduto a questa gente: non uccideremo per difendere la Parola di Dio, quella Parola che noi crediamo che è la Parola di Dio, ma è una parola totalmente alterata da noi”.






Papa Francesco: Dio ci salva nei nostri sbagli non nelle nostre sicurezze



Non ci salva la nostra sicurezza di osservare i comandamenti, ma l’umiltà di avere sempre bisogno di essere guariti da Dio: è quanto, in sintesi, ha affermato Papa Francesco nella Messa presieduta lunedì mattina 24 marzo a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

“Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”: l’omelia del Papa parte da queste parole di Gesù rivolte ai suoi conterranei, gli abitanti di Nazaret, presso i quali non poté operare miracoli perché “non avevano fede”. Gesù ricorda due episodi biblici: il miracolo della guarigione dalla lebbra di Naamàn il Siro, al tempo del profeta Eliseo, e l’incontro del profeta Elia con la vedova di Sarepta di Sidone, che fu salvata dalla carestia. “I lebbrosi e le vedove – spiega Papa Francesco - in quel tempo erano emarginati”. Eppure, questi due emarginati, accogliendo i profeti, sono stati salvati. Invece, i nazaretani non accettano Gesù, perché “erano tanto sicuri nella loro ‘fede’, tanto sicuri nella loro osservanza dei comandamenti, che non avevano bisogno di un’altra salvezza”: 

“E’ il dramma dell’osservanza dei comandamenti senza fede: 'Io mi salvo da solo, perché vado alla sinagoga tutti i sabati, cerco di ubbidire ai comandamenti, ma che non venga questo a dirmi che erano meglio di me quel lebbroso e quella vedova!'. Quelli erano emarginati! E Gesù ci dice: ‘Ma, guarda, se tu non ti emargini, non ti senti al margine, non avrai salvezza’. Questa è l’umiltà, la strada dell’umiltà: sentirsi tanto emarginati che abbiamo bisogno della salvezza del Signore. Solo Lui salva, non la nostra osservanza dei precetti. E questo non è piaciuto, si sono arrabbiati e volevano ucciderlo”. 

La stessa rabbia – commenta il Papa - colpisce inizialmente anche Naamàn, perché ritiene ridicolo e umiliante l’invito di Eliseo a bagnarsi sette volte nel fiume Giordano per essere guarito dalla lebbra. “Il Signore gli chiede un gesto di umiltà, di ubbidire come un bambino, fare il ridicolo”. Se ne va sdegnato, ma poi, convinto dai suoi servi, torna e fa quanto detto dal profeta. Quell’atto di umiltà lo guarisce. “E’ questo il messaggio di oggi, in questa terza settimana di Quaresima – afferma il Papa -: se noi vogliamo essere salvi, dobbiamo scegliere la strada dell’umiltà”: 

“Maria nel suo Cantico non dice che è contenta perché Dio ha guardato la sua verginità, la sua bontà e la sua dolcezza, tante virtù che aveva lei, no: ma perché il Signore ha guardato l’umiltà della sua serva, la sua piccolezza, l’umiltà. E’ quello che guarda il Signore. E dobbiamo imparare questa saggezza di emarginarci, perché il Signore ci trovi. Non ci troverà al centro delle nostre sicurezze, no, no. Lì non va il Signore. Ci troverà nell’emarginazione, nei nostri peccati, nei nostri sbagli, nelle nostre necessità di essere guariti spiritualmente, di essere salvati; lì ci troverà il Signore”. 

“E questa – ribadisce il Papa - è la strada dell’umiltà”:

“L’umiltà cristiana non è la virtù di dire: ‘Ma, io non servo per niente’ e nascondere la superbia lì, no, no! L’umiltà cristiana è dire la verità: ‘Sono peccatore, sono peccatrice’. Dire la verità: è questa la nostra verità. Ma, c’è l’altra: Dio ci salva. Ma ci salva là, quando noi siamo emarginati; non ci salva nella nostra sicurezza. Chiediamo la grazia di avere questa saggezza di emarginarci, la grazia dell’umiltà per ricevere la salvezza del Signore”.







Il Papa: la salvezza è un dono da ricevere con cuore umile, come ha fatto Maria



Il Signore è in cammino con noi per ammorbidire il nostro cuore. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di martedì mattina 25 marzo a Casa Santa Marta. Nell’odierna Solennità dell’Annunciazione, il Papa ha dunque sottolineato che solo con un cuore umile come quello di Maria possiamo avvicinarci a Dio. La salvezza, ha poi osservato, non si compra e non si vende: si regala. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Dove porta la superbia del cuore? Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi su Adamo ed Eva che, cedendo alla seduzione di Satana, hanno creduto di essere come Dio. Quella “superbia sufficiente” fa sì che siano allontanati dal Paradiso. Ma il Signore non li lascia camminare da soli, fa loro una promessa di redenzione e cammina con loro. “Il Signore – ha detto ancora il Papa – accompagnò l’umanità in questo lungo cammino. Ha fatto un popolo. Era con loro”. E quel “cammino che è incominciato con una disobbedienza”, “finisce con una obbedienza”, con il sì di Maria all’Annuncio dell’angelo. “Il nodo che ha fatto Eva con la sua disobbedienza – ha detto richiamando Sant’Ireneo di Lione – lo ha sciolto Maria con la sua obbedienza”. E’ un cammino, ha soggiunto, “nel quale le meraviglie di Dio si moltiplicano”:

“Il Signore è in cammino con il suo popolo. E perché camminava con il suo popolo, con tanta tenerezza? Per ammorbidire il nostro cuore. Esplicitamente lo dice, Lui: ‘Io farò del tuo cuore di pietra un cuore di carne’. Ammorbidire il nostro cuore per ricevere quella promessa che aveva fatto nel Paradiso. Per un uomo è entrato il peccato, per un altro uomo viene la salvezza. E questo cammino tanto lungo aiutò tutti noi ad avere un cuore più umano, più vicino a Dio, non tanto superbo, non tanto sufficiente”.

E oggi, ha proseguito, la liturgia ci parla “di questa tappa nel cammino di restaurazione”, “ci parla di obbedienza, di docilità alla Parola di Dio”: 

“La salvezza non si compra, non si vende: si regala. E’ gratuita. Noi non possiamo salvarci da noi stessi: la salvezza è un regalo, totalmente gratuito. Non si compra con il sangue né di tori né di capre: non si può comprare. Soltanto, per entrare in noi questa salvezza chiede un cuore umile, un cuore docile, un cuore obbediente. Come quello di Maria. E, il modello di questo cammino di salvezza è lo stesso Dio, suo figlio, che non stimò un bene irrinunciabile essere uguale a Dio. Paolo lo dice”.

Il Papa ha messo l’accento sul “cammino dell’umiltà, dell’umiliazione”. Questo, ha detto, “significa semplicemente dire: io sono uomo, io sono donna e Tu sei Dio, e andare davanti, alla presenza di Dio”, “nella obbedienza, nella docilità del cuore”. E per questo, ha esortato nella Solennità dell’Annunciazione, “facciamo festa: la festa di questo cammino, da una madre a un’altra madre, da un padre a un altro padre”: 

“Oggi, possiamo abbracciare il Padre che, grazie al sangue del suo Figlio, si è fatto come uno di noi, ci salva. Questo Padre che ci aspetta tutti i giorni… Guardiamo l’icona di Eva e di Adamo, guardiamo l’icona di Maria e Gesù, guardiamo il cammino della Storia con Dio che camminava con il suo popolo. E diciamo: ‘Grazie. Grazie, Signore, perché oggi Tu dici a noi che ci hai regalato la salvezza’. Oggi è un giorno per rendere grazie al Signore”.






Caterina63
00venerdì 28 marzo 2014 13:52

  Messa del Papa con i parlamentari italiani: no ai "dottori del dovere", apriamo il cuore a Dio




Al tempo di Gesù c’era una classe dirigente che si era allontanata dal popolo, lo aveva “abbandonato”, incapace di altro se non di seguire la propria ideologia e di scivolare verso la corruzione. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata presso l'Altare della Cattedra in San Pietro, alla presenza di 493 parlamentari italiani, 27 marzo 2014. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Interessi di partito, lotte interne. Le energie di chi comandava ai tempi di Gesù erano per queste cose al punto che quando il Messia si palesa ai loro occhi non lo riconoscono, anzi lo accusano di essere un guaritore della schiera di Satana. Ad ascoltare di primo mattino le parole di Papa Francesco nella Basilica Vaticana c’è gran parte del parlamento italiano, compresi nove ministri e i presidenti di Senato e Camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini. La prima lettura, tratta dal Libro di Geremia, mostra il profeta dare voce al “lamento di Dio” verso una generazione che, osserva il Papa, non ha accolto i suoi messaggeri e che invece si giustifica per i suoi peccati. “Mi hanno voltato le spalle”, cita Papa Francesco, che commenta: “Questo è il dolore del Signore, il dolore di Dio”. E questa realtà, prosegue, è presente anche nel Vangelo del giorno, quella di una cecità nei riguardi di Dio soprattutto da parte dei leader del popolo:

“Il cuore di questa gente, di questo gruppetto con il tempo si era indurito tanto, tanto che era impossibile ascoltare la voce del Signore. E da peccatori, sono scivolati, sono diventati corrotti. E’ tanto difficile che un corrotto riesca a tornare indietro. Il peccatore sì, perché il Signore è misericordioso e ci aspetta tutti. Ma il corrotto è fissato nelle sue cose, e questi erano corrotti. E per questo si giustificano, perché Gesù, con la sua semplicità, ma con la sua forza di Dio, dava loro fastidio”.

Persone, prosegue Papa Francesco, che “hanno sbagliato strada. Hanno fatto resistenza alla salvezza di amore del Signore e così sono scivolati dalla fede, da una teologia di fede a una teologia del dovere”:

“Hanno rifiutato l’amore del Signore e questo rifiuto ha fatto sì che loro fossero su una strada che non era quella della dialettica della libertà che offriva il Signore, ma quella della logica della necessità, dove non c’è posto per il Signore. Nella dialettica della libertà c’è il Signore buono, che ci ama, ci ama tanto! Invece, nella logica della necessità non c’è posto per Dio: si deve fare, si deve fare, si deve… Sono diventati comportamentali. Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini. Gesù li chiama, loro, ‘sepolcri imbiancati’”.

La Quaresima, conclude Papa Francesco, ricorda che “Dio ci ama tutti” e che dobbiamo “fare lo sforzo di aprirci” a Lui:

“In questa strada della Quaresima ci farà bene, a tutti noi, pensare a questo invito del Signore all’amore, a questa dialettica della libertà dove c’è l’amore, e domandarci, tutti: Ma io sono su questa strada? O ho il pericolo di giustificarmi e andare per un’altra strada?, una strada congiunturale, perché non porta a nessuna promessa. E preghiamo il Signore che ci dia la grazia di andare sempre per la strada della salvezza, di aprirci alla salvezza che viene soltanto da Dio, dalla fede, non da quello che proponevano questi ‘dottori del dovere’, che avevano perso la fede a reggevano il popolo con questa teologia pastorale del dovere”.







Papa Francesco: il bilancio di Dio non è quello di un'azienda, l'attivo è l’amore



Dio ama, “non sa fare altra cosa”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani 28 marzo a Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che il Signore sempre ci aspetta e ci perdona, è “il Dio della misericordia” che ci fa festa quando torniamo da Lui. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Dio ha nostalgia di noi, quando ci allontaniamo da Lui. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dal Libro del Profeta Osea, nella prima Lettura. Il Signore, ha osservato, ci parla con tenerezza. Anche quando “ci invita alla conversione” e questa parola ci “suona un po’ forte”, ha evidenziato, dentro c’è “questa nostalgia amorevole di Dio”. C’è l’esortazione del Padre che dice al figlio: “Torna, è ora di tornare a casa”. Quindi, ha rilevato che già “soltanto con questa parola possiamo passare tante ore di preghiera”: 

“E’ il cuore di nostro Padre, è così Dio: non si stanca, non si stanca! E per tanti secoli ha fatto questo, con tanta apostasia, tanta apostasia del popolo. E Lui sempre torna, perché il nostro Dio è un Dio che aspetta. Da quel pomeriggio nel Paradiso terrestre, Adamo è uscito dal Paradiso con una pena e anche una promessa. E Lui è fedele, il Signore è fedele alla sua promessa, perché non può rinnegare se stesso. E’ fedele. E così ha aspettato tutti noi, lungo la storia. E’ il Dio che ci aspetta, sempre”. 
Francesco ha così rivolto il pensiero alla Parabola del figliol prodigo. Il Vangelo di Luca, ha rammentato, ci dice che il padre vede il figlio da lontano perché lo aspettava. Il padre, ha soggiunto, “andava sul terrazzo tutti i giorni a guardare se il figlio tornava. Aspettava. E quando lo vede, è andato di fretta” e “gli si gettò al collo”. Il figlio aveva preparato delle parole da dire, ma il padre non lo lascia parlare: “Con l’abbraccio gli tappò la bocca”:

“Questo è il nostro Padre, il Dio che ci aspetta. Sempre. ‘Ma, padre, io ho tanti peccati, non so se Lui sarà contento’. ‘Ma prova! Se tu vuoi conoscere la tenerezza di questo Padre, va da Lui e prova, poi mi racconti’. Il Dio che ci aspetta. Dio che aspetta e anche Dio che perdona. E’ il Dio della misericordia: non si stanca di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere il perdono, ma Lui non si stanca. Settanta volte sette: sempre; avanti con il perdono. E dal punto di vista di un’azienda, il bilancio è negativo. Lui sempre perde: perde nel bilancio delle cose, ma vince nell’amore”. 

E questo, ha proseguito, perché Lui “è il primo che compie il comandamento dell’amore”. “Lui ama – ha detto il Papa – non sa fare altra cosa”. E anche “i miracoli che Gesù faceva, con tanti ammalati – ha aggiunto – erano anche un segno del grande miracolo che ogni giorno il Signore fa con noi, quando abbiamo il coraggio di alzarci ed andare da Lui”. E quando succede questo, ha affermato il Papa, Dio ci fa festa. “Non come il banchetto di quell’uomo ricco, che aveva alla porta il povero Lazzaro”, ha avvertito, Dio “fa un altro banchetto, come il padre del figliol prodigo”: 

“‘Poiché tu fiorirai come un giglio’, è la promessa, ‘Ti farò festa’. ‘Si spanderanno i tuoi germogli e avrai la bellezza dell’olivo e la fragranza del Libano’. La vita di ogni persona, di ogni uomo, ogni donna, che ha il coraggio di avvicinarsi al Signore, troverà la gioia della festa di Dio. Così, che questa parola ci aiuti a pensare al nostro Padre, Padre che ci aspetta sempre, che ci perdona sempre e che fa festa quando noi torniamo”.







Il Papa: chi ha fede cammina verso le promesse di Dio, se no è un “turista esistenziale”



Non girovagare per la vita, compresa quella dello spirito, ma andare diritti alla meta che per un cristiano vuol dire seguire le promesse di Dio, che mai deludono. È l’insegnamento che Papa Francesco ha tratto dalle letture di oggi, spiegate all’omelia della Messa presieduta in Casa S. Marta lunedì 31 marzo. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Ci sono cristiani che si fidano delle promesse di Dio e le seguono lungo l’arco della vita. Poi vi sono altri la cui vita di fede ristagna e altri ancora convinti di progredire e che invece fanno solo del “turismo esistenziale”. Papa Francesco distingue fra tre categorie di credenti, accomunate dal sapere che la vita cristiana è un itinerario ma divergenti nel modo di percorrerlo o non percorrerlo affatto. Anzitutto, spiega il Papa rifacendosi al brano di Isaia della prima Lettura, Dio sempre “prima di chiedere qualcosa, promette”. La sua promessa è quella di una vita nuova e di una vita di “gioia”. Qui, afferma, c’è il “fondamento principale della virtù della speranza: fidarsi delle promesse di Dio” – sapendo che Lui mai “le delude” – e c’è l’essenza della vita cristiana, cioè “camminare verso le promesse”. Poi, riconosce, ci sono anche altri cristiani che hanno “la tentazione di fermarsi”:

“Tanti cristiani fermi! Ne abbiamo tanti dietro che hanno una debole speranza. Sì, credono che ci sarà il Cielo e tutto andrà bene. Sta bene che lo credano, ma non lo cercano! Compiono i comandamenti, i precetti: tutto, tutto… Ma sono fermi. Il Signore non può fare di loro lievito nel suo popolo, perché non camminano. E questo è un problema: i fermi. Poi, ci sono altri fra loro e noi, che sbagliano la strada: tutti noi alcune volte abbiamo sbagliato la strada, quello lo sappiamo. Il problema non è sbagliare di strada; il problema è non tornare quando uno si accorge che ha sbagliato”.

Il modello di chi crede e segue ciò che la fede gli indica è il funzionario del re descritto nel Vangelo, che chiede a Gesù la guarigione per il figlio malato e non dubita un istante nel mettersi in cammino verso casa quando il Maestro gli assicura di averla ottenuta. All’opposto di quest’uomo, afferma Papa Francesco, c’è invece forse il gruppo “più pericoloso”, in cui ci sono coloro che “ingannano se stessi: quelli che camminano ma non fanno strada”:

“Sono i cristiani erranti: girano, girano come se la vita fosse un turismo esistenziale, senza meta, senza prendere le promesse sul serio. Quelli che girano e si ingannano, perché dicono: ‘Io cammino!’. No, tu non cammini: tu giri. Gli erranti… Invece, il Signore ci chiede di non fermarci, di non sbagliare strada e di non girare per la vita. Girare la vita... Ci chiede di guardare le promesse, di andare avanti con le promesse come quest’uomo, come quest’uomo: quell’uomo credette alla parola di Gesù! La fede ci mette in cammino verso le promesse. La fede nelle promesse di Dio”.

La “nostra condizione di peccatori ci fa sbagliare di strada”, riconosce Papa Francesco, che però assicura: “Il Signore ci dà sempre la grazia di tornare”:

“La Quaresima è un bel tempo per pensare se io sono in cammino o se io sono troppo fermo: convertiti. O se io ho sbagliato strada: ma vai a confessarti e riprendi la strada. O se io sono un turista teologale, uno di questi che fanno il giro della vita ma mai fanno un passo avanti. E chiedo al Signore la grazia di riprendere la strada, di metterci in cammino, ma verso le promesse”.







Papa Francesco: accidia e formalismo in tanti cristiani, chiudono la porta alla salvezza



I cristiani anestetizzati non fanno bene alla Chiesa. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani 1 aprile 2014 a Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che non bisogna fermarsi ai formalismi, ma “immischiarsi”, vincere l’accidia spirituale e rischiare in prima persona per annunciare il Vangelo. Il servizio diAlessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi sul passo del Vangelo che narra dell’incontro tra Gesù e il paralitico che, ammalato da 38 anni, stava sotto i portici presso la piscina aspettando la guarigione. Quest’uomo si lamentava perché non riusciva a immergersi, era sempre anticipato da qualcun altro. Ma Gesù sposta l’orizzonte e gli ordina di “alzarsi”, di andare. Un miracolo che desta le critiche dei farisei perché era sabato e quel giorno, dicevano, non si poteva. In questo racconto, ha osservato il Papa, troviamo due malattie forti, spirituali. Due malattie su cui, ha detto, “ci farà bene riflettere”. Innanzitutto la rassegnazione del malato, che è amareggiato e si lamenta:

“Io penso a tanti cristiani, tanti cattolici: sì, sono cattolici ma senza entusiasmo, anche amareggiati! 'Sì, è la vita è così, ma la Chiesa… Io vado a Messa tutte le domeniche, ma meglio non immischiarsi, io ho la fede per la mia salute, non sento il bisogno di darla ad un altro…'. Ognuno a casa sua, tranquilli per la vita… Ma, tu fai qualcosa e poi ti rimproverano: 'No, è meglio così, non rischiare…”'. E’ la malattia dell’accidia, dell’accidia dei cristiani. Questo atteggiamento che è paralizzante dello zelo apostolico, che fa dei cristiani persone ferme, tranquille, ma non nel buon senso della parola: che non si preoccupano di uscire per dare l’annuncio del Vangelo! Persone anestetizzate”. 

E l’anestesia, ha aggiunto, “è un’esperienza negativa”. Quel non immischiarsi che diventa “accidia spirituale”. E “l’accidia – ha detto – è una tristezza”: questi cristiani sono tristi, “sono persone non luminose, persone negative. E questa è una malattia di noi cristiani”. Andiamo a Messa “tutte le domeniche, ma – diciamo – per favore non disturbare”. Questi cristiani “senza zelo apostolico”, ha avvertito, “non servono, non fanno bene alla Chiesa. E quanti cristiani sono così – ha affermato con rammarico – egoisti, per se stessi”. Questo, ha detto, è “il peccato dell’accidia, che è contro lo zelo apostolico, contro la voglia di dare la novità di Gesù agli altri, quella novità che a me è stata data gratuitamente”. Ma in questo passo del Vangelo, ha detto il Papa, troviamo anche un altro peccato quando vediamo che Gesù viene criticato perché ha guarito il malato di sabato. Il peccato del formalismo. “Cristiani – ha detto – che non lasciano posto alla grazia di Dio. E la vita cristiana, la vita di questa gente è avere tutti i documenti in regola, tutti gli attestati”: 

“Cristiani ipocriti, come questi. Soltanto interessavano loro le formalità. Era sabato? No, non si possono fare miracoli il sabato, la grazia di Dio non può lavorare il sabato. Chiudono la porta alla grazia di Dio! Ne abbiamo tanti nella Chiesa: ne abbiamo tanti! E’ un altro peccato. I primi, quelli che hanno il peccato dell’accidia, non sono capaci di andare avanti con il loro zelo apostolico, perché hanno deciso di fermarsi in se stessi, nelle loro tristezze, nei loro risentimenti, tutto quello. Questi non sono capaci di portare la salvezza perché chiudono la porta alla salvezza”. 

Per loro, ha detto, contano “soltanto le formalità”. “Non si può: è la parola che più hanno alla mano”. E questa gente la incontriamo anche noi, ha detto, anche noi “tante volte siamo stati con l’accidia o tante volte siamo stati ipocriti come i farisei”. Queste, ha soggiunto, sono tentazioni che vengono, “ma dobbiamo conoscerle per difenderci”. E davanti a queste due tentazioni, davanti “a quell’ospedale da campo lì, che era simbolo della Chiesa”, davanti a “tanta gente ferita”, Gesù si avvicina e chiede solo: “Vuoi guarire?” e “gli dà la grazia. La grazia fa tutto”. E poi, quando incontra di nuovo il paralitico gli dice di “non peccare più”:

“Le due parole cristiane: vuoi guarire? Non peccare più. Ma prima lo guarisce. Prima lo guarì, poi ‘non peccare più’. Parole dette con tenerezza, con amore. E questa è la strada cristiana, la strada dello zelo apostolico: avvicinarsi a tante persone, ferite in questo ospedale da campo, e anche tante volte ferite da uomini e donne della Chiesa. E’ una parola di fratello e di sorella: vuoi guarire? E poi, quando va avanti, ‘Ah, non peccare più, che non ti fa bene!’. E’ molto meglio questo: le due parole di Gesù sono più belle dell’atteggiamento dell’accidia o dell’atteggiamento dell’ipocrisia”.






Papa Francesco: la preghiera è una lotta con Dio che ci cambia il cuore



La preghiera è una lotta con Dio e va fatta con libertà e insistenza, come un dialogo sincero con un amico. Questa preghiera cambia il nostro cuore, perché ci fa conoscere meglio come Dio è realmente: è questo, in sintesi, quanto ha detto Papa Francesco nella Messa presieduta stamani 3 aprile a Santa Marta commentando le letture del giorno. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

Il dialogo di Mosè con Dio sul Monte Sinai è stato al centro dell’omelia del Papa. Dio vuole punire il suo popolo perché si è fatto un idolo, il vitello d’oro. Mosè prega con forza il Signore perché ci ripensi: “questa preghiera – spiega Papa Francesco - è una vera lotta con Dio. Una lotta del capo del popolo per salvare il suo popolo, che è il popolo di Dio. E Mosè parla liberamente davanti al Signore e ci insegna come pregare, senza paura, liberamente, anche con insistenza. Mosè insiste. E’ coraggioso. La preghiera dev’essere” anche un “negoziare con Dio”, portando “argomentazioni”. Mosè alla fine convince Dio e la lettura dice che “il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo”. “Ma – si chiede il Papa - chi è cambiato, qui? Il Signore è cambiato? Io credo di no”: 

“Quello che è cambiato, è Mosè, perché Mosè credeva che il Signore avrebbe fatto questo, credeva che il Signore avrebbe distrutto il popolo e lui cerca, nella sua memoria, come era stato buono il Signore con il suo popolo, come lo aveva tolto dalla schiavitù dell’Egitto e portato avanti con una promessa. E con queste argomentazioni, cerca di convincere Dio, ma in questo processo lui ritrova la memoria del suo popolo, e trova la misericordia di Dio. Questo Mosè, che aveva paura, paura che Dio facesse questa cosa, alla fine scende dal monte con una cosa grande nel cuore: il nostro Dio è misericordioso. Sa perdonare. Torna indietro sulle sue decisioni. E’ un Padre”. 

Tutto questo – osserva Papa Francesco – Mosè lo sapeva, “ma lo sapeva più o meno oscuramente e nella preghiera lo ritrova. E’ questo che fa la preghiera in noi: ci cambia il cuore”:

“La preghiera ci cambia il cuore. Ci fa capire meglio come è il nostro Dio. Ma per questo è importante parlare con il Signore, non con parole vuote – Gesù dice: ‘Come fanno i pagani’. No, no: parlare con la realtà: ‘Ma, guarda, Signore, che ho questo problema, nella famiglia, con mio figlio, con questo, quell’altro … Cosa si può fare? Ma guarda, che tu non mi puoi lasciare così!’. Questa è la preghiera! Ma tanto tempo prende questa preghiera? Sì, prende tempo”. 

E’ il tempo che ci vuole per conoscere meglio Dio, come si fa con un amico, perché Mosè – dice la Bibbia – pregava con il Signore come un amico parla ad un altro amico: 

“La Bibbia dice che Mosè parlava al Signore faccia a faccia, come ad un amico. Così dev’essere la preghiera: libera, insistente, con argomentazioni. E anche rimproverando il Signore un po’: ‘Ma, tu mi hai promesso questo, e questo non l’hai fatto …’, così, come si parla con un amico. Aprire il cuore a questa preghiera. Mosè è sceso dal monte rinvigorito: ‘Ho conosciuto di più il Signore’, e con quella forza che gli aveva dato la preghiera, riprende il suo lavoro di condurre il popolo verso la Terra promessa. Perché la preghiera rinvigorisce: rinvigorisce. Il Signore a tutti noi ci dia la grazia, perché pregare è una grazia”. 

“In ogni preghiera – ricorda ancora il Papa - c’è lo Spirito Santo”, “non si può pregare senza lo Spirito Santo. E’ Lui che prega in noi, è Lui che ci cambia il cuore, è Lui che ci insegna a dire a Dio ‘Padre’. Chiediamo allo Spirito Santo – ha concluso - che Lui ci insegni a pregare, sì, come ha pregato Mosè, a negoziare con Dio, con libertà di spirito, con coraggio. E lo Spirito Santo, che è sempre presente nella nostra preghiera, ci conduca per questa strada”.




 



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