Omelie del Papa nella Messa delle 7 del mattino a Santa Marta (3)

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Caterina63
00venerdì 4 aprile 2014 20:49
  ricordiamo che le omelie passate le trovate qui: Omelie del Papa nella Messa delle 7 del mattino a Santa Marta (2)






Il Papa: chi ha potere cerca di silenziare i profeti, ma lo Spirito non si può ingabbiare



Quando si annuncia il Vangelo si va incontro alle persecuzioni. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani 4 aprile 2014 a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha ribadito che oggi ci sono più martiri che nei primi tempi della Chiesa ed ha esortato i fedeli a non avere paura di incomprensioni e persecuzioni. Il servizio diAlessandro GisottiRealAudioMP3 

Il cuore degli empi che si allontanano da Dio vogliono impadronirsi della religione. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia partendo dal brano del Libro della Sapienza, nella prima Lettura. Quindi, ha osservato che i nemici di Gesù gli tendono delle insidie, lavorano “di calunnie, gli tolgono la fama”. E’ come se preparassero “il brodo per distruggere il Giusto”. E questo perché si oppone alle loro azioni, “rimprovera le colpe contro le leggi”, gli “rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta”. In tutta la storia della salvezza, ha poi osservato, “i profeti sono stati perseguitati” e Gesù stesso lo dice ai farisei. Sempre “nella storia della salvezza, nel tempo di Israele, anche nella Chiesa – ha ribadito – i profeti sono stati perseguitati”. Perseguitati perché i profeti dicono: “Voi avete sbagliato strada! Tornate alla strada di Dio!”. E questo, ha constatato, “alle persone che hanno il potere di quella strada sbagliata non fa piacere”. 

“Il Vangelo di oggi è chiaro, no? Gesù si nascondeva, in questi ultimi giorni, perché ancora non era arrivata la sua ora; ma Lui conosceva quale sarebbe stato il suo fine, come sarebbe stato il suo fine. E Gesù è perseguitato dall’inizio: ricordiamo quando all’inizio della sua predicazione torna al suo paese, va alla sinagoga e predica; subito, dopo una grande ammirazione, incominciano: Ma questo noi sappiamo di dove è. Questo è uno di noi. Ma con che autorità viene a insegnarci? Dove ha studiato?’. Lo squalificano! E’ lo stesso discorso, no? ‘Ma costui sappiamo di dove è! Il Cristo, invece, quando verrà nessuno saprà di dove sia!’. Squalificare il Signore, squalificare il profeta per togliere l’autorità!” 

Lo squalificano, ha aggiunto, “perché Gesù usciva e faceva uscire da quell’ambiente religioso chiuso, da quella gabbia”. Il profeta, ha ribadito, “lotta contro le persone che ingabbiano lo Spirito Santo. E per questo è perseguitato: sempre!” I profeti, è stata la sua riflessione, “sono tutti perseguitati o non compresi, lasciati da parte. Non gli danno posto!” Questa situazione, ha aggiunto, non è finita “con la morte e resurrezione di Gesù: è continuato nella Chiesa! Perseguitati da fuori e perseguitati da dentro!”. Quando noi leggiamo la vita dei Santi, ha detto Papa Francesco, “quante incomprensioni, quante persecuzioni hanno subito i Santi”, “perché erano profeti”:

“Anche tanti pensatori nella Chiesa sono stati perseguitati. Io penso ad uno, adesso, in questo momento, non tanto lontano da noi, un uomo di buona volontà, un profeta davvero, che con i suoi libri rimproverava la Chiesa di allontanarsi dalla strada del Signore. Subito è stato chiamato, i suoi libri sono andati all’indice, gli hanno tolto le cattedre e quest’uomo così finisce la sua vita: non tanto tempo fa. E’ passato il tempo ed oggi è beato! Ma come ieri era un eretico e oggi è un beato? E’ che ieri quelli che avevano il potere volevano silenziarlo, perché non piaceva quello che diceva. Oggi la Chiesa, che grazie a Dio sa pentirsi, dice: ‘No, quest’uomo è buono!’. Di più, è sulla strada della santità: è un beato!

“Tutte le persone che lo Spirito Santo sceglie per dire la verità al Popolo di Dio – ha soggiunto – soffrono persecuzioni”. E Gesù “è proprio il modello, l’icona”. Il Signore ha preso su di Lui “tutte le persecuzioni del suo Popolo”. E ancora oggi, ha rilevato con amarezza, “i cristiani sono perseguitati”. “Oso dire – ha aggiunto – che forse ci sono tanti o più martiri adesso che nei primi tempi”, “perché a questa società mondana, a questa società un po’ tranquilla, che non vuole i problemi, dicono la verità, annunziano Gesù Cristo”:

“Ma c’è la pena di morte o il carcere per avere il Vangelo a casa, per insegnare il Catechismo, oggi, in alcune parti! Mi diceva un cattolico di questi Paesi che loro non possono pregare insieme. E’ vietato! Soltanto si può pregare soli e nascosti. Ma loro vogliono celebrare l’Eucaristia e come fanno? Fanno una festa di compleanno, fanno finta di celebrare il compleanno e lì fanno l’Eucaristia, prima della festa. E- è successo! - quando vedono che arrivano i poliziotti, subito nascondono tutto e ‘Felicità, felicità. Tanti auguri!’ e continuano con la festa. Poi, quando se ne vanno, finiscono l’Eucaristia. Così devono fare, perché è vietato pregare insieme. Oggi!”.

E questa storia di persecuzioni, ha rimarcato, “è il cammino del Signore, è il cammino di quelli che seguono il Signore”. Ma, ha aggiunto, “finisce, alla fine, sempre come il Signore: con una Resurrezione, ma passando per la Croce!” Francesco ha, quindi, rivolto il pensiero a padre Matteo Ricci, evangelizzatore della Cina, che “non è stato compreso, non è stato capito. Ma lui ha obbedito come Gesù!” Sempre, ha detto ancora, “ci saranno le persecuzioni, le incomprensioni! Ma Gesù è il Signore e questa è la sfida e la Croce della nostra fede!”. Che il Signore, ha concluso il Papa, “ci dia la grazia di andare per la sua strada e se accade anche con la croce delle persecuzioni”.






Il Papa: il cristianesimo non è per essere educati, la Croce non è un ornamento



“Non esiste un cristianesimo senza Croce”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani 8 aprile a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che “non c’è possibilità di uscire da soli dal nostro peccato” e ha ribadito che la Croce non è un ornamento da mettere sull’altare, ma il mistero dell’amore di Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

In cammino nel deserto, il popolo mormorava contro Dio e contro Mosè. Ma quando il Signore mandò dei serpenti, il popolo ammise il suo peccato e chiese un segno di salvezza. Papa Francesco ha preso spunto dalla Prima lettura, tratta dal Libro dei Numeri, per riflettere sulla morte nel peccato. E subito ha notato che Gesù, nel Vangelo odierno, mette in guardia i farisei dicendo loro: “Morirete nel vostro peccato”:

“Non c’è possibilità di uscire da soli dal nostro peccato. Non c’è possibilità. Questi dottori della legge, queste persone che insegnavano la legge, non avevano un’idea chiara su questo. Credevano, sì, nel perdono di Dio, ma si sentivano forti, sufficienti, sapevano tutto. E alla fine avevano fatto della religione, dell’adorazione a Dio, una cultura con i valori, le riflessioni, certi comandamenti di condotta per essere educati, e pensavano, sì, che il Signore può perdonare, lo sapevano, ma (era) troppo lontano tutto questo”. 

Il Signore nel deserto, ha poi rammentato, comanda a Mosè di fare un serpente e metterlo su un’asta e chi sarà morso dai serpenti e lo guarderà resterà in vita. Ma cos’è il serpente, si è chiesto il Papa? “Il serpente è il segno del peccato”, come già vediamo nel Libro della Genesi quando “è stato il serpente a sedurre Eva, a proporle il peccato”. E Dio, ha proseguito, manda a innalzare il “peccato come bandiera di vittoria”. Questo, ha detto Francesco, “non si capisce bene se non capiamo quello che Gesù ci dice nel Vangelo”. Gesù dice ai Giudei: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, adesso conoscerete che io sono”. Nel deserto, ha detto, è stato dunque innalzato il peccato, “ma è un peccato che cerca salvezza, perché guarisce lì”. A essere innalzato, ha sottolineato, è il Figlio dell’uomo, il vero Salvatore, Gesù Cristo: 

“Il cristianesimo non è una dottrina filosofica, non è un programma di vita per sopravvivere, per essere educati, per fare la pace. Queste sono conseguenze. Il cristianesimo è una persona, una persona innalzata sulla Croce, una persona che annientò se stessa per salvarci; si è fatta peccato. E così come nel deserto è stato innalzato il peccato, qui è stato innalzato Dio, fatto uomo e fatto peccato per noi. E tutti i nostri peccati erano lì. Non si capisce il cristianesimo senza capire questa umiliazione profonda del Figlio di Dio, che umiliò se stesso facendosi servo fino alla morte e morte di Croce, per servire”. 

E per questo l’Apostolo Paolo, ha proseguito, “quando parla di che cosa si gloria lui - anche possiamo dire di che cosa ci gloriamo noi” - dice: “Dei nostri peccati”. Noi, ha osservato il Papa, “non abbiamo altre cose di cui gloriarci, questa è la nostra miseria”. Ma, ha aggiunto, “da parte della misericordia di Dio, noi ci gloriamo in Cristo crocifisso”. E per questo, ha rimarcato, “non esiste un cristianesimo senza Croce e non esiste una Croce senza Gesù Cristo”. Il cuore della salvezza di Dio, ha detto ancora, “è il suo Figlio, che prese su di Lui tutti i nostri peccati, le nostre superbie, le nostre sicurezze, le nostre vanità, le nostre voglie di diventare come Dio”. Per questo, ha ammonito, “un cristiano che non sa gloriarsi in Cristo crocifisso non ha capito cosa significa essere cristiano”. Le nostre piaghe, ha soggiunto, “quelle che lascia il peccato in noi, soltanto si guariscono con le piaghe del Signore, con le piaghe di Dio fatto uomo, umiliato, annientato”. “Questo – ha affermato Papa Francesco – è il mistero della Croce”: 

“Non è un ornamento, che noi dobbiamo mettere sempre nelle chiese, sull’altare, lì. Non è un simbolo che ci distingue dagli altri. La Croce è il mistero, il mistero dell’amore di Dio, che umilia se stesso, si fa ‘niente’, si fa peccato. Dove è il tuo peccato? ‘Ma non so, ne ho tanti qui’. No, il tuo peccato è lì, nella Croce. Vai a cercarlo lì, nelle piaghe del Signore, e il tuo peccato sarà guarito, le tue piaghe saranno guarite, il tuo peccato sarà perdonato. Il perdono che ci dà Dio non è cancellare un conto che noi abbiamo con Lui: il perdono che ci dà Dio sono le piaghe del suo Figlio sulla Croce, innalzato sulla Croce. Che Lui ci attiri verso di Lui e che noi ci lasciamo guarire”.





Papa Francesco: la dittatura del pensiero unico uccide la libertà dei popoli e delle coscienze



“Anche oggi c’è la dittatura del pensiero unico” che uccide “la libertà dei popoli, la libertà della gente, la libertà delle coscienze”: occorre “vigilare e pregare”. E’ quanto ha detto il Papa nella Messa presieduta a Santa Marta in questo giovedì 10 aprile - di Quaresima che precede la Domenica delle Palme. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

Dio promette ad Abramo che diventerà padre di una moltitudine di nazioni, ma lui e la sua discendenza dovranno osservare l’alleanza con il Signore. L’omelia di Papa Francesco prende lo spunto dalla prima lettura del giorno per spiegare la chiusura dei farisei al messaggio di Gesù: il loro sbaglio – rileva - è stato quello di “staccare i comandamenti dal cuore di Dio”. Pensavano che tutto si risolvesse nell’osservare i comandamenti, ma questi – ha sottolineato il Papa – “non sono una legge fredda”, perché nascono da un rapporto di amore e sono “delle indicazioni” che ci aiutano a non sbagliare nel nostro cammino per incontrare Gesù. Così, i farisei chiudono il cuore e la mente “ad ogni novità”, non capiscono “la strada della speranza”. “E’ il dramma del cuore chiuso, il dramma della mente chiusa – afferma il Papa - e quando il cuore è chiuso, questo cuore chiude la mente, e quando cuore e mente sono chiusi non c’è posto per Dio”, ma soltanto per ciò che noi crediamo si debba fare. Invece, “i comandamenti portano una promessa e i profeti svegliano questa promessa”. Quanti hanno cuore e mente chiusi non riescono ad accogliere il “messaggio di novità” portato da Gesù, che “è quello che era stato promesso dalla fedeltà di Dio e dai profeti. Ma loro non capiscono”: 

“E’ un pensiero chiuso che non è aperto al dialogo, alla possibilità che ci sia un’altra cosa, alla possibilità che Dio ci parli, ci dica com’è il suo cammino, come ha fatto con i profeti. Questa gente non aveva ascoltato i profeti e non ascoltava Gesù. E’ qualcosa di più che una semplice testardaggine. No, è di più: è l’idolatria del proprio pensiero. ‘Io la penso così, questo deve essere così e niente di più’. Questa gente aveva un pensiero unico e volevano imporre questo pensiero al popolo di Dio, per questo Gesù li rimprovera: ‘Voi caricate sulle spalle del popolo tanti comandamenti e voi non li toccate con un dito’”. 

Gesù “rimprovera la loro incoerenza”. “La teologia di questa gente – osserva il Papa - diviene schiava di questo schema, di questo schema di pensiero: il pensiero unico”:

“Non c’è possibilità di dialogo, non c’è possibilità di aprirsi alle novità che Dio porta con i profeti. Hanno ucciso i profeti, questa gente; chiudono la porta alla promessa di Dio. E quando nella storia dell’umanità viene questo fenomeno del pensiero unico, quante disgrazie. Il secolo scorso abbiamo visto tutti noi le dittature del pensiero unico, che hanno finito per uccidere tanta gente, ma nel momento in cui loro si sentivano padroni non si poteva pensare altrimenti. Si pensa così”.

Ma “anche oggi – ha proseguito il Papa - c’è l’idolatria del pensiero unico”: 

“Oggi si deve pensare così e se tu non pensi così, non sei moderno, non sei aperto o peggio. Tante volte dicono alcuni governanti: ‘Ma, io chiedo un aiuto, un aiuto finanziario per questo’, ‘Ma se tu vuoi questo aiuto, devi pensare così e devi fare questa legge, quell’altra, quell’altra...’ Anche oggi c’è la dittatura del pensiero unico e questa dittatura è la stessa di questa gente: prende le pietre per lapidare la libertà dei popoli, la libertà della gente, la libertà delle coscienze, il rapporto della gente con Dio. Ed oggi Gesù è crocifisso un’altra volta”.

L’esortazione del Signore “di fronte a questa dittatura – conclude il Papa - è lo stesso sempre: vigilare e pregare; non essere sciocchi, non comprare” cose “che non servono ed essere umili e pregare, perché il Signore sempre ci dia la libertà del cuore aperto, per ricevere la sua Parola che è promessa e gioia e alleanza! E con questa alleanza andare avanti”.









 giornata forte questa dell'11 aprile di Papa Francesco che l'ha iniziata ricordando l'esistenza e l'opera del Demonio.... per poi fare due incontri ufficiali in difesa della vita e contro l'operazione Gender....


Il Papa: il diavolo c’è anche nel XXI secolo, impariamo dal Vangelo come combatterlo



Impariamo dal Vangelo a lottare contro le tentazioni del demonio. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina 11 aprile a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che tutti siamo tentati, perché il diavolo non vuole la nostra santità. Ed ha ribadito che la vita cristiana è proprio una lotta contro il male. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

“La vita di Gesù è stata una lotta. Lui è venuto a vincere il male, a vincere il principe di questo mondo, a vincere il demonio”. Papa Francesco ha esordito così nella sua omelia, tutta dedicata alla lotta contro il demonio. Una lotta, ha detto, che deve affrontare ogni cristiano. Il demonio, ha sottolineato, “ha tentato Gesù tante volte, e Gesù ha sentito nella sua vita le tentazioni” come “anche le persecuzioni”. Ed ha avvertito che noi cristiani, “che vogliamo seguire Gesù”, “dobbiamo conoscere bene questa verità”: 

“Anche noi siamo tentati, anche noi siamo oggetto dell’attacco del demonio, perché lo spirito del Male non vuole la nostra santità, non vuole la testimonianza cristiana, non vuole che noi siamo discepoli di Gesù. E come fa lo spirito del Male per allontanarci dalla strada di Gesù con la sua tentazione? La tentazione del demonio ha tre caratteristiche e noi dobbiamo conoscerle per non cadere nelle trappole. Come fa il demonio per allontanarci dalla strada di Gesù? La tentazione incomincia lievemente, ma cresce: sempre cresce. Secondo, cresce e contagia un altro, si trasmette ad un altro, cerca di essere comunitaria. E alla fine, per tranquillizzare l’anima, si giustifica. Cresce, contagia e si giustifica”. 

La prima tentazione di Gesù, ha osservato, “quasi sembra una seduzione”: il diavolo dice a Gesù di buttarsi dal Tempio e così, sostiene il tentatore, “tutti diranno: ‘Ecco il Messia!’”. E’ lo stesso che ha fatto con Adamo ed Eva: “E’ la seduzione”. Il diavolo, ha detto il Papa, “quasi parla come se fosse un maestro spirituale”. E “quando viene respinta”, allora “cresce: cresce e torna più forte”. Gesù, ha rammentato il Papa, “lo dice nel Vangelo di Luca: quando il demonio è respinto, gira e cerca alcuni compagni e con questa banda, torna”. Dunque “cresce anche coinvolgendo altri”. Così è “successo con Gesù”, “il demonio coinvolge” i suoi nemici. E quello che “sembrava un filo d’acqua, un piccolo filo d’acqua, tranquillo – ha ammonito Francesco – diviene una marea”. La tentazione “cresce, e contagia. E alla fine, si giustifica”. Il Papa ha ricordato che quando Gesù predica nella Sinagoga, subito i suoi nemici lo sminuiscono, dicendo: “Ma, questo è il figlio di Giuseppe, il falegname, il figlio di Maria! Mai andato all’università! Ma con che autorità parla? Non ha studiato!”. La tentazione, ha detto, “ha coinvolto tutti, contro Gesù”. E il punto più alto, “più forte della giustificazione - ha rilevato il Papa - è quello del sacerdote”, quando dice: “Non sapete che è meglio che un uomo muoia” per salvare “il popolo?”: 

“Abbiamo una tentazione che cresce: cresce e contagia gli altri. Pensiamo ad una chiacchiera, per esempio: io ho un po’ di invidia per quella persona, per l’altra, e prima ho l’invidia dentro, solo, e bisogna condividerla e va da un’altra persona e dice: ‘Ma tu hai visto quella persona?’ … e cerca di crescere e contagia un altro e un altro … Ma questo è il meccanismo delle chiacchiere e tutti noi siamo stati tentati di fare chiacchiere! Forse qualcuno di voi no, se è santo, ma anche io sono stato tentato di chiacchierare! E’ una tentazione quotidiana, quella. Ma incomincia così, soavemente, come il filo d’acqua. Cresce per contagio e alla fine si giustifica”. 

Stiamo attenti, ha detto ancora il Pontefice, “quando, nel nostro cuore, sentiamo qualcosa che finirà per distruggere” le persone. “Stiamo attenti – ha rimarcato – perché se non fermiamo a tempo quel filo d’acqua, quando crescerà e contagerà sarà una marea tale che soltanto ci porterà a giustificarci male, come si sono giustificate queste persone”, affermando che “è meglio che muoia un uomo per il popolo”: 

“Tutti siamo tentati, perché la legge della vita spirituale, la nostra vita cristiana, è una lotta: una lotta. Perché il principe di questo mondo – il diavolo – non vuole la nostra santità, non vuole che noi seguiamo Cristo. Qualcuno di voi, forse, non so, può dire: ‘Ma, Padre, che antico è lei: parlare del diavolo nel secolo XXI!’. Ma, guardate che il diavolo c’è! Il diavolo c’è. Anche nel secolo XXI! E non dobbiamo essere ingenui, eh? Dobbiamo imparare dal Vangelo come si fa la lotta contro di lui”.


 

Caterina63
00venerdì 2 maggio 2014 12:31

Il Papa: piango per i cristiani crocifissi, anche oggi c'è chi uccide in nome di Dio



Anche oggi ci sono tanti "padroni delle coscienze": in alcuni Paesi c'è chi uccide in nome di Dio o si va in carcere solo se si porta un Vangelo o una croce. Lo ha affermato Papa Francesco stamani 2 maggio 2014, durante la Messa presieduta a Santa Marta. Il Papa ha confessato di aver pianto alla notizia che alcuni cristiani sono stati crocifissi. Il servizio di Sergio Centofanti:


Al centro dell’omelia del Papa il Vangelo della moltiplicazione dei pani e dei pesci e la lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, in cui i discepoli di Gesù vengono fatti flagellare dal Sinedrio. Papa Francesco propone tre icone: la prima è l’amore di Gesù per la gente, la sua attenzione ai problemi delle persone. Il Signore - osserva il Pontefice – non si preoccupa di quanti lo seguono, non gli “passa per la testa, per esempio, di fare un censimento” per vedere se “è cresciuta la Chiesa … no! Lui parla, predica, ama, accompagna, fa la strada con la gente, mite e umile”. E parla con autorità, cioè con “la forza dell’amore”. 

La seconda icona è la “gelosia” delle autorità religiose del tempo: “Non tolleravano – afferma il Papa - che la gente andasse dietro a Gesù! Non tolleravano! Avevano gelosia. E’ un brutto atteggiamento, questo. E dalla gelosia all’invidia, e noi sappiamo che il padre dell’invidia” è “il demonio”, per la cui invidia “è entrato il male nel mondo”. “Questa gente – rileva ancora Papa Francesco - sapeva bene chi era Gesù: lo sapeva! Questa gente era la stessa che aveva pagato la guardia per dire che gli apostoli avevano rubato il corpo di Gesù!”: 

“Avevano pagato per silenziare la verità. Ma, la gente è cattiva, davvero! Perché quando si paga per nascondere la verità, siamo in una cattiveria molto grande. E per questo la gente sapeva chi erano questi. Non li seguivano, tolleravano perché avevano l’autorità: l’autorità del culto, l’autorità della disciplina ecclesiastica a quel tempo, l’autorità sul popolo … e la gente seguiva. Gesù dice di loro che legavano pesi opprimenti sui fedeli e li facevano caricare sulle spalle della gente. Questa gente non tollera la mitezza di Gesù, non tollera la mitezza del Vangelo, non tollera l’amore. E paga per invidia, per odio”.

Durante la riunione del Sinedrio c’è un “uomo saggio”, Gamaliele, che invita i leader religiosi a liberare gli apostoli. Così, ribadisce il Papa, ci sono queste due prime icone: Gesù che si commuove nel vedere la gente “senza pastore” e le autorità religiose …

“Questi, con le loro manovre politiche, con le loro manovre ecclesiastiche per continuare a dominare il popolo … E così, fanno venire gli apostoli, dopo che parla questo uomo saggio, richiamarono gli apostoli e li fecero flagellare e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù. Quindi li rimisero in libertà. ‘Ma, qualcosa dobbiamo fare: daremo loro una bella bastonata e poi a casa!’. Ingiusta, ma l’hanno fatto. Loro erano i padroni delle coscienze, e si sentivano con il potere di farlo. Padroni delle coscienze … Anche oggi, nel mondo, ci sono tanti”. 

Io – ha detto il Papa - "ho pianto quando ho visto sui media” la notizia di “cristiani crocifissi in un certo Paese non cristiano. Anche oggi – ha sottolineato - c’è questa gente che, in nome di Dio, uccide, perseguita. E anche oggi" vediamo tanti che, "come gli apostoli”, sono “lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù”. Questa – ha detto – “è la terza icona di oggi. La gioia della testimonianza”:

“Prima icona: Gesù con la gente, l’amore, la strada che Lui ci ha insegnato, sulla quale dobbiamo andare. Seconda icona: l’ipocrisia di questi dirigenti religiosi del popolo, che avevano imprigionato il popolo con questi tanti comandamenti, con questa legalità fredda, dura, e che hanno anche pagato per nascondere la verità. Terza icona: la gioia dei martiri cristiani, la gioia di tanti fratelli e sorelle nostre che nella storia hanno sentito questa gioia, questa letizia di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. E oggi ce ne sono tanti! Pensate che in alcuni Paesi, soltanto per portare il Vangelo, vai in carcere. Tu non puoi portare una croce: ti faranno pagare la multa. Ma il cuore è lieto. Le tre icone: guardiamole, oggi. E’ parte della nostra storia del salvezza”.







Papa Francesco: i cristiani siano liberi da vanità, sete di potere e di soldi



Nella Chiesa ci sono persone che seguono Gesù per vanità, sete di potere o soldi; il Signore ci dia la grazia di seguirlo solo per amore: è la preghiera che ha fatto il Papa durante la Messa presieduta stamani 5 maggio a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

Prendendo lo spunto dal Vangelo del giorno, in cui Gesù riprova la gente di cercarlo solo perché si era saziata dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, il Papa invita a porsi la domanda se seguiamo il Signore per amore o per qualche vantaggio. “Perché noi siamo tutti peccatori – ha osservato - e sempre c’è qualcosa di interessato che deve essere purificato nel seguire Gesù e dobbiamo lavorare interiormente per seguirlo per Lui, per amore”. “Gesù – afferma Papa Francesco - accenna a tre atteggiamenti che non sono buoni nel seguire Lui o nel cercare Dio. Il primo è la vanità”. In particolare, si riferisce a quei notabili, a quei "dirigenti" che fanno l’elemosina o digiunano per farsi vedere:

“Questi dirigenti volevano farsi vedere, a loro piaceva – per dire la parola giusta – piaceva pavoneggiarsi e si comportavano come veri pavoni! Erano così. E Gesù dice: ‘No, no: questo non va. Non va. La vanità non fa bene’. E alcune volte, noi facciamo cose cercando di farci vedere un po’, cercando la vanità. E’ pericolosa, la vanità, perché ci fa scivolare subito sull’orgoglio, la superbia e poi tutto e finito lì. E mi faccio la domanda: io, come seguo Gesù? Le cose buone che io faccio, le faccio di nascosto o mi piace farmi vedere?”. 

“E io anche penso a noi, a noi pastori” - ha detto il Papa – perché “un pastore che è vanitoso non fa bene al popolo di Dio”: può essere prete o vescovo, ma “non segue Gesù” se “gli piace la vanità”. “L’altra cosa che Gesù rimprovera a quelli che lo seguono – afferma - è il potere”: 

“Alcuni seguono Gesù, ma un po’, non del tutto consapevolmente, un po’ inconsciamente, ma cercano il potere, no? Il caso più chiaro è Giovanni e Giacomo, i figli di Zebedeo, che chiedevano a Gesù la grazia di essere primo ministro e vice-primo ministro, quando sarebbe venuto il Regno. E nella Chiesa ci sono arrampicatori! Ci sono tanti, che usano la Chiesa per … Ma se ti piace, vai a Nord e fai l’alpinismo: è più sano! Ma non venire in Chiesa ad arrampicarti! E Gesù rimprovera questi arrampicatori che cercano il potere”. 

“Soltanto quando viene lo Spirito Santo – ha osservato il Papa - i discepoli sono cambiati. Ma il peccato nella nostra vita cristiana rimane e ci farà bene farci la domanda: io, come seguo Gesù? Per Lui soltanto, anche fino alla Croce, o cerco il potere e uso la Chiesa un po’, la comunità cristiana, la parrocchia, la diocesi per avere un po’ di potere?”. "La terza cosa che ci allontana dalla rettitudine delle intenzioni - sottolinea - sono i soldi": 

“Quelli che seguono Gesù per i soldi, con i soldi, cercando di approfittare economicamente della parrocchia, della diocesi, della comunità cristiana, dell’ospedale, del collegio … Pensiamo alla prima comunità cristiana, che ha avuto questa tentazione: Simone, Anania e Saffira … Questa tentazione c’è stata dall’inizio, e abbiamo conosciuto tanti buoni cattolici, buoni cristiani, amici, benefattori della Chiesa, anche con onorificenze varie … tanti! Che poi si è scoperto che hanno fatto negozi un po’ bui: erano veri affaristi, e hanno fatto tanti soldi! Si presentavano come benefattori della Chiesa ma prendevano tanti soldi e non sempre soldi puliti”.

“Chiediamo al Signore la grazia – ha concluso il Papa - che ci dia lo Spirito Santo per andare dietro a Lui con rettitudine di intenzione: soltanto Lui. Senza vanità, senza voglia di potere e senza voglia dei soldi”.






Quale testimonianza per il cristiano

Martedì, 6 maggio 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.102, Merc. 07/05/2014)

 

Testimoniare Cristo è l’essenza della Chiesa che, altrimenti, finirebbe per essere solo una sterile «università della religione» impermeabile all’azione dello Spirito Santo. Lo ha riaffermato Papa Francesco nella messa celebrata martedì mattina, 6 maggio, nella cappella della Casa Santa Marta.

La meditazione sulla forza della testimonianza è scaturita dal brano liturgico degli Atti degli apostoli (7, 51-8, 1a) dove si racconta il martirio di Stefano, che — ha spiegato il Santo Padre — «è un calco del martirio di Gesù: la gelosia dei dirigenti che cercavano di farlo fuori gioco, i falsi testimoni, questo giudizio un po’ fatto di fretta».

Ai suoi persecutori, che non credevano, Stefano ha detto: «Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponente sempre resistenza allo Spirito Santo».

E proprio «queste parole — ha commentato il Pontefice — in un modo o nell’altro le aveva dette Gesù, anche letteralmente: come erano i vostri padri così siete anche voi; quali dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato?». Infatti Gesù li aveva rimproverati perché «facevano monumenti ai profeti, ma ai profeti che avevano ucciso i padri». Dunque «Stefano, pieno di Spirito Santo», dice «le stesse parole di Gesù».

I persecutori, ha notato il Santo Padre, non erano certo persone tranquille, con il cuore in pace. Anzi, «questa gente dentro il cuore aveva odio». Riferiscono gli Atti degli apostoli: «All’udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano». Persone, dunque, che «avevano odio. Non è che non erano d’accordo con quello che Stefano predicava: odiavano!». E «questo odio — ha spiegato il Papa — è stato seminato nel loro cuore proprio dal diavolo. È l’odio del demonio contro Cristo».

Proprio «nel martirio — ha proseguito Papa Francesco — si vede chiara questa lotta fra Dio e il demonio. Si vede in questo odio. Non era una discussione tranquilla». Del resto, ha fatto osservare, «essere perseguitati, essere martiri, dare la vita per Gesù è una delle beatitudini». Tanto che «Gesù non aveva detto ai suoi: “Poveretti se succedono a voi queste cose!”. No, aveva detto: “Beati voi quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e diranno ogni sorta di male contro di voi a causa del mio nome. Rallegratevi!”».

È evidente, dunque, che «il demonio non può sopportare la santità della Chiesa» o la stessa santità «di una persona senza reagire. E contro Stefano — ha detto il Papa — ha suscitato nel cuore di quelle persone odio, per perseguitare, per insultare, per dire ogni sorta di male. E così hanno ucciso Stefano», il quale «muore come Gesù, perdonando». Si legge infatti negli Atti: «Stefano pregava e diceva: Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi ripete «la stessa parola di Gesù: Signore, non imputare loro questo peccato».

«Martirio, nella tradizione della parola greca, significa testimonianza» ha spiegato il Papa. E «così possiamo dire che per un cristiano la strada va sulle orme di questa testimonianza di Gesù per dare testimonianza di lui». Una testimonianza che tante volte finisce con il sacrificio della vita: infatti «non si può capire un cristiano senza che sia testimone e sia testimonianza».

La questione centrale, ha argomentato il Pontefice, è che il cristianesimo non è una religione «di sole idee, di pura teologia, di estetica, di comandamenti. Noi siamo un popolo che segue Gesù Cristo e dà testimonianza, vuole dare testimonianza di Gesù Cristo. E questa testimonianza alcune volte arriva a dare la vita».

In proposito il racconto del martirio di Stefano è eloquente. Continua, infatti, il brano degli Atti: «In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme». Dunque, «morto Stefano, scoppiò la persecuzione contro tutti». I persecutori «si sentivano forti: il demonio suscitava loro di far scoppiare questa violenta persecuzione».

Una persecuzione talmente brutale che, «a eccezione degli apostoli che sono rimasti lì, nel posto, i cristiani si dispersero nella regione della Giudea e della Samaria». Proprio «la persecuzione ha fatto sì che i cristiani andassero lontano». E alle persone che incontravano «dicevano il perché» della loro fuga, «spiegavano il Vangelo, davano testimonianza di Gesù. E incominciò quella missione della Chiesa. Tanti si convertivano sentendo questa gente».

Il vescovo di Roma ha ricordato in proposito che «uno dei padri della Chiesa ha detto: il sangue dei martiri è seme dei cristiani». Ed è proprio quello che succede: «Scoppia la persecuzione, i cristiani vengono dispersi e con la loro testimonianza predicano la fede». Perché, ha fatto notare il Papa, «la testimonianza è sempre feconda»: lo è quando avviene nella vita quotidiana, ma anche quando viene vissuta nelle difficoltà o quando porta addirittura alla morte.

La Chiesa dunque «è feconda e madre quando dà testimonianza di Gesù Cristo. Invece quando la Chiesa si chiude in se stessa, si crede — diciamo così — una università della religione con tante belle idee, con tanti bei templi, con tanti bei musei, con tante belle cose, ma non dà testimonianza, diventa sterile».

Lo stesso ragionamento, ha aggiunto il Pontefice, vale per il cristiano: se «non dà testimonianza rimane sterile, senza dare la vita che ha ricevuto da Gesù Cristo».

Gli Atti degli apostoli puntualizzano «che Stefano era pieno di Spirito Santo». E infatti «non si può dare testimonianza senza la presenza dello Spirito Santo in noi. Nei momenti difficili, quando dobbiamo scegliere la strada giusta, quando dobbiamo dire no a tante cose che forse tentano di sedurci, c’è la preghiera allo Spirito Santo: è lui che ci fa forti per andare su questa strada della testimonianza».

Papa Francesco, in conclusione, ha ricordato come dalle «due icone» proposte dalla liturgia — Stefano che muore e i cristiani che danno testimonianza dappertutto — scaturiscano per ciascuno alcune domande: «Com’è la mia testimonianza? Sono un cristiano testimone di Gesù o sono un semplice membro di questa setta? Sono fecondo perché do testimonianza o rimango sterile perché non sono capace di lasciare che lo Spirito Santo mi porti avanti nella mia vocazione cristiana?».




Niente burocrazia in sacrestia

Giovedì, 8 maggio 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.104, Ven. 09/05/2014)

 

Ci sono a volte atteggiamenti negativi che oscurano la docilità alla chiamata del Signore, il dialogo attento alla realtà dell’altro e la forza della grazia, cioè i tre momenti fondamentali dell’evangelizzazione. Atteggiamenti negativi che in chiesa si concretizzano quando la «burocrazia» fa diventare simili a «una ditta per fabbricare impedimenti che allontanano la gente dai sacramenti».

È dunque un richiamo a essere «facilitatori dei sacramenti» quello che il Papa ha fatto nella messa celebrata giovedì mattina, 8 maggio, nella cappella della Casa Santa Marta.

Il brano degli Atti degli apostoli (8, 26-40) proposto nella liturgia odierna presenta in modo chiaro, ha notato il Pontefice, i tre momenti dell’evangelizzazione. «Il primo — ha spiegato — è la docilità di Filippo che va ad annunciare Gesù Cristo». Era impegnato «nel suo lavoro di evangelizzare» quando «l’angelo del Signore gli dice: alzati, lascia questo e va’ di là, su quella strada». E Filippo obbedisce, «è docile alla chiamata del Signore» e non esita a lasciare le «tante cose che doveva fare» e va dove lo chiama il Signore. E «questo ci fa vedere che senza questa docilità alla voce di Dio nessuno può evangelizzare, nessuno può annunciare Gesù Cristo. In linea di massima annuncerà se stesso».

Il dialogo, ha proseguito il Papa, è il «secondo momento dell’evangelizzazione». Gli Atti degli apostoli raccontano che lungo la strada Filippo incontra «un etiope, eunuco, funzionario di Càndace, regina di Etiopia», una zona dove governavano le donne ha notato il Papa citando anche «la regina di Saba». Quell’uomo era «amministratore di tutti i tesori» del regno, un vero e proprio «ministro dell’economia». E stava andando «a Gerusalemme per il culto perché era ebreo». Gli Atti riferiscono che il ministro «seduto sul carro leggeva il profeta Isaia». Ed ecco che «il Signore dice a Filippo “va’ avanti e accostati a quel carro”». Sentendo, dunque, che quell’uomo «leggeva il profeta», Filippo «preso coraggio, gli domanda: capisci quello che stai leggendo?». Ecco il punto esatto che ci porta al «secondo momento del processo di evangelizzazione: il dialogo». Ma dialogare, ha avvertito, non significa dire solo «quello che io penso» e pretendere che l’altro ci creda. Anzi il vero dialogo «parte dall’altro: tu che stai leggendo, capisci questo?».

Insomma l’evangelizzatore coglie dall’altro l’occasione del dialogo, «si abbassa, si umilia davanti all’altro. Non va a imporre idee, dottrine» dicendo «le cose sono così!». L’autentico evangelizzatore va incontro all’altro «per offrire proprio la salvezza di Gesù» e lo «fa umilmente con il dialogo». Consapevole che «non si può evangelizzare senza il dialogo» e che non si può prescindere dal cammino della persona «che deve essere evangelizzata». Il Papa poi ha proposto una possibile obiezione: «Ma, padre, si perde tanto tempo perché ognuno ha la sua storia, ha le sue idee...». È vero, ha riconosciuto, così facendo «uno perde tempo» ma certamente «più tempo ha perso Dio nella creazione del mondo! E l’ha fatto bene!». Dunque bisogna «perdere tempo con l’altra persona perché quella persona è quella che Dio vuole che tu evangelizzi», a cui tu devi dare «la notizia di Gesù». Ed è ancora importante anche che il dialogo avvenga con la persona «come è adesso» e «non come deve essere».

E tornando al racconto degli Atti degli apostoli, il Pontefice ha voluto far notare proprio che il dialogo tra Filippo e il ministro etiope deve essere stato lungo e incentrato sul battesimo perché «quando giunsero dove c’era l’acqua l’eunuco disse: “Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?”».

Questa constatazione, ha sottolineato il Papa, ci porta al terzo momento dell’evangelizzazione. «Quest’uomo ha sentito la forza di Dio dentro» e quando vede l’acqua chiede all’apostolo: che cosa impedisce che io sia battezzato? E Filippo, ha spiegato il Pontefice, senza dire nulla lo fece scendere dal carro «e nell’acqua lo battezzò». Siamo davanti, ha sottolineato il Papa, alla «forza del sacramento, la forza della grazia. Così si completa anche il processo dell’evangelizzazione: docilità dell’evangelizzatore, dialogo con la persona e la forza della grazia. E «Filippo prende quest’uomo di buona volontà, tanto buono, e lo porta nelle mani di Dio, della sua grazia».

Proprio «questo terzo momento» dell’evangelizzazione ha suggerito a Papa Francesco una riflessione «sulla domanda che fa questo ministro dell’economia: ecco, qui c’è dell’acqua, che cosa impedisce che io sia battezzato? Che cosa impedisce che la grazia venga a me?».

«Tante volte — è stata a questo punto la riflessione del Papa — allontaniamo la gente dall’incontro con Dio, allontaniamo la gente dalla grazia», perché non ci comportiamo come «facilitatori dei sacramenti».

Il racconto degli Atti degli apostoli prosegue e mostra il fine stesso dell’evangelizzazione. Infatti «quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più». È la conferma che c’era Dio in questo processo di evangelizzazione. Da una parte, ha spiegato ancora il vescovo di Roma, «l’eunuco pieno di gioia proseguiva la sua strada», dall’altra «Filippo invece si trovò ad Azoto ad evangelizzare la gente». Ecco la morale: quell’uomo che veniva da lontano, non aveva tanta cultura, leggeva la Bibbia perché gli era stato insegnato in Sinagoga. Ma aveva buona volontà, e sentì poi la gioia della grazia, di questa grazia che «è gratis, che non si può comprare perché non si vende: si dà». E proprio «con questa gioia quell’uomo incapace di generare, perché era un eunuco, porta in sé il seme di vita al suo popolo e genera un popolo di cristiani». Poi in quella regione andranno anche Matteo e Marco «a fondare le chiese».

Il passo degli Atti, ha rimarcato il Pontefice, «ci aiuterà a capire meglio che chi fa l’evangelizzazione è Dio: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato”. È il Padre che attira a Gesù». E, ha aggiunto, «Gesù lo aveva detto un’altra volta allo stesso Filippo: Filippo, il Padre e io siamo una cosa».

In conclusione il Papa ha invitato a pensare «a questi tre momenti dell’evangelizzazione: la docilità dell’evangelizzare» facendo la volontà di Dio, «il dialogo con le persone» così come si trovano, e «affidarsi alla grazia» perché «è più importante la grazia che tutta la burocrazia». Ed ha invitato a riflettere bene sulla domanda dell’eunuco: «Cosa impedisce che io venga battezzato?». «Tante volte — ha infine notato — noi in chiesa siamo una ditta per fabbricare impedimenti perché la gente non possa arrivare alla grazia. Che il Signore ci faccia capire questo».

 




Caterina63
00lunedì 12 maggio 2014 22:38




Chi diminuisce e chi cresce

Venerdì, 9 maggio 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.105, Sab. 10/05/2014)

 

La testimonianza di san Giovanni Paolo II, come di «tanti grandi santi» nella storia della Chiesa, mostra che la regola della santità è «diminuire perché il Signore cresca». E «tutti abbiamo visto gli ultimi giorni di san Giovanni Paolo II: lì, non poteva parlare, il grande atleta di Dio, il grande guerriero di Dio, finisce così. Annientato dalla malattia. Umiliato come Gesù». Richiamando la testimonianza di Papa Wojtyła — canonizzato il 27 aprile scorso insieme a Giovanni XXIII— il Pontefice ha tracciato il profilo della santità nell’omelia della messa celebrata venerdì mattina, 9 maggio, nella cappella della Casa Santa Marta. I santi, ha detto, non sono eroi ma donne e uomini che vivono la croce nella quotidianità: sono persone scelte da Dio proprio per mostrare che la Chiesa è santa pur essendo composta da peccatori.

«La Chiesa è santa»: è da questa verità che ha preso le mosse Papa Francesco nella sua omelia. E ha proposto subito una domanda: come può essere santa la Chiesa se ci siamo dentro tutti noi che siamo tutti peccatori? In effetti, ha ribadito, «noi siamo peccatori ma la Chiesa è santa, è la sposa di Gesù Cristo, e lui la ama, lui la santifica: la santifica ogni giorno con il suo sacrificio eucaristico perché la ama tanto». Perciò «noi siamo peccatori ma in una Chiesa santa».

Proprio con «questa appartenenza alla Chiesa anche noi ci santifichiamo: siamo figli della Chiesa e la madre Chiesa ci santifica con il suo amore, con i sacramenti del suo Sposo». In pratica, ha proseguito il vescovo di Roma, «questa è la santità quotidiana, questa è la santità di tutti noi. A tal punto che negli Atti degli apostoli, quando si parlava dei cristiani, si diceva “il popolo dei santi”». Anche san Paolo «parla ai santi: a noi, peccatori ma figli della Chiesa santa, santificata per il corpo e sangue di Gesù, come abbiamo sentito adesso nel Vangelo» di Giovanni (6, 52-59).

«In questa Chiesa santa — ha affermato Papa Francesco — il Signore sceglie alcune persone per far vedere meglio la santità, per far vedere che è lui che santifica; che nessuno si santifica da se stesso; che non c’è un corso per diventare santo; che essere santo non è fare il fachiro» o altro. Piuttosto «la santità è un dono di Gesù alla sua Chiesa; e per far vedere questo lui sceglie persone» nelle quali «si vede chiaro il suo lavoro per santificare».

La liturgia del giorno presenta, a questo proposito, «la santificazione di Saulo, di Paolo», narrata dagli Atti degli apostoli (9, 1-20). Non si tratta di un caso isolato perché nel Vangelo ci sono tante figure di santità. Per esempio, ha proseguito il Papa, «c’è la Maddalena: san Marco, nel Vangelo, dice che Gesù aveva cacciato da lei sette demoni» e così «la santifica: dal peggio alla santità!». Poi «c’è Matteo che era un traditore del suo popolo e prendeva i soldi per darli ai romani»; ma «il Signore lo prende dal suo negozio» e lo porta avanti, con sé. E, ancora, «c’è Zaccheo che vuol vedere Gesù. E Lui lo chiama — “vieni con me, vieni!” — e lo santifica».

«Ma perché il Signore, nella storia della Chiesa, sceglie queste persone?» si è chiesto il Pontefice ricordando che in duemila anni di cristianesimo «ci sono tanti santi, riconosciuti come santi della Chiesa». Il Signore sceglie queste persone — è stata la risposta — perché diano testimonianza più chiara della prima regola della santità: è necessario che Cristo cresca e che noi diminuiamo. Occorre insomma «la nostra umiliazione perché il Signore cresca».

È in questa prospettiva che il Signore «sceglie Saulo, nemico della Chiesa», come raccontano gli Atti degli apostoli: Saulo, proferendo ancora minacce contro i discepoli del Signore, «si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme tutti quelli che avesse trovato, uomini e donne, appartenenti a questa Via».

Parole forti che mostrano quanto Saulo odiasse e perseguitasse la Chiesa: un odio che, ha fatto notare il vescovo di Roma, «abbiamo visto» anche «nella lapidazione di Stefano» a cui, oltretutto, Saulo era presente. Preso da questo odio, egli «va a chiedere l’autorizzazione» per perseguitare i cristiani. «Ma il Signore lo aspetta: lo aspetta e fa sentire il suo potere» ha osservato il Papa. Ed ecco che Saulo «diventa cieco e obbedisce» quando, sulla via di Damasco, il Signore gli dice: «Alzati, entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare».

Così «da uomo che aveva tutto chiaro, che sapeva cosa si doveva fare contro questa setta dei cristiani, diventa come un fanciullo e obbedisce: si alza, va e aspetta». Ma Saulo «non aspetta col telefonino in mano» dicendo: «Ma vieni... cosa devo fare... ma dimmi... ma io sto aspettando da due giorni...». Invece «aspetta come era lui: pregando e facendo digiuno. Il suo cuore era cambiato».

Il racconto degli Atti presenta quindi il discepolo Anania che battezza Paolo. E così finalmente «Paolo si alza, prende il cibo e poi se ne va per le sinagoghe annunciando che Gesù è il Figlio di Dio». La sua diventa «un’altra vita».

A questo punto il Papa ha rimarcato la differenza fra gli eroi e i santi, ripetendo le parole che il Signore dice ad Anania: «Va’, perché egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome».

Perciò, ha spiegato il Pontefice, «la differenza fra gli eroi e i santi è la testimonianza, l’imitazione di Gesù Cristo: andare sulla via di Gesù Cristo». Per questo «Paolo predica il Vangelo, è perseguitato, è bastonato, è giudicato, e finisce la sua vita con un piccolo gruppetto di amici a Roma, vittima dei suoi discepoli». Così Paolo «diminuisce, diminuisce, diminuisce», appunto secondo la regola della santità. E il Papa, in proposito, ha riproposto anche la figura di Giovanni Battista, «l’uomo più grande nato da donna, che finisce nel carcere per il capriccio di una ballerina e l’odio di un’adultera».

Dunque «Paolo finisce in maniera comune. Sicuramente la mattina sono andati da lui tre, quattro cinque soldati» e gli hanno ordinato: «Vieni con noi!». Poi «lo hanno portato via e gli hanno tagliato la testa. Semplicemente». Paolo «il grande, quello che era andato in tutto il mondo, finisce così». E «questa — ha ripetuto il Papa — è la differenza fra l’eroe e il santo: il santo è quello che segue Gesù sulla strada di Gesù, con la croce».

«Tanti santi canonizzati nella Chiesa — ha affermato il Pontefice — finiscono tanto umilmente». Sono «i grandi santi». E, a questo proposito, Papa Francesco ha riproposto la testimonianza di san Giovanni Paolo II. Proprio «questo è il percorso della santità dei grandi». Ma è «anche il percorso della nostra santità». Perché, ha spiegato, certo «non saremo santi se non ci lasciamo convertire il cuore per questa strada di Gesù: portare la croce tutti i giorni, la croce ordinaria, la croce semplice e lasciare che Gesù cresca. Se noi non andiamo su questa via non saremo santi, ma se andiamo su questa via tutti noi daremo testimonianza di Gesù Cristo che ci ama tanto. E daremo testimonianza che mentre siamo peccatori la Chiesa è santa, è la sposa di Gesù».

Dunque «oggi — ha concluso il Papa — forse ci farà bene, nella messa, sentire questa gioia: il sacrificio di Gesù qui sull’altare ci santifica tutti, ci fa crescere nella santità, ci fa diventare più autenticamente figli della sua sposa, la Chiesa nostra madre che è santa».

 



Il Papa: lo Spirito Santo spinge sempre la Chiesa oltre i limiti



“Chi siamo noi per chiudere le porte” allo Spirito Santo? È la domanda ricorrente che Papa Francesco ha posto durante l’omelia della Messa del mattino 12 maggio, presieduta a Casa Santa Marta, e dedicata alla conversione dei primi pagani al cristianesimo. Lo Spirito Santo, ha ribadito, è quello che fa andare la Chiesa “oltre i limiti, più avanti”. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Lo Spirito soffia dove vuole, ma una della tentazioni più ricorrenti di chi ha fede è di sbarrargli la strada e di pilotarlo in una direzione piuttosto che un’altra. Una tentazione non estranea nemmeno agli albori della Chiesa, come dimostra l’esperienza che vive Simon Pietro nel brano degli Atti degli Apostoli proposto dalla liturgia. Una comunità di pagani accoglie l’annuncio del Vangelo e Pietro è testimone oculare della discesa dello Spirito Santo su di loro, ma prima esita ad avere contatti con ciò che aveva sempre ritenuto “impuro” e poi subisce dure critiche dai cristiani di Gerusalemme, scandalizzati dal fatto che il loro capo avesse mangiato con dei “non circoncisi” e li avesse persino battezzati. Un momento di crisi interna, che Papa Francesco rievoca con un filo di ironia:

“E’ una cosa che non si poteva pensare quella. Se domani venisse una spedizione di marziani, per esempio, e alcuni di loro venissero da noi, ecco... marziani, no? Verdi, con quel naso lungo e le orecchie grandi, come vengono dipinti dai bambini ... E uno dicesse: ‘Ma, io voglio il Battesimo!’. Cosa accadrebbe?”.

Pietro comprende l’errore quando una visione gli illumina una verità fondamentale: ciò che è stato purificato da Dio non può essere chiamato “profano” da nessuno. E nel narrare questi fatti alla folla che lo critica, l’Apostolo – ricorda Papa Francesco – rasserena tutti con questa affermazione: “Se dunque Dio ha dato loro lo stesso dono che ha dato a noi, per avere creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?”.

“Quando il Signore ci fa vedere la strada, chi siamo noi per dire: ‘No Signore, non è prudente! No, facciamo così’… E Pietro in quella prima diocesi – la prima diocesi è stata Antiochia – prende questa decisione: ‘Chi sono io per porre impedimenti?’. Una bella parola per i vescovi, per i sacerdoti e anche per i cristiani. Ma chi siamo noi per chiudere porte? Nella Chiesa antica, persino oggi, c’è quel ministero dell’ostiario. E cosa faceva l’ostiario? Apriva la porta, riceveva la gente, la faceva passare. Ma mai è stato il ministero di quello che chiude la porta, mai!”.

Ancora oggi, ripete Papa Francesco, Dio ha lasciato la guida della Chiesa “nelle mani dello Spirito Santo”. “Lo Spirito Santo – prosegue – è quello, come dice Gesù, che ci insegnerà tutto” e “farà che noi ricordiamo quello che Gesù ci ha insegnato”:

“Lo Spirito Santo è la presenza viva di Dio nella Chiesa. E’ quello che fa andare la Chiesa, quello che fa camminare la Chiesa. Sempre più, oltre i limiti, più avanti. Lo Spirito Santo con i suoi doni guida la Chiesa. Non si può capire la Chiesa di Gesù senza questo Paraclito, che il Signore ci invia per questo. E fa queste scelte impensabili, ma impensabili! Per usare una parola di San Giovanni XXIII: è proprio lo Spirito Santo che aggiorna la Chiesa: veramente, proprio la aggiorna e la fa andare avanti. E noi cristiani dobbiamo chiedere al Signore la grazia della docilità allo Spirito Santo. La docilità a questo Spirito, che ci parla nel cuore, ci parla nelle circostanze della vita, ci parla nella vita ecclesiale, nelle comunità cristiane, ci parla sempre”.








Il Papa: chi crede di sapere tutto non può capire Dio



Le cose di Dio non si possono capire solo con la testa, bisogna aprire il cuore allo Spirito Santo. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina, 13 maggio, a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha quindi sottolineato che la fede è un dono di Dio, ma non si può ricevere se si vive “staccati” dal suo popolo, dalla Chiesa. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Le Letture del giorno, ha osservato Papa Francesco, ci mostrano “due gruppi di persone”. Nella Prima Lettura “ci sono quelli che sono stati dispersi a causa della persecuzione scoppiata” dopo l’uccisione di Stefano. “Sono stati dispersi con il seme del Vangelo – ha detto il Papa – e lo portano dappertutto”. All’inizio, parlano soltanto ai giudei. Poi, “in modo naturale, alcuni di loro”, giunti ad Antiochia, “cominciarono a parlare anche ai greci”. E così, lentamente, è stata la riflessione del Papa, “hanno aperto le porte ai greci, ai pagani”. Arrivata la notizia a Gerusalemme, ha rammentato, Barnaba fu mandato ad Antiochia “per fare una visita di ispezione”. E tutti, ha constatato, “sono rimasti contenti”, perché “una folla considerevole fu aggiunta al Signore”.

Questa gente, ha sottolineato Francesco, “non ha detto andiamo prima dai giudei, poi dai greci, ai pagani, a tutti. No! Si è lasciata portare dallo Spirito Santo! E’ stata docile allo Spirito Santo”. E poi, ha proseguito, “una cosa viene dall’altra” e “finiscono aprendo le porte a tutti: ai pagani, che per la mentalità loro erano impuri”, “aprivano le porte, a tutti”. Questo, ha ribadito, “è il primo gruppo di persone, quelle che sono docili allo Spirito Santo”. “Alcune volte – ha soggiunto – lo Spirito Santo ci spinge a fare cose forti: come ha spinto Filippo ad andare a battezzare” il ministro etiope, “come ha spinto Pietro ad andare a battezzare Cornelio”:

“Altre volte, lo Spirito Santo soavemente ci porta e la virtù è lasciarsi portare dallo Spirito Santo, non fare resistenza allo Spirito Santo, essere docili allo Spirito Santo. E lo Spirito Santo agisce oggi nella Chiesa, agisce oggi nella nostra vita. Qualcuno di voi potrà dirmi: ‘Mai lo ho visto!’. ‘Ma, fa’ attenzione a cosa succede, cosa ti viene in mente, cosa ti viene nel cuore. Cose buone? E’ lo Spirito che ti invita ad andare per quella strada. Ci vuole docilità! Docilità allo Spirito Santo”.

Il secondo gruppo che ci presentano le Letture è quello degli “intellettuali, che si avvicinano a Gesù nel tempio: sono i dottori della legge”. Gesù, ha annotato il Papa, ha sempre avuto problemi con questi, “perché non finivano di capire: giravano sulle stesse cose, perché credevano che la religione era cosa soltanto di testa, di leggi”. Per loro, bisognava “compiere i comandamenti e niente di più. Non si immaginava che esistesse lo Spirito Santo”. Interrogavano Gesù, “volevano discutere. Tutto era nella testa, tutto è intelletto”. “In questa gente – ha soggiunto - non c’è il cuore, non c’è l’amore e la bellezza, non c’è l’armonia”, è gente “che soltanto vuole spiegazioni”:

“E tu gli dai le spiegazioni e loro, non convinti, tornano con una altra domanda. E’ così: girano, girano… Come hanno girato attorno a Gesù tutta la vita, fino al momento che sono riusciti a prenderlo e a ucciderlo! Questi non aprono il cuore allo Spirito Santo! Credono che anche le cose di Dio si possono capire soltanto con la testa, con le idee, con le proprie idee. Sono orgogliosi. Credono di sapere tutto. E quello che non entra nella loro intelligenza non è vero. Ma tu puoi risuscitare un morto davanti a loro, ma non credono!”.

Gesù, ha così evidenziato, “va oltre” e dice una “cosa fortissima”: “Voi non credete perché non fate parte delle mie pecore! Voi non credete perché non siete del popolo di Israele. Siete usciti dal popolo. Siete nell’aristocrazia dell’intelletto”. Questo atteggiamento, ha ammonito, “chiude il cuore. Loro hanno rinnegato il loro popolo”:

“Questa gente si era staccata dal popolo di Dio e per questo non poteva credere. La fede è un dono di Dio! Ma la fede viene se tu sei nel suo popolo. Se tu sei - adesso - nella Chiesa, se tu sei aiutato dai Sacramenti, dai fratelli, dall’assemblea. Se tu credi che questa Chiesa è il Popolo di Dio. Questa gente si era staccata, non credeva nel Popolo di Dio, credeva soltanto nelle sue cose e così aveva costruito tutto un sistema di comandamenti che cacciavano via la gente: cacciavano via la gente e non la lasciavano entrare in Chiesa, nel popolo. Non potevano credere! Questo è il peccato di resistere allo Spirito Santo”.

“Due gruppi di gente”, ha ripreso il Papa, quelli “della dolcezza, della gente dolce, umile, aperta allo Spirito Santo”, e quell’altra “orgogliosa, sufficiente, superba, staccata dal popolo, aristocratica dell’intelletto, che ha chiuso le porte e resiste allo Spirito Santo”. “E non è testardaggine questa”, ha detto, “di più: è avere il cuore duro! E questo è più pericoloso”. Guardando questi due gruppi di persone, è stata la sua invocazione, “chiediamo al Signore la grazia della docilità allo Spirito Santo per andare avanti nella vita, essere creativi, essere gioiosi, perché l’altra gente non era gioiosa”. E quando “c’è tanta serietà – ha affermato – non c’è lo Spirito di Dio”. Chiediamo, dunque, “la grazia della docilità e che lo Spirito Santo ci aiuti a difenderci da quest’altro spirito cattivo della sufficienza, dell’orgoglio, della superbia, della chiusura del cuore allo Spirito Santo”.








Papa Francesco: non esiste un cristiano senza Chiesa



Non esiste un cristiano senza Chiesa, un cristiano che cammina da solo, perché Gesù stesso si è inserito nel cammino del suo popolo: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa presieduta stamani 15 maggio a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

Partendo dalla prima lettura del giorno, Papa Francesco spiega che gli apostoli quando annunciano Gesù non incominciano da Lui, ma dalla storia del popolo. Infatti – osserva - "Gesù non si capisce senza questa storia" perché Lui “è proprio il fine di questa storia, verso il quale questa storia va, cammina”. Così – ha proseguito - “non si può capire un cristiano fuori dal popolo di Dio. Il cristiano non è una monade”, ma “appartiene ad un popolo: la Chiesa. Un cristiano senza Chiesa è una cosa puramente ideale, non è reale”:

“Ma, non si può capire un cristiano solo, come non si può capire Gesù Cristo solo. Gesù Cristo non è caduto dal cielo come un eroe che viene a salvarci, e viene. No. Gesù Cristo ha storia. E possiamo dire, ed è vero, questo: Dio ha storia, perché ha voluto camminare con noi. E non si può capire Gesù Cristo senza storia. Così un cristiano senza storia, un cristiano senza popolo, un cristiano senza Chiesa non si può capire. E’ una cosa di laboratorio, una cosa artificiale, una cosa che non può dar vita”.

Il popolo di Dio, poi – ha aggiunto Papa Francesco – “cammina con una promessa. Questa dimensione è importante che noi nella nostra vita abbiamo presente: la dimensione della memoria”: 

“Un cristiano è un memorioso della storia del suo popolo, è memorioso del cammino che il popolo ha fatto, è memorioso della sua Chiesa. La memoria … la memoria di tutto il passato … Poi, questo popolo dove va? Verso la definitiva promessa. E’ un popolo che cammina verso la pienezza; un popolo eletto che ha una promessa nel futuro e cammina verso questa promessa, verso l’adempimento di questa promessa. E per questo, un cristiano nella Chiesa è un uomo, una donna con speranza: speranza nella promessa. Che non è aspettativa: no, no! E’ un’altra cosa: è speranza. Proprio, avanti! Quella che non delude”.

“Guardando indietro – ha detto il Papa - il cristiano è una persona memoriosa: chiede la grazia della memoria, sempre. Guardando in avanti, il cristiano è un uomo e una donna di speranza. E nel presente, il cristiano segue il cammino di Dio e rinnova l’Alleanza con Dio. Continuamente dice al Signore: ‘Sì, io voglio i comandamenti, io voglio la tua volontà, io voglio seguirti’. E’ un uomo di alleanza, e l’alleanza la celebriamo, noi, tutti i giorni” nella Messa: è dunque “una donna, un uomo eucaristico”. Questa la preghiera finale del Papa:

“Pensiamo – ci farà bene pensare questo, oggi – come è la nostra identità cristiana. La nostra identità cristiana è appartenenza ad un popolo: la Chiesa. Senza questo, noi non siamo cristiani. Siamo entrati nella Chiesa con il battesimo: lì siamo cristiani. E per questo, avere l’abitudine di chiedere la grazia della memoria, e la memoria del cammino che ha fatto il popolo di Dio; anche della memoria personale: cosa ha fatto Dio con me, nella mia vita, come mi ha fatto camminare … Chiedere la grazia della speranza, che non è ottimismo: no, no! E’ un’altra cosa. E chiedere la grazia di rinnovare tutti i giorni l’Alleanza con il Signore che ci ha chiamato. Che il Signore ci dia queste tre grazie, che sono necessarie per l’identità cristiana”.




Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/05/15/papa_francesco:_non_esiste_un_cristiano_senza_chiesa/it1-799346 
del sito Radio Vaticana 





Caterina63
00venerdì 16 maggio 2014 12:53





Il Papa: per conoscere Gesù bisogna pregarlo, celebrarlo e imitarlo, non bastano studio e idee



Per conoscere Gesù non basta lo studio, non bastano le idee, ma bisogna pregarlo con il cuore, celebrarlo e imitarlo: così il Papa nella Messa presieduta a Santa Marta - 16 maggio - Papa Francesco ha invitato di nuovo a leggere il Vangelo, che a volte – ha detto - è pieno di polvere perché non viene mai aperto. Il servizio diSergio Centofanti:

Commentando l’affermazione di Gesù “Io sono la via, la verità e la vita”, il Papa osserva che “la conoscenza di Gesù è il lavoro più importante della nostra vita”. Ma si chiede: “come possiamo conoscere Gesù? Qualcuno dirà: ‘Studiando, padre. Si deve studiare tanto!’. Quello è vero! Dobbiamo studiare il catechismo, è vero”, ma lo studio da solo non basta per conoscere Gesù: “Alcuni – ha affermato - hanno questa fantasia che con le idee, solo le idee ci porteranno alla conoscenza di Gesù. Anche fra i primi cristiani alcuni pensavano così”. E alla fine restavano intrappolati nei loro pensieri: 

“Le idee sole non danno vita e chi va per questa strada di sole idee finisce in un labirinto e non esce più! E’ per questo che dall’inizio della Chiesa ci sono le eresie. Le eresie sono questo: cercare di capire con le nostre menti e con la nostra luce soltanto chi è Gesù. Un grande scrittore inglese diceva che l’eresia è una idea diventata pazza. E’ così! Quando le idee sono sole diventano pazze… Quello non è il cammino!”.

Per conoscere Gesù – afferma il Papa - occorre aprire tre porte:

“Prima porta: pregare Gesù. Sappiate che lo studio senza preghiera non serve. Pregare Gesù per meglio conoscerlo. I grandi teologi fanno teologia in ginocchio. Pregare Gesù! E con lo studio, con la preghiera ci avviciniamo un po’… Ma senza preghiera mai conosceremo Gesù. Mai! Mai!
Seconda porta: celebrare Gesù. Non basta la preghiera, è necessaria la gioia della celebrazione. Celebrare Gesù nei suoi Sacramenti, perché lì ci dà la vita, ci dà la forza, ci dà il pasto, ci dà il conforto, ci dà l’alleanza, ci dà la missione. Senza la celebrazione dei Sacramenti, non arriviamo a conoscere Gesù. Questo è proprio della Chiesa: la celebrazione. Terza porta: imitare Gesù. Prendere il Vangelo: cosa ha fatto Lui, come era la sua vita, cosa ci ha detto, cosa ci ha insegnato e cercare di imitarlo”. 


“Entrare per queste tre porte” – ha detto il Papa - significa “entrare nel mistero di Gesù”. Solo “se siamo capaci di entrare nel suo mistero” possiamo conoscere Gesù”. Ma non bisogna “avere paura” di “entrare nel mistero di Gesù. Questo significa pregare, celebrare e imitare. E così troveremo la via per andare alla verità e alla vita”: 

“Possiamo oggi, durante la giornata, pensare a come va la porta della preghiera nella mia vita: ma la preghiera dal cuore, non è quella del pappagallo! Quella del cuore, come va? Come va la celebrazione cristiana nella mia vita? E come va l’imitazione di Gesù nella mia vita? Come deve imitarlo? Davvero non ti ricordi! Perché il Libro del Vangelo è pieno di polvere, perché mai si apre! Prendi il Libro del Vangelo, aprilo e troverai come imitare Gesù! Pensiamo a queste tre porte come stanno nella nostra vita e ci farà bene a tutti”.








Il Papa: com’è il nostro cuore, fisso nello Spirito o ballerino?

Papa Francesco celebra la Messa mattutina a Casa Santa Marta

19/05/2014
 

Il cristiano abbia un cuore fisso nello Spirito Santo, non un cuore ballerino che va da una parte all’altra. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha incentrato la sua omelia su San Paolo che, ha detto, fu capace di evangelizzare senza sosta perché il suo cuore riceveva fermezza dallo Spirito Santo. Il servizio diAlessandro Gisotti:

 

Com’è il nostro cuore? Papa Francesco ha svolto la sua omelia sul binomio “movimento-fermezza” nel cuore dei cristiani. Il Papa ha preso spunto dalla Prima Lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, dove possiamo ammirare l’impegno per l’evangelizzazione di San Paolo, che ha “cuore fermo ma in continuo movimento”. L’Apostolo delle Genti viene, infatti, da Icònio dove hanno tentato di ucciderlo, ma non si lamenta per questo. Va avanti ad evangelizzare nella zona della Licaònia e, nel nome del Signore, guarisce un paralitico. Succede così che i pagani, avendo visto questo miracolo, pensano che Paolo e Barnaba, che lo accompagna, siano degli dei scesi sulla terra, siano Zeus ed Hermes. Paolo, ha osservato il Pontefice, “ha fatto fatica per convincerli che loro erano uomini”. Queste, ha proseguito, “sono le vicende umane nelle quali Paolo viveva”:

“E noi ne abbiamo tante, tutti noi; noi siamo fra tante vicende, che ci muovono da una parte all’altra. Ma abbiamo chiesto la grazia di avere il cuore fisso, come lo aveva Paolo: per non lamentarsi di quella persecuzione andò a cercare in un’altra città; incominciare a predicare lì; guarire un malato; rendersene conto che quell’uomo aveva la fede sufficiente per essere guarito; poi, calmare questa gente entusiasta che voleva fargli un sacrificio; poi, proclamare che c’è un solo Dio, con il linguaggio culturale loro. Ma, una cosa dietro l’altra... E questo soltanto viene da un cuore fisso”.

“Dove aveva il cuore Paolo – è la domanda di Francesco – per fare tanti cambiamenti in poco tempo e venire incontro alle situazioni in un modo adeguato?” Nel Vangelo, ha affermato il Papa, Gesù ci dice che lo Spirito Santo, inviato dal Padre, “insegnerà ogni cosa” e “ricorderà tutto ciò” che Lui aveva detto. Il cuore di San Paolo, dunque, “è fisso nello Spirito Santo”, questo “dono che Gesù ci ha mandato”. E tutti noi, ha avvertito, “se vogliamo trovare fermezza nella nostra vita” dobbiamo “andare da Lui. Lui è nel nostro cuore, lo abbiamo ricevuto nel Battesimo”. Lo Spirito Santo, ha riaffermato, “ci dà forza, ci dà questa fermezza per andare avanti nella vita fra tante vicende”. E Gesù, ha soggiunto, ci dice “due cose” dello Spirito Santo: “Vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò”. Ed è proprio quello che accade con San Paolo: “gli insegna e gli ricorda” il “messaggio di salvezza”. E’ lo Spirito Santo che dà fermezza al suo cuore:

“Con questo esempio, possiamo oggi chiederci: com’è il mio cuore? E’ un cuore che sembra un ballerino, che va da una parte all’altra, che sembra una farfalla, che oggi piace questo..., che va sempre in movimento; è un cuore che si spaventa delle vicende della vita, e si nasconde e ha paura di dare testimonianza di Gesù Cristo; è un cuore coraggioso o è un cuore che ha tanto timore e cerca sempre di nascondersi? Di che cosa ha cura il nostro cuore? Qual è il tesoro al quale il nostro cuore è attaccato? E’ un cuore fisso nelle creature, nei problemi che tutti abbiamo? E’ un cuore fisso negli dei di tutti i giorni o è un cuore fisso nello Spirito Santo?”

Il Papa ha affermato che ci farà bene domandarci “dov’è la fermezza del nostro cuore”. E anche “fare memoria di tante vicende che noi abbiamo ogni giorno: a casa, nel lavoro, con i figli, con la gente che abita con noi, con i compagni di lavoro, con tutti”:

“Io mi lascio portare da ognuna o vado a queste vicende col cuore fisso, che sa dove è? E l’unico che dà fermezza al nostro cuore è lo Spirito Santo. Ci farà bene pensare che noi abbiamo un bel dono, che ci ha lasciato Gesù, questo Spirito di fortezza, di consiglio, che ci aiuta ad andare avanti in mezzo, andare avanti fra le vicende di tutti i giorni. Facciamo questo esercizio, oggi, di domandarci com’è il nostro cuore: è fermo o no? E se è fermo, dove si ferma? Nelle cose o nello Spirito Santo? Ci farà bene!”









Il Papa: la pace di Gesù non sono cose ma una Persona

Il Papa alla Messa di Casa S. Marta parla della pace di Gesù: è lo Spirito, non sono cose

20/05/2014

Chi accoglie nel cuore lo Spirito Santo avrà una pace solida e senza fine, a differenza di chi sceglie di confidare in modo “superficiale” nelle tranquillità offerte dal denaro o dal potere. È l’insegnamento che Papa Francesco ha proposto all’omelia della Messa mattutina celebrata in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

 

La pace delle cose – i soldi, il potere, la vanità – e la pace in Persona, quella dello Spirito Santo. La prima sempre a rischio di svanire – oggi sei ricco e sei qualcuno, domani no – e la seconda che invece nessuno “può togliere” e che è dunque pace “definitiva”. L’omelia di Papa Francesco è come un passaggio sulle due sponde di uno dei desideri più grandi dell’umanità di ogni tempo. Lo spunto viene da una pagina del Vangelo di Giovanni, proposto dalla liturgia del giorno. Gesù sta per affrontare la Passione e prima di andare annuncia ai discepoli: “Vi do la mia pace”. Una pace, osserva il Papa, che differisce completamente dalla “pace che ci dà il mondo”, perché “un po’ superficiale”, di una “certa tranquillità, anche di una certa gioia”, ma solo “fino a un certo livello”:

“Per esempio, ci offre la pace delle ricchezze: ‘Ma, io sono in pace perché ho tutto sistemato per vivere, per tutta la mia vita, non devo preoccuparmi…’. Questa è una pace che dà il mondo. Non ti preoccupi, non avrai problemi perché tu hai tanto denaro… La pace della ricchezza. E Gesù ci dice di non avere fiducia in questa pace, perché con grande realismo ci dice: ‘Guardate che ci sono i ladri… I ladri possono rubare le tue ricchezze!’. Non è una pace definiva quella che ti dà i soldi. Anche pensate che il metallo pure si arrugginisce, no? Cosa vuol dire? Un crollo della Borsa e tutti i tuoi soldi se ne andranno! Non è una pace sicura: è una pace superficiale, temporale”.

E con lo stesso disincanto Papa Francesco soppesa altri due tipi di pace mondana. La prima, quella del “potere” che pure – dice – “non funziona”: un colpo di Stato te la toglie”. Pensate, soggiunge, a che fine  ha fatto la “pace di Erode” quando  i Magi “gli hanno detto che era nato il Re d’Israele: quella pace se n’è andata via subito!”. Oppure la pace della “vanità”, che Papa Francesco definisce una “pace di congiuntura, “oggi sei stimato e domani sarai insultato”, come Gesù tra la Domenica delle Palme e il Venerdì Santo. Di tutt’altra consistenza è invece la pace che dona Gesù:

“La pace di Gesù è una Persona, è lo Spirito Santo! Lo stesso giorno della Resurrezione, Lui viene al Cenacolo e il saluto è: ‘La pace sia con voi. Ricevete lo Spirito Santo’. Questa è la pace di Gesù: è una Persona, è un regalo grande. E quando lo Spirito Santo è nel nostro cuore, nessuno può toglierne la pace. Nessuno! E’ una pace definitiva! Il nostro lavoro qual è? Custodire questa pace. Custodirla! E’ una pace grande, è una pace che non è mia, è di un’altra Persona che me la regala, di un’altra Persona che è dentro il mio cuore e che mi accompagna tutta la vita. Il Signore me la ha data!”.

Questa pace si riceve con il Battesimo e con la Cresima ma soprattutto – afferma Papa Francesco – “si riceve come un bambino riceve il regalo”, “senza condizione, a cuore aperto”. E lo Spirito Santo va custodito senza “ingabbiarlo”, chiedendo aiuto a questo “grande regalo” di Dio:

“Se voi avete questa pace dello Spirito, se voi avete lo Spirito dentro di voi e siete consci di questo, non sia turbato il vostro cuore. Siete sicuri! Paolo ci diceva che per entrare nel Regno dei Cieli è necessario passare per tante tribolazioni. Ma tutti, tutti noi, ne abbiamo tante, tutti! Più piccole, più grandi… ‘Ma non sia turbato il vostro cuore’: e questa è la pace di Gesù. La presenza dello Spirito fa che il nostro cuore sia in pace. Non anestetizzato, no! In pace! Conscio, in pace: con quella pace che soltanto la presenza di Dio dà”.






Francesco: la salute di un cristiano si vede dalla gioia

Papa Francesco, nella Messa a Casa Santa Marta, ha parlato della gioia del cristiano.


22/05/2014

La gioia è “il sigillo del cristiano”, anche nei dolori e nelle tribolazioni. E’ quanto affermato da Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che è impossibile un cristiano triste ed ha sottolineato che è lo Spirito Santo che ci insegna ad amare e ci riempie di gioia. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

Gesù, ha esordito Papa Francesco, prima di andare in Cielo, ha parlato di tante cose, ma si soffermava sempre su “tre parole chiave”: “Pace, amore e gioia”. Sulla pace, ha ribadito, “ci diceva che non ci dà una pace, come la dà il mondo”, ma ci dà una “pace per sempre”. Sull’amore, ha proseguito, ha detto tante volte “che il comandamento era amare Dio e amare il prossimo” e ha fatto quasi un “protocollo”, in Matteo 25, “sul quale noi tutti saremo giudicati”. Nel Vangelo odierno, ha quindi osservato, “Gesù sull’amore dice una cosa nuova: ‘Non solo amate, ma rimanete nel mio amore’”:

“La vocazione cristiana è questo: rimanere nell’amore di Dio, cioè, respirare, vivere di quell’ossigeno, vivere di quell’aria. Rimanere nell’amore di Dio. E con questo chiude la profondità del suo discorso sull’amore e va avanti. E com’è l’amore suo? ‘Come il Padre ha amato me, anche Io ho amato voi’. E’ un amore che viene dal Padre. Il rapporto d’amore fra Lui e il Padre è anche un rapporto d’amore fra Lui e noi. E a noi chiede di rimanere in questo amore, che viene dal Padre”.

“Una pace – ha ripreso – che non viene dal mondo, la dà Lui. Un amore che non viene dal mondo, che viene dal Padre”. Quindi, Papa Francesco si è soffermato sull’esortazione di Gesù: “Rimanete nel mio amore”. Il segno che noi “rimaniamo nell’amore di Gesù”, ha evidenziato, “è custodire i Comandamenti”. Non basta seguirli. “Quando noi rimaniamo nell’amore – ha detto – sono i Comandamenti che vengono da soli, dall’amore”. L’amore, ha ribadito, “ci porta a compiere i Comandamenti, così, naturalmente. La radice dell’amore fiorisce nei Comandamenti”. E questi, è stata la sua riflessione, sono “come il filo” che lega una “catena: il Padre, Gesù, noi”.

Francesco ha così rivolto l’attenzione alla gioia:

“La gioia, che è come il segno del cristiano. Un cristiano senza gioia o non è cristiano o è ammalato. Non c’è un’altra! La sua salute non va bene lì! La salute cristiana. La gioia! Una volta ho detto che ci sono cristiani con la faccia da peperoncino in aceto… Sempre la faccia così! Anche l’anima così, questo è brutto! Questi non sono cristiani. Un cristiano senza gioia non è cristiano. E’ come il sigillo del cristiano, la gioia. Anche nei dolori, nelle tribolazioni, nelle persecuzioni pure”.

Dei primi martiri, ha rammentato, si diceva che andavano “al martirio come se andassero a nozze”. E’ la gioia del cristiano, ha detto, “che custodisce la pace e custodisce l’amore”. Pace, amore e gioia, “tre parole che Gesù ci lascia”. E chi fa questa pace, questo amore, “chi – si è domandato il Papa - ci dà la gioia? E’ lo Spirito Santo”:

“Il grande dimenticato della nostra vita! Io avrei voglia di domandarvi - ma non lo farò, eh! - di domandarvi: quanti di voi pregate lo Spirito Santo? Non alzate la mano... E’ il gran dimenticato, il grande dimenticato! E Lui è il dono, il dono che ci dà la pace, che ci insegna ad amare e che ci riempie di gioia. Nella preghiera abbiamo chiesto al Signore: ‘Custodisci il tuo dono’. Abbiamo chiesto la grazia che il Signore custodisca lo Spirito Santo in noi. Il Signore ci dia questa grazia: di custodire sempre lo Spirito Santo in noi, quello Spirito che ci insegna ad amare, ci riempie di gioia e ci dà la pace”.   





Caterina63
00venerdì 30 maggio 2014 21:09

Il Papa: la vita cristiana non è una festa, ma “gioia in speranza”

Messa di Papa Francesco a Casa Santa Marta

30/05/2014

“La vostra tristezza si cambierà in gioia”. La promessa di Gesù ai suoi discepoli è stata al centro della Messa mattutina di Papa Francesco a Casa Santa Marta. Nella sua omelia, il Pontefice ha come intonato un inno alla gioia cristiana, che, ha osservato, non si può comprare ma solo ricevere come dono del Signore. La gioia dei cristiani, ha detto ancora, è la “gioia in speranza”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

San Paolo “era molto coraggioso”, “perché aveva la forza nel Signore”. Papa Francesco ha sviluppato da questa constatazione la sua omelia, tutta incentrata sulla gioia del cristiano. Certo, ha osservato, alcune volte anche l’Apostolo delle Genti aveva paura. “Succede a tutti noi nella vita un po’ di paura”, ha soggiunto. E ci si chiede se “non sarebbe meglio abbassare un po’ il livello e essere un po’ non tanto cristiano e cercare un compromesso con il mondo”. Paolo, però, sapeva che quanto “lui faceva non piaceva né ai giudei, né ai pagani”, ma non si ferma e perciò deve sopportare problemi e persecuzioni. Questo, ha soggiunto, “ci fa pensare alle nostre paure, ai nostri timori”. Anche Gesù nel Getsemani ha avuto paura, angoscia. E nel suo discorso di congedo, ha rammentato il Papa, ai suoi discepoli dice chiaramente che il “mondo si rallegrerà” per le loro sofferenze, come succederà con i primi martiri al Colosseo:

“E noi dobbiamo dircela la verità: non tutta la vita cristiana è una festa. Non tutta! Si piange, tante volte si piange. Quando tu sei ammalato; quando hai un problema in famiglia col figlio, con la figlia, la moglie, il marito; quanto tu vedi che lo stipendio non arriva alla fine del mese e hai un figlio malato; quando tu vedi che non puoi pagare il mutuo della casa e dovete andarvene via… Tanti problemi, tanti che noi abbiamo. Ma Gesù ci dice: ‘Non avere paura!’. ‘Sì, sarete tristi, piangerete e anche la gente si rallegrerà, la gente che è contraria a te’”.

“Ma anche – ha proseguito – c’è un’altra tristezza: la tristezza che ci viene a tutti noi quando andiamo per una strada che non è buona”. Quando, “per dirlo semplicemente”, “andiamo a comprare la gioia, l’allegria, quella del mondo, quella del peccato, alla fine c’è il vuoto dentro di noi, c’è la tristezza”. E questa, ha ribadito, “è la tristezza della cattiva allegria”. La gioia cristiana, invece, “è una gioia in speranza, che arriva”:

“Ma nel momento della prova noi non la vediamo. E’ una gioia che viene purificata dalle prove e anche dalle prove di tutti i giorni: ‘La vostra tristezza si cambierà in gioia’. Ma è difficile quando tu vai da un ammalato o da una ammalata, che soffre tanto, dire: ‘Coraggio! Coraggio! Domani tu avrai gioia!’. No, non si può dire! Dobbiamo farlo sentire come lo ha fatto sentire Gesù. Anche noi, quando siamo proprio nel buio, che non vediamo nulla: ‘Io so, Signore, che questa tristezza cambierà in gioia. Non so come, ma lo so!’. Un atto di fede nel Signore. Un atto di fede!”

Per capire la tristezza che si trasforma in gioia, ha detto ancora, Gesù prende l’esempio della donna che partorisce: “E’ vero, nel parto la donna soffre tanto – ha affermato il Papa – ma poi quando ha il bambino con sé, si dimentica”. Quello che rimane, dunque, è “la gioia di Gesù, una gioia purificata”. Quella è “la gioia che rimane”. Una gioia, ha riconosciuto, “nascosta in alcuni momenti della vita, che non si sente nei momenti brutti, ma che viene dopo: una gioia in speranza”. Questo, quindi, “è il messaggio della Chiesa di oggi: non avere paura!”:

“Essere coraggioso nella sofferenza e pensare che dopo viene il Signore, dopo viene la gioia, dopo il buio arriva il sole. Che il Signore ci dia a tutti noi questa gioia in speranza. E il segno che noi abbiamo questa gioia in speranza è la pace. Quanti ammalati, che sono alla fine della vita, con i dolori, hanno quella pace nell’anima… Questo è il seme della gioia, questa è la gioia in speranza, la pace. ‘Tu hai pace nell’anima nel momento del buio, nel momento delle difficoltà, nel momento delle persecuzioni, quando tutti si rallegrano del tuo male? Hai pace? Se hai pace, tu hai il seme di quella gioia che verrà dopo’. Che il Signore ci faccia capire queste cose”.



Il Papa: matrimonio cristiano è fedele, perseverante e fecondo

Papa Francesco alla Messa a Casa S. Marta parla del matrimonio cristiano

02/06/2014

Fedele, perseverante, fecondo. Sono queste le tre caratteristiche dell’amore che Gesù nutre verso la Chiesa, la sua Sposa. E queste sono anche le caratteristiche di un autentico matrimonio cristiano. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa mattutina celebrata in Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Una quindicina di coppie, una quindicina di storie matrimoniali, di famiglia, cominciate 25, 50, 60 anni fa davanti a un altare e che davanti all’altare di Papa Francesco si ritrovano assieme per ringraziare Dio del traguardo raggiunto. Una scena insolita per la cappella di Casa S. Marta, che offre al Papa l’occasione di riflettere sui tre pilastri che nella visione della fede devono sostenere un amore sponsale: fedeltà, perseveranza, fecondità. Modello di riferimento, spiega, sono i “tre amori di Gesù” per il Padre, per sua Madre, per la Chiesa. “Grande” è l’amore di Gesù per quest’ultima, afferma Papa Francesco: “Gesù sposò la Chiesa per amore”. E’ “la sua sposa: bella, santa, peccatrice, ma la ama lo stesso”. E il suo modo di amarla mette in mostra, dice, le “tre caratteristiche” di questo amore:

“È un amore fedele; è un amore perseverante, non si stanca mai di amare la sua Chiesa; è un amore fecondo. E’ un amore fedele! Gesù è il fedele! San Paolo, in una delle sue Lettere, dice: ‘Se tu confessi Cristo, Lui ti confesserà, a te, davanti al Padre; se tu rinneghi Cristo, Lui ti rinnegherà, a te; se tu non sei fedele a Cristo, Lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso!’. La fedeltà è proprio l’essere dell’amore di Gesù. E l’amore di Gesù nella sua Chiesa è fedele. Questa fedeltà è come una luce sul matrimonio. La fedeltà dell’amore. Sempre”.

Fedele sempre, ma anche sempre instancabile nella sua perseveranza. Proprio come l’amore di Gesù per la sua Sposa. "Tante volte" Gesù perdona la Chiesa e allo stesso modo, constata Papa Francesco, anche all'interno della coppia alle volte "si chiede perdono" e così "l'amore matrimoniale va avanti":

“La vita matrimoniale deve essere perseverante, deve essere perseverante. Perché al contrario l’amore non può andare avanti. La perseveranza nell’amore, nei momenti belli e nei momenti difficili, quando ci sono i problemi: i problemi con i figli, i problemi economici, i problemi qui, i problemi là. Ma l’amore persevera, va avanti, sempre cercando di risolvere le cose, per salvare la famiglia. Perseveranti: si alzano ogni mattina, l’uomo e la donna, e portano avanti la famiglia”.

Terzo tratto, la “fecondità”. L’amore di Gesù, osserva Papa Francesco, “fa feconda la Chiesa con nuovi figli, Battesimi, e la Chiesa cresce con questa fecondità nuziale”. In un matrimonio questa fecondità può essere talvolta messa alla prova, quando i figli non arrivano o sono ammalati. In queste prove, sottolinea il Papa, ci sono coppie che “guardano Gesù e prendono la forza della fecondità che Gesù ha con la sua Chiesa”. Mentre, sul versante opposto, conclude, “ci sono cose che a Gesù non piacciono”, ovvero i matrimoni sterili per scelta:

“Questi matrimoni che non vogliono i figli, che vogliono rimanere senza fecondità. Questa cultura del benessere di dieci anni fa ci ha convinto: ‘E’ meglio non avere i figli! E’ meglio! Così tu puoi andare a conoscere il mondo, in vacanza, puoi avere una villa in campagna, tu stai tranquillo’... Ma è meglio forse - più comodo – avere un cagnolino, due gatti, e l’amore va ai due gatti e al cagnolino. E’ vero o no questo? Lo avete visto voi? E alla fine questo matrimonio arriva alla vecchiaia in solitudine, con l’amarezza della cattiva solitudine. Non è fecondo, non fa quello che Gesù fa con la sua Chiesa: la fa feconda”.







Il Papa: Gesù prega per noi il Padre mostrandogli le piaghe

Messa di Papa Francesco a Casa S. Marta

03/06/2014

Gesù prega per ognuno di noi, mostrando al Padre le sue piaghe. E’ uno dei passaggi forti dell’omelia di Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che Gesù è il nostro avvocato che ci difende, anche se siamo colpevoli e abbiamo commesso tanti peccati. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

Il congedo di Gesù, il congedo di San Paolo. Le letture del giorno hanno offerto a Papa Francesco un’occasione per soffermarsi sulla preghiera di intercessione. Quando Paolo se ne va da Mileto, ha osservato, sono tutti tristi e così era accaduto ai discepoli quando Gesù aveva pronunciato il discorso di congedo prima di “andare al Getsemani e incominciare la Passione”. Il Signore, ha proseguito, li consola, e “c’è una piccola frase del congedo di Gesù che fa pensare”. Gesù, ha rammentato il Papa, “parla con il Padre, in questo discorso, e dice: ‘Io prego per loro’. Gesù prega per noi”. Come aveva pregato per Pietro e per Lazzaro davanti alla tomba. Gesù ci dice: “Tutti voi siete del Padre. E io prego per voi davanti al Padre”. Gesù non prega per il mondo, “prega per noi”, “prega per la sua Chiesa”:

“L’apostolo Giovanni, pensando a queste cose e parlando di noi che siamo tanto peccatori, dice: ‘Non peccate, ma se qualcuno di voi pecca, sapete che abbiamo un avvocato davanti al Padre, uno che prega per noi, ci difende davanti al Padre, ci giustifica’. Credo che dobbiamo pensare tanto a questa verità, a questa realtà: in questo momento, Gesù sta pregando per me. Io posso andare avanti nella vita perché ho un avvocato che mi difende e se io sono colpevole e ho tanti peccati… è un buon avvocato difensore, questo, e parlerà al Padre di me”.

“Lui – ha detto – è il primo” avvocato che invia poi il Paraclito. Quando noi in parrocchia, a casa, in famiglia “abbiamo qualche necessità, qualche problema”, ha soggiunto, dobbiamo chiedere a Gesù di pregare per noi. “E oggi come prega Gesù? Io – ha affermato Francesco – credo che non parli troppo con il Padre”:

“Non parla: ama. Ma c’è una cosa che Gesù fa, oggi, sono sicuro che la faccia. Gli fa vedere al Padre le sue piaghe e Gesù, con le sue piaghe, prega per noi come se dicesse al Padre: 'Ma, Padre, questo è il prezzo di questi! Aiutali, proteggili. Sono i tuoi figli che io ho salvato, con questo’. Al contrario, non si capisce perché Gesù dopo la Risurrezione ha avuto questo corpo glorioso, bellissimo – non c’erano i lividi, non c’erano le ferite della flagellazione, tutto bello – ma c’erano le piaghe. Le cinque piaghe. Perché Gesù ha voluto portarle in cielo? Perché? Per pregare per noi. Per fare vedere al Padre il prezzo: ‘Questo è il prezzo, adesso non lasciarli da soli. Aiutali’”.

“Noi dobbiamo avere questa fede – ha ripreso Papa Francesco – che Gesù in questo momento intercede davanti al Padre per noi, per ognuno di noi”. E quando noi preghiamo, è stata la sua esortazione, non dobbiamo dimenticare di chiedere a Gesù di pregare per noi:

“‘Gesù, prega per me. Fai vedere al Padre le Tue piaghe che sono anche le mie, sono le piaghe del mio peccato. Sono le piaghe del mio problema in questo momento’. Gesù intercessore soltanto fa vedere al Padre le sue piaghe. E questo succede oggi, in questo momento. Prendiamo la parola che Gesù ha detto a Pietro: ‘Pietro, io pregherò per te perché la tua fede non venga meno’”.

“Siamo sicuri – ha ribadito – che Lui sta facendo questo per ognuno di noi”. Dobbiamo avere fiducia, ha concluso, “in questa preghiera di Gesù con le sue piaghe davanti al Padre”.



Il Papa: no ai cristiani uniformisti, alternativisti e vantaggisti

Messa di Papa Francesco a Casa Santa Marta

05/06/2014

La Chiesa “non è rigida”, la Chiesa “è libera”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco alla Messa mattutina a Casa Santa Marta. Nel sua omelia, il Pontefice ha messo in guardia da tre gruppi di persone che pretendono di chiamarsi cristiani: gli “uniformisti”, gli “alternativisti” e i “vantaggisti”. Per costoro, ha osservato, “la Chiesa non è casa loro”, la prendono “in affitto”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

Gesù prega per la Chiesa e chiede al Padre che tra i suoi discepoli “non ci siano divisioni e liti”. Papa Francesco ha preso spunto dal Vangelo del giorno per soffermarsi proprio sull’unità nella Chiesa. “Tanti – ha osservato – dicono di essere nella Chiesa”, ma “sono con un piede dentro” e “l’altro ancora non è entrato”. Si riservano, così, la “possibilità di essere in ambedue i posti”, “dentro e fuori”. “Per questa gente – ha ammonito Francesco – la Chiesa non è la loro casa, non la sentono come propria. Per loro è un affitto”. Ci sono “alcuni gruppi – ha ribadito – che affittano la Chiesa, ma non la considerano la loro casa”. Il Papa ha, dunque, enumerato tre gruppi di cristiani: nel primo ci sono “quelli che vogliono che tutti siano uguali nella Chiesa”. “Martirizzando un po’ la lingua italiana”, ha scherzato,  potremmo definirli gli “uniformisti”:

“L’uniformità. La rigidità. Sono rigidi! Non hanno quella libertà che dà lo Spirito Santo. E fanno confusione fra quello che Gesù ha predicato nel Vangelo con la loro dottrina, la loro dottrina di uguaglianza. E Gesù mai ha voluto che la sua Chiesa fosse così rigida. Mai. E questi, per tale atteggiamento, non entrano nella Chiesa. Si dicono cristiani, si dicono cattolici, ma il loro atteggiamento rigido li allontana dalla Chiesa”.

Un altro gruppo – ha proseguito – è fatto di quelli che hanno sempre una propria idea, "che non vogliono che sia come quella della Chiesa, hanno un’alternativa”. Sono, ha detto il Papa, gli “alternativisti”:

“Io entro nella Chiesa, ma con questa idea, con questa ideologia. E così la loro appartenenza alla Chiesa è parziale. Anche questi hanno un piede fuori della Chiesa. Anche per questi la Chiesa non è casa loro, non è propria. Affittano la Chiesa ad un certo punto. Al principio della predicazione evangelica ce n’erano! Pensiamo agli gnostici, che l’Apostolo Giovanni bastona tanto forte, no? ‘Siamo... sì, sì... siamo cattolici, ma con queste idee’. Un’alternativa. Non condividono quel sentire proprio della Chiesa”.

E il terzo gruppo, ha detto, è di quelli che “si dicono cristiani, ma non entrano dal cuore nella Chiesa”: sono i “vantaggisti”, quelli che “cercano i vantaggi, e vanno alla Chiesa, ma per vantaggio personale, e finiscono facendo affari nella Chiesa”:

“Gli affaristi. Li conosciamo bene! Ma dal principio ce n’erano. Pensiamo a Simone il Mago, pensiamo ad Anania e a Saffira. Questi approfittavano della Chiesa per il proprio profitto. E li abbiamo visti nelle comunità parrocchiali o diocesane, nelle congregazioni religiose, alcuni benefattori della Chiesa, tanti, eh! Si pavoneggiavano di essere proprio benefattori e alla fine, dietro il tavolo, facevano i loro affari. E questi, anche, non sentono la Chiesa come madre, come propria. E Gesù dice: ‘No! La Chiesa non è rigida, una, sola: la Chiesa è libera!’”.

Nella Chiesa, è stata la sua riflessione, “ci sono tanti carismi, c’è una grande diversità di persone e di doni dello Spirito!”. Il Signore, ha proseguito Papa Francesco, ci dice: “Se tu vuoi entrare nella Chiesa, che sia per amore”, per dare “tutto il cuore e non per fare affari a tuo profitto”. La Chiesa, ha rimarcato, “non è una casa da affittare”, la Chiesa “è una casa per vivere”, “come madre propria”.

Il Papa riconosce che questo non è facile, perché “le tentazioni sono tante”. Ma, ha evidenziato, a fare l’unità nella Chiesa, “l’unità nella diversità, nella libertà, nella generosità soltanto è lo Spirito Santo”, “questo è il suo compito”. Lo Spirito Santo, ha soggiunto, “fa l’armonia nella Chiesa. L’unità nella Chiesa è armonia”. Tutti, ha osservato, “siamo diversi, non siamo uguali, grazie a Dio”, altrimenti “sarebbe un inferno!”. E “tutti siamo chiamati alla docilità allo Spirito Santo”. Proprio questa docilità, ha detto il Papa, è “la virtù che ci salverà dall’essere rigidi, dall’essere ‘alternativisti’ e dall’essere ‘vantaggisti’ o affaristi nella Chiesa: la docilità allo Spirito Santo”. Ed è proprio “questa docilità che trasforma la Chiesa da una casa in affitto ad una casa propria”.

“Che il Signore – ha concluso il Pontefice – ci invii lo Spirito Santo e che faccia questa armonia nelle nostre comunità - comunità parrocchiali, diocesane, comunità dei movimenti - che sia lo Spirito a fare questa armonia, perché come diceva un Padre della Chiesa: Lo Spirito, Lui stesso è l’armonia”.






Caterina63
00sabato 7 giugno 2014 15:30

Il Papa ai sacerdoti: Gesù, il "primo amore" non si dimentica mai




Il Papa alla Messa a S. Marta: i sacerdoti non dimentichino mai il "primo amore"





06/06/2014



Pastori, prima che studiosi, che non dimenticano mai Cristo, il loro “primo amore”, e restano sempre alla sua sequela: è questo il ritratto che Papa Francesco, all’omelia della Messa celebrata in Casa S. Marta, ha fatto di tutti gli uomini consacrati a Dio nel sacerdozio. Il servizio di Alessandro De Carolis:

“Come va il primo amore?”. Cioè, sono innamorato di te come il primo giorno? Sono felice con te o ti ignoro? Domande universali che bisogna farsi spesso, dice Papa Francesco. E non solo i coniugi all’interno di una coppia, ma anche preti, vescovi, di fronte a Gesù. Perché è Lui, afferma, che ci domanda come un giorno fece con Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”. L’omelia del Papa prende avvio proprio da questo dialogo del Vangelo in cui Cristo chiede per tre volte al primo degli Apostoli se lo ami più degli altri, un modo - osserva - per portarlo "al primo amore": 

“Questa è la domanda che faccio a me, ai miei fratelli vescovi e ai sacerdoti: come fa l’amore di oggi, quello che fa Gesù, no? E’ come il primo? Sono innamorato come il primo giorno? O il lavoro, le preoccupazioni un po’ mi fanno guardare altre cose, e dimenticare un po’ l’amore? Ma i coniugi litigano, litigano. E quello è normale. Ma quando non c’è amore, non si litiga: si rompe".

"Mai dimenticare il primo amore. Mai", ribadisce Papa Francesco, il quale mette in risalto altri tre aspetti da tenere presenti nel rapporto di dialogo di un sacerdote con Gesù. Essere prima di tutto – prima dello studio, prima del voler diventare “un intellettuale della filosofia o della teologia o della patrologia – un “pastore”, così come Gesù sollecitò Pietro: “Pasci le mie pecorelle”. Il resto, sostiene il Papa, viene “dopo”:

“Pasci. Con la teologia, con la filosofia, con la patrologia, con quello che studi, ma pasci. Sii pastore. Perché il Signore ci ha chiamati per questo. E le mani del vescovo sulla nostra testa è per essere pastori. E’ una seconda domanda, no? La prima è: ‘Come va il primo amore?’. Questa, la seconda: ‘Sono pastore, o sono un impiegato di questa ong che si chiama Chiesa?’. C’è una differenza. Sono pastore? Una domanda che io devo farmi, i vescovi devono fare, anche i preti: tutti. Pasci. Pascola. Vai avanti”.

E non c’è “gloria” né “maestà”, osserva Papa Francesco, per il pastore consacrato a Gesù: “No, fratello. Finirà nel modo più comune, anche più umiliante, tante volte: a letto, che ti danno da mangiare, che ti devono vestire… Ma inutile, lì, ammalato…”. Il destino è “finire – ripete – come è finito Lui”: amore che muore “come il seme del grano e così poi verrà il frutto. Ma io non lo vedrò”. Infine, il quarto aspetto, la “parola più forte”, indica Papa Francesco, con la quale Gesù conclude il suo dialogo con Pietro, “seguimi”:

“Se noi abbiamo perso l’orientamento o non sappiamo come rispondere sull’amore, non sappiamo come rispondere su questo essere pastori, non sappiamo come rispondere o non abbiamo la certezza che il Signore non ci lascerà da soli anche nei momenti più brutti della vita, nella malattia, Lui dice: ‘Seguimi’. E’ questa, la nostra certezza. Sulle impronte di Gesù. Su quella strada. ‘Seguimi’”.

A tutti noi sacerdoti e vescovi, termina Papa Francesco, il Signore dia “la grazia di trovare sempre o ricordare il primo amore, di essere pastori, di non avere vergogna di finire umiliati su un letto o anche persi di testa. E che sempre ci dia la grazia di andare dietro a Gesù, sulle impronte di Gesù: la grazia di seguirlo”. 




Il Papa: le Beatitudini, programma pratico di santità

Messa di Papa Francesco a Casa Santa Marta

09/06/2014

Le Beatitudini sono il programma di vita del cristiano. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha incentrato proprio sulle Beatitudini la sua omelia, rimarcando – all’indomani dello storico incontro di pace in Vaticano – che bisogna avere il coraggio della mitezza per sconfiggere l’odio. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

Le Beatitudini sono il “programma”, “la carta d’identità del cristiano”. Papa Francesco ha offerto, nella sua omelia, una intensa meditazione sulle Beatitudini, di cui parla il Vangelo odierno. “Se qualcuno di noi – ha affermato – fa la domanda: ‘Come si fa per diventare un buon cristiano?’”, qui troviamo la risposta di Gesù che ci indica cose “tanto controcorrente” rispetto a quello che abitualmente “si fa nel mondo”. Beati i poveri in spirito. “Le ricchezze – ha avvertito il Papa – non ti assicurano niente. Di più: quando il cuore è ricco, è tanto soddisfatto di se stesso, che non ha posto per la Parola di Dio”. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati:

“Ma il mondo ci dice: la gioia, la felicità, il divertimento, quello è il bello della vita. E ignora, guarda da un’altra parte, quando ci sono problemi di malattia, problemi di dolore nella famiglia. Il mondo non vuole piangere, preferisce ignorare le situazioni dolorose, coprirle. Soltanto la persona che vede le cose come sono, e piange nel suo cuore, è felice e sarà consolata. La consolazione di Gesù, non quella del mondo. Beati i miti in questo mondo che dall’inizio è un mondo di guerre, un mondo dove dappertutto si litiga, dove dappertutto c’è l’odio. E Gesù dice: niente guerre, niente odio, pace, mitezza”.

Se io sono “mite nella vita”, ha proseguito, “penseranno che io sono uno stolto”. Pensino pure quello, ha detto il Papa, “ma tu sei mite, perché con questa mitezza avrai in eredità la Terra”. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, beati – ha soggiunto – quelli “che lottano per la giustizia, perché ci sia giustizia nel mondo”. “E’ tanto facile – ha ammonito – entrare nelle cricche della corruzione”, “quella politica quotidiana del do ut des.Tutto è affari”. E “quante ingiustizie. Quanta gente che soffre per queste ingiustizie”. E Gesù dice: “Sono beati quelli che lottano contro queste ingiustizie”. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. I misericordiosi, ha affermato, “quelli che perdonano, che capiscono gli errori degli altri”. Gesù, ha evidenziato il Papa, non dice “beati quelli che fanno la vendetta, che si vendicano”:

“Beati quelli che perdonano, misericordiosi. Perché tutti noi siamo un esercito di perdonati! Tutti noi siamo stati perdonati. E per questo è beato quello che va per questa strada del perdono. Beati i puri di cuore, che hanno un cuore semplice, puro, senza sporcizie, un cuore che sa amare con quella purità tanto bella. Beati gli operatori di pace. Ma, è tanto comune da noi essere operatori di guerre o almeno operatori di malintesi! Quando io sento una cosa da questo e vado da quello e la dico e anche faccio una seconda edizione un po’ allargata e la riporto… Il mondo delle chiacchiere. Questa gente che chiacchiera, non fa pace, sono nemici della pace. Non sono beati”.

Beati i perseguitati per la giustizia. Quanta gente, ha constatato, “è perseguitata, è stata perseguitata semplicemente per avere lottato per la giustizia”. Questo delle Beatitudini, ha ripreso il Papa, “è il programma di vita che ci propone Gesù”, “tanto semplice, ma tanto difficile”. E, ha proseguito, “se noi volessimo qualcosa di più, Gesù ci dà anche altre indicazioni”, quel “protocollo sul quale noi saremo giudicati”, nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: “Sono stato affamato e mi hai dato da mangiare, ero assetato e mi hai dato da bere, ero ammalato e mi hai visitato, ero in carcere e sei venuto a trovarmi”. Con queste due cose – Beatitudini e Matteo 25 – “si può vivere la vita cristiana a livello di santità”:

“Poche parole, semplici parole, ma pratiche a tutti, perché il cristianesimo è una religione pratica: non è per pensarla, è per praticarla, per farla. Oggi, se voi avete un po’ di tempo a casa, prendete il Vangelo, il Vangelo di Matteo, capitolo quinto, all’inizio ci sono queste Beatitudini; capitolo 25, ci sono le altre. E vi farà bene leggerlo una volta, due volte, tre volte. Ma leggere questo, che è il programma di santità. Che il Signore ci dia la grazia di capire questo suo messaggio”.





 

Il Papa: Gesù ci chiede il coraggio di fare accordi per fermare l’odio

Messa del Papa a Casa Santa Marta

12/06/2014

Gesù ci insegna tre criteri per superare i conflitti tra noi: realismo, coerenza, filiazione. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, incentrata sull’amore fraterno, insegnato da Gesù ai suoi discepoli. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Come deve essere l’amore fra noi, secondo Gesù? Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia soffermandosi sul passo del Vangelo odierno che racconta il dialogo del Signore con i suoi discepoli sull’amore fraterno. Gesù, ha osservato il Papa, ci dice che dobbiamo amare il prossimo, ma non come i farisei che non erano coerenti e “facevano tante sfumature di idee – perché erano ideologi”. Il loro atteggiamento, ha osservato, “non era amore”, era “indifferenza verso il prossimo”. Gesù, ha detto, “ci dà tre criteri”:

“Primo, un criterio di realismo: di sano realismo. Se tu hai qualcosa contro un altro e non puoi sistemare, cercare una soluzione, ma mettetevi d’accordo, almeno; ma, mettiti d’accordo con il tuo avversario, mentre sei in cammino. Non sarà l’ideale, ma l’accordo è una cosa buona. E’ realismo”.

“Lo sforzo di fare un accordo”, ha soggiunto, anche se c’è chi lo ritiene “una cosa troppo volgare”. Per salvare tante cose, infatti, “si deve fare un accordo. E uno fa un passo, l’altro fa un altro passo e almeno c’è la pace: una pace molto provvisoria, ma la pace dell’accordo”. Gesù, ha soggiunto, “dice anche questo, la capacità di fare accordi tra noi e superare la giustizia dei farisei, dei dottori della legge, di questa gente”. Ci sono “tante situazioni umane”, ha aggiunto, e “mentre siamo in cammino, facciamo un accordo”, “così fermiamo l’odio, la lotta tra noi”. Un secondo criterio che ci dà Gesù, ha detto, “è il criterio della verità”. E qui Papa Francesco ha avvertito che “sparlare dell’altro è uccidere, perché alla radice è lo stesso odio”, “lo uccidi” in “un un’altra maniera: con le chiacchiere, con le calunnie, con la diffamazione”. E Gesù ci avverte: “Quello che gli dice stupido, questo sta uccidendo il fratello, perché ha una radice d’odio”:

“E oggi pensiamo che non uccidere il fratello sia non ammazzarlo, ma no: non ucciderlo è non insultarlo. L’insulto nasce dalla stessa radice del crimine: è la stessa. L’odio. Se tu non hai odio, e non ucciderai il tuo nemico, tuo fratello, non insultarlo nemmeno. Ma cercare insulti è un’abitudine molto comune tra noi. C’è gente che per esprimere il suo odio contro un’altra persona ha una capacità di fiorire con questi fiori d’insulto, impressionante, tanto! E questo fa male. Sgridare. L’insulto … No, siamo realisti. Il criterio del realismo. Il criterio di coerenza. Non uccidere, non insultare”.

Il terzo criterio che ci dà Gesù, ha ripreso il Papa, “è un criterio di filiazione”. “Se tu, se noi non dobbiamo uccidere il fratello – ha affermato – è perché è fratello, cioè abbiamo lo stesso Padre. Io non posso andare dal Padre se non ho pace con il mio fratello”. “Non parlare con il Padre se non sei in pace con tuo fratello - è stata l’esortazione del Pontefice - almeno con un accordo”:

“Non parlare con il Padre senza essere in pace con il fratello. Tre criteri: un criterio di realismo, un criterio di coerenza, cioè non ammazzare ma nemmeno insultare, perché chi insulta ammazza, uccide; e un criterio di filiazione: non si può parlare con il Padre se non posso parlare con il mio fratello. E questo è superare la giustizia, quella degli scribi e dei farisei. Questo programma non è facile, no? Ma è la via che Gesù ci indica per andare avanti. Chiediamo a Lui la grazia di poter andare avanti in pace fra noi, sia con gli accordi ma sempre con coerenza e con spirito di filiazione”.




Il Papa: Dio ci prepara bene a svolgere la nostra missione

Papa Francesco alla Messa in Casa S. Marta

13/06/2014

Quando il Signore vuole affidarci una missione, “ci prepara” per farla “bene”. E la nostra risposta deve basarsi sulla preghiera e la fedeltà. È il pensiero di sintesi dell’omelia sviluppata da Papa Francesco alla Messa del mattino celebrata in Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Si può essere un giorno coraggiosi avversatori dell’idolatria al servizio di Dio e quello dopo depressi al punto tale da voler morire perché qualcuno, nel corso del nostra missione, ci ha spaventati. A riequilibrare questi due estremi della forza e della fragilità umana è e sarà sempre Dio, purché si resti fedeli a Lui. È la storia del Profeta Elia, descritta nella lettura del Libro dei Re e presa da Papa Francesco nel suo insieme come modello dell’esperienza di ogni persona di fede. Il celebre brano liturgico del giorno mostra Elia sul Monte Oreb che riceve l’invito a uscire dalla caverna dove si trovava e a presentarsi al cospetto di Dio. Quando il Signore passa, un forte vento, un terremoto e un fuoco si materializzano in sequenza, ma in nessuno di essi Dio si manifesta. Poi, è la volta di un delicato soffio di brezza ed è in questo – ricorda il Papa – che Elia riconosce “il Signore che passava”:

“Il Signore non era nel vento, nel terremoto, nel fuoco, ma era in quel sussurro di una brezza leggera, nella pace o, come dice l’originale – proprio l’originale, un’espressione bellissima – dice: ‘Il Signore era in un filo di silenzio sonoro’. Sembra una contraddizione: era in quel filo di silenzio sonoro. Elia sa discernere dov’è il Signore, e il Signore lo prepara con il dono del discernimento. E poi, dà la missione”.

La missione che Dio affida a Elia è quella di ungere il nuovo re di Israele e il nuovo profeta chiamato a sostituire lo stesso Elia. Papa Francesco attira l’attenzione in particolare sulla delicatezza e il senso di paternità con cui questo compito viene affidato a un uomo che, capace di forza e zelo in un momento, ora sembra solo uno sconfitto. “Il Signore – afferma il Papa – prepara l’anima, prepara il cuore, e lo prepara nella prova, lo prepara nell’obbedienza, lo prepara nella perseveranza”:

“Il Signore, quando vuole darci una missione, vuole darci un lavoro, ci prepara. Ci prepara per farlo bene, come ha preparato Elia. E il più importante di questo non è che lui abbia incontrato il Signore: no, no, questo sta bene. L’importante è tutto il percorso per arrivare alla missione che il Signore confida. E questa è la differenza tra la missione apostolica che il Signore ci dà e un compito: ‘Ah, tu devi fare questo compito, devi fare questo…’, un compito umano, onesto, buono… Quando il Signore dà una missione, sempre fa entrare noi in un processo, un processo di purificazione, un processo di discernimento, un processo di obbedienza, un processo di preghiera”.

E “la fedeltà a questo processo”, prosegue Papa Francesco, è quella di “lasciarci condurre dal Signore”. In questo caso, con l’aiuto di Dio Elia supera il timore scatenato in lui dalla regina Gezabele, che lo aveva minacciato di ucciderlo:

“Questa regina era una regina cattiva e ammazzava i suoi nemici. E lui ha paura. Ma il Signore è più potente. Ma gli fa sentire come lui, il grande e bravo, anche ha bisogno dell’aiuto del Signore e della preparazione alla missione. Vediamo questo: lui cammina, obbedisce, soffre, discerne, prega, trova il Signore. Il Signore ci dia la grazia di lasciarci preparare tutti i giorni del cammino della nostra vita, perché possiamo testimoniare la salvezza di Gesù”.





Francesco: i danni dei corrotti li pagano i poveri

Il Papa alla Messa in Casa S. Marta: la corruzione la pagano i poveri

16/06/2014

La corruzione dei potenti finisce per essere “pagata dai poveri”, che per l’avidità degli altri finiscono senza ciò di cui avrebbero bisogno e diritto. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino in Casa S. Marta. “L’unica strada” per vincere “il peccato della corruzione”, ha concluso, è “il servizio” agli altri che purifica il cuore. Il servizio di Alessandro De Carolis:

 

Una storia “molto triste” che, pure se antichissima, è a tutt'oggi lo specchio di uno dei peccati più “a portata di mano”: la corruzione. Papa Francesco riflette sulla pagina della Bibbia, proposta dalla liturgia, che racconta la storia di Nabot, proprietario da generazioni di una vigna. Quando il re Acab – intenzionato, dice il Papa, “ad allargare un po’ il suo giardino” – gli chiede di vendergliela, Nabot rifiuta perché non intende disfarsi dell’”eredità dei suoi padri”. Il re prende molto male il rifiuto, così sua moglie Gezabele ordisce una trappola: con la complicità di falsi testimoni, fa trascinare in tribunale Nabot, che finisce condannato e lapidato a morte. E alla fine, consegna la vigna desiderata al marito, il quale – osserva Papa Francesco – la prende “tranquillo, come se niente fosse accaduto”. “Questa storia – commenta – si ripete continuamente” tra chi detiene “potere materiale o potere politico o potere spirituale”:

“Sui giornali noi leggiamo tante volte: ah, è stato portato in tribunale quel politico che si è arricchito magicamente. E’ stato in tribunale, è stato portato in tribunale quel capo di azienda che magicamente si è arricchito, cioè sfruttando i suoi operai. Si parla troppo di un prelato che si è arricchito troppo e ha lasciato il suo dovere pastorale per curare il suo potere. Così i corrotti politici, i corrotti degli affari e i corrotti ecclesiastici. Dappertutto ce ne sono. E dobbiamo dire la verità: la corruzione è proprio il peccato a portata di mano, che ha quella persona che ha autorità sugli altri, sia economica, sia politica, sia ecclesiastica. Tutti siamo tentati di corruzione. E’ un peccato a portata di mano. Perché quando uno ha autorità si sente potente, si sente quasi Dio”.

Del resto, prosegue Papa Francesco, si viene corrotti lungo la “strada della propria sicurezza”. Con “il benessere, i soldi, poi il potere, la vanità, l’orgoglio… E di là, tutto. Anche uccidere”. Ma, si domanda il Papa, “chi paga la corruzione?” Chi “ti porta la tangente”? No, sostiene, questo è ciò che fa “l’intermediario”. La corruzione in realtà “la paga il povero”:

“Se parliamo dei corrotti politici o dei corrotti economici, chi paga questo? Pagano gli ospedali senza medicine, gli ammalati che non hanno cura, i bambini senza educazione. Loro sono i moderni Nabot, che pagano la corruzione dei grandi. E chi paga la corruzione di un prelato? La pagano i bambini, che non sanno farsi il segno della croce, che non sanno la catechesi, che non sono curati. La pagano gli ammalati che non sono visitati, la pagano i carcerati che non hanno attenzioni spirituali. I poveri pagano. La corruzione viene pagata dai poveri: poveri materiali, poveri spirituali”.

Invece, afferma Papa Francesco, “l’unica strada per uscire dalla corruzione, l’unica strada per vincere la tentazione, il peccato della corruzione, è il servizio”. Perché, spiega, “la corruzione viene dall’orgoglio, dalla superbia, e il servizio ti umilia”: è la “carità umile per aiutare gli altri”:

“Oggi, offriamo la Messa per questi - tanti, tanti... – che pagano la corruzione, che pagano la vita dei corrotti. Questi martiri della corruzione politica, della corruzione economica e della corruzione ecclesiastica. Preghiamo per loro. Che il Signore ci avvicini a loro. Sicuramente era molto vicino a Nabot, nel momento della lapidazione, come era molto vicino a Stefano. Che il Signore gli sia vicino e gli dia forza per andare avanti nella loro testimonianza, nella propria testimonianza”.







Caterina63
00lunedì 23 giugno 2014 13:14

Il Papa: chi giudica gli altri è un ipocrita, si mette al posto di Dio




Papa Francesco nella cappella di Casa S. Marta





23/06/2014



Chi giudica un fratello sbaglia e finirà per essere giudicato allo stesso modo. Dio è “l’unico giudice” e chi è giudicato potrà contare sempre sulla difesa di Gesù, il suo primo difensore, e sullo Spirito Santo. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino, celebrata in Casa S. Marta, il servizio di Alessandro De Carolis:


Usurpartore di un posto e di un ruolo che non gli compete e, insieme, anche uno sconfitto, perché finirà vittima della sua stessa mancanza di misericordia. È questo ciò che accade a chi giudica un fratello. Papa Francesco ha appena letto la pagina del Vangelo sulla pagliuzza e la trave nell’occhio ed è subito chiaro nel distinguere: “La persona che giudica – dice – sbaglia, si confonde e diventa sconfitta”, perché “prende il posto di Dio, che è l’unico giudice”. Quell’appellativo, “ipocriti”, che Gesù lancia più volte all’indirizzo dei dottori della legge è in realtà rivolto a chiunque. Anche perché, osserva il Papa, chi giudica lo fa “subito”, mentre “Dio per giudicare si prende tempo”:


“Per questo chi giudica sbaglia, semplicemente perché prende un posto che non è per lui. Ma non solo sbaglia, anche si confonde. E’ tanto ossessionato da quello che vuole giudicare, da quella persona – tanto, tanto ossessionato! - che quella pagliuzza non lo lascia dormire! ‘Ma, io voglio toglierti quella pagliuzza!'… E non si accorge della trave che lui ha. Confonde: crede che la trave sia quella pagliuzza. Confonde la realtà. E’ un fantasioso. E chi giudica diventa uno sconfitto, finisce male, perché la stessa misura sarà usata per giudicare lui. Il giudice che sbaglia posto perché prende il posto di Dio – superbo, sufficiente – scommette su una sconfitta. E qual è la sconfitta? Quella di essere giudicato con la misura con la quale lui giudica”.


“L’unico che giudica è Dio e quelli ai quali Dio dà la potestà di farlo”, soggiunge Papa Francesco, che indica nell’atteggiamento di Gesù l’esempio da imitare, rispetto a chi non si fa scrupoli nel trinciare giudizi sugli altri:


“Gesù, davanti al Padre, mai accusa! E’ il contrario: difende! E’ il primo Paraclito. Poi ci invia il secondo, che è lo Spirito. Lui è il difensore: è davanti al Padre per difenderci dalle accuse. E chi è l’accusatore? Nella Bibbia, si chiama “accusatore” il demonio, satana. Gesù giudicherà, sì: alla fine del mondo, ma nel frattempo intercede, difende..


In definitiva, chi giudica – afferma Papa Francesco, “è un imitatore del principe di questo mondo, che va sempre dietro le persone per accusarle davanti al Padre”. Che il Signore, conclude, “ci dia la grazia di imitare Gesù intercessore, difensore, avvocato, nostro e degli altri”. E di “non imitare l’altro, che alla fine ci distruggerà”:


“Se noi vogliamo andare sulla strada di Gesù, più che accusatori dobbiamo essere difensori degli altri davanti al Padre. Io vedo una cosa brutta a un altro, vado a difenderlo? No! Ma stai zitto! Vai a pregare e difendilo davanti al Padre, come fa Gesù. Prega per lui, ma non giudicare! Perché se lo fai, quando tu farai una cosa brutta, sarai giudicato. Ricordiamo questo bene, ci farà bene nella vita di tutti i giorni, quando ci viene la voglia di giudicare gli altri, di sparlare degli altri, che è una forma di giudicare”.








Il Papa: il cristiano sa abbassarsi per annunciare il Signore

Papa Francesco a Casa S. Marta

24/06/2014

Un cristiano non annuncia se stesso, ma il Signore. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, nella solennità della Natività di San Giovanni Battista. Il Papa si è soffermato sulle vocazioni del “più grande tra i profeti”: preparare, discernere, diminuire. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

Preparare la venuta del Signore, discernere chi sia il Signore, diminuire perché il Signore cresca. Papa Francesco ha indicato in questi tre verbi le vocazioni di Giovanni il Battista, modello sempre attuale per un cristiano. Giovanni, ha detto il Papa, preparava la strada a Gesù “senza prendere niente per sé. Era un uomo importante: “la gente lo cercava, lo seguiva perché le parole di Giovanni erano forti”. Le sue parole, ha proseguito, arrivavano “al cuore”. E lì, ha osservato, ha avuto forse “la tentazione di credere che fosse importante, ma non è caduto”. Quando, infatti, si avvicinarono i dottori della legge a chiedergli se fosse il Messia, Giovanni ha risposto: “Sono voce: soltanto voce”, ma “sono venuto a preparare la strada al Signore”. Ecco la prima vocazione del Battista, ha evidenziato il Papa: “Preparare il popolo, preparare il cuore del popolo per l’incontro con il Signore”. Ma chi è il Signore?:

“E questa è la seconda vocazione di Giovanni: discernere, fra tanta gente buona, chi fosse il Signore. E lo Spirito gli ha rivelato questo e lui ha avuto il coraggio di dire: ‘E’ questo. Questo è l’Agnello di Dio, quello che toglie i peccati del mondo’. I discepoli guardarono quest’uomo che passava e lo lasciarono andare. Il giorno dopo, è accaduto lo stesso: ‘E’ quello! E’ più degno di me’. I discepoli sono andati dietro di Lui. Nella preparazione, Giovanni diceva: ‘Dietro di me viene uno…’. Nel discernimento, che sa discernere e segnare il Signore, dice: ‘Davanti a me… è questo!’”.

La terza vocazione di Giovanni, ha proseguito, è diminuire. Da quel momento, annota il Pontefice, “la sua vita incominciò ad abbassarsi, a diminuire perché crescesse il Signore, fino ad annientare se stesso”: “Lui deve crescere, io invece diminuire”, “dietro di me, davanti a me, lontano da me”:

“E questa è stata la tappa più difficile di Giovanni, perché il Signore aveva uno stile che lui non aveva immaginato, a tal punto che nel carcere – perché era in carcere, in quel tempo – ha sofferto non solo il buio della cella, ma il buio nel suo cuore: ‘Ma, sarà questo? Non avrò sbagliato? Perché il Messia ha uno stile tanto alla mano... Non si capisce…’. E siccome era uomo di Dio, chiede ai suoi discepoli di andare da Lui a domandare: ‘Ma, sei Tu davvero, o dobbiamo aspettare un altro?’.

“L’umiliazione di Giovanni – ha constatato – è doppia: l’umiliazione della sua morte, come prezzo di un capriccio”, ma anche l’umiliazione “del buio dell’anima”. Giovanni che ha saputo “aspettare” Gesù, che ha saputo “discernere”, “adesso vede Gesù lontano”. “Quella promessa – ha ribadito il Papa – si è allontanata. E finisce solo. Nel buio, nell’umiliazione”. Resta solo “perché si è annientato tanto perché il Signore crescesse”. Giovanni, ha detto ancora, vede il Signore che è “lontano” e lui “umiliato, ma con il cuore in pace”:

“Tre vocazioni in un uomo: preparare, discernere, lasciare crescere il Signore e diminuire se stesso. Anche è bello pensare la vocazione del cristiano così. Un cristiano non annunzia se stesso, annunzia un altro, prepara il cammino a un altro: al Signore. Un cristiano deve sapere discernere, deve conoscere come discernere la verità da quello che sembra verità e non c’è: uomo di discernimento. E un cristiano dev’essere un uomo che sappia abbassarsi perché il Signore cresca, nel cuore e nell’anima degli altri”. 





MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA 
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Quelli che parlano senza autorità

Giovedì, 26 giugno 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.144, Ven. 27/06/2014)

 

La gente ha bisogno del «buon pastore» che sa capire e arrivare al cuore. Proprio come Gesù. Ed è lui che dobbiamo seguire da vicino, senza farci influenzare da coloro che «parlano di cose astratte o casistiche morali», da quanti «senza la fede negoziano tutto con i poteri politici ed economici», dai «rivoluzionari» che vogliono intraprendere «guerre cosiddette di liberazione» politica o dai «contemplativi lontani dal popolo».

È proprio da questi quattro atteggiamenti che Papa Francesco ha messo in guardia durante la messa celebrata giovedì 26 giugno, nella cappella della Casa Santa Marta. Anzitutto il Pontefice ha posto in risalto come fosse davvero tanta la gente che seguiva Gesù: «Pensiamo al giorno della moltiplicazione dei pani, ce ne erano più di cinquemila». Era gente che seguiva Gesù da vicino, «per le strade». E lo seguivano, spiega il Vangelo, «perché le parole di Gesù davano stupore al loro cuore: lo stupore di trovare qualcosa di buono, grande». Gesù «infatti insegnava loro come uno che ha autorità, non come i loro scribi». Uno stupore raccontato dal passo evangelico di Matteo proposto dalla liturgia (7, 21-29).

«Il popolo — ha affermato il Pontefice — aveva bisogno di insegnanti, di predicatori, di dottori con autorità». E coloro che «non avevano autorità» parlavano, ma le loro parole non raggiungevano il popolo, «erano lontani dal popolo». Invece la novità era che «Gesù parlava un linguaggio che arrivava al cuore del popolo, era una risposta alle loro domande».

Papa Francesco ha voluto soffermarsi proprio su «questi scribi, che in quel tempo parlavano al popolo» ma «il loro messaggio non arrivava al cuore del popolo e il popolo li sentiva e se ne andava». E ne ha indicato quattro categorie.

Sicuramente «il gruppo più conosciuto era quello dei farisei» ha detto, sottolineando però che «c’erano anche farisei buoni». Ma «Gesù, quando si riferisce ai farisei, parla dei farisei cattivi, non dei buoni». Erano persone che «facevano del culto di Dio, della religione, una collana di comandamenti» e da dieci «ne facevano più di trecento!». In sintesi «caricavano sulle spalle del popolo questo peso: “Tu devi fare questo! Tu devi!”». Riducevano a casistica la fede nel Dio vivo, finendo così nelle «contraddizioni della casistica più crudele». E da parte sua, ha notato il Papa, «il popolo li rispettava, perché il popolo è rispettoso, ma non ascoltava questi predicatori casistici».

Un altro gruppo, ha proseguito il Pontefice, «era quello dei sadducei: questi non avevano fede, avevano perso la fede». E così «il loro mestiere religioso lo facevano sulla strada degli accordi con i poteri: i poteri politici, i poteri economici». In poche parole, «erano uomini di potere e negoziavano con tutti». Ma «il popolo non seguiva» neppure loro.

«Un terzo gruppo — ha spiegato ancora — era quello dei rivoluzionari» che in quel tempo si chiamavano spesso zeloti. Erano «quelli che volevano fare la rivoluzione per liberare il popolo di Israele dall’occupazione romana». Così «lì c’erano anche i guerriglieri», ma «il popolo ha buonsenso e sa distinguere quando la frutta è matura e quando non lo è». E per questo «non li seguiva».

Infine, ha affermato il Papa, «il quarto gruppo» era composto da brava gente: gli esseni. «Erano monaci — ha detto — gente buona che consacrava la vita a Dio: faceva la contemplazione e la preghiera nei monasteri». Ma «loro erano lontani dal popolo e il popolo non poteva seguirli».

Dunque, ha riepilogato il Pontefice, «queste erano le voci che arrivavano al popolo». Eppure «nessuna di queste voci aveva la forza di riscaldare il cuore del popolo». Gesù, invece, ci riusciva. E per questo «le folle erano stupite: sentivano Gesù e il cuore era caldo», perché il suo messaggio «arrivava al cuore» ed egli «insegnava come uno che ha autorità». Infatti, ha proseguito, «Gesù si avvicinava al popolo; Gesù guariva il cuore del popolo; Gesù capiva le difficoltà del popolo; Gesù non aveva vergogna di parlare con i peccatori, andava a trovarli; Gesù sentiva gioia, gli faceva piacere andare con il suo popolo». Ed è lui stesso a spiegare «perché», ha precisato il Papa citando le parole del Vangelo di Giovanni: «Io sono il buon pastore. Le pecorelle sentono la mia voce e mi seguono».

È esattamente «per questo che il popolo seguiva Gesù: perché era il buon pastore». Certamente, ha rilevato il vescovo di Roma, «non era né un fariseo casistico moralista; né un sadduceo che faceva gli affari politici con i potenti; né un guerrigliero che cercava la liberazione politica del suo popolo; né un contemplativo del monastero. Era un pastore». Egli, ha aggiunto il Pontefice, «parlava la lingua del suo popolo, si faceva capire, diceva la verità, le cose di Dio: non negoziava mai le cose di Dio. Ma le diceva in tal modo che il popolo amava le cose di Dio. Per questo lo seguiva».

Un altro punto centrale messo in risalto dal Papa è che «Gesù mai si allontana dal popolo e mai si allontana da suo Padre: era uno con il Padre». È così che «aveva questa autorità e per questo il popolo lo seguiva».

Proprio «contemplando Gesù buon pastore» è opportuno, ha proseguito il Pontefice, fare un esame di coscienza: «A me chi piace seguire? Quelli che mi parlano di cose astratte o di casistiche morali? Quelli che si dicono del popolo di Dio, ma non hanno fede e negoziano tutto con i poteri politici ed economici? Quelli che vogliono sempre fare cose strane, cose distruttive, guerre cosiddette di liberazione, ma che alla fine non sono le strade del Signore? O un contemplativo lontano?».

Ecco allora la domanda chiave da porre a stessi: «A me chi piace seguire? Chi m’influenza?». Una domanda, ha concluso Francesco, che deve spingerci a chiedere «a Dio, il Padre, che ci faccia arrivare vicino a Gesù, per seguire Gesù, per essere stupiti di quello che Gesù ci dice».



Il Papa: Gesù scalda il cuore del popolo, la fede non è casistica

Papa Francesco a Casa Santa Marta

26/06/2014

Il popolo segue Gesù perché riconosce che è il Buon Pastore. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha messo in guardia da chi riduce la fede a moralismo, insegue una liberazione politica o cerca accordi con il potere. Il servizio diAlessandro Gisotti:

 

Perché tanta gente seguiva Gesù? E’ la domanda dalla quale Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia incentrata sul popolo e l’insegnamento del Signore. Gesù, ha osservato, era seguito dalle folle perché “erano stupite dal suo insegnamento”, le sue parole “davano stupore al loro cuore, lo stupore di trovare qualcosa buona, grande”. Gli altri invece “parlavano, ma non arrivavano al popolo”. Il Papa ha così enumerato quattro gruppi di persone che parlavano al tempo di Gesù: innanzitutto i farisei. Questi, ha detto, “facevano del culto di Dio, della religione, una collana di comandamenti e dei dieci che ce ne erano” ne “facevano più di trecento”, caricando “questo peso” sulle spalle del popolo. Era, ha soggiunto, “una riduzione della fede nel Dio Vivo” alla “casistica!”:

“Ma tu devi - per esempio - compiere il quarto comandamento!’; ‘Sì, sì, sì!’;  ‘Devi dare da mangiare al tuo papà anziano, alla tua mamma anziana!’; ‘Sì, sì, sì!’; ‘Ma lei sa, io non posso perché ho dato il mio denaro al tempio!’; ‘Tu non lo fai? E i genitori muoiono di fame!’. Così: contraddizioni della casistica più crudele. Il popolo li rispettava, perché il popolo è rispettoso. Li rispettava, ma non li ascoltava! Se ne andava…”

Un altro gruppo, ha detto, era quello dei Sadducei. “Questi – ha osservato – non avevano fede, avevano perso la fede! Il loro mestiere religioso lo facevano sulla strada degli accordi con i poteri: i poteri politici, i poteri economici. Erano uomini di potere”. Un terzo gruppo, ha proseguito, “era quello dei rivoluzionari” ovvero gli zeloti che “volevano fare la rivoluzione per liberare il popolo di Israele dall’occupazione romana”. Il popolo, però, ha annotato il Papa, “ha buonsenso e sa distinguere quando la frutta è matura e quando non c’è! E non li seguiva!”. Il quarto gruppo, ha dunque affermato, era di “gente buona: si chiamavano gli Esseni”. Erano monaci che consacravano la loro vita a Dio. Tuttavia, ha ammonito, “loro erano lontani dal popolo e il popolo non poteva seguirli”.

Queste, ha affermato il Pontefice, “erano le voci che arrivavano al popolo e nessuna di queste voci aveva la forza di riscaldare il cuore del popolo”. “Ma Gesù, sì! Le folle – ha spiegato – erano stupite: sentivano Gesù e il cuore era caldo; il messaggio di Gesù arrivava al cuore!”. Gesù, ha ribadito Papa Francesco, “si avvicinava al popolo”, “guariva il cuore del popolo”, ne capiva le difficoltà. Gesù, ha detto ancora, “non aveva vergogna di parlare con i peccatori, andava a trovarli”, Gesù “sentiva gioia, gli faceva piacere andare con il suo popolo”. E questo perché Gesù è “il Buon Pastore”, le pecorelle sentono la sua voce e lo seguono:

“E per questo il popolo seguiva Gesù, perché era il Buon Pastore. Non era né un fariseo casistico moralista, né un sadduceo che faceva gli affari politici con i potenti, né un guerrigliero che cercava la liberazione politica del suo popolo, né un contemplativo del monastero. Era un pastore! Un pastore che parlava la lingua del suo popolo, si faceva capire, diceva la verità, le cose di Dio: non negoziava mai le cose di Dio! Ma le diceva in tal modo che il popolo amava le cose di Dio. Per questo lo seguiva”.

 “Gesù – ha ripreso – mai si era allontanato dal popolo e mai si è allontanato da suo Padre”. Gesù, ha affermato ancora il Papa, “era tanto collegato al Padre - era uno col Padre!” e così era “tanto vicino al popolo”. Lui “aveva questa autorità e per questo il popolo lo seguiva”. Contemplando Gesù, Buon Pastore, è stato il suo invito, ci farà bene pensare chi ci piace seguire:

“‘A me chi piace seguire?’. Quelli che mi parlano di cose astratte o di casistiche morali; quelli che si dicono del popolo di Dio, ma non hanno fede e negoziano tutto con i poteri politici, economici; quelli che vogliono sempre fare cose strane, cose distruttive, guerre cosiddette di liberazione, ma che alla fine non sono le strade del Signore; o un contemplativo lontano? A chi piace a me seguire?”

“Che questa domanda – ha concluso il Papa – ci faccia arrivare alla preghiera e chiedere a Dio, il Padre, che ci faccia arrivare vicino a Gesù per seguire Gesù, per essere stupiti di quello che Gesù ci dice”.

 




Caterina63
00venerdì 27 giugno 2014 11:18





Il Papa: Dio, Papà tenero che ci ama e ci tiene per mano

Papa Francesco nella cappella di Casa S. Marta

27/06/2014

Per comunicare il suo tenero amore di Padre all’uomo, Dio ha bisogno che l’uomo si faccia piccolo. È il pensiero che Papa Francesco ha sviluppato all’omelia della Messa del mattino presieduta a Casa S. Marta, nel giorno in cui la Chiesa celebra il Sacro Cuore di Gesù. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Non aspetta ma dà, non parla ma agisce. Non c’è ombra di passività nel modo che il Creatore ha di intendere l’amore verso le sue creature. Papa Francesco lo spiega all’inizio di un'omelia nella quale si sofferma sul “cuore” di Gesù, celebrato dalla liturgia. Dio, ha affermato, “ci dà la grazia, la gioia, di celebrare nel cuore di suo Figlio le grandi opere del suo amore. Si può dire che oggi è la festa dell’amore di Dio in Gesù Cristo, dell’amore di Dio per noi, dell’amore di Dio in noi”:

“Ci sono due tratti dell’amore. Primo, l’amore è più nel dare che nel ricevere. Il secondo tratto: l’amore è più nelle opere che nelle parole. Quando diciamo che è più nel dare che nel ricevere, è che l’amore si comunica: sempre, comunica. E viene ricevuto dall’amato. E quando diciamo che è più nelle opere che nelle parole, l’amore sempre dà vita, fa crescere”.

Ma per “capire l’amore di Dio”, l’uomo ha bisogno di ricercare una dimensione inversamente proporzionale all’immensità: è la piccolezza, dice il Papa, “la piccolezza di cuore”. Mosè, ricorda, spiega al popolo ebreo di essere stato eletto da Dio perché era “il più piccolo di tutti i popoli”. Mentre Gesù nel Vangelo loda il Padre “perché ha nascosto le cose divine ai dotti e le ha rivelate ai piccoli”. Dunque, osserva Papa Francesco, quel che Dio cerca con l’uomo è un “rapporto di papà-bambino”, lo “accarezza”, gli dice: “Io sono con te”:

“Questa è la tenerezza del Signore, nel suo amore; questo è quello che Lui ci comunica e ci dà la forza alla nostra tenerezza. Ma se noi ci sentiamo forti, mai avremo l’esperienza della carezza del Signore, le carezze del Signore, tanto belle… tanto belle. ‘Non temere, io sono con te, io ti prendo per mano…’. Sono tutte parole del Signore che ci fanno capire quel misterioso amore che Lui ha per noi. E quando Gesù parla di sé stesso, dice: ‘Io sono mite e umile di cuore’. Anche Lui, il Figlio di Dio, si abbassa per ricevere l’amore del Padre”.

Altro segno particolare dell’amore di Dio è che ci ha amati per “primo”. Lui è sempre “prima di noi”, “Lui ci aspetta”, assicura Papa Francesco, che termina chiedendo a Dio la grazia “di entrare in questo mondo così misterioso, di stupirci e di avere pace con questo amore che si comunica, ci dà la gioia e ci porta nella strada della vita come un bambino, per mano”:

“Quando noi arriviamo, Lui c’è. Quando noi lo cerchiamo, Lui ci ha cercato prima. Lui è sempre avanti a noi, ci aspetta per riceverci nel suo cuore, nel suo amore. E queste due cose possono aiutarci a capire questo mistero dell’amore di Dio con noi. Per esprimersi ha bisogno della nostra piccolezza, del nostro abbassarci. E, anche, ha bisogno del nostro stupore quando lo cerchiamo e lo troviamo lì, aspettandoci”.





 

Il Papa: oggi ci sono più martiri cristiani che nei primi secoli

Papa Francesco presiede la Messa a Santa Marta

30/06/2014

Ci sono più cristiani perseguitati oggi che nei primi secoli: è quanto ha detto Papa Francesco a Santa Marta, presiedendo la Messa nel giorno in cui si fa memoria dei Santi Protomartiri della Chiesa romana, crudelmente uccisi alle pendici del Colle Vaticano per ordine di Nerone dopo l'incendio di Roma nel 64. Il servizio di Sergio Centofanti:

La preghiera all’inizio della Messa ricorda che il Signore ha “fecondato con il sangue dei martiri i primi germogli della Chiesa di Roma”. “Si parla della crescita di una pianta“ – ha affermato Papa Francesco nell’omelia - e questo fa pensare a quello che diceva Gesù: “il Regno dei Cieli è come un uomo che abbia gettato a terra il seme, poi va a casa sua“ e – dorma o vegli - “il seme cresce, germoglia, senza che lui sappia come“. Questo seme è la Parola di Dio che cresce e diventa Regno di Dio, diventa Chiesa grazie alla “forza dello Spirito Santo“ e alla “testimonianza dei cristiani“:

“Sappiamo che non c’è crescita senza lo Spirito: è Lui che fa la Chiesa, è Lui che fa crescere la Chiesa, è Lui che convoca la comunità della Chiesa. Ma anche è necessaria la testimonianza dei cristiani. E quando la testimonianza arriva alla fine, quando le circostanze storiche ci chiedono una testimonianza forte, lì ci sono i martiri, i più grandi testimoni. E quella Chiesa viene annaffiata dal sangue dei martiri. E questa è la bellezza del martirio. Incomincia con la testimonianza, giorno dopo giorno, e può finire come Gesù, il primo martire, il primo testimone, il testimone fedele: con il sangue“.

“Ma c’è una condizione per la testimonianza, perché sia vera – ha aggiunto il Papa - deve essere senza condizioni“:

“Abbiamo sentito il Vangelo, questo che dice al Signore di seguirlo, ma gli chiede una condizione: andare a congedarsi o a seppellire il padre … il Signore lo ferma: ’No!’. La testimonianza è senza condizioni. Deve essere ferma, deve essere decisa, deve essere con quel linguaggio che Gesù ci dice, tanto forte: ’Il vostro linguaggio sia sì, sì, no, no’. Questo è il linguaggio della testimonianza“.

“Oggi – ha detto Papa Francesco - guardiamo questa Chiesa di Roma che cresce, irrigata dal sangue dei martiri. Ma anche è giusto – ha proseguito - che noi pensiamo a tanti martiri di oggi, tanti martiri che danno la loro vita per la fede“. E’ vero che sono stati tanti i cristiani perseguitati al tempo di Nerone, ma “oggi – ha sottolineato - non ce ne sono meno“:

“Oggi ci sono tanti martiri, nella Chiesa, tanti cristiani perseguitati. Pensiamo al Medio Oriente, cristiani che devono fuggire dalle persecuzioni, cristiani uccisi dai persecutori. Anche i cristiani cacciati via in modo elegante, con i guanti bianchi: anche quella è una persecuzione. Oggi ci sono più testimoni, più martiri nella Chiesa che nei primi secoli. E in questa Messa, facendo memoria dei nostri gloriosi antenati, qui a Roma, pensiamo anche ai nostri fratelli che vivono perseguitati, che soffrono e che con il loro sangue fanno crescere il seme di tante Chiese piccoline che nascono. Preghiamo per loro e anche per noi“






Caterina63
00martedì 2 settembre 2014 12:46

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  Dopo la pausa estiva, riprendono le Omelie a Santa Marta:


Il Papa: è lo Spirito non le lauree a dare identità a un cristiano

2014-09-02 Radio Vaticana

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L’autorità del cristiano viene dallo Spirito Santo, non dalla sapienza umana o dalle lauree in teologia. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha quindi ribadito che l’identità cristiana è avere lo Spirito di Cristo, non lo “spirito del mondo”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

La gente era stupita dell’insegnamento di Gesù, perché la sua parola “aveva autorità”. Papa Francesco ha preso spunto da questo passaggio del Vangelo odierno per soffermarsi proprio sulla natura dell’autorità del Signore e, conseguentemente, del cristiano. Gesù, ha constatato, “non era un predicatore comune”, perché la sua “autorità” gli viene dall’“unzione speciale dello Spirito Santo”. Gesù, ha proseguito, è “il Figlio di Dio unto e inviato” a “portare la salvezza, a portare la libertà”. E alcuni, ha annotato, “si scandalizzavano” di questo “stile di Gesù”, della sua identità e libertà:

“E noi possiamo domandarci quale sia la nostra identità di cristiani? E Paolo oggi lo dice bene. ‘Di queste cose – dice San Paolo – noi parliamo non con parole suggerite dalla sapienza umana’. La predicazione di Paolo non è perché ha fatto un corso alla Lateranense, alla Gregoriana… No, no, no! Sapienza umana, no! Bensì insegnate dallo Spirito: Paolo predicava con l’unzione dello Spirito, esprimendo cose spirituali dello Spirito in termini spirituali. Ma l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: l’uomo da solo non può capire questo!

E per questo, ha ripreso, “se noi cristiani non capiamo bene le cose dello Spirito, non diamo e non offriamo una testimonianza, non abbiamo identità”. Per loro, ha proseguito, “queste cose dello Spirito sono follia, non sono capaci di intenderle”. L’uomo mosso dallo Spirito, invece, “giudica ogni cosa: è libero, senza poter essere giudicato da nessuno”:

“Ora, noi abbiamo il pensiero del Cristo e cioè lo Spirito di Cristo. Questa è l’identità cristiana. Non avere lo spirito del mondo, quel modo di pensare, quel modo di giudicare… Tu puoi avere cinque lauree in teologia, ma non avere lo Spirito di Dio! Forse tu sarai un gran teologo, ma non sei un cristiano, perché non hai lo Spirito di Dio! Quello che dà autorità, quello che ti dà identità è lo Spirito Santo, l’unzione dello Spirito Santo”.

Per questo, ha detto il Papa, “il popolo non amava quei predicatori, quei dottori della legge, perché parlavano davvero di teologia, ma non arrivavano al cuore, non davano libertà”. Costoro, ha aggiunto, “non erano capaci di far in modo che il popolo trovasse la propria identità, perché non erano unti dallo Spirito Santo”:

“L’autorità di Gesù - e l’autorità del cristiano - viene proprio da questa capacità di capire le cose dello Spirito, di parlare la lingua dello Spirito. Viene da questa unzione dello Spirito Santo. E tante volte, tante volte noi troviamo fra i nostri fedeli, vecchiette semplici che forse non hanno finito le elementari, ma che ti parlano delle cose meglio di un teologo, perché hanno lo Spirito di Cristo. Quello che ha San Paolo. E tutti noi dobbiamo chiedere questo. Signore donaci l’identità cristiana, quella che Tu avevi. Donaci il Tuo Spirito. Donaci il Tuo modo di pensare, di sentire, di parlare: cioè Signore donaci l’unzione dello Spirito Santo”. 


“Paolo dice: ‘Ma, io non sono andato da voi per convincervi con argomenti, con parole, anche con belle figure … No. Io sono andato in altro modo, con un altro stile. Sono andato sulla manifestazione dello Spirito e della Sua potenza. Perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio’. Così, la Parola di Dio è una cosa diversa, una cosa che non è uguale a una parola umana, a una parola sapiente, a una parola scientifica, a una parola filosofica … no: è un’altra cosa. Viene in un altro modo”.

 

E’ quanto accade con Gesù, quando commenta le Scritture nella Sinagoga di Nazareth, dove era cresciuto. I suoi conterranei, inizialmente, lo ammirano per le sue parole ma poi s’infuriano e cercano di ucciderlo: “Sono passati da una parte all’altra – spiega il Papa - proprio “perché la Parola di Dio è una cosa diversa rispetto alla parola umana”. Infatti, Dio ci parla nel Figlio, “cioè, la Parola di Dio è Gesù, Gesù stesso” e Gesù “è motivo di scandalo. La Croce di Cristo scandalizza. E quella è la forza della Parola di Dio: Gesù Cristo, il Signore. E come dobbiamo ricevere la Parola di Dio? Come si riceve Gesù Cristo. La Chiesa ci dice che Gesù è presentenella Scrittura, nella Sua Parola”. Per questo – afferma il Papa – è così importante “leggere durante la giornata un passo del Vangelo”:

 

“Perché, per imparare? No! Per trovare Gesù, perché Gesù è proprio nella Sua Parola, nel Suo Vangelo. Ogni volta che io leggo il Vangelo, trovo Gesù. Ma come ricevo questa Parola? Eh, si deve ricevere come si riceve Gesù, cioè con il cuore aperto, con il cuore umile, con lo spirito delle Beatitudini. Perché Gesù è venuto così, in umiltà. E’ venuto in povertà. E’ venuto con l’unzione dello Spirito Santo”.

 

“Lui è forza – ha proseguito il Papa - è Parola di Dio perché è unto dallo Spirito Santo. Anche noi, se vogliamo ascoltare e ricevere la Parola di Dio, dobbiamo pregare lo Spirito Santo e chiedere questa unzione del cuore, che è l’unzione delle Beatitudini. Un cuore come è il cuore delle Beatitudini”:

 

“Ci farà bene oggi, durante la giornata, domandarci: ‘Ma, come ricevo, io, la Parola di Dio? Come una cosa interessante? Ah, il prete oggi ha predicato questo … ma che interessante! Che saggio, questo prete!’, o la ricevo così, semplicemente perché è Gesù vivo, la Sua Parola? E sono capace – attenti alla domanda! – sono capace di comprare un piccolo Vangelo – costa poco, eh? – comprare un piccolo Vangelo e portarlo in tasca, portarlo in borsa e quando posso, durante la giornata, leggere un passo, per trovare Gesù lì? Queste due domande ci faranno bene. Il Signore ci aiuti”.

 

(Tratto dall'archivio della Radio Vaticana)








Il Papa: luogo privilegiato per l'incontro con Gesù sono i nostri peccati

Papa Francesco durante la Messa a Santa Marta

04/09/2014

La forza della vita cristiana è nell’incontro tra i nostri peccati e Cristo che ci salva. Dove non c’è questo incontro, le chiese sono decadenti e i cristiani tiepidi: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Pietro e Paolo ci fanno capire che un cristiano si può vantare di due cose: “dei propri peccati e di Cristo crocifisso”. La forza trasformante della Parola di Dio – spiega il Papa – parte da questa consapevolezza. Così Paolo, nella prima Lettera ai Corinzi, invita chi si crede saggio a “farsi stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio”:

“Paolo ci dice che la forza della Parola di Dio, quella che cambia il cuore, che cambia il mondo, che ci dà speranza, che ci dà vita, non è nella sapienza umana: non è in un bel parlare e un bel dire le cose con intelligenza umana. No. Quella è stoltezza, dice lui. La forza della Parola di Dio viene da un’altra parte. Anche, la forza della Parola di Dio passa per il cuore del predicatore, e per questo dice a quelli che predicano la Parola di Dio: ‘Fatevi stolti’, cioè non mettete la vostra sicurezza nella vostra sapienza, nella sapienza del mondo”.

L’apostolo Paolo non si vantava dei suoi studi – “aveva studiato con i professori più importanti del tempo” - ma “soltanto di due cose”:

“Lui stesso dice: ‘Io soltanto mi vanto dei miei peccati’. Scandalizza, questo. E poi, in un altro brano, dice: ‘Io soltanto mi vanto in Cristo e questo Crocifisso’. La forza della Parola di Dio è in quell’incontro tra i miei peccati e il sangue di Cristo, che mi salva. E quando non c’è quell’incontro, non c’è forza nel cuore. Quando si dimentica quell’incontro che abbiamo avuto nella vita, diventiamo mondani, vogliamo parlare delle cose di Dio con linguaggio umano, e non serve: non dà vita”.

Anche Pietro – nel Vangelo della pesca miracolosa - fa l’esperienza di incontrare Cristo vedendo il proprio peccato: vede la forza di Gesù e vede se stesso. Si getta ai suoi piedi, dicendo: “Signore, allontanati da me perché sono un peccatore”. In questo incontro tra Cristo e i miei peccati c’è la salvezza:

“Il luogo privilegiato per l’incontro con Gesù Cristo sono i propri peccati. Se un cristiano non è capace di sentirsi proprio peccatore e salvato dal sangue di Cristo, questo Crocifisso, è un cristiano a metà cammino, è un cristiano tiepido. E quando noi troviamo Chiese decadenti, quando noi troviamo parrocchie decadenti, istituzioni decadenti, ma sicuramente i cristiani che sono lì mai hanno incontrato Gesù Cristo o si sono dimenticati di quell’incontro con Gesù Cristo. La forza della vita cristiana e la forza della Parola di Dio è proprio in quel momento dove io, peccatore, incontro Gesù Cristo e quell’incontro rovescia la vita, cambia la vita … E ti dà la forza per annunziare la salvezza agli altri”.

Papa Francesco invita a porsi alcune domande: “Ma, io sono capace di dire al Signore: ‘Sono peccatore’”, non in teoria, ma confessando “il peccato concreto?. E sono capace di credere che proprio Lui, con il Suo Sangue, mi ha salvato dal peccato e mi ha dato una vita nuova? Ho fiducia in Cristo?”. Quindi conclude: “Di quali cose si può vantare un cristiano? Due cose: dei propri peccati e di Cristo crocifisso”.





Il Papa: il Vangelo è novità, non temere i cambiamenti nella Chiesa

Papa Francesco a Casa Santa Marta

05/09/2014

Il Vangelo “è novità”, Gesù ci chiede di “lasciare da parte le strutture caduche”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che il cristiano non deve essere “schiavo di tante piccole leggi”, ma aprire il cuore al comandamento nuovo dell’amore. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Gli scribi vogliono mettere in difficoltà Gesù, gli domandano perché i suoi discepoli non digiunino, ma il Signore non cade nella trappola e risponde parlando di festa e novità. Papa Francesco ha preso spunto dal passo del Vangelo del giorno per soffermarsi proprio sulla novità portata da Gesù, che esorta a mettere il vino nuovo in otri nuovi:

“A vini nuovi, otri nuovi. La novità del Vangelo. Cosa ci porta il Vangelo? Gioia e novità. Questi dottori della legge erano rinchiusi nei loro comandamenti, nelle loro prescrizioni. San Paolo, parlando di loro, ci dice che prima che venisse la fede - cioè Gesù - noi tutti eravamo custoditi come prigionieri sotto la legge. Questa legge di questa gente non era cattiva: custoditi ma prigionieri, in attesa che venisse la fede. Quella fede che sarebbe stata rivelata, in Gesù stesso”.

Il popolo, ha osservato il Papa, “aveva la legge che aveva dato Mosé” e poi tante di queste “consuetudini e piccole leggi” che avevano codificato i dottori. “La legge – ha commentato – li custodiva, ma come prigionieri! E loro erano in attesa della libertà, della definitiva libertà che Dio avrebbe dato al suo popolo col suo Figlio”. La novità del Vangelo, ha dunque sottolineato, “è questa: è per riscattare dalla legge”:

“Qualcuno di voi può dirmi: ‘Ma, Padre, i cristiani non hanno legge?’; Sì! Gesù ha detto: ‘Io non vengo a chiudere la legge, ma a portarla alla sua pienezza’. E la pienezza della legge, per esempio, sono le Beatitudini, la legge dell’amore, l’amore totale, come Lui - Gesù - ci ha amato. E quando Gesù rimprovera questa gente, questi dottori della legge, li rimprovera di non aver custodito il popolo con la legge, ma fatto schiavo di tante piccole leggi, di tante piccole cose che si dovevano fare”.

Cose da fare, ha soggiunto, “senza la libertà che Lui ci porta con la nuova legge, la legge che Lui ha sancito col suo sangue”. Questa, ha ribadito il Papa, “è la novità del Vangelo, che è festa, è gioia è libertà”. E’ “proprio il riscatto che tutto il popolo attendeva” quando era “custodito dalla legge, ma come prigioniero”. Questo, ha sottolineato, è quello che Gesù vuol dirci: “Alla novità, novità; a vini nuovi, otri nuovi. E non avere paura di cambiare le cose secondo la legge del Vangelo”:

“Paolo distingue bene: figli della legge e figli della fede. A vini nuovi, otri nuovi. E per questo la Chiesa ci chiede, a tutti noi, alcuni cambiamenti. Ci chiede di lasciare da parte le strutture caduche: non servono! E prendere otri nuovi, quelli del Vangelo. Non si può capire la mentalità - per esempio - di questi dottori della legge, di questi teologi farisei: non si può capire la mentalità loro con lo spirito del Vangelo. Sono cose diverse. Lo stile del Vangelo è uno stile diverso, che porta alla pienezza la legge. Sì! Ma in un modo nuovo: è il vino nuovo, in otri nuovi”.

“Il Vangelo – ha detto ancora Francesco – è novità! Il Vangelo è festa! E soltanto si può vivere pienamente il Vangelo in un cuore gioioso e in un cuore rinnovato”. Che il Signore, è stata la sua invocazione, “ci dia la grazia di questa osservanza alla legge. Osservare la legge - la legge che Gesù ha portato alla sua pienezza - nel comandamento dell’amore, nei comandamenti che vengono dalle Beatitudini”. Il Signore, ha concluso, ci dia la grazia di “non rimanere prigionieri”, ma “ci dia la grazia della gioia e della libertà che ci porta la novità del Vangelo”.

***************

da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.201, Ven. 05/09/2014)

 

 

 

«Di quali cose si può vantare un cristiano? Due cose: dei propri peccati e di Cristo crocifisso». E una sola conta veramente: l’incontro con Cristo che cambia la vita dei cristiani “tiepidi” e trasforma il volto di parrocchie e comunità “decadenti”. È questa l’indicazione suggerita da Papa Francesco durante la messa celebrata giovedì 4 settembre, nella cappella della Casa Santa Marta.

 

A ispirare le parole del Pontefice è stata anzitutto la prima lettura della liturgia, tratta dalla prima Lettera di san Paolo ai corinzi (3, 18-23). L’apostolo, ha spiegato il Papa, «in questi brani che abbiamo letto nelle liturgie di questi giorni scorsi, parla della forza della parola di Dio». Di più, ha aggiunto, «possiamo dire» che «fa come una teologia della parola di Dio». E finisce con questa riflessione: «Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio».

 

In pratica, ha affermato il Pontefice, «Paolo ci dice che la forza della parola di Dio, quella che cambia il cuore, che cambia il mondo, che ci dà speranza, che ci dà vita, non è nella sapienza umana». Quindi «non è in un bel parlare e un bel dire le cose con intelligenza umana. No, quella è stoltezza». Invece «la forza della parola di Dio viene da un’altra parte». Certamente «passa anche per il cuore del predicatore». Ed è per questo che Paolo raccomanda a quanti predicano la parola di Dio: «Fatevi stolti». Li avverte di non mettere la propria sicurezza «nella sapienza del mondo». Quindi, prosegue l’apostolo, «nessuno ponga il suo vanto negli uomini».

 

A questo punto viene da chiedersi «dov’è la sicurezza di Paolo, dove lui trova la radice della sua sicurezza». Del resto, ha fatto notare il Papa, «anche lui aveva studiato con i professori più importanti del tempo». Eppure non se ne vantava. Piuttosto «si vantava soltanto di due cose, e queste cose delle quali si vantava Paolo, sono proprio il posto dove la parola di Dio può venire ed essere forte». Infatti egli dice di se stesso: «Io soltanto mi vanto dei miei peccati». Parole che scandalizzano, ha commentato il Pontefice. E poi, ha aggiunto, «in un altro brano, dice: Io soltanto mi vanto in Cristo e in questo Crocifisso». Dunque «la forza della parola di Dio è in quell’incontro tra i miei peccati e il sangue di Cristo che mi salva. E quando non c’è quell’incontro, non c’è forza nel cuore». Se finiamo per dimenticare questo — ha avvertito il Pontefice — «diventiamo mondani, vogliamo parlare delle cose di Dio con linguaggio umano, e non serve», perché «non dà vita».

 

È decisivo allora «l’incontro tra i miei peccati e Cristo». È ciò che avviene quando, nel passo del Vangelo di Luca (5, 1-11), Gesù dice a Simone di prendere il largo e di gettare le reti per la pesca. E Pietro, ha notato Francesco, gli risponde: «Ma abbiamo fatto tutta la notte e non abbiamo preso niente... Ma sulla tua parola le getterò». E così, ha proseguito, avviene «quella pesca miracolosa».

 

Di fronte a questo fatto «cosa pensa Pietro?», si è chiesto il vescovo di Roma. La sua reazione non è di soddisfazione per l’insperato esito della pesca o per il futuro guadagno. Egli — ha spiegato il Papa — «soltanto vede Cristo, vede la sua forza e vede se stesso». Così si inginocchia ai piedi di Gesù dicendo: «Signore, allontanati da me perché sono un peccatore».

 

Per Pietro avviene dunque «questo incontro con Gesù Cristo», l’incontro tra i suoi peccati e la forza del Signore che salva. In tale situazione, ha evidenziato il Pontefice, «il segno della salvezza è stato il miracolo della pesca; il luogo privilegiato per l’incontro con Gesù Cristo sono i propri peccati».

 

«Se un cristiano — ha continuato Francesco — non è capace di sentirsi proprio peccatore e salvato dal sangue di Cristo crocifisso, è un cristiano a metà cammino, è un cristiano tiepido». E «quando noi troviamo chiese decadenti, quando noi troviamo parrocchie decadenti, istituzioni decadenti, sicuramente i cristiani che sono lì mai hanno incontrato Gesù Cristo o si sono dimenticati di quell’incontro con Gesù Cristo».

 

«La forza della vita cristiana e la forza della Parola di Dio — ha chiarito ancora — è proprio in quel momento dove io, peccatore, incontro Gesù Cristo. E quell’incontro rovescia la vita, cambia la vita. E ti dà la forza per annunciare la salvezza agli altri».

 

Le parole di Paolo e il Vangelo di Luca propongono ai credenti «tante domande». Secondo il Pontefice bisognerebbe chiedere a se stessi: «Ma io sono capace di dire al Signore: sono peccatore?». Una questione non teorica ma pratica, perché l’esame di coscienza riguarda soprattutto la capacità di riconoscere «il peccato concreto». Il Papa ha quindi suggerito altre domande da fare a se stessi: «Sono capace di credere che proprio lui, con il suo sangue, mi ha salvato dal peccato e mi ha dato una vita nuova? Ho fiducia in Cristo? Mi vanto della croce di Cristo? Mi vanto anche dei miei peccati, in questo senso?».

 

Papa Francesco ha consigliato, in proposito, di ritornare al momento dell’«incontro con Gesù Cristo», per verificare di non essersene dimenticati, chiedendosi: «Ho incontrato Gesù Cristo? Ho sentito la sua forza?». Sono domande fondamentali, ha concluso, perché «quando un cristiano dimentica questo incontro perde la forza: è tiepido, è incapace di dare agli altri, con forza, la parola di Dio».

 










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Il Papa: come Maria, lasciamo che Dio cammini con noi

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2014-09-08 Radio Vaticana

Guardando la storia di Maria, domandiamoci se lasciamo che Dio cammini con noi. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, nella Festa della Natività della Madonna. Il Pontefice ha sottolineato che Dio sta “nelle cose grandi”, ma anche nelle piccole ed ha la “pazienza” di camminare con noi, anche se siamo peccatori. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

Nel giorno in cui si festeggia la Natività di Maria, Papa Francesco ha offerto la sua meditazione sulla Creazione e il cammino che Dio fa con noi nella storia. Quando leggiamo il libro della Genesi, ha osservato, “c’è il pericolo di pensare che Dio sia stato un mago” che faceva le cose “con la bacchetta magica”. Ma, ha avvertito, “non è stato così’, perché “Dio ha fatto le cose” e “le ha lasciate andare con le leggi interne, interiori che Lui ha dato ad ognuna, perché si sviluppassero, perché arrivassero alla pienezza”. Il Signore, ha soggiunto, “alle cose dell’universo ha dato autonomia, ma non indipendenza”:

“Perché Dio non è mago, è creatore! Ma quando al sesto giorno, di quel racconto, arriva la creazione dell’uomo dà un’altra autonomia, un po’ diversa, ma non indipendente: un’autonomia che è la libertà. E dice all’uomo di andare avanti nella storia, lo fa il responsabile della creazione, anche perché dominasse il creato, perché lo portasse avanti e così arrivasse alla pienezza dei tempi. E quale era la pienezza dei tempi? Quello che Lui aveva nel cuore: l’arrivo di suo Figlio. Perché Dio – abbiamo sentito Paolo – ci ha predestinati, tutti, ad essere conformi all’immagine del Figlio”.

E questo, ha affermato, “è il cammino dell’umanità, è il cammino dell’uomo. Dio voleva che noi fossimo come suo Figlio e che suo Figlio fosse come noi”. Il Papa ha così rivolto il pensiero al passo del Vangelo odierno che narra la genealogia di Gesù. In “questo elenco – ha annotato – ci sono dei santi e anche dei peccatori, ma la storia va avanti perché Dio ha voluto che gli uomini fossero liberi”. E se è vero che quando l’uomo “ha usato male la sua libertà, Dio lo ha cacciato via dal Paradiso” gli “ha fatto una promessa e l’uomo è uscito dal Paradiso con speranza. Peccatore, ma con speranze!”. Il “loro cammino – ha ribadito – non lo fanno da soli: Dio cammina con loro. Perché Dio ha fatto una opzione: ha fatto l’opzione per il tempo, non per il momento. E’ il Dio del tempo, è il Dio della storia, è il Dio che cammina con i suoi figli”. E questo fino alla “pienezza dei tempi” quando suo Figlio si fa uomo. Dio, ha affermato ancora, “cammina con giusti e peccatori”. Cammina “con tutti, per arrivare all’incontro, all’incontro definitivo dell’uomo con Lui”.

Il Vangelo, ha detto ancora, finisce questa storia di secoli “in una cosa piccolina, in un piccolo paese” con Giuseppe e Maria. “Il Dio della grande storia - ha rilevato - è anche nella piccola storia, lì, perché vuole camminare con ognuno”. Francesco ha citato San Tommaso, laddove afferma: “Non spaventarsi delle cose grandi, ma anche avere conto delle piccole, questo è divino”. “E così è Dio – ha ripreso il Papa – sta nelle cose grandi”, ma anche nelle piccole:

“E il Signore che cammina con Dio è anche il Signore della pazienza. La pazienza di Dio. La pazienza che ha avuto con tutte queste generazioni. Con tutte queste persone che hanno vissuto la loro storia di grazia e peccato, Dio è paziente. Dio cammina con noi, perché Lui vuole che tutti noi arriviamo ad essere conformi all’immagine di Suo Figlio. E da quel momento che ci ha dato la libertà nella creazione - non l’indipendenza - fino ad oggi continua a camminare”.

E così, dunque, “arriviamo a Maria”. Oggi, ha detto il Papa, “siamo nell’anticamera di questa storia: la nascita della Madonna”. E “chiediamo nella preghiera che ci dia il Signore unità per camminare insieme e pace nel cuore. E’ la grazia di oggi”:

“Oggi possiamo guardare la Madonna, piccolina, santa, senza peccato, pura, prescelta per diventare la Madre di Dio e anche guardare questa storia che è dietro, tanto lunga, di secoli e domandarci: ‘Come cammino io nella mia storia? Lascio che Dio cammini con me? Lascio che Lui cammini con me o voglio camminare da solo? Lascio che Lui mi carezzi, mi aiuti, mi perdoni, mi porti avanti per arrivare all’incontro con Gesù Cristo?’ Questo sarà il fine del nostro cammino: incontrarci col Signore. Questa domanda ci farà bene oggi. ‘Lascio che Dio abbia pazienza con me?’. E così, guardando questa storia grande e anche questo piccolo paese, possiamo lodare il Signore e chiedere umilmente che ci doni la pace, quella pace del cuore che soltanto Lui ci può dare, che soltanto ci dà quando noi lasciamo Lui camminare con noi”.

 


 

 Gesù sta in mezzo alla gente, non è professore che parla dalla cattedra

Papa Francesco durante l'omelia a Santa Marta

09/09/2014

Gesù non è un professore che parla dalla cattedra, ma sta in mezzo alla gente e si lascia toccare per guarire. Lo ha detto Papa Francesco nella Messa mattutina presieduta a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Commentando il Vangelo del giorno, Papa Francesco riflette su tre momenti della vita di Gesù. Il primo è la preghiera. Gesù passa “tutta la notte pregando Dio”. Gesù “prega per noi. Sembra un po’ strano che Lui che è venuto a darci la salvezza, che ha il potere” – osserva il Papa – “prega il Padre”. E “lo fa spesso”. Gesù “è il grande intercessore”:

“Lui è davanti al Padre in questo momento, pregando per noi. E questo deve darci coraggio! Perché nei momenti difficili di difficoltà o di bisogno e di tante cose, pensare: ‘Ma Tu stai pregando per me. Prega per me. Gesù prega per me il Padre!’. E’ il suo lavoro di oggi: pregare per noi, per la sua Chiesa. Noi dimentichiamo spesso questo, che Gesù prega per noi. E’ la nostra forza questa. Dire al Padre: ‘Ma se Tu, Padre, non ci guardi, ma guarda tuo Figlio che prega per noi’. Dal primo momento Gesù prega: ha pregato quando era in terra e continua a pregare adesso per ognuno di noi, per tutta la Chiesa”.

Dopo la preghiera, Gesù sceglie i 12 Apostoli. Il Signore lo dice chiaramente: “Non siete stati voi a scegliere me. Sono io che ho scelto voi!”. “Questo secondo momento - afferma il Papa - ci dà coraggio: ‘Io sono scelto, io sono scelta dal Signore! Nel giorno del Battesimo Lui mi ha scelto’. E Paolo, pensando a questo diceva: ‘Lui scelse me, fin dal seno della mia madre’”. Noi cristiani, dunque, siamo stati scelti:

“Queste sono cose di amore! L’amore non guarda se uno ha la faccia brutta o la faccia bella: ama! E Gesù fa lo stesso: ama e sceglie con amore. E sceglie tutti! Lui, nella lista, non c’è nessuno importante - fra virgolette - secondo i criteri del mondo: è gente comune. C’è gente comune. Ma hanno una cosa - sì - da sottolineare in tutti: sono peccatori. Gesù ha scelto i peccatori. Sceglie i peccatori. E questa è l’accusa che gli fanno i dottori della legge, gli scribi: ‘Questo va a mangiare con i peccatori, parla con le prostitute….’. Gesù chiama tutti! Ricordiamo quella parabola delle nozze del figlio: quando gli invitati non sono venuti, cosa fa il padrone di casa? Invia i suoi servi: ‘Andate e portate a casa tutti! Buoni e cattivi’, dice il Vangelo. Gesù ha scelto tutti!”.

Gesù – ha proseguito – ha scelto anche Giuda Iscariota, “che divenne il traditore… Il peccatore più grande per Lui. Ma è stato scelto da Gesù”. Poi c’è il terzo momento: “Gesù vicino alla gente”. In tantissimi vengono “per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie. Tutta la folla cercava di toccarlo” perché “da Lui usciva una forza che guariva tutti”. Gesù è in mezzo al suo popolo:

“Non è un professore, un maestro, un mistico che si allontana dalla gente e parla dalla cattedra, lì. No! E’ in mezzo alla gente; si lascia toccare; lascia che la gente gli chieda. Così è Gesù: vicino alla gente. E questa vicinanza non è una cosa nuova per Lui: Lui la sottolinea nel suo modo di agire, ma è una cosa che viene dalla prima scelta di Dio per il suo popolo. Dio dice al suo popolo: ‘Pensate, quale popolo ha un Dio così vicino come Io sono con voi?’. La vicinanza di Dio col suo popolo è la vicinanza di Gesù con la gente”.

“Così è il nostro Maestro, così è il nostro Signore – ha concluso il Papa -: uno che prega, uno che sceglie la gente e uno che non ha vergogna di essere vicino alla gente. E questo ci dà fiducia in Lui. Ci affidiamo a Lui perché prega, perché ci ha scelto e perché ci è vicino”. 



 

Caterina63
00giovedì 11 settembre 2014 13:14

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  Francesco: amare i nemici spaventa, ma ce lo chiede Gesù

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2014-09-11 Radio Vaticana

Solo con un cuore misericordioso potremo davvero seguire Gesù. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha ribadito che la vita cristiana “non è una vita autoreferenziale”, ma è dono fino alla fine, senza egoismo. Solo così sarà possibile amare i propri nemici come ci chiede il Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

Amate i vostri nemici. Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi sul passo del Vangelo di Luca in cui il Signore indica il cammino dell’amore senza confini.

Gesù, ha detto il Papa, ci chiede di pregare per chi ci tratta male e ha messo l’accento sui verbi utilizzati dal Signore: “Amate, fate del bene, benedite, pregate” e “non rifiutate”. “E’ proprio dare se stesso – ha affermato – dare il cuore, proprio a quelli che ci vogliono male, che ci fanno male, ai nemici. E questa è la novità del Vangelo”.

Gesù ci mostra, infatti, che non è un merito se amiamo quelli che ci amano, perché quello lo fanno anche i peccatori. I cristiani sono invece chiamati ad amare i loro nemici: “Fate del bene e prestate senza sperare nulla. Senza interesse e la vostra ricompensa sarà grande”. Certo, ha riconosciuto il Pontefice, “il Vangelo è una novità. Una novità difficile da portare avanti. Ma è andare dietro a Gesù”:

“‘Padre, io … io non me la sento di fare così!’ – ‘Ma, se non te la senti, è un problema tuo, ma il cammino cristiano è questo!’. Questo è il cammino che Gesù ci insegna. ‘E cosa devo sperare?’. Andate sulla strada di Gesù, che è la misericordia; siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Soltanto con un cuore misericordioso potremo fare tutto quello che il Signore ci consiglia. Fino alla fine. La vita cristiana non è una vita autoreferenziale; è una vita che esce da se stessa per darsi agli altri. E’ un dono, è amore, e l’amore non torna su se stesso, non è egoista: si dà”.

Gesù, ha ripreso, ci chiede di essere misericordiosi e di non giudicare. Tante volte, ha detto, “sembra che noi siamo stati nominati giudici degli altri: chiacchierando, sparlando … giudichiamo tutti”. E invece il Signore ci dice: “Non giudicate e non sarete giudicati. Non condannate e non sarete condannati”. E alla fine chiede di perdonare e così saremo perdonati. “Tutti i giorni – ha rammentato Francesco – lo diciamo nel Padre Nostro: ‘Perdonaci come noi perdoniamo’. Se io non perdono, come posso chiedere al Padre: ‘Mi perdoni?’”.

“Questa è la vita cristiana. ‘Ma, Padre, questa è una stoltezza!’ – ‘Sì’. Abbiamo sentito, questi giorni, San Paolo che diceva lo stesso: ‘La stoltezza della Croce di Cristo’, che non ha niente a che fare con la sapienza del mondo. ‘Ma, Padre, essere cristiano è diventare stolto, in un certo senso?’ – ‘Sì’. In un certo senso, sì. E’ rinunciare a quella furbizia del mondo per fare tutto quello che Gesù ci dice di fare e che se facciamo i conti, se facciamo un bilancio sembra a nostro sfavore”.

“Ma questa – ha avvertito – è la strada di Gesù: la magnanimità, la generosità; il dare se stesso senza misura”. E per questo, ha soggiunto, “Gesù è venuto al mondo, e così ha fatto Lui: ha dato, ha perdonato, non ha parlato male di nessuno, non ha giudicato”. “Essere cristiano non è facile”, ha riconosciuto il Papa, e noi “possiamo diventare cristiani” solo “con la grazia di Dio” e non “con le nostre forze”:

“E qui viene questa preghiera che dobbiamo fare tutti i giorni: ‘Signore, dammi la grazia di diventare un buon cristiano, una buona cristiana, perché io non ce la faccio’. Una prima lettura di questo, spaventa: spaventa. Ma se noi prendiamo il Vangelo e ne facciamo una seconda, una terza, una quarta, del capitolo VI di San Luca: facciamolo; e chiediamo al Signore la grazia di capire cosa è essere cristiano, e anche la grazia che Lui ci faccia, a noi, cristiani. Perché noi non possiamo farlo da soli”.






Il Papa: senza la Madre Chiesa non possiamo andare avanti

Messa del Papa a Santa Marta

15/09/2014

Come senza Maria non ci sarebbe stato Gesù, così “senza la Chiesa non possiamo andare avanti”. E’ quanto ha detto il Papa presiedendo la Messa mattutina a Santa Marta nel giorno in cui si celebra la memoria della Beata Vergine Addolorata. Il servizio di Sergio Centofanti:

La Liturgia – afferma Papa Francesco – dopo averci mostrato la Croce gloriosa, ci fa vedere la Madre umile e mite. Nella Lettera agli Ebrei “Paolo sottolinea tre parole forti”: dice che Gesù “imparò, obbedì e patì”. “E’ il contrario di quello che era accaduto al nostro padre Adamo, che non aveva voluto imparare quello che il Signore comandava, che non aveva voluto patire, né obbedire”. Gesù, invece, pur essendo Dio, "si annientò, umiliò se stesso facendosi servo. Questa è la gloria della Croce di Gesù”:

“Gesù è venuto al mondo per imparare a essere uomo, ed essendo uomo, camminare con gli uomini. E’ venuto al mondo per obbedire, e ha obbedito. Ma questa obbedienza l’ha imparata dalla sofferenza. Adamo è uscito dal Paradiso con una promessa, la promessa che è andata avanti durante tanti secoli. Oggi, con questa obbedienza, con questo annientare se stesso, umiliarsi, di Gesù, quella promessa diventa speranza. E il popolo di Dio cammina con speranza certa. Anche la Madre, ‘la nuova Eva’, come lo stesso Paolo la chiama, partecipa di questa strada del Figlio: imparò, soffrì e obbedì. E diventa Madre”.

Il Vangelo ci mostra Maria ai piedi della Croce. Gesù dice a Giovanni: “Ecco tua madre”. Maria - ha affermato il Papa - “è unta Madre”:

“E questa è anche la nostra speranza. Noi non siamo orfani, abbiamo Madri: la Madre Maria. Ma anche la Chiesa è Madre e anche la Chiesa è unta Madre quando fa la stessa strada di Gesù e di Maria: la strada della obbedienza, la strada della sofferenza e quando ha quell’atteggiamento di imparare continuamente il cammino del Signore. Queste due donne – Maria e la Chiesa – portano avanti la speranza che è Cristo, ci danno Cristo, generano Cristo in noi. Senza Maria, non sarebbe stato Gesù Cristo; senza la Chiesa, non possiamo andare avanti”.

“Due donne e due Madri” – ha proseguito Papa Francesco – e accanto a loro la nostra anima, che come diceva il monaco Isacco, l’abate di Stella, “è femminile” e assomiglia “a Maria e alla Chiesa”:

“Oggi, guardando presso la Croce questa donna, fermissima nel seguire suo Figlio nella sofferenza per imparare l’obbedienza, guardandola guardiamo la Chiesa e guardiamo nostra Madre. E, anche, guardiamo la nostra piccola anima che non si perderà mai, se continua a essere anche una donna vicina a queste due grandi donne che ci accompagnano nella vita: Maria e la Chiesa. E come dal Paradiso sono usciti i nostri Padri con una promessa, oggi noi possiamo andare avanti con una speranza: la speranza che ci dà la nostra Madre Maria, fermissima presso la Croce, e la nostra Santa Madre Chiesa gerarchica”.







Il Papa: se non si è vicini alla gente e non si dà speranza, le prediche sono vanità

Messa del Papa a Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa ricorda i Santi Cornelio, Papa, e Cipriano, vescovo, martiri

16/09/2014

Si possono fare belle prediche, ma se non si è vicini alle persone, se non si soffre con la gente e non si dà speranza, quelle prediche non servono, sono vanità: è quanto ha detto il Papa nell’omelia mattutina a Santa Marta, nel giorno in cui la Chiesa ricorda i Santi Cornelio, Papa, e Cipriano, vescovo, martiri. Il servizio di Sergio Centofanti:

Il Vangelo del giorno parla di Gesù che si avvicina ad un corteo funebre: una vedova di Nain ha perso il suo unico figlio. Il Signore compie il miracolo di riportare alla vita il giovane – afferma il Papa – ma fa di più: è vicino. “Dio – dice la gente – ha visitato il suo popolo”. Quando Dio visita “c’è qualcosa in più, c’è qualcosa di nuovo”, “vuol dire che la sua presenza è specialmente lì”. Gesù è vicino:

“Era vicino alla gente. Dio vicino che riesce a capire il cuore della gente, il cuore del suo popolo. Poi vede quel corteo, e il Signore si avvicina. Dio visita il suo popolo, in mezzo al suo popolo, e avvicinandosi. Vicinanza. E’ la modalità di Dio. E poi c’è un’espressione che si ripete nella Bibbia, tante volte: ‘Il Signore fu preso da grande compassione’. La stessa compassione che, dice il Vangelo, aveva quando ha visto tanta gente come pecore senza pastore. Quando Dio visita il suo popolo, gli è vicino, gli si avvicina e sente compassione: si commuove”.

“Il Signore – ha proseguito Papa Francesco - è profondamente commosso, come lo è stato davanti alla tomba di Lazzaro”. Come è commosso quel Padre “quando ha visto tornare a casa il figlio” prodigo:

“Vicinanza e compassione: così il Signore visita il suo popolo. E quando noi vogliamo annunziare il Vangelo, portare avanti la Parola di Gesù, questa è la strada. L’altra strada è quella dei maestri, dei predicatori del tempo: i dottori della legge, gli scribi, i farisei … Lontani dal popolo, parlavano … bene: parlavano bene. Insegnavano la legge, bene. Ma lontani. E questa non era una visita del Signore: era un’altra cosa. Il popolo non sentiva questo come una grazia, perché mancava la vicinanza, mancava la compassione e cioè patire con il popolo”.

“E c’è un’altra parola – ha sottolineato il Papa - che è propria di quando il Signore visita il suo popolo: ‘Il morto si mise seduto e incominciò a parlare, ed egli – Gesù – lo restituì a sua madre’”:

“Quando Dio visita il suo popolo, restituisce al popolo la speranza. Sempre. Si può predicare la Parola di Dio brillantemente: ci sono stati nella storia tanti bravi predicatori. Ma se questi predicatori non sono riusciti a seminare speranza, quella predica non serve. E’ vanità”.

Guardando Gesù che ha restituito alla mamma il figlio vivo – ha concluso il Papa – “possiamo capire cosa significa una visita di Dio al suo popolo. E chiedere la grazia che la nostra testimonianza di cristiani sia testimonianza portatrice della visita di Dio al suo popolo, cioè di vicinanza che semina la speranza”.



 

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA 
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Il profumo della peccatrice

Giovedì, 18 settembre 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.213, Giov. 19/09/2014)

 

Il Signore salva «solamente chi sa aprire il cuore e riconoscersi peccatore». È l’insegnamento che Papa Francesco ha tratto dal brano liturgico del Vangelo di Luca (7, 36-50) durante la messa celebrata giovedì mattina, 18 settembre, a Santa Marta. Si tratta del racconto della peccatrice che, durante un pranzo in casa di un fariseo, senza nemmeno essere invitata si avvicina a Cristo con «un vaso di profumo» e «stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo», comincia «a bagnarli di lacrime», poi li asciuga «con i suoi capelli», li bacia e li cosparge di profumo.

Il Pontefice ha spiegato che proprio «riconoscere i peccati, la nostra miseria, riconoscere quello che siamo e che siamo capaci di fare o abbiamo fatto è la porta che si apre alla carezza di Gesù, al perdono di Gesù, alla parola di Gesù: Vai in pace, la tua fede ti salva, perché sei stato coraggioso, sei stata coraggiosa ad aprire il tuo cuore a colui che soltanto può salvarti». In proposito il Papa ha ripetuto un’espressione a lui particolarmente cara: «il posto privilegiato dell’incontro con Cristo sono i propri peccati».

A un orecchio poco attento questa «sembrerebbe quasi un’eresia — ha commentato — ma lo diceva anche San Paolo» quando nella seconda Lettera ai Corinti (12, 9) affermava di vantarsi «di due cose soltanto: dei propri peccati e di Cristo Risorto che lo ha salvato».

Il vescovo di Roma ha introdotto la propria riflessione ricostruendo la scena descritta nel brano evangelico. Colui «che aveva invitato Gesù a pranzo — ha fatto notare — era una persona di un certo livello, di cultura, forse un universitario. Voleva sentire la dottrina di Gesù, perché come buona persona di cultura era inquieto», cercava di «conoscere di più». E «non sembra che fosse una persona cattiva», come non lo sembrano neanche «gli altri che erano a tavola». Finché non irrompe nel banchetto una figura femminile: in fondo «una maleducata» che «entra proprio dove non era invitata. Una che non aveva cultura o se l’aveva, qui non l’ha mostrato». Difatti «entra e fa quello che vuol fare: senza chiedere scusa, senza chiedere permesso». E in tutto questo, ha osservato il Papa, «Gesù lascia fare».

È allora che la realtà si svela dietro la facciata delle buone maniere, con il fariseo che comincia a pensare tra sé: «Se costui fosse un profeta saprebbe chi è e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice». Quest’uomo «non era cattivo», eppure «non riesce a capire quel gesto della donna. Non riesce a capire i gesti elementari della gente». Forse, ha sottolineato Francesco, «quest’uomo aveva dimenticato come si carezza un bambino, come si consola una nonna. Nelle sue teorie, nei suoi pensieri, nella sua vita di governo — perché forse era un consigliere dei farisei — aveva dimenticato i primi gesti della vita che noi tutti, appena nati, abbiamo incominciato a ricevere dai nostri genitori». Insomma, «era lontano dalla realtà». Solo così, ha proseguito il Papa, si spiega «l’accusa» mossa a Gesù: «Questo è un santone! Ci parla di cose belle, fa un po’ di magia; è un guaritore; ma alla fine non conosce la gente, perché se sapesse di che genere è questa avrebbe detto qualcosa».

Ecco allora «due atteggiamenti» molto differenti tra loro: da una parte quello dell’«uomo che vede e qualifica», giudica; e dall’altro quello della «donna che piange e fa cose che sembrano pazzie», perché utilizza un profumo che «è caro, è costoso». In particolare il Pontefice si è soffermato sul fatto che nel Vangelo si utilizzi la parola «unzione» per significare che il «profumo della donna unge: ha la capacità di diventare un’unzione», al contrario delle parole del fariseo che «non arrivano al cuore, non arrivano al corpo, non arrivano alla realtà».

In mezzo a queste due figure così antitetiche c’è Gesù, con «la sua pazienza, il suo amore», la sua «voglia di salvare tutti», che «lo porta a spiegare al fariseo cosa significa quello che fa questa donna» e a rimproverarlo, sia pure «con umiltà e tenerezza», per aver mancato di «cortesia» nei suoi confronti. «Sono entrato in casa tua — gli dice — e non mi hai dato l’acqua per i piedi; non mi hai dato un bacio; non hai unto con olio il mio capo. Invece lei fa tutto questo: con le sue lacrime, con i suoi capelli, col suo profumo».

Il Papa ha anche evidenziato che il Vangelo non dice «com’è finita la storia per quest’uomo», ma dice chiaramente «come è finita per la donna: “I tuoi peccati sono perdonati!”». Una frase, questa, che scandalizza i commensali, i quali cominciano a confabulare tra loro chiedendosi: «Ma chi è costui che perdona i peccati?». Mentre Gesù prosegue dritto per la sua strada e «dice quella frase tanto ripetuta nel Vangelo: “Vai in pace, la tua fede ti ha salvata!”». Insomma, «a lei si dice che i peccati sono perdonati, agli altri Gesù fa vedere soltanto i gesti e spiega i gesti, anche i gesti non fatti, ossia quello che non hanno fatto con lui». È una differenza che Francesco ha voluto rimarcare: nel comportamento della donna «c’è molto, tanto amore», mentre riguardo a quello dei commensali Gesù «non dice che manca» l’amore, «ma lo fa capire». Di conseguenza «la parola salvezza — “La tua fede ti ha salvata!” — la dice soltanto alla donna, che è una peccatrice. E la dice perché lei è riuscita a piangere i suoi peccati, a confessare i suoi peccati, a dire: “Io sono una peccatrice”». Al contrario, «non la dice a quella gente», che pure «non era cattiva», anche perché queste persone «si credevano non peccatori». Per loro «i peccatori erano gli altri: i pubblicani, le prostitute».

Ecco allora l’insegnamento del Vangelo: «La salvezza entra nel cuore soltanto quando noi apriamo il cuore nella verità dei nostri peccati». Certo, ha argomentato il vescovo di Roma, «nessuno di noi andrà a fare il gesto che ha fatto questa donna», perché si tratta di «un gesto culturale dell’epoca; ma tutti noi abbiamo la possibilità di piangere, tutti noi abbiamo la possibilità di aprirci e dire: Signore, salvami! Tutti noi abbiamo la possibilità di incontrarci col Signore». Anche perché, ha affermato, «a quell’altra gente, in questo passo del Vangelo, Gesù non dice niente. Ma in un altro passo dirà quella parola terribile: “Ipocriti, perché vi siete staccati dalla realtà, della verità!”. E ancora, riferendosi all’esempio di questa peccatrice, ammonirà: «Pensate bene, saranno le prostitute e i pubblicani che vi precederanno nel regno dei cieli!». Perché loro — ha concluso — «si sentono peccatori» e «aprono il loro cuore nella confessione dei peccati, all’incontro con Gesù, che ha dato il sangue per tutti noi».

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Il Papa: l'identità cristiana si compie con la nostra resurrezione

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2014-09-19 Radio Vaticana

Il percorso del cristiano si compie nella Resurrezione. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’omelia mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice, commentando le parole di San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi, ha sottolineato che i cristiani sembrano aver difficoltà a credere alla trasformazione del proprio corpo dopo la morte. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Papa Francesco ha incentrato l’omelia sulla prima lettura che vede San Paolo impegnato a fare una “correzione difficile”, “quella della Resurrezione”. L’Apostolo delle Genti si rivolge alla comunità dei cristiani a Corinto. Costoro credevano che “Cristo è risorto” e “ci aiuta dal Cielo”, ma non era chiaro per loro che “anche noi resusciteremo”. “Loro – ha detto Francesco – pensavano in un altro modo: sì, i morti sono giustificati, non andranno all’inferno – molto bello! – ma andranno un po’ nel cosmo, nell’aria, lì, l’anima davanti a Dio, l’anima soltanto”.

Del resto, ha proseguito, anche San Pietro “la mattina della Resurrezione è andato di corsa al Sepolcro e pensava che lo avessero rubato”. E così anche Maria Maddalena. “Non entrava nella loro mente – ha osservato – una resurrezione reale”. Non riuscivano a capire quel “passaggio nostro dalla morte alla vita”, attraverso la Resurrezione. Alla fine, ha commentato il Papa, “hanno accettato quella di Gesù perché lo hanno visto”, ma “quella dei cristiani non era capita così”. Del resto, ha rammentato, quando San Paolo va ad Atene e incomincia a parlare della Resurrezione di Cristo, i greci saggi, filosofi, si spaventano:

“Ma la resurrezione dei cristiani è uno scandalo, non possono capirlo. E per questo Paolo fa questo ragionamento, ragiona così, tanto chiaro: ‘Se Cristo è risorto, come possono dire alcuni tra voi che non vi è resurrezione dai morti? Se Cristo è risorto, anche i morti risusciteranno’. C’è la resistenza alla trasformazione, la resistenza a che l’opera dello Spirito che abbiamo ricevuto nel Battesimo ci trasformi fino alla fine, alla Resurrezione. E quando noi parliamo di questo, il nostro linguaggio dice: ‘Ma, io voglio andare in Cielo, non voglio andare all’Inferno’, ma ci fermiamo lì. Nessuno di noi dice: ‘Io resusciterò come Cristo’: no. Anche a noi è difficile capire questo”.

“E’ più facile – ha ripreso – pensare a un panteismo cosmico”. E questo perché “c’è la resistenza ad essere trasformati, che è la parola che usa Paolo: ‘Saremo trasformati. Il nostro corpo sarà trasformato’”. “Quando un uomo o una donna deve subire un intervento chirurgico – ha rilevato il Papa – ha molta paura perché o gli toglieranno qualcosa o gli metteranno quell’altra cosa … sarà trasformato, per così dire”. E ha ribadito che “con la Resurrezione, tutti noi saremo trasformati”:

“Questo è il futuro che ci aspetta e questo è il fatto che ci porta a fare tanta resistenza: resistenza alla trasformazione del nostro corpo. Anche, resistenza all’identità cristiana. Dirò di più: forse non abbiamo tanta paura dell’Apocalisse del Maligno, dell’Anticristo che deve venire prima; forse non abbiamo tanta paura. Forse non abbiamo tanta paura della voce dell’Arcangelo o del suono della tromba: ma, sarà la vittoria del Signore. Ma paura della nostra resurrezione: tutti noi saremo trasformati. Sarà la fine del nostro percorso cristiano, quella trasformazione”.

Questa “tentazione di non credere alla Resurrezione del morti – ha proseguito – è nata” nei “primi giorni della Chiesa”. E quando Paolo ha dovuto parlare su questo ai Tessalonicesi, “alla fine, per consolarli, per incoraggiarli dice una delle frasi più piene di speranza che ci sono nel Nuovo Testamento, e dice così: ‘Alla fine, saremo con Lui’”. Ecco, ha detto Francesco, cos’è l’identità cristiana: “Stare con il Signore. Così, con il nostro corpo e con la nostra anima”. Noi, ha soggiunto, “resusciteremo per stare con il Signore, e la Resurrezione incomincia qui, come discepoli, se noi stiamo con il Signore, se noi camminiamo con il Signore”. Questa, ha ribadito, “è la strada verso la Resurrezione. E se noi siamo abituati a stare con il Signore, questa paura della trasformazione del nostro corpo si allontana”.

La Resurrezione, ha detto ancora, “sarà come un risveglio”. Giobbe ci dice: “Io lo vedrò con i miei occhi”. “Non spiritualmente – ha fatto notare il Papa – no”, “con il mio corpo, con i miei occhi trasformati”. “L’identità cristiana – ha avvertito – non finisce con un trionfo temporale, non finisce con una bella missione”, l’identità cristiana si compie “con la Resurrezione dei nostri corpi, con la nostra Resurrezione”:

“Lì è la fine, per saziarci dell’immagine del Signore. L’identità cristiana è una strada, è un cammino dove si sta con il Signore; come quei due discepoli che ‘stettero con il Signore’ tutta quella serata, anche tutta la nostra vita è chiamata a stare con il Signore per – alla fine, dopo la voce dell’Arcangelo, dopo il suono della tromba – rimanere, stare con il Signore”.

(Da Radio Vaticana)






Caterina63
00martedì 23 settembre 2014 17:33

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  Omelia a Santa Marta - Due condizioni

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2014-09-23 - martedì -  L’Osservatore Romano

La Parola di Dio non è «un fumetto» da leggere, ma un insegnamento che va ascoltato con il cuore e messo in pratica nella vita quotidiana. Un impegno accessibile a tutti, perché sebbene «noi l’abbiamo fatta un po’ difficile», la vita cristiana è «semplice, semplice»: infatti «ascoltare la parola di Dio e metterla in pratica» sono le uniche due «condizioni» poste da Gesù a chi vuole seguirlo.

È questo in sintesi, per Papa Francesco, il significato delle letture proposte dalla liturgia di martedì 23 settembre. Celebrando la messa a Santa Marta, il Pontefice si è soffermato in particolare sul brano del Vangelo di Luca (8, 19-21) in cui si racconta della madre e dei fratelli di Gesù che non riescono ad «avvicinarlo a causa della folla». Partendo dalla constatazione che egli trascorreva la maggior parte del suo tempo «sulla strada, con la gente», il vescovo di Roma ha notato come tra i tanti che lo seguivano ci fossero persone che sentivano «in lui un’autorità nuova, un modo di parlare nuovo», sentivano «la forza della salvezza» da lui offerta. «Era lo Spirito Santo — ha commentato in proposito — che toccava il loro cuore per questo».

Ma, ha fatto notare il Papa, mischiata tra la folla c’era anche gente che seguiva Gesù con secondi fini. Alcuni «per convenienza», altri forse per la «voglia di essere più buoni». Un po’ «come noi», ha detto attualizzando il discorso, che «tante volte andiamo da Gesù perché abbiamo bisogno di qualcosa e poi lo dimentichiamo lì, solo». Una storia che si ripete, visto che già allora Gesù a volte rimproverava chi lo seguiva. È quello che capita, per esempio, dopo la moltiplicazione dei pani, quando dice alla gente: «Voi venite da me non per ascoltare la parola di Dio, ma perché l’altro giorno vi ho dato da mangiare»; o con i dieci lebbrosi, dei quali soltanto uno torna a ringraziarlo, mentre «gli altri nove erano felici con la loro salute e si dimenticarono di Gesù».

Nonostante tutto, ha affermato il Papa, «Gesù continuava a parlare alla gente» e ad amarla, al punto da definire «quella folla immensa “la mia madre e i miei fratelli”». I familiari di Gesù sono dunque «coloro che ascoltano la parola di Dio» e «la mettono in pratica». Questa — ha rilevato — «è la vita cristiana: niente di più. Semplice, semplice. Forse noi l’abbiamo fatta un po’ difficile, con tante spiegazioni che nessuno capisce, ma la vita cristiana è così: ascoltare la parola di Dio e praticarla. Per questo abbiamo pregato nel salmo: “Guidami Signore sul sentiero dei tuoi comandi”, della tua parola, dei tuoi comandamenti, per praticare».

Da qui l’invito ad «ascoltare la parola, veramente, nella Bibbia, nel Vangelo», meditando le Scritture per metterne in pratica i contenuti nella vita quotidiana. Ma, ha chiarito il Pontefice, se scorriamo il Vangelo superficialmente, allora «questo non è ascoltare la parola di Dio: questo è leggere la parola di Dio, come si può leggere un fumetto». Mentre ascoltare la parola di Dio «è leggere» e chiedersi: «Ma questo che dice al mio cuore? Dio cosa mi sta dicendo con questa parola?». Solo così, infatti, «la nostra vita cambia». E questo avviene «ogni volta che apriamo il Vangelo e leggiamo un passo e ci domandiamo: “Con questo Dio mi parla, dice qualcosa a me? E se dice qualcosa, cosa mi dice?”».

Questo significa «ascoltare la parola di Dio, ascoltarla con le orecchie e ascoltarla con il cuore, aprire il cuore alla parola di Dio». Al contrario, «i nemici di Gesù ascoltavano la parola di Gesù ma gli erano vicini per cercare di trovare uno sbaglio, per farlo scivolare» e fargli perdere «autorità. Ma mai si domandavano: “Cosa dice Dio per me in questa parola?”».

Inoltre, ha aggiunto il Pontefice, «Dio non parla solo a tutti, ma parla a ognuno di noi. Il Vangelo è stato scritto per ognuno di noi. E quando io prendo la Bibbia, prendo il Vangelo e leggo, devo chiedermi cosa dice il Signore a me». Del resto, «questo è quello che Gesù dice che fanno i suoi veri parenti, i suoi veri fratelli: ascoltare la parola di Dio col cuore. E poi, dice, “la mettono in pratica”».

Certo, ha riconosciuto Francesco, «è più facile vivere tranquillamente senza preoccuparsi delle esigenze della parola di Dio». Però «anche questo lavoro lo ha fatto il Padre per noi». Infatti, i comandamenti sono proprio «un modo di mettere in pratica» la parola del Signore. E lo stesso vale per le beatitudini. In quel brano del Vangelo di Matteo, ha osservato il Papa, «ci sono tutte le cose che noi dobbiamo fare, per mettere in pratica la parola di Dio». Infine «ci sono le opere di misericordia», anch’esse indicate nel Vangelo di Matteo, al capitolo 25. Insomma, questi sono esempi «di quello che vuole Gesù quando ci chiede di “mettere in pratica” la parola».

In conclusione il Pontefice ha ricapitolato la sua riflessione ricordando che «tanta gente seguiva Gesù»: qualcuno «per la novità», qualcun altro «perché aveva bisogno di sentire una buona parola»; ma in realtà non erano tanti quelli che poi effettivamente mettevano «in pratica la parola di Dio». Eppure «il Signore faceva la sua opera, perché lui è misericordioso e perdona tutti, richiama tutti, aspetta tutti, perché è paziente».

Anche oggi, ha sottolineato il Papa, «tanta gente va in chiesa per sentire la parola di Dio, ma forse non capisce il predicatore quando predica un po’ difficile, o non vuol capire. Perché anche questo è vero: il nostro cuore tante volte non vuol capire». Però Gesù continua ad accogliere tutti, «anche quelli che vanno a sentire la parola di Dio e poi lo tradiscono», come Giuda che lo chiama «amico». Il Signore, ha ribadito Francesco, «sempre semina la sua parola» e in cambio «chiede soltanto un cuore aperto per ascoltarla e buona volontà per metterla in pratica. Per questo allora la preghiera di oggi sia quella del salmo: “Guidami Signore sul sentiero dei tuoi comandi”, cioè sul sentiero della tua parola, e perché io impari con la tua guida a metterla in pratica».





Il Papa: no a cristiani vanitosi, sono come una bolla di sapone

Messa di Papa Francesco a S. Marta

25/09/2014

Guardiamoci dalla vanità che ci allontana dalla verità e ci fa sembrare una bolla di sapone. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice, prendendo spunto dal passo del Libro di Qoelet nella Prima Lettura, ha sottolineato che, anche quando fanno del bene, i cristiani devono rifuggire la tentazione di apparire, di “farsi vedere”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Se tu “non hai qualcosa di consistente, anche tu passerai come tutte le cose”. Papa Francesco ha preso spunto dal Libro del Qoelet per soffermarsi sulla vanità. Una tentazione, ha osservato, che non c’è solo per i pagani ma anche per i cristiani, per le “persone di fede”. Gesù, ha rammentato, “rimproverava tanto” quelli che si vantavano. Ai dottori della legge, ha soggiunto, diceva che non dovevano “passeggiare nelle piazze” con “vestiti lussuosi” come “principi”. Quando tu preghi, ammoniva il Signore, “per favore non farti vedere, non pregare perché ti vedano”, “prega di nascosto, va nella tua stanza”. Lo stesso, ha ribadito il Papa, va fatto quando si aiutano i poveri: “Non far suonare la tromba, fallo di nascosto. Il Padre lo vede, è sufficiente”:

“Ma il vanitoso: ‘Ma guarda, io do questo assegno per le opere della Chiesa’ e fa vedere l’assegno; poi truffa dall’altra parte la Chiesa. Ma fa questo il vanitoso: vive per apparire. ‘Quando tu digiuni - dice il Signore a questi – per favore non fare il malinconico lì, il triste, perché tutti se ne accorgano, che tu stai digiunando; no, digiuna con gioia; fa' penitenza con gioia, che nessuno si accorga’. E la vanità è così: è vivere per apparire, vivere per farsi vedere”.

“I cristiani che vivono così – ha proseguito - per apparire, per la vanità, sembrano pavoni, si pavoneggiano”. C’è chi dice, “io sono cristiano, io sono parente di quel prete, di quella suora, di tal vescovo, la mia famiglia è una famiglia cristiana”. Si vantano. “Ma – chiede il Papa – la tua vita col Signore? Come preghi? La tua vita nelle opere di misericordia, come va? Tu fai le visite agli ammalati? La realtà”. E per questo Gesù, ha aggiunto, “ci dice che dobbiamo costruire la nostra casa, cioè la nostra vita cristiana, sulla roccia, sulla verità”. Invece, è stato il suo monito, “i vanitosi costruiscono la casa sulla sabbia e quella casa cade, quella vita cristiana cade, scivola, perché non è capace di resistere alle tentazioni”:

“Quanti cristiani vivono per apparire. La vita loro sembra una bolla di sapone. E’ bella la bolla di sapone! Tutti i colori ha! Ma dura un secondo e poi che? Anche quando guardiamo alcuni monumenti funebri, pensiamo che è vanità, perché la verità è tornare alla terra nuda, come diceva il Servo di Dio Paolo VI. Ci aspetta la terra nuda, questa è la nostra verità finale. Nel frattempo, mi vanto o faccio qualcosa? Faccio del bene? Cerco Dio? Prego? Le cose consistenti. E la vanità è bugiarda, è fantasiosa, inganna se stessa, inganna il vanitoso, perché prima fa finta di essere, ma alla fine crede di essere quello, crede. Ci crede. Poveretto!”.

E’ questo, ha sottolineato, è quello che succedeva al Tetrarca Erode che, come narra il Vangelo odierno, si interrogava con insistenza sull’identità di Gesù. “La vanità – ha detto il Papa – semina inquietudine cattiva, toglie la pace. E’ come quelle persone che si truccano troppo e poi hanno paura che le prenda la pioggia e tutto quel trucco venga giù”. “Non ci dà pace la vanità – ha ripreso – soltanto la verità ci dà la pace”. Francesco ha dunque ribadito che l’unica roccia su cui possiamo edificare la nostra vita è Gesù. “E pensiamo – ha affermato – a questa proposta del diavolo, del demonio, anche ha tentato Gesù di vanità nel deserto” dicendogli: “Vieni con me, andiamo su al tempio, facciamo lo spettacolo; tu ti butti giù e tutti crederanno in te”. Il demonio aveva presentato a Gesù “la vanità in un vassoio”. La vanità, ha ribadito il Papa, “è una malattia spirituale molto grave”:

“I Padri egiziani del deserto dicevano che la vanità è una tentazione contro la quale dobbiamo lottare tutta la vita, perché sempre ritorna per toglierci la verità. E per far capire questo dicevano: è come la cipolla, tu la prendi e cominci a sfogliare - la cipolla – e sfogli la vanità oggi, un po’ di vanità domani e tutta la vita sfogliando la vanità per vincerla. E alla fine stai contento: ho tolto la vanità, ho sfogliato la cipolla, ma ti rimane l’odore in mano. Chiediamo al Signore la grazia di non essere vanitosi, di essere veri, con la verità della realtà e del Vangelo”.

 




Il Papa: Cristo si capisce portando la croce come il Cireneo

Papa Francesco alla Messa in Casa S. Marta

26/09/2014

Un cristiano non può capire il Cristo Redentore senza la croce, senza che sia disposto a portarla con Gesù. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia mattutina celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio diAlessandro De Carolis:

Cristiano uguale “cireneo”. L’avere fede sta in questa identificazione: si appartiene a Gesù se si regge con Lui il peso della Croce. Altrimenti si percorre una via “buona” all’apparenza, ma non “vera”. A guidare la riflessione di Papa Francesco è il Vangelo del giorno, in cui Cristo chiede ai discepoli cosa dica la gente di Lui, ricevendo in risposta le ipotesi più disparate. L’episodio, osserva il Papa, si inquadra nel contesto del Vangelo che vede Gesù custodire “in una maniera speciale la sua vera identità”. In più occasioni, ricorda, quando “qualcuno si avvicinava” a comunicarla, “lo fermava”, così come impedisce più volte anche al demonio di rivelare la sua natura di “Figlio di Dio” venuto a salvare il mondo. Questo perché, spiega Papa Francesco, la gente non equivocasse e pensasse al Messia come a un condottiero venuto a cacciare i Romani. Solo in privato, ai Dodici, Gesù comincia a “fare la catechesi sulla vera identità”:

“Il Figlio dell’uomo - disse - cioè il Messia, l’Unto, deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e degli scribi, venire ucciso e risorgere. Questa è la strada della vostra liberazione. Questa è la strada del Messia, del Giusto: la Passione, la Croce. E a loro spiega la sua identità. Loro non vogliono capire e nel brano di Matteo si vede come Pietro rifiuta questo: ‘No! No! Signore…’. Ma incomincia ad aprire il mistero della sua propria identità: 'Sì, io sono il Figlio di Dio. Ma questo è il mio cammino: devo andare in questa strada di sofferenza'”.

È questa, afferma Papa Francesco, la “pedagogia” che Gesù usa per “preparare i cuori dei discepoli, i cuori della gente, a capire questo Mistero di Dio”:

“E’ tanto l’amore di Dio, è tanto brutto il peccato, che Lui ci salva così: con questa identità nella Croce. Non si può capire Gesù Cristo Redentore senza la Croce: non si può capire! Possiamo arrivare fino a pensare che è un gran profeta, fa cose buone, è un santo. Ma il Cristo Redentore senza la Croce non lo si può capire. Ma i cuori dei discepoli, i cuori della gente non erano preparati per capirlo. Non avevano capito le Profezie, non avevano capito che Lui era proprio l’Agnello per il sacrificio. Non era preparata”.

È solo la Domenica delle Palme, nota il Papa, che Cristo permette alla folla di dire, “più o meno”, la sua identità, con quel “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore”. E questo perché, disse, “se questa gente non grida, grideranno le pietre!”. Invece, è solo dopo la sua morte che l’identità di Gesù appare in pienezza e la “prima confessione” viene dal centurione romano, rammenta Papa Francesco. Che conclude: “passo passo”, Gesù  ci “prepara per capirlo bene”. Ci “prepara ad accompagnarlo con le nostre croci nella sua strada verso la redenzione”:

“Ci prepara ad essere dei cirenei per aiutarlo a portare la Croce. E la nostra vita cristiana senza questo non è cristiana. E’ una vita spirituale, buona… ‘Gesù è il grande profeta, anche ci ha salvato. Ma Lui e io no…’. Tu con Lui! Facendo la stessa strada. Anche la nostra identità di cristiani deve essere custodita e non credere che essere cristiani è un merito, è un cammino spirituale di perfezione. Non è un merito, è pura grazia.”





Il Papa: Satana presenta le cose come buone, ma vuole distruggere umanità

Papa Francesco nella Cappella di Santa Marta

29/09/2014

Satana presenta le cose come se fossero buone, ma la sua intenzione è distruggere l'uomo, magari con motivazioni "umanistiche". Gli angeli lottano contro il diavolo e ci difendono. Questo, in sintesi, quanto ha detto il Papa nell'omelia mattutina a Casa Santa Marta, nel giorno in cui la Chiesa celebra la Festa dei Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Le letture del giorno ci presentano immagini molto forti: la visione della gloria di Dio raccontata dal profeta Daniele con il Figlio dell’Uomo, Gesù Cristo, davanti al Padre; la lotta dell’arcangelo Michele e i suoi angeli contro “il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo” e “seduce tutta la terra abitata” ma viene sconfitto, come afferma l’Apocalisse; e il Vangelo in cui Gesù  dice a Natanaèle: “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo”. Papa Francesco parla della “lotta fra il demonio e Dio”:

“Ma questa lotta avviene dopo che Satana cerca di distruggere la donna che sta per partorire il figlio. Satana sempre cerca di distruggere l’uomo: quell’uomo che Daniele vedeva lì, in gloria, e che Gesù diceva a Natanaèle che sarebbe venuto in gloria. Dall’inizio la Bibbia ci parla di questo: di questa seduzione per distruggere, di Satana. Magari per invidia. Noi leggiamo nel Salmo 8: ‘Tu hai fatto l’uomo superiore agli angeli’, e quell’intelligenza tanto grande dell’angelo non poteva portare sulle spalle questa umiliazione, che una creatura inferiore fosse fatta superiore; e cercava di distruggerlo”.

Satana, dunque, cerca di distruggere l’umanità, tutti noi:

“Tanti progetti, tranne i peccati propri, ma tanti, tanti progetti di disumanizzazione dell’uomo, sono opera di lui, semplicemente perché odia l’uomo. E’ astuto: lo dice la prima pagina della Genesi; è astuto. Presenta le cose come se fossero buone. Ma la sua intenzione è la distruzione. E gli angeli ci difendono. Difendono l’uomo e difendono l’Uomo-Dio, l’Uomo superiore, Gesù Cristo che è la perfezione dell’umanità, il più perfetto. Per questo la Chiesa onora gli angeli, perché sono quelli che saranno nella gloria di Dio – sono nella gloria di Dio – perché difendono il gran mistero nascosto di Dio, cioè che il Verbo è venuto in carne”.

“Il compito del popolo di Dio – ha affermato il Papa - è custodire in sé l’uomo: l’uomo Gesù” perché “è l’uomo che dà vita a tutti gli uomini”. Invece, nei suoi progetti di distruzione, Satana inventa “spiegazioni umanistiche che vanno propriamente contro l’uomo, contro l’umanità e contro Dio”:

“La lotta è una realtà quotidiana, nella vita cristiana: nel nostro cuore, nella nostra vita, nella nostra famiglia, nel nostro popolo, nelle nostre chiese … Se non si lotta, saremo sconfitti. Ma il Signore ha dato questo mestiere principalmente agli angeli: di lottare e vincere. E il canto finale dell’Apocalisse, dopo questa lotta, è tanto bello: ‘Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il Regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, perché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte’”.

Il Papa, infine, invita a pregare gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele e a “recitare quella preghiera antica ma tanto bella, all’arcangelo Michele, perché continui a lottare per difendere il mistero più grande dell’umanità: che il Verbo si è fatto Uomo, è morto e è risorto. Questo è il nostro tesoro. Che lui continui a lottare per custodirlo”.






Caterina63
00martedì 30 settembre 2014 13:05

  Il Papa: evitare lamentele da teatro, pregare per chi soffre davvero

Messa a Santa Marta

30/09/2014

Anche il lamento, in momenti bui, diventa preghiera ma guardiamoci dalle “lamentele da teatro”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha preso spunto da un passo del Libro di Giobbe, contenuto nella Prima Lettura. Quindi, ha ricordato chi vive “grandi tragedie” come i cristiani cacciati dalle loro case per la propria fede. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Giobbe maledice il giorno in cui è nato, la sua preghiera appare come una maledizione. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia sulla Prima Lettura che ci mostra Giobbe maledire la sua vita. “E’ stato messo alla prova – ha rammentato il Papa – ha perso tutta la famiglia, ha perso tutti i beni, ha perso la salute e tutto il suo corpo è diventato una piaga, una piaga schifosa”. In quel momento, ha sottolineato Francesco, “è finita la pazienza e lui dice queste cose. Sono brutte! Ma lui sempre era abituato a parlare con la verità e questa è la verità che lui sente in quel momento”. Anche Geremia, ha rammentato, “usa quasi le stesse parole: ‘Maledetto il giorno che nacqui!’”. “Ma questo uomo bestemmia? Questa è la mia domanda – si è chiesto Francesco – quest’uomo che sta solo, così, in questo, bestemmia?”

“Gesù, quando si lamenta – ‘Padre, perché mi ha abbandonato!’ - bestemmia? Il mistero è questo. Tante volte io ho sentito persone che stanno vivendo situazioni difficili, dolorose, che hanno perso tanto o si sentono sole e abbandonate e vengono a lamentarsi e fanno queste domande: perché? Perché? Si ribellano contro Dio. E io dico: ‘Continua a pregare così, perché anche questa è una preghiera’. Era una preghiera quando Gesù ha detto a suo Padre: ‘Perché mi ha abbandonato!’”.

E’ una “preghiera quella che fa Giobbe qui. Perché, ha evidenziato, pregare è diventare in verità davanti a Dio. E Giobbe non poteva pregare altrimenti”. “Si prega con la realtà – ha soggiunto – la vera preghiera viene dal cuore, dal momento che uno vive”. “E’ la preghiera nei momenti del buio, nei momenti della vita – ha detto il Papa – dove non c’è speranza, non si vede l’orizzonte”:

“E tanta gente, tanta oggi, è nella situazione di Giobbe. Tanta gente buona, come Giobbe, non capisce cosa le è accaduto, perché è così. Tanti fratelli e sorelle che non hanno speranza. Pensiamo alle tragedie, alle grandi tragedie, per esempio questi fratelli nostri che per essere cristiani sono cacciati via dalla loro casa e rimangono senza niente: ‘Ma, Signore, io ho creduto in te. Perché? Credere in Te è una maledizione, Signore?’”.

“Pensiamo agli anziani lasciati da parte – ha proseguito – pensiamo agli ammalati, a tanta gente sola, negli ospedali”. Per tutta questa gente, e “anche per noi quando andiamo nel cammino del buio – ha assicurato – la Chiesa prega. La Chiesa prega! E prende su di sé questo dolore e prega”. E noi, “senza malattie, senza fame, senza bisogni importanti – ha ammonito – quando abbiamo un po’ di buio nell’anima, ci crediamo di essere martiri e smettiamo di pregare”. E c’è chi dice: “Mi sono arrabbiato con Dio, non vado più a Messa!”. “Ma perché?”, chiede il Papa. “Per una cosina piccolina”, è la risposta. Francesco ha così rammentato che Santa Teresa di Gesù Bambino, negli ultimi mesi della sua vita, “cercava di pensare al cielo, sentiva dentro di sé, come fosse una voce che diceva ‘Ma non essere sciocca, non farti fantasie. Sai cosa ti aspetta? Il niente!’”.

“Tante volte passiamo per questa situazione, viviamo questa situazione. E tanta gente che soltanto pensa di finire nel niente. E lei, Santa Teresa, pregava e chiedeva forza per andare avanti, nel buio. Questo si chiama entrare in pazienza. La nostra vita è troppo facile, le nostre lamentele sono lamentele da teatro. Davanti a queste, a questi lamenti di tanta gente, di tanti fratelli e sorelle che sono nel buio, che hanno perso quasi la memoria, quasi la speranza – che vivono quell’esilio da se stessi, sono esiliati, anche da se stessi – niente! E Gesù ha fatto questa strada: dalla sera al Monte degli Ulivi fino all’ultima parola dalla Croce: ‘Padre, perché mi hai abbandonato!’”.

Il Santo Padre ha quindi indicato due “cose” che possono servire. “Prima: prepararsi, per quando verrà il buio”, che forse non sarà tanto duro come per Giobbe “ma avremo un tempo di buio. Preparare il cuore per quel momento”. E secondo: “Pregare, come prega la Chiesa, con la Chiesa per tanti fratelli e sorelle che patiscono l’esilio da se stessi, nel buio e nella sofferenza, senza speranza alla mano”. E’ la “preghiera della Chiesa – ha concluso – per questi ‘Gesù sofferenti’, che ci sono dappertutto”.










Francesco: l'angelo custode esiste, ascoltiamo i suoi consigli


Papa Francesco pronuncia l'omelia nella Cappella di Santa Marta

02/10/2014

L’angelo custode esiste, non è una dottrina fantasiosa, ma un compagno che Dio ci ha posto accanto nel cammino della nostra vita: è quanto ha detto Papa Francesco nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta, nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria dei Santi Angeli Custodi. Il servizio di Sergio Centofanti:

Le letture del giorno – afferma Papa Francesco - presentano due immagini: l’angelo e il bambino. Dio ha messo al nostro fianco un angelo per custodirci: “Se uno di noi credesse di poter camminare da solo, sbaglierebbe tanto”, cadrebbe “in quello sbaglio tanto brutto che è la superbia: credere di essere grande”, autosufficiente.
Gesù insegna agli apostoli ad essere come i bambini. "I discepoli litigavano su chi fosse il più grande tra loro: c’era una disputa interna … eh, il carrierismo, eh? Questi che sono i primi vescovi, avevano questa tentazione del carrierismo. ‘Eh, io voglio diventare più grande di te …’. Non è un buon esempio che i primi vescovi facciano questo, ma è la realtà. E Gesù insegna loro il vero atteggiamento”, quello dei bambini: “la docilità, il bisogno di consiglio, il bisogno di aiuto, perché il bambino è proprio il segno del bisogno di aiuto, di docilità per andare avanti … Questa è la strada. Non chi è più grande”. Quelli che sono più vicini all’atteggiamento di un bambino, sono “più vicini alla contemplazione del Padre”. Ascoltano con cuore aperto e docile l’angelo custode:

“Tutti noi, secondo la tradizione della Chiesa, abbiamo un angelo con noi, che ci custodisce, ci fa sentire le cose. Quante volte abbiamo sentito: ‘Ma … questo … dovrei fare così, questo non va, stai attento …’: tante volte! E la voce di questo nostro compagno di viaggio. Essere sicuri che lui ci porterà alla fine della nostra vita con i suoi consigli, e per questo dare ascolto alla sua voce, non ribellarci … Perché la ribellione, la voglia di essere indipendente, è una cosa che tutti noi abbiamo; è la superbia, quella che ha avuto il nostro padre Adamo nel Paradiso terrestre: la stessa. Non ribellarti: segui i suoi consigli”.

“Nessuno cammina da solo e nessuno di noi può pensare che è solo” – ha proseguito il Papa – perché c’è sempre “questo compagno”:

“E quando noi non vogliamo ascoltare il suo consiglio, ascoltare la sua voce, è come dirgli: ‘Ma, vai via!’. Cacciare via il compagno di cammino è pericoloso, perché nessun uomo, nessuna donna può consigliare se stesso. Io posso consigliare un altro, ma non consigliare me stesso. C’è lo Spirito Santo che mi consiglia, c’è l’angelo che mi consiglia. Per questo, abbiamo bisogno. Questa non è una dottrina sugli angeli un po’ fantasiosa: no, è realtà. Quello che Gesù, che Dio ha detto: ‘Io mando un angelo davanti a te per custodirti, per accompagnarti nel cammino, perché non sbagli’”.

Papa Francesco conclude così l’omelia:

“Io, oggi, farei la domanda: com’è il rapporto con il mio angelo custode? Lo ascolto? Gli dico buongiorno, al mattino? Gli dico: ‘Custodiscimi durante il sonno?’. Parlo con lui? Gli chiedo consiglio? E’ al mio fianco. Questa domanda possiamo risponderla oggi, ognuno di noi: com’è il rapporto con quest’angelo che il Signore ha mandato per custodirmi e accompagnarmi nel cammino, e che vede sempre la faccia del Padre che è nei cieli”.





Il Papa: la salvezza è solo in Gesù, non nei tanti precetti fatti da uomini

Papa Francesco nella cappella di Casa S. Marta

03/10/2014

Credere in Gesù, portatore di un messaggio che salva l’umanità di ogni tempo, o rifugiarsi in una salvezza frutto di “comandamenti fatti da uomini”. È questo il dilemma che Papa Francesco ha sciolto nell’omelia della Messa mattutina presieduta nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

L’unico desiderio di Dio è di salvare l’umanità, ma il problema è che è spesso l’uomo a voler dettare le regole della salvezza. È il paradosso drammatico di tante pagine della Bibbia che arriva al suo culmine nella vicenda terrena di Cristo. Papa Francesco lo approfondisce partendo dal brano del Vangelo in cui Gesù esprime tutto il suo dispiacere nel vedersi osteggiato dalla sua stessa gente, dalle città che voltano le spalle al suo messaggio. “Se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi” – è il suo monito a Corazìn e Betsàida – già da tempo “si sarebbero convertite”. In questo severo, ma anche amaro paragone, è riassunta – osserva il Papa – “tutta la storia della salvezza”. Così come hanno rifiutato e ucciso i profeti prima di lui, “perché risultavano scomodi”, adesso fanno lo stesso con Gesù. “E’ il dramma della resistenza ad essere salvati”, innescato dai capi del popolo:

“È proprio la classe dirigente quella che chiude le porte al modo col quale Dio vuole salvarci. E così si capiscono i dialoghi forti di Gesù con la classe dirigente del suo tempo: litigano, lo mettono alla prova, gli tendono trappole per vedere se cade, perché è la resistenza a essere salvati. Gesù dice loro: ‘Ma, io non vi capisco! Voi siete come quei bambini: vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto. Ma cosa volete?’; ‘Vogliamo fare la salvezza a modo nostro!’. E’ sempre questa chiusura al modo di Dio”.

Un atteggiamento che Papa Francesco distingue da quello del “popolo credente” il quale, dice, capisce e “accetta” la salvezza portata da Gesù. Salvezza che, al contrario, per i capi del popolo si riduce in sostanza al compimento dei 613 precetti creati, afferma il Papa, dalla “loro febbre intellettuale e teologica”:

“Loro non credono nella misericordia e nel perdono: credono nei sacrifici. 'Misericordia voglio, non sacrifici'. Credono in tutto sistemato, ben sistemato, tutto chiaro. Questo è il dramma della resistenza alla salvezza. Anche noi, ognuno di noi ha questo dramma dentro. Ma ci farà bene domandarci: come voglio io essere salvato? A modo mio? Al modo di una spiritualità, che è buona, che mi fa bene, ma che è fissa, ha tutto chiaro e non c’è rischio? O al modo divino, cioè sulla strada di Gesù che sempre ci sorprende, che sempre ci apre le porte a quel mistero dell’Onnipotenza di Dio, che è la misericordia e il perdono?”.

“Ci farà bene – insiste Papa Francesco – pensare che questo dramma è nel nostro cuore”. Riflettere sul fatto se ci accade di confondere “libertà con autonomia”, di scegliere la salvezza che riteniamo sia quella “giusta”:

“Credo che Gesù sia il Maestro che ci insegna la salvezza, o vado dappertutto ad affittare guru che me ne insegnino un’altra? Un cammino più sicuro o mi rifugio sotto il tetto delle prescrizioni e dei tanti comandamenti fatti da uomini? E così mi sento sicuro e con questa - è un po’ duro dire questo - sicurezza compro la mia salvezza, che Gesù dà gratuitamente con la gratuità di Dio? Ci farà bene oggi farci queste domande. E l’ultima: io resisto alla salvezza di Gesù?”.




Il Papa: non nascondere propri peccati, pregare è fare memoria

Messa di Papa Francesco a Casa Santa Marta

07/10/2014

Quando preghiamo non dimentichiamo la nostra storia. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che il Signore è al nostro fianco, nel cammino della vita. E ha invitato i fedeli a non lasciarsi distogliere dalle tante cose della giornata, dimenticandosi così di pregare. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

Il Signore “ha scelto il suo popolo e lo ha accompagnato durante il cammino nel deserto, durante tutta la vita”. E’ quanto affermato da Papa Francesco che si è soffermato in particolare sulla prima Lettura in cui San Paolo fa memoria della sua vita, non nascondendo i suoi peccati. Quello che “Dio ha fatto con il suo popolo – ha affermato il Papa – lo ha fatto e lo fa con ognuno di noi”. “Noi siamo stati scelti: perché – si è chiesto – io sono cristiano e non quello di là, lontano, che neppure mai ha sentito parlare di Gesù Cristo?” “E’ una grazia”, è stata la sua risposta: “Una grazia d’amore”. Fare dunque “memoria di questa realtà, ma nella sua concretezza – ha evidenziato – è quello che fa Paolo”, che confessa di avere perseguitato ferocemente la Chiesa e non dice: “Io sono buono, sono figlio di questo, ho una certa nobiltà…”. No, Paolo dice: “Io sono stato un persecutore, io sono stato cattivo!”. “Paolo – ha ribadito il Papa – fa memoria del suo cammino, e così incomincia a fare memoria dall’inizio”:

“Questa abitudine di fare memoria della nostra vita non è molto comune tra di noi. Dimentichiamo le cose, viviamo nel momento e poi dimentichiamo la storia. E ognuno di noi ha una storia: una storia di grazia, una storia di peccato, una storia di cammino, tante cose… E fa bene pregare con la nostra storia. Uno lo fa Paolo, che racconta un pezzo della sua storia ma in genere dice: ‘Lui mi ha scelto! Lui mi ha chiamato! Lui mi ha salvato! Lui è stato il mio compagno di cammino…’”.

Fare memoria sulla propria vita – ha ripreso – è dare gloria a Dio. Fare memoria sui nostri peccati, dai quali il Signore ci ha salvati, è dare gloria a Dio”. Per questo, ha proseguito, “Paolo dice che lui si vanta soltanto di due cose: dei propri peccati e della grazia di Dio Crocifisso, della sua grazia”. Lui, ha detto il Pontefice, “faceva memoria dei suoi peccati, e si vantava: ‘Sono stato peccatore, ma Cristo Crocifisso mi ha salvato’ e si vantava di Cristo. Questa era la memoria di Paolo. Questa è la memoria che noi siamo invitati dallo stesso Gesù a fare”:

“Quando Gesù dice a Marta: ‘Tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore’. Cioè? Sentire il Signore e fare memoria. Non si può pregare ogni giorno come se noi non avessimo storia. Ognuno di noi ha la sua. E con questa storia nel cuore andiamo alla preghiera, come Maria. Ma tante volte siamo distolti, come Marta, dai lavori, dalla giornata, dal fare quelle cose che dobbiamo fare, e dimentichiamo questa storia”.

La nostra relazione con Dio, ha detto ancora, “non incomincia il giorno del Battesimo: lì è sigillata”. Incomincia “quando Dio, dall’eternità, ci ha guardati e ci ha scelto. Nel cuore di Dio, lì incomincia”:

“Fare memoria della nostra scelta, quella che Dio ha fatto su di noi. Fare memoria del nostro cammino di alleanza. Questa alleanza è stata rispettata, o no? Eh no: siamo peccatori e facciamo memoria, e fare memoria della promessa che fa Dio e mai delude, che è la nostra speranza. Questa è la vera preghiera”.

Il Papa ha quindi concluso l’omelia con l'invito a pregare con il Salmo 138: “Signore, tu mi scruti e mi conosci. Tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo. Intendi da lontano i miei pensieri, osservi il mio cammino e il mio riposo”. “Questo è pregare – ha detto Francesco – pregare è fare memoria davanti a Dio della nostra storia. Perché la nostra storia è la storia dell’amore suo verso di noi”.



 

Caterina63
00giovedì 9 ottobre 2014 18:00
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Francesco: nella preghiera, lo Spirito Santo è il dono più grande

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2014-10-09 Radio Vaticana

Nella preghiera chiediamo tante cose, ma il dono più grande che Dio ci può dare è lo Spirito Santo: è quanto ha detto Papa Francesco nell’omelia mattutina a Santa Marta, commentando il Vangelo del giorno, che presenta la parabola di un uomo che a forza di insistere ottiene da un amico ciò che chiede. Il servizio di Sergio Centofanti:

 

Dio “ha tanta misericordia” afferma Papa Francesco, che inizia l’omelia partendo dalla Colletta, in cui si chiede perdono a Dio e di “aggiungere ciò che la preghiera non osa sperare”:

“Questo mi ha fatto pensare: è proprio della misericordia di Dio non solo perdonare - quello tutti lo sappiamo - ma essere generoso e dare di più e di più… Abbiamo chiesto: ‘E aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare’. Noi forse nella preghiera chiediamo questo e questo e Lui ci dà di più sempre! Sempre, sempre di più”.

Nel Vangelo – sottolinea il Papa – ci sono “tre parole chiave”: “l’amico, il Padre e il dono”. Gesù “mostra ai discepoli cosa sia la preghiera. E’ come un uomo che si reca a mezzanotte da un amico per chiedere qualcosa. Nella vita – osserva – “ci sono amici d’oro” che davvero danno tutto. “Ce ne sono altri più o meno buoni”, ma la Bibbia ci dice ‘uno, due o tre…  non di più!’. Poi, gli altri sono amici, ma non come questi”. E anche se siamo importuni e invadenti “il legame di amicizia fa che ci sia dato quello che noi chiediamo”. 

“Gesù fa un passo avanti e parla del Padre: ‘Quale padre tra di voi, se un figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?’ … ‘Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre del cielo!’”. Quindi – prosegue il Papa – “non solo l’amico che ci accompagna nel cammino della vita ci aiuta e ci dà quello che noi chiediamo: anche il Padre del cielo” che “ci ama tanto e del quale Gesù ha detto che si preoccupa di dare da mangiare agli uccellini del campo. Gesù vuole risvegliare la fiducia nella preghiera” e dice: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto”. “Questa – afferma Papa Francesco - è la preghiera: chiedere, cercare il come e bussare al cuore di Dio”. E il Padre “darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono”:

“Questo è il dono, questo è il di più di Dio. Dio mai ti dà un regalo, una cosa che gli chiedi così, senza incartarlo bene, senza qualcosa di più che lo faccia più bello. E quello che il Signore, il Padre ci dà di più è lo Spirito: il vero dono del Padre è quello che la preghiera non osa sperare. ‘Io chiedo questa grazia; chiedo questo, busso e prego tanto… Soltanto spero che mi dia questo’. E Lui che è Padre, mi dà quello e di più: il dono, lo Spirito Santo”.

“La preghiera – conclude il Papa - si fa con l’amico, che è il compagno di cammino della vita, si fa col Padre e si fa nello Spirito Santo. L’amico è Gesù”:

“E’ Lui che ci accompagna e ci insegna a pregare. E la nostra preghiera deve essere così, trinitaria. Tante volte: ‘Ma lei crede?’: ‘Sì! Si!’; ‘In che crede?’; ‘In Dio!’; ‘Ma cosa è Dio per lei?’; ‘Dio, Dio!’. Ma Dio non esiste: non scandalizzatevi! Dio così non esiste! Esiste il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: sono persone, non sono un’idea nell’aria… Questo Dio spray non esiste! Esistono persone! Gesù è il compagno di cammino che ci dà quello che chiediamo; il Padre che ha cura di noi e ci ama; e lo Spirito Santo che è il dono, è quel di più che dà il Padre, quello che la nostra coscienza non osa sperare”.

(Da Radio Vaticana)





Francesco: esame di coscienza, pratica antica ma tanto buona


Papa Francesco a Santa Marta

10/10/2014

Per non far entrare il male nel nostro cuore c’è una pratica antica, ma tanto buona, l’esame di coscienza: lo ha detto Papa Francesco nell’omelia mattutina a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Il Vangelo del giorno ci ricorda che il diavolo torna sempre da noi, non smette mai di tentare l’uomo: “Il diavolo ha pazienza” – afferma Papa Francesco – “non lascia quello che vuole per sé”, la nostra anima:

“Dopo le tentazioni, nel deserto, quando Gesù fu tentato dal diavolo, nella versione di Luca si dice che il demonio lo lasciò per un tempo ma durante la vita di Gesù tornava e tornava: quando lo mettevano alla prova, quando gli tendevano delle trappole, nella Passione, fino alla Croce. ‘Ma se Tu sei il Figlio di Dio, ma vieni, vieni da noi, così noi possiamo credere’. E tutti noi sappiamo che questa parola tocca il cuore: ‘Ma tu sei capace? Fammelo vedere! No, non sei capace’. Come il diavolo fino alla fine a Gesù. E così con noi”.

Occorre custodire il nostro cuore dove abita lo Spirito Santo – sottolinea il Papa -  “perché non entrino gli altri spiriti”. Custodire il cuore, come si custodisce una casa, a chiave”. E poi vigilare sul cuore, come una sentinella: “Quante volte – osserva - entrano i cattivi pensieri, le cattive intenzioni, le gelosie, le invidie. Tante cose, che entrano. Ma chi ha aperto quella porta? Da dove sono entrati? Se io non mi accorgo” di quanto “entra nel mio cuore, il mio cuore diviene una piazza, dove tutti vanno e vengono. Un cuore senza intimità, un cuore dove il Signore non può parlare e nemmeno essere ascoltato”.

“E Gesù dice un’altra cosa lì – no? - che sembra un po’ strana: ‘Chi non raccoglie con me, disperde’. Usa la parola ‘raccogliere’. Avere un cuore raccolto, un cuore sul quale noi sappiamo cosa succede, e qui e là si può fare la pratica tanto antica della Chiesa, ma buona: l’esame di coscienza. Chi di noi, la sera, prima di finire la giornata, rimane da solo, da sola, e si fa la domanda: cosa è accaduto oggi nel mio cuore? Cosa è successo? Che cose sono passate attraverso il mio cuore? Se non lo facciamo, davvero non sappiamo vigilare bene né custodire bene”.

L’esame di coscienza “è una grazia, perché custodire il nostro cuore è custodire lo Spirito Santo, che è dentro di noi”:

“Noi sappiamo, Gesù parla chiaramente, che i diavoli tornano, sempre. Anche alla fine della vita, Lui ci dà l’esempio – Gesù – di questo. E per custodire, per vigilare, perché non entrino i demoni, bisogna saper raccogliersi, cioè stare in silenzio davanti a se stessi e davanti a Dio, e alla fine della giornata domandarsi: ‘Cosa è accaduto oggi nel mio cuore? E’ entrato qualcuno che non conosco? La chiave è a posto?’. E questo ci aiuterà a difenderci da tante cattiverie, anche da quelle che noi possiamo fare, se entrano questi demoni, che sono furbissimi, e alla fine ci truffano tutti”.




Il Papa: non rimanere chiusi nei propri sistemi, aprirsi alle sorprese di Dio

Messa di Papa Francesco a Santa Marta

13/10/2014

Aprirsi alle sorprese di Dio, non chiudersi ai segni dei tempi. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Commentando le parole di Gesù ai dottori della legge , il Papa ha esortato i fedeli a non rimanere attaccati alle proprie idee, ma a camminare con il Signore trovando sempre cose nuove. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Gesù parla ai dottori della legge che gli chiedono un segno e li definisce “generazione malvagia”. Papa Francesco è partito da questo passo del Vangelo per soffermarsi sul tema delle “sorprese di Dio”. Tante volte, ha osservato, questi dottori chiedono dei segni a Gesù, e Lui gli risponde che non sono capaci di “vedere i segni dei tempi”:

“Perché questi dottori della legge non capivano i segni del tempo e chiedevano un segno straordinario (Gesù gliel’ha dato dopo), perché non capivano? Prima di tutto, perché erano chiusi. Erano chiusi nel loro sistema, avevano sistemato la legge benissimo, un capolavoro. Tutti gli ebrei sapevano che cosa si poteva fare, che cosa non si poteva fare, fino a dove si poteva andare. Era tutto sistemato. E loro erano sicuri lì”.

Per loro, ha soggiunto, erano “cose strane” quelle che faceva Gesù: “Andare con i peccatori, mangiare con i pubblicani”. A loro, ha detto, “non piaceva, era pericoloso; era in pericolo la dottrina, quella dottrina della legge, che loro”, i “teologi, avevano fatto nei secoli”. Il Papa ha riconosciuto che “l’avevano fatta per amore, per essere fedeli a Dio”. Però “erano chiusi lì”, “semplicemente avevano dimenticato la storia. Avevano dimenticato che Dio è il Dio della legge, ma è il Dio delle sorprese”. D’altro canto, ha detto Francesco, “anche al suo popolo, Dio ha riservato sorprese tante volte” come quando lo ha salvato “dalla schiavitù d’Egitto”:

“Loro non capivano che Dio è il Dio delle sorprese, che Dio è sempre nuovo; mai rinnega se stesso, mai dice che quello che aveva detto era sbagliato, mai, ma ci sorprende sempre. E loro non capivano e si chiudevano in quel sistema fatto con tanta buona volontà e chiedevano a Gesù: ‘Ma, fai un segno!’. E non capivano i tanti segni che faceva Gesù e che indicavano che il tempo era maturo. Chiusura! Secondo, avevano dimenticato che loro erano un popolo in cammino. In cammino! E quando ci si incammina, quando uno è in cammino, sempre trova cose nuove, cose che non conosceva”.

E, ha aggiunto, “un cammino non è assoluto in se stesso”, è il cammino verso “la manifestazione definitiva del Signore. La vita è un cammino verso la pienezza di Gesù Cristo, quando verrà la seconda volta”. Questa generazione, ha ripreso, “cerca un segno” ma, dice il Signore, “non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona”, cioè “il segno della Resurrezione, della Gloria, di quella escatologia verso la quale andiamo in cammino”. E questi dottori, ha ribadito, “erano chiusi in se stessi, non aperti al Dio delle sorprese, non conoscevano il cammino e nemmeno questa escatologia”. Così, quando nel Sinedrio Gesù afferma di essere il Figlio di Dio, “si stracciarono le vesti”, si scandalizzarono dicendo che aveva bestemmiato. “Il segno che Gesù dà a loro – ha affermato - era una bestemmia”. E per questo motivo “Gesù dice: generazione malvagia”.

Costoro, ha osservato ancora il Papa, “non hanno capito che la legge che loro custodivano e amavano” era una pedagogia verso Gesù Cristo. “Se la legge non porta a Gesù Cristo – ha ribadito – non ci avvicina a Gesù Cristo, è morta. E per questo Gesù li rimprovera di essere chiusi, di non essere capaci di conoscere i segni dei tempi, di non essere aperti al Dio delle sorprese”:

“E questo deve farci pensare: io sono attaccato alle mie cose, alle mie idee, chiuso? O sono aperto al Dio delle sorprese? Sono una persona ferma o una persona che cammina? Io credo in Gesù Cristo - in Gesù, quello che ha fatto: è morto, risorto e finita la storia – credo che il cammino vada avanti verso la maturità, verso la manifestazione di gloria del Signore? Io sono capace di capire i segni dei tempi ed essere fedele alla voce del Signore che si manifesta in essi? Possiamo farci oggi queste domande e chiedere al Signore un cuore che ami la legge, perché la legge è di Dio; che ami anche le sorprese di Dio e che sappia che questa legge santa non è fine a se stessa”.

E’ “in cammino”, ha riaffermato, è una pedagogia “che ci porta a Gesù Cristo, all’incontro definitivo, dove ci sarà questo grande segno del Figlio dell’uomo”.






Il Papa: no a una fede "cosmetica", conta la carità concreta

Papa Francesco alla Messa in Casa S. Marta

14/10/2014

La nostra è una “vita cristiana di cosmetica, di apparenza o è una vita cristiana con la fede operosa nella carità?”. La domanda è stata posta da Papa Francesco al termine dell’omelia della Messa del mattino, celebrata in Casa S. Marta. La fede, ha affermato il Papa, “non è soltanto recitare il Credo”, ma chiede di staccarsi da avidità e cupidigia per saper donare agli altri, specie se poveri. Il servizio di Alessandro De Carolis:

La fede non ha bisogno di apparire, ma di essere. Non ha bisogno di essere ammantata di cortesie, specie se ipocrite, quanto di un cuore capace di amare in modo genuino. Papa Francesco si rifà al Vangelo del giorno – quello del fariseo che si stupisce del Maestro che non compie le abluzioni prescritte prima di mangiare – per ripetere che Gesù “condanna” quel tipo di “sicurezza” tutta incentrata nel “compimento della legge”:

“Gesù condanna questa spiritualità della cosmetica, apparire buoni, belli, ma la verità di dentro è un’altra cosa! Gesù condanna le persone di buone maniere ma di cattive abitudini, quelle abitudini che non si vedono ma si fanno di nascosto. Ma l’apparenza è giusta: questa gente alla quale piaceva passeggiare nelle piazze, farsi vedere pregando, ‘truccarsi’ con un po’ di debolezza quando digiunava… Perché il Signore è così? Vedete che sono due gli aggettivi che usa qui, ma collegati: avidità e cattiveria”.

“Sepolcri imbiancati” dirà di loro Gesù nell’analogo passo del Vangelo di Matteo, calcando su certi atteggiamenti, da Lui definiti con durezza come “immondizia”, putredine”. “Date piuttosto in elemosina tutto quello che avete dentro”, è la sua controproposta. “L’elemosina – ricorda il Papa – è sempre stata, nella tradizione della Bibbia, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, una pietra di paragone della giustizia”. Anche Paolo, nella Lettura del giorno, discute con i Galati per lo stesso motivo, il loro attaccamento alla legge. E identico è anche l’esito perché, insiste Papa Francesco, “la legge da sola non salva”:

“Quello che vale è la fede. Quale fede? Quella che si ‘rende operosa per mezzo della carità’. Lo stesso discorso di Gesù al fariseo. Una fede che non è soltanto recitare il Credo: tutti noi crediamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, nella vita eterna…. Tutti crediamo! Ma questa è una fede immobile, non operosa. Quello che vale in Cristo Gesù è l'operosità che viene dalla fede o meglio la fede che si rende operosa nella carità, cioè torna all'elemosina. Elemosina nel senso più ampio della parola: staccarsi dalla dittatura del denaro, dall’idolatria dei soldi. Ogni cupidigia ci allontana da Gesù Cristo”.

Papa Francesco rievoca un episodio della vita di padre Arrupe, Preposito generale dei Gesuiti dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. Un giorno, una ricca signora lo invita in un luogo per donargli del denaro per le missioni in Giappone, per le quali padre Arrupe stava impegnandosi. La consegna della busta avviene praticamente sulla porta e davanti a giornalisti e fotografi. Padre Arrupe raccontò di aver patito “una grande umiliazione”, ma di aver accettato il denaro “per i poveri del Giappone”. Quando l'aprì, c’erano dieci dollari”. Chiediamoci, conclude Papa Francesco, se la nostra è “una vita cristiana di cosmetica, di apparenza o è una vita cristiana con la fede operosa nella carità”:

“Gesù ci consiglia questo: ‘Non suonare la tromba’. Il secondo consiglio: ‘Non dare soltanto quello che avanza’. E ci parla di quella vecchietta che ha dato tutto quello che aveva per vivere. E loda quella donna per aver fatto questo. E lo ha fatto un po’ di nascosto, forse perché si vergognava di non poter dare di più”.





Il Santo Padre Francesco: la preghiera di lode è difficile ma dona la gioia

Il Papa durante la Messa nella Cappella di Santa Marta

16/10/2014

E' facile pregare per chiedere delle grazie, mentre è più difficile la preghiera di lode ma è questa la preghiera della vera gioia: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa mattutina a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Al centro dell’omelia del Papa, la Lettera agli Efesini, in cui San Paolo eleva con gioia la sua benedizione a Dio. Si tratta di una preghiera di lode – osserva - una preghiera “che noi non facciamo tanto abitualmente: lodare Dio – afferma - è gratuità pura” ed è entrare “in una grande gioia”:

“Noi sappiamo pregare benissimo quanto chiediamo cose, anche quando ringraziamo il Signore, ma la preghiera di lode è un po’ più difficile per noi: non è tanto abituale lodare il Signore. E questo lo possiamo sentire meglio quando noi facciamo memoria delle cose che il Signore ha fatto nella nostra vita: ‘In Lui - in Cristo - ci ha scelti prima della creazione del mondo’. Benedetto sei Signore, perché tu mi ha scelto! E’ la gioia di una vicinanza paterna e tenera”.

“La preghiera di lode” – ha proseguito - ci porta questa gioia, a essere felici davanti al Signore. Facciamo uno sforzo per ritrovarla!” – esclama Papa Francesco – ma “il punto di partenza” è proprio “fare memoria” di questa scelta: “il Signore mi ha scelto prima della creazione del mondo. Ma questo non si può capire!”:

“Non si può capire e anche non si può immaginare: che il Signore mi abbia conosciuto prima della creazione del mondo, che il mio nome era nel cuore del Signore. Questa è la verità! Questa è la rivelazione! Se noi non crediamo questo non siamo cristiani, eh! Forse saremo impregnati di una religiosità teista, ma non cristiani! Il cristiano è uno scelto, il cristiano è uno scelto nel cuore di Dio prima della creazione del mondo. Anche questo pensiero riempie di gioia il nostro cuore: io sono scelto! E ci dà sicurezza”.

“Il nostro nome – ha osservato il Papa - è nel cuore di Dio, proprio nelle viscere di Dio, come il bambino è dentro la sua mamma. Questa è la nostra gioia di essere eletti”. E’ qualcosa – sottolinea – che “non si può capire solo con la testa. Neppure solo col cuore. Per capire questo dobbiamo entrare nel Mistero di Gesù Cristo. Il Mistero del suo Figlio amato: ‘Egli ha riversato il suo sangue in abbondanza su di noi, con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà’. E questo è un terzo atteggiamento: entrare nel Mistero”:

“Quando noi celebriamo l’Eucaristia, entriamo in questo Mistero, che non si può capire totalmente: il Signore è vivo, è con noi, qui, nella sua gloria, nella sua pienezza e dona un’altra volta la sua vita per noi. Questo atteggiamento di entrare nel Mistero dobbiamo impararlo ogni giorno. Il cristiano è una donna, è un uomo, che si sforza di entrare nel Mistero. Il Mistero non si può controllare: è il Mistero! Io entro”. 

La preghiera di lode – conclude il Papa - è dunque innanzitutto “preghiera di gioia”, poi “preghiera di memoria: ‘Ma quanto ha fatto il Signore per me! Con quanta tenerezza mi ha accompagnato, come si è abbassato; si è inchinato come il papà si inchina col bambino per farlo camminare’”. E infine preghiera allo Spirito Santo che ci doni “la grazia di entrare nel Mistero, soprattutto quando celebriamo l’Eucaristia”.





Caterina63
00venerdì 17 ottobre 2014 14:41

Francesco: Dio ci ha dato in mano il Cielo come caparra di eternità

Papa Francesco sull'altare di Casa S. Marta - L'Osservatore Romano

17/10/2014

Attraverso lo Spirito Santo, Dio ha dato ai cristiani il cielo come “caparra” di eternità. Ma questo dono talvolta viene tralasciato per una vita “opaca” e ipocrita. Lo ha affermato Papa Francesco nell’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Lo Spirito Santo è il “sigillo” di luce col quale Dio ha dato “il Cielo in mano” ai cristiani. I quali, spesse volte, si sottraggono a quella luce per una vita di penombra e, peggio ancora, di luce finta, quella che brilla nell’ipocrisia. L’omelia di Papa Francesco segue passo per passo le parole della Lettura di Paolo, il quale spiega ai cristiani di Efeso che per aver creduto al Vangelo hanno ricevuto “il sigillo dello Spirito Santo”. Con questo dono, afferma il Papa, Dio “non solo ci ha scelti” ma ci ha dato uno stile, “un modo di vivere, che non è soltanto un elenco di abitudini, è di più: è proprio un’identità”:

“La nostra identità è proprio questo sigillo, questa forza dello Spirito Santo, che tutti noi abbiamo ricevuto nel Battesimo. E lo Spirito Santo ha sigillato il nostro cuore e, di più, cammina con noi. Questo Spirito, che era stato promesso – Gesù lo aveva promesso – questo Spirito non solo ci dà l’identità, ma, anche, è caparra della nostra eredità. Con Lui il Cielo incomincia. Noi stiamo proprio vivendo questo Cielo, questa eternità, perché siamo stati sigillati dallo Spirito Santo, che proprio è l’inizio del Cielo: era la caparra; l’abbiamo in mano. Noi abbiamo il Cielo in mano con questo sigillo”.

Tuttavia, prosegue Papa Francesco, avere come caparra di eternità il Cielo stesso non trattiene i cristiani dallo scivolare almeno in un paio di tentazioni. Primo, osserva, “quando noi vogliamo, non dico cancellare l’identità, ma renderla opaca”:

“È il cristiano tiepido. È cristiano, sì, va a Messa la domenica, sì, ma nella sua vita l’identità non si vede. Anche vive come un pagano: può vivere come un pagano, ma è cristiano. Essere tiepidi. Rendere opaca la nostra identità. E l’altro peccato, quello di cui Gesù parlava ai discepoli e abbiamo sentito: ‘Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia’. ‘Fare finta di’: io faccio finta di essere cristiano, ma non lo sono. Non sono trasparente, dico una cosa – ‘sì, sì sono cristiano’ – ma ne faccio un’altra che non è cristiana”.

Invece, e lo stesso Paolo lo ricorda in un altro passo, una vita cristiana vissuta secondo quell’identità creata dallo Spirito Santo porta in dote, sottolinea il Papa, doni di ben altro spessore:

“Amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. E questa è la nostra strada verso il Cielo, è la nostra strada, che incomincia il Cielo di qua. Perché abbiamo questa identità cristiana, siamo stati sigillati dallo Spirito Santo. Chiediamo al Signore la grazia di essere attenti a questo sigillo, a questa nostra identità cristiana, che non solo è promessa, no, già l’abbiamo in mano come caparra”.





Il Papa: siamo popolo unito in Gesù, non isole che si arrangiano

Papa Francesco nella cappella di Casa S. Marta - L'Osservatore Romano

21/10/2014

“Il cristiano è un uomo o una donna che sa aspettare Gesù e per questo è uomo o donna di speranza”. Lo ha ribadito Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino, celebrata in Casa S. Marta. Col suo sacrificio, ha affermato il Papa, Cristo ci ha resi "amici, vicini, in pace". Il servizio diAlessandro De Carolis:

Persone che sanno aspettare e, nell’attesa, coltivano una solida speranza. Questi sono i cristiani, un popolo – spiega Papa Francesco – unito da Gesù oltre ogni “inimicizia”, da Lui servito e dotato di un nome. Il Papa riflette fondendo gli spunti del Vangelo di Luca con la Lettera di Paolo agli Efesini. Nel primo, Cristo parla ai discepoli paragonandosi al padrone che rientra a tarda notte dalla festa di nozze e chiama “beati” i servi che lo aspettano svegli e con le lampade accese.

La scena che segue vede Gesù farsi servo dei suoi servitori e portare loro il pranzo a tavola. Osserva Papa Francesco: il primo servizio che il Maestro fa ai cristiani è dare loro “l’identità”. “Noi senza Cristo – dice – non abbiamo identità”. E sul punto, il Papa si connette con le parole di Paolo ai pagani – “ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele” – ribadendo: “Quello che è venuto a fare Gesù con noi è darci cittadinanza, appartenenza a un popolo, nome, cognome”. Così, da “nemici senza pace”, afferma Papa Francesco, Cristo “ci ha accomunato” col “suo sangue”, “abbattendo il muro di separazione che divide”:

“Tutti noi sappiamo che quando non siamo in pace con le persone, c’è un muro. C’è un muro che ci divide. Ma Gesù ci offre il suo servizio di abbattere questo muro, perché possiamo incontrarci. E se siamo divisi, non siamo amici: siamo nemici. E di più ha fatto, per riconciliare tutti in Dio. Ci ha riconciliato con Dio: da nemici, amici; da estranei, figli”.

Da “gente di strada”, da persone che non erano neanche “ospiti”, a “concittadini dei Santi e familiari di Dio”, per dirla ancora come San Paolo. Questo è ciò che ha creato Gesù con la sua venuta. “Ma qual è la condizione?”, si chiede Papa Francesco. “Aspettarlo”, attenderlo come i servi col loro padrone:

“Aspettare Gesù. Chi non aspetta Gesù, chiude la porta a Gesù, non lo lascia fare quest’opera di pace, di comunità, di cittadinanza, di più: di nome. Ci dà un nome. Ci fa figli di Dio. Questo è l’atteggiamento di aspettare Gesù, che è dentro la speranza cristiana. Il cristiano è un uomo o una donna di speranza. Sa che il Signore verrà.  Davvero verrà, eh? Non sappiamo l’ora, come questi. Non sappiamo l’ora, ma verrà, verrà a trovarci, ma non a trovarci isolati, nemici, no. A trovarci come Lui ci ha fatto con il suo servizio: amici vicini, in pace”.

A questo punto, conclude Papa Francesco, c’è un’altra domanda che il cristiano può porsi: come aspetto Gesù? E prima ancora: Lo “aspetto o non lo aspetto?”:

“Io ci credo in questa speranza, che Lui verrà? Io ho il cuore aperto, per sentire il rumore, quando bussa alla porta, quando apre la porta? Il cristiano è un uomo o una donna che sa aspettare Gesù e per questo è uomo o donna di speranza. Invece il pagano – e tante volte noi cristiani ci comportiamo come i pagani – si dimentica di Gesù, pensa a se stesso, alle sue cose, non aspetta Gesù. L’egoista pagano fa come se fosse un dio: ‘Io mi arrangio da solo’. E questo finisce male, finisce senza nome, senza vicinanza, senza cittadinanza”.






Papa Francesco: non si può essere cristiani senza la grazia dello Spirito

Messa del Papa a Santa Marta - OSS_ROM

23/10/2014

“Non si può essere cristiani, senza la grazia dello Spirito” che ci dona la forza di amare: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Al centro dell’omelia del Papa, la Lettera agli Efesini in cui San Paolo descrive la sua esperienza di Gesù, un’esperienza “che lo ha portato a lasciare tutto” perché “era innamorato di Cristo”. Il suo è un “atto di adorazione”: piega, innanzitutto, “le ginocchia davanti al Padre” che “ha il potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare”. Usa “un linguaggio senza limite”: adora questo Dio “che è come un mare senza spiagge, senza limiti, un mare immenso”. E Paolo chiede al Padre, per tutti noi, “di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore, mediante il suo Spirito”:

“Chiede al Padre che lo Spirito venga e ci rafforzi, ci dia la forza. Non si può andare avanti senza la forza dello Spirito. Le nostre forze sono deboli. Non si può essere cristiani, senza la grazia dello Spirito. E’ proprio lo Spirito che ci cambia il cuore, che ci fa andare avanti nella virtù, per compiere i comandamenti”.

“Poi, chiede un’altra grazia al Padre”: “la presenza di Cristo, perché ci faccia crescere nella carità”. L’amore di Cristo, “che supera ogni conoscenza”, “non si può capire” se non attraverso “questo atto di adorazione di quell’immensità grande”:

“Questa è un’esperienza mistica di Paolo e ci insegna la preghiera di lode e la preghiera di adorazione. Davanti alle nostre piccolezze, ai nostri interessi egoistici, tanti, Paolo scoppia in questa lode, in questo atto di adorazione e chiede al Padre che ci invii lo Spirito per darci forza e poter andare avanti; che ci faccia capire l’amore di Cristo e che Cristo ci consolidi nell’amore. E dice al Padre: ‘Grazie, perché Tu sei capace di fare quello che anche noi non osiamo pensare’. E’ una bella preghiera... E’ una bella preghiera”.

Il Papa, quindi, conclude la sua omelia:

“E con questa vita interiore si può capire che Paolo abbia lasciato perdere tutto e consideri tutto spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in Cristo. Ci fa bene pensare così, ci fa bene adorare Dio, anche a noi. Ci fa bene lodare Dio, entrare in questo mondo di ampiezza, di grandiosità, di generosità e di amore. Ci fa bene, perché così possiamo andare avanti nel grande comandamento – l’unico comandamento, che è alla base di tutti gli altri –: l’amore; amare Dio e amare il prossimo”.






Il Papa: lavorare tutti per l’unità della Chiesa, così si diventa più forti

Messa di Papa Francesco a Casa Santa Marta - OSS_ROM

24/10/2014

Ogni cristiano è chiamato a lavorare per l’unità della Chiesa. E’ l’esortazione levata da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha quindi sottolineato che dobbiamo farci guidare dallo Spirito Santo che fa l’unità della Chiesa nella diversità delle persone. Il servizio diAlessandro Gisotti:

“Io prigioniero vi esorto a costruire l’unità nella Chiesa”. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia muovendo da questa esortazione di San Paolo nella Lettera agli Efesini. “Fare l’unità della Chiesa – ha osservato il Pontefice – è il lavoro della Chiesa e di ogni cristiano durante la storia”. L’Apostolo Pietro, ha soggiunto, “quando parla della Chiesa, parla di un tempio fatto di pietre vive, che siamo noi”. Il contrario, ha avvertito, “di quell’altro tempio della superbia che era la Torre di Babele”. Il primo tempio, ha detto ancora, “porta l’unità”, quell’altro “è il simbolo della disunione, del non capirci, della diversità delle lingue”:

“Fare l’unità della Chiesa, costruire la Chiesa, questo tempio, questa unità della Chiesa: questo è il compito di ogni cristiano, di ognuno di noi. Quando si deve costruire un tempio, un palazzo si cerca un’area edificabile, preparata per questo. La prima cosa che si fa è cercare la pietra di base, la pietra angolare dice la Bibbia. E la pietra angolare dell’unità della Chiesa o meglio la pietra angolare della Chiesa è Gesù e la pietra angolare dell’unità della Chiesa è la preghiera di Gesù nell’Ultima Cena: ‘Padre, che siano uno!’. E questa è la forza!”

Gesù, ha ribadito, è “la pietra sulla quale noi edifichiamo l’unità della Chiesa”, “senza questa pietra non si può. Non c’è unità senza Gesù Cristo alla base: è la nostra sicurezza”. Ma chi, dunque, si chiede il Papa, “costruisce questa unità?”. Questo, è stata la sua risposta, “è il lavoro dello Spirito Santo. E’ l’unico capace di fare l’unità della Chiesa. E per questo Gesù lo ha inviato: per fare crescere la Chiesa, per farla forte, per farla una”. E’ lo Spirito, ha proseguito, che fa “l’unità della Chiesa” nella “diversità dei popoli, delle culture, delle persone”. Come, allora, si “costruisce questo tempio?”, si chiede ancora Francesco. Se l’Apostolo Pietro, quando parlava di questo, “diceva che noi eravamo pietre vive in questa costruzione”, San Paolo “ci consiglia di non essere tanto pietre, ma piuttosto mattoni deboli”. I consigli dell’Apostolo delle Genti per “costruire questa unità sono consigli di debolezza, secondo il pensiero umano”:

“Umiltà, dolcezza, magnanimità: sono cose deboli, perché l’umile sembra che non serva a niente; la dolcezza, la mitezza sembrano non servire; la magnanimità, l’essere aperto a tutti, avere il cuore grande… E poi dice di più: ‘Sopportandovi a vicenda nell’amore’. Sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore che? Conservare l’unità. E noi diventiamo più pietre forti in questo tempio quanto più deboli ci facciamo con queste virtù dell’umiltà, della magnanimità, della dolcezza, della mitezza”.

Questo, ha ripreso, è “lo stesso cammino che ha fatto Gesù” che “si è fatto debole” fino alla Croce “e divenne forte!” E così dobbiamo fare noi: “L’orgoglio, la sufficienza non servono”. Quando si fa una costruzione, ha così affermato, “è necessario che l’architetto faccia la piantina. E qual è la piantina dell’unità della Chiesa?”:

“La speranza alla quale noi siamo stati chiamati: la speranza di andare verso il Signore, la speranza di vivere in una Chiesa viva, fatta con pietre vive, con la forza dello Spirito Santo. Soltanto sulla piantina della speranza possiamo andare avanti nell’unità della Chiesa. Siamo stati chiamati ad una speranza grande. Andiamo lì! Ma con la forza che ci dà la preghiera di Gesù per l’unità; con la docilità allo Spirito Santo, che è capace di fare da mattoni pietre vive; e con la speranza di trovare il Signore che ci ha chiamati, trovarlo quando avvenga la pienezza dei tempi”.



Caterina63
00lunedì 27 ottobre 2014 12:24

Il Papa: parole rivelano se siamo cristiani della luce, delle tenebre o del grigio




Papa Francesco presiede la Messa a Santa Marta - OSS_ROM





27/10/2014



L’esame di coscienza sulle nostre parole ci farà capire se siamo cristiani della luce, delle tenebre o cristiani del grigio: è quanto ha detto Papa Francesco nell’omelia mattutina a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:


Gli uomini si riconoscono dalle loro parole. San Paolo – afferma il Papa – invitando i cristiani a comportarsi come figli della luce e non come figli delle tenebre, “fa una catechesi sulla parola”. Ci sono quattro parole per capire se siamo figli delle tenebre:


“E’ parola ipocrita? Un po’ di qua, un po’ di là, per stare bene con tutti? E’ una parola vacua, senza sostanza, piena di vacuità? E’ una parola volgare, triviale, cioè mondana? Una parola sporca, oscena? Queste quattro parole non sono dei figli della luce, non vengono dallo Spirito Santo, non vengono da Gesù, non sono parole evangeliche … questo modo di parlare, sempre parlare di cose sporche o di mondanità o di vacuità o parlare ipocritamente”.


Qual è, dunque, la parola dei Santi, cioè dei figli della luce?


“Lo dice Paolo: ‘Fatevi imitatori di Dio: camminate nella carità; camminate nella bontà; camminate nella mitezza’. Chi cammina così ... ‘Siate misericordiosi - dice Paolo - perdonandovi a vicenda, come Dio ha perdonato voi in Cristo. Fatevi, dunque, imitatori di Dio e camminate nella carità’, cioè camminate nella misericordia, nel perdono, nella carità. E questa è la parola di un figlio della luce”.


“Ci sono cristiani luminosi, pieni di luce – osserva il Papa - che cercano di servire il Signore con questa luce” e “ci sono cristiani tenebrosi” che conducono “una vita di peccato, una vita lontana dal Signore” e usano quelle quattro parole che “sono del maligno”. “Ma c’è un terzo gruppo di cristiani”, che non sono “né luminosi né bui”:


“Sono i cristiani del grigio. E questi cristiani del grigio una volta stanno da questa parte, un’altra da quella. La gente di questi dice: ‘Ma questa persona sta bene con Dio o col diavolo?’ Eh? Sempre nel grigio. Sono i tiepidi. Non sono né luminosi né oscuri. E questi Dio non li ama. Nell’Apocalisse, il Signore, a questi cristiani del grigio, dice: ‘Ma no, tu non sei né caldo né freddo. Magari fossi caldo o freddo. Ma perché sei tiepido – così del grigio – sto per vomitarti dalla mia bocca’. Il Signore è forte con i cristiani del grigio. ‘Ma io sono cristiano, ma senza esagerare!’ dicono, e fanno tanto male, perché la loro testimonianza cristiana è una testimonianza che alla fine semina confusione, semina una testimonianza negativa”.


Non lasciamoci ingannare dalle parole vuote – è l’esortazione del Papa – “ne sentiamo tante, alcune belle, ben dette, ma vuote, senza niente dentro”. Comportiamoci invece come figli della luce. “Ci farà bene oggi pensare al nostro linguaggio” – conclude Papa Francesco -  e domandiamoci: “Sono cristiano della luce? Sono cristiano del buio? Sono cristiano del grigio? E così possiamo fare un passo avanti per incontrare il Signore”.




Il Papa: stare dentro la Chiesa, non fermarsi alla reception

Papa Francesco nella cappella di Casa S. Marta - OSS_ROM

28/10/2014

La Chiesa “la fa Gesù”, che non guarda al peccato dell’uomo ma al suo cuore, che cerca per guarirlo. È la riflessione di Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino celebrata in Casa S. Marta. I cristiani, ha esortato il Papa, si sentano parte della Chiesa, senza fermarsi sulla soglia. Il servizio diAlessandro De Carolis:

Il “lavoro” lo ha fatto Gesù duemila anni fa, quando ha scelto dodici colonne per costruirvi su la Chiesa e mettendo se stesso come “base” e “pietra d’angolo”. Poi, di quella Chiesa ha spalancato le porte a chiunque, senza distinzioni, perché a Cristo interessa amare e guarire i cuori, non misurare i peccati. Papa Francesco riflette in parallelo sul Vangelo del giorno, che racconta la nascita della Chiesa con la chiamata degli Apostoli, e sulla Lettura di Paolo, che descrive la Chiesa come un edificio che cresce “ben ordinato” sulle sue fondamenta. In particolare, il Papa attira l’attenzione sulle azioni che scandiscono la fondazione della Chiesa. Gesù che si ritira in preghiera, poi scende, va dai discepoli, ne sceglie dodici e contemporaneamente accoglie e guarisce chi cerca anche solo di toccarlo:

“Gesù prega, Gesù chiama, Gesù sceglie, Gesù invia i discepoli, Gesù guarisce la folla. Dentro a questo tempio, questo Gesù che è la pietra d’angolo fa tutto questo lavoro: è Lui che porta avanti al Chiesa così. Come diceva Paolo, questa Chiesa è edificata sul fondamento degli Apostoli. Questo che Lui ha scelto, qui: ne scelse dodici. Tutti peccatori, tutti. Giuda non era il più peccatore: non so chi fosse stato il più peccatore… Giuda, poveretto, è quello che si è chiuso all’amore e per questo diventò traditore. Ma tutti sono scappati nel momento difficile della Passione e hanno lasciato solo Gesù. Tutti sono peccatori. Ma Lui, scelse”.

Gesù – aveva detto poco prima Papa Francesco citando San Paolo – ci vuole “dentro” la Chiesa non come ospiti o stranieri, ma “con il diritto di un cittadino”. Nella Chiesa, insiste, “non siamo di passaggio, siamo radicati lì. La nostra vita è lì”:

“Noi siamo cittadini, concittadini di questa Chiesa. Se noi non entriamo in questo tempio e facciamo parte di questa costruzione affinché lo Spirito Santo abiti in noi, noi non siamo nella Chiesa. Noi siamo alla porta e guardiamo: ‘Ma, che bello… sì, questo è bello…’. Cristiani che non vanno più avanti della reception della Chiesa: sono lì, alla porta… ‘Ma sì, sono cattolico, sì, ma troppo no… così…”.

Un modo di fare, questo, che non ha senso rispetto all’amore e la misericordia totali che Gesù nutre per ciascuna persona. La dimostrazione è nell’atteggiamento di Cristo nei confronti di Pietro, che della Chiesa era stato messo a capo. Anche se la prima delle colonne tradisce Gesù, Gesù risponde perdonandola e conservandola al suo posto:

“A Gesù non importò il peccato di Pietro: cercava il cuore. Ma per trovare questo cuore e per guarirlo, pregò. Gesù che prega e Gesù che guarisce, anche per ognuno di noi. Noi non possiamo capire la Chiesa senza questo Gesù che prega e questo Gesù che guarisce. Che lo Spirito Santo ci faccia capire, a tutti noi, questa Chiesa che ha la forza nella preghiera di Gesù per noi e che è capace di guarirci, tutti noi”.



Il Papa: il diavolo non è un mito, va combattuto con l'arma della verità




Messa di Papa Francesco a S. Marta - OSS_ROM

30/10/2014

La vita cristiana è un “combattimento” contro il demonio, il mondo e le passioni della carne. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice, commentando un passo della Lettera di San Paolo agli Efesini, ha ribadito che il diavolo esiste e noi “dobbiamo lottare contro di lui” con “l’armatura” della verità. Il servizio diAlessandro Gisotti:

“Forza e coraggio”. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia sulle parole di San Paolo che, rivolgendosi agli Efesini, “sviluppa in un linguaggio militare la vita cristiana”. Il Pontefice ha sottolineato che “la vita in Dio si deve difendere, si deve lottare per portarla avanti”. Ci vogliono dunque forza e coraggio “per resistere e per annunziare”. Per “andare avanti nella vita spirituale – ha riaffermato – si deve combattere. Non è un semplice scontro, no, è un combattimento continuo”. Francesco ha quindi rammentato che sono tre “i nemici della vita cristiana”: “il demonio, il mondo e la carne”, ovvero le nostre passioni, “che sono le ferite del peccato originale”. Certo, ha osservato, “la salvezza che ci dà Gesù è gratuita”, ma siamo chiamati a difenderla:

“Da che devo difendermi? Cosa devo fare? ‘Indossare l’armatura di Dio’, ci dice Paolo, cioè quello che è di Dio ci difende, per resistere alle insidie del diavolo. E’ chiaro? Chiaro. Non si può pensare ad una vita spirituale, ad una vita cristiana, diciamo ad una vita cristiana, senza resistere alle tentazioni, senza lottare contro il diavolo, senza indossare questa armatura di Dio, che ci dà forza e ci difende”.

San Paolo, ha proseguito il Papa, sottolinea che “la nostra battaglia” non è contro cose piccole, “ma contro i principati e le potenze, cioè contro il diavolo e i suoi”.

“Ma a questa generazione – a tante altre –  hanno fatto credere che il diavolo fosse un mito, una figura, un’idea, l’idea del male. Ma il diavolo esiste e noi dobbiamo lottare contro di lui. Lo dice Paolo, non lo dico io! La Parola di Dio lo dice. Ma noi non siamo tanto convinti. E poi Paolo dice com’è questa armatura di Dio, quali sono le diverse armature, che fanno questa grande armatura di Dio. E lui dice: ‘State saldi, dunque, state saldi, attorno ai fianchi la verità’. Questa è un’armatura di Dio: la verità”.

“Il diavolo – ha detto – è il bugiardo, è il padre dei bugiardi, il padre della menzogna”. E con San Paolo, ha ribadito che bisogna avere “ai fianchi la verità, indosso la corazza della giustizia”. Quindi, ha ribadito che “non si può essere cristiani, senza lavorare continuamente per essere giusti. Non si può”. Una cosa che ci “aiuterebbe tanto”, ha detto, “sarebbe domandarci” se “credo o non credo?”. Se “credo un po’ sì e un po’ no? Sono un po’ mondano e un po’ credente?”. Ed ha evidenziato che “senza fede non si può andare avanti, non si può difendere la salvezza di Gesù?”. Abbiamo “bisogno di questo scudo della fede”, perché “il diavolo non ci butta addosso fiori” ma “frecce infuocate” per ucciderci. Francesco ha esortato dunque a prendere “l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito che è la Parola di Dio”. E ha invitato a pregare costantemente, a vegliare “con preghiere e suppliche”:

La vita è una milizia. La vita cristiana è una lotta, una lotta bellissima, perché quando il Signore vince in ogni passo della nostra vita, ci dà una gioia, una felicità grande: quella gioia che il Signore ha vinto in noi, con la sua gratuità di salvezza. Ma sì, tutti siamo un po’ pigri, no, nella lotta, e ci lasciamo portare avanti dalle passione, da alcune tentazioni. E’ perché siamo peccatori, tutti! Ma non scoraggiatevi. Coraggio e forza, perché c’è il Signore con noi”.

 



Papa Francesco \ Messa a Santa Marta

Il Papa: l'amore, non l'attaccamento alla legge, apre le porte della speranza

Papa Francesco durante la Messa a Santa Marta - OSS_ROM

31/10/2014

Cristiani così attaccati alla legge da trascurare la giustizia e cristiani legati all’amore che danno pieno compimento alla legge: ne ha parlato Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Nel Vangelo del giorno, Gesù chiede ai farisei se sia lecito o no guarire di sabato, ma loro non rispondono. Lui, allora, prende per mano un malato e lo guarisce. I farisei – nota il Papa – messi di fronte alla verità, tacevano ”ma poi sparlavano dietro … e cercavano come farlo cadere”. Gesù rimprovera questa gente che “era tanto attaccata alla legge, che aveva dimenticato la giustizia” e negava perfino l’aiuto ai genitori anziani con la scusa di aver dato tutto in dono al Tempio. Ma “chi è più importante? – chiede il Papa - Il quarto Comandamento o il Tempio?“:

“Questa strada di vivere attaccati alla legge, li allontanava dall’amore e dalla giustizia. Curavano la legge, trascuravano la giustizia. Curavano la legge, trascuravano l’amore. Erano modelli: erano i modelli. E Gesù per questa gente soltanto trova una parola: ipocriti. Da una parte, vai in tutto il mondo cercando proseliti: voi cercate. E poi? Chiudete la porta. Uomini di chiusura, uomini tanto attaccati alla legge, alla lettera della legge, non alla legge, ché la legge è amore; ma alla lettera della legge, che sempre chiudevano le porte della speranza, dell’amore, della salvezza … Uomini che soltanto sapevano chiudere”.

“Il cammino per essere fedeli alla legge, senza trascurare la giustizia, senza trascurare l’amore” – ha proseguito il Papa citando la Lettera di San Paolo ai Filippesi – “è il cammino inverso: dall’amore all’integrità; dall’amore al discernimento; dall’amore alla legge”:

“Questa è la strada che ci insegna Gesù, totalmente opposta a quella dei dottori della legge. E questa strada dall’amore alla giustizia, porta a Dio. Invece, l’altra strada, di essere attaccati soltanto alla legge, alla lettera della legge, porta alla chiusura, porta all’egoismo. La strada che va dall’amore alla conoscenza e al discernimento, al pieno compimento, porta alla santità, alla salvezza, all’incontro con Gesù. Invece, questa strada porta all’egoismo, alla superbia di sentirsi giusti, a quella santità fra virgolette delle apparenze, no? Gesù dice a questa gente: ‘Ma, a voi piace farvi vedere dalla gente come uomini di preghiera, di digiuno …’: farsi vedere, no? E per questo Gesù dice alla gente: ‘Ma, fate quello che dicono, ma non quello che fanno’”.

Queste – osserva il Papa – “sono le due strade e ci sono piccoli gesti di Gesù che ci fanno capire questa strada dall’amore alla piena conoscenza e al discernimento”. Gesù ci prende per mano e ci guarisce:

“Gesù si avvicina: la vicinanza è proprio la prova che noi andiamo sulla vera strada. Perché è proprio la strada che ha scelto Dio per salvarci: la vicinanza. Si avvicinò a noi, si è fatto uomo. La carne: la carne di Dio è il segno; la carne di Dio è il segno della vera giustizia. Dio che si è fatto uomo come uno di noi, e noi che dobbiamo farci come gli altri, come i bisognosi, come quelli che hanno bisogno del nostro aiuto”.

“La carne di Gesù” – afferma il Papa -  “è il ponte che ci avvicina a Dio … non è la lettera della legge: no! Nella carne di Cristo, la legge ha il pieno compimento” ed “è una carne che sa soffrire, che ha dato la sua vita per noi”. “Che questi esempi, questo esempio di vicinanza di Gesù, dall’amore alla pienezza della legge – ha concluso Papa Francesco - ci aiutino a mai scivolare nell’ipocrisia: mai. E’ tanto brutto, un cristiano ipocrita. Tanto brutto. Che il Signore ci salvi da questo!”.



Caterina63
00lunedì 3 novembre 2014 18:10

Francesco: rivalità e vanagloria, due tarli che indeboliscono la Chiesa




Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM





03/11/2014



Rivalità e vanagloria sono due tarli che rendono debole la Chiesa; occorre agire invece con spirito di umiltà e concordia, senza cercare il proprio interesse: lo ha detto Papa Francesco nell’omelia mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:


Prendendo lo spunto dalla Lettera di San Paolo ai Filippesi, il Papa osserva che la gioia di un vescovo è quella di vedere nella sua Chiesa amore, unità e concordia. “Quest’armonia – ha sottolineato - è una grazia, la fa lo Spirito Santo, ma noi dobbiamo fare, da parte nostra, di tutto per aiutare lo Spirito Santo a fare questa armonia nella Chiesa”. Per questo, San Paolo invita i Filippesi a non fare nulla “per rivalità o vanagloria”, né a “lottare l’uno contro l’altro, neppure per farsi vedere, per darsi l’aria di essere migliore degli altri”. “Si vede – ha rilevato - che questa non è soltanto cosa del nostro tempo”, ma “che viene da lontano”:


“E quante volte nelle nostre istituzioni, nella Chiesa, nelle parrocchie, per esempio, nei collegi, troviamo questo, no? La rivalità; il farsi vedere; la vanagloria. Si vede che sono due tarli che mangiano la consistenza della Chiesa, la rendono debole. La rivalità e la vanagloria vanno contro questa armonia, questa concordia. Invece di rivalità e vanagloria, cosa consiglia Paolo? ‘Ma ciascuno di voi, con tutta umiltà’- cosa deve fare con umiltà? – ‘consideri gli altri superiori a se stesso’. Lui sentiva questo, eh? Lui si qualifica ‘non degno di essere chiamato apostolo’, l’ultimo. Anche fortemente si umilia lì. Questo era un suo sentimento: pensare che gli altri erano superiori a lui”.


Il Papa cita San Martino de Porres, “umile frate domenicano”, di cui la Chiesa oggi fa memoria: “la sua spiritualità era nel servizio, perché sentiva che tutti gli altri, anche i più grandi peccatori, gli erano superiori. Lo sentiva davvero”. San Paolo, poi, esorta ciascuno a non cercare il proprio interesse:


“Cercare il bene dell’altro. Servire gli altri. Ma questa è la gioia di un vescovo, quando vede la sua Chiesa così: un medesimo sentire, la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Questa è l’aria che Gesù vuole nella Chiesa. Si possono avere opinioni diverse, va bene, ma sempre dentro quest’aria, quest’atmosfera: di umiltà, carità, senza disprezzare nessuno”.


Riferendosi poi al Vangelo del giorno, Papa Francesco aggiunge:


“E’ brutto, quando nelle istituzioni della Chiesa, di una diocesi, troviamo nelle parrocchie gente che cerca il suo interesse, non il servizio, non l’amore. E questo è quello che Gesù ci dice nel Vangelo: non cercare il proprio interesse, non andare sulla strada del contraccambio, eh? ‘Ma sì, io ti ho fatto questo favore, ma tu mi fai questo’. E, con questa parabola, di invitare a cena quelli che non possono contraccambiare niente. E’ la gratuità. Quando in una Chiesa c’è l’armonia, c’è l’unità, non si cerca il proprio interesse, c’è questo atteggiamento di gratuità. Io faccio il bene, non faccio un affare con il bene”.


Il Papa invita, infine, a fare un esame di coscienza: “com’è la mia parrocchia … com’è la mia comunità? Ha questo spirito? Com’è la mia istituzione? Questo spirito di sentimenti di amore, di unanimità, di concordia, senza rivalità o vanagloria, con l’umiltà e il pensare che gli altri sono superiori a noi, nella nostra parrocchia, nella nostra comunità … E forse troveremo che c’è qualcosa da migliorare. Io oggi come posso migliorare questo?”.




Il Papa: Dio dona con gratuità, no ai “cattolici ma non troppo”

Messa del Papa a Casa Santa Marta - OSS_ROM

04/11/2014

Nella legge del Regno di Dio il “contraccambio non serve”, perché Lui dona con gratuità. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha avvertito che, a volte, per egoismo o voglia di potere rifiutiamo la festa a cui il Signore ci invita gratuitamente. A volte, ha avvertito, ci fidiamo di Dio “ma non troppo”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Un uomo diede una grande festa, ma gli invitati trovarono delle scuse per non andare. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia partendo dalla parabola narrata da Gesù nel passo del Vangelo odierno. Una parabola, ha detto, che ci fa pensare perché “a tutti piace andare a una festa, piace essere invitati”. Ma in questo banchetto “c’era qualcosa” che a tre invitati, “che sono un esempio di tanti, non piaceva”. Uno dice che deve vedere il suo campo, ha voglia di vederlo per sentirsi “un po’ potente”, “la vanità, l’orgoglio, il potere e preferisce quello piuttosto che rimanere seduto come uno tra tanti”. Un altro ha comprato cinque buoi, quindi è concentrato sugli affari e non vuole “perdere tempo” con altra gente. L’ultimo infine si scusa dicendo di essere sposato e non vuole portare la sposa alla festa. “No – ha detto il Papa – voleva l’affetto per se stesso: l’egoismo”. “Alla fine – ha proseguito – tutti e tre hanno una preferenza per se stessi, non per condividere una festa: non sanno cosa sia una festa”. Sempre, ha ammonito, “c’è l’interesse, c’è quello che Gesù” ha spiegato come “il contraccambio”:

“Se l’invito fosse stato, per esempio: ‘Venite, che ho due o tre amici affaristi che vengono da un altro Paese, possiamo fare qualcosa insieme’, sicuramente nessuno si sarebbe scusato. Ma quello che spaventava loro, era la gratuità. Essere uno come gli altri, lì … Proprio l’egoismo, essere al centro di tutto … E’ tanto difficile ascoltare la voce di Gesù, la voce di Dio, quando uno gira intorno a se stesso: non ha orizzonte, perché l’orizzonte è lui stesso. E dietro a questo c’è un’altra cosa, più profonda: c’è la paura della gratuità. Abbiamo paura della gratuità di Dio. E’ tanto grande che ci fa paura”.

Questo, ha detto, avviene “perché le esperienze della vita, tante volte ci hanno fatto soffrire” come succede ai discepoli di Emmaus che si allontanano da Gerusalemme o a Tommaso che vuole toccare per credere. Quando “l’offerta è tanta – ha detto, riprendendo un proverbio popolare – persino il Santo sospetta”, perché “la gratuità è troppa”. “E quando Dio ci offre un banchetto così”, ha affermato, pensiamo sia “meglio non immischiarsi”:

“Siamo più sicuri nei nostri peccati, nei nostri limiti, ma siamo a casa nostra; uscire da casa nostra per andare all’invito di Dio, a casa di Dio, con gli altri? No. Ho paura. E tutti noi cristiani abbiamo questa paura: nascosta, dentro … ma non troppo. Cattolici, ma non troppo. Fiduciosi nel Signore, ma non troppo. Questo ‘ma non troppo’, segna la nostra vita, ci fa piccoli, no?, ci rimpiccolisce”.

“Una cosa che mi fa pensare – ha soggiunto – è che, quando il servo riferì tutto questo al suo padrone, il padrone” si adirò perché era stato disprezzato. E manda a chiamare tutti i poveri, gli storpi, per le piazze e le vie della città. Il Signore chiede al servo che costringa le persone ad entrare alla festa. “Tante volte – ha commentato – il Signore deve fare con noi lo stesso: con le prove, tante prove”:

“Costringili, ché qui sarà la festa. La gratuità. Costringe quel cuore, quell’anima a credere che c’è gratuità in Dio, che il dono di Dio è gratis, che la salvezza non si compra: è un grande regalo, che l’amore di Dio … è il regalo più grande! Questa è la gratuità. E noi abbiamo un po’ di paura e per questo pensiamo che la santità si faccia con le cose nostre e alla lunga diventiamo un po’ pelagiani eh! La santità, la salvezza è gratuità”.

Gesù, ha evidenziato, “ha pagato la festa, con la sua umiliazione fino alla morte, morte di Croce. E questa è la grande gratuità”. Quando noi guardiamo il Crocifisso, ha detto ancora, pensiamo che “questa è l’entrata alla festa”: “Sì, Signore, sono peccatore, ho tante cose, ma guardo Te e vado alla festa del Padre. Mi fido. Non rimarrò deluso, perché Tu hai pagato tutto”. Oggi, ha concluso, “la Chiesa ci chiede di non avere paura della gratuità di Dio”. Soltanto, “noi dobbiamo aprire il cuore, fare da parte nostra tutto quello che possiamo; ma la grande festa la farà Lui”.




Il Papa: il cristiano non ha paura di sporcarsi le mani con i lontani

Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

06/11/2014

Il vero cristiano non ha paura di sporcarsi le mani con i peccatori, di rischiare anche la sua fama, perché ha il cuore di Dio che vuole che nessuno si perda: è quanto ha detto il Papa nella Messa mattutina a Santa Marta. Il servizio diSergio Centofanti:

Al centro dell’omelia di Papa Francesco, le due parabole della pecora smarrita e della moneta perduta. I farisei e gli scribi si scandalizzano perché Gesù “accoglie i peccatori e mangia con loro”. “Era un vero scandalo a quel tempo, per questa gente” osserva il Papa, che esclama: “Immaginiamo se a quel tempo ci fossero stati i giornali!”. “Ma Gesù è venuto “per questo: per andare a cercare quelli che si erano allontanati dal Signore”. Queste due parabole – spiega – “ci fanno vedere come è il cuore di Dio. Dio non si ferma, Dio non va fino ad un certo punto, Dio va fino in fondo, al limite, sempre va al limite; non si ferma a metà cammino della salvezza, come se dicesse: ‘Ho fatto tutto, il problema è loro’ . Lui va sempre, esce, scende in campo”.

I farisei e gli scribi, invece, si fermano “a metà cammino. A loro importava che il bilancio dei profitti e delle perdite fosse più o meno favorevole e con questo andavano tranquilli. ‘Sì, è vero, ho perso tre monete, ho perso dieci pecore, ma ho guadagnato tanto’. Questo non entra nella mente di Dio, Dio non è un affarista, Dio è Padre e va a salvare fino alla fine, fino al limite”. E “l’amore di Dio è questo”. Ma “è triste – afferma - il pastore a metà cammino”:

“E’ triste il pastore che apre la porta della Chiesa e rimane lì ad aspettare. E’ triste il cristiano che non sente dentro, nel suo cuore, il bisogno, la necessità di andare a raccontare agli altri che il Signore è buono. Ma quanta perversione c’è nel cuore di quelli che si credono giusti, come questi scribi, questi farisei. Eh, loro non vogliono sporcarsi le mani con i peccatori. Ricordiamo quello, cosa pensavano: ‘Eh, se questo fosse profeta, saprebbe che questa è una peccatrice’. Il disprezzo. Usavano la gente, poi la disprezzavano”.

“Essere un pastore a metà cammino – afferma Papa Francesco - è una sconfitta”. “Un pastore deve avere il cuore di Dio, andare fino al limite” perché non vuole che nessuno si perda:

“Il vero pastore, il vero cristiano ha questo zelo dentro: nessuno si perda. E per questo non ha paura di sporcarsi le mani. Non ha paura. Va dove deve andare. Rischia la sua vita, rischia la sua fama, rischia di perdere la sua comodità, il suo status, anche perdere nella carriera ecclesiastica pure, ma è buon pastore. Anche i cristiani devono essere così. E’ tanto facile condannare gli altri, come facevano questi – i pubblicani, i peccatori – è tanto facile, ma non è cristiano, eh? Non è da figli di Dio. Il Figlio di Dio va al limite, dà la vita, come l’ha data Gesù, per gli altri. Non può essere tranquillo, custodendo se stesso: la sua comodità, la sua fama, la sua tranquillità. Ricordatevi questo: pastori a metà cammino no, mai! Cristiani a metà cammino, mai! E’ quello che ha fatto Gesù”.

“Il buon pastore, il buon cristiano – conclude il Papa - esce, sempre è in uscita: è in uscita da se stesso, è in uscita verso Dio, nella preghiera, nell’adorazione; è in uscita verso gli altri per portare il messaggio di salvezza”. E il buon pastore e il buon cristiano conoscono cosa sia la tenerezza:

“Questi scribi, farisei non ne sapevano, non sapevano cosa fosse caricare sulle spalle la pecora, con quella tenerezza, e riportarla con le altre al suo posto. Questa gente non sa cosa sia la gioia. Il cristiano e il pastore a metà cammino forse sa di divertimento, di tranquillità, di certa pace, ma gioia, quella gioia che c’è nel Paradiso, quella gioia che viene da Dio, quella gioia che viene proprio dal cuore di padre che va a salvare! ‘Ho sentito i lamenti degli israeliti e scendo in campo’. Questo è tanto bello, non avere paura che si sparli di noi per andare a trovare i fratelli e le sorelle che sono lontani dal Signore. Chiediamo questa grazia per ognuno di noi e per la nostra Madre, la Santa Chiesa”. 



Il Papa: attenti a non diventare “cristiani pagani” nemici della Croce

 

07/11/2014

Anche oggi ci sono “cristiani pagani” che si “comportano come nemici della Croce di Cristo”. E’ il monito di Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha ribadito che bisogna guardarsi dalle tentazioni della mondanità che ci portano alla rovina. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Cristiani che vanno avanti nella fede e cristiani che si “comportano da nemici della Croce di Cristo”. Papa Francesco ha preso spunto dalle parole di San Paolo ai Filippesi per soffermarsi su due gruppi di cristiani, presenti oggi come al tempo dell’Apostolo delle Genti. “Tutti e due i gruppi – ha detto – erano in Chiesa, tutti insieme, andavano a Messa le domeniche, lodavano il Signore, si chiamavano cristiani”. Qual era dunque la differenza? I secondi “si comportano come nemici della Croce di Cristo! Cristiani nemici della Croce di Cristo”. Sono, ha rimarcato Francesco, “cristiani mondani, cristiani di nome, con due o tre cose di cristiano, ma niente di più. Cristiani pagani!”. “Il nome cristiano, ma la vita pagana”. O, ha soggiunto, “per dirla in un’altra maniera”: “pagani con due pennellate di vernice di cristianesimo, così appaiono come cristiani, ma sono pagani”:

"Anche oggi ce ne sono tanti! Anche noi dobbiamo stare attenti a non scivolare verso quella strada di cristiani pagani, cristiani nell’apparenza. E la tentazione di abituarsi alla mediocrità, la mediocrità dei cristiani, di questi cristiani, è proprio la loro rovina, perché il cuore si intiepidisce, diventano tiepidi. E ai tiepidi il Signore dice una parola forte: ‘Perché sei tiepido, sto per vomitarti dalla mia bocca’. E’ molto forte! Sono nemici della Croce di Cristo. Prendono il nome, ma non seguono le esigenze della vita cristiana”.

Paolo, ha proseguito, parla dunque della “cittadinanza” dei cristiani. “La nostra cittadinanza”, ha osservato, “è nei cieli. Quella loro è terrena. Sono cittadini del mondo, non dei cieli”. “Cittadini del mondo. E il cognome è mondano! Guardatevi da questi”, ha avvertito. Francesco ha così osservato che tutti, anche lui, deve domandarsi: “Ma io avrò qualcosa di questi? Avrò qualcosa della mondanità dentro di me? Qualcosa del paganesimo?”:

“Mi piace vantarmi? Mi piacciono i soldi? Mi piace l’orgoglio, la superbia? Dove ho le mie radici, cioè di dove sono cittadino? Nel cielo o sulla terra? Nel mondo o nello spirito mondano? La nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo, come Salvatore, il Signore Gesù Cristo. E la loro? La loro sorte finale sarà la perdizione! Questi cristiani verniciati finiranno male… Ma guardate alla fine: dove ti porta quella cittadinanza che tu hai nel tuo cuore? Quella mondana alla rovina, quella della Croce di Cristo all’incontro con Lui”.

Il Papa ha così indicato alcuni segni “nel cuore” che mostrano che si sta “scivolando verso la mondanità”. “Se tu ami e se tu sei attaccato ai soldi, alla vanità e all’orgoglio – ha ammonito – vai per quella strada cattiva”. Se, invece, ha proseguito “tu cerchi di amare Dio, di servire gli altri, se tu sei mite, se tu sei umile, se tu sei servitore degli altri, vai sulla buona strada. La tua carta di cittadinanza è buona: è del cielo!”. L’altra, al contrario, “è una cittadinanza che ti porterà male”. E Gesù, ha rammentato, chiedeva tanto al Padre di salvare i suoi discepoli “dallo spirito del mondo, da questa mondanità, che porta alla perdizione”. Il Papa ha quindi rivolto l’attenzione alla parabola dell’amministratore dei beni che truffa il suo signore, narrata nel Vangelo odierno:

“Come è arrivato questo amministratore del Vangelo a questo punto di truffare, di rubare al suo signore? Come è arrivato, da un giorno all’altro? No! Poco a poco. Un giorno una mancia qui, l’altro giorno una tangente là e così poco a poco si arriva alla corruzione. Il cammino della mondanità di questi nemici della Croce di Cristo è così, ti porta alla corruzione! E poi finisce come quest’uomo, no? Apertamente rubando…”

Il Papa riprende dunque le parole di Paolo che chiede di rimanere “saldi nel Signore” senza permettere che il cuore si indebolisca e “finisca nel niente, nella corruzione”. “E’ una grazia bella da chiedere questa – ha detto – rimanere saldi nel Signore. C’è tutta la salvezza, lì sarà la trasfigurazione in gloria”. “Saldi nel Signore – ha concluso – e nell’esempio della Croce di Cristo: umiltà, povertà, mitezza, servizio agli altri, adorazione, preghiera”.



Caterina63
00lunedì 10 novembre 2014 19:42

Francesco: mai dare scandalo, perdonare sempre, avere fede




Papa Francesco nella cappella di Casa S. Marta - OSS_ROM





10/11/2014 09:56



Ogni cristiano, qualsiasi sia la sua vocazione, deve saper perdonare sempre e non dare mai scandalo, perché lo “scandalo distrugge la fede”. Papa Francesco lo ha ripetuto commentando le letture della Messa del mattino, presieduta nella cappella di Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:


Meglio buttarsi al mare con una pietra al collo. Preferisce un’immagine cruda a qualsiasi altra espressione più edulcorata, Gesù, quando dice ai suoi discepoli cosa pensi di chi dà scandalo agli altri, specie se indifesi. Papa Francesco articola l’omelia enucleando dal brano del giorno del Vangelo di Luca le tre parole chiave: scandalo, perdono, fede. “Guai a chi scandalizza”, afferma perentorio Cristo, mentre nel brano della sua Lettera a Tito, San Paolo dà indicazioni precise su come debba essere lo stile di vita di un sacerdote – non violento, sobrio – in una parola “irreprensibile”, ovvero agli antipodi dello scandalo. Ma questo, afferma il Papa, vale per tutti i cristiani. Scandalo, soggiunge, “è dire e professare uno stile di vita – ‘sono cristiano’ – e poi vivere da pagano, che non crede in nulla”. Questo dà scandalo “perché manca la testimonianza”, mentre “la fede confessata – ribadisce Papa Francesco – è vita vissuta”:


“Quando un cristiano o una cristiana, che va in chiesa, che va in parrocchia, non vive così, scandalizza. Ma quante volte abbiamo sentito: ‘Ma io non vado in Chiesa – uomini o donne – perché è meglio essere onesto a casa e non andare come quello o quella che vanno in Chiesa e poi fanno questo, questo, questo…’. Lo scandalo distrugge, distrugge la fede! E per questo Gesù è tanto forte: ‘State attenti! State attenti!’. E questo ci farà bene ripeterlo oggi: ‘State attenti a voi stessi!’. Tutti noi siamo capaci di scandalizzare”.


In modo uguale e contrario, tutti dovremmo invece saper perdonare. E perdonare “sempre”, insiste il Papa facendo eco alle parole di Cristo, che invita a farlo anche “sette volte in un giorno” se chi ci ha fatto un torto ce lo chiede pentito. Gesù, osserva Papa Francesco, “esagera per farci capire l’importanza del perdono”, poiché “un cristiano che non è capace di perdonare scandalizza: non è cristiano”:


“Dobbiamo perdonare, perché perdonati. E questo è nel Padre Nostro: Gesù lo ha insegnato lì. E questo non si capisce nella logica umana. La logica umana ti porta a non perdonare, alla vendetta; ti porta all’odio, alla divisione. Quante famiglie divise per non perdonarsi: quante famiglie! Figli allontanati dai genitori, marito e moglie allontanati… E’ tanto importante pensare questo: se io non perdono non ho, sembra che non abbia diritto - sembra - ad essere perdonato o non ho capito cosa significa che il Signore mi abbia perdonato. Questa è la seconda parola, perdono”.


Si capisce allora, conclude Papa Francesco, “perché i discepoli, sentendo queste cose, abbiano detto al Signore: ‘Accresci in noi la fede’”:


“Senza la fede non si può vivere senza scandalizzare e sempre perdonando. Soltanto la luce della fede, di quella fede che noi abbiamo ricevuto: della fede di un Padre misericordioso, di un Figlio che ha dato la vita per noi, di uno Spirito che è dentro di noi e ci aiuta a crescere, della fede nella Chiesa, della fede nel popolo di Dio, battezzato, santo. E questo è un dono, la fede è un regalo. Nessuno con i libri, andando a conferenze, può avere la fede. La fede è un regalo di Dio che ti viene e per questo gli apostoli chiesero a Gesù: ‘Accresci in noi la fede!’”.






Francesco: i cristiani non trasformino il servizio in potere

Il Papa a Casa Santa Marta - OSS_ROM

11/11/2014 10:18

Bisogna sempre lottare contro le tentazioni che ci portano lontano dal servizio al prossimo. E’ il monito di Francesco alla Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che, come Gesù, dobbiamo servire senza chiedere niente ed ha ribadito che non bisogna impadronirsi del servizio “trasformandolo in una struttura di potere”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Gesù parla della forza della fede, ma subito spiega che questa va inquadrata nel servizio. Papa Francesco ha preso spunto dal Vangelo odierno sul “servo inutile” per soffermarsi proprio su cosa significhi servire per un cristiano. Gesù, ha detto, parla di questo servo che dopo aver lavorato tutta la giornata, arrivato a casa, invece di riposarsi deve ancora servire il suo signore:

Qualcuno di noi consiglierebbe a questo servo di andare al sindacato a cercare un po’ di consiglio, di come fare con un padrone così. Ma Gesù dice: ‘No, il servizio è totale’, perché Lui ha fatto strada con questo atteggiamento di servizio; Lui è il servo. Lui si presenta come il servo, quello che è venuto a servire e non a essere servito: così lo dice, chiaramente. E così, il Signore fa sentire agli apostoli la strada di quelli che hanno ricevuto la fede, quella fede che fa miracoli. Sì, questa fede farà miracoli sulla strada del servizio”.

Un cristiano che riceve il dono della fede nel Battesimo, ha soggiunto, ma “non porta avanti questo dono sulla strada del servizio, diventa un cristiano senza forza, senza fecondità”. Alla fine, ha ammonito, diventa “un cristiano per se stesso, per servire se stesso”. La sua è una “vita triste”, “tante cose grandi del Signore” vengono “sprecate”. Ancora, il Papa ha osservato che il Signore ci dice che “il servizio è unico”, non si possono servire due padroni: “O Dio, o le ricchezze”. Noi, ha proseguito, possiamo allontanarci da questo “atteggiamento del servizio, primo, per un po’ di pigrizia”. E questa, ha affermato, “fa tiepido il cuore, la pigrizia ti rende comodo”:

“La pigrizia ci allontana dal servizio e ci porta alla comodità, all’egoismo. Tanti cristiani così … sono buoni, vanno a Messa, ma il servizio fino a qua… Ma quando dico servizio, dico tutto: servizio a Dio nell’adorazione, nella preghiera, nelle lodi; servizio al prossimo, quando devo farlo; servizio fino alla fine, perché Gesù in questo è forte: ‘Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, adesso dite siamo servi inutili’. Servizio gratuito, senza chiedere niente”.

L’altra possibilità di allontanarsi dall’atteggiamento di servizio, ha soggiunto, “è un po’ l’impadronirsi delle situazioni”. Qualcosa, ha rammentato, che “è accaduto ai discepoli, agli apostoli stessi”: “Allontanavano la gente perché non disturbassero Gesù, ma per essere comodi loro”. I discepoli, ha proseguito, “si impadronivano del tempo del Signore, si impadronivano del potere del Signore: lo volevano per il loro gruppetto”. E poi, ha detto, “si impadronivano di questo atteggiamento di servizio, trasformandolo in una struttura di potere”.
Qualcosa che si capisce guardando alla discussione su chi fosse il più grande tra Giacomo e Giovanni. E la madre, ha aggiunto, che “va a chiedere al Signore che uno dei suoi figli sia il primo ministro e l’altro il ministro dell’economia, con tutto il potere in mano”. Questo succede anche oggi quando “i cristiani diventano padroni: padroni della fede, padroni del Regno, padroni della Salvezza”. Questa, ha constatato, “è una tentazione per tutti i cristiani”. Invece, ha detto, il Signore ci parla di servizio: “servizio in umiltà”, “servizio in speranza, e questa è la gioia del servizio cristiano”:

“Nella vita dobbiamo lottare tanto contro le tentazioni che cercano di allontanarci da questo atteggiamento di servizio. La pigrizia porta alla comodità: servizio a metà; e l’impadronirsi della situazione, e da servo diventare padrone, che porta alla superbia, all’orgoglio, a trattare male la gente, a sentirsi importanti ‘perché sono cristiano, ho la salvezza’, e tante cose così. Il Signore ci dia queste due grazie grandi: l’umiltà nel servizio, al fine di poterci dire: ‘Siamo servi inutili – ma servi – fino alla fine’; e la speranza nell’attesa della manifestazione, quando venga il Signore a trovarci”.



Francesco: il Regno di Dio cresce in silenzio, non fa spettacolo

Francesco: il Regno di Dio cresce in silenzio - OSS_ROM

13/11/2014 10:22

Il Regno di Dio cresce ogni giorno grazie a chi lo testimonia senza fare “rumore”, pregando e vivendo con fede i suoi impegni in famiglia, al lavoro, nella sua comunità di appartenenza. Lo ha sottolineato Papa Francesco nell’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Nel silenzio, magari di una casa dove “si arriva a fine mese con mezzo euro soltanto” eppure non si smette di pregare e di curare i propri figli e i propri nonni: è lì che si trova il Regno di Dio. Lontano dal clamore, perché il Regno di Dio “non attira l’attenzione” esattamente come non la attira il seme che cresce sotto terra. Papa Francesco si lascia guidare nella sua omelia dalle parole lette nel brano del Vangelo di Luca, dove alla domanda dei farisei: ‘Quando verrà il Regno di Dio?’, Gesù replica: verrà un giorno in cui “vi diranno: ‘Eccolo là’, oppure: ‘Eccolo qui’; non andateci, non seguiteli”. “Il Regno di Dio – asserisce il Papa – non è uno spettacolo. Lo spettacolo tante volte è la caricatura del Regno di Dio”:

“Lo spettacolo! Mai il Signore dice che il Regno di Dio è uno spettacolo. E’ una festa! Ma è diverso. E’ festa, certo, è bellissima. Una grande festa. E il Cielo sarà una festa, ma non uno spettacolo. E la nostra debolezza umana preferisce lo spettacolo”.

Tante volte, prosegue Papa Francesco, spettacolo è una celebrazione – per esempio delle nozze – alla quale si presenta gente che piuttosto che a ricevere un Sacramento “è venuta a fare lo spettacolo della moda, del farsi vedere, della vanità”. Invece, ripete, “il Regno di Dio è silenzioso, cresce dentro. Lo fa crescere lo Spirito Santo con la nostra disponibilità, nella nostra terra, che noi dobbiamo preparare”. Poi, soggiunge citando le parole di Gesù, anche per il Regno arriverà il momento della manifestazione di forza, ma sarà solo alla fine dei tempi:

“Il giorno che farà rumore, lo farà come la folgore, guizzando, che brilla da un capo all’altro del cielo. Così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno, il giorno che farà rumore. E quando uno pensa alla perseveranza di tanti cristiani, che portano avanti la famiglia – uomini, donne - che curano i figli, curano i nonni e arrivano alla fine del mese con mezzo euro soltanto, ma pregano, è lì il Regno di Dio, nascosto, in quella santità della vita quotidiana, quella santità di tutti i giorni. Perché il Regno di Dio non è lontano da noi, è vicino! Questa è una delle sue caratteristiche: vicinanza di tutti i giorni”.

Anche quando descrive il suo ritorno in una manifestazione di gloria e di potenza, tuttavia Gesù – insiste Papa Francesco – aggiunge subito che “prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione”. Ciò vuol dire, nota il Papa, che “anche la sofferenza, la croce, la croce quotidiana della vita – la croce del lavoro, della famiglia, di portare avanti bene le cose – questa piccola croce quotidiana è parte del Regno di Dio”. E conclude: chiediamo al Signore la grazia “di curare il regno di Dio che è dentro di noi” con “la preghiera, l’adorazione, il servizio della carità, silenziosamente”:

“Il Regno di Dio è umile, come il seme: umile ma viene grande, per la forza dello Spirito Santo. A noi tocca lasciarlo crescere in noi, senza vantarci: lasciare che lo Spirito venga, ci cambi l’anima e ci porti avanti nel silenzio, nella pace, nella quiete, nella vicinanza a Dio, agli altri, nell’adorazione a Dio, senza spettacoli”.



Francesco: dare ai ragazzi esempi di fede, non parole

14.11.2014

Per trasmettere la fede a bambini e giovani di oggi, e aiutarli a fare esperienza “della verità e dell’amore”, gli adulti devono offrire loro esempi più che tante parole. Lo ha affermato Papa Francesco durante l’omelia della Messa in Casa Santa Marta, alla quale era presente un nutrito gruppo di bambini e adolescenti di una parrocchia romana. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Come si trasmette la fede ai nativi digitali? Con la modalità che più di altre può far presa su chi vive costantemente stimolato dalle immagini: l’esempio. Nel giorno in cui una parte dei banchi della cappella di Casa Santa Santa Marta sembra una Gmg in miniatura – con un gruppo di ragazzini di una parrocchia romana che dopo la timidezza iniziale si scioglie in un vivace botta e risposta con il Papa – Francesco si cala nei panni del catechista e contemporaneamente del formatore dei catechisti. Sembra di essere alla “Messa dei ragazzi”, dice, e guardare ai ragazzi, prosegue, “è guardare a una promessa, è guardare al mondo che verrà”. Ma al nostro futuro, si chiede, “cosa lasciamo?”:

“Insegniamo quello che abbiamo sentito nella Prima lettura: camminare nell’amore e nella verità? O lo insegniamo con le parole, ma la nostra vita va da un’altra parte? Ma per noi guardare i ragazzi è una responsabilità! Un cristiano deve prendersi cura dei ragazzi, dei bambini e trasmettere la fede, trasmettere quello che vive, che è nel suo cuore. Noi non possiamo ignorare le piantine che crescono!”.

Tutto, afferma Papa Francesco, dipende dall’assumere il giusto atteggiamento verso i ragazzi. E “com’è – si chiede ancora – il mio atteggiamento? E’ un atteggiamento di fratello, di padre, di madre, di sorella, che lo fa crescere o è un atteggiamento di distacco: “loro crescono, io faccio la mia vita…?”:

“Tutti noi abbiamo una responsabilità di dare il meglio che noi abbiamo e il meglio che noi abbiamo è la fede: darla a loro, ma darla con l’esempio! Con le parole non serve, con le parole… Oggi, le parole non servono! In questo mondo dell’immagine, tutti questi hanno il telefonino e le parole non servono… Esempio! Esempio! Cosa do loro?”

A questo punto, il dialogo decolla. Il Papa comincia a chiedere ai ragazzi il perché del loro essere a Messa e qualcuno dopo un po’ prende coraggio e ammette: “Per vederti…”. Papa Francesco ricambia – “anche a me – replica – piace vedere voi” – quindi si informa se abbiano ricevuto chi la Prima Comunione, chi la Cresima e ripete a tutti che il Battesimo “apre la porta alla vita cristiana” e che, subito dopo, inizia un “cammino lungo tutta una vita”. Il percorso descritto dal brano della Lettera di Giovanni ascoltato poco prima: “Camminare nella verità e nell’amore”. Più avanti, indica il Papa, arriveranno altri Sacramenti come il matrimonio. Ma questo cammino, ribadisce, “è importante saperlo vivere, saperlo vivere come Gesù”:

“In questi Sacramenti – vi domando – la preghiera è un Sacramento?... Forte!… No! E’ vero, no! La preghiera non è un Sacramento, ma dobbiamo pregare. Non sapete se dovete pregare? Ecco, bene… Sì! Pregare il Signore, pregare Gesù, pregare la Madonna, perché ci aiutino in questo cammino della verità e dell’amore. Avete capito? Siete venuti per vedermi, chi lo aveva detto di voi? Tu. E’ vero. Ma anche per vedere Gesù. D’accordo? O lasciamo da parte Gesù? (bambini: ‘No!’). Adesso, viene Gesù sull’altare. E lo vedremo tutti! E’ Gesù! In questo momento dobbiamo chiedere a Gesù che ci insegni a camminare nella verità e nell’amore. Lo diciamo insieme? (tutti insieme) ‘Camminare nella verità e nell’amore’”. 





Caterina63
00lunedì 17 novembre 2014 17:01

Papa: Chiesa non è gruppo di eletti chiuso in microclima "ecclesiastico"




Papa Francesco celebra la Messa a Casa S. Marta - OSS_ROM





17/11/2014 10:40



Accade nella Chiesa che i cristiani siano tentati di stare con Gesù senza voler stare con i poveri e gli emarginati, isolandosi in un “microclima ecclesiastico” che nulla ha di autenticamente ecclesiale. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:


Guardare Gesù dimenticandosi di vederlo nel povero che chiede aiuto, nell’emarginato che fa ribrezzo. È la tentazione che la Chiesa vive in ogni epoca, quella di recintare se stessa all’interno di un “microclima ecclesiastico”, come lo definisce il Papa, invece che aprire le porte ai socialmente esclusi. L’omelia di Francesco parte da una delle pagine più intense del Vangelo, protagonista il cieco di Gerico. Costui, osserva il Papa, rappresenta la “prima classe di persone” che popola il racconto dell’evangelista Luca. Un uomo che non contava nulla, ma che “aveva voglia di salvezza”, “voglia di essere curato”, e che quindi grida più forte del muro di indifferenza che lo circonda finché vince la sua scommessa e riesce a bussare alla “porta del cuore di Gesù”. A quest’uomo si oppone la cerchia dei discepoli, che pretendono di zittirlo per evitare che disturbi e così facendo, afferma Papa Francesco, allontanano “il Signore da una periferia”:


“Questa periferia non poteva arrivare al Signore, perché questo circolo – ma con tanta buona volontà, eh – chiudeva la porta. E questo succede con frequenza, fra noi credenti: quando abbiamo trovato il Signore, senza che noi ce ne accorgiamo, si crea questo microclima ecclesiastico. Non solo i preti, i vescovi, anche i fedeli: ‘Ma noi siamo quelli che stanno col Signore’. E da tanto guardare al Signore non guardiamo le necessità del Signore: non guardiamo al Signore che ha fame, che ha sete, che è in prigione, che è in ospedale. Quel Signore, nell'emarginato. E questo clima fa tanto male”.


Dall’ironia venata di amarezza Papa Francesco passa alla descrizione di un gruppo che si sente prescelto – “adesso siamo eletti, siamo col Signore”, dice – e che dunque vuole conservare “questo piccolo mondo” allontanando chiunque “disturbasse il Signore”, perfino “i bambini”. “Avevano dimenticato, avevano abbandonato – nota – il loro primo amore”:


“Quando nella Chiesa i fedeli, i ministri, divengono un gruppo così… non ecclesiale, ma ‘ecclesiastico’, di privilegio di vicinanza al Signore, hanno la tentazione di dimenticare il primo amore, quell’amore tanto bello che tutti noi abbiamo avuto quando il Signore ci ha chiamato, ci ha salvato, ci ha detto: ‘Ma ti voglio tanto bene’. Questa è una tentazione dei discepoli: dimenticare il primo amore, cioè dimenticare anche le periferie, dove io ero prima, anche se devo vergognarmi”.


C’è poi il terzo gruppo sulla scena: il “popolo semplice”, quello che loda Dio per la guarigione del cieco. “Quante volte – afferma in proposito Papa Francesco – troviamo gente semplice, tante vecchiette che camminano e vanno” anche con sacrificio “a pregare in un santuario della Madonna”. “Non chiedono privilegi, chiedono grazia soltanto”. È il “popolo fedele”, conclude il Papa, quello “che sa seguire il Signore, senza chiedere alcun privilegio”, capace “di perdere tempo con il Signore” e soprattutto di non dimenticare la “Chiesa emarginata” dei bambini, degli ammalati, dei carcerati:


“Chiediamo al Signore la grazia che tutti noi, che abbiamo la grazia di essere stati chiamati, mai, mai, mai ci allontaniamo da questa Chiesa. Mai entriamo in questo microclima dei discepoli ecclesiastici, privilegiati, che si allontanano dalla Chiesa di Dio, che soffre, che chiede salvezza, che chiede fede, che chiede la Parola di Dio. Chiediamo la grazia di essere popolo fedele di Dio, senza chiedere al Signore alcun privilegio, che ci allontani dal popolo di Dio”.




Il Papa: quando la conversione arriva alle tasche è sicura

Messa di Papa Francesco a S. Marta - OSS_ROM

18/11/2014 10:40

Attenti a non diventare cristiani tiepidi, comodi o dell’apparenza. E’ il monito di Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che i cristiani devono sempre rispondere alla chiamata di Gesù alla conversione, altrimenti da peccatori diventano corrotti. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Convertirsi è una grazia, “è una visita di Dio”. Papa Francesco ha preso spunto dalla liturgia del giorno, un passo dell’Apocalisse di Giovanni e l’incontro tra Gesù e Zaccheo, per soffermarsi sul tema delle conversioni. Nella prima lettura, ha osservato, il Signore chiede ai cristiani di Laodicea di convertirsi perché sono caduti “nel tepore”. Vivono nella “spiritualità della comodità”. E pensano: “faccio le cose come posso, ma sono in pace che nessuno venga a disturbarmi con cose strane”. Chi vive così, ha affermato, pensa che non “manca niente: vado a Messa le domeniche, prego alcune volte, mi sento bene, sono in grazia di Dio, sono ricco” e “non ho bisogno di nulla, sto bene”. Questo “stato d’animo – ha avvertito – è uno stato di peccato: la comodità spirituale è uno stato di peccato”. E a questi, ha rammentato, il Signore “non risparmia parole” e gli dice: “Perché sei tiepido sto per vomitarti dalla mia bocca”. Tuttavia, ha proseguito, gli dà il consiglio di “vestirsi”, perché “i cristiani comodi sono nudi”.

Poi, ha soggiunto, “c’è una seconda chiamata” a “quelli che vivono delle apparenze, i cristiani delle apparenze”. Questi si credono vivi ma sono morti. E a loro il Signore chiede di essere vigilanti. “Le apparenze – ha detto il Papa – sono il sudario di questi cristiani: sono morti”. E il Signore li “chiama alla conversione”:

“Io sono di questi cristiani delle apparenze? Sono vivo dentro, ho una vita spirituale? Sento lo Spirito Santo, ascolto lo Spirito Santo, vado avanti, o …? Ma, se tutto appare bene, non ho niente da rimproverarmi: ho una buona famiglia, la gente non sparla di me, ho tutto il necessario, sono sposato in chiesa … sono ‘in grazia di Dio’, sono tranquillo. Le apparenze! Cristiani di apparenza … Sono morti! Ma, cercare qualcosa di vivo dentro e con la memoria e la vigilanza, rinvigorire questo perché vada avanti. Convertirsi: dalle apparenze alla realtà. Dal tepore al fervore”.

La terza chiamata alla conversione è con Zaccheo, “capo dei pubblicani e ricco”. “E’ un corrotto - ha detto il Papa - lavorava per gli stranieri, per i romani, tradiva la sua Patria”:

“Era uno come tanti dirigenti che noi conosciamo: corrotti. Questi che, invece di servire il popolo, sfruttano il popolo per servire se stessi. Alcuni ci sono, nel mondo. E la gente non lo voleva. Questo, sì, non era tiepido; non era morto. Era in stato di putrefazione. Corrotto, proprio. Ma sentì qualcosa dentro: ma, questo guaritore, questo profeta che dicono che parli tanto bene, io vorrei vederlo, per curiosità. Lo Spirito Santo è furbo, eh! E ha seminato il seme della curiosità, e quell’uomo per vederlo anche fa un po’ il ridicolo. Pensate a un dirigente che sia importante, e anche che sia un corrotto, un capo dei dirigenti – questo era capo – ma, salire su un albero per guardare una processione: ma pensate questo. Che ridicolo!”

Zaccheo, ha detto, “non ha avuto vergogna”. Voleva vederlo e “dentro lavorava lo Spirito Santo”. E poi “la Parola di Dio è entrata in quel cuore e con la Parola, la gioia”. “Quelli della comodità e quelli dell’apparenza – ha sottolineato – avevano dimenticato cosa fosse la gioia; questo corrotto la riceve subito”, “il cuore cambia, si converte”. E così Zaccheo promette di restituire quattro volte quanto rubato:

“Quando la conversione arriva alle tasche, è sicura. Cristiani di cuore? Sì, tutti. Cristiani di anima? Tutti. Ma, cristiani di tasche, pochi, eh! Pochi. Ma, la conversione … e qui, è arrivata subito: la parola autentica. Si è convertito. Ma davanti a questa parola, l’altra parola, di quelli che non volevano la conversione, che non volevano convertirsi: ‘Vedendo ciò, mormoravano: ‘E’ entrato in casa di un peccatore!’: si è sporcato, ha perso la purezza. Deve purificarsi perché è entrato in casa di un peccatore’”.

Sono “tre chiamate alla conversione”, ha ribadito, che lo stesso Gesù fa “ai tiepidi, a quelli della comodità, a quelli dell’apparenza, a quelli che si credono ricchi ma sono poveri, non hanno niente, sono morti”. La Parola di Dio, ha detto il Papa, “è capace di cambiare tutto”, ma “non sempre abbiamo il coraggio di credere nella Parola di Dio, di ricevere quella Parola che ci guarisce dentro”. La Chiesa, ha concluso, vuole che in queste ultime settimane dell’Anno liturgico “pensiamo molto, molto seriamente alla nostra conversione, perché possiamo andare avanti nel cammino della nostra vita cristiana”. E ci dice di “ricordare la Parola di Dio, fa appello alla memoria, di custodirla, di vigilare e anche di obbedire alla Parola di Dio, perché noi incominciamo una vita nuova, convertita”.




Papa: Gesù piange quando il nostro cuore si chiude alle sue sorprese

Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

20/11/2014 10:38

Gesù piange anche oggi quando le porte del nostro cuore, dei pastori, della Chiesa, si chiudono alle sue sorprese non riconoscendo Colui che porta la pace: è quanto ha detto il Papa nella Messa mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Gesù piange su Gerusalemme perché non ha riconosciuto Colui che porta la pace. Il Papa commenta il Vangelo del giorno, spiegando che il Signore piange per “la chiusura del cuore” della “città eletta, del popolo eletto. Non aveva tempo per aprirgli la porta! Era troppa indaffarata, troppo soddisfatta di se stessa. E Gesù continua a bussare alle porte, come ha bussato alla porta del cuore di Gerusalemme: alle porte dei suoi fratelli, delle sue sorelle; alle porte nostre, alle porte del nostro cuore, alle porte della sua Chiesa. Gerusalemme si sentiva contenta, tranquilla con la sua vita e non aveva bisogno del Signore: non se ne era accorta che aveva bisogno di salvezza. E per questo ha chiuso il suo cuore davanti al Signore”. “Il pianto di Gesù” su Gerusalemme – afferma il Papa – è “il pianto sulla sua Chiesa, oggi, su di noi”:

“E perché Gerusalemme non aveva ricevuto il Signore? Perché era tranquilla con quello che aveva, non voleva problemi. Ma anche – lo dice il Signore nel Vangelo – ‘se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che ti porta la pace. Non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata’. Aveva paura di essere visitata dal Signore; aveva paura della gratuità della visita del Signore. Era sicura nelle cose che lei poteva gestire. Noi siamo sicuri nelle cose che noi possiamo gestire… Ma la visita del Signore, le sue sorprese, noi non possiamo gestirle”.

E Papa Francesco aggiunge:

“E di questo aveva paura Gerusalemme: di essere salvata per la strada delle sorprese del Signore. Aveva paura del Signore, del suo Sposo, del suo Amato. E così Gesù piange. Quando il Signore visita il suo popolo, ci porta la gioia, ci porta la conversione. E tutti noi abbiamo paura non dell’allegria - no! – ma sì della gioia che porta il Signore, perché non possiamo controllarla. Abbiamo paura della conversione, perché convertirsi significa lasciare che il Signore ci conduca”.

“Gerusalemme era tranquilla, contenta – ha proseguito il Papa - il tempio funzionava. I sacerdoti facevano i sacrifici, la gente veniva in pellegrinaggio, i dottori della legge avevano sistemato tutto, tutto! Tutto chiaro! Tutti i comandamenti chiari… E con tutto questo Gerusalemme aveva la porta chiusa”. La croce, “prezzo di quel rifiuto” – osserva il Papa - ci mostra l’amore di Gesù, ciò che lo porta “a piangere anche oggi - tante volte - per la sua Chiesa”.

“Io mi domando: oggi noi cristiani, che conosciamo la fede, il catechismo, che andiamo a Messa tutte le domeniche, noi cristiani, noi pastori siamo contenti di noi? Perché abbiamo tutto sistemato e non abbiamo bisogno di nuove visite del Signore… E il Signore continua a bussare alla porta, di ognuno di noi e della sua Chiesa, dei pastori della Chiesa. Eh sì, la porta del cuore nostro, della Chiesa, dei pastori non si apre: il Signore piange, anche oggi”.

Il Papa, infine, invita ad un esame di coscienza: “Pensiamo a noi: come stiamo in questo momento davanti a Dio?”.




Il Papa: le Chiese non siano mai "affariste", redenzione di Cristo è gratuita

Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

21/11/2014 08:51

Le Chiese non diventino mai case di affari, la redenzione di Gesù è sempre gratuita: è quanto ha detto il Papa nella Messa mattutina a Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa celebra la Presentazione al Tempio della Beata Vergine Maria. Il servizio di Sergio Centofanti:

La liturgia del giorno propone il Vangelo in cui Gesù caccia i mercanti dal Tempio, perché hanno trasformato la casa di preghiera in un covo di ladri. Quello di Gesù – ha spiegato il Papa - è un gesto di purificazione: “il Tempio era stato profanato” e con il Tempio, il popolo di Dio. Profanato con il peccato tanto grave che è lo scandalo”.

“La gente è buona – osserva il Papa - la gente andava al Tempio, non guardava queste cose; cercava Dio, pregava … ma doveva cambiare le monete per fare le offerte”. Il popolo di Dio andava al Tempio non per questa gente, per quelli che vendevano, ma andava al Tempio per Dio” e “lì c’era la corruzione che scandalizzava il popolo”. Il Papa ricorda l’episodio biblico di Anna, donna umile, mamma di Samuele, che va al Tempio per chiedere la grazia di un figlio: “bisbigliava in silenzio le sue preghiere”, mentre il sacerdote e i suoi due figli erano corrotti, sfruttavano i pellegrini, scandalizzavano il popolo. “Io penso allo scandalo che possiamo fare alla gente con il nostro atteggiamento – sottolinea Papa Francesco - con le nostre abitudini non sacerdotali nel Tempio: lo scandalo del commercio, lo scandalo delle mondanità … Quante volte vediamo che entrando in una chiesa, ancora oggi, c’è lì la lista dei prezzi” per il battesimo, la benedizione, le intenzioni per la Messa. “E il popolo si scandalizza”:

“Una volta, appena sacerdote, io ero con un gruppo di universitari, e voleva sposarsi una coppia di fidanzati. Erano andati in una parrocchia: ma, volevano farlo con la Messa. E lì, il segretario parrocchiale ha detto: ‘No, no: non si può’ – ‘Ma perché non si può con la Messa? Se il Concilio raccomanda di farlo sempre con la Messa …’ – ‘No, non si può, perché più di 20 minuti non si può’ – ‘Ma perché?’ – ‘Perché ci sono altri turni’ – ‘Ma, noi vogliamo la Messa!’ – ‘Ma pagate due turni!’. E per sposarsi con la Messa hanno dovuto pagare due turni. Questo è peccato di scandalo”.

Il Papa aggiunge: “Noi sappiamo quello che dice Gesù a quelli che sono causa di scandalo: ‘Meglio essere buttati nel mare’”:

"Quando quelli che sono nel Tempio – siano sacerdoti, laici, segretari, ma che hanno da gestire nel Tempio la pastorale del Tempio – divengono affaristi, il popolo si scandalizza. E noi siamo responsabili di questo. Anche i laici, eh? Tutti. Perché se io vedo che nella mia parrocchia si fa questo, devo avere il coraggio di dirlo in faccia al parroco. E la gente soffre quello scandalo. E’ curioso: il popolo di Dio sa perdonare i suoi preti, quando hanno una debolezza, scivolano su un peccato … sa perdonare. Ma ci sono due cose che il popolo di Dio non può perdonare: un prete attaccato ai soldi e un prete che maltratta la gente. Non ce la fa a perdonare! E lo scandalo, quando il Tempio, la Casa di Dio, diventa una casa di affari, come quel matrimonio: si affittava la chiesa”.

Gesù “non è arrabbiato” – spiega il Papa – “è l’Ira di Dio, è lo zelo per la Casa di Dio” perché non si possono servire due padroni: “o rendi il culto a Dio vivente, o rendi il culto ai soldi, al denaro”:

“Ma perché Gesù ce l’ha con i soldi, ce l’ha con il denaro? Perché la redenzione è gratuita; la gratuità di Dio Lui viene a portarci, la gratuità totale dell’amore di Dio. E quando la Chiesa o le chiese diventano affariste, si dice che … eh, non è tanto gratuita, la salvezza … E’ per questo che Gesù prende la frusta in mano per fare questo rito di purificazione nel Tempio. Oggi la Liturgia celebra la presentazione della Madonna al Tempio: da ragazzina … Una donna semplice, come Anna, in quel momento, entra la Madonna. Che Lei insegni a tutti noi, a tutti i parroci, a tutti quelli che hanno responsabilità pastorali, a mantenere pulito il Tempio, a ricevere con amore quelli che vengono, come se ognuno di loro fosse la Madonna”.




a proposito dell'ultima omelia... suggeriamo di leggere un articolo riflessivo di un santo sacerdote....

Ma veniamo ai “tariffari” per i quali si è levato solenne da Santa Marta l’ennesimo grido di disappunto che ha sortito l’effetto di far passare il Santo Padre per giusto castigatore dei cattivi costumi del clero, ed i suoi preti per degli irredimibili sporcaccioni. È vero: molte diocesi hanno stabilito non dei prezzari, ma delle offerte minime da lasciare alle parrocchie in occasione di certe celebrazioni, ad esempio per i matrimoni. E sulla parola “matrimoni” apriamo adesso il capitolo dolente …

… il Santo Padre lo sa che cosa è, specie da Roma in giù, un matrimonio? Il Santo Padre, così preoccupato di un non meglio precisato popolo che si scandalizza, è informato che nessuno si scandalizza invece che una sposa spenda di media non meno di 1.000 euro solo per l’acconciatura del parrucchiere, che il servizio del fotografo costa di media sui 1.500 euro, stampa delle foto ed album del matrimonio escluse, che la ripresa filmica del matrimonio ammonta a circa 3.000 euro? È informato, il Santo Padre, che certe spose entrano in chiesa con un vestito che costa 10.000 euro e che sarà indossato solo quella volta e poi mai più? È informato il Santo Padre che certi sposi spendono tra i 5.000 ed i 10.000 euro per le sole bomboniere da regalare a invitati ed amici e che organizzano pranzi di nozze per una media di 150/250 invitati al costo di 80/100 euro a persona, ammontanti all’incirca a 15.000/25.000 euro per il solo pranzo di nozze? È informato il Santo Padre che certi sposi spendono 5.000 euro solo per cinque minuti di fuochi artificiali?

vigili del fuoco città del vaticano 8
Un mezzo dei Vigili del Fuoco dello Stato della Città del Vaticano davanti al Papazzo del Governatorato

Ma soprattutto, il Santo Padre, è mai stato informato da qualche esponente di questo popolo scandalizzato dai preti, che le persone che fanno queste spese folli, che dentro le chiese facevano attaccare ai cineoperatori fari a giorno che succhiavano corrente a vortice, al povero parroco sottoposto tra l’altro a spese e consumi, non dicevano neppure «grazie!»? E lo sa, il Santo Padre, perché molti degli esponenti di questo popolo scandalizzato dai preti, che pure per un matrimonio hanno speso l’equivalente del costo d’acquisto di un appartamento, non dicevano neppure «grazie!»? Semplice il motivo: ma perché … «la Chiese deve!» e «i preti non devono chiedere niente», anzi «dovrebbero essere poveri».

Ecco perché giustamente molte diocesi hanno stabilito delle quote minime di offerta da lasciare alla parrocchia in occasione della celebrazione di certi Sacramenti, soprattutto per i battesimi ed i matrimoni. E non l’hanno fatto perché i preti sono assatanati di soldi ma per evitare che certi parroci, dinanzi a persone che per un matrimonio hanno bruciato 100.000 euro di spese, non riconoscessero al prete neppure la dignità riconosciuta anche all’ultimo parrucchiere gay che gioca a fare il grande stilista acconciatore, lasciando al primo anche la mancia per il ragazzo di bottega, ed al secondo, ossia al brutto e sporco prete, cattivo e affamato di soldi, la bolletta della luce della chiesa da pagare, ed ancora ripeto: senza neppure un «grazie», perché «la Chiesa deve» e perché «i preti dovrebbero essere poveri».

Domandi il Santo Padre a molti parroci, quante volte è accaduto che gli sposi hanno dato 1.000 euro in compenso a organista, violinista e soprano, mentre al parroco o al rettore della chiesa che ha osato dirgli: «Ma una piccola offerta per le spese di mantenimento della chiesa, la volete lasciare?», hanno risposto andando a dire in giro per mezzo mondo che «il prete ha osato chiedere persino i soldi». E chiudiamo qua il discorso, senza toccare neppure la voce spese dei fioristi per l’addobbo della chiesa.

Queste le persone, questo il popolo che si scandalizza e che ancora una volta ha trovato autorevole voce di protesta e di condanna verso i preti da parte del Santo Padre che pare davvero intenzionato a piacere a tutti, soprattutto ai non cattolici, meno che ai suoi devoti e fedeli servitori, ai quali dispensa periodiche frustate che non hanno né la profondità, né l’amore, né lo spessore pastorale di una enciclica scritta in toni decisi e duri, ma veramente e profondamente amorevoli, come la Ad catholici sacerdotiidel Sommo Pontefice Pio XI [vedere qui]. Certe “pastorali” del Santo Padre Francesco sembrano fatte più per piacere e compiacere tutti gli irriducibili anticlericali di questo mondo, anziché risultare preziose ed efficaci per la correzione del clero, che specie di questi tempi non è affatto esente da inadeguatezze, errori e vizi d’ogni mala sorta, avarizia e attaccamento al danaro inclusi.

poste vaticane
Cari Parroci, indirizzate le bollette della luce e del gas delle vostre chiese al Sommo Pontefice Francesco,Domus Sanctae Martae, Città del Vaticano

Alla fine dello scorso inverno un mio confratello, parroco di una chiesa del nord dell’Italia, dove il clima invernale è particolarmente duro, mi disse con grande preoccupazione: «… ad aprile ho chiesto un prestito alla banca per pagare il gas del riscaldamento». Questo santo uomo di Dio, con una temperatura spesso al di sotto dello zero, nella propria canonica teneva il riscaldamento spento ed aveva messo una brandina nella grande cucina dove c’era una vecchia stufa a legna; e lì in pratica viveva d’inverno, bruciando la legna da lui stesso raccolta in giro con le sue mani. Però teneva acceso il riscaldamento della chiesa per riscaldare i fedeli e quello delle due sale parrocchiali dove facevano il catechismo i bambini. Anche i genitori di quei bambini che andavano al catechismo facevano parte del popolo scandalizzato di cui parla il Santo Padre nella sua nuova omelia ad effetto; ed anche loro, per festeggiare la Prima Comunione dei loro bimbi, hanno speso tanto e quanto hanno voluto, ma nessuno si è però domandato se il parroco aveva o no i soldi per pagare la bolletta del gas, sempre sulla base del solito principio: «La Chiesa non deve chiedere ma solo dare» … «i preti devono essere poveri» … e poi, è lo stesso Santo Padre che animato da grande anelito ha detto subito: «Ah, come vorrei una Chiesa povera per i poveri» [vedere qui] …

… e lo stesso Santo Padre concedeva poco tempo dopo “in affitto” la Cappella Sistina in uso alla Porsche per un evento di beneficienza a favore dei poveri [vedere qui]. Anche in questo caso sorge però una domanda: i parroci delle parrocchie povere che non hanno a loro disposizione una Cappella Sistina da dare in affitto a ricchi privati per scopi benefici al fine di ricavarne danaro per le mense dei poveri, potrebbero ricavare qualche cosa affittando le loro chiese, per esempio a …

A questo mio confratello che domandò un prestito alla banca per pagare il gas usato in inverno per riscaldare i fedeli ed i loro figli ed a tutti i non pochi sacerdoti che vivono certe situazioni di disagio economico, vorrei lanciare sia un’idea pertinente sia un appello: quando vi arriva una bolletta della luce o del gas che non riuscite a pagare, mandatela alla Domus Sanctae Martae indirizzata a Sua Santità il Sommo Pontefice Francesco accompagnata da questo biglietto: «Siamo i preti della Chiesa povera per i poveri e non abbiamo i soldi per pagare la bolletta della luce e del gas della chiesa, quindi rimettiamo il pagamento direttamente alla Sede Apostolica».

fonte: http://isoladipatmos.com/servizio-vigili-del-fuoco-il-santo-padre-francesco-e-le-offerte-ai-preti/ 



si legga anche qui IL LISTINO PREZZI - Vaticano - per avere una pergamena che NON è neppure firmata dal Papa....







Caterina63
00lunedì 24 novembre 2014 18:55

Francesco: Chiesa sia povera e si vanti di Dio non di se stessa




Papa Francesco tiene l'omelia nella cappella di Casa S. Marta - OSS_ROM





24/11/2014 10:14



Quando la Chiesa è umile e povera, allora “è fedele” a Cristo, altrimenti è tentata di brillare di “luce propria” anziché donare al mondo quella di Dio. Lo ha affermato Papa Francesco durante l’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:


Dare tanto e pubblicamente, perché c’è una ricchezza che si nutre di ostentazione e gode della vanità. E dare il poco che si ha, senza attirare l’attenzione se non di Dio, perché è Lui il tutto in cui si confida. Nell’episodio evangelico della vedova che sotto gli occhi di Gesù mette i suoi unici due spiccioli nel tesoro del tempio – mentre i ricchi vi avevano gettato atteggiandosi grosse cifre per loro superflue – Papa Francesco coglie due tendenze sempre presenti nella storia della Chiesa. La Chiesa tentata dall'apparenza e la “Chiesa povera”, che – afferma – “non deve avere altre ricchezze che il suo Sposo”, come l’umile donna del tempio:


“A me piace vedere in questa figura la Chiesa che è in certo senso un po’ vedova, perché aspetta il suo Sposo che tornerà… Ma ha il suo Sposo nell’Eucaristia, nella Parola di Dio, nei poveri, sì: ma aspetta che torni, no? Questo atteggiamento della Chiesa… Questa vedova non era importante, il nome di questa vedova non appariva nei giornali. Nessuno la conosceva. Non aveva lauree… niente. Niente. Non brillava di luce propria. E’ quello che a me dice di vedere in questa donna la figura della Chiesa. La grande virtù della Chiesa dev’essere di non brillare di luce propria, ma di brillare della luce che viene dal suo Sposo. Che viene proprio dal suo Sposo. E nei secoli, quando la Chiesa ha voluto avere luce propria, ha sbagliato”.


“È vero – riconosce Papa Francesco – che alcune volte il Signore può chiedere alla sua Chiesa di avere, di prendersi un po’ di luce propria”, ma ciò si intende, ha spiegato, che se la missione della Chiesa è di illuminare l’umanità, la luce che viene donata deve essere unicamente quella ricevuta da Cristo in atteggiamento di umiltà:


“Tutti i servizi che noi facciamo nella Chiesa sono per aiutarci in questo, a ricevere quella luce. E un servizio senza questa luce non va bene: fa che la Chiesa diventi o ricca, o potente, o che cerchi il potere, o che sbagli strada, come è accaduto tante volte nella storia e come accade nelle nostre vite, quando noi vogliamo avere un’altra luce, che non è proprio quella del Signore: una luce propria”.


Quando la Chiesa “è fedele alla speranza e al suo Sposo – ripete ancora Papa Francesco – è gioiosa di ricevere la luce da Lui, di essere in questo senso ‘vedova’”, in attesa, come la luna, del “sole che verrà”:


“Quando la Chiesa è umile, quando la Chiesa è povera, anche quando la Chiesa confessa le sue miserie – poi tutti ne abbiamo – la Chiesa è fedele. La Chiesa dice: ‘Ma, io sono oscura, ma la luce mi viene da lì!’ e questo ci fa tanto bene. Ma preghiamo questa vedova che è in Cielo, sicuro, preghiamo questa vedova che ci insegni a essere Chiesa così, gettando dalla vita tutto quello che abbiamo: niente per noi. Tutto per il Signore e per il prossimo. Umili. Senza vantarci di avere luce propria, cercando sempre la luce che viene dal Signore”.




Il Papa: non cedere a depressione di fronte al male, ma vivere con speranza

Messa del Papa a Casa Santa Marta - OSS_ROM

27/11/2014 09:54

Anche in mezzo a tante difficoltà, il cristiano non ceda alla depressione. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha dunque avvertito che “corruzione” e “distrazione” ci allontanano dall’incontro con il Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Babilonia e Gerusalemme. Nella sua omelia, Francesco ha preso spunto da queste due città di cui parla la Prima Lettura tratta dall’Apocalisse e il Vangelo di San Luca. Il Papa ha sottolineato che entrambe le letture attirano la nostra attenzione sulla fine di questo mondo. E per meditare, ha notato, ci parla del “crollo di due città che non hanno accolto il Signore, che si sono allontanate” da Lui. Il crollo di queste due città, ha precisato, “avviene per motivi differenti”. Babilonia è il “simbolo del male, del peccato” e “cade per corruzione”, si “sentiva padrona del mondo e di se stessa”. E quando “si accumula il peccato – ha ammonito – si perde la capacità di reagire e si incomincia a marcire”. Così, del resto, accade anche con le “persone corrotte, che non hanno forza per reagire”:

“Perché la corruzione ti dà qualche felicità, ti dà potere e anche ti fa sentire soddisfatto di te stesso: non lascia spazio per il Signore, per la conversione. La città corrotta... E questa parola ‘corruzione’ oggi ci dice tanto a noi: non solo corruzione economica, ma corruzione con tanti peccati diversi; corruzione con quello spirito pagano, con quello spirito mondano. La più brutta corruzione è lo spirito di mondanità!”

Questa “cultura corrotta”, ha soggiunto, “ti fa sentire come in Paradiso qui, pieno, abbondante”, ma “dentro, quella cultura corrotta è una cultura putrefatta”. Nel simbolo di questa Babilonia, è stata la riflessione di Francesco, “c’è ogni società, ogni cultura, ogni persona allontanata da Dio, anche allontanata dall’amore al prossimo, che finisce per marcire”. Gerusalemme, ha proseguito, “cade per un altro motivo”. Gerusalemme è la sposa del Signore, ma non si accorge delle visite dello Sposo, “ha fatto piangere il Signore”:

“Babilonia cade per corruzione; Gerusalemme per distrazione, per non ricevere il Signore che viene a salvarla. Non si sentiva bisognosa di salvezza. Aveva gli scritti dei profeti, di Mosè e questo le era sufficiente. Ma scritti chiusi! Non lasciava posto per essere salvata: aveva la porta chiuse per il Signore! Il Signore bussava alla porta, ma non c’era disponibilità di riceverlo, di ascoltarlo, di lasciarsi salvare da Lui. E cade…”

Questi due esempi, ha osservato, “ci possono fare pensare alla nostra vita”: siamo simili alla “corrotta e sufficiente Babilonia” o alla “distratta” Gerusalemme? Tuttavia, ha tenuto a sottolineare, “il messaggio della Chiesa in questi giorni non finisce con la distruzione: in tutte e due i testi, c’è una promessa di speranza”. Gesù, ha affermato, ci esorta ad alzare il capo, a non lasciarsi “spaventare dai pagani”. Questi, ha detto, “hanno il loro tempo e dobbiamo sopportarlo con pazienza, come ha sopportato il Signore la sua Passione”:

“Quando pensiamo alla fine, con tutti i nostri peccati, con tutta la nostra storia, pensiamo al banchetto che gratuitamente ci sarà dato e alziamo il capo. Niente depressione: speranza! Ma la realtà è brutta: ci sono tanti, tanti popoli, città e gente, tanta gente, che soffre; tante guerre, tanto odio, tanta invidia, tanta mondanità spirituale e tanta corruzione. Sì, è vero! Tutto questo cadrà! Ma chiediamo al Signore la grazia di essere preparati per il banchetto che ci aspetta, col capo sempre alto”.





Caterina63
00martedì 2 dicembre 2014 14:51

  Francesco: un cuore umile conosce Dio, teologia si fa in ginocchio




Papa Francesco tiene l'omelia a Casa S. Marta - OSS_ROM





02/12/2014 



Chi studia il mistero di Dio si metta in ginocchio perché Dio si rivela più volentieri a un cuore umile. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino, celebrata in Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:


Gli occhi di un povero sono i più adatti a vedere Cristo e, attraverso di Lui, scorgere il profilo di Dio. Gli altri che pretendano di sondare questo mistero con le risorse della propria intelligenza devono prima mettersi “in ginocchio”, in atteggiamento di umiltà, altrimenti “non capiranno nulla”. Papa Francesco ribadisce la verità e il paradosso del mistero della Buona Novella: il Regno di suo Padre appartiene ai “poveri in spirito”. La riflessione del Papa segue la traccia del Vangelo di Luca proposta dalla liturgia, nel punto in cui Cristo loda e ringrazia suo Padre perché ha deciso di rivelarsi a chi per la società non conta nulla e a chi magari conta ma sa farsi “piccolo” nell’anima:


“Lui ci fa conoscere il Padre, ci fa conoscere questa vita interiore che Lui ha. E a chi rivela questo il Padre? A chi dà questa grazia? ‘Ti rendo lode, o Padre, Signore del Cielo e della Terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli’. Soltanto quelli che hanno il cuore come i piccoli, che sono capaci di ricevere questa rivelazione, il cuore umile, mite, che sente il bisogno di pregare, di aprirsi a Dio, si sente povero; soltanto quello che va avanti con la prima Beatitudine: i poveri di spirito”.


Dunque, la povertà è la dote privilegiata per aprire la porta del mistero di Dio. Una dote che talvolta, fa notare Papa Francesco, può difettare proprio in chi a questo mistero dedica una vita di studi:


“Tanti possono conoscere la scienza, la teologia pure, tanti! Ma se non fanno questa teologia in ginocchio, cioè umilmente, come piccoli, non capiranno nulla. Ci diranno tante cose, ma non capiranno nulla. Soltanto questa povertà è capace di ricevere la Rivelazione che il Padre dà tramite Gesù, attraverso Gesù. E Gesù viene, non come un capitano, un generale di esercito, un governante potente, no, no. Viene come un germoglio. Così abbiamo sentito nella Prima Lettura: ‘In quel giorno, un germoglio spunterà dal tronco di Iesse’. Lui è un germoglio: è umile, è mite, ed è venuto per gli umili, per i miti, a portare la salvezza agli ammalati, ai poveri, agli oppressi”.


E Gesù, prosegue Papa Francesco, è il primo degli emarginati arrivando addirittura a ritenere “un valore non negoziabile essere uguale a Dio”. “La grandezza del mistero di Dio”, ripete , si conosce soltanto “nel mistero di Gesù e il mistero di Gesù è proprio un mistero dell’abbassarsi, di annientarsi, di umiliarsi” che “porta la salvezza ai poveri, a quelli che sono annientati da tante malattie, peccati e situazioni difficili”. “Fuori da questa cornice – conclude Papa Francesco – non si può capire il mistero di Gesù”:


“Chiediamo al Signore, in questo tempo di Avvento, di avvicinarci più, più, più al suo mistero e di farlo sulla strada che Lui vuole che noi facciamo: la strada dell’umiltà, la strada della mitezza, la strada della povertà, la strada del sentirci peccatori. Così Lui viene a salvarci, a liberarci. Che il Signore ci dia questa grazia”.





Papa: i santi nascosti di tutti i giorni danno speranza

Il Papa a Santa Marta - OSS_ROM

04/12/2014 

Ci sono tanti santi nascosti, uomini, donne, padri e madri di famiglia, malati, preti che mettono in pratica tutti i giorni l'amore di Gesù e questo dà speranza: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

E’ davvero cristiano chi mette in pratica la Parola di Dio, non basta dire di avere fede: commentando il Vangelo sulla casa costruita sulla roccia o sulla sabbia, Papa Francesco invita a non essere “cristiani di apparenza”, cristiani truccati, perché appena arriva un po’ di pioggia il trucco va via. Non basta – ha detto - appartenere a una famiglia molto cattolica o a un’associazione o essere un benefattore, se non si segue poi la volontà di Dio. “Tanti cristiani delle apparenze” – ha osservato – “crollano alle prime tentazioni”, perché “non c’è sostanza lì”, hanno costruito sulla sabbia. Invece, ci sono tanti santi “nel popolo di Dio - non necessariamente canonizzati, ma santi – tanti uomini e donne” che “mettono in pratica l’amore di Gesù. Tanti”. Hanno costruito la casa sulla roccia, che è Cristo:

“Pensiamo ai più piccoli, eh? Agli ammalati che offrono le loro sofferenze per la Chiesa, per gli altri. Pensiamo a tanti anziani soli, che pregano e offrono. Pensiamo a tante mamme e padri di famiglia che portano avanti con tanta fatica la loro famiglia, l’educazione dei figli, il lavoro quotidiano, i problemi, ma sempre con la speranza in Gesù, che non si pavoneggiano, ma fanno quello che possono”.

Sono i “santi della vita quotidiana!”, ha esclamato il Papa:

“Pensiamo a tanti preti che non si fanno vedere ma che lavorano nelle loro parrocchie con tanto amore: la catechesi ai bambini, la cura degli anziani, degli ammalati, la preparazione ai novelli sposi… E tutti giorni lo stesso, lo stesso, lo stesso. Non si annoiano perché nel loro fondamento c’è la roccia. E’ Gesù, è questo che dà santità alla Chiesa, è questo che dà speranza!”.

“Dobbiamo pensarci tanto alla santità nascosta che c’è nella Chiesa” – ha affermato Francesco – “cristiani che rimangono in Gesù. Peccatori, eh? Tutti lo siamo. E anche alcune volte qualcuno di questi cristiani fa qualche peccato grave, ma si pentono, chiedono perdono, e questo è grande: la capacità di chiedere perdono, di non confondere peccato con virtù, di sapere bene dove è la virtù e dove è il peccato. Questi sono fondati sulla roccia e la roccia è Cristo. Seguono il cammino di Gesù, seguono Lui”.

“I superbi, i vanitosi, i cristiani di apparenza” – ha sottolineato Francesco – “saranno abbattuti, umiliati”, mentre “i poveri saranno quelli che trionferanno, i poveri di spirito, quelli che davanti a Dio si sentono niente, gli umili, e portano avanti la salvezza mettendo in pratica la Parola del Signore”. “Oggi ci siamo, domani non ci saremo” – ha detto poi citando San Bernardo: “Pensa, uomo, cosa sarà di te: pasto dei vermi”. “Ci mangeranno i vermi, a tutti” – ricorda il Papa – “Se non abbiamo questa roccia, finiremo calpestati”:

“In questo tempo di preparazione al Natale chiediamo al Signore di essere fondati saldi nella roccia che è Lui, la nostra speranza è Lui. Noi siamo tutti peccatori, siamo deboli ma se mettiamo la speranza in Lui potremo andare avanti. E questa è la gioia di un cristiano: sapere che in Lui c’è la speranza, c’è il perdono, c’è la pace, c’è la gioia. E non mettere la nostra speranza in cose che oggi sono e domani non saranno”.




 

Il Papa: Chiesa è madre, non serve organigramma perfetto

Messa di Papa Francesco a Casa Santa Marta - OSS_ROM

09/12/2014 

La gioia della Chiesa è essere madre, andare a cercare le pecore smarrite. E’ quanto affermato da Francesco alla Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che alla Chiesa non serve avere “un organigramma perfetto” se poi è triste e chiusa, se non è madre. Di qui l’invito ad essere “cristiani gioiosi” con la “consolazione della tenerezza di Gesù”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Aprire le porte alla consolazione del Signore”. Francesco ha preso spunto, nella sua omelia, dalla prima lettura in cui il profeta Isaia parla della fine della tribolazione di Israele dopo l’esilio a Babilonia. “Il popolo – ha commentato - ha bisogno di consolazione. La stessa presenza del Signore consola”. Una consolazione, ha soggiunto, che c’è anche nella tribolazione. E tuttavia, ha ammonito “noi, al solito, fuggiamo dalla consolazione; abbiamo sfiducia; siamo più comodi nelle nostre cose, più comodi anche nelle nostre mancanze, nei nostri peccati. Questa – ha detto - è terra nostra”. Invece, ha affermato, “quando viene lo Spirito e viene la consolazione ci porta ad un altro stato che noi non possiamo controllare: è proprio l’abbandono nella consolazione del Signore”.

Francesco sottolinea che “la consolazione più forte è quella della misericordia e del perdono”. E ha così rivolto il pensiero alla fine del XVI capitolo di Ezechiele, quando dopo “l’elenco di tanti peccati del popolo”, dice: “Ma io non ti abbandono; io ti darò di più; questa sarà la mia vendetta: la consolazione e il perdono”, “così è il nostro Dio”. Per questo, ha ripreso, “è buono ripetere: lasciatevi consolare dal Signore, è l’unico che può consolarci”. Anche se “siamo abituati ad affittare consolazioni piccole, un po’ fatte da noi”, ma che poi “non servono”. Di qui, si è soffermato sul Vangelo odierno, tratto da Matteo, che parla della parabola della pecorella smarrita:

“Io mi domando quale sia la consolazione della Chiesa. Così come quando una persona è consolata quando sente la misericordia e il perdono del Signore, la Chiesa fa festa, è felice quando esce da se stessa. Nel Vangelo, quel pastore che esce, va a cercare quella pecora smarrita, poteva fare il conto di un buon commerciante: ma, 99, se ne perde una non c’è problema; il bilancio… Guadagni, perdite… Ma va bene, possiamo andare così. No, ha cuore di pastore, esce a cercarla finché la trova e lì fa festa, è gioioso”.

“La gioia di uscire per cercare i fratelli e le sorelle che sono lontani: questa – ha evidenziato Francesco – è la gioia della Chiesa. Lì la Chiesa diventa madre, diventa feconda”:

“Quando la Chiesa non fa questo, quando la Chiesa si ferma in se stessa, si chiude in se stessa, forse si è ben organizzata, un organigramma perfetto, tutto a posto, tutto pulito, ma manca gioia, manca festa, manca pace, e così diventa una Chiesa sfiduciata, ansiosa, triste, una Chiesa che ha più di zitella che di madre, e questa Chiesa non serve, è una Chiesa da museo. La gioia della Chiesa è partorire; la gioia della Chiesa è uscire da se stessa per dare vita; la gioia della Chiesa è andare a cercare quelle pecore che sono smarrite; la gioia della Chiesa è proprio quella tenerezza del pastore, la tenerezza della madre”.

La fine del brano di Isaia, ha spiegato, “riprende questa immagine: come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna”. Questa, ha detto il Papa, “è la gioia della Chiesa: uscire da se stessa e diventare feconda”:

“Il Signore ci dia la grazia di lavorare, essere cristiani gioiosi nella fecondità della madre Chiesa e ci guardi dal cadere nell’atteggiamento di questi cristiani tristi, impazienti, sfiduciati, ansiosi, che hanno tutto perfetto nella Chiesa, ma non hanno ‘bambini’. Che il Signore ci consoli con la consolazione di una Chiesa madre che esce da se stessa e ci consoli con la consolazione della tenerezza di Gesù e la sua misericordia nel perdono dei nostri peccati”. 





Papa: Dio ci ama come una mamma, non mercifichiamo la grazia

Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

11/12/2014 

Dio è come una mamma, ci ama gratuitamente, ma noi spesso vogliamo controllare questa grazia in una sorta di contabilità spirituale: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa mattutina a Santa Marta. Il servizio diSergio Centofanti:

Dio salva il suo popolo non da lontano ma facendosi vicino, con tenerezza. Papa Francesco, prendendo lo spunto dal profeta Isaia, fa un paragone:

“E’ tanta la vicinanza che Dio si presenta qui come una mamma, come una mamma che dialoga con il suo bambino: una mamma quando canta la ninna nanna al bambino e prende la voce del bambino e si fa piccola come il bambino e parla con il tono del bambino al punto di fare il ridicolo se uno non capisse cosa c’è lì di grande: ‘Non temere, vermiciattolo di Giacobbe’. Ma, quante volte una mamma dice queste cose al bambino mentre lo carezza, eh? Ecco, ti rendo come una trebbia acuminata, nuova… ti farò grande… E lo carezza, e lo fa più vicino a lei. E Dio fa così. E’ la tenerezza di Dio. E’ tanto vicino a noi che si esprime con questa tenerezza: la tenerezza di una mamma”.

Dio ci ama gratuitamente – ha affermato il Papa - come una mamma il suo bambino. E il bambino “si lascia amare”: “questa è la grazia di Dio”. “Ma noi, tante volte, per essere sicuri, vogliamo controllare la grazia” e “nella storia e anche nella nostra vita abbiamo la tentazione di mercificare la grazia”, renderla “come una merce o una cosa controllabile”, magari dicendo a noi stessi: “Ma, io ho tanta grazia”, oppure: “Ho l’anima pulita, sono in grazia”:

“E così questa verità tanto bella della vicinanza di Dio scivola in una contabilità spirituale: ‘No, io faccio questo perché questo mi darà 300 giorni di grazia … Io faccio quell’altro perché questo mi darà questo, e così accumulo grazia’. Ma cos’è la grazia? Una merce? E così, sembra di sì. Sembra di sì. E nella storia questa vicinanza di Dio al suo popolo è stata tradita per questo atteggiamento nostro, egoista, di voler controllare la grazia, mercificarla”.

Il Papa ricorda i gruppi che al tempo di Gesù volevano controllare la grazia: i Farisei, resi schiavi dalle tante leggi che caricavano “sulle spalle del popolo”. I Sadducei, con i loro compromessi politici. Gli Esseni, “buoni, buonissimi, ma avevano tanta paura, non rischiavano” e finivano per isolarsi nei loro monasteri. Gli Zeloti, per i quali la grazia di Dio era “la guerra di liberazione”, “un’altra maniera di mercificare la grazia”.

“La grazia di Dio – ha sottolineato - è un’altra cosa: è vicinanza, è tenerezza. Questa regola serve sempre. Se tu nel tuo rapporto con il Signore non senti che Lui ti ama con tenerezza, ancora ti manca qualcosa, ancora non hai capito cos’è la grazia, ancora non hai ricevuto la grazia che è questa vicinanza”. Papa Francesco ricorda una confessione di tanti anni fa, quando una donna si macerava sulla validità o meno, come osservanza del precetto, di una Messa frequentata di sabato sera per un matrimonio, con letture diverse da quelle della domenica. Questa la sua risposta: “Ma, signora, il Signore la ama tanto a lei. Lei è andata lì, ha ricevuto la Comunione, è stata con Gesù … Sì, ma stai tranquilla, il Signore non è un commerciante, il Signore ama, è vicino”:

“E San Paolo reagisce con forza contro questa spiritualità della legge. ‘Io sono giusto se faccio questo, questo, questo. Se non faccio questo non sono giusto’. Ma tu sei giusto perché Dio ti si è avvicinato, perché Dio ti carezza, perché Dio ti dice queste cose belle con tenerezza: questa è la giustizia nostra, questa vicinanza di Dio, questa tenerezza, questo amore. Anche a rischio di sembrarci ridicolo il nostro Dio è tanto buono. Se noi avessimo il coraggio di aprire il nostro cuore a questa tenerezza di Dio, quanta libertà spirituale avremmo! Quanta! Oggi, se avete un po’ di tempo, a casa vostra, prendete la Bibbia: Isaia, capitolo 41, dal versetto 13 al 20, sette versetti. E leggetelo. Questa tenerezza di Dio, questo Dio che ci canta a ognuno di noi la ninna nanna, come una mamma”.





 

Caterina63
00lunedì 15 dicembre 2014 16:23

Francesco: il cristiano è misericordioso, rigidità è segno di cuore debole




Il Papa a Santa Marta - OSS_ROM





15/12/2014 



Gesù ci rende misericordiosi verso la gente, mentre chi ha il cuore debole perché non fondato su Cristo rischia di essere rigido nella disciplina esteriore, ma ipocrita e opportunista dentro: è quanto ha detto il Papa nell’omelia mattutina a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:


Al centro dell’omelia del Papa il Vangelo del giorno, in cui i capi dei sacerdoti chiedono a Gesù con quale autorità compia le sue opere. E’ una domanda – spiega – che dimostra il “cuore ipocrita” di questa gente: “a loro non interessava la verità”, cercavano solo i loro interessi e andavano “secondo il vento: ‘Conviene andare di qua, conviene andare di là…’ erano banderuole, eh, tutti! Tutti. Senza consistenza. Un cuore senza consistenza. E così negoziavano tutto: negoziavano la libertà interiore, negoziavano la fede, negoziavano la patria, tutto, meno le apparenze. A loro importava uscire bene dalle situazioni”. Erano opportunisti: “approfittavano delle situazioni”.


Eppure – ha proseguito il Papa – “qualcuno di voi potrà dirmi: ‘Ma padre, questa gente era osservante della legge: il sabato non camminavano più di cento metri - o non so quanto si poteva fare – mai, mai andavano a tavola senza lavarsi le mani e fare le abluzioni; ma era gente molto osservante, molto sicura nelle sue abitudini’. Sì, è vero, ma nelle apparenze. Erano forti, ma al di fuori. Erano ingessati. Il cuore era molto debole, non sapevano in cosa credevano. E per questo la loro vita era, la parte di fuori, tutta regolata, ma il cuore andava da una parte all’altra: un cuore debole e una pelle ingessata, forte, dura. Gesù al contrario, ci insegna che il cristiano deve avere il cuore forte, il cuore saldo, il cuore che cresce sulla roccia, che è Cristo, e poi nel modo di andare, andare con prudenza: “In questo caso faccio questo, ma…” E’ il modo di andare, ma non si negozia il cuore, non si negozia la roccia. La roccia è Cristo, non si negozia!”:


“Questo è il dramma dell’ipocrisia di questa gente. E Gesù non negoziava mai il suo cuore di Figlio del Padre, ma era tanto aperto alla gente, cercando strade per aiutare. ‘Ma questo non si può fare; la nostra disciplina, la nostra dottrina dice che non si può fare!’ dicevano loro. ‘Perché i tuoi discepoli mangiano il grano in campagna, quando camminano, il giorno del sabato? Non si può fare!’. Erano tanto rigidi nelle loro discipline: ‘No, la disciplina non si tocca, è sacra’”.


Papa Francesco ricorda quando “Pio XII ci liberò da quella croce tanto pesante che era il digiuno eucaristico”:


“Ma alcuni di voi forse ricordano. Non si poteva neppure bere un goccio d’acqua. Neppure! E per lavarsi i denti, si doveva fare in modo che l’acqua non venisse ingoiata. Ma io stesso da ragazzo sono andato a confessarmi di aver fatto la comunione, perché credevo che un goccio d’acqua fosse andato dentro. E’ vero o no? E’ vero. Quando Pio XII ha cambiato la disciplina – ‘Ah, eresia! No! Ha toccato la disciplina della Chiesa!’ - tanti farisei si sono scandalizzati. Tanti. Perché Pio XII aveva fatto come Gesù: ha visto il bisogno della gente. ‘Ma povera gente, con tanto caldo!’. Questi preti che dicevano tre Messe, l’ultima all’una, dopo mezzogiorno, in digiuno. La disciplina della Chiesa. E questi farisei erano così – ‘la nostra disciplina’ - rigidi nella pelle, ma, come Gesù gli dice, ‘putrefatti nel cuore’, deboli, deboli fino alla putredine. Tenebrosi nel cuore”.


“Questo è il dramma di questa gente” e Gesù denuncia ipocrisia e opportunismo: 


“Anche la nostra vita può diventare così, anche la nostra vita. E alcune volte, vi confesso una cosa, quando io ho visto un cristiano, una cristiana così, col cuore debole, non fermo, non saldo sulla roccia – Gesù – e con tanta rigidità fuori, ho chiesto al Signore: ‘Ma Signore buttagli una buccia di banana davanti, perché faccia una bella scivolata, si vergogni di essere peccatore e così incontri Te, che Tu sei il Salvatore’. Eh, tante volte un peccato ci fa vergognare tanto e incontrare il Signore, che ci perdona, come questi ammalati che erano qui e andavano dal Signore per guarire”.


“Ma la gente semplice” - osserva il Papa - “non sbagliava”, nonostante le parole di questi dottori della legge, “perché la gente sapeva, aveva quel fiuto della fede”.


Il Papa conclude con questa preghiera la sua omelia: “Chiedo al Signore la grazia che il nostro cuore sia semplice, luminoso con la verità che Lui ci dà, e così possiamo essere amabili, perdonatori, comprensivi con gli altri, di cuore ampio con la gente, misericordiosi. Mai condannare, mai condannare. Se tu hai voglia di condannare, condanna te stesso, che qualche motivo avrai, eh?”. “Chiediamo al Signore la grazia che ci dia questa luce interiore, che ci convinca che la roccia è soltanto Lui e non tante storie che noi facciamo come cose importanti; e che Lui ci dica – Lui ci dica! – la strada, Lui ci accompagni nella strada, Lui ci allarghi il cuore, perché possano entrare i problemi di tanta gente e Lui ci dia una grazia che questa gente non aveva: la grazia di sentirci peccatori”.   







Francesco: la salvezza è un cuore umile che si fida di Dio

Francesco tiene l'omelia del mattino a S. Marta - OSS_ROM

16/12/2014 

Dio salva “un cuore pentito”, mentre chi non confida in Lui attira su di sé la “condanna”. Lo ha ribadito Papa Francesco nella sua omelia del mattino, presiedendo la Messa nella cappella di Casa S. Marta. Il servizio diAlessandro De Carolis:

L’umiltà salva l’uomo agli occhi di Dio, la superbia lo perde. La chiave sta nel cuore. Quello dell’umile è aperto, sa pentirsi, accettare una correzione e si fida di Dio. Quello del superbo è speculare all’opposto: arrogante, chiuso, non conosce vergogna, è impermeabile alla voce di Dio. Il brano del profeta Sofonia e quello del Vangelo suggeriscono a Papa Francesco una riflessione in parallelo. Entrambi i testi, osserva, parlano di un “giudizio” dal quale dipendono salvezza e condanna.

L’umiltà, l’unica strada
La situazione descritta dal profeta Sofonia è quella di una città ribelle, nella quale tuttavia c’è un gruppo che si pente dei propri peccati: questo, sottolinea il Papa, è il “popolo di Dio” che ha in sé le “tre caratteristiche” di “umiltà, povertà, fiducia nel Signore”. Ma nella città ci sono anche quelli che, dice Francesco, “non hanno accettato la correzione, non hanno confidato nel Signore”. A loro toccherà la condanna:

“Questi non possono ricevere la Salvezza. Sono chiusi, loro, alla Salvezza. ‘Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero; confiderà nel nome del Signore’, per tutta la vita. E questo fino a oggi, no? Quando vediamo il santo popolo di Dio che è umile, che ha le sue ricchezze nella fede nel Signore, nella fiducia nel Signore – il popolo umile, povero che confida nel Signore: e questi sono i salvati e questa è la strada della Chiesa, no? Deve andare per questa strada, non per l’altra strada che non ascolta la voce, che non accetta la correzione e non confida nel Signore”.

Sinceramente pentìti, non ipocriti
La scena del Vangelo è quella del contrasto tra i due figli invitati dal padre a lavorare nella vigna. Il primo rifiuta ma poi si pente e va, il secondo dice sì al padre ma in realtà lo inganna. Gesù racconta questa storia ai capi del popolo affermando con chiarezza che sono loro a non aver voluto ascoltare la voce di Dio attraverso Giovanni e che per questo nel Regno dei cieli saranno superati da pubblicani e prostitute, che invece a Giovanni hanno creduto. E lo scandalo suscitato da quest'ultima affermazione, osserva Papa Francesco, è identico a quello di tanti cristiani che si sentono “puri” solo perché vanno a Messa e fanno la comunione. Ma Dio, dice, ha bisogno di altro:

“Se il tuo cuore non è un cuore pentito, se tu non ascolti il Signore, non accetti la correzione e non confidi in Lui, tu hai un cuore non pentito. Ma questi ipocriti che si scandalizzano di questo che dice Gesù sui pubblicani e le prostitute, ma poi di nascosto andavano da loro o per sfogare le loro passioni o per fare affari – ma  tutto di nascosto – erano puri! E questi il Signore non li vuole”.

Offrire persino i peccati
Questo giudizio “ci dà speranza”, assicura Papa Francesco. Purché, conclude, si abbia il coraggio di aprire il cuore a Dio senza riserve, donandogli anche la “lista” dei propri peccati. E per spiegarlo, il Papa ricorda la storia di quel santo che pensava di aver dato tutto al Signore, con estrema generosità:

“Ascoltava il Signore, andava sempre secondo la sua volontà, dava al Signore e il Signore: ‘Ma tu non mi hai dato una cosa, ancora”. E il povero era tanto buono e dice: ‘Ma, Signore, cosa non ti ho dato? Ti ho dato la mia vita, lavoro per i poveri, lavoro per la catechesi, lavoro qui, lavoro là…’. ‘Ma qualcosa tu non mi hai dato ancora’.- ‘Che, Signore?. ‘I tuoi peccati’. Quando noi saremo in grado di dire al Signore: ‘Signore, questi sono i miei peccati – non sono di quello, di quello, sono i miei… Sono i miei. Prendili tu e così io sarò salvo’ – quando noi saremo capaci di fare questo noi saremo quel bel popolo, ‘popolo umile e povero’, che confida nel nome del Signore. Il Signore ci conceda questa grazia”.





Il Papa: Dio fa la storia con noi e la corregge quando sbagliamo

Il Papa a Santa Marta - OSS_ROM

18/12/2014 

Affidarsi a Dio anche nei momenti bui, anche se non capiamo a volte la storia che fa con noi: ma è sempre storia di salvezza. E’ quanto ha affermato Papa Francesco nella Messa mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

“Dio ha voluto salvarci nella storia” – ha affermato il Papa - la nostra salvezza “non è una salvezza asettica, di laboratorio. No! E’ storica. Lui ha fatto un cammino nella storia col suo popolo”. Dunque, “non c’è una salvezza senza storia. E per arrivare al punto di oggi c’è stata una lunga storia, una lunghissima storia”:

“E così, passo a passo, si fa la storia. Dio fa la storia, anche noi facciamo la storia; e quando noi sbagliamo, Dio corregge la storia e ci porta avanti, avanti, sempre camminando con noi. Se noi non abbiamo questo chiaro, mai capiremo il Natale! Mai capiremo l’Incarnazione del Verbo! Mai! E’ tutta una storia che cammina. ‘Padre, è finita questa storia col Natale?’; ‘No! Adesso ancora il Signore ci salva nella storia. E cammina col suo popolo’”.

In questa storia – ha proseguito Papa Francesco - ci sono gli eletti di Dio, quelle persone che Lui sceglie “per aiutare il suo popolo ad andare avanti”, come Abramo, Mosè, Elia. Per loro “ci sono alcuni momenti brutti”, “momenti bui, momenti scomodi, momenti che danno fastidio”. Persone che magari vogliono vivere tranquille, ma che “il Signore scomoda. Il Signore ci scomoda per far la storia! Ci fa andare tante volte su strade che noi non vogliamo”. Tanto che Mosè ed Elia a un certo punto vorrebbero anche morire, ma poi confidano nel Signore.

Il Vangelo del giorno parla di “un altro momento brutto nella storia di salvezza”, quello di Giuseppe che scopre che la sua promessa sposa, Maria, è incinta: “Lui soffre, vede le donne del villaggio che chiacchieravano nel mercato; ma lui soffre. ‘Ma questa è buona, io la conosco! E’ una donna di Dio. Ma cosa mi ha fatto? Non è possibile!”. Se l’accusa, la lapideranno. Ma non vuole, anche se non capisce. Sa che Maria “è incapace di infedeltà”. “In questi momenti brutti” – ha sottolineato il Papa – “questi eletti di Dio, per fare la storia devono prendere il problema sulle spalle, senza capire”. Così, “il Signore fa la storia”.

“Così fa Giuseppe, l’uomo che nel momento più brutto della sua vita, il momento più oscuro, prende su di sé il problema. E lui accusa se stesso agli occhi degli altri per coprire la sua sposa. Forse qualche psicanalista dirà che questo sonno è il condensato dell’angoscia, che cerca una uscita… ma dicano quello che vogliono. Ma cosa ha fatto Giuseppe? Dopo il sonno, prese con sé la sua sposa. ‘Non capisco niente, ma il Signore mi ha detto questo e questo apparirà come mio figlio!’”.

“Fare storia con il suo popolo – ha osservato il Papa - significa per Dio camminare e mettere alla prova i suoi eletti”. Ma alla fine li salva: “Ricordiamo sempre, con fiducia, anche nei momenti più brutti, anche nei momenti della malattia, quando noi ci accorgeremo che dobbiamo chiedere l’estrema unzione, perché non c’è uscita, di dire: ‘Ma, Signore, la storia non è incominciata con me né finirà con me! Tu vai avanti, io sono disposto’. E metterci nelle mani del Signore”. Cosa ci insegnano, dunque, gli eletti di Dio?

“Che Dio cammina con noi, che Dio fa storia, che Dio ci mette alla prova e che Dio ci salva nei momenti più brutti, perché è nostro Padre. E secondo Paolo è il nostro Papà. Che il Signore ci faccia capire questo mistero del suo camminare col suo popolo nella storia, del suo mettere alla prova i suoi eletti e la grandezza di cuore dei suoi eletti, che prendono su di loro i dolori, i problemi, anche l’apparenza di peccatori – pensiamo a Gesù – per portare avanti la storia”.





Il Papa: Chiesa sia madre non imprenditrice, potere ci fa sterili

Messa di Papa Francesco a Casa Santa Marta - OSS_ROM

19/12/2014 

La Chiesa sia madre, non imprenditrice. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, l’ultima del 2014 con un gruppo di fedeli e omelia. Il Pontefice ha messo l’accento sulla “nuova Creazione”, rappresentata dalla nascita di Gesù, che rifà nuove tutte le cose. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Due donne che da sterili diventano feconde. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia partendo dalle Letture del giorno che narrano le nascite miracolose di Sansone e Giovanni Battista. Nel Popolo di Israele, ha affermato, era “quasi una maledizione non avere figli” ed ha rammentato che nella Bibbia incontriamo tante donne sterili e lì “il Signore fa il miracolo”. La Chiesa, ha rilevato il Pontefice, mostra "questo simbolo di sterilità proprio prima della nascita di Gesù", anche per mezzo di una "donna incapace di avere un figlio per la sua decisione di rimanere in verginità”. Questo, ha commentato, è “il segno dell’umanità incapace di dare un passo in più”. Dunque, la Chiesa “vuol farci riflettere sull’umanità sterile”:

Sterilità e nuova Creazione
“Dalla sterilità, il Signore è capace di ricominciare una nuova discendenza, una nuova vita. E questo è il messaggio di oggi. Quando l’umanità è esaurita, non può andare più, viene la grazia e viene il Figlio, e viene la Salvezza. E quella Creazione esaurita lascia posto alla nuova creazione…”

“Questa ‘seconda’ Creazione quando la Terra è esaurita – ha proseguito – è il messaggio di oggi”. Noi, ha detto, aspettiamo Colui che è “capace di ricreare tutte le cose, di fare nuove le cose. Aspettiamo la novità di Dio”. Questo, ha ribadito, è Natale: “La novità di Dio che rifà, in un modo più meraviglioso della Creazione, tutte le cose”. Francesco ha evidenziato dunque che sia la moglie di Manoach, madre di Sansone, che Elisabetta avranno figli grazie all’azione dello Spirito del Signore. Qual è dunque il messaggio di queste letture, si chiede il Papa? “Apriamoci allo Spirito di Dio – è la risposta – Noi, da soli, non ce la facciamo. E’ lui che può fare le cose”:

Apertura alle novità di Dio
“Anche, questo mi fa pensare, alla nostra madre Chiesa; anche a tante sterilità che ha la nostra madre Chiesa: quando, per il peso della speranza nei Comandamenti, quel pelagianismo che tutti noi portiamo nelle ossa, diventa sterile. Si crede capace di partorire … no, non può! La Chiesa è madre, e diventa madre soltanto quando si apre alla novità di Dio, alla forza dello Spirito. Quando dice a se stessa: ‘Io faccio tutto, ma, ho finito, non posso andare in più!’, viene lo Spirito”.

Madre non imprenditrice
Una constatazione, questa, che ha suscitato al Papa una riflessione sulle sterilità nella Chiesa e l’apertura alla fecondità nella fede:

“E anche, oggi è un giorno per pregare per la nostra madre Chiesa, per tante sterilità nel popolo di Dio. Sterilità di egoismi, di potere … quando la Chiesa crede di potere tutto, di impadronirsi delle coscienze della gente, di andare sulla strada dei Farisei, dei Sadducei, sulla strada dell’ipocrisia, eh, la Chiesa è sterile. Pregare. Questo Natale anche faccia la nostra Chiesa aperta al dono di Dio, che si lasci sorprendere dallo Spirito Santo e sia una Chiesa che faccia figli, una Chiesa madre. Madre. Tante volte io penso che la Chiesa in alcuni posti, più che madre è una imprenditrice”

“Guardando questa storia di sterilità del popolo di Dio e tante storie nella Storia della Chiesa che hanno fatto la Chiesa sterile – ha concluso il Papa – chiediamo al Signore, oggi, guardando il Presepe”, la grazia “della fecondità della Chiesa. Che prima di tutto, la Chiesa sia madre, come Maria”.





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