PRESBITERIO DIOCESANO E DIACONATO PERMANENTE (DUE ruoli distinti)

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Caterina63
00sabato 20 giugno 2009 22:42
TESTO UFFICIALE

Il presbiterio diocesano e il diaconato permanente

L’uso consolidato dell’aggettivo "permanente" accanto al sostantivo "Diacono" fa venire il legittimo sospetto che più che al ristabilimento autentico del diaconato, per una altrettanto autentica ricezione del Concilio, siamo ancora ad una accezione del diaconato come applicazione, a tempo indeterminato, del diaconato "transeunte" proprio dei presbiteri.

Il CCC che non ama l’aggettivo "permanente" ma lo usa solo per citare LG 29, ha due paragrafi dedicati alla parola "diaconia".
Il 1569 (III. I tre gradi del sacramento dell’Ordine) dove i diaconi stanno "In un grado inferiore della gerarchia" e ai quali "soltanto il Vescovo impone le mani…" per significare un legame "speciale"
e il 1588 (non 1587) (VII. Gli effetti del sacramento dell’Ordine) relativo alla grazia sacramentale "forza necessaria… per la ‘diaconia’ della Liturgia, della Parola e della carità, in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio".

Grado inferiore dunque ma nell’orizzonte della comunione. ¬ A seconda che si ponga l’accento sul primo o sul secondo aspetto sembra prevalere una diversa (seppure non contraddittoria) teologia sacramentaria da cui deriva una sensibilità e prassi pastorale divaricante. In una concezione "scalare" dei gradi dell’Ordine (i tre "gradini") si sale dal primo (diaconato) al secondo (presbiterato) ed, eventualmente, al terzo (episcopato).

Ma è questa la concezione apostolica del "sacramentum" o "mysterion"? Chi, come me, è stato ordinato ai tempi del Concilio ha percorso tutti i "gradini" dell’itinerario degli ordini minori (ostiariato, lettorato, esorcistato, accolitato) e maggiori (suddiaconato, diaconato, presbiterato). Con il "Motu proprio Ministeria quedam" Paolo VI (15.8.1972) ha trasformato gli ordini minori in ministeri istituiti (Lettorato e Accolitato: differenti e complementari a fronte dell’Eucaristia).

La stessa logica si potrebbe riflettere nei gradi dell’Ordine: invece che configurare il cammino verso l’Ordine cronologicamente e, dal basso verso l’alto, si potrebbe concepire una configurazione "a triangolo" (ad angolo) nella logica della differenza complementare.

Secondo LG 21 l’episcopato è "pienezza del sacramento dell’Ordine"; presbiterato e diaconato sono due ministeri distinti; due modalità differenti e convergenti ("le braccia" del Vescovo) per condividere quella pienezza e contribuire a realizzarla nella prassi della vita della Chiesa. L’episcopato sarebbe la sommità dell’angolo; presbiterato e diaconato i due lati che interagiscono con il vertice. Il terzo lato rimane aperto: è l’intero popolo di Dio con la sua ministerialità diffusa. Non a caso nelle Premesse al Pontificale Romano in "Istituzione dei ministeri" (C.E.I. 29 settembre 1980) si dice: "I ministeri istituiti hanno il loro fondamento teologico nella realtà della Chiesa come comunione di fede e di amore, espressa nei grandi documenti del Vaticano II.

In essi si configura una Chiesa tutta ministeriale che sotto l’azione incessante dello Spirito nasce dalla Parola, si edifica nella celebrazione dell’Eucaristia e, attenta ai segni dei tempi, si protende all’evangelizzazione del mondo mediante l’annunzio missionario del Vangelo e la testimonianza della carità. Tutta la Chiesa, seguendo il suo Signore – che non è venuto per essere servito, ma per servire – è posta in atteggiamento di servizio.

Ciascun ministero istituito ha un suo inserimento specifico nella Chiesa locale, come manifestazione autentica della molteplice iniziativa dello Spirito che riempie e vivifica il corpo di Cristo. Perciò deve essere apprezzato nel suo valore intrinseco e non solo per motivi di supplenza, in quanto scarseggiano le vocazioni ai ministeri ordinati o per ragioni contingenti in adeguamento a mode passeggere o a costumi del tempo". In una concezione "ministeriale" della Chiesa comunione "ogni ministero è per l’edificazione del corpo del Signore e perciò ha riferimento essenziale alla Parola e all’Eucaristia fulcro di tutta la vita ecclesiale ed espressione suprema della carità di Cristo, che si prolunga nel "sacramento dei fratelli", specialmente nei piccoli, nei poveri e negli infermi, nei quali Cristo è accolto e servito.

Ne consegue che l’opera del ministro non si rinchiude entro l’ambito puramente rituale, ma si pone dinamicamente al servizio di una comunità che evangelizza e si curva come il buon samaritano su tutte le ferite e le sofferenze umane. Questa nuova espressione della diaconia ecclesiale non vuole assolutamente clericalizzare il laicato, ma immettere nel circolo della Chiesa e del mondo la multiforme ricchezza che lo Spirito suscita nel nostro tempo per rispondere alle varie emergenze storiche e ambientali". ­

L’espressione "sacramento dei fratelli" è stimolante in rapporto ad una rilettura della teologia sacramentaria eucaristica. Se anche manteniamo la concezione tridentina dell’Eucaristia e, di conseguenza dell’Ordine, definito "sacerdozio" perché dà "potere" sull’Eucaristia, possiamo continuare a riflettere in ordine allo statuto teologico dei ministeri ordinati, istituiti e di fatto.

Xavier Léon Dufour, s.j. in "Condividere il pane eucaristico secondo il Nuovo Testamento" (Elle Di Ci 1983) rifacendosi, circa l’istituzione dell’Eucaristia, alla tradizione paolina e sinottica da una parte e a quella giovannea dall’altra, afferma che "al discepolo di Gesù vengono richiesti due generi di memoria: l’uno mediante un’azione liturgica, l’altro mediante un comportamento di servizio" (p. 269). L’unico memoriale si esprime dunque inscindibilmente in una duplice memoria eucaristica: cultuale (o rituale) e diaconale. L’unica diaconia di Cristo significata e realizzata nell’Eucaristia ha bisogno, per essere piena, della convergenza di due tipi di "memoria": la diaconia cultuale e la diaconia esistenziale. L’una è "memoria eucaristica propriamente detta (il "fare in sua memoria")" l’altra è una "memoria di servizio ("fare secondo l’esempio dato")".

Presbiterato da una parte e diaconato dall’altra sono complementari per realizzare in pienezza l’Eucaristia. Koinonia e diaconia "si richiamano a vicenda e sono ordinate l’una all’altra. Ogni diaconia scaturisce dalla koinonia ed è ad essa finalizzata e ogni autentica e piena koinonia si esprime e si realizza nella diaconia. Se ciò è vero sempre nell’esperienza globale della vita e missione della Chiesa, lo è soprattutto nel momento in cui la Chiesa manifesta e vive in pienezza la sua identità di Corpo di Cristo e di popolo della nuova alleanza, e cioè nella celebrazione della Eucaristia".

Mons. Brandolini al Convegno Nazionale di Collevalenza aggiungeva: "Anche se al diacono non compete la presidenza eucaristica, la sua spiritualità e il suo ministero sono e devono essere orientati all’Eucaristia, fortemente radicati in essa e da essa promananti" (cfr. Atti…, p.33).

Sarebbe interessante sviluppare anche una riflessione di teologia trinitaria per illuminare la nostra ricerca. Una Chiesa "sotto l’azione incessante dello Spirito" e quindi "tutta ministeriale" è icona della Trinità proprio nella sua struttura ministeriale dove i ministeri non sono subordinati sic et simpliciter ma prevalentemente complementari. Nella Trinità vi è un ordine. "Il Padre è sempre e soltanto origine, il Figlio è origine originata. Ma i due non sono che un solo e medesimo Dio e possiedono ognuno interamente tutta la natura divina… lo Spirito è contemporaneamente dal Padre e dal Figlio; ciascuno dei tre è differente come persona ma uguale come natura" (cfr. B. Pottier, La sacramentalité du diaconat, in NRT 119,1997).

Per la legge dell’analogia Vescovo, presbiteri e diaconi che agiscono "in persona Christi" Lo rappresentano nella molteplicità della sua diaconia. Se anche ciascuno è integralmente "ministro" nessuno esaurisce il ministero di Cristo. Il Vescovo non delega per ragioni puramente pratiche. Ma Vescovo, presbiteri e diaconi sono "portatori del solo e medesimo sacramento dell’Ordine nella loro specificità e complementarietà": il sacramento configura ciascuno a Cristo secondo uno dei molteplici aspetti della sua diaconia al mondo e alla Chiesa (cfr. B. Pottier, ibid.).

In sintesi: nessuno dei tre gradi dell’Ordine può fare a meno degli altri due perché solamente insieme rappresentano Cristo Servo di Jahvè, sommo sacerdote, Pastore, Sposo, Maestro,… Specificità e rapporti possibili tra i due "Ordines" Non si può affermare che dopo il Concilio Vaticano II sia stata elaborata una vera e propria teologia del presbiterio.

Già PO 8 tuttavia dice: "I presbiteri, costituiti nell’ordine del presbiterato mediante l’ordinazione, sono tutti tra loro uniti da intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono assegnati sotto il proprio vescovo".

Si possono rilevare due elementi:
- una "fraternità sacramentale" che rende solidali tutti i presbiteri nella Chiesa universale
-e la forma specifica costituita dalla "diocesanità" dell’unum presbyterium intorno al Vescovo.

Il CCC (1568) aggiunge che "L’unità del presbiterio trova un’espressione liturgica nella consuetudine secondo la quale, durante il rito dell’ordinazione, i presbiteri, dopo il Vescovo, impongono anch’essi le mani". Sembra che il presbiterio eserciti una forma di collegialità per analogia rispetto al Collegio dei Vescovi.
Il CCC (877) afferma che "è proprio della natura sacramentale del ministero ecclesiale avere un carattere collegiale. Infatti il Signore Gesù, fin dall’inizio del suo ministero, istituì i Dodici, che ‘furono ad un tempo il seme del Nuovo Israele e l’origine della sacra gerarchia’ (AG 5)" (Cap. III par. 4.I La costituzione gerarchica della Chiesa).
Ancora il CCC (1565) afferma: "In virtù del sacramento dell’ordine i sacerdoti partecipano alla dimensione universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli. "Il dono spirituale che… hanno ricevuto nell’ordinazione non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensì ad una vastissima e universale missione di salvezza "fino agli ultimi confini della terra" (PO 10) "pronti nel loro animo a predicare dovunque il Vangelo" (OT 20)"".

Nulla di così preciso dice dei diaconi. La RF (n.26) parla di "una specifica comunità" di formazione dal punto di vista della "dinamica formativa". Il Direttorio (n.6) parla di "fraternità sacramentale" in virtù dell’ordine ricevuto e invita il Vescovo ad alimentare lo "spirito di comunione" contro ogni forma di "corporativismo" pena la scomparsa del diaconato(!).
Nel linguaggio ecclesiale non c’è un termine che interpreti "la fraternità sacramentale" che lega i diaconi attesa anche la caratteristica spiccata di "diocesanità" (solo il Vescovo impone le mani).

Diaconato permanente è analogo a presbiterato ed esprime la dimensione sacramentale. Ma i diaconi uniti dalla "fraternità sacramentale", nell’insieme, come li chiamiamo? Coetus diaconale? Comunità del Diaconato? Collegio (!?) dei diaconi? o semplicemente "diakonia"? Questa incertezza terminologica non è forse indice di una teologia debole sul diaconato o almeno sull’insieme del "coetus diaconale"? Finché la logica della subordinazione prevarrà su quella della complementarietà e il presbitero si arrogherà la sintesi dei ministeri anziché il ministero della sintesi (o meglio, della comunione, del coordinamento e della promozione), sarà difficile che il diaconato prenda forma nella consapevolezza della Chiesa, come ministero ordinato "integralmente" e "a pieno titolo". È fuori dubbio che nell’itinerario formativo dei seminari il diaconato è un passaggio importante.
 
La promessa del celibato, il carattere impresso dal sacramento, l’inserimento nel clero dei diaconi transeunti rappresentano un evento psicologicamente determinante. È meno convincente l’esercizio effettivo del diaconato nei classici sei mesi di interstizio. L’amministrazione di qualche battesimo, di qualche matrimonio o qualche omelia col fiato corto forse inducono ad una concezione prevalentemente rituale dell’esercizio del ministero. L’incardinazione (can 266 C.J.C.) giustifica da sola il diaconato "propedeutico" al sacerdozio? Una volta c’era la "tonsura" (can 111 par 2 del C.J.C. del 1917) che precedeva gli "ordini minori" e il Suddiaconato con la promessa di "perpetua castità". Se la vocazione al diaconato è piena e integrale e lo è altrettanto quella al presbiterato, che cosa impedisce che i seminaristi ottengano nella ordinazione presbiterale anche gli effetti che oggi sono legati al diaconato? O il diaconato transeunte rimane un tempo di prova?… è risaputo peraltro che è più facile, in caso di crisi, ottenere la dispensa dal diaconato che dal presbiterato (!)…

Di fatto, giustamente, il punto critico rimane la promessa del celibato. La tradizione disciplinare antica e preziosa del celibato è pienamente armonica con il presbiterato. Sembra invece più connaturale agli uomini sposati il diaconato seppure rimane incontestabile l’opportunità di coniugare anche il carisma del celibato al diaconato. Non ci sarebbe comunque contraddizione, nell’ipotesi di eliminare il diaconato transeunte, con lo spirito della riforma.

Lo statuto dell’incardinazione e del celibato espresso in PO 10 si riferisce infatti solo al criterio di una migliore rispondenza ai "bisogni pastorali di oggi", cioè alla sollecitudine per tutta la Chiesa (cfr. anche Decr. Christus Dominus 6,28-29). Insomma la ricerca teologica dovrebbe battere sentieri nuovi, peraltro già aperti da AG 16 e LG 29 dove si parla ancora prudentemente di "grazia sacramentale dal diaconato" (EV 1140; 359) per giungere a dire che il diaconato è sacramento in senso pieno giacché imprime un "carattere indelebile" che come tale non è incompiuto o "transeunte" (can. 1008 C.J.C.). Più coraggioso in questo senso è il n.7 della Ratio fundamentalis anche se sostanzialmente cita il CCC (1570-1588) del 1992. Non sembra che si possa affermare, peraltro, che queste affermazioni sulla sacramentalità del diaconato siano già patrimonio del comune "sentire" nella Chiesa. 



La Premessa al Pontificale Romano, a proposito di presbiteri, (rito dell’"Ordinazione del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi", IV,2) parla di una "specifica partecipazione" che "si manifesta in modo particolare nella presidenza delle assemblee liturgiche… e nell’animazione (perché non presidenza?) della carità che scaturisce dal mistero del Corpo donato e del Sangue versato".

Conseguenze:


i presbiteri si dovranno primariamente dedicare alla preghiera, all’ascolto e alla proclamazione del Verbo di Dio e al servizio dei poveri e dei sofferenti (At 6,4; DV 25…);


dal contatto assiduo e sapienziale con la Parola di Dio attingeranno un profondo spirito di fede e di conversione che li renderà più fedeli a Cristo e più idonei alla guida della loro comunità;


studino i libri liturgici sia individualmente che in fraterna comunione presbiterale per apprendere l’arte di evangelizzare e celebrare;


presiedano "in nome di Cristo" ricordando che la celebrazione è atto ecclesiale che esclude ogni individualismo;


si sentano in stretto rapporto con il presbiterio locale presieduto dal Vescovo;


nell’azione pastorale confluiscano nella pastorale d’insieme promossa dalla diocesi (PO 14). (Premessa IV, 2)

­ I diaconi sono descritti come "speciale espressione", in una Chiesa tutta ministeriale, "della comune vocazione al servizio, come ministri della carità e come segno della dimensione domestica della Chiesa" (Premessa IV, 3)

Conseguenze:


Il ripristino del diaconato permanente è consapevolezza, per la Chiesa, di accogliere un dono dello Spirito e offrire così un’immagine più completa di sé nonché rispondente al disegno di Cristo ed anche più adeguata a una società che ha bisogno di fermentazione evangelica e caritativa nei piccoli gruppi, nei quartieri e nei caseggiati (C.E.I. "Evangelizzazione e ministeri", 1977)


Quanto ai compiti dei diaconi "al primo posto (c’è) l’annunzio del Vangelo": il diacono è il primo animatore di una evangelizzazione capillare e diffusa; al fine di raggiungere ogni persona nel suo ambiente naturale di vita; soprattutto in ordine all’evangelizzazione dei lontani e alla guida delle varie comunità domestiche.


Quanto all’Eucaristia dove "la Chiesa si costituisce come agape", "è specifico ministero del diacono trasformare tale comunione misterica in servizio fraterno di carità, particolarmente verso i poveri e bisognosi" (C.E.I. "La restaurazione del diaconato…", 1971).


Infine la collocazione del diacono è "vivere nel tessuto dell’umanità per fermentarla in quanto chiamato a suscitare e animare" i vari ministeri sia istituiti che di fatto… in stretta dipendenza dal Vescovo e in collaborazione docile con il presbiterio diocesano.



® Il discernimento sui possibili rapporti tra i due "Ordines" non dovrebbe discostarsi troppo dalla collocazione liturgico–ministeriale e teologica.


Presbiteri e diaconi davanti all’Eucaristia


Il presbitero appare come l’uomo della "Koinonia": ha il carisma della comunione (il Vescovo quello della "sintesi"). La presidenza liturgica gli dà una connotazione di servizio commisurata a Gesù Cristo in quanto "Capo e Pastore della Chiesa". La sua diaconia è la "carità pastorale" (PdV 21; cfr anche n.15)


Il diacono appare come l’uomo della "Diakonia": "suo compito è di essere interprete delle necessità e dei desideri delle comunità cristiane" e "animatore del servizio, ossia della diakonia" (Ad Pascendum, Introduzione). La "Ratio fundamentalis…" riafferma che "nell’esercizio della loro potestà, i diaconi… dipendono necessariamente dai Vescovi…"… e sono posti in una speciale relazione con i presbiteri in comunione con i quali sono chiamati a servire il popolo di Dio"


L’integrazione tra koinonia e diakonia (cfr. contributo di Mons. Brandolini a Collevalenza, pagg. 32–33) nella esistenza eucaristica della Chiesa, significa e rende visibile la duplice memoria, cultuale e diaconale, dell’unico memoriale eucaristico.


Il tema dell’identità


"I presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore… In una parola… esistono ed agiscono… in nome e in persona di Cristo Capo e Pastore" (PdV, 15)


Il diacono "è nella Chiesa segno sacramentale specifico di Cristo servo" (Ratio fundamentalis, 5)


"Nella Chiesa mistero, comunione e missione" (PdV, 12) le due identità si postulano a vicenda e si richiamano: identità essenzialmente "relazionale" quella del presbitero "che scaturisce dalle profondità dell’ineffabile mistero di Dio…" cioè dalla "molteplice e ricca trama di rapporti che sgorgano dalla Santissima Trinità e si prolungano nella comunione della Chiesa…" (ibid.); identità essenzialmente "diaconale" quella del diacono "interprete delle necessità e dei desideri delle comunità cristiane" e "animatore del servizio, ossia della diakonia che è parte essenziale della missione della Chiesa" (RF, 5).

Dinamicamente la funzione di "interprete dei bisogni" precede e offre supporto alla funzione "relazionale", per la comunione, del presbitero.

continua.......................
Caterina63
00sabato 20 giugno 2009 22:50
 

continua da sopra.............

Attuale contesto e prospettive d’interazione

Le Congregazioni per l’Educazione Cattolica e per il Clero che avevano, rispettivamente, pubblicato la Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis e il Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, "per completare la trattazione di quanto attiene ai primi due gradi dell’Ordine sacro", dopo aver ascoltato l’Episcopato universale e aver dedicato al diaconato le Assemblee plenarie del novembre 1995 hanno curato la redazione sincronica dei due documenti: Ratio fundamentalis institutionis diaconorum permanentium (i principi) e Directorium pro ministerio et vita diaconorum permanentium (norme giuridicamente vincolanti).

L’intento della S. Sede è "chiarificare e regolamentare le diversità di impostazione degli esperimenti fin qui condotti…" e "garantire alla legittima pluralità l’indispensabile unità" (Dichiarazione congiunta).

­ Nelle Chiese che sono in Italia il diaconato pur apparendo come "una scelta in espansione" e una "promettente realtà" subisce i contraccolpi di un duplice sbilanciamento.

In primo luogo la pastorale vocazionale è polarizzata sulla crisi delle vocazioni al presbiterato e così la vocazione al diaconato è ampiamente disattesa (Masseroni. pag.9). In secondo luogo tra i diaconi il 71,66% è concentrato sul ministero nelle parrocchie a discapito dell’orizzonte diocesano e (forse) di conseguenza il ministero è sbilanciato sulla Liturgia (43,9%) a cui segue la carità (29,6%) e, infine, la catechesi (26,5%). (Bottaccioli, Appendice pagg. 105-106).

Nonostante ciò Mons. Masseroni rileva che "va crescendo il volto di una Chiesa ministeriale". Egli afferma che, con le vocazioni alla vita contemplativa, le uniche vocazioni in crescita sono quelle diaconali.

La Ratio fundamentalis (III, 1,40) afferma che "a nome della comunità, è il parroco che deve presentare al Vescovo l’aspirante al diaconato". Anche nel caso di una "autopresentazione" la candidatura "deve essere accolta e condivisa dalla comunità". Questo paragrafo della RF sottende (rivela e nasconde) il complesso tema del discernimento. L’approccio ad una vocazione seminaristica e ad una diaconale sembra identico. Il discernimento sull’una o sull’altra invece divarica.

1) Al presbiterato la Chiesa latina accosta il carisma del celibato, senza eccezione, mentre il diaconato sanziona la stabilità nello stato di vita al momento dell’ordinazione (il diacono celibe deve rimanere tale, lo sposato se rimane vedovo, non può accedere a nuove nozze).

2) La formazione seminaristica avviene nel seminario: "comunità educativa"… "continuazione nella Chiesa della comunità apostolica stretta intorno a Gesù…" (PdV 60) mentre la formazione dei diaconi avviene nel tessuto normale della Chiesa locale seppure "in una specifica comunità".

3) Anche se l’itinerario attraverso i ministeri è identico sia per un seminarista che per un aspirante-candidato diacono (compreso il "tempo propedeutico") sono diversi lo stato di vita, l’ambiente formativo, il contesto feriale dell’esistenza (lavoro, professione).

C’è una tendenza ad accostare "fisicamente" le due categorie e c’è la tendenza contraria.
La prima intende favorire lo scambio e la conoscenza reciproca (IV gruppo di approfondimento - Collevalenza).
La seconda tende a salvaguardare la specificità della formazione diaconale.

Il diacono collocato "nel tessuto dell’umanità" per "fermentare la comunità", a differenza del presbitero chiamato a presiederla, anche nel tempo della formazione deve misurarsi quotidianamente con le sfide della società. W. Kasper afferma che "il diacono è chiamato in modo particolare a riconoscere i "segni dei tempi", a farsi attento alle gioie e alle speranze, alle angosce e alle tristezze degli uomini (cfr. GS 1)…".

Come pensare ad una formazione dei diaconi oggi se non dentro le sfide che riguardano la famiglia, le professioni, i senza-patria, i senza-tetto… se non dentro le antiche e nuove povertà? La RF (nn. 79-82) sembra attenta nei criteri alla specifica formazione dei diaconi ma non li differenzia in nulla rispetto alla formazione dottrinale dai seminaristi, quanto ai contenuti. Che fare?

Certo è che il ministero dei diaconi è diverso da quello dei preti e la loro collocazione in una relazionalità permanente con gli ambienti e la condizione di vita degli uomini del nostro tempo è importante. Non dovrebbero tendere a imitare i presbiteri nel loro specifico. La comunità prima di essere presieduta va radunata. Il diacono è il ministro delle periferie della Chiesa e della società. Se c’è un grado del sacramento dell’Ordine che non può pre-supporre ma è chiamato a pro-porre la fede è proprio il diaconato.

Fra qualche decennio saranno i diaconi stessi ad individuare e proporre i contenuti e metodi nuovi del loro ministero a livello dottrinale se, nel frattempo, si misureranno con e dentro le sfide della secolarizzazione da una parte e dell’affanno pastorale dei presbiteri dell’intera Chiesa dall’altra.

È sfida per il diacono sposato la sua stessa famiglia cristiana di fronte alla visione odierna dell’istituto familiare (V gruppo). È sfida per il diacono la diffusa "sete di Parola di Dio" "fuori dal tempio" (VI gruppo): i centri di ascolto, le missioni popolari, l’evangelizzazione capillare, la catechesi familiare, i "percorsi" di fede per i fidanzati… in una parola la cosiddetta pastorale d’ambiente (IX gruppo).

È sfida la liturgia stessa: chiamare in assemblea, curarne la partecipazione, animare i vari ministeri istituiti e non…
È sfida la carità della Chiesa.

Al recente 26° convegno delle Caritas diocesane Mons. Cocchi ha chiesto se la Caritas saprà essere "sentinella del terzo millennio" in grado di vigilare sulla storia per individuare e, se possibile, prevenire forme di bisogno e di fame… (Settimana, 33/2000). Questa è una domanda per i diaconi (!) (cfr. W. Kasper). Le Caritas sentono la tentazione "gestionale" e sono consapevoli del rischio di "perdere la dimensione della comunitarietà e della corresponsabilità" e di perdere di vista le finalità proprie: "animazione, formazione, promozione".
Non sono esattamente queste le caratteristiche della diakonia caritatis
propria del ministero diaconale nella Chiesa?

Dalle risonanze dei gruppi di lavoro nel convegno di Bellaria è emerso il persistere di una visione di Chiesa clericale… una eccessiva settorializzazione della vita parrocchiale, una prassi abitudinaria che resiste ad ogni cambiamento… insomma il volto di una Chiesa "prevalentemente cultuale ad intra e assistenziale ad extra". Più o meno le stesse cose si dicevano a Collevalenza (cfr. VIII gruppo). Non so se a Bellaria ha fatto capolino il diaconato. Oppure questo "ministero ingessato" (Bellia) da una assenza secolare nella vita della Chiesa esula ancora dall’orizzonte della diaconia della carità?

Possibili prospettive di interazione tra presbiteri e diaconi devono ripartire dal Vescovo e dalla sua Eucaristia. A Collevalenza è emersa (VIII gruppo) una "pressante richiesta ai vescovi di assumere pienamente il ministero dei propri diaconi non delegando ad altri il rapporto con loro, ma accogliendo il desiderio di affettuosa comunione e il bisogno di sentirsi inviati…".

Questo appello va accolto.
L’Eucaristia "del Vescovo" presieduta nelle singole comunità dai presbiteri può ricucire lo strappo tra la prassi caritativa e la sua fonte sacramentale. È un fatto, purtroppo, che il servizio della carità è oggi prestato al di fuori della diaconia ministeriale. Presbiteri e diaconi ritrovino la corresponsabilità eucaristica: se gli uni presiedono l’Eucaristia, presiedono anche la carità in Essa generata, se gli altri esercitano la diaconia all’altare non possono non prolungare il "sacramento dell’altare" nel "sacramento dei fratelli" mediante la diaconia della carità.

Non si apriranno nuove prospettive di interazione, invece, se non ci sarà una sorta di ri-conversione e un ri-concepimento di tutta la ministerialità ordinata. Ancora oggi nelle Chiese che hanno ripristinato il diaconato c’è nei Vescovi e presbiteri una duplice tendenza divaricante: c’è chi colloca i diaconi nella laicità del popolo di Dio e chi tende a congelarli in un ruolo rituale intorno all’Altare.

Se si aprirà un cammino verso la ri-conversione del ministero ordinato, alcune istanze individuate dal IV gruppo di studio a Collevalenza potranno divenire realtà. In particolare:

  • momenti di condivisione nella formazione al ministero e nella formazione permanente con i presbiteri;

  • una pastorale vocazionale che presenti anche la vocazione al diaconato come le altre e in modo specifico, nei percorsi di catechesi ai fidanzati;

  • l’inserimento "fisico" dei diaconi celibi e la corresponsabilità nella progettazione pastorale dei diaconi sposati, nelle comunità di presbiteri che danno vita alle Unità pastorali;

  • la scoperta del valore della condivisione tra la castità celibataria del presbitero e la castità coniugale della coppia diaconale;

  • la promozione di assemblee comuni tra presbiteri e diaconi, sotto la presidenza del Vescovo, sui temi della spiritualità e dell’azione pastorale;

  • la costituzione di una Commissione per il Diaconato nelle singole Regioni ecclesiastiche;

  • la scelta di un delegato del Vescovo per il diaconato che curi il cammino dei diaconi ma che sia, simultaneamente, credibile interlocutore davanti all’intero presbiterio.
+ Luigi Conti


Vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia



* Relazione svolta alla CPI il 27 settembre 2000

Per un approfondimento

CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA – CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti – Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998.

Conferenza Episcopale Italiana – COMMISSIONE EPISCOPALE PER IL CLERO, Diaconi permanenti nella Chiesa del terzo millennio – Atti del Convegno Nazionale di Studio sul Diaconato Permanente in Italia, Collevalenza 30 marzo - 1 aprile 2000, Edizione della C.E. I..

GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica post-Sinodale, Pastores dabo vobis, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992.

BERNARD POTTIER s.j., Rivisitare la sacramentalità del diaconato, in DISCERNERE OGGI, a cura di Giuseppe Bellia, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 1998, pagg. 79-92.

WALTER KASPER, Diacono: una prospettiva ecclesiologica tra le attuali sfide nella Chiesa e nella Società, in IL DIACONATO 108/1998, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia, pagg.13-24.

XAVIER LÉON DUFOUR s.j., Condividere il pane eucaristico secondo il Nuovo Testamento, Elle Di Ci, Torino 1983.

GIUSEPPE BELLIA, Per ricuperare i poveri all’Eucaristia e la Chiesa ai poveri: il diaconato, in PRESBYTERI 34/2000 [n.5], QS Ed., Trento.


TESTO UFFICIALE

Caterina63
00sabato 20 giugno 2009 22:55
                   RIEPILOGO DEL TESTO SOPRA:


Anche se in Italia il diaconato permanente è "una scelta in espansione" ed una "promettente realtà", la pastorale vocazionale "è polarizzata sulla crisi delle vocazioni al presbiterato e così la vocazione al diaconato è ampiamente disattesa".

Tra i diaconi, si nota nel testo, i dati più recenti, "il 71,66% è concentrato sul ministero nelle parrocchie a discapito dell'orizzonte diocesano e di conseguenza il ministero è sbilanciato sulla liturgia (43,9%), a cui segue la carità (29,6%) e, infine, la catechesi".

Nonostante ciò, ha aggiunto mons. Conti, "con le vocazioni alla vita contemplativa, le uniche vocazioni in crescita sono quelle diaconali".

Nella sua relazione, il vescovo di Macerata si è soffermato in particolare sul rapporto tra diaconato e sacerdozio, "due ministeri distinti, due modalità differenti e convergenti. Se ciascuno è integralmente 'ministro', nessuno esaurisce il mistero di Cristo".

Nella prassi ecclesiale, però, non sempre questa distinzione e complementarietà sono evidenti: "Finché la logica della subordinazione prevarrà su quella della complementarietà e il presbitero si arrogherà la sintesi dei ministeri anziché il ministero della sintesi – ha detto il relatore – sarà difficile che il diaconato prenda forma nella consapevolezza della Chiesa, come ministero ordinato 'integralmente' e 'a pieno titolo'".
 
I diaconi, da parte loro, "non dovrebbero tendere a imitare i presbiteri nel loro specifico. Il ministero dei diaconi è diverso da quello dei preti e la loro collocazione in una relazionalità permanente con gli ambienti e la condizione di vita degli uomini del nostro tempo è importante. La comunità prima di essere presieduta va radunata".

In questa prospettiva, per mons. Conti, "il diacono è il ministro delle periferie della Chiesa e della società. Se c'è un grado del sacramento dell'Ordine che non può presupporre ma è chiamato a proporre la fede è proprio il diaconato. Fra qualche decennio – ha concluso il vescovo - saranno i diaconi stessi ad individuare e proporre i contenuti e metodi nuovi del loro ministero a livello dottrinale se, nel frattempo, si misureranno con e dentro le sfide della secolarizzazione da una parte e dell'affanno pastorale dei presbiteri dell'intera Chiesa dall'altra".


 
Caterina63
00mercoledì 9 settembre 2009 16:46
Lettera ai Diaconi permanenti indirizzata dal Cardinale Cláudio Hummes, Prefetto della Congregazione per il Clero.


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Cari Diaconi permanenti,

  Sempre di più la Chiesa scopre l’inestimabile ricchezza del diaconato permanente. Quando i Vescovi vengono alla Congregazione per il Clero, in occasione delle visita ad limina”, il tema del diaconato, tra gli altri, viene di solito commentato e i Prelati sono generalmente assai contenti e pieni di speranza riguardo a voi, Diaconi permanenti. Ciò colma  noi tutti di gioia.

La Chiesa vi ringrazia e riconosce la vostra dedizione e il vostro qualificato lavoro ministeriale. Al contempo, vuole incoraggiarvi sulla strada della santificazione personale, della vita di preghiera e della spiritualità diaconale. A voi si può egualmente applicare ciò che il Papa ha detto ai Sacerdoti, per l’Anno Sacerdotale, ossia: bisogna “favorire questa tensione dei Sacerdoti verso la perfezione spirituale, dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero” (disc. del 16.3.09).

         Oggi, nella festa di san Lorenzo, diacono e martire, vorrei invitarvi a due riflessioni. Una sul vostro ministero della Parola e l’altra sul vostro ministero della Carità.

         Ricordiamo ancora con gratitudine il Sinodo sulla Parola di Dio, celebrato l’ottobre dell’anno scorso. Noi, ministri ordinati, abbiamo ricevuto dal Signore, attraverso la mediazione della Chiesa, l’incarico di predicare la Parola di Dio sino ai confini della terra, annunciando la persona di Gesù Cristo, morto e risorto, la Sua parola e il Suo Regno, ad ogni creatura. Questa Parola, come afferma il Messaggio finale del Sinodo, ha una Sua voce, la Rivelazione, un Suo volto, Gesù Cristo, e una Sua strada, la Missione.

Conoscere la Rivelazione, aderire incondizionatamente a Gesù Cristo, come un discepolo affascinato ed innamorato, partire da Gesù e con Lui per la Missione, ecco ciò che ci si aspetta, decisamente e in un modo del tutto senza riserve, da un Diacono permanente. Dal buon discepolo nasce il buon missionario.

         Il ministero della Parola, che, in modo speciale per i Diaconi, ha in santo Stefano, diacono e martire, un grande modello, richiede dai ministri ordinati un sforzo costante per studiarLa e farLa propria, nello stesso tempo in cui La si proclama agli altri. La meditazione, al modo della “lectio divina”, ossia, di lettura orante, è una via oggi sempre più percorsa e consigliata per capire, fare propria e vivere la Parola di Dio. Allo stesso tempo, la formazione intellettuale, teologica e pastorale è una sfida che dura tutta la vita. Un qualificato e aggiornato ministero della Parola  dipende molto da questa formazione approfondita.

         Siamo anche in attesa, in un futuro prossimo, del documento del Santo Padre sulle conclusioni del citato Sinodo. Esso dovrà essere accolto con apertura di cuore e con un impegno successivo di approfondimento.

La seconda riflessione riguarda il ministero della Carità, prendendo come grande modello san Lorenzo, diacono e martire. Il diaconato ha le sue radici nell’organizzazione ecclesiale della carità, nella Chiesa primitiva. A Roma, nel sec. III, periodo delle grandi persecuzioni dei cristiani,  appare la figura straordinaria di san Lorenzo, arcidiacono del Papa san Sisto II e suo fiduciario nell’amministrazione dei beni della comunità.

Di san Lorenzo dice il nostro amato Papa Benedetto XVI: “La sua sollecitudine per i poveri, il generoso servizio che rese alla Chiesa di Roma nel settore dell’assistenza e della carità, la fedeltà al Papa, da lui spinta al punto di volerlo seguire nella prova suprema del martirio e l’eroica testimonianza del sangue, resa solo pochi giorni dopo, sono fatti universalmente noti” (omelia nella Basilica di san Lorenzo, il 30.11.08).

Di san Lorenzo è nota anche l’affermazione: “La ricchezza della Chiesa sono i poveri”. Ad essi egli assisteva con grande generosità. Ecco un esempio ancora attuale per i Diaconi permanenti. I poveri li dobbiamo amare in modo preferenziale, come Gesù Cristo. Essere solidali con loro. Cercare di costruire una società giusta, fraterna, pacifica. La recente lettera enciclica di Benedetto XVI, “Caritas in Veritate” (La carità nella verità),  sia la nostra guida aggiornata. In tale enciclica il Santo Padre afferma come  fondamentale principio: “La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa” (n.2).

I Diaconi s’identificano in modo molto speciale con la carità. I poveri sono uno dei loro ambienti quotidiani e oggetto della loro sollecitudine instancabile. Non si capirebbe un Diacono che non si coinvolgesse in prima persona nella carità e nella solidarietà verso i poveri, che oggi di nuovo si moltiplicano.

 Carissimi Diaconi permanenti, Dio vi benedica con tutto il suo amore e vi faccia felici nella vostra vocazione e missione! Alle spose e ai figli di coloro che, tra voi, sono sposati, saluto con rispetto e ammirazione. A loro la Chiesa ringrazia per l’appoggio e per la multiforme collaborazione che prestano ai rispettivi sposi e padri nel ministero diaconale. Inoltre, l’Anno Sacerdotale ci invita a manifestare il nostro apprezzamento ai carissimi preti e a pregare con loro e per loro!

Vaticano, 10 agosto 2009 (festa di san Lorenzo, diacono e martire).

Cardinale Cláudio Hummes

Arcivescovo Emerito di São Paulo

Prefetto della Congregazione per il Clero

Caterina63
00mercoledì 16 dicembre 2009 14:03
ATTENZIONE: è USCITO IL NUOVO MOTU PROPRIO DEL PONTEFICE CIRCA IL CHIARIMENTO DEL DIACONATO E DEL PRESBITERIATO NELLA CHIESA....SI RACCOMANDA DI PRENDERNE VISIONE E DI APPLICARLO ALLA LETTERA!


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ATTENZIONE! Nuovo MP del Pontefice: Omnium in mentem sul ruolo del diacono e sui matrimoni misti





Caterina63
00giovedì 17 maggio 2012 18:11

IL DIACONATO, ESPRESSIONE DEL SERVIZIO NELLA CHIESA

 

II testo del documento della Commissione Teologica Internazionale (CTI) su Il diaconato: evoluzione e prospettive (cfr Civ. Catt. 2003 I 253-336), come si legge nella «Nota preliminare», è frutto di un lavoro decennale di due Sottocommissioni e della revisione della Commissione in seduta plenaria. Esso costituisce una espressione significativa della funzione dei teologi nella Chiesa, che consiste nell'«acquisire, in comunione con il Magistero, un'intelligenza sempre più profonda della parola di Dio contenuta nella Scrittura ispirata e trasmessa dalla tradizione viva della Chiesa» (cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, La vocazione ecclesiale del teologo [1990], n. 6). Infatti, non solo fa un esauriente excursus del passato, ma espone anche le posizioni maturate nel postconcilio, invitando a ulteriori ricerche. Da tale lavoro potrà derivare una rilettura e un rinnovamento (recréation): ossia qualcosa di nuovo, benché nella continuità di fondo con la Tradizione. Si tratta di operare secondo la legge dello sviluppo nella continuità. La storia della salvezza infatti procede e si realizza — «tende alla verità tutta intera» (Gv 16,13) — nel tempo e sempre creativamente, approfondendo il depositum fidei, anche in dialogo con la situazione storico-culturale.

In tal senso è significativo il sommario che apre il cap. VII, il quale invita a esaminare come i testi conciliari relativi al diaconato «siano stati recepiti e poi approfonditi nei documenti del Magistero, [a] tenere conto del fatto che il ripristino del diaconato si è realizzato in modo disuguale nel periodo postconciliare e, soprattutto, [a] prestare una particolare attenzione alle oscillazioni di tipo dottrinale che hanno accompagnato come un'ombra tenace le varie posizioni pastorali». Il documento, dopo aver ricordato che «diversi e numerosi sono gli aspetti che richiedono oggi uno sforzo di chiarificazione teologica», in quest'ultimo capitolo intende contribuire allo sforzo di chiarificazione, identificando «dapprima le radici e le ragioni che fanno dell'identità teologica ed ecclesiale del diaconato (permanente e transitorio) un'autentica quaestio disputata su determinati aspetti»; e precisando poi «una teologia del ministero diaconale che possa costituire la base comune e sicura capace di ispirarne il rinnovamento (recréation) fecondo nelle comunità cristiane». Tale rinnovamento deve essere attuato, come dicevamo, nella continuità della Tradizione. Uno stimolo su questa strada viene dal cap. II del documento, che ricostruisce scientificamente il senso di una eredità.

* * *

II cap. II del documento sottolinea come i termini diakonein e diakonos nel Nuovo Testamento siano «molto generici». In particolare At 6,1-6 «descrive l'istituzione dei "Sette" "per il servizio delle mense". La ragione è data da Luca con l'indicazione di una tensione all'interno della comunità: "Sorse un malcontento tra gli ellenisti (egeneto goggysmos) verso gli ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana" (At 6,1)». Ma — osserva la CTI — «la ragione data per la designazione dei Sette eletti (le mormorazioni tra gli ellenisti) è in contraddizione con la loro attività com'è descritta successivamente da Luca. Non sappiamo nulla del servizio delle mense».

All'epoca della Didachè (prima del 130 d. C.) «i diaconi erano responsabili della vita della Chiesa riguardo alle opere di carità in favore delle vedove e degli orfani [...]. Le loro attività erano senza dubbio connesse con la catechesi e probabilmente anche con la liturgia. I dati su questo argomento però sono talmente succinti che è difficile dedurne quale fosse di fatto la portata delle loro funzioni». Sant'Ignazio di Antiochia, poi, nella Lettera ai cristiani di Smirne, scrive: «Seguite tutti il vescovo, come Gesù Cristo [segue] il Padre, e i presbiteri come gli apostoli; quanto ai diaconi, rispettateli come la legge di Dio».

La Tradizione apostolica di Ippolito di Roma (morto il 23.5) «presenta per la prima volta lo statuto teologico e giuridico del diacono nella Chiesa. Egli lo annovera nel gruppo degli ordinati con l'imposizione delle mani (cheirotonein), opponendoli a coloro che nella gerarchia sono chiamati istituti. L "ordinazione" dei diaconi è fatta unicamente dal vescovo. Tale vincolo definisce l'ampiezza dei compiti del diacono, che è a disposizione del vescovo per eseguirne gli ordini, ma che è escluso dalla partecipazione al consiglio dei presbiteri». «Riassumendo — prosegue la CTI — possiamo dire che, al di là del fatto dell'esistenza del diaconato in tutte le Chiese sin dall'inizio del II secolo e del suo carattere di ordine ecclesiastico, i diaconi all'inizio svolgono dappertutto lo stesso ruolo, benché gli accenti posti sui diversi aspetti del loro impegno siano distribuiti diversamente nelle varie regioni. Il diaconato raggiunge la sua stabilizzazione nel corso del IV secolo. [... Infatti il] sec. IV segna la conclusione del processo che ha condotto a riconoscere il diaconato come un grado della gerarchia ecclesiale, posto dopo il vescovo e i presbiteri, con un ruolo ben definito. Legato alla missione e alla presenza del vescovo, tale ruolo comprendeva tre compiti: il servizio liturgico, il servizio di predicare il Vangelo e di insegnare la catechesi, come anche una vasta attività sociale concernente le opere di carità e un'attività amministrativa secondo le direttive del vescovo».

Circa il ministero delle diaconesse, l'ultima sezione del cap. II afferma che «è veramente esistito un ministero di diaconesse che si è sviluppato in maniera diseguale nelle diverse parti della Chiesa. Sembra evidente che tale ministero non era inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile. Si tratta per lo meno di una funzione ecclesiale, esercitata da donne, talvolta menzionata prima del suddiacono nella lista dei ministeri della Chiesa. Tale ministero era conferito con un'imposizione delle mani paragonabile a quella con cui erano conferiti l'episcopato, il presbiterato e il diaconato maschile? Il testo delle Costituzioni apostoliche lo lascerebbe pensare, ma si tratta di una testimonianza quasi unica, e la sua interpretazione è oggetto di intense discussioni. L'imposizione delle mani sulle diaconesse deve essere equiparata a quella compiuta sui diaconi o si situa piuttosto nella linea dell'imposizione delle mani fatta sul suddiacono e sul lettore? E difficile diri-mere la questione partendo dai soli dati storici».

Nel cap. III il documento esamina la progressiva scomparsa del diaconato permanente, il quale si trasforma in passaggio temporaneo verso il presbiterato, mentre nel sec. X sono del tutto scomparse le diaconesse. Infatti — osserva la CTI — la «storia dei ministeri mostra che le funzioni sacerdotali hanno avuto la tendenza ad assorbire le funzioni inferiori. Quando il cursus clericale si è stabilizzato, ogni grado possiede competenze supplementari in rapporto al grado inferiore: ciò che fa un diacono lo può fare anche un presbitero. Al vertice della gerarchia, il vescovo può esercitare la totalità delle funzioni ecclesiastiche. Questo fenomeno di concentrazione delle competenze e di sostituzione delle funzioni inferiori con quelle superiori, la frammentazione delle competenze originarie dei diaconi in molte funzioni subalterne clericalizzate, l'accesso alle funzioni superiori per gradum spiegano come il diaconato, in quanto ministero permanente, abbia perduto la sua ragion d'essere. Gli rimanevano soltanto i compiti liturgici esercitati ad tempus dai candidati al sacerdozio».

Connessi al diaconato ci sono vari problemi complessi e di non facile soluzione, che richiamiamo per cenni. Sicuramente il diaconato è un ministero antichissimo, già presente nella Chiesa apostolica, e di grande rilevanza nei primi secoli. Un secondo punto concerne il fatto che Gesù, in modo diretto, istituì solamente il Collegio apostolico. Ma già Atti 6 attesta che gli Apostoli sentono il bisogno di avere alcuni collaboratori cui affidare il servizio delle mense. Una lunga tradizione vede in questo l'istituzione del ministero diaconale, benché oggi ciò non sia universalmente accettato. E comunque fuori discussione che la Chiesa, nell'arco dei secoli, ha sempre inteso l'istituzione della pienezza del ministero sacerdotale negli Apostoli congiunta alla potestà di individuare altre funzioni particolari.

Infine sta il fatto che il diaconato, importantissimo nei primi secoli, decadde progressivamente fino a ridursi a semplice grado temporaneo del cursus clericale; e che il Vaticano II intese riproporlo come ministero permanente. Nella Lumen gentium (n. 29) «la proposizione secondo la quale si impongono le mani ai diaconi "non ad sacerdotium, sed ad ministerium" diventerà un riferimento chiave per la comprensione teologica del diaconato. Tuttavia molti interrogativi sono rimasti aperti sino ai nostri giorni per le ragioni seguenti: la soppressione del riferimento al vescovo nella formulazione accettata, l'insoddisfazione di alcuni di fronte alla sua ambiguità, l'interpretazione data dalla Commissione, e la sortala della distinzione stessa tra sacerdotium e ministerium». La commissione dottrinale del Concilio si espresse in questi termini: significanti diaconos non ad corpus et sanguinem Domini offerendum sed ad servitium caritatis in Ecclesia.

Il documento, dopo aver esaminato il motuproprio Ad pascendum (1972) di Paolo VI, prosegue: «In conclusione: se il Vaticano II ha parlato con prudenza ed ex obliquo della natura sacramentale del diaconato, non è stato solamente a causa della preoccupazione di non condannare nessuno, ma piuttosto a motivo dell'”incertitudo doctrinae”. Dunque, per assicurare la natura sacramentale non basta ne l'opinione maggioritaria dei teologi (c'era anche relativamente al suddiaconato), ne la sola descrizione del rito dell'ordinazione (che occorre chiarire alla luce di altre fonti), ne la sola imposizione delle mani (che può essere di natura non sacramentale)».

* * *

Come dunque dobbiamo intendere oggi questo servizio? «Quando si esaminano le statistiche disponibili — afferma la CTI nel cap. VI —, ci si rende conto dell'immensa disparità esistente nella ripartizione dei diaconi nel mondo. Su un totale di 25.122 diaconi nel 1998, l'America del Nord ne conta da sola un po' più della metà, cioè 12.801 (50,9%), mentre l'Europa ne enumera 7.864 (31,3%): ciò rappresenta per i Paesi industrializzati del Nord del pianeta un totale di 20.665 diaconi (82,2%). Il rimanente 17,8% si suddivide così: America del Sud: 2.370 (9,4%); America Centrale e Antille: 1.387 (5,5%); Africa: 307 (1,22%); Asia: 219 (0,87%).
L'Oceania chiude l'elenco con 174 diaconi, cioè lo 0,69% del totale.

Un fatto non può non colpirci: il diaconato si è sviluppato soprattutto nelle società industriali progredite del Nord. Ciò non era stato affatto previsto dai Padri conciliari quando avevano chiesto una "riattivazione" del diaconato permanente. Si aspettavano piuttosto uno sviluppo rapido nelle giovani Chiese in Africa e in Asia, nelle quali la pastorale si appoggiava su un gran numero di catechisti laici. [...] Le statistiche ci permettono di intravedere che si è dovuto reagire a due situazioni molto diverse. Da una parte, la maggior parte delle Chiese nell'Europa Occidentale e nell'America del Nord hanno dovuto far fronte, dopo il Concilio, a una diminuzione molto forte del numero dei preti e hanno dovuto procedere a una riorganizzazione significativa dei ministeri. Dall'altra, le Chiese sorte in maggioranza dagli antichi territori di missione si erano date da molto tempo una struttura ricorrendo all'impegno di un gran numero di laici, i catechisti».

Avviandosi alla conclusione, nel cap. VII/2 il documento riafferma che «considerare il diaconato come una realtà sacramentale costituisce la dottrina più sicura e più coerente con la prassi ecclesiale. Se se ne negasse la sacramentalità, il diaconato costituirebbe una forma di ministero fondato sul battesimo; rivestirebbe un carattere funzionale, e la Chiesa godrebbe di una grande capacità di decisione relativamente alla sua instaurazione o alla sua soppressione, come pure alla sua configurazione concreta; in ogni caso godrebbe di una libertà di azione molto più ampia di quella che le è concessa sui sacramenti istituiti da Cristo. Negando così la sacramentalità, si farebbero scomparire i principali motivi che fanno del diaconato una questione teologicamente disputata. Ma tale negazione ci condurrebbe ai margini della linea del Vaticano II. È dunque a partire dalla sua sacramentalità che si dovrà trattare degli altri problemi concernenti la teologia del diaconato».

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Per delineare una sintesi del documento possiamo ripartire da questo passaggio: «L'esercizio concreto del diaconato nei diversi ambienti contribuirà anche a definire la sua identità ministeriale, modificando, se necessario, un quadro ecclesiale nel quale il suo vincolo con il ministero del vescovo appare appena, e la figura del prete è identificata con la totalità delle funzioni ministeriali. A tale evoluzione contribuirà la coscienza viva che la Chiesa è "comunione". Tuttavia, gli interrogativi teologici relativi ai "poteri" specifici del diaconato potranno difficilmente trovare una soluzione soltanto attraverso la via pratica. [...] Così si possono osservare diverse proposte della teologia contemporanea che cercano di conferire al diaconato solidità teologica, accettazione ecclesiale e credibilità pastorale» (IV/2).

Un elemento positivo è l'indicazione di una triplice determinazione del sacramento dell'ordine in episcopato, presbiterato e diaconato: ai primi due è collegata la presidenza dell'Eucaristia, mentre il terzo ha soltanto un accenno a una possibile presidenza liturgica (liturgia della parola, matrimonio, esequie). Ulteriore indicazione sufficientemente acquisita è la ripresentazione di Cristo capo e servo. Prezioso è anche il riferimento di tutto il sacramento dell'ordine e, in particolare, a modo suo proprio, del diaconato al bene di tutta la Chiesa (edificazione e missione), col tentativo di identificare un proprium non parcellizzato in singole direzioni (liturgia, carità, pastorale) ma sempre con uno sguardo unitario, ossia ai vari ambiti di organica attuazione dell'azione ecclesiale, che si avvale dei diversi elementi strutturanti l'azione della fraternità cristiana.

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La sacramentalità del diaconato va compresa nella prospettiva unitaria del sacramento dell'Ordine. La sacramentalità dell'Ordine consiste nel rendere presente Cristo che agisce nella persona del ministro che guida la Chiesa (capo), nello stile del servizio (servo) per condurre la Chiesa stessa (pastore), resa feconda con la parola e i sacramenti nel dono dello Spirito (sposo) verso i pascoli della vita eterna (escatologia), avendo compiuto la missione di evangelizzare l'umanità per l'edificazione del regno di Dio. L'Ordine, pur essendo un unico sacramento che abilita al ministero, assume diverse espressioni di attuazione del ministero stesso — episcopato, presbiterato e diaconato — non riducibili ne sostituibili tra loro: agiscono in unità organica per mettere in grado la fraternità ecclesiale di edificarsi in corpo di Cristo e di compiere la missione ricevuta dallo stesso Cristo. La sacramentalità dell'Ordine trova la sua espressione fondamentale nella presidenza, a partire dall'Eucaristia, che costituisce la funzione sintetica e originante di tutta la vita e l'azione della Chiesa.

Ciascuna delle tre espressioni ne esercita con vera titolarità una esigenza: l'episcopato, con la sua presidenza dell'Eucaristia di tutta la fraternità ecclesiale diocesana, serve l'unità dell'azione dell'intero popolo di Dio che vive nella diocesi, nella diversità dei soggetti, nella varietà dei campi, nella molteplicità degli impegni individuati attraverso il discernimento pastorale comune. Il presbiterato, con la presidenza dell'Eucaristia celebrata nelle molte localizzazioni della fraternità ecclesiale diocesana, serve — a somiglianza del vescovo e in unione con lui — l'attuarsi della Chiesa secondo l'esigenza e le possibilità dei diversi luoghi. Il diaconato, infine, senza una presidenza dell'Eucaristia, ma a partire dall'Eucaristia presieduta dal vescovo o dal presbitero, esercita la responsabilità di mettere in opera o di curare l'attuazione (sia diretta, sia attraverso la valorizzazione operativa dei carismi e ministeri di altri) dell'azione ecclesiale nei suoi vari ambiti (prima evangelizzazione, educazione del cristiano, edificazione della fraternità ecclesiale, presenza efficace nella società) come collaboratore ordinato dell'ordine episcopale e dell'ordine presbiterale.

Ciò richiede il servizio del diaconato nelle azioni liturgiche (o in collaborazione con il vescovo e il presbitero, o per celebrazioni del battesimo, del matrimonio senza Eucaristia, esequie, celebrazioni della Parola), nelle azioni di educazione dei cristiani nella fede (itinerari catecumenali e di iniziazione cristiana, catechesi e formazione), nelle azioni di edificazione della fraternità ecclesiale (individuazione, formazione e valorizzazione dei carismi e ministeri dei battezzati, attuazione dei progetti diocesani e parrocchiali), nelle azioni di presenza nella cultura e nella società, di promozione e di solidarietà (nei molteplici campi individuati dalla evangelizzazione della cultura, dalla dottrina sociale e dalla sollecitudine verso le molte povertà).

* * *

II documento ricorda opportunamente e in più luoghi che la teologia del sacramento dell'Ordine ha oscillato tra le diverse immagini che esprimono la ricchezza della persona di Cristo nel voler indicare riferimenti specifici per le diverse attuazioni: capo, pastore, sposo, servo. Le prime tre sono state preferibilmente collegate con l'episcopato e il presbiterato, mentre l'ultima per lo più con il diaconato, anche se non manca — sia nelle elaborazioni teologiche sia negli insegnamenti del Magistero — il riferimento del presbiterato e dell'episcopato a Cristo servo e del diaconato a Cristo capo. In realtà, occorre recuperare il riferimento di ogni espressione ministeriale alla persona completa del Cristo, poiché le diverse caratteristiche non sono aggiuntive l'una all'altra, ma indicano un'articolazione interna e una finalizzazione dell'opera del Cristo e, quindi, di chi ne è strumento sacramentale, ciascuno, nel modo che gli è proprio, per rendere presente Cristo nella sua interezza.

Nel documento si parla spesso del diaconato permanente come la forma da recuperare e riesprimere oggi nella Chiesa. In proposito è importante richiamare quanto lo stesso documento sottolinea nella Conclusione: «II diaconato, per il suo modo di partecipare all'unica missione di Cristo, realizza sacramentalmente questa missione come servizio ausiliario». Pur nella sua peculiarità inconfondibile, esso «mantiene, proprio in quanto tale, un legame costitutivo col ministero sacerdotale, al quale presta il proprio servizio (cfr Lumeri gentium, n. 41). Non è un servizio qualsiasi che è attribuito al diacono nella Chiesa: il suo servizio appartiene al sacramento dell'Ordine in quanto collaborazione stretta con il vescovo e con i presbiteri, nell'unità della medesima attualizzazione ministeriale della missione di Cristo». Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1554) cita sant'Ignazio di Antiochia: "Tutti riveriscano i diaconi come Gesù Cristo, come pure il vescovo, che è l'immagine del Padre e i presbiteri come il senato di Dio e come l'assemblea degli apostoli: senza di loro non si può parlare di Chiesa».

Circa le diaconesse il documento fa un rapido accenno nella conclusione, rimandando al discernimento del Magistero un pronunciamento sull'intera questione: «Per quel che riguarda l'ordinazione delle donne al diaconato, conviene notare due indicazioni importanti che emergono da quanto è stato sin qui esposto: 1) le diaconesse di cui si fa menzione nella Tradizione della Chiesa primitiva — secondo ciò che suggeriscono il rito di istituzione e le funzioni esercitate — non sono puramente e semplicemente assimilabili ai diaconi; 2) l'unità del sacramento dell'Ordine, nella chiara distinzione tra i ministeri del vescovo e dei presbiteri da una parte, e il ministero diaconale dall'altra, è fortemente sottolineata dalla Tradizione ecclesiale, soprattutto nella dottrina del Concilio Vaticano II e nell'insegnamento postconciliare del Magistero. Alla luce di tali elementi posti in evidenza dalla presente ricerca storico-teologica, spetterà al ministero di discernimento che il Signore ha stabilito nella sua Chiesa pronunciarsi con autorità sulla questione».

E il documento così si conclude: «Al di là di tutti i problemi che solleva il diaconato, è bene ricordare che dopo il Concilio Vaticano II la presenza attiva di questo ministero nella vita della Chiesa suscita, in memoria dell'esempio di Cristo, una coscienza più viva del valore del servizio per la vita cristiana».

La Civiltà Cattolica

 
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