Quando e come un Papa favorisce l'eresia .....

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00giovedì 11 giugno 2015 09:45
  Müller: non adulare il Papa, aiutarlo

Il Papa non è “teologo professionale”, dice il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gerhard Müller, in un’interessante intervista di qualche giorno fa al quotidiano Kölner Stadt-Anzeiger, ammettendo che di tanto in tanto è necessario consigliarlo in materia di dogma.” E aggiunge: "noi della Congregazione siamo chiamati non a esercitare l’arte dell’adulazione, ma piuttosto, a usare la nostra conoscenza di esperti”.

 
 
 

Il Papa non è “teologo professionale”, dice il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gerhard Müller, in un’interessante intervista di qualche giorno fa al quotidiano Kölner Stadt-Anzeiger, ammettendo che di tanto in tanto è necessario consigliarlo in materia di dogma". 

Aggiunge il cardinale: "…il Papa, secondo la fede cattolica, è stato istituito da Cristo stesso, e la Congregazione della Fede, con i suoi venticinque cardinali nominati dal papa è lo strumento legittimato dal papa per aiutarlo, e quindi partecipare, all’esercizio del suo ministero di insegnamento universale. Ma noi della Congregazione siamo chiamati non a esercitare l’arte dell’adulazione, ma piuttosto, a usare la nostra conoscenza di esperti”.  

Una sottolineatura importante, perché certamente gli adulatori non mancano alla corte del Pontefice; e il ruolo degli esperti, in particolare di teologia, è vitale. Come si è visto, anche se in maniera non ufficiale, in occasione dell’esortazione apostolica sulla famiglia che sarà firmata il 19 marzo, festa di San Giuseppe. Sia il teologo della Casa Pontificia, che la Congregazione per la Dottrina della Fede hanno cercato di aiutare il Papa, facendogli pervenire decine se non centinaia di correzioni e proposte di modifiche alla bozza proposta. 

 Si ignora se e quanto i suggerimenti dei professionisti siano stati apprezzati e fatti propri dal Pontefice e dai suoi collaboratori ed estensori più vicini.
Gerhard Müller ha risposto così alla domanda secondo cui deve di tanto in tanto correggere quello che il Papa dice nel suo entusiasmo carismatico: “Questo è ciò che il Papa ha detto già tre o quattro volte, egli stesso; e poi mi ha abbracciato così da far cessare ogni gossip al riguardo”. Al cardinale è stato chiesto se è vero che egli sia il principale oppositore del Pontefice; al che ha risposto che si tratta assolutamente di “una favola”. 




Don C. Nitoglia. Papa Onorio I ha favorito l'eresia. La lezione da trarne nei nostri tristissimi tempi

 
PAPA ONORIO I
La lezione da trarne nei nostri tristissimi tempi

Papa Onorio ha favorito l’eresia

Il «bizantinismo per il quale il sì non è mai un sì, ma un “ni” o un “so”» di Sergio I patriarca di Costantinopoli, secondo mons. Umberto Benigni[1], lo spinse a scrivere una prima Epistola nel 634 in cui non menzionava uno o due modi di operazione in Cristo, ma si contentava di affermare che un Solo Verbo divino è soggetto di tutte le operazioni umane e divine del Dio/uomo.
 
Sergio poi scrisse a papa Onorio I che per ricondurre alla Chiesa romana i monofisiti (i quali sostenevano che vi era una sola natura divina in Cristo) e i monoteliti (secondo i quali in Cristo vi era una sola volontà, quella divina, negando quella umana) occorreva smussare gli angoli e addolcire le formule dogmatiche. Quindi sarebbe stato meglio parlare di “due nature distinte, ma di una sola operazione”. Questa formula era perlomeno ambigua e rappresentava una forma di monotelismo mascherato o non esplicito.
 

Papa Onorio I (625-628) sottoscrisse in una prima Lettera (Epistula Scripta fraternitatis ad Sergium Patriarcam constantinopolitanum, anno 634, DS 487) la Dichiarazione preparata nell’Epistola volutamente ambigua dal patriarca di Costantinopoli Sergio I (610-638), uomo più di corte imperiale che di Chiesa, nella quale si affermava una sola operazione in Gesù - pur nelle due nature (umana e divina) - e quindi implicitamente l’unicità della Sua volontà divina, negando praticamente la Sua volontà umana.

Papa Onorio, imprudentemente e bonariamente, approvò e firmò l’Epistola di Sergio senza definirla né obbligare a crederla, anzi l’attenuò aggiungendo ad essa, in una seconda Lettera, l’espressione, tuttavia ancor troppo vaga, dell’esistenza in Cristo di “due nature (umana e divina) operanti secondo le loro diversità sostanziali” (Ep. Scripta dilectissimi filii ad eundem Sergium, anno 634, DS 488[2]), cioè affermò l’unità morale e non fisica delle due volontà in Cristo, nel Quale vi sono realmente due volontà (umana e divina) e quella umana è moralmente uniformata a quella divina.

Le espressioni di Onorio erano ambivalenti e quindi l’interpretazione eterodossa dei monoteliti di una sola volontà fisica e divina in Cristo era possibile. Il Papa parlava del Verbo Incarnato in cui sussistono due nature, ma lasciava intendere - pur non scrivendolo positivamente ed esplicitamente - che vi potesse essere in Lui una sola volontà. Tuttavia Onorio non scrisse apertamente di una sola volontà divina reale e fisica, ma lasciava capire che in Cristo vi fosse una volontà umana “morale”, ossia subordinata e uniformata “moralmente” a quella fisica divina.

La Chiesa cattolica orientale (con i suoi Vescovi e teologi) lesse la frase di Onorio in senso eretico, mentre quella latina (S. Massimo di Torino) cercò di salvare Onorio e lesse la sua Epistola in senso ortodosso: una volontà umana fisica e reale subordinata moralmente a quella fisica divina in Cristo. Papa Giovanni IV (640-642)  scrisse  nel 641 la famosa Apologia pro Honorio Papa, in cui difese spassionatamente Onorio che non era formalmente eretico, ma non aveva condannato con decisione l’errore di Sergio e il monotelismo avendo, così, favorito l’eresia[3]. Infattiimplicitamente Onorio ammetteva l’esistenza di un agire e di una volontà (fisica o reale) umana in Cristo.

Ora papa S. Martino I (649-655) in un Concilio romano particolare, riunito in Laterano nel 649, aveva definito la dottrina delle due volontà e della duplice azione in Cristo. Nel III Concilio ecumenico di Costantinopoli (680-681) papa S. Agatone (678-681) il 28 marzo del 681 definì che in Cristo vi sono due volontà e due azioni (la divina e l’umana) e condannò papa Onorio per aver aderito imprudentemente all’eresia (DB 262 ss. / DS 550 ss.) senza specificare se si trattasse dieresia materiale o formale. Ma  nel Decreto di ratifica del Concilio Costantinopolitano III papa S. Leone II (682-683) specificò il 3 luglio 683 (DB 289 ss. / DS 561 ss.) i limiti della condanna di Onorio, che “non illuminò la Chiesa apostolica con la dottrina della Tradizione apostolica, ma permise che la Chiesa immacolata fosse macchiata da tradimento” (DS 563). Onorio, quindi, si era macchiato di eresia materiale ed aveva favorito l’eresia.
 
Vale a dire Onorio non era stato positivamente o formalmente eretico, ma vittima dei raggiri di Sergio, cui imprudentemente e negligentemente aveva acconsentito senza impegnarsi nella difesa della dottrina cattolica ortodossa. Perciò S. Leone II condannò Onorio più per la sua negligenza che per una consapevole eterodossia.

Inoltre Onorio non aveva definito né obbligato a credere la tesi di una sola azione in Cristo contenuta nell’ambigua Dichiarazione dell’Epistola di Sergio a lui inviata. Quindi Onorio non aveva voluto essere assistito infallibilmente in tale atto, ma aveva utilizzato una forma dimagistero autentico “pastorale e non infallibile”[4]. Perciò egli aveva potuto sbagliare, anche se per ingenuità e mancanza di fortezza, ma senza infrangere il dogma (definito poi dal Concilio Vaticano I) della infallibilità pontificia, come invece sostennero i protestanti nel XVI secolo e la setta dei “vecchi cattolici” nel secolo XIX. In breve Onorio aveva favorito l’eresia peccando, così, gravemente, ma non era stato eretico.

Questo dimostra:
  1. che il Papa nel magistero non infallibile può eccezionalmente errare (com’è successo nel Concilio pastorale Vaticano II, il quale non ha voluto definire dogmaticamente);
  2. che esiste un magistero infallibile solo a quattro condizioni. se il Papa:
    1. parla come Pastore universale;
    2. in materia di fede e di morale;
    3. definisce una dottrina;
    4. da credersi obbligatoriamente per salvarsi ovvero sotto pena di dannazione;
  3. che non sempre il Papa è infallibile in ogni suo insegnamento ed infine 
  4. che, se il Papa erra nel magistero non infallibile non inficia l’infallibilità pontificia, la quale sussiste solo alle suddette quattro condizioni[5].
Come saggiamente conclude il professor Antonio Sennis, “è difficilissimo e non utile definire con certezza le reali intenzioni di Onorio” (AA. VV., Enciclopedia dei Papi, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, 1° vol., voce Onorio I, a cura di Antonio Sennis, p. 589).

S. Pietro e l’incidente di Antiochia

Già nel 50 d. C., al Concilio di Gerusalemme, si assisté ad un fatto analogo a quello di Onorio e “contro il fatto non vale l’argomento”. Infatti è divinamente rivelato che San Pietro ad Antiochia si comportò in maniera riprovevole  e San Paolo lo rimproverò. Quindi la Gerarchia puòeccezionalmente errare e in tal caso si può lecitamente resistere ad essa pubblicamente, ma con il rispetto dovuto all’Autorità.
 
Questo incidente “riprovevole” è divinamente Rivelato[6] in S. Paolo (Epistola ai Galati, II, 11), il quale afferma: «Ho resistito[7] in faccia a  Pietro,  poiché era reprensibile[8]»[9]. Secondo S. Agostino e S. Tommaso, S. Pietro peccò venialmente di fragilità nell'osservare le cerimonie legali dell’Antico Testamento, per non scandalizzare i giudei convertiti al Cristianesimo, ma provocando così lo scandalo dei cristiani provenienti dal paganesimo convertitisi al Vangelo. E secondo la divina Rivelazione vi fu una resistenza pubblica di Paolo verso Pietro, primo Papa[10].
 
Quindi S. Pietro non errò contro la Fede, come sostennero erroneamente gli anti-infallibilisti durante il Concilio Vaticano I, anche se con il suo agire commise un peccato veniale non di proposito deliberato, ma di fragilità a differenza di Onorio che peccò gravemente. 
 
Dunque Pietro peccò solo venialmente e di fragilità, ma, quando Paolo gli resistette in faccia e pubblicamente (Epistola ai Galati, II, 11), Pietro ebbe l’umiltà di correggere il suo errore di comportamento che avrebbe potuto portare all’errore dottrinale dei Giudaizzanti. Non si può negare la resistenza di Paolo a Pietro perché è divinamente Rivelata: “Resistetti in faccia a Cefa, poiché era reprensibile […] alla presenza di tutti” (Galati, II, 11, 14)[11].  

La situazione attuale

Oggi di fronte al cataclisma spirituale del Concilio Vaticano II e del post-concilio (specialmente con papa Francesco I) vi sono due errori (per eccesso e difetto) da evitare.

Il primo errore per eccesso, sostiene che occorre obbedire sempre  a tutto ciò che il “clero” o la Gerarchia fa e dice, anche solo pastoralmente e non dogmaticamente[12]. Per cui S. Paolo avrebbe sbagliato a “resistere in faccia a S. Pietro” (oppure si cerca di negare e diminuire al massimo il fatto di Antiochia) e S. Agatone, S. Leone II e Giovanni IV avrebbero errato nel condannare l’arrendevolezza che favoriva l’eresia (e non l’eresia formale) di papa Onorio e si scusa completamente l’errore materiale di Onorio I. Ma ciò è contrario alla divina Rivelazione e ai pronunciamenti dogmatici del Magistero papale. 
 
Il secondo errore per difetto, asserisce che la Gerarchia deve essere sempre infallibile e quindi è impensabile che sbagli e che si possa non seguirla semper et ubique, perinde ac cadaver. Per questo secondo errore sarebbe più riprovevole il comportamento di S. Paolo che di quello di S. Pietro riguardo ai giudaizzanti, come quello di Agatone, Leone II e Giovanni IV più di quello di Onorio I. Ma la S. Scrittura, la Tradizione e il Magistero smentiscono anche questo. 
 
I casi di Cefa e Onorio non devono farci perdere né il rispetto nei confronti del magistero puramente autentico e non definitorio o obbligante della Chiesa né la fede in quello infallibile, come non devono neppure farci fare del magistero anche non-infallibile un Assoluto e una specie di divina Rivelazione. 

Conclusione

In questi tempi di confusione, giunta persino al vertice della Chiesa, dobbiamo 
 
  1. attendere con pazienza il ristabilimento della chiarezza senza fretta di un riconoscimento giuridico, il quale rischierebbe di compromettere la professione pubblica di tutta la Fede senza annacquamenti, e la condanna di tutti gli errori (compresi quelli del magistero non infallibile del Concilio Vaticano II e del post-concilio da Paolo VI a Francesco I); 
  2. non perdere la fiducia nel Papato, poiché la Chiesa Cristo l’ha fondata su Pietro e i suoi successori, non sui “profeti del XX secolo”, sui “Vescovi di ferro” o sui “teologi scolastici”; 
  3. non annullare la Gerarchia (Papa e Episcopato subordinato in atto), il Sacerdozio e i Sacramenti  (non si tratta della sola Cresima, ma oggi alcuni mettono in dubbio tutti i Sacramenti posteriori al 1968) poiché significherebbe distruggere la Chiesa come Cristo l’ha voluta: fondata su Pietro e gli Apostoli a lui subordinati e fornita di un Sacerdozio eterno dispensatore dei Sacramenti sino alla fine del mondo; 
  4. continuare  a fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto prima che l’errore e la confusione penetrassero nella quasi totalità dall’ambiente ecclesiastico (S. Vincenzo da Lerino,Commonitorium, III, 5);
  5. pregare e far penitenza per ottenere l’aiuto di Dio che solo può mettere riparo ad una situazione talmente grave che sorpassa le forze puramente umane e angeliche[13]…  e soprattutto 
  6. non rompersi la testa in questioni che sarebbe “difficilissimo e non utile definire con certezza” (A. Sennis, cit., p. 589). 
d. Curzio Nitoglia
_________________________
1. Storia sociale della Chiesa, Milano, Vallardi, 1922, vol. III, pp. 436-437.
2. In questa seconda Epistola il testo originale latino di Onorio è andato smarrito, si possiede solo la traduzione in greco e una ritraduzione postuma in latino del 680 (AA. VV., Enciclopedia dei Papi, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, 1° vol., pp. 585-590, voce Onorio I, a cura di Antonio Sennis).
3. M. Greschat – E. Guerriero, Il grande libro dei Papi, Cinisello Balsamo, S. Paolo, 1994, 1° vol., pp. 121-125, AA. VV. I Papi, Milano, Tea, 1993, pp. 34-37.
4. Cfr. Enciclopedia dei Papi, cit., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, 1° vol., pp. 585-590, voce Onorio I, a cura di Antonio Sennis.
5. Cfr. Pio XII, Enciclica Sempiternus Rex, 8 settembre 1951; G. Voisin, L’Apollinarisme, Lovanio, 1901; M. Jugie, in D. Th. C., voce Monothélisme; Id., in D. Th. C, voce Monophisisme; E. Amann, inD. Th. C, voce Honorius I; J. Lebon, Le monophisisme sévérien, Lovanio, 1909; P. Parente, L’Io di Cristo, III ed., Rovigo, Istituto Padano di Arti Grafiche, 1981.
6. Con Assistenza divina e conseguente Inerranza biblica. 
7. ‘Resistere’, dal latino ‘re-sistere’, restare saldo o fermo davanti a qualcosa o qualcuno che ci si oppone, senza lasciarsi abbattere. Fare uno sforzo contrario, che permette di opporsi all’azione di qualcuno o qualcosa (N. Zingarelli, Vocabolario della Lingua italiana).
8. ‘Reprensibile’, dal latino ‘re-prehendere’, degno di essere rimproverato, biasimato, corretto, disapprovato, criticato, ammonito come erroneo (N. Zingarelli, ivi).
9. «La frase “era reprensibile” (della Vulgata) da alcuni esegeti è tradotta […] “messo dalla parte del torto”. È spiegato il fallo o il torto di Pietro, fallo definito con ogni precisione già da Tertullianocome sbaglio di comportamento non di dottrina” (De praescriptione haereticorum, XXIII)» (G. Ricciotti, Le Lettere di S. Paolo, Coletti, Roma, 1949, 3ª ed., pp. 227-228).
10. È vero che secondo Tertulliano il peccato di Pietro fu uno “sbaglio di comportamento non di dottrina” (De praescr. haeret., XXIII). Tuttavia “Per S. Agostino Pietro commise un peccato veniale di fragilità, preoccupandosi troppo di non dispiacere ai giudei convertiti al Cristianesimo ...” (J. Tonneau, Commentaire à la Somme Théologique, Cerf, Paris, 1971, p. 334-335, nota 51, S. Th., III, q. 103, a.4, sol. 2). Secondo S. Tommaso d’Aquino “sembra che Pietro sia colpevole di uno scandalo attivo” (Somma Teologica, III, q. 103, a.4, ad 2). Inoltre l’Angelico specifica che Pietro ha commesso un peccato veniale non di proposito deliberato ma di fragilità (cfr. Quest. disput., De Veritate, q. 24, a. 9; Quest. Disput., De malo, q. 7, a. 7, ad 8um) per un'eccessiva prudenza nel non voler contrariare i giudei convertiti al Cristianesimo. Tale opinione di S. Agostino, ripresa da S. Tommaso, è conciliabile con le prerogative straordinarie degli Apostoli. Gli autori ammettono comunemente che agli Apostoli fu concessa la confermazione in grazia (cfr. I. Salaverri, De Ecclesia, BAC, Madrid, 1962, ed. 5ª, n. 255). “Nella comune sentenza dei Teologi, tali prerogative [straordinarie] degli Apostoli sono: la confermazione in grazia, per cui, dopo la discesa dello Spirito Santo, gli Apostoli praticamente non potevano più commettere né alcun peccato grave, né alcun peccato veniale del tutto deliberato...” (F. Carpino, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1948, vol. I, coll. 1687-1688).
11. Cfr. Arnaldo Xavier Vidigal Da Silveira, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari?, “Cristianità”, n. 9, 1975; Id., È lecita la resistenza a decisioni dell’Autorità ecclesiastica?, “Cristianità”, n. 10, 1975; Id., Può esservi l’errore nei documenti del Magistero ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975.
12. Cfr. Cardinal J. Ratzinger, Discorso alla Conferenza Episcopale Cilena, Santiago del Cile, 13 luglio 1988, in “Il Sabato”, n.° 31, 30 luglio-5 agosto 1988: «Il Concilio Vaticano II si è imposto di non definire nessun dogma, ma ha scelto deliberatamente di restare ad un livello modesto, comesemplice Concilio puramente pastorale».
13. S. Ignazio da Loyola insegnava che “bisogna credere che tutto dipende da Dio, ma occorre ad agire come se tutto dipende da noi”.


Caterina63
00mercoledì 20 gennaio 2016 10:38
_001 bergogolio e  COVER 1

<header class="entry-header">

FRANCESCO, IL PAPA CHE NON AMA I CATTOLICI


</header>

Papa Francesco non pare immune da questa mentalità autodistruttiva che pone i cattolici sempre nel torto e i protestanti, persino i non-cristiani, sempre nel giusto. Le novità così tanto acclamate oggi dai novatores vengono davvero dallo Spirito Santo, oppure non sono altro che i frutti (marci) della loro stramba ecclesiologia?  Davvero la Chiesa “pre-conciliare” era così brutta e cattiva? Assolutamente no, lo conferma, suo malgrado, l’ateista Friedrich Nietzsche il quale la malediceva perché «ha reso sacro l’uomo, persino quello inutile (il malato, ndr) e quello insignificante (il povero, ndr)».

No tranquilli, non è una “bergoglionata” simpaticamente intesa e non vogliamo fare le vittime, qui l’unica Vittima è Nostro Signore Gesù Cristo. Volevamo tacere sull’omelia da santa Marta del 18 gennaio u.s. – vedi qui – ma abbiamo letto troppi commenti, e molti anche confusi, che abbiamo deciso di dire la nostra ma, non semplicemente la “nostra opinione” quanto piuttosto cercare di tradurre alcune espressioni del Papa perché, davvero, alcuni passi sono oscuri e ciò che è risaltato è stato il titolo magistralmente studiato, diremo quasi diabolicamente studiato, per scatenare il putiferio.

Secondo Radio Vaticana, che ha postato il titolone, il Papa avrebbe tuonato con fulmini e saette contro i Cattolici “tradizionalisti” che si fermano al “si è sempre fatto così” e dunque non sanno accogliere le “novità dello Spirito Santo”.

Non staremo a discutere del perché il Papa abbia deciso lui stesso che le sue omelie non vengano postate integralmente ogni giorno, ma fatte a brandelli dopo una attenta interpretazione, perderemo del tempo e poi perché la strategia è proprio questa, quella di non lasciare spazi ad altre interpretazioni, lo dicevamo qui: i gesuiti… sotto sotto, son capaci anche di risponderti seriamente lasciando sempre all’interlocutore il lavorio della ragione per capire la risposta data. È il loro concetto di “libertà di coscienza”.

Ciò che confonde, o stupisce, o imbarazza, insomma cercate voi il termine più adatto, è che solo qualche giorno fa Bergoglio mandava “all’inferno” Scalfari – vedi qui – perché un prete e peggio un papa che dice ad una persona “non convertirti perché altrimenti devo scegliermi un altro amico ateo”, se non sta bluffando e non sta scherzando, sta mandando all’inferno quella persona. Ed oggi accusa di idolatria i cattolici “tradizionalisti”.

Effettivamente i due fatti collimano: se un ateo non deve più  essere convertito, a che servono i cattolici fedeli alle dottrine? A questo punto, questo genere di cattolici, sono solo d’impiccio, o peggio, sono di ostacolo alla “nuova chiesa” che vuole Bergoglio,ne abbiamo discusso qui, e qui le “dieci malattie di Bergoglio”.

Leggendo attentamente questa omelia da santa Marta ci accorgiamo che è assai probabile che il Papa non si sta rivolgendo a “noi” pecorelle che non contano nulla e che non hanno alcun potere di gestione ecclesiale, piccolo gregge, ma assai più probabile che si stia rivolgendo ai vescovi e al clero parrocchiale.

Ce lo suggerisce il fatto che la conclusione dell’ultimo Sinodo non è andata come sperava Bergoglio – leggere qui per capire cosa è accaduto – in sostanza ben 51 Padri sinodali hanno rifiutato il testo avallato dal pontefice, quello di chiusura per la firma, quindi il testo votato poi dai vescovi, è quello che è stato riscritto in una notte. Un fatto gravissimo che i Media hanno taciuto, ma a noi sembra chiarissimo che Bergoglio a questo punto, dopo aver mandato giù il boccone, sta cominciando a reagire.

_001 bergogolio e spirito 2Va anche detto che Bergoglio, pur essendo gesuita, vescovo e oggi papa, ha una formazione pastorale molto blanda e di stampo sudamericano. Questo non vuole essere offensivo, ne dare dell’eretico al papa, ma deve essere precisato che le sue forti amicizie con i Pentecostali hanno decisamente influito sulla sua dottrina personale sullo Spirito Santo, così come è un tantino deformata nel Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS),  il quale non ha come fondamento della propria formazione il Catechismo (il RnS non usa il Catechismo) ma la lettura “libera” della Scrittura e fiumi di prediche  a libera interpretazione, l’importante è che non tocchino i dogmi della fede della Chiesa quali la Trinità, i Sacramenti, la Mariologia cattolica, per tutto il resto sono lasciati liberi a seconda di come “ispira lo Spirito Santo”, liberi anche di applicare una liturgia per la Messa o l’Adorazione eucaristica a seconda della loro personale “ispirazione”: gemiti, urla, parlare altre lingue, sonno dello Spirito, e così via.

A quanti si stanno per stracciare le vesti per queste nostre parole, invitiamo ad andare al giugno 2014 quando il Papa andò al raduno del RnS (organizzato insieme a gruppi pentecostali) all’Olimpico di Roma. In quella occasione si è ripetuta una scena di qualche anno prima, quando Bergoglio a Buenos Aires, con il suo cortigiano di corte Cantalacavolata… ops scusate, Cantalamessa. La scena indegna e indecorosa fu quella di un arcivescovo di Santa Romana Chiesa, inginocchiato per terra, a ricevere la imposizione delle mani di pastori pentecostali e dai laici ivi radunati.

Papa Francesco che non può inginocchiarsi davanti a Gesù nella Santa Eucaristia, che ha eliminato le Adorazioni Eucaristiche dagli incontri ufficiali con i giovani, dall’incontro con i consacrati, e dai viaggi apostolici, che ha eliminato il saluto al Santissimo quando entra in una Chiesa, che non riesce proprio a stare con Gesù Eucaristico neppure per l’unico incontro dell’anno nella Festa del Corpus Domini, non ha però difficoltà alcuna per inginocchiarsi in un museo anglicano in Africa, per inginocchiarsi per terra davanti ai laici per farsi imporre le mani, gesto che la Chiesa ha sempre vietato ai laici perchè è prerogativa santa del Sacerdote che ha le mani consacrate dall’Ordine sacro, uno dei sette Sacramenti i quali dovrebbero essere ciò che poi Bergoglio definisce, a conclusione di questa omelia “fondamento”, ecco le sue parole: “un cuore aperto alla voce dello Spirito, che sappia discernere quello che non deve cambiare più, perché fondamento, da quello che deve cambiare per poter ricevere la novità dello Spirito Santo”.

Questo appunto è importante e fondamentale per comprendere alcuni passi di questa triste omelia: quali sarebbero queste “novità” dello Spirito Santo a fronte, per altro, di quanto si è già e abusivamente smantellato dalla liturgia cattolica e dal Catechismo?

L’errore, o peggio, la deformazione sta in quell’uso dello Spirito Santo quasi dissociato e distaccato non solo dal Cristo ma proprio dalla Chiesa di sempre. E’ come dire che la Chiesa in passato ha redatto discipline rigide, sbagliate perché lo Spirito Santo non aveva loro detto tutto, ma oggi questo Spirito Santo parla e finalmente sta guidando, ora, la Chiesa alla sua vera meta. Ma questo sarebbe uno spirito schizofrenico!

Via gli otri della vecchia Chiesa e avanti con gli otri della nuova chiesa!

Spiega infatti Bergoglio:

“È il peccato di tanti cristiani che si aggrappano a quello che sempre è stato fatto e non lasciano cambiare gli otri. E finiscono con una vita a metà, rattoppata, rammendata, senza senso”. Il peccato “è un cuore chiuso” che “non ascolta la voce del Signore, che non è aperto alla novità del Signore, allo Spirito che sempre ci sorprende”. La ribellione – dice Samuele – è “peccato di divinazione” l’ostinazione è idolatria.”

Come esame della nostra propria coscienza, per comprendere il nostro rapporto sincero e coerente con il Signore e i Suoi comandamenti, queste parole sono utilissime tuttavia non aiutano affatto a comprendere dove il Papa vuole portarci, questo è il problema.

La ribellione a quale novità? Quali sono queste “nuove” presunte novità che lo Spirito Santo avrebbe taciuto in questi duemila anni? Il Papa non le dice.

Vogliamo ricordare a tutti che il Concilio di Trento è stato l’ultimo concilio dottrinale (non contiamo il Vaticano primo perché fu interrotto) dove è stato portato alla luce tutta la dottrina cattolica essenziale, dove è stata messa la parola “fine” a tutte le dispute dottrinali fondamentali, immutabili e non più discutibili. Il Concilio Vaticano II invece è stato di carattere pastorale e dove la dottrina cattolica non è stata messa in discussione.

Per Paolo VI il Vaticano II fu rinnovamento nella fedeltà.
Per Paolo VI il Vaticano II fu rinnovamento nella fedeltà.

Leggiamo queste parole, inedite a molti, di Paolo VI:

È si creda che questa sollecitudine  pastorale, di cui oggi la Chiesa si fa programma prevalente, che assorbe  la sua attenzione e impegna la sua cura, significhi cambiamento di giudizio  circa errori diffusi nella nostra società e già dalla Chiesa condannati,  come il marxismo ateo, ad esempio: cercare d’applicare rimedi  salutari e premurosi ad una malattia contagiosa e letale non significa  mutare opinione su di essa, sì bene significa cercare di combatterla non  solo teoricamente, ma praticamente; significa far seguire alla diagnosi  una terapia; e cioè alla condanna dottrinale la carità salvatrice“. (pag. 750 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale Paulus VI – Die 6 Septembris mensis a. 1963)

E ancora, leggiamo questo passo inedito dell’allora cardinale Ratzinger:

La verità non viene decisa a maggioranza; davanti alla questione della verità ha termine il principio democratico. Nella Chiesa inoltre non conta mai solo la società attualmente presente. In essa i morti non sono morti, perché come comunione dei santi essa va al di là dei confini del tempo presente. Il passato non è passato, e il futuro proprio per questo è già presente. Detto anche con altre parole:  nella Chiesa non vi può essere nessuna maggioranza contro i Santi, contro i grandi testimoni della fede che caratterizzano tutta la storia. Essi appartengono sempre al presente, e la loro voce non può essere messa in minoranza“. (card. J. Ratzinger Prefetto della CdF 1995 per i 25 anni della Humanae vitae di Paolo VI)

Qualcuno potrebbe pensare che siamo eretici, che stiamo attaccando ingiustamente il Papa, ma non è così, l’eresia modernista non è un pericolo morto o sepolto ai tempi di San Pio X. Purtroppo gli errori del modernismo sono ancora vivi e Papa Francesco non ci sta proprio aiutando in questa battaglia, al contrario sembra sostenere il modernismo.

Ascoltiamo Paolo VI nell’udienza generale del 19 febbraio 1972 e poi giudicateci sull’articolo:

“Così è, Figli carissimi; e così affermando, la nostra dottrina si stacca da errori che hanno circolato e tuttora affiorano nella cultura del nostro tempo, e che potrebbero rovinare totalmente la nostra concezione cristiana della vita e della storia. Il modernismo rappresentò l’espressione caratteristica di questi errori, e sotto altri nomi è ancora d’attualità. Noi possiamo allora comprendere perché la Chiesa cattolica, ieri ed oggi, dia tanta importanza alla rigorosa conservazione della Rivelazione autentica, e la consideri come tesoro inviolabile, e abbia una coscienza così severa del suo fondamentale dovere di difendere e di trasmettere in termini inequivocabili la dottrina della fede; l’ortodossia è la sua prima preoccupazione; il magistero pastorale la sua funzione primaria e provvidenziale; l’insegnamento apostolico fissa infatti i canoni della sua predicazione; e la consegna dell’Apostolo Paolo: Depositum custodi (1 Tim. 6, 20; 2 Tim. 1, 14) costituisce per essa un tale impegno, che sarebbe tradimento violare. La Chiesa maestra non inventa la sua dottrina; ella è teste, è custode, è interprete, è tramite;e, per quanto riguarda le verità proprie del messaggio cristiano, essa si può dire conservatrice, intransigente; ed a chi la sollecita di rendere più facile, più relativa ai gusti della mutevole mentalità dei tempi la sua fede, risponde con gli Apostoli: Non possumus, non possiamo…”.

Quali sono, allora, le “novità” che lo Spirito Santo griderebbe oggi ma che i nostri cuori chiusi non riuscirebbero ad ascoltare? Abbiamo detto che Papa Francesco non le dice, ma in verità basterebbe sfogliare il lungo elenco delle presunte novità mediatiche urlate dai vaticanisti cortigiani di santa Marta, o dallo Scalfari di turno, o dalle telefonate, o da altro, per avere una breve lista delle novità che Bergoglio vuole imporre. Ne leggiamo un paio le cui affermazioni confondono il “piccolo gregge” e alimentano pensieri discordanti con la sana dottrina:

  1. “io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio. E credo in Gesù Cristo, sua incarnazione. Gesù è il mio maestro e il mio pastore, ma Dio, il Padre, Abbà, è la luce e il Creatore…” (intervista di Scalfari al Papa ottobre 2013)

Tutta l’espressione in sé ha qualcosa che stona: separare con quel “ma” Dio il Padre è la luce e il Creatore… tende a separare nettamente, dividere la SS.ma Trinitià perchè Gesù ha detto anche «Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv.8,12-59) e mentre Gesù non si separa dal Padre e dallo Spirito Santo, Bergoglio, con questa frase lo separa dal Padre e dallo Spirito Santo, ed è stranamente uno dei difetti dei Pentecostali carismatici.: un Gesù maestro e pastore, un carismatico e un uomo potente in Dio stesso, ma è Dio si o no? Infine “cattolico” vuol dire universale, termine che sottolinea la unicità del Dio che si è rivelato, come fa allora un papa a dire che Dio “non è universale”? Dio creatore sì, ma Dio universale no?

Un Gesù maestro e pastore va bene, ma è anche Dio, il Signore: “La Chiesa  crede di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana”. (cfr CCC.n.450)

“credo in Gesù Cristo, sua incarnazione”…. cosa significa “sua” incarnazione? Gesù non è l’incarnazione di Dio “Padre”, è il Verbo incarnato e, come dice più semplicemente Giovanni nel Prologo leggiamo: «il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio…» “generato non creato della stessa sostanza del Padre…” come professiamo nel Credo apostolico. Il rischio di questa affermazione sta nel fatto che si va ad offuscare l’identità specifica delle tre Persone nell’unicità del Dio Uno. Gesù non è semplicemente “l’incarnazione di Dio” ma è “Dio incarnato e distinto nelle tre Persone”, “io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv.10,30) ma distinte. Dire “sua incarnazione” e dire come insegna la Chiesa che  “il Verbo si è fatto carne, ed era presso Dio” non è la stessa cosa.

Quanto abbiamo espresso non intende dare dell’eretico al Papa perché, nella sostanza non ha voluto certo dire una eresia, tuttavia questo è solo un esempio del problema dottrinale che si sta auto generando con le troppe affermazioni di Bergoglio a ruota libera e che gettano confusione perché, affermazioni simili, si sposano più con la dottrina protestante-pentecostale, che non con la dottrina squisitamente cattolica, non a caso Bergoglio afferma così che “Dio non è cattolico” sarebbe “solo” Dio e basta, ciò che sostengono, infatti i protestanti.

L’ambiguità e l’imprudenza: questi sono i difetti principali che, a detta di molti, fuoriescono dal pontificato di Bergoglio.

  1. il 4 gennaio 2014, in pieno tempo natalizio, Bergoglio conia una nuova espressione sui gay: “le coppie gay propongono sfide educative inedite”.

Cosa significa? L’omosessualità esiste da quando è nato l’uomo sulla terra giacchè, ogni deformazione alla natura è data dal Peccato originale e per San Paolo “non è affatto una sfida educativa inedita”, al contrario egli afferma una volta per tutte (questa è la vera pastorale): “O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!” (1Cor 6,9-11)

“Certo, noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa legalmente;  sono convinto che la legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini,  i fornicatori, i pervertiti, i trafficanti di uomini, i falsi, gli spergiuri e per ogni altra cosa che è contraria alla sana dottrina,  secondo il vangelo della gloria del beato Dio che mi è stato affidato…” (1Tm 1,8-11)

Giovanni Paolo II soffrì molto a causa di quella "apostasia silenziosa" da lui denunciata che regnava nella Chiesa.
Giovanni Paolo II soffrì molto a causa di quella “apostasia silenziosa” da lui denunciata che regnava nella Chiesa.

Anche a voler leggere in chiave positivistica l’affermazione di Bergoglio, è utile sapere piuttosto cosa ha insegnato il Pontificato di Giovanni Paolo II in materia con due Documenti espliciti e magisteriali:

“Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale… (..) La legalizzazione delle unioni omosessuali sarebbe destinata perciò a causare l’oscuramento della percezione di alcuni valori morali fondamentali e la svalutazione dell’istituzione matrimoniale. (…)  A coloro che a partire da questa tolleranza vogliono procedere alla legittimazione di specifici diritti per le persone omosessuali conviventi, bisogna ricordare che la tolleranza del male è qualcosa di molto diverso dall’approvazione o dalla legalizzazione del male. In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell’equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest’ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all’obiezione di coscienza. A sostegno della legalizzazione delle unioni omosessuali non può essere invocato il principio del rispetto e della non discriminazione di ogni persona. Una distinzione tra persone oppure la negazione di un riconoscimento o di una prestazione sociale non sono infatti accettabili solo se sono contrarie alla giustizia. (…) Non è vera l’argomentazione secondo la quale il riconoscimento legale delle unioni omosessuali sarebbe necessario per evitare che i conviventi omosessuali perdano, per il semplice fatto della loro convivenza, l’effettivo riconoscimento dei diritti comuni che essi hanno in quanto persone e in quanto cittadini.” (CdF alcune considerazioni circa il riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali – 3.6.2003 – Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nell’Udienza concessa il 28 marzo 2003 al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato le presenti Considerazioni, decise nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione).

Ed anche un altro documento:

“Sullo sfondo di questa legislazione teocratica, san Paolo sviluppa una prospettiva escatologica, all’interno della quale egli ripropone la stessa dottrina, elencando tra coloro che non entreranno nel regno di Dio anche chi agisce da omosessuale (cf 1 Cor 6, 9). In un altro passaggio del suo epistolario egli, fondandosi sulle tradizioni morali dei suoi antenati, ma collocandosi nel nuovo contesto del confronto tra il cristianesimo e la società pagana dei suoi tempi, presenta il comportamento omosessuale come un esempio della cecità nella quale è caduta l’umanità. (…) in perfetta continuità con l’insegnamento biblico, nell’elenco di coloro che agiscono contrariamente alla sana dottrina, vengono esplicitamente menzionati come peccatori coloro che compiono atti omosessuali (cf 1 Tim 1, 10). … (…) Tuttavia oggi un numero sempre più vasto di persone, anche all’interno della Chiesa, esercitano una fortissima pressione per portarla ad accettare la condizione omosessuale, come se non fosse disordinata, e a legittimare gli atti omosessuali. Quelli che, all’interno della comunità di fede, spingono in questa direzione, hanno sovente stretti legami con coloro che agiscono al di fuori di essa. Ora questi gruppi esterni sono mossi da una visione opposta alla verità sulla persona umana, che ci è stata pienamente rivelata nel mistero di Cristo. Essi manifestano, anche se non in modo del tutto cosciente, un’ideologia materialistica, che nega la natura trascendente della persona umana, così come la vocazione soprannaturale di ogni individuo. I ministri della Chiesa devono far in modo che le persone omosessuali affidate alle loro cure non siano fuorviate da queste opinioni, così profondamente opposte all’insegnamento della Chiesa. Tuttavia il rischio è grande e ci sono molti che cercano di creare confusione nei riguardi della posizione della Chiesa e di sfruttare questa confusione per i loro scopi… “. (CdF – Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali  – Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’Udienza accordata al sottoscritto Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione e ne ha ordinato la pubblicazione. Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, 1° ottobre 1986)

Come conclusione riformuliamo al santo Padre Francesco l’accorata richiesta, davvero umile: quali sarebbero queste “novità” dello Spirito Santo oggi alle quali “noi” piccolo gregge non daremo ascolto? E ci affidiamo al monito paolino:

“Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo.  In realtà, però, non ce n’è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!  Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!” (Gal 1,6-10)







Caterina63
00mercoledì 20 gennaio 2016 10:41
[SM=g1740758] Il fatto che ci stupisce benevolmente è che il nostro articolo (vedi sopra) e il video di Padre Ariel, non erano assolutamente sincronizzati, l'uno non sapeva cosa faceva l'altro, ma entrambi abbiamo parlato con quel "un cuor solo e un anima sola" a dimostrazione che la cattolicità esiste quando a guidarci è la sacra Dottrina....

— I video dell’Isola di Patmos — «DIO È CATTOLICO», CE LO INSEGNA LA LUCE DEL VANGELO DI GIOVANNI . Non molto tempo fa, il Pontefice felicemente regnante Francesco, dialogando con il giornalista felicemente ateo Eugenio Scalfari, ha affermato: «Io credo in […]

Al di là della confusa e confondente battuta sul "Dio cattolico o non cattolico", una cosa resta fuori dubbio: senza Cristo non potremmo parlare di Cristianesimo e senza la Chiesa da Lui voluta e fondata e da Lui proiettata in una dimensione di universalità, non potremmo parlare di Cattolicesimo.

www.youtube.com/watch?v=rpCI4A91BV8





[SM=g1740750] [SM=g1740752]



BREVE ELENCO (non aggiornato) DEGLI INSULTI DI BERGOGLIO AI CATTOLICI. [SM=g1740733]

Parte 1 Insulti brevi
Parte 2 Insulti elaborati

"Ecco un elenco di insulti papali, raccolti nel The Pope Francis Little Book of Insults. E' una graziosa silloge, una preziosa antologia, una leggiadra raccolta di invettive che il Vescovo di Roma ha indirizzato ai Cattolici. Non una parola - ça va sans dire - contro i peccatori, gl'idolatri, i deicidi, gli eretici, gli scismatici, gli abortisti, i sodomiti, i nemici di Dio. Le preziose perle di saggezza del Nostro sono riservate a coloro che rimangono fedeli a Cristo ed alla Chiesa. Il testo in inglese è disponibile qui".

PARTE 1 Insulti ed invettive brevi

Vecchie comari
Fomentatori della coprofagia
Specialisti del Logos
Sgranarosari
Funzionari
Assorbiti da se stessi
Neo pelagiani
Prometeici
Restaurazionisti
Cristiani ideologici
Pelagiani
Signor e signora Piagnistei
Trionfalisti
Cristiani inflessibili
Moderni gnostici
Cristiani liquidi
Cristiani superficiali
Schiavi della superficialità
Mummie da museo
Principe rinascimentale
Vescovo da aeroporto
Cortigiano lebbroso
Ideologo
Musilunghi
Facce da funerale
Gnostici
Vescovo carrierista
Scontrosi
Autoritari
Elitari
Pessimisti queruli e disillusi
Cristiani tristi
Cristiani con la faccia da sottaceto
Infantili, timorosi di danzare, di gridare, paurosi di tutto
Che cercano certezza in ogni cosa
Cristiani allergici alla predicazione
Cristiani chiusi, tristi, intrappolati, che non sono Cristiani liberi
Cristiani pagani
Piccoli mostri
Cristiani sconfitti
Che ripetono il Credo pappagallescamente
Cristiani pappagallo
Cristiani con la fede annacquata
Cristiani senza speranza
Battitori da Inquisizione
Seminaristi che stringono i denti aspettando di finire gli studi, che seguono le regole e sorridono, e rivelano l'ipocrisia del clericalismo, uno dei mali peggiori
Ideologi dell'astratto
Fondamentalisti
Preti untuosi e idolatri
Adoratori del dio Narciso
Preti vanitosi e farfalloni
Preti che vendono gomme
Preti magnati
Religiosi che hanno il cuore amaro come l'aceto
Promotori del veleno dell'immanenza
Chiusi nella formalità di una preghiera gelida, avari
Sterili nel loro formalismo
Gente vecchia e nostalgica di strutture e usi che non vivificano più il mondo di oggi
Giovani maniaci della moda
Cristiani da pasticceria
Torte deliziose, leccornie dolci: deliziosi, ma non veri Cristiani
Turisti esistenziali
Cristiani anestetizzati
Cristiani ipocriti interessati soli ai loro formalismi
Malati di accidia
Cristiani accidiosi
Persone senza luce, deprimenti
Egoisti
Autoreferenziali
Banderuole
Marci nel cuore
Deboli fino alla putredine
Dal cuore nero
Cristiani dal cuore debole
Cristiani nemici della Croce di Cristo
Cavillatori moralistici
Contemplativi distanti

________________

PARTE 2 Insulti particolarmente elaborati e prolissi


Si dissimulano, si mimetizzano da brave persone: si presentano come nei santini, con gli occhi rivolti al cielo mentre pregano, dopo essersi accertati che siano visti: credono di essere migliori di altri, che disprezzano.

Io sono un vero Cattolico - dicono - perché mio zio era un gran benefattore, la mia famiglia è così, io sono cosà... Io ho imparato, io conosco questo Vescovo, questo Cardinale, questo sacerdote... Io sono così o cosà... Pensano di esser migliori degli altri: questa è ipocrisia.

Lo penso di molti Cristiani, di molti Cattolici: sì, sono Cattolici, ma senza entusiasmo, amareggiati.
Cristiani che non lasciano spazio alla grazia di Dio: e la vita di questi Cristiani, la vista di questa gente, consiste nell'avere tutti i documenti e i certificati in ordine.

Il teologo soddisfatto perché il suo pensiero è completo e conclusivo è un mediocre.
Il teologo che non prega e non adora Dio finisce per precipitare nel più disgustoso narcisismo.

Questa è una malattia del clero: il narcisismo dei teologi e dei pensatori è dannoso e disgustoso.
Le vostre istituzioni non sono macchine per produrre teologi e filosofi.

Cristiani pipistrelli che preferiscono le ombre alla luce della presenza del Signore.
Cristiani inamidati, troppo educati, che parlano tranquillamente di teologia bevendo il tè.

Conosciamo tantissimi buoni Cattolici, buoni Cristiani, amici e benefattori della Chiesa che - come poi si è saputo - lo facevano per trarne un profitto personale. Si presentavano come benefattori della chiesa e facevano soldi di nascosto.

E nella Chiesa ci sono arrampicatori, gente guidata dalle ambizioni: ce ne sono molti! Ma se ti piace fare l'arrampicatore, arrampicati sulle montagne, che è più sano! Non venire in Chiesa per arrampicarti!
Un semplice gregario in questa setta.

C'è tanta sterilità all'interno della nostra Madre Chiesa: quando a causa del peso della speranza nei Comandamenti,questo pelagianesimo che tutti noi portiamo dentro le nostre ossa, essa diventa sterile. Lei crede di poter dare la vita...no, non può!
Molte volte penso che in alcuni luoghi la Chiesa è più simile a un'imprenditrice che non ad una madre.

Una Chiesa scoraggiata, ansiosa, triste; una Chiesa che sembra più una zitella che una madre; e questa Chiesa non serve a niente, una Chiesa così non è altro che un museo.
Falsi Cristiani: Cristiani truccati, che quando piove gli cola il trucco!

Tanti falsi Cristiani cadono alla prima tentazione.
Apparenze! Cristiani dell'apparenza... sono morti!
La banda degli eletti nel loro microclima ecclesiastico!
Penso a quanti Cristiani preferiscono uno spettacolo al silenzio del Regno di Dio.

I think about how many Christians prefer a spectacle to the silence of the Kingdom of God.

Dobbiamo considerare queste persone che vengono a ricevere un Sacramento come se venissero ad una festa, come a Cana di Galilea, o come se partecipassero ad un concorso, per essere visti, per vanità?

Un Cristiano senza forza, senza fertilità.
Un Cristiano fuori da se stesso, che serve se stesso: la sua è una vita triste, perché spreca tanti doni del Signore.
Pagani con due mani di vernice cristiana, in modo da apparire come i Cristiani, ma ciò nonostante pagani!
Un pastore che apre le porte della Chiesa e rimane lì, ad aspettare, è un pastore triste.

Ci sono Cristiani delle tenebre, che conducono una vita di peccato, una vita lontana dal Signore e che usano queste quattro parole che appartengono al maligno. E poi ci sono i Cristiani della zona grigia, che si barcamenano. La gente dice di loro: Ma questo sta con Dio o col demonio? Mah! Sempre nella zona grigia. Sono tiepidi. Non sono né luce né tenebra. E Dio non li ama. Cristiani che vivono in questo modo, per l'apparenza, la vanità, sembrano pavoni, fanno la ruota come pavoni.

Quanti Cristiani vivono per le apparenze? La loro vita sembra una bolla di sapone. Che bella bolla, eh, con tutti i suoi colori!
Politici corrotti, uomini d'affari corrotti, ecclesiastici corrotti ovunque!

Gli uniformisti, che vogliono uniformare tutto: tutti uguali.
Si chiamano Cristiani, si chiamano Cattolici, ma il loro comportamento rigido li allontana dalla Chiesa.
Uniformisti, alternativisti, interessati!

Truffatori! Abbiamo visto molti di loro: sfilano come benefattori e alla fine, sottobanco, compiono truffe!
Orgogliosi, autoreferenziali, lontani dal popolo, intellettuali aristocratici, che chiudono le loro porte e resistono allo Spirito Santo!
Si credono immortali, immuni da colpa o indispensabili. Una Curia che non critica se stessa, che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un corpo malato.

Diventano spiritualmente e mentalmente induriti. E' pericoloso perdere questa sensibilità umana che permette a ciascuno di piangere con quelli che piangono, e rallegrarsi con coloro che sono felici.

Pianificano troppo. Preparare le cose come si deve è necessario, ma non bisogna cadere nella tentazione di cercare di chiudere o dirigere la libertà dello Spirito Santo, che è più grande e più generoso di ogni piano umano.

Lavorano senza coordinazione, come un'orchestra che produce rumore. Quando il piede dice alla mano Non ho bisogno di te, o la mano dice al cuore Me ne occupo io.

[SM=g1740733] RICORDIAMO CHE: una cosa è usare questi appellativi PATERNI di un Papa per esaminare la propria coscienza e progredire.... altra cosa è quando certi appellativi non sono detti per purificare MA PER DISPREZZARE...



Caterina63
00mercoledì 20 gennaio 2016 13:46

07 anatema1
<header class="entry-header">

ANTICRISTO, SI AVVERA LA PROFEZIA DI SOLOVIËV?

</header>

Buonismo, pacifismo, ecologismo, sincretismo religioso, spiritualismo, ecc., sono termini odierni che ovviamente Soloviëv non ha usato nel suo monumentale I tre dialoghi e i racconti dell’Anticristo, ma la descrizione delle caratteristiche del “presidente degli Stati Uniti d’Europa” (la figura dell’Anticristo che dominerà il mondo, nonché nellaChiesa) rimandano a queste ideologie.

Se c’è un fatto indiscutibile a riguardo di questo Pontificato è che un Papa sta distruggendo letteralmente la Tradizione della Chiesa, magari anche con tante buone intenzioni (la cui strada però conduce nei baratri tenebrosi che la storia sovente ci insegna), ma senza dubbio si stanno stravolgendo gli insegnamenti di ben duemila anni di faticose evangelizzazioni.

Di cosa stiamo parlando? Dell’ennesima bergoglionata, la prima per l’anno 2016, anno della misericordia e del giubileo, un flop senza precedenti, scaturita dalle “buone intenzioni” di Papa Francesco El gesuita.

Per il cristiano deve essere solo Gesù Cristo!
L’unica certezza del cattolico è Gesù Cristo! Il suo Vicario dovrebbe essere il primo a saperlo.

Dovete sapere che L’apostolato della preghiera (AdP) nasce a Vals presso Le Puy, in Francia, il 3 dicembre 1844 per iniziativa del padre gesuita Francesco Saverio Gautrelet. L’attività ha avuto inizio come proposta di una spiritualità apostolica per un gruppo di scolastici (seminaristi) della Compagnia di Gesù, e si è diffusa subito a macchia d’olio nei vari strati della Chiesa. In Italia fu introdotto ben presto dai Barnabiti.  In particolare a Napoli ebbe una grande diffusione ad  opera della Beata Caterina Volpicelli. (vedi qui).

Tutti i Papi, e maggiormente da Pio XII, hanno amato sempre questa iniziativa tanto da “iscriversi” all’AdP e dare essi stessi dei riferimenti precisi per l’intenzione di Preghiera mese dopo mese.

Tanto per fare un esempio, e dare a voi materia per delle ricerche, segnaliamo tre delle Intenzioni che il Santo Padre Benedetto XVI affidò all’Apostolato della Preghiera per l’anno 2011:

Gennaio

Generale: Perché le ricchezze del creato siano preservate, valorizzate e rese disponibili a tutti, come dono prezioso di Dio agli uomini.

Missionaria: Perché i cristiani possano raggiungere la piena unità, testimoniando a tutto il genere umano la paternità universale di Dio e la sua redenzione.

Aprile

Generale: Perché la Chiesa sappia offrire alle nuove generazioni, attraverso l’annuncio credibile del Vangelo, ragioni sempre nuove di vita e di speranza.

Missionaria: Perché i missionari, con la proclamazione del Vangelo e la testimonianza di vita sappiano portare Cristo a quanti ancora non lo conoscono.

Settembre

Generale: Per tutti gli insegnanti, affinché sappiano trasmettere l’amore alla verità ed educare agli autentici valori morali e spirituali.

Missionaria: Perché le comunità cristiane sparse nel continente asiatico proclamino il Vangelo con fervore,testimoniando la bellezza della conversione con la gioia della fede.

Questi esempi per sottolineare la direzione e lo scopo di queste intenzioni di Preghiera da parte dei Papi. Che cosa ha fatto invece El Gesuita diventato Papa? Da quest’anno ha deciso di trasmettere un messaggio video per ogni intenzione del mese e, fin qui, tutto bene, ciò che sconvolge è il contenuto di questo primo video che non promette nulla di buono, potete vederlo integrale cliccando qui, la fonte è ufficiale, il video è ufficiale, mentre cliccando qui troverete una pacata e serena riflessione (con una bella raccolta di testi magisteriali) di Socci sull’argomento, così tanto per capire che laddove non una sola persona ma “tante persone” che iniziano a “sentire” che qualcosa non va, non significa che sbagliano queste persone ma al contrario, nella vita del Vangelo e della primitiva Chiesa significa proprio che il “piccolo gregge” tiene ragione.

Prendiamo la strumentalizzazione della “figliolanza divina” come esempio, qui il Socci lo spiega bene e cattolicamente, anzi, con il catechismo alla mano dice il vero. Si nasce CREATURE DI DIO, ma figli si diventa per adozione quando, appunto, l’uomo si converte a Cristo e si fa battezzare.

Abbiamo una sola ed unica paternità, verissimo! Abbiamo infatti un solo Dio – distinto e non diviso – in Tre Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo, ma nel video il Papa fa intendere ben altro.

Siamo al sincretismo religioso!

Non è un caso se accceniamo all’imperatore Alessandro Savero il quale, regnando nel 222 e il 235 d.C. adorava all’alba nel suo “larario” i ritratti dei suoi lari antenati, le immagini di alcuni imperatori, la figura di Apollonio di Tiana, ma anche le icone di Cristo, Abramo e Orfeo. Un sincretismo – nei primi secoli del cristianesimo – assai diffuso (basti leggere la storia del Pantheon) però non certo per dispute teologiche dottrinali, ma piuttosto per questioni politiche-culturali, multietniche, sociali che vedevano nell’espandersi dell’impero Romano una vera integrazione che sfocia, alla fine, nella conversione alla religione che più si dimostrava vera e autentica: il Cristianesimo. È infatti questo il tempo più propizio alla sua irradiazione nel mondo.

L’aspetto che ci interessa è però che non era il Cristianesimo ad adorare divinità pagane o altre fedi, non era il Cristianesimo a fare sincretismo al contrario, tanto più esso si irradiava nel mondo, tanto più venivano abbandonati gli altri culti. L’era dei Severi fu segnata da un clima di tolleranza religiosa, ben diverso dall’atmosfera che subentrerà con Decio e Valeriano e le loro pesanti repressioni anticristiane del 250 e del 258. Non erano i Papi a mettere sullo stesso piano Cristo e Orfeo…. anzi, questi Papi morivano martiri per negare simili accostamenti.

In questo video Papa Francesco non invita certo ad adorare altre fedi, questo è chiaro! Tuttavia IMPONE ai fedeli cattolici una visione normale e naturale il pregare insieme ad altre fedi e ciò che rende inaccettabile per noi le immagini che si susseguono nel video è quel Bambinello sottoposto ad un sincretismo con le altre fedi, diventando non più IL SEGNO, ma un simbolo di fede come altri.

Il Divino Bambinello infatti non è un “simbolo” come lo è il candelabro, la corona musulmana dei 99 Nomi di Allah o persino la statuetta di Budda (questo si vede nel video), nel Vangelo si parla di SEGNO, come anche la Croce è segno. Il simbolo è qualcosa di più anonimo che può esprimere diverse cose (la croce vuota è anche un simbolo che indica la morte, la sofferenza di Gesù, ma anche la sua gloriosa vittoria e risurrezioine), il segno invece è qualcosa di tangibile, di unico: “giunta la pienezza del tempo Dio mandò il Suo Figlio NATO DA DONNA…” «nei tempi passati Dio parlò molte volte ai nostri padri per mezzo dei profeti; ora invece, in questi tempi che sono gli ultimi, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). Le aspettative messianiche si concentrano in questi «ultimi tempi», espressione che nel linguaggio del Nuovo Testamento indica compimento delle promesse, pienezza, conclusione (Mc 1,15; Gal 4,4; Ef 1,10). Così la professione di fede degli scritti del NT manifesta come lo stesso Gesù Cristo «è» la pienezza dei tempi, colui nel quale si compiono tutte le speranze messianiche contenute nelle antiche tradizioni.

Nel video invece ci viene trasmesso un vangelo diverso (Gal.1,6-10), anzi ci viene imposta una visione diversa: Gesù Cristo è uguale alle altre fedi, è messo sullo stesso piano di Budda il quale, attenzione, non è neppure un dio, non è una divinità, non è una fede!


«Una certa proliferazione di percorsi religiosi di piccoli gruppi o addirittura di singole persone, e il sincretismo religioso possono essere fattori di dispersione e di disimpegno. Un possibile effetto negativo del processo di globalizzazione è la tendenza a favorire tale sincretismo, alimentando forme di “religione” che estraniano le persone le une dalle altre anziché farle incontrare e le allontanano dalla realtà» (Benedetto XVI, Caritas in veritate).

«La Chiesa, inviata alle genti per essere “sacramento universale di salvezza”, all’inizio del terzo millennio –tertio millennio ineunte – continua a percorrere le mille strade del mondo per annunziare ovunque il Vangelo di Gesù, “Via, Verità e Vita” (Gv 14,6). Ammaestrando tutte le nazioni (cfr Mt 28, 19), essa immette nelle culture del mondo il sale della verità e il fuoco della carità con la novità e la salvezza recate da Cristo» (San Giovanni Paolo II, 08-11-2001).


Diciamocelo! Comprendere questo Pontefice non è per nulla facile, la sua doppiezza confonde e disperde, se non ci credete accostate il video a queste parole pronunciate dal Papa un anno fa e dite voi se non c’è confusione, ambiguità:

«Vi è la necessità di un’adeguata formazione affinché, saldi nella propria identità, si possa crescere nella conoscenza reciproca. Bisogna fare attenzione a non cadere nei lacci di un sincretismo conciliante ma, alla fine, vuoto e foriero di un totalitarismo senza valori. Un comodo approccio accomodante, che dice sì a tutto per evitare i problemi, finisce per essere un modo di ingannare l’altro e di negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente» (Papa Francesco, 24-01-2015)

Tra queste parole e il video c’è un punto in comune: ricevere da chi non è cristiano, dei “doni da condividere” e su questo possiamo anche essere d’accordo ma in forza del Battesimo il Cristiano ha ricevuto TUTTI i doni necessari per far fronte alle necessità di questa vita umana intraprendendo quella trascendentale e dunque, alla vita eterna. Al Cristiano autentico non serve affatto un’altra religione per confrontarsi.

È vero che il mondo laicista usa il concetto di religione per imporre la negazione di Dio e dunque è del tutto ragionevole che un Papa cerchi alleanze tra chi pratica una fede per difendere, appunto, la libertà religiosa di tutti, ma le intenzioni del video vanno molto oltre. Pietro non è stato costituito per difendere “tutte le religioni”.

Le parole di Paolo VI contraddicono le imposizioni di Francesco:

«L’arte dell’apostolato è rischiosa. La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all’impegno verso la nostra fede. L’apostolato non può transigere con un compromesso ambiguo rispetto ai principi di pensiero e di azione che devono qualificare la nostra professione cristiana. L’irenismo e il sincretismo sono in fondo forme di scetticismo rispetto alla forza e al contenuto della Parola di Dio, che vogliamo predicare. Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo. E solo chi vive in pienezza la vocazione cristiana può essere immunizzato dal contagio di errori con cui viene a contatto… (…) Dobbiamo ritornare allo studio non già dell’umana eloquenza, o della vana retorica, ma della genuina arte della parola sacra» (Beato Paolo VI,Ecclesiam Suam).

Ma sì, facciamoci la canzonetta, noi cristiani siamo famosi per l’umorismo nostrano di stampo — ma che caso strano di coincidenza — gesuitico. Chiudiamo con le parole usate da Socci che ci stanno assai bene: «Nel video sopra citato i diversi appartenenti alle varie religioni — il prete cattolico è solo uno fra i tanti e come tutti gli altri — alla fine passano dalla credenza nelle loro rispettive divinità alla professione di fede in un generico ed equivoco “amore” che non si sa cosa voglia dire precisamente… è forse quello delle canzonette di Sanremo? Orietta Berti cantava: “L’amore è come l’edera / s’attacca dove muore / quel giorno senza dirmelo / mi hai presa come un fiore…”.».

perciò ecco l'immagine da adottare....


1917261_10208038083100304_870818999240660838_n



ed ora la parola ad un Sacerdote   

__________________________________________________________________________________________________________

di don Mauro Tranquillo

Negli ultimi giorni Papa Bergoglio ci ha regalato un paio di eclatanti interventi contro il concetto stesso di religione rivelata (dire contro la religione cattolica sarebbe ancora riduttivo), esattamente come ci dice san Paolo ai Tessalonicesi: il figlio della perdizione è definito qui adversatur et extollitur supra omne quod dicitur Deus, aut quod colitur: colui che è contrario e s’innalza sopra tutto ciò che è chiamato Dio e che è adorato.

 In effetti il concetto di “religione” (se si può ancora usare questo termine) che emerge dallo scandaloso video di Papa Bergoglio per l’intenzione di preghiera di gennaio potrebbe essere coerentemente condiviso solo da uno dei personaggi che vi appaiono. Abbiamo un ebreo, un musulmano, un prete “cattolico” e una monaca buddista: solo l’ultima di questi, che crede nel nulla immanente, potrebbe condividere l’idea di una religione che non ha più contenuti rivelati ma presuppone una divinità diffusa all’interno dell’uomo, che si può manifestare in forme esteriori totalmente indifferenti e ugualmente valide.

Papa Francesco lo dice esplicitamente: «Molti pensano in modo diverso e sentono in modo diverso, cercano Dio o trovano Dio in modi diversi. In questa moltitudine, in questa ampia gamma di religioni (letteralmente abanico, cioè ventaglio), c’è una sola certezza per noi: tutti siamo figli di Dio». Una sola certezza dunque para todos: la partecipazione alla divinità (che per un cattolico, in senso soprannaturale, sarebbe possibile solo tramite Gesù Cristo e la Chiesa: ma per il Papa evidentemente questa distinzione non conta). È interessante sapere che questa è l’ultima certezza rimasta a uno che dovrebbe insegnare dogmaticamente.

Ogni religione è quindi una valida via essoterica (cioè pubblica, accessibile) per arrivare a questa conoscenza intima dell’indicibile, che non dà certezze se non quella della nostra divinizzazione. Sono concetti di dottrina gnostica più che di semplice ecumenismo “politico”, che sarebbe volto ad ottenere la pace e la pacifica coabitazione delle persone di diverse religioni. Dobbiamo tenere questo ben presente: non si può ridurre il messaggio di Bergoglio a un appello alla serena convivenza, ma vi è un contenuto dottrinale molto preciso, che si manifesta visibilmente nella scena finale, dove i simboli delle “religioni” vengono accostati alla pari.

Un ventaglio di fedi che esprimono la sostanziale divinità nell’uomo e che quindi sono tutte valide vie di incontrare Dio e validi punti di partenza per costruire la nostra “pace”. Tutti uniti nella professione di un indefinita forza “divina” chiamata “amore” dai vari personaggi. Una potenza che si dispiega, come il ventaglio, in tutte le religioni.
Il blasfemo accostamento del Bambino Gesù ai simboli delle altre religioni non è certo una novità: nel 1986 ad Assisi Giovanni Paolo II stava sullo stesso piano dei rappresentanti di tutte le religioni, e così Benedetto XVI nel 2011: ogni fede aveva nelle due occasioni uguale diritto di preghiera o di parola (nel secondo caso, anche i non credenti), era sullo stesso piano perché ugualmente portatrice del “divino”. È bene ricordare questi eventi per non pensare che il disordine nella Chiesa sia stato introdotto tre anni fa da Papa Francesco, che altro non è se non un abile divulgatore di dottrine che dominano gli uomini di Chiesa da decenni.


Se le religioni sono tutte uguali, Papa Francesco ci ha ricordato il 17 gennaio che ce n’è una “più uguale” delle altre, quella cui tutti i potenti devono in qualche modo rendere omaggio pubblico. Nella visita alla Sinagoga Bergoglio (come Giovanni Paolo II nel 1986 e Ratzinger nel 2010) ha fatto la sua professione di fede sui punti fondamentali: «ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio» (se tutti siamo fratelli, il Papa ricorda anche che ci sono i “fratelli maggiori”, i “più fratelli” di tutti, appunto); Nostra Aetate ha definito nuovi rapporti tra ebrei e cristiani, non solo a livello di convivenza ma di dottrina: «la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabilità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele»; «la violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche» (ipse dixit, ormai invece di definire i dogmi della Chiesa, il Papa definisce che cosa crede l’Islam); «sei milioni di persone, solo perché appartenenti al popolo ebraico, sono state vittime della più disumana barbarie»; e soprattutto, non dimentichiamoci che le religioni esoteriche devono fare da motivatore spirituale del nuovo ordine mondiale, mettendo l’accento sui gravi problemi globali che richiedono una nuova coscienza e un governo universale: «non dobbiamo perdere di vista le grandi sfide che il mondo di oggi si trova ad affrontare. Quella di una ecologia integrale è ormai prioritaria, e come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato».


Potremmo dire che questi atti portano all’eresia, ma sarebbe insufficiente e inesatto. L’eresia presuppone la scelta di alcuni dogmi tra tutti quelli rivelati da Dio e il rifiuto di altri. Qui siamo invece al rifiuto del concetto di rivelazione, e alla costruzione di un edificio “religioso” totalmente diverso da quello della Chiesa cattolica e del cristianesimo come inteso per secoli. Se «pur professando la salvezza mediante la fede in Cristo» possiamo credere che Israele possa fare affidamento su sue proprie promesse rifiutando esplicitamente il Cristo stesso, o che ogni religione può portarci all’incontro con Dio, allora nessun dogma ci dirà niente di reale al di fuori di noi stessi; se non c’è al di fuori di noi un ordine conoscibile con certezza, allora non bisogna stupirsi che la CEI di Mons. Galantino se ne freghi del riconoscimento delle coppie di fatto. Come dicono nel video gli illustri rappresentanti del divino, l’importante è che ci sia “l’amore”.






Caterina63
00giovedì 21 gennaio 2016 14:05

  RIFLESSIONI SUL FONDAMENTALISMO: «I MODERNISTI TENTANO DI PRESENTARE IL SOMMO PONTEFICE COME SE FOSSE UNO DI LORO»

Con il Papa attuale i modernisti hanno cambiato tattica. Avendo visto che gli insulti e gli scherni non servono a correggere i Papi, adesso essi ricorrono ad un’altrettanto sfacciata adulazione, per presentare il Papa come uno di loro, approfittando di alcuni suoi gesti, atti o parole, che possono prestarsi all’equivoco o essere male interpretati, mentre il Papa non pare premurarsi di togliere i malintesi, sicché le cattive interpretazioni vengono subito diffuse in tutto il mondo […] Secondo me, il Santo Padre è troppo severo verso itradizionalisti e troppo indulgente verso i modernisti. In tal modo manca di quella imparzialità, che gli si addice come fulcro della comunione ecclesiale […]

Autore Giovanni Cavalcoli OP
Autore
Giovanni Cavalcoli OP

Ogni tanto nella letteratura e nella pubblicistica cattolica compare ancor oggi il rilievo o l’accusa di “fondamentalismo”, come difetto morale o religioso, oltre che metodo esegetico sorpassato. Tale accusa viene lanciata solitamente contro ambienti arretrati e stagnanti, da parte di quei cattolici, che vogliono esser avanzati e fedeli alla Chiesa del nostro tempo.

botero carceriere
Il manganello dei modernisti” – Le foto delle opere qui riprodotte del pittore colombiano Ferdinando Botero [Medellin 1932], sono tratte dalla mostra svoltasi nel 2013 a Palazzo Venezia (Roma)

Questo termine viene usato anche dai modernisti, per denotare con disprezzo i cattolici fermi e saldi nelle loro convinzioni, battaglieri, attaccati al dogma e nemici delle eresie. Possono essere cattolici o più orientati verso la tradizione, come il Servo di Dio Tomas Tyn [cf. QUI], o più aperti al progresso, come Jacques Maritain. Sono oggetto di questi attacchi anche i discepoli dell’Arcivescovo Marcel Lefebvre.

Sulla bocca dei modernisti, capita così che anche i buoni cattolici vengano tacciati di fondamentalismo, e siano accomunati con i lefebvriani, perché gli uni e gli altri ammettono l’eternità e l’immutabilità della verità, a differenza dei modernisti, i quali, come già notava con sdegno San Pio X scrivendo:

«Sono veramente ciechi e guide di ciechi, che, gonfi del superbo nome di scienza, vaneggiano fino al segno di pervertire l’eterno concetto di verità» [Pascendi Dominici Gregis, n.20].

Del termine “fondamentalismo” si sono impossessati in tal modo modernisti, per opporsi non solo ai lefebvriani, ma anche a tutti i buoni cattolici, fedeli al Papa, al Concilio Vaticano II e al Magistero della Chiesa. Per il modernista l’accusa di fondamentalismo è infamante, squalificante ed è una condanna senza appello.

Botero cane
… i modernisti sono giunti all’apice della aggressività, perché ormai insediati nei posti chiave del potere ecclesiastico [opera di Ferdinando Botero]

Si dialoga con l’ateo, col musulmano, col comunista, col mafioso, col massone, col buddista, ma non però con il fondamentalista. I modernisti non si sono peritati di accusare sfacciatamente di fondamentalismo anche i Papi del post-concilio, fino a un grande Papa e teologo progressista come Benedetto XVI, che però ci ha ricordato l’esistenza di « valori non negoziabili». Dunque ancora un fondamentalista.

Con il Papa attuale i modernisti hanno cambiato tattica. Avendo visto che gli insulti e gli scherni non servono a correggere i Papi, adesso essi ricorrono ad un’altrettanto sfacciata adulazione, per presentare il Papa come uno di loro, approfittando di alcuni suoi gesti, atti o parole, che possono prestarsi all’equivoco o essere male interpretati, mentre il Papa non pare premurarsi di togliere i malintesi, sicché le cattive interpretazioni vengono subito diffuse in tutto il mondo, con la conseguenza che si sta approfondendo il solco che divide modernisti dai lefebvriani.

Occorrerebbe che il Papa si adoperasse maggiormenteper la riconciliazione nella Chiesa. Nessun altro all’infuori di lui ha da Dio la capacità, l’autorità e il potere sulla terra di ricomporre l’unità, salvaguardare l’unità, difendere l’unità, favorire e promuovere l’unità. Uno degli scopi del Concilio è stato quello di ricostruire la concordia tra i fratelli divisi e separati. Invece, dopo cinquant’anni di ecumenismo e di iniziative pastorali, non solo non si è ricomposta l’unità fra i cristiani, ma la Chiesa non è mai stata così divisa al suo interno. La concordia si trova sulla base dell’unità della fede in Cristo. Egli è la «pietra angolare» [Ef 2,20: I Pt 2, 6-7], la «roccia» [I Cor 10,4], il «fondamento» [II Tm 2,19], su cui occorre fondarsi [cf Col 2,7] ed occorre costruire.

Sta dunque sommamente a Pietro [Mt 16, 18], ossia al Papa, «porre il fondamento» [I Cor 3,10-11], sicché i discepoli del Signore siano «fondati nella fede» [Col 1,23]. Spetta al Papa chiamare a sé, cioè a Cristo, i figli dispersi e gli uomini smarriti nelle ombre della morte. Nessuno può sostituirsi a lui. Infatti, «quando sono scosse le fondamenta, il giusto che cosa può fare?» [Sal 11,2]. Se il Papa non interviene, chi può sostituirlo? Mons. Lefebvre? Lutero? Rahner?

Il Papa è anche il buon pastore che va in cerca delle pecorelle perdute, avendo compassione per le folle smarrite e senza pastore, conduce il gregge ad ubertosi pascoli e lo difende dai lupi. Come Vicario di Cristo, il Papa sta a fondamento della Chiesa, è punto d’appoggio fondamentale. Quando le fondamenta sono scosse, come oggi, dai poteri satanici; sta a lui, con la forza dello Spirito Santo, rafforzarle e difendere la Chiesa dalle potenze del male.

Secondo me, il Santo Padre è troppo severo verso i tradizionalisti e troppo indulgente verso i modernisti. In tal modo manca di quella imparzialità, che gli si addice come fulcro della comunione ecclesiale, e che gli consentirebbe di operare efficacemente, come gli spetta, per un avvicinamento tra le due tendenze, collegando tra loro le qualità proprie di ciascuna: la tradizione dei tradizionalisti e il progresso dei modernisti. In tal modo si realizzerebbe, nell’unità cattolica, la felicissima formula di Benedetto XVI: «Progresso nella continuità».

“Fondamentalismo”, di per sé, è una bella parola, che significa amore per il fondamento. Un saldo e sicuro fondamento è molto importante nella vita e nel pensiero. Abbiamo bisogno di appoggiarci su di un fondamento. Tutti i grandi filosofi hanno sempre cercato il principio o il fondamento dell’essere, del pensiero e dell’agire. Tuttavia, bisogna che questo fondamento sia autentico e ben distinto da ciò che non lo è o non lo è più. Qui si pone un problema, legato all’origine storica del termine. Esso infatti designa originariamente una setta protestante americana, nata nel XIX secolo, la quale vedeva bensì nella Bibbia il fondamento rivelato della dottrina e della morale, il “fondamento della fede”, ma con un atteggiamento rigido, ingenuo, acritico e a-storico, portato a considerare come Parola di Dio e come princìpi morali assoluti, anche tante idee, istituzioni, usanze, leggi, superati; oppure nomi, fatti o racconti della Scrittura, privi di fondamento storico o di attendibilità scientifica.

botero prete 7
Opera di Fernando Botero

I fondamentalisti si rendevano conto che la Bibbia costituisce per la vita e la salvezza un valore fondamentale, universale, permanente, essenziale ed irrinunciabile. Questo essi cercavano nella Bibbia e, in fondo, a ragione. Ma esageravano nella assolutizzare anche tante forme espressive, modi di pensare, contesti storici, situazioni umane, sistemi politici, prassi giudiziarie, mentalità, usi locali, concezioni primitive, genealogie, tradizioni e pregiudizi popolari, forme artistiche, miti arcaici, notizie geografiche, simboli religiosi, che in realtà nulla avevano a che fare con la divina Rivelazione, ma erano solo il segno e l’impronta contingente e caduca dell’autore umano, del quale Dio si serviva per comunicare la sua Verità. Essi entrarono in polemica con quegli esegeti protestanti liberali e razionalisti, che usavano le nuove scienze bibliche per mettere in dubbio, relativizzare o negare quei dogmi cattolici, che Lutero aveva conservato, come la Trinità, l’Incarnazione, i miracoli di Cristo, la Redenzione espiatrice, l’esistenza del demonio, la risurrezione, la fine del mondo e il giudizio universale. La stessa esegesi cattolica del passato, si potrebbe dire sin dai primi secoli, non è andata esente, fino al Concilio Vaticano II, da questa tendenza, che oggi chiamiamo “fondamentalista”. Per questo tale modo di commentare la Scrittura era considerato “tradizionale” e, pertanto, intoccabile.

Il fenomeno modernista dei tempi di San Pio X avanzò tra le sue istanze quella di un rinnovamento dell’esegesi biblica, che si ispirasse ai progressi compiuti dalle scienze bibliche in Germania nell’Ottocento. Ma il problema era che questi progressi erano utilizzati o nell’interesse del protestantesimo o per dar man forte al razionalismo; per cui i modernisti non seppero separare quei metodi esegetici dalle concezioni erronee, alle quali erano legati. Da qui la condanna della proposta modernista, da intendersi, però, non in quanto riferita alle nuove scienze bibliche, ma in quanto inficiata, come nota San Pio X, da una «critica agnostica, immanentista, evoluzionista» [cf. Pascendi Dominici Gregis, n.66].

botero prete 6
In questa situazione assai difficile ed intricata, si distinse, però, per iniziativa, coraggio, perseveranza e sapienza, il dotto e santo esegeta domenicano francese, il Servo di Dio Padre Marie-Joseph Lagrange, fondatore della Scuola Biblica di Gerusalemme. Egli prese a modello di commentatori della Bibbia i Padri, i Dottori e San Tommaso per l’aspetto spirituale e dogmatico, e i moderni metodi storico-critici, per l’aspetto scientifico. A lui dobbiamo così l’emendamento della proposta modernista, in modo da renderla compatibile con la dottrina della fede, cosicchè l’esegesi cattolica potè iniziare, in un non facile rapporto con la Commissione Biblica, fondata da San Pio X, una prudente assunzione dei metodi esegetici moderni, senza il rischio di incorrere negli errori. Tuttavia, solo col Concilio Vaticano II, in particolare nella Costituzione Dogmatica Dei Verbum, la Chiesa ha accolto pienamente il progetto del Padre Lagrange ed ha soddisfatto a quanto di accettabile c’era nell’istanza dei modernisti, evitando le contaminazioni protestanti e razionaliste. Nel contempo si è cominciato a chiamare “fondamentalismo” il permanere, da certe parti, della vecchia esegesi.

In tal modo la Chiesa ha dimostrato ancora una volta la compatibilità della scienza con la fede. Per la verità, anche gli esegeti liberali, con il loro approccio scientifico alla Scrittura, volevano dimostrare la stessa cosa, contro lo stesso Lutero, notoriamente convinto che la ragione si opponga alla fede. Solo che i protestanti liberali erano infetti da una concezione kantiana, positivista e storicista della ragione e della scienza, e questa grave palla al piede li portò a misconoscere o a ignorare i fondamenti divini della fede, che stavano a cuore ai fondamentalisti, ma soprattutto alla stessa Chiesa Cattolica, ben più attrezzata dei fondamentalisti in fatto di tradizione, e di sapienza filosofica e teologica.

Il fondamentalismo fu in fondo un richiamo alla Sacra Tradizione, in sé giusto. Ma, siccome non fu guidato e illuminato dal Magistero della Chiesa, supremo ed infallibile custode della Tradizione, finì in un conservatorismo bloccato e sterile. Il fondamentalismo è una forma di tradizionalismo diverso da quello lefevriano e da quello tyniano [Cf. G. Cavalcoli, Tomas Tyn. Un tradizionalista post conciliare, Fede&Cultura, Verona 2007]. Si tratta, sostanzialmente, di un movimento protestante, con i difetti caratteristici del protestantesimo. Viceversa, il lefebvrismo è un movimento cattolico, anche se ostile al Concilio Vaticano II e non in piena comunione con la Chiesa. Invece il tradizionalismo di Padre Tyn rispetta il senso giusto della tradizione con una piena obbedienza alle dottrine del Concilio Vaticano II.

botero prete 4
Opera di Fernando Botero

Altro fattore dello slancio, che sconfina nell’aggressività, del fondamentalismo, è un valore in sé autentico, ma impostato o vissuto male, e cioè è la convinzione ferrea che tutti devono abbracciare, per amore o per forza, la nostra fede, essendo quella vera. Questo principio è particolarmente accentuato nell’islam, meno evidente nell’induismo, nel buddismo e nell’ebraismo.

II cristianesimo, invece, accompagna saggiamente una articolata, delicata e accurata opera di persuasione con l’avvertimento caritatevole del castigo divino ultraterreno in caso di rifiuto. Per la sua sicumera e rigidezza, che tende al fanatismo, il fondamentalismo spinge, nella condotta verso gli avversari, ad atti di violenza e di intolleranza, che possono giungere, in casi estremi, per esempio nell’Islamismo, fino al terrorismo.

Il fondamentalismo, purtroppo presente anche nella Chiesa, genera conseguenze incresciose nel campo morale, e nei rapporti e nella convivenza civile ed ecclesiale. Se da una parte mantiene indubbi valori fondamentali, come per esempio la pietà religiosa, l’amore alla Bibbia, la liturgia, l’onestà, la famiglia, l’impegno sociale e nel lavoro, però, dall’altra, essendo il fondamentalista convinto di averesempre Dio con sé o dalla sua parte ― errore, questo, tipico del protestantesimo e di tutti gli eretici ―, è portato a sostenere le sue idee, magari puramente discutibili o addirittura sbagliate, sempre in modo assolutista, perentorio, aggressivo, senza ammette obiezioni e sordo ad ogni confutazione. Scambia la rigidezza per fedeltà alla verità e la duttilità per cedimento all’errore. Per lui il diverso non è un valore da rispettare, ma un nemico da combattere. Non accetta l’incertezza e vuol dar mostra sempre della massima sicurezza. Infatti è convinto che la sua parola coincida con la stessa Parola di Dio, così come nella Bibbia, col pretesto dell’inenarranza, non distingue la vera Parola di Dio dai limiti e dagli errori dell’agiografo. Egli è dalla parte del bene; chi lo contraddice è dalla parte del male. E siccome tra male e bene non c’è mediazione, finisce per disprezzare, come persone incoerenti, opportuniste e doppie, non solo l’avversario aperto, ossia il modernista, ma anche quelle persone benevole, pacifiche e sagge, che, sapendo che in medio stat virtus e rifiutando pertanto gli opposti estremismi, si mantengono, benché siano oggetto di disprezzo da parte delle estreme, in una posizione intermedia o di sintesi, come mediatori di pace, promotori di dialogo e di collegamenti, e fautori di conciliante equilibrio.

botero prete 1
Opera di Fernando Botero

Del resto, lo schema mentale del modernista è lo stesso, anche se di segno opposto; lui è dalla parte del bene; chiunque è antimodernista, sia col Concilio o contro il Concilio non importa, è dalla parte del male. Quindi, anche il modernista non riconosce tra lui e il lefebvrismo nessuna formazione ecclesiale mediatrice, fedele al Magistero, come è quella dei veri cattolici.

A causa del rinascere del modernismo dopo il Concilio, il termine “fondamentalismo” ha cominciato ad avere due sensi: uno, per significare questo permanere della vecchia esegesi ed uno stantio tradizionalismo, duro e aggressivo. E questo è il linguaggio che troviamo nel Magistero. Questa accezione del termine la troviamo, per esempio, in un documento della Commissione Biblica del 1993, «L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa», il quale dedica un paragrafo al tema [pp. 62-65]. Si tratta, in sostanza, come è detto a p. 100, di una «confusione dell’umano col divino, per la quale si considerano come verità rivelata anche gli aspetti contingenti delle espressioni umane». Lo troviamo, per esempio, in queste parole del Papa nell’intervista del 30 novembre scorso rilasciata durante il volo che dall’Africa lo riportava a Roma:

«Noi cattolici ne abbiamo alcuni, non alcuni, tanti, che credono di avere la verità assoluta e vanno avanti sporcando gli altri con la calunnia, con la diffamazione, e fanno male, fanno male. E questo lo dico perché è la mia Chiesa, anche noi, tutti! E si deve combattere. Il fondamentalismo religioso non è religioso. Perché? Perché manca Dio. È idolatrico, come è idolatrico il denaro. Fare politica nel senso di convincere questa gente che ha questa tendenza, è una politica che dobbiamo fare noi leader religiosi. Ma il fondamentalismo che finisce sempre in una tragedia o in reati, è una cosa cattiva, ma ce n’è un po’ in tutte le religioni».

L’altro senso è quello che ho già spiegato, usato dai modernisti per attaccare l’anti-modernismo proprio sia dei cattolici che dei lefevriani. Da queste considerazioni vediamo come il termine “fondamentalismo” è divenuto ambiguo. Il senso nel quale lo usa il Papa non è quello usato dai modernisti, per attaccare cattolici e lefevriani. È possibile che i modernisti credano che il Papa usi il termine nel loro stesso senso. Poveri illusi! E non pensiamo con i lefevriani che il Papa sia un modernista. Mettiamoci il cuore in pace: è un Papa “cattolico”.

Occorre quindi fare molta attenzione nell’uso del termine e nel discernere, quando lo sentiamo pronunciare da altri, per non prendere fischi per fiaschi in una tematica assai importante della nostra vita di fede ed ecclesiale.

Varazze, 19 gennaio 2016








______________________________________________________________________________________________________


_002 introvignata 1
<header class="entry-header">

ED ECCO A VOI PURE L’INTROVIGNATA!

</header>

Giustappunto arriva una bella “introvignata”.

“Introvignare”: voce del verbo fantasticare, arrampicarsi sugli specchi, sognare, immaginare; scegliete voi, divertitevi a trovare il significato più appropriato.

Ci piacciono e ci inducono spesso a tenerezza i vaghi tentativi di Introvigne nell’arrampicarsi sugli specchi per far collimare, sempre, ogni parola che il Papa dice all’interno di una comprensione rigorosamente “cattolica” ed ortodossa. Ci piace perché il suo tentativo è cattolico ed è la mossa più corretta che un cattolico, in questi tempi di chiara confusione, deve intraprendere e deve, se non altro, tentare, un fare sano discernimento, come insegna lo stesso San Paolo. Ma c’è un limite a tutto.

Massimo Introvigne, direttore del CESNUR, e reggente di Alleanza Cattolica.

(Massimo Introvigne, sociologo, direttore del CESNUR, e reggente nazionale di Alleanza Cattolica.)



Se un papa dice che “per me Dio non è cattolico” – vedi qui – va da se che tentare, sempre, dicattolicizzare ogni sua espressione diventa alla fine una burletta, diventa chiaramente incongruenza, diventa l’assurdo, il paradosso.

È il caso dell’udienza generale di mercoledì 20 gennaio quando il papa ha detto: «L’unità è possibile se si fonda sul Battesimo», in occasione appunto della Settimana di Preghiera per l’unità dei Cristiani, concetti già espressi da Bergoglio quando è andato in visita alla comunità luterana di Roma e dove qui la tastiera brillante di Sandro Magister, ha riportato una serena e lucida riflessione.

Veniamo al sodo e davvero brevemente, cercando di spiegare perché, l’espressione del Papa non è affatto felice e neppure cattolica.

Scorrendo il Catechismo e il Magistero della Chiesa la frase è infelice perché l’essere “cristiani” appunto, avere cioè questo titolo, deriva proprio dall’aver ricevuto il Battesimo, senza il Battesimo non si può essere chiamati “cristiani”. E qui ci fermiamo solo all’uso del termine senza andare ad indagare poi chi si comporterà da cristiano e chi non.

Su cosa si fonda allora questa unità? SU TUTTI E SETTE I SACRAMENTI!

E chi lo dice? L’insegnamento bimillenario della Chiesa e lo specifica Benedetto XVI nella stracciata e dimenticataSacramentum Caritatis – vedi qui – dove dice:

«La Chiesa si riceve e insieme si esprime nei sette Sacramenti, attraverso i quali la grazia di Dio influenza concretamente l’esistenza dei fedeli affinché tutta la vita, redenta da Cristo, diventi culto gradito a Dio» (n.16).

Anche se il Papa ci sta imponendo delle novità eterodosse (che non è un termine offensivo ma significa “differente-diverso”, dottrina diversa), è imbarazzante scoprire che Introvigne possa aver dimenticato questa Esortazione apostolica… Infatti il Battesimo è senza dubbio il fondamento che la Chiesa definisce “introduzione” alla vita cristiana, il Battesimo introduce e i protestanti, seppur introdotti mediante il Battesimo a questa vita, si sono separati rifiutando gli altri Sacramenti della vita cristiana. Hanno rigettato il Sacerdozio dal quale ci giungono i Sacramenti preziosi della Confessione e dell’Eucaristia, della Cresima e del Matrimonio…. senza questi Sacramenti, senza l’Eucaristia (sacramento di COMUNIONE) non vi è affatto alcun fondamento per l’unità.

La stessa insistenza dei protestanti (e degli apostati cattolici) nel pretendere la “Comunione” a tutti i costi, la dice lunga di come la pensano e di come hanno ben compreso che Sacramento effettivo dell’unità è L’EUCARISTIA e non il Battesimo.

Introvigne fa passare poi l’espressione di Papa Francesco quasi fosse una novità ben dimenticando che da 1500 anni almeno la Chiesa aveva risolto la questione del Battesimo affermando che, questo Sacramento, poteva darlo chiunque purché detto e dato alle condizioni della Chiesa e secondo le di lei ortodosse espressioni teologiche (dato con l’acqua e nella formula trinitaria) ed intenzione.

Il problema perciò non sta nel Battesimo che è infatti il primo Sacramento per accedere all’unità, ma nell’Eucaristia… un problema affrontato da san Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica – Ecclesia de Eucharistia, vedi qui – che, infatti, scandalizzò a suo tempo il mondo protestante e catto-modernista a causa di alcune dichiarazioni attraverso le quali il Santo Pontefice chiuse definitivamente ogni tentativo modernista verso l’intercomunione con i protestanti.

Leggiamo infatti da Ecclesia de Eucharistia:

«Se in nessun caso è legittima la concelebrazione in mancanza della piena comunione, non accade lo stesso rispetto all’amministrazione dell’Eucaristia, in circostanze speciali, a singole persone appartenenti a Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica. In questo caso, infatti, l’obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza di singoli fedeli, non di realizzare una inter-comunione, impossibile fintanto che non siano appieno annodati i legami visibili della comunione ecclesiale».

Ma come ci informa Sandro Magister qui, questo rispetto non solo è venuto meno ma si sta imponendo sfacciatamente sotto questo pontificato confusionario quasi avesse la benedizione di Papa Francesco, quasi e come se bastasse il Battesimo per esprimere questa comunione. Come può Introvigne essere cieco di fronte a questa enciclica di Giovanni Paolo II? Come ha fatto a dimenticarla?

C’è solo una spiegazione plausibile: questo pontificato sta introducendo quanto i suoi Predecessori avevano espressamente condannato. Stiamo assistendo ad una rottura integrale non solo della pastorale, ma attraverso questa pastorale buonista si viene meno anche alle normative stabilite dai Pontefici passati a salvaguardia del minimo indispensabile per salvaguardare la vera integrità ed unità della Chiesa e per dirsi “cattolici”.

CATTOLICI e già… un termine che a questo Pontefice proprio non piace, altrimenti non avrebbe mai detto che “Dio non è cattolico”.Se Dio non è cattolico a questo punto – per fare questa unità – non è necessario diventare cattolici, questo lo capirebbe anche un bambino.


Benedetto XV, papa dal 1914 al 1922.
Benedetto XV, papa dal 1914 al 1922.

Ma Papa Francesco, e lo stesso Introvigne, dimenticano un insegnamento di Benedetto XV il quale rifacendosi alle parole del Simbolo Athanasiano, nella sua enciclica Ad beatissimi apostolorum, così scriveva:

“Vogliamo pure che i nostri si guardino da quegli appellativi, di cui si è cominciato a fare uso recentemente per distinguere cattolici da cattolici; e procurino di evitarli non solo come « profane novità di parole », che non corrispondono né alla verità, né alla giustizia, ma anche perché ne nascono fra i cattolici grave agitazione e grande confusione. Il cattolicesimo, in ciò che gli è essenziale, non può ammettere né il più né il meno: «Questa è la fede cattolica; chi non la crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo»; o si professa intero, o non si professa assolutamente. Non vi è dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicesimo; a ciascuno basti dire così: «Cristiano è il mio nome, e cattolico il mio cognome»; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina”.

Senza tirarla ancora per le lunghe concludiamo, facendo nostre, anche quest’altre parole di Benedetto XV:

Né soltanto desideriamo che i cattolici rifuggano dagli errori dei Modernisti, ma anche dalle tendenze dei medesimi, e dal cosiddetto spirito modernistico; dal quale chi rimane infetto, subito respinge con nausea tutto ciò che sappia di antico, e si fa avido ricercatore di novità in ogni singola cosa, nel modo di parlare delle cose divine, nella celebrazione del sacro culto, nelle istituzioni cattoliche e perfino nell’esercizio privato della pietà. Vogliamo adunque che rimanga intatta la nota antica legge: «Nulla si innovi, se non ciò che è stato tramandato»; la quale legge, mentre da una parte deve inviolabilmente osservarsi nelle cose di Fede, deve dall’altra servire di norma anche in tutto ciò che va soggetto a mutamento, benché anche in questo valga generalmente la regola: «Non cose nuove, ma in modo nuovo»” (Benedetto XV, Ad beatissimi apostolorum,1.11.1914)

E allora, invece di affermare che: «L’unità è possibile se si fonda sul Battesimo», si dica più cattolicamente, ed onestamente, chel’unità è possibile solo se, dopo aver ricevuto il santo Battesimo, ci si prodiga nel riconoscere tutti e sette i Sacramenti applicati dal Depositum fidei e dalla autentica Tradizione della Chiesa.












 

Caterina63
00giovedì 21 gennaio 2016 14:28

  In Vaticano c'è un "Sismografo" che provoca piccoli terremoti


L'ultimo incidente è su come Francesco interpreta e attua il Concilio Vaticano II. La "scuola di Bologna" canta vittoria. Ma due lettere del papa dicono l'opposto 

di Sandro Magister - 20.1.2016




ROMA, 20 gennaio 2016 – L'incidente è scivolato via senza far rumore. Ma non è di poco conto. Ha per oggetto nientemeno che l'ermeneutica con cui papa Francesco interpreta e attua il Concilio Vaticano II.

Ne sono stati protagonisti:

- Luis Badilla Morales, direttore del sito vaticano "Il Sismografo";
- Massimo Faggioli, storico della Chiesa ed esponente di spicco della celebre "scuola di Bologna", quella secondo cui il Concilio ha segnato una "rottura" e un "nuovo inizio" nella storia della Chiesa;
- e l'arcivescovo Agostino Marchetto, già diplomatico e alto dirigente di curia, il maggior critico dell'interpretazione "bolognese" del Vaticano II, nonché amico di lunga data di Jorge Mario Bergoglio.

La scintilla è scoccata giovedì 14 gennaio, quando "Il Sismografo" ha pubblicato una entusiastica intervista con Faggioli, firmata da Badilla e dall'altro curatore del sito Francesco Gagliano:

> Faggioli: "Papa Francesco…"

In essa Faggioli sostiene che papa Francesco "parla pochissimo del Concilio", però "lo fa, lo applica costantemente, e la cosa più affascinante è che non ha mai mostrato interesse nella questione ermeneutica del Concilio".

Francesco, infatti – a detta di Faggioli –, "è il primo papa che non ha incertezze su come il Concilio debba essere interpretato", perché il suo pensiero è il seguente: il Concilio "ora l'abbiamo in mano noi e lo interpretiamo noi, senza riaprire controversie di trenta o quarant'anni fa".

Naturalmente, l'entusiasmo di Faggioli e dei suoi intervistatori si spiega perché identificano l'interpretazione di Francesco del Vaticano II con quella della "scuola di Bologna".

C'era quindi da aspettarsi che scattasse una reazione da parte del critico più sistematico dell'interpretazione "bolognese", che è Marchetto.

E infatti, meno di tre ore dopo, su "Il Sismografo" è comparsa una replica di Marchetto, nella quale egli respinge come "non vera" l'affermazione secondo cui papa Francesco "non ha mai mostrato interesse nella questione ermeneutica del Concilio".

A riprova di ciò Marchetto ha allegato due lettere che Francesco gli ha scritto e "ha voluto fossero lette pubblicamente".

Nella prima di esse il papa lo ringrazia per avergli corretto "un errore o imprecisione da parte mia"; si felicita con lui per "la sua purezza negli studi fatti sul Concilio Vaticano II" e per l'amore dimostrato per "la Santa Madre Chiesa gerarchica"; e infine lo definisce "il migliore ermeneuta del Concilio":

> Mons. Marchetto e l'intervista con il prof. Faggioli

Le due lettere del papa, peraltro già note, sono riprodotte integralmente più sotto. Ma per meglio comprendere la portata dell'incidente è utile prima richiamare altri dati.

*

"Il Sismografo" non figura tra le voci ufficiali della Santa Sede. Ma è una sua emanazione. È diretto e curato da giornalisti della Radio Vaticana e ricade sotto la supervisione della segreteria di Stato, almeno fino a quando tale incombenza passerà alla neonata segreteria per la comunicazione presieduta da monsignor Dario Viganò, già direttore del Centro Televisivo Vaticano.

La ragion d'essere de "Il Sismografo" è di rilanciare a getto continuo, nel loro testo integrale, gli articoli riguardanti il papa e la Santa Sede che escono sui media di tutto il mondo, cattolici e non, parecchie decine ogni giorno, in varie lingue: italiana, inglese, francese, spagnola, portoghese.

Il tutto, fino a qualche tempo fa, senza commenti, anche per articoli molto critici dell'attuale pontificato.

Ma da alcuni mesi le cose sono cambiate. Luis Badilla Morales, il principale curatore del sito, interviene sempre più spesso con suoi commenti firmati, tutt'altro che neutrali.

Badilla è cileno. È stato ministro del governo di Salvador Allende e dopo il colpo di Stato del 1973 emigrò come esule in Europa. Da molti anni lavora alla Radio Vaticana. Ha lui in cura fin dall'inizio "Il Sismografo" e da qualche mese è anche onnipresente sugli schermi di TV 2000, l'emittente televisiva della conferenza episcopale italiana.

Gli interventi di Badilla su "Il Sismografo" sono stati particolarmente frequenti durante il sinodo dello scorso ottobre. E schierati.

Dapprima Badilla ha rilanciato senza commenti, l'8 ottobre, la rivelazione fatta dal vaticanista Andrea Tornielli su "La Stampa" e su "Vatican Insider" di una presunta cospirazione antipapale ad opera di "tredici cardinali e vescovi":

> Sinodo pilotato, l'accusa di 13 prelati. Il papa replica: basta logiche cospirative

Ma poi, da quando il 12 ottobre www.chiesa ha smontato la tesi della cospirazione pubblicando la lettera scritta al papa dai tredici cardinali e i loro nomi, Badilla non si è più trattenuto. È intervenuto più volte su "Il Sismografo" con suoi commenti personali molto polemici con i porporati firmatari della lettera, che nel sinodo erano tra i più decisi nel contrastare i cambiamenti di dottrina e di prassi in materia di matrimonio.

E dagli Stati Uniti il professor Faggioli – che insegna storia del cristianesimo alla University of St. Thomas di Minneapolis e teologia alla Villanova University di Philadelphia – gli ha dato manforte, con attacchi ancor più virulenti e diretti, fino a reclamare la galera per uno dei tredici, il cardinale Robert Sarah, reo d'aver tenuto nell'aula sinodale "discorsi che avrebbero avuto rilievo penale in alcune democrazie occidentali".

L'articolo di Faggioli contenente questa perla, uscito su "Huffington Post", è stato puntualmente rilanciato da Badilla su "Il Sismografo", senza che minimamente si indebolisse il sodalizio tra i due.

Anzi. Il sodalizio è culminato appunto nell'intervista di pochi giorni fa, introdotta da un peana di Badilla a Faggioli, magnificato "per la sua intensa, tempestiva e acuta attività giornalistica su diverse testate", oltre che naturalmente per "la sua solida formazione di storico non solo della Chiesa".

Che un sito semiufficiale come "Il Sismografo", la cui costitutiva ragion d'essere sarebbe l'imparzialità, si sbilanci oggi con simili schieratissime scorrerie, è una questione che sarà sicuramente presa in esame, nel riordino che è in corso tra i mezzi d'informazione vaticani.

*

Ma intanto è venuta più che mai allo scoperto la questione su come papa Francesco interpreta il Concilio Vaticano II.

Il 15 gennaio, il giorno dopo lo scontro tra Faggioli e Marchetto, "Il Sismografo" è tornato sul tema rilanciando, senza commenti, la presa di posizione di un teologo italiano famoso, Andrea Grillo, docente al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo, tutta a favore del primo e contro il secondo, e persino derisoria delle due lettere papali, declassate a insignificanti "lettere di curia":

> Francesco "non tradizionalista" e "post-liberale". A proposito di una disputa tra Faggioli e Marchetto

In effetti, nelle parole e nei gesti di Francesco è facile trovare appigli che avvalorino la sua prossimità alle tesi della "scuola di Bologna".

Uno di questi appigli è la definizione che Bergoglio ha dato del Concilio nell'intervista fiume a "La Civiltà Cattolica" del settembre 2013: "un servizio al popolo" consistente in "una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea".

Ma dopo che quell'intervista uscì, ci fu chi fece notare confidenzialmente al papa che ridurre il Concilio a tali concetti era per lo meno "impreciso", se non "errato".

E fu proprio Marchetto a fare questo passo. Tra lui e Bergoglio c'era da anni una grande confidenza, con reciproca stima. Marchetto abita a Roma nella casa del clero di via della Scrofa, nella stanza 204 che è adiacente alla 203 nella quale alloggiava l'allora arcivescovo di Buenos Aires nelle sue trasferte romane.

Papa Francesco non solo ascoltò le critiche dell'amico, ma le accolse volentieri. Al punto da ringraziarlo per iscritto della "correzione", nella prima delle due lettere riprodotte più sotto, e da autorizzarlo a rendere pubblica l'intera missiva: cosa che Marchetto fece il 12 novembre 2013.

Ma nonostante ciò i "bolognesi" non si arresero. Il loro attuale numero uno, lo storico della Chiesa Alberto Melloni, continua tuttora a tirare Francesco dalla sua parte, specie dopo che il papa ha nominato a Palermo come nuovo arcivescovo Corrado Lorefice, autore di un volume sul ruolo in Concilio di don Giuseppe Dossetti e del cardinale Giacomo Lercaro, rispettivamente fondatore e patrono della "scuola di Bologna".

Non solo. Melloni ha cominciato a diffondere l'ardita tesi che anche Paolo VI – fino a ieri la bestia nera dei "bolognesi" – alla fin fine era un estimatore di Dossetti e delle sue battaglie conciliari all'ultimo voto, in vista della creazione di una nuova Chiesa "sinodale".

Quando Melloni, il 21 ottobre del 2014, si produsse sul "Corriere della Sera" in simili tesi, Marchetto gli replicò sfoderando contro di lui i diari inediti del segretario generale del Concilio, Pericle Felici, da cui risultava inequivocabile l'avversione di Paolo VI per le manovre di Dossetti:

> Melloni tira Paolo VI dalla sua, ma Marchetto lo prende in castagna

Sui diari di Felici Marchetto stava in quel momento lavorando a fondo, in vista della loro pubblicazione. Che in effetti è avvenuta lo scorso novembre:

Vincenzo Carbone, "Il 'diario' conciliare di monsignor Pericle Felici", a cura di Agostino Marchetto, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2015, pp. 596, euro 40,00.

I diari di Felici sono una miniera straordinaria per una ricostruzione equilibrata della vicenda conciliare. Basti citarne qui tre passaggi, tutti del 1963.

Il primo:

"Quando vennero scelti i Moderatori nelle persone dei cardinali Agagianan, Lercaro, Döpfner e Suenens, io mi permisi di far presente al card. segretario di Stato (Amleto Cicognani) come alcuni di essi fossero dichiaratamente uomini di parte, e quindi poco adatti a 'moderari'. Il Segretario di Stato mi rispose con un certo risentimento. Ma a conti fatti, dopo esperienze dolorose, fu lui il primo a riconoscere lo sbaglio fatto nella scelta delle persone".

Il secondo:

"Purtroppo i Moderatori hanno seguito non una volta sola vie poco prudenti. Hanno incominciato a far da sé, mettendo da parte la Segreteria Generale e servendosi dell’opera di don Dossetti, che il card. Lercaro ha presentato come Segretario dei Moderatori. Ho lasciato fare, finché il nodo non è venuto al pettine… Ho allora protestato con il card. Agagianan, affermando che il Segretario dei Moderatori, a norma del Regolamento, era il Segretario Generale ed io non ammettevo sostituti, se non per volontà del Papa, e ritenevo nullo quanto fino allora fatto da don Dossetti. Lo stesso dissi al card. Döpfner. Il Papa, da me informato della cosa, disse categoricamente che non voleva don Dossetti a quel posto; se ne tornasse anzi a Bologna".

Il terzo:

"Vale la pena di ricordare quanto io abbia dovuto lavorare perché nella formula di approvazione dei decreti, da parte del Papa, non entrassero quei concetti di falsa collegialità, che erano stati oggetto della votazione del 30 ottobre. Si voleva ridurre il Papa ad uno che consentiva a quanto deciso. Il Papa, cui riferii la cosa, osservò: 'Ma sono loro che devono consentire con me, non io con loro!'. 'Optime dictum!'".

Lo scorso 23 giugno papa Francesco ha ricevuto in udienza privata Melloni assieme a una rappresentanza dell'istituto bolognese da lui diretto, facendo di nuovo credere a costoro di essere dalla loro parte.

Ma pochi mesi dopo, il 9 novembre, Bergoglio ha scritto a Marchetto la seconda delle lettere qui sotto riprodotte, che comincia proprio con un caloroso plauso per la sua pubblicazione dei diari di Felici, cioè proprio di quanto di più radicalmente opposto vi sia ai teoremi del Vaticano II come "rottura" e "nuovo inizio".

L'enigma di come Francesco interpreti il Concilio e lo voglia attuare continua a restare irrisolto.

__________



LETTERA DEL 7 OTTOBRE 2013


Caro Mons. Marchetto,

Con queste righe desidero farmi a Lei vicino e unirmi all'atto di  presentazione del libro: "Primato pontificio ed episcopato. Dal primo millennio al Concilio ecumenico Vaticano II". Le chiedo che mi senta spiritualmente presente.

La tematica del libro è un omaggio all'amore che Ella porta alla Chiesa, un amore leale e al tempo stesso poetico. La lealtà e la poesia non sono oggetto di commercio: non si comprano né si vendono, sono semplicemente virtù radicate in un cuore di figlio che sente la Chiesa come Madre; o per essere più preciso, e dirlo con "aria" ignaziana di  famiglia, come "la Santa Madre Chiesa gerarchica".

Questo amore Lei lo ha manifestato in molti modi, incluso correggendo un errore o imprecisione da parte mia, – e di ciò La  ringrazio di cuore –, ma soprattutto si é manifestato in tutta la sua purezza negli studi fatti sul Concilio Vaticano II.

Una volta Le ho detto, caro Mons. Marchetto, e oggi desidero ripeterlo, che La considero  il migliore ermeneuta del Concilio Vaticano II. So che è un dono di Dio, ma so anche che Ella lo ha fatto fruttificare.

Le sono grato per tutto il bene che Lei ci fa con la sua testimonianza di amore alla Chiesa e chiedo al Signore che ne sia ricompensato abbondantemente.

Le chiedo per favore che non si dimentichi di pregare per me. Che Gesù La benedica e la Vergine Santa La protegga.

Fraternamente,

Francesco

Dal Vaticano, 7 ottobre 2013

*


LETTERA  DEL 9 NOVEMBRE 2015


A Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Agostino Marchetto
Arcivescovo titolare di Astigi

Cara Eccellenza,

desidero farLe pervenire il mio cordiale saluto in occasione della presentazione del libro da Lei curato dal titolo: "Il 'Diario' conciliare di Mons. Pericle Felici, Segretario Generale del Concilio Ecumenico Vaticano II". La prego di sentirmi spiritualmente vicino a Lei in questa circostanza.

Lo studio che ha compiuto consente di approfondire la conoscenza del Concilio attraverso una fonte assai qualificata, quale fu il suo Segretario Generale, di scoprire aspetti e particolari sempre nuovi, che ci aiutano ad apprezzare meglio questo grande dono che il Signore ha fatto alla Chiesa.

La sua opera permette, peraltro, di conoscere, come Lei ha detto, la storia di un'amicizia con Dio in Cristo nello Spirito Santo, quale fu quella dell'allora Mons. Felici, diventato poi Cardinale, che animò il suo servizio ecclesiale, vissuto con amore, silenziosa dedizione e piena disponibilità anche nei momenti di particolare difficoltà. Tutto questo aiuta, edifica e sostiene nel comune e quotidiano impegno per la Chiesa e a maggior gloria di Dio.

Il suo volume è solo l'ultimo frutto di un più ampio ed insigne studio ermeneutico, che dura già da alcuni anni. Mi congratulo con Lei, cara Eccellenza, e La ringrazio per il suo lavoro che continua a svolgere con competenza, serietà e grande generosità. Che il Signore La ricompensi abbondantemente!

Nel ricordarLe con affettuosa riconoscenza al Signore, Le chiedo, per favore, di continuare a pregare per me.

Fraternamente,

Francesco

Dal Vaticano, 9 novembre 2015

__________


Per pacificare la polemica accesa da loro stessi su "Il Sismografo", Luis Badilla e Francesco Gagliano hanno poi offerto a monsignor Marchetto una ulteriore tribuna esplicativa, sottoponendogli cinque domande sulla "interpretazione e applicazione" del magistero conciliare.

Marchetto ha accolto l'invito e "Il Sismografo" ha pubblicato le sue risposte il 18 gennaio, accompagnandole con una biografia del prelato:

> Mons. Agostino Marchetto: "Il Concilio…"

__________



Caterina63
00martedì 26 gennaio 2016 12:29
010 lutero2

<header class="entry-header">

CREDETE LA CHIESA DOPPIA, PROTESTANTE E LUTERANA?


</header>

Dal febbraio-marzo 2013 ciò che era impensabile è diventato realtà.

Il Credo Apostolico non lo abbiamo cambiato noi, nel titolo, e neppure è provocatorio, ma una realizzazione di un piano studiato a tavolino e che si sta compiendo sotto i nostri occhi.

Ritratto di Benedetto XV (1914-1922).
Benedetto XV (1914-1922).

Non è questo l’ecumenismo portato avanti dalla Chiesa Cattolica quando, papa Benedetto XV ammoniva centodue anni or sono:

«Del resto, dai nostri che si sono dedicati al comune vantaggio della causa cattolica, ben altro richiede oggidì la Chiesa che il persistere troppo a lungo in questioni da cui non si trae nessun utile: richiede invece che si sforzino a tutto potere di conservare integra la Fede ed incolume da ogni alito d’errore, seguendo specialmente le orme di colui che Cristo costituì custode ed interprete della verità. Vi sono oggi pure, e non sono scarsi, coloro i quali, come dice l’Apostolo: “Stimolati nell’orecchio, e non sostenuti da una sana dottrina, ammucchiano le parole dei maestri secondo i propri desideri e dalle verità si sviano e si lasciano convertire dalle parole” (II Tim. IV, 3, 4). Infatti tronfi ed imbaldanziti per il grande concetto che hanno dell’umano pensiero, il quale in verità ha raggiunto, la Dio mercè, incredibili progressi nello studio della natura, alcuni, confidando nel proprio giudizio in ispregio dell’autorità della Chiesa, giunsero a tal punto di temerità che non esitarono a voler misurare colla loro intelligenza perfino le profondità dei divini misteri e tutte le verità rivelate, e a volerle adattare al gusto dei nostri tempi. Sorsero di conseguenza i mostruosi errori del Modernismo, che il Nostro Predecessore giustamente dichiarò “sintesi di tutte le eresie” condannandolo solennemente. Tale condanna, o Venerabili Fratelli, noi qui rinnoviamo in tutta la sua estensione; e poiché un così pestifero contagio non e stato ancora del tutto sradicato, ma, sebbene latente, serpeggia tuttora qua e là, Noi esortiamo che guardisi ognuno con cura dal pericolo di contagio… “Nulla si rinnova, se non ciò che è stato, tramandato”; la quale legge, mentre da una parte deve inviolabilmente osservarsi nelle cose di Fede, deve dall’altra servire di norma anche in tutto ciò che va soggetto a mutamento; benché anche in questo valga generalmente la regola: “Non nova, sed noviter”» (Ad Beatissimi apostolorum – 1° novembre 1914).

E mentre centodue anni fa la Chiesa metteva in guardia da questo spirito modernista oggi, il 31 ottobre prossimo alla vigilia della Festa di Ognissanti, mentre in Svezia è Halloween (che non vuol dire più la stessa cosa), il Papa andrà a  festeggiare i 500 anni della “riforma” protestante, andrà a festeggiare Lutero e non è da escludere una qualche sorpresa di tipo canonizzazione equipollente per Martin Luther.

Cliccare per ingrandire
Cliccare per ingrandire


Pensiamo male? Siamo irriverenti verso il Santo Padre? NO! Siamo realisti e ve lo proviamo.

Il 10 dicembre scorso usciva un Comunicato della Sala Stampa (Vaticana) che amareggiò molti cuori perché, nel cancellare la prevista visita del papa a Milano per il maggio prossimo, fu anche specificato che c’era un categorico: Rinvio delle visite pastorali del Papa in Italia durante il Giubileo – vedi qui – e la motivazione fu che il papa era affaticato e molto impegnato, in san Pietro, per le visite e gli impegni previsti per il giubileo.

Nessuno l’ha bevuta, chiarissimo piuttosto il messaggio che a questo papa non piacciono proprio i vescovi italiani (e quiabbiamo spiegato i motivi) e forse anche gli italiani…

Al di la di ogni interpretazione lecita e legittima, ciò che preme a noi è ben altro. Il 2017, anzi già da maggio 2016, inizierebbero piuttosto le celebrazioni per il Centenario della Apparizioni di Fatima, celebrazioni per le quali la Chiesa non ha ancora annunciato alcun programma ma che fu chiaro quando Benedetto XVI fece intendere che non avrebbe partecipato ai “festeggiamenti” luterani mentre sollecitava la Chiesa intera a prepararsi bene per il Centenario di Fatima.

Kurth Koch
Kurth Koch

E – udite, udite – fu proprio il cardinale Koch a dare questo comunicato ufficiale nel dicembre 2012:

Benedetto XVI non si recherà in Germania in occasione delle celebrazioni dei 500 anni della Riforma di Martin Lutero, annunciata con l’affissione delle sue 95 tesi il 31 ottobre 1517 sul portale della chiesa di Wittenberg. Lo conferma allaFrankfurter Allgemeine Zeitung (Faz) il cardinale svizzero Kurt Koch, che dal 2010 è presidente del Consiglio papale [Prefetto del Pontificio Consiglio] per l’unità dei cristiani. «Per la Chiesa cattolica non c’è nulla da festeggiare», dichiara il porporato alla Faz, sottolineando che «l’aspirazione di Lutero non è riuscita. Si sono formate Chiese autonome e si sono svolte spaventose guerre di religione con conseguenze fatali per l’intera Europa. Come festeggiare?».

Dunque: «Per la Chiesa cattolica non c’è nulla da festeggiare» diceva all’epoca il cardinale Koch. Che cosa è cambiato oggi?

È cambiato il Papa e sta cambiando la Chiesa.

Del resto un papa che dice che “Dio non è cattolico” era ovvio che prima o poi anche la Chiesa avrebbe smesso di essere “cattolica” –vedi qui – ma, ci chiediamo, come può la Chiesa cambiare parere così in fretta? da un «Per la Chiesa cattolica non c’è nulla da festeggiare»… siamo passati a: Concentrandosi insieme su “centralità della questione di Dio” e su un “approccio cristocentrico”, afferma il cardinale Koch, le due comunità avranno la possibilità di celebrare la commemorazione ecumenica della Riforma “non semplicemente in modo pragmatico, ma con un senso profondo della fede in Cristo crocifisso e risorto” – vedi qui il comunicato -.

Siamo allora ad una commemorazione ecumenica della “riforma” e cosa ci sarebbe di sbagliato? Innanzi tutto è sbagliato parlare di RIFORMA perché in tal senso si lascia passare indisturbato la falsa interpretazione che fu Lutero a “riformare” la Chiesa mentre si tace che la vera Riforma di quegli anni fu il Concilio di Trento. La vera commemorazione sta, perciò, non nel festeggiare la “riforma” di Lutero ma il Concilio di Trento! La fede in Cristo Crocifisso e Risorto, infatti, fu saldamente confermata, difesa e consolidata proprio grazie al Concilio tridentino contro il luteranesimo che non fu affatto uno “scisma” ma una vera eresia. Essi furono orgogliosi a quel tempo di chiamarsi PROTESTANTI perché, infatti, protestarono contro la Santa Madre Chiesa, solo al finire del ‘700 si resero conto che il termine non portava ad alcuna comprensione logica e si chiamarono “evangelici” iniziando a parlare non più di protesta ma di scisma.

Lo scisma infatti lo pratica chi seppur sostenendo delle eresie o pretendendo di modificare qualcosa nella Chiesa, compie atti contro l’autorità gerarchica della Chiesa, pur rimanendo in qualche modo legata ad essa, ma Lutero e la sua Banda Bassotti andarono ben oltre lo scisma perché le loro comunità vivono non della dottrina della Chiesa ma proprio su eresie cristologiche inventate a tavolino quali, ad esempio, il rinnegamento del sacerdozio, della Santa Messa e di cosa avviene durante la consacrazione, rinnegamento della Presenza reale, rinnegamento del matrimonio in quanto Sacramento, rinnegamento degli altri Sacramenti, rinnegamento del Purgatorio, della venerazione alla Madre di Dio e dei Santi.

«Per la Chiesa cattolica non c’è nulla da festeggiare» eppure l’ecumania è riuscita nel suo intento. Da che non vi fosse nulla da festeggiare di questa “riforma”, siamo arrivati al fatto che un papa vi andrà e per ribadire che cosa? I tre Sola di luterana memoria:SOLA SCRIPTURA, SOLO CHRISTO, SOLA FIDEI portati all’estremo, privati dei sette Sacramenti integrali, privati di Maria Santissima, per la quale funzione ecumenica Ella, Madre di Dio, sarà la grande assente per non urtare la sensibilità dei poveri luterani.

Non una cerimonia “cristologica” ma opportunamente “solo Cristo” nella versione luterana. Chi lo dice? Dal conflitto alla comunione: commemorazione comune luterano-cattolica della Riforma nel 2017”, continua il comunicato ufficiale che presenta itemi del rendimento di grazie, del pentimento e dell’impegno alla testimonianza comune, “al fine di esprimere i doni della Riforma e chiedere perdono per le divisioni seguite alle dispute teologiche”.

Che cosa? Ma stiamo scherzando? Chiedere perdono per le divisioni seguite alle dispute teologiche? Ma che si sono bevuti il cervello? Da quel “nulla da festeggiare” siamo arrivati a dover chiedere perdono per il Concilio di Trento? Perché questo è stato quel concilio: un raccogliere le dispute teologiche sollevate dalla PROTESTA (e non riforma) protestante e alla quale la Chiesa dette una risposta definitiva.

Siamo alla schizofrenia totale, giacché lo stesso papa Francesco così scriveva nella Lettera per le celebrazioni dei 450 anni dalla chiusura del Concilio di Trento, queste le sue parole:

«A Trento, i padri conciliari dedicarono ogni cura a che la fede cattolica apparisse più chiara e fosse meglio compresa. Su ispirazione e suggerimento dello Spirito Santo, fu loro somma premura che il sacro deposito della dottrina cristiana non solo fosse custodito ma risplendesse più luminoso all’uomo, affinché l’opera salvifica del Signore fosse diffusa in tutto il mondo e il Vangelo fosse propagato su tutta la terra. Dando ascolto senza dubbio allo stesso Spirito, la Santa Chiesa di questo tempo ripete e medita anche oggi la ricchissima dottrina tridentina. Infatti “l’ermeneutica della riforma” che il Nostro Predecessore Benedetto XVI descrisse nell’anno 2005 alla Curia Romana si riferisce al Concilio Vaticano non meno che al Tridentino. Certamente questo modo di interpretare pone sotto una luce più nitida l’unica natura luminosa della Chiesa che lo stesso Benedetto XVI attribuì ad essa: “è un soggetto che, nel scorrere dei secoli, cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino».

Parlare di schizofrenia oggi (termine coniato da un esorcista perché è il demonio che è schizofrenico sdoppiandosi) non è offensivo ma opportuno dal momento che è lo stesso pontefice a ribadire: Eundem quidem Spiritum exaudiens, Sancta Ecclesia huius temporis amplissimam Tridentinam doctrinam etiamnum redintegrat et meditatur.

Dando ascolto senza dubbio allo stesso Spirito: come può, allora, “lo stesso Spirito Santo” suggerire oggi cose contrarie come quando, il cardinale Koch affermava nel 2012 che non vi era nulla da festeggiare?

Come si può difendere e commemorare il Concilio di Trento e poi andare a festeggiare un evento che non solo lo ha contrastato, ma che ancora oggi lo combatte? Questa è schizofrenia, cari amici!

Per forza parliamo di schizofrenia dal momento che il 6 aprile 2013 papa Francesco diceva nell’omelia a santa Marta:

“Siamo coraggiosi come Pietro o un po’ tiepidi?”. Pietro – ha osservato – non ha taciuto la fede, non è sceso a compromessi, perché “la fede non si negozia”. Sempre – ha affermato il Papa – “c’è stata, nella storia del popolo di Dio, questa tentazione: tagliare un pezzo alla fede”, la tentazione di essere un po’ “come fanno tutti”, quella di “non essere tanto, tanto rigidi”“Ma quando incominciamo a tagliare la fede, a negoziare la fede, un po’ a venderla al migliore offerente – ha sottolineato – incominciamo la strada dell’apostasia, della non-fedeltà al Signore”.

Ma come? Qui papa Francesco ci invita addirittura ad essere “rigidi”, ossia inflessibili con le verità dottrinali mentre, in altre occasioni dall’emporio santa Marta tuona contro i cattolici inflessibili, contro quei cattolici troppo legati alla dottrina definendoli “troppo rigidi”. Se non è schizofrenia questa!

"Il papa è cattolico?": domandava Newsweek in occasione della visita di Francesco negli States.
“Il papa è cattolico?”: domandava Newsweek in occasione della visita di Francesco negli States.

E badate bene, non stiamo dicendo che il papa è schizofrenico, ma le sue prediche sì, lo sono. Dice cose giustissime alternandole a cose che non hanno senso, fino ad arrivare che Dio non è cattolico, fino ad arrivare a dire a Scalfari: “non ti convertire, altrimenti devo cercarmi un’altro amico ateo…”

Non siamo contro i Protestanti, e neppure contro papa Francesco, ma siamo contro le eresie, siamo per dirla con san Paolo ai Galati contro quel “vangelo diverso” che essi predicano a riguardo dei Sacramenti, del culto a Maria Santissima e ai Santi, al suffragio dei Defunti e alle preghiere per le Anime del Purgatorio, al primato petrino che sembra oggi piegarsi, compromettersi ad una sorta di chiesa ecumenica nella quale il Papa assumerebbe una specie di pastoralità allargata. Perciò, nel 2017 noi NON abbiamo nulla da festeggiare con loro, a meno che essi non si convertano alla Chiesa. E sia ben chiaro che la Chiesa nella nostra Gerarchia non può obbligare i fedeli ad un così grave e vergognoso SINCRETISMO e relativismo dottrinale.

Non dobbiamo obbedire affatto quando la gerarchia cattolica ci imponesse un vangelo diverso.

E quale è questo “vangelo diverso”? Leggiamo cosa scrivevaLutero: nel suo Cantra Enricum Regem Angliae (Werke, t. X, sez. II): «Quando avremo fatto crollare la Messa, penso che avremo fatto crollare tutto il Papato. Perché è sulla Messa, come su roccia, che il Papato intero si appoggia, con le sue dottrine e diocesi, con i suoi monasteri e ministeri e collegi e altari, cioè con tutto il suo ventre».

Martin Lutero (1483-1546). La beata Suor Serafini Micheli (1849-1911) vide la sua anima all'inferno, durante una visione mistica del 1883, mentre in Prussia festeggiavano festeggiano il 400° della nascita.
Martin Lutero (1483-1546). La beata Suor Serafina Micheli (1849-1911) vide la sua anima all’inferno, durante una visione mistica del 1883, mentre in Prussia festeggiavano il 400° della nascita.

E in seguito, nella sua predica sulla prima Domenica d’Avvento (Werke, t. XV, p. 774) Lutero affermava: «Io sostengo che tutti i lupanari, gli omicidi, gli stupri, gli assassinii e gli adultèri messi insieme, sono meno cattivi di quell’abominio che è la Messa papista. Dichiariamo in primo luogo che non è mai stata nostra intenzione abolire totalmente il culto di Dio, ma soltanto purgare quello in uso di tutte le aggiunte con cui è stato insozzato: parlo di quell’abominevole Canone, che è una silloge di lacune fangose; si è fatto della Messa un sacrificio; si sono aggiunti degli offertori. La Messa non è un sacrificio o l’azione del sacrificatore. Consideriamola come sacramento o come testamento. Chiamiamola benedizione, eucarestia, o mensa del Signore, o Cena del Signore, o memoria del Signore. La si chiami in qualsiasi altro modo, a patto che non la si sporchi col nome di “sacrificio” o di “azione”».

Nel famoso Discorso del 2006 a Ratisbona, che i Media fermarono solo alla questione islamica, e nell’enciclica Spe salvi del 2007, Benedetto XVI aveva già proposto un giudizio sui momenti centrali della modernità: Martin Lutero (1483-1546), l’illuminismo, le ideologie del XX secolo. In ciascuno di questi momenti aveva distinto un aspetto esistenziale dove c’è qualche cosa di condivisibile – la reazione al razionalismo rinascimentale per Lutero, la critica del fideismo e la rivalutazione della ragione nell’illuminismo, il desiderio di affrontare i problemi e le ingiustizie causate dalle trascrizioni sociali e politiche dell’illuminismo per le ideologie novecentesche – e un esito finale catastrofico dove, ogni volta, si butta via il bambino con l’acqua sporca e si propongono rimedi peggiori dei mali che si dichiara di voler curare.

Così Lutero insieme al razionalismo butta via la ragione, spiegava Benedetto XVI, smantellando la sintesi di fede e di ragione che aveva dato vita alla cristianità medievale.

L’illuminismo per rivalutare la ragione la separa radicalmente dalla fede, diventa laicismo e finisce per compromettere l’integrità stessa di quella ragione che voleva salvare.

E questo che il papa andrà a festeggiare il 31 ottobre prossimo? Noi ci dissociamo da questo halloween, piuttosto eleveremo ancora più in alto i cuori circondati dalla Corona del Rosario di Maria dal quale, ogni Ave Maria intonata, è un pugno allo stomaco del demonio artefice di questa schizofrenia che sta lacerando la Santa Chiesa di Cristo, la Chiesa una, santa, cattolica e non protestante, non luterana e per nulla ecumenica se, per ecumenismo si intende quel “vangelo diverso” di cui san Paolo ci ammonisce nella Lettera ai Galati.

Benedetto XVI ritratto a Fatima nel 2010.
Benedetto XVI ritratto a Fatima nel 2010.

Nel suo viaggio a Fatima del 2010, così si espresse Benedetto XVI:

«Tra sette anni ritornerete qui per celebrare il centenario della prima visita fatta dalla Signora “venuta dal Cielo”, come Maestra che introduce i piccoli veggenti nell’intima conoscenza dell’Amore trinitario e li porta ad assaporare Dio stesso come la cosa più bella dell’esistenza umana.  […] Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità».











 Commemoriamo Lutero con le parole di Santa Teresa d'Avila la " riformatrice".



  

… in questo tempo mi giunse notizia dei danni e delle stragi che avevano fatto in Francia i luterani e di quanto andasse aumentando questa malaugurata setta. Ne provai gran dolore e, come se io potessi o fossi qualcosa, piangevo con il Signore e lo supplicavo di porre rimedio a tanto male. Mi sembrava che avrei dato mille volte la vita per salvare una fra le molte anime che là si perdevano. 
Ma, vedendomi donna e dappoco, nonché incapace a essere utile in ciò che avrei voluto a servizio del Signore, poiché tutta la mia ansia era, come lo è tuttora, che avendo egli tanti nemici e così pochi amici, decisi di fare quel poco che dipendeva da me. 

Decisi cioè di seguire i precetti evangelici con tutta la perfezione possibile e di adoperarmi perché queste religiose che son qui facessero lo stesso. Fiduciosa nella grande bontà di Dio, che aiuta sempre chi decide di lasciar tutto per amor suo, pensai che, essendo tali le mie consorelle come io le avevo immaginate nei miei desideri, le loro virtù avrebbero compensato i miei difetti e così io avrei potuto contentare in qualche cosa il Signore; infine pensavo che, tutte dedite alla preghiera per i difensori della Chiesa, per i predicatori e per i teologi che la sostengono, avremmo aiutato come meglio si poteva questo mio Signore, così perseguitato da coloro che ha tanto beneficato, da sembrare che questi traditori lo vogliano crocifiggere di nuovo e che egli non abbia dove posare il capo.

Oh, mio Redentore, il mio cuore non può giungere a tanto, senza sentirsi spezzare dalla pena! Che cos’è oggi questo atteggiamento dei cristiani? Possibile che a perseguitarvi siano sempre coloro che più vi devono? Coloro ai quali concedete le vostre migliori grazie, che scegliete per vostri amici, fra i quali vivete e ai quali vi comunicate con i sacramenti? Non sono essi sazi dei tormenti che avete patito per loro?

4. Certamente, Signor mio, non fa proprio nulla chi oggi abbandona il mondo; poiché esso è così poco fedele a voi, cosa possiamo sperare noi? Forse che meritiamo maggior fedeltà di quanta ne ha mostrato a voi? Forse che lo abbiamo gratificato con maggiori benefici, perché ci debba serbare amicizia? Dunque? Che cosa ci possiamo aspettare noi che per bontà del Signore siamo esenti da quel contagio pestilenziale, mentre coloro che vi si trovano son già preda del demonio? Un bel castigo si son guadagnati con le loro mani e un buon profitto di fuoco eterno hanno tratto dai loro piaceri! Se la vedano loro, anche se continua a spezzarmi il cuore vedere che tante anime si perdono. Del male ch’è stato non mi affliggo tanto, ma vorrei che non si perdesse ogni giorno un maggior numero di anime.

5. Oh, mie sorelle in Cristo, aiutatemi a supplicare il Signore affinché ci conceda questa grazia, poiché è proprio questo il motivo per cui egli vi ha qui radunate; questa è la vostra vocazione; questo dev’essere il vostro compito, queste le vostre aspirazioni, questo l’oggetto delle vostre lacrime, questo lo scopo delle vostre preghiere; non quello, sorelle mie, di interessi mondani. Quando ci vengono a chiedere di pregare Sua Maestà perché conceda rendite e denaro, io me ne rido, ma ne sono anche addolorata. Tale richiesta viene proprio da alcune persone che io vorrei supplicassero Dio di poter calpestare tutto. Esse hanno buone intenzioni e, in fondo, si finisce col tener conto della loro devozione, anche se io sono sicura di non essere mai ascoltata in questo genere di preghiere. 

Il mondo è in fiamme; vogliono nuovamente condannare Cristo, come si dice, raccogliendo contro di lui mille testimonianze; vogliono denigrare la sua Chiesa, e dobbiamo sprecare il tempo nel chiedere cose che, se per caso Dio ce le concedesse, ci farebbero avere un’anima di meno in cielo? No, sorelle mie, non è il momento di trattare con Dio d’interessi di poca importanza.

Tornando al tema principale, che è il fine per il quale il Signore ci ha riunite in questa casa dove io desidero ardentemente che noi siamo almeno un po’ tali da contentare Sua Maestà, dico che nel vedere mali tanto grandi e l’impotenza delle forze umane a isolare il fuoco acceso da questi eretici, benché si sia cercato di radunare soldati nell’intento di porre rimedio con la forza delle armi a tale calamità che si estende ogni giorno di più, mi è sembrato necessario seguire la tattica a cui si ricorre in tempo di guerra. 

Quando i nemici hanno fatto irruzione in tutto il paese, il signore della regione, vedendosi alle strette, si ritira in una città che fa assai ben fortificare; di là piomba, di quando in quando, su di essi e coloro che sono nella città, essendo soldati scelti, combattono in modo tale da fare più loro da soli di quel che potrebbero fare molti, se codardi. E così spesso si guadagna la vittoria, o almeno, se non la si ottiene, non si è vinti; infatti, poiché non vi sono traditori, non si può cedere che per fame. Qui, da noi, non ci può essere neppure questa fame a farci arrendere: possiamo, sì, morire, ma essere vinte, mai.

2. Ma perché ho detto questo? Affinché voi intendiate, sorelle mie, che ciò di cui abbiamo supplicare Dio è che nessuno dei buoni cristiani ora rinchiusi in questo piccolo castello passi al nemico e che egli faccia avanzare molto nella via del Signore i capitani di tale castello o cittadella che sono i predicatori e i teologi. E poiché la maggior parte di essi appartiene agli Ordini religiosi, dobbiamo pregarlo affinché possano raggiungere un alto grado di perfezione del loro stato, essendo ciò particolarmente necessario. Infatti, come ho detto, chi ci deve salvare è il braccio ecclesiastico e non quello secolare. E, poiché noi non possiamo nulla, sia con l’uno sia con l’altro, per aiutare il nostro Re, procuriamo di essere tali che le nostre orazioni servano ad aiutare questi servi di Dio i quali, a prezzo di tante fatiche, si sono fortificati con dottrina, virtù e difficili prove, per venire ora in aiuto del Signore.

Santa Teresa d' Avila: " Cammino di perfezione ", cc. 1-3



 
 



Caterina63
00martedì 26 gennaio 2016 22:08

  DALLA LAVANDA DEI PIEDI ALLA LAVATA DI TESTA


 


Vedere il Sommo Pontefice lavare e baciare i piedi a delle donne, inclusa una donna non cristiana, mi ha profondamente ferito come sacerdote consapevole del fatto che Cristo Signore, tra i Dodici, non ha mai inserito alcuna donna; anche perché se avesse voluto inserirne qualcuna, forse la prima sarebbe stata sicuramente sua madre, l’Immacolata Concezione.


Autore Padre Ariel
Autore
Ariel S. Levi di Gualdo



Caro Padre Ariel.

Domanda lapidaria: che cosa ne pensi del cambio del Rito della Settimana Santa riguardo il fatto che la “lavanda dei piedi” sarà possibile a farsi anche alle donne? Secondo te perché, ed a qual scopo, questi rivoluzionari cambiamenti ? [NdR, cf. QUIQUI]

Leonardo G.



lavanda dei piedi
il Sommo Pontefice Francesco durante il rito della lavanda dei piedi che si svolge nella Missa in Coena Domini

Ritengo anzitutto doveroso procedere con una premessa di carattere personale: quando si è particolarmente addolorati — e dinanzi a questo ennesimo “golpe de genio revolucionario” [colpo di genio rivoluzionario], ammetto di essere addolorato — è necessario sul momento soprassedere e possibilmente anche tacere in modo prudenziale, cosa in sé diversa dal vile tacer codardo mosso da paura o più ancora da interesse personale. Saggio insegnamento a me trasmesso dai miei formatori in passato, ed approfondito ancora in tempi recenti attingendo sia dalla sapienza del mio direttore spirituale, sia da un mio venerabile confratello sacerdote di lunga esperienza, il domenicano Giovanni Cavalcoli, che oltre ad essere una mente speculativa raffinatissima sul piano metafisico e teologico è anzitutto un uomo di Dio dotato di autentica pietà e grande zelo sacerdotale, basterebbe solo vederlo quando esercita il sacro ministero di confessore.

Solo gli stolti che non sanno analizzare l’altro, possono darmi dell’impulsivo, mentre chi è in grado di analizzare capisce all’istante che proprio quando sparo fuochi artificiali, questi sono frutto di una accurata fabbricazione avvenuta dentro un laboratorio filosofico, teologico e storico-giuridico di fuochi pirotecnici, fatti esplodere solo dopo attenta riflessione e predisposizione; o come diceva Luigi Pirandello: «È così se vi pare». Lo prova il fatto che sino a oggi nessuna autorità ecclesiastica mi ha mai mosso rimproveri, tanto sono consapevoli che proprio quando uso toni o espressioni severe, i discorsi o le tesi sono più che mai costruite sulla letteratura evangelica, quindi sulla dottrina e sul magistero della Chiesa. E questo, alla prova dei fatti, non è un agire impulsivo. Certo, spesso sollevo questioni fastidiose ― e seguiterò a farlo finché Dio mi darà grazia e vita ― mai però basate sulla umoralità soggettiva o sull’agire impulsivo più o meno sconsiderato.

In questi ultimi giorni si sono moltiplicati commenti e critiche nel vasto oceano dei blog, dove non sono mancati coloro che partendo per la tangente si sono improvvisati storici della Chiesa, teologi, liturgisti e suvvia dicendo a seguire, ignari che non si può rispondere né legittimamente criticare in assenza di due presupposti indispensabili: la conoscenza approfondita del tema sul quale s’intende discutere e la mancanza di condizionamenti derivanti da smarrimento, da delusione e da animo ferito, perché ciò porta a espressioni soggettive e fuorvianti, non ad espressioni strutturate sulla oggettività che siano come tali libere da condizionamenti.

Dopo questa premessa posso seguitare rispondendo in modo “freddo” e oggettivo al Lettore che mi ha rivolto un quesito riguardo la possibilità di estendere la lavanda dei piedi anche alle donne alla Missa in Coena Domini. Per quanto mi riguarda posso quindi replicare in tutta serenità che la cosa l’ho presa male, ma con una sostanziale differenza: al contrario dei numerosi presbiteri, ma a dire il vero anche dei diversi vescovi che nel giro delle ultime ventiquattro ore mi hanno espresso in privato il loro sconcerto, il mio rammarico lo esprimo in pubblico, unendo all’amarezza il garbo dovuto ad una scelta a mio parere infelice del Sommo Pontefice, legittimo detentore della potestas che gli consente di modificare discipline, normative e riti nella loro contingenza accidentale, non certo nell’essenza e nella sostanza dei Sacramenti, che nel caso di specie in questione non vengono in alcun modo scalfiti, cosa questa che è bene ricordare e precisare. Inutile però nascondere che un numero sempre maggiore di vescovi, presbiteri e teologi, temono che si possa finire per intaccare la sostanza giocando sugli accidenti esterni che sono in sé e di per sé da sempre mutevoli, soggetti come tali a riforme od a cambiamenti di vario genere.

Un mio confratello sacerdote mi ha scritto per rivolgermi una domanda retorica, o se preferiamo accademica, ossia cosa avrei fatto e come avrei agito al posto del Prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Ho risposto che mi sarei presentato dal Santo Padre e avrei rimesso il mio mandato nelle sue mani, senza esprimere alcun giudizio sulla sua decisione. Un conto, infatti, è riconoscere sempre l’autorità del Romano Pontefice, ubbidirla e tutelarla all’occorrenza; un conto, come Prefetto di un suo dicastero, firmare invece un documento che potrebbe creare a qualche firmatario un certo turbamento alla propria coscienza cattolica. E siccome, di questi tempi in particolare, non è affatto difficile trovare dei carrieristi con la veste sdrucita e la povera crocetta di legno al collo, ma anelanti con la bava alla bocca al cardinalato e alla carica di prefetto presso un dicastero della Santa Sede, reperire un firmatario non sarebbe stato un problema, anzi: basterebbe spargere voce per ritrovarsi a breve con un esercito di monsignorotti pronti a prendersi a cazzotti tra di loro, o forse a colpi di unghie e di borsetta, pur di firmare all’istante.

Noto con rammarico che sta avendo la meglio quella che fu la linea del Cardinale Carlo Maria Martini, che ho avuto modo di menzionare anche di recente in una mia video-lezione [cf. QUIQUI], come in passato lo menzionai in un articolo critico improntato sulla pura disputa teologica e nel quale smentivo le tesi peregrine del celebre Porporato che stava auspicando il ripristino di ciò che nella Chiesa non era mai esistito: il diaconato femminile [cf. QUI]. Detto questo proseguo dicendo che tutto sommato sono cresciuto quanto basta per riconoscere i piccoli cavallini mandati in avanscoperta prima dell’arrivo del grande cavallo di Troia. Certo, non era mai accaduto che un Cardinale finisse eletto al sacro soglio dopo morto; e se non lui, le sue idee bizzarre, che una appresso all’altra stanno affiorando tutte nel corso di questo Augusto Pontificato …

Ritengo che da alcuni anni sia in fase avanzata un processo di veloce e massiccio svuotamento sia del senso vero, evangelico e teologico delle parole; sia dei simboli o dei segni esteriori che finiscono — una volta svuotati — riempiti di altri significati. Fatto questo si può correre il serio rischio di andare a incidere sulle sostanze eterne e immutabili, per il semplice fatto che sia delle une sia delle altre si sarebbe finito col perdere il senso, ma viepiù: la stessa percezione.

Cercherò ancora una volta di spiegare ciò che intendo dire attraverso un esempio legato al mistero dei misteri, l’Eucaristia, il Santissimo Corpo e Sangue di Gesù Cristo, cuore vivo e pulsante del suo Corpo Mistico che è la Chiesa. Il fatto che oggi il Sacrificio Eucaristico sia celebrato con il Messale del Beato Paolo VI anziché con quello del Santo Pontefice Pio V, che siano ammessi come lettori durante la Liturgia della Parola dei laici e delle laiche, che la Preghiera Eucaristia sia recitata in lingua nazionale anziché in latino, ad alta voce anziché a bassa voce; che l’altare sia volto verso l’assemblea anziché verso Oriente, etc .., nulla toglie alla sostanza del sacro mistero del pane e del vino che divengono Corpo e Sangue di Cristo, presente in modo completo e in tutta la sua Persona, Anima e Divinità.

Non possiamo essere però così ingenui e teologicamente sprovveduti da negare che gli accidenti esterni possano finire con l’incidere sui Christi fideles inducendoli a smarrire il senso profondo della sostanza eterna ed immutabile di questo Sacramento. Se infatti i celebranti cominciano a celebrare il Sacrificio Eucaristico togliendo ad esso il senso della sua ineffabile sacralità; se dopo avere sproloquiato in omelie di mezz’ora recitano la formula consacratoria in mezzo minuto come se dessero lettura degli articoli del Codice della strada, prendendo di rigore sempre la Seconda Preghiera Eucaristica, che è la più breve, affinché non sia tolto “tempo inutile” al celebrante protagonista; se non maneggiano i vasi sacri contenenti le sacre specie con sacrale rispetto e se non toccano le specie eucaristiche con altrettanto sacrale rispetto; se distribuiscono ai fedeli il Corpo di Cristo come se l’Eucaristia fossero gettoni fatti di pane azzimo; se aboliscono i piattelli che servono a raccogliere eventuali frammenti di Pane Eucaristico, salvo però istituire al loro posto il piattello d’argento per depositare il santissimozucchetto rosso del vescovo; se attraverso la meticolosa purificazione dei vasi sacri non lasciano percepire che neppure un minuscolo frammento che sia visibile all’occhio umano deve andare disperso; se passando dinanzi al tabernacolo non si genuflettono devoti dinanzi alla sacra riserva eucaristica; se nelle chiese sostituiscono con delle poltroncine da cinema le panche con gli inginocchiatoi; se istruiscono i fedeli a stare in piedi a capo diritto durante la Preghiera Eucaristica … ecco che il Popolo di Dio, attraverso i suoi stessi sacerdoti, finirà col perdere il senso del sacro e con esso la percezione stessa della vera essenza dell’Eucaristia, che è presenza reale di Cristo vivo e vero. A quel punto, procedendo su quelli che sono degli accidenti esterni che per loro stessa natura non dovrebbero intaccare mai l’essenza, si rischia davvero di distruggere attraverso di essi la sostanza di una fede perenne che nei secoli rimane la seguente: in quel pane c’è realmente Cristo presente vivo e vero.

L’Eucaristia non è, né mai potrà essere un simbolo che ricorda una famosa cena celebrata dal Signore Gesù e che oggi, quanti si riconoscono nella sua aggregazione, celebrano per fare festa tra di loro, semmai inginocchiandosi dinanzi ai poveri che «sono la carne di Cristo» [cf. QUI] e che in essi lo rende molto più vivo e presente di quanto non lo sia invece nel Pane e nel vino eucaristico. E se una simile espressione non è spiegata con adeguate catechesi e con una ferrea dottrina basata sulla più granitica teologia, il tutto potrebbe portare anche a dedurre che i ricchi sono invece esclusi dalla partecipazione al Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa, di cui Egli è capo e noi tutti membra vive. E tutti siamo membra di questo Corpo Santissimo, a prescindere dal reddito dichiarato e dal ceto sociale di appartenenza. Infatti, durante l’ultima cena, Cristo Signore non ha preso ed esibito agli Apostoli un povero dicendo loro: “Costui è il mio corpo e il mio sangue”, quindi “adoratelo”, “in memoria di me”.

L’imporre come nei concreti fatti sta accadendo, un concetto di teologia del popolo, che avrà sicuramente una sua indubbia logica sociologica nella provincia dell’America Latina, ma che dalla provincia non è però applicabile alla complessità della intera universalità cattolica, comporta piegare anzitutto l’universale al provinciale, se non peggio: al capriccio soggettivo. Il tutto diviene cosa pericolosa e non poco inquietante se attraverso questo processo di svuotamento e di riempimento si finisce poi col dare un significato del tutto nuovo allo stesso concetto paolino di Corpo Mistico di Cristo [cf. I Col 1,18], che è cosa del tutto diversa, in forma e sostanza, da «El pueblo unido jamás será vencido» [Il Popolo unito non sarà mai sconfitto, cf. QUI]

La lavanda dei piedi durante la Missa in Coena Domini non è un Sacramento e neppure un Sacramentale; è un elemento accidentale. La sua introduzione è peraltro recente e risale alla riforma dei sacri riti della Settimana Santa del Venerabile Pontefice Pio XII. Questo gesto del Verbo di Dio tradotto poi in segno inserito in un preciso quadro liturgico, ha un suo stretto significato legato al sacro ministero sacerdotale, che è appunto un servizio. Da qui il gesto profondamente simbolico attraverso il quale, memori del fatto che la partecipazione al sacerdozio ministeriale di Cristo attraverso il Sacramento dell’Ordine Sacro è anzitutto un servizio, i vescovi procedevano a ripetere il gesto di questo esempio dato da Cristo Signore [cf. Gv 13,1-11] lavando i piedi a 12 loro presbiteri che rappresentavano gli apostoli scelti dal Redentore. A loro volta, i parroci, ripetevano questo gesto procedendo alla lavanda dei piedi a 12 viri probati.

Non ritengo cosa semplicemente inopportuna, ma proprio fuorviante e dolorosa, svuotare questo segno del proprio vero significato evangelico per riempirlo d’altro, a lode e gloria dei vezzi di questo mondo e dei suoi male intesi criteri di uguaglianza e di parità tra i sessi. Il tutto, per di più, ad opera di un Sommo Esponente della più grande aggregazione di misogini mai esistita nei duemila anni di storia della Chiesa: i Gesuiti. E per non lasciare quest’ultima frase né sospesa né tanto meno in pasto a quella ambiguità che non costituisce affatto il mio pane quotidiano, tanto sono memore che il nostro parlare deve essere si quando è si e no quando è no [cf. Mt 5,37], basti precisare che la Compagnia di Gesù è uno dei pochissimi ordini e congregazioni religiose che non ha mai favorita la nascita di un proprio ramo femminile, neppure sotto forma di consacrate laiche, perché la considerazione che lo stesso Sant’Ignazio di Loyola aveva per le aggregazioni femminili lo portava ad affermare: «La direzione spirituale di tre donne è compito più arduo della amministrazione di un intero ordine religioso». Per seguire con varie altre espressioni del tipo: «Il nemico si comporta come una donna poiché, suo malgrado, è debole e vuole sembrar forte».

Non metto in dubbio che Sant’Ignazio di Loyola sia un alto modello di eroiche virtù, ma come la Chiesa mi insegna i santi non sono, in quanto tali, dotati della perfezione divina, né sono esenti da errori umani che non intaccano i due elementi e presupposti fondanti la santità: la prudenza e la sapienza. Questo per dire che Sant’Ignazio non teneva forse in considerazione certi dati di fatto storici documentati e accertati: le “deboli” donne, sia sulle quinte sia dietro le quinte ― ma volendo anche dentro le potentissime camere da letto, che non sempre erano tra l’altro quelle dei mariti ― hanno esercitato negli Stati europei un enorme potere di influenza, convincimento e decisione; per non parlare della determinazione e del braccio di ferro col quale hanno regnato e governato molte sovrane. Prendiamo comunque atto, a cinque secoli dalla loro nascita, di questa grande esplosione di amore per l’egualitarismo tra i sessi che procede proprio da quei Gesuiti che per secoli hanno avuto una impostazione tendenzialmente misogina. E le donne, mi si permetta: non si possono conoscere d’improvviso, dall’oggi al domani, sulla scia delle mode e dei vezzi di questo mondo, prova n’è il fatto che, quando il Santo Padre Francesco ha scelto per vari incarichi e mansioni delle donne, ha finito con lo scegliere ― stando sempre alla prova dei fatti ― quelle più sbagliate. Se invece avesse chiesto consiglio a chi le donne le conosce da sempre, anziché a coloro che le hanno scoperte d’improvviso a cinque secoli di distanza dalla loro fondazione religiosa, questo e altro non sarebbe accaduto. Se però c’è qualcuno che conosce un gesuita il quale accetti l’idea di poter imparare qualche cosa da qualcuno ed in specie al di fuori degli schemi mentali e socio-politici della Compagnia di Gesù, che per cortesia me lo presenti, affinché io possa chinarmi a baciargli le mani con riverente e commossa devozione.

Il Giovedì Santo si celebra la istituzione di due sacri misteri: l’Eucaristia ed il Sacerdozio. Non a caso, quel giorno, noi presbìteri rinnoviamo dinanzi al vescovo le nostre sacre promesse fatte solennemente nel giorno in cui fummo consacrati per sacramento di grazia nel Sacro Ordine Sacerdotale.

Vedere il Sommo Pontefice lavare e baciare i piedi a delle donne, inclusa una donna non cristiana, mi ha profondamente ferito come sacerdote consapevole del fatto che Cristo Signore, tra i Dodici, non ha mai inserito alcuna donna; anche perché, avesse voluto inserirne qualcuna, forse la prima sarebbe stata sicuramente sua madre, l’Immacolata Concezione.

Se durante quella prima rappresentazione mediatica resa dal Sommo Pontefice al carcere di Rebibbia, il Santo Padre Francesco seduto sulla sua cattedra episcopale presso la Basilica di San Giovanni in Laterano mi avesse dato due schiaffi in faccia davanti a tutti, mi avrebbe fatto meno male, ma soprattutto mi avrebbe umiliato molto di meno, rispetto al fare un simile gesto per così direnazionalpopolare nel giorno in cui l’intera orbe catholica ― che ripeto è universale e non provinciale ― festeggia la istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio, conferito per volontà di Dio a 12 uomini; scelti per una precisa logica divina e non certo per una discriminazione tra i sessi da correggere dopo due millenni di sacra tradizione. Per questo affermo che, dopo il trotto di questi cavallini, giungerà infine il cavallo di troia auspicato dal Cardinale Carlo Maria Martini: il diaconato femminile, ed il tutto con la “ragionevole” scusa che il diaconato è un servizio di istituzione apostolica [cf. At 6,1-7] e che il diacono non partecipa al sacerdozio ministeriale istituito da Cristo, come invece vi partecipano per sacramento di grazia i presbìteri. Lascio ai posteri valutare se quanto oggi da me affermato nelle precedenti righe sarà o no oggetto di discussione e forse anche di approvazione in un futuro non poi così lontano.

Concludo con un’ultima nota: è cosa risaputa e ampiamente documentata che il Santo Padre, seguendo in questo uno dei tanti pessimi vezzi liturgici messi in atto nell’ultimo mezzo secolo dai Gesuiti, durante la Preghiera Eucaristica non si inginocchia, perché a dire di alcuni “spiritosi” pronti a giustificare anche l’ingiustificabile evidenza dei fatti, pare che abbia problemi all’anca.

È mai possibile che questi problemi, per ineffabile mistero di grazia, spariscano al momento in cui, anziché avere dinanzi a sé il Corpo e il Sangue di Cristo, il Santo Padre si ritrova dinanzi agli occhi i piedi di una donna musulmana, di fronte ai quali la sua anca non ha problema psico-fisico alcuno ad inginocchiarsi per lavarli e per baciarli?

Un anziano sacerdote, colpito anni prima da un ictus cerebrale, mi pregava di aiutarlo a genuflettersi, per il poco che poteva, durante la Preghiera Eucaristica. E lui sì che aveva problemi fisici davvero insormontabili. Eppure pregava un suo giovane confratello, o il diacono che quasi sempre lo assisteva, affinché lo prendesse e lo aiutasse a piegare fino a meno della metà il ginocchio destro. Quando poi non riusciva più ad accennare neppure una genuflessione col ginocchio destro ed era costretto solo a piegare profondamente la testa, a bassa voce chiedeva sempre perdono al Signore per non essere più neppure capace di piegarsi dinanzi al suo Santissimo Corpo e Sangue vivo.

Questo e altri ancora sono stati i miei modelli di vita sacerdotale e sull’esempio di questi modelli intendo seguitare a vivere il mio servizio sacerdotale, lasciando ad altri il toccante sciacquo mediatico dei piedi alle carcerate musulmane.

La divina sostanza del Sacramento dell’Ordine che ho ricevuto non appartiene a me come non appartiene al Romano Pontefice; e non appartiene neppure alla Chiesa stessa, che per divina istituzione è custode e dispensatrice dei Sacramenti, ma non padrona, solo fedele custode e dispensatrice, perché i Sacramenti di grazia non sono dei “beni disponibili”. Il Sacramento dell’Ordine ci è stato conferito per mistero di grazia per servire Cristo nei modi e nelle forme a noi comandate dalla sua Santa Chiesa, la cui Autorità Suprema è chiamata all’esercizio del primo grande servizio: la tutela del deposito della fede, che all’occorrenza vuol dire anche tutela della santa tradizione, memore che il Signore Gesù ci ha lasciato un monito che è molto esteso ad una vasta casistica di azioni e situazioni:

«Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare» [Mt 18,6].

È sbagliato pensare che un simile monito severo sia rivolto da Cristo Signore solo ai casi di pedofilia od a coloro che per la sicurezza di intere popolazioni tentano di rifiutare l’accoglienza ad orde di musulmani che stanno invadendo l’Europa in veste di falsi profughi per poi procedere ad una nuova colonizzazione del nostro vecchio e morente Continente.

Con questa sua ennesima “trovata” il Santo Padre, nel legittimo esercizio della sua autorità apostolica, mutando una norma che è sua indiscussa prerogativa mutare, ha scandalizzato tanti piccoli, ma ancora una volta ha fatto la gioia del fitto esercito di ultra laicisti che lo applaudono gaudenti, pur non conoscendo ― né volendo affatto conoscere ― nemmeno le prime cinque parole della Professione di Fede: «Credo in un solo Dio …», alle quali hanno sostituito da tempo, dalle colonne de La Repubblicae di tutti gli altri giornali laicisti, il gioioso grido: «Viva Papa Francesco, il rivoluzionario!».

Una sola è la rivoluzione alla quale come Sacerdoti di Cristo siamo chiamati: annunciare il Vangelo, salvaguardare la traditio catholica e tutelare la fede nel Popolo di Dio. Missione questa per la quale rischieremo di essere presi presto a bastonate proprio da coloro che, gaudenti e applaudenti, inneggiano a chi il Vangelo lo annacqua e lo rende vago allo scopo di renderlo dolce e appetibile per lo stomaco di un mondo sempre più affetto da incontenibile bulimia.

No, il Vangelo non è né dolce né appetibile, perché nasce in una stalla a Bethlehem e finisce poi su una croce in cima alla quale, durante l’agonia, ci viene allungata sopra una canna una spugna imbevuta di aceto:

« … Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: “Ho sete”. Vi era lì un vaso pieno d’aceto, posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima ad una canna e gliel’accostarono alla bocca» [Gv 19,29].

Questo è ciò al quale ogni sacerdote deve essere pronto a lode e gloria del Nostro Signore e Redentore, che non è venuto per piacere e per compiacere il mondo, lo provano la croce e la spugna imbevuta di aceto, unici mezzi possibili per essere resi partecipi della Sua risurrezione. Se però qualcuno, Sommo Pontefice in testa, conosce qualche altra via, a partire dalla simpatia del mondo per seguire col plauso dei giornalisti atei compiacenti, che allora ce la indichi in fede, sapienza e coscienza, perché noi ne prenderemo atto e la seguiremo, quindi laveremo e baceremo i piedi anche alle donne musulmane alla Missa in Coena Domini; e se fosse necessario daremo loro anche lo smalto alle unghie dopo il servizio di lavanda, applicando le apposite creme emollienti per eliminare l’indurimento dei talloni derivante dall’uso prolungato dei tacchi alti. Il tutto lo faremo, naturalmente, sotto i riflettori puntati e gli applausi degli atei laicisti che pur non conoscendo ― né volendo affatto conoscere ― nemmeno le prime cinque parole della Professione di Fede, loderanno a gran voce i preti della “nuova Chiesa” conformatisi in tutto e per tutto alle direttive del nuovo dicastero della Santa Sede per le pari opportunità.




Caterina63
00lunedì 1 febbraio 2016 19:32

<header class="entry-header">

L’ultima bergoglionata del gennaio 2016: “sfrattata” la colomba della pace

</header>

Papa Francesco ha “sfrattato” la colomba, simbolo della pace. Del resto, l’attuale Gerarchia se ne infischia della pace di Cristo, il suo unico interesse è il pacifismo ideologico fine a se stesso.

Certo che un Noè ripreso nell’atto di lanciare palloncini colorati dall’Arca, non ce lo vediamo proprio, anche perché difficilmente sarebbero tornati indietro con il ramoscello d’ulivo nel becco, a segnalare finalmente il ritiro delle acque dopo il diluvio… Ecco come lo racconta la Bibbia:

(cliccare sull'immagine per ingrandirla)

“Trascorsi quaranta giorni, Noè aprì la finestra che aveva fatta nell’arca e fece uscire un corvo per vedere se le acque si fossero ritirate. Esso uscì andando e tornando finché si prosciugarono le acque sulla terra. Noè poi mandò una colomba…  attese altri sette giorni e di nuovo fece uscire la colomba dall’arca  e la colomba tornò a lui sul far della sera;ecco, essa aveva nel becco un ramoscello di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra” (Gn.8,6-11).

Da qui poi abbiamo il segno della alleanza con l’arcobaleno, quello vero, ma noi ci fermiamo, qui, solo a questa storia della colomba, segno di pace,quanto all’arcobaleno potrete leggere qui la sua storia e l’uso che ne hanno fatto con il feticcio della bandiera della falsa pace.

Veniamo al simbolo della colomba. Sappiamo dai Vangeli che la colomba è il simbolo dello Spirito Santo, attraverso la cui forma Egli ha voluto manifestarsi ed è così che lo vediamo spesso raffigurato già dal IX secolo, accanto ai Padri della Chiesa in atto di “suggerire, ispirare” i loro scritti. Inoltre, la colomba, per la sua natura docile  che si lascia addomesticare, è stato da sempre un simbolo di mitezza, innocenza e purezza. Nel Cantico dei Cantici (5,2 e 6,9) leggiamo: “mia colomba” come appellativo affettuoso rivolto alla Sulamita dal pastore innamorato e ancora: gli occhi dolci di una ragazza sono paragonati a occhi di colomba. Anche il nome del profeta Giona è legato alle colombe: esso è in ebraico Yohnáh, nome maschile comune che significa “colombo”, e non dimentichiamo che in natura, la colomba e il colombo, si accoppiano per tutta la vita.

L’immagine, quindi, della colomba con un ramo d’ulivo in bocca, simbolo dello Spirito Santo, è diventata anche il simbolo della pace vera di cui parla Cristo:  Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi…” (Gv.14,27), in riferimento a quello Spirito Santo – Terza Persona della Santissima Trinità – “Quando me ne sarò andato, ve lo manderò” (Gv 16,7). “Lo Spirito di verità che procede dal Padre” viene annunciato da Cristo come il Paraclito, che “io vi manderò dal Padre” (Gv 15,26).

La vera Pace – che scriviamo infatti in maiuscolo perché, come “la Misericordia incarnata, anche la Pace è incarnata” – ha anche una Regina: “Maria, Regina della Pace, prega per noi”, la vera Pace è anche opera dello Spirito Santo attraverso la Preghiera e l’obbedienza-ascolto a Dio nei Suoi Comandamenti…

Nel martoriato tempo dopo le due gravi Guerre mondiali, fu Pio XII a riportare alla ribalta questo simbolo rivendicando la vera Pace: la colomba con l’ulivo nel becco e sullo sfondo il vero arcobaleno. Ma questo simbolo è sempre stato usato da molti. Il celebre pittore Pablo Picasso, dipinse una colomba per il Congresso mondiale per la pace del 1949, e nell’antica mitologia la colomba rappresentava la rinascita della vita in un tempo di pace.

Ora, tutta questa lezione per spiegare cosa? Che il Papa ne ha fatta un’altra delle sue. In due anni ha modificato il simbolo della Pace: non più la colomba ma i palloncini.

E’ vero, lo confessiamo, questa volta siamo un poco maliziosi e se è vero il detto che a pensare male è un peccato, è anche vero però che qualche volta ci si azzecca.

Sappiamo tutti che per l’ultima domenica di gennaio  Paolo VI ha avviato una tradizione con i gruppi di Azione Cattolica della città di Roma, per lanciare al mondo un messaggio e un appello alla Pace vera. Giovanni Paolo II volle dare maggior risalto all’evento invitando, per la prima volta e rompendo ogni protocollo, due ragazzi dell’AC ad affacciarsi alla finestra dell’Angelus con il Papa per lanciare essi stessi questo messaggio e poi si unì anche il gesto simbolico del lancio delle colombe, un invito appunto all’azione congiunta fra l’uomo, lavoratore per la pace, e lo Spirito Santo senza il quale non possiamo fare nulla di buono. Benedetto XVI mantenne questa tradizione anche se, l’ultimo Angelus del gennaio 2013, quasi come segno premonitore, per la prima volta le colombe furono assalite da un corvo ed un gabbiano. Le due colombe si salvarono perchè la finestra accanto a quella dove si affaccia il Papa, essendo allora abitata da Benedetto XVI, una delle due colombe trovò riparo nella persiana aperta. L’11 febbraio sappiamo poi cosa è accaduto.

Ed eccoci al 2014, così rifaceva il gesto Papa Francesco: “Ed ora questi due bravi ragazzilanceranno le colombe, simbolo di pace” (Angelus 26.1.2014).

Ma anche qui corvi e gabbiani non vollero sentire ragioni e attaccarono le due colombe. Di certo né il pontefice né i bambini che erano affacciati con lui a San Pietro potevano sapere che lasciando volare via le due bianche colombe le avrebbero consegnate a una morte tanto rapida quanto cruenta, che si è consumata davanti agli occhi attoniti della folla in piazza. Però non si è capito neppure chi ha dato quel suggerimento al Papa che ha detto ai due ragazzi: “non in alto, in basso, lanciatele in basso….”. È risaputo infatti che tutti i volatili si lanciano in alto per far prendere loro il volo e aiutarli ad acquistare velocità, se vengono gettati in basso è come lanciarli per una picchiata nella quale essi non sono più in grado di “prendere il volo”.

Fatto sta nei 25 anni di Giovanni Paolo II e negli 8 anni di Benedetto XVI, un fatto del genere non solo non era mai accaduto, ma al contrario, le colombe (sempre con la presenza di corvi e gabbiani in piazza), si andavano a rifugiare dentro lo studio del Papa e, come tante immagini ci hanno deliziato, anche sulla testa dei due Pontefici. E non è del tutto normale che per ben due anni consecutivi abbiamo assistito ad un attacco cruento, una coincidenza? Ma noi cristiani alle coincidenze non dovremo credere!

E così dall’anno 2015 si è deciso di sostituire le colombe ai…. palloncini colorati, ecco le parole del Papa: “Ecco i palloncini che vogliono dire ‘pace’.” (Angelus 25.1.2015)

Quale sarà la prima bergoglionata del febbraio 2016?
Quale sarà la prima bergoglionata del febbraio 2016?

Vabbè: vogliono dire ‘pace’, comprensibile se si vogliono salvare le colombe. Ma il termine ora è cambiato ed è diventato più ufficiale ed ha preso la strada della nuova simbologia, ecco le parole usate dal Papa: “E ora i ragazzi in piazza lanceranno i palloncini, simbolo di pace.” (Angelus 31.1.2016).

Santità, in realtà, i palloncini sono simbolo didivertimento mondano: gay-pride, carnevale, compleanni, e quant’altro.

Ora il nuovo simbolo della pace sono i palloncini colorati che, a detta degli ambientalisti così cari al Papa Francesco, sono inquinanti, sono plastica, soffocano spesso gli uccelli che beccandoli alcuni li ingoiano, e pure i pesci quando i pezzi cadono in acqua e loro ingenuamente li ingurgitano. Ma ciò che preme a noi di mantenere indiscutibile è che la colomba deve rimanere simbolo della Pace vera perché, questa Pace vera, ce la può donare solo lo Spirito Santo a sua volta simboleggiato biblicamente dalla colomba e non dai palloncini: sull’uso dei termini, sulle parole ci giochiamo tutto!









 

San Roberto Bellarmino, S.J., vescovo e Dottore della Chiesa.
San Roberto Bellarmino, S.J., vescovo e Dottore della Chiesa.

Una domanda che in passato si sono posti in molti cattolici, studiosi, Dottori e Santi. Per questo, lasceremo che a rispondere sia un Santo e Dottore della Chiesa, san Roberto Bellarmino, peraltro confratello gesuita del Sommo Pontefice regnante. La questione è: «se un Papa diventa eretico». Il santo Dottore risponde a questa questione nel suo Tractatus de potestate Summi Pontifici in rebus temporalibus. Noi abbiamo consultato l’edizione del 1611 disponibile online [qui] traducendone alcuni significativi passi che vi proponiamo in corsivo.

«Se il Pontefice Massimo diventasse eretico, e tentasse di distruggere la Chiesa allontanandola dalla fede cattolica, può essere deposto o, certamente, dichiarato deposto, come si evince dai Canoni “Se il Papa”, dist. 40. Questo non lo nega né Bellarmino, né alcun cattolico. Non fa meraviglia, perciò, che i Re possano esser deposti a causa dell’eresia, benché non abbiano autorità temporali superiori, se anche il Papa, per una simile causa, può esser deposto, anche se sulla terra non c’è alcuna autorità, né temporale, né spirituale, superiore alla sua. È vero che “al Concilio non è lecito giudicare, punire, o deporre il Papa che tenta di turbare e distruggere la Chiesa di Dio; ma solo è lecito resistergli non facendo quello che comanda, e ponendo ostacolo affinché non sia eseguita la sua volontà” (Bellarmino, lib. 2 De Pontif., cap. 29). Questo vale solo se il Papa volesse turbare e distrugger la Chiesa con la sua vita e i suoi costumi, ma fa eccezione il caso dell’eresia» (p. 212).

«Ma se il Papa non ha alcun superiore sulla terra, con quale diritto può esser deposto da un Concilio, o dalla Chiesa, a causa dell’eresia? Rispondo subito: mentre gli uomini sono espulsi dalla Chiesa tramite la scomunica a causa di altri crimini, gli eretici escono dalla Chiesa per sé, e se ne allontanano perché, in qualche modo, si scomunicano da se stessi. Come osservava san Girolamo, spiegando quelle parole dell’Apostolo a Tito, cap. 3: l’eretico è condannato dal suo proprio giudizio. Così che se il Pontefice – la qual cosa ritengo che non possa accadere -, diventasse eretico, infedele o apostata, non dovrebbe essere deposto, ma dichiarato deposto da un concilio» (p. 213).

«Il potere delle chiavi di Pietro non si estende fino al punto che il Sommo Pontefice possa dichiarare “non peccato” quello che è peccato, oppure “peccato” quello che non è peccato. Ciò sarebbe, infatti, chiamare male il bene, e bene il male, la qualcosa è, sempre è stata, e sarà lontanissima da colui che il Capo della Chiesa, colonna e fondamento della verità» (p. 214).

[Ndt: Ma se un papa rinuncia a queste qualifiche di maestro di Verità, e opta per una dottrina fatta di dubbi, incertezze ed errori, sia auto esclude dal munus petrino che gli compete, e deve esser dichiarato deposto da un concilio].

«Se accadesse che il Pontefice ordinasse a qualche uomo particolare qualcosa che fosse contro la legge di Dio – ossia, non con un insegnamento universale ex cathedra -, allora vale la nota dottrina di san Pietro: “Bisogna obbedire a Dio, piuttosto che agli uomini” (At 1)» (p. 255).

E così concludiamo questo post, lasciando ciascuno alla propria riflessione e preghiera.

© LA FEDE DEI NOSTRI PADRI (1° novembre 2014)





 

Caterina63
00lunedì 15 febbraio 2016 12:23

  «Non si salva il mondo dal di fuori».
La “Chiesa missionaria” di papa Francesco spiegata da Paolo VI

Ottobre 25, 2013 Piero Gheddo

Per convertire l’uomo, scriveva Montini nel 1964, «bisogna accostarlo e parlargli. Dio non mandò il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma affinché sia salvato per mezzo di lui»

Paolo VI e il Concilio hanno lanciato il dialogo interreligioso con il decreto Nostra Aetate e l’enciclicaEcclesiam Suam (1964), due documenti da riprendere per leggerli e studiarli in riferimento non solo alle missioni (dove la Chiesa dialoga con le grandi religioni), ma al nostro Occidente cristiano, per la Nuova Evangelizzazione, che vuol riportare alla fede e alla vita cristiana i moltissimi battezzati che in chiesa non ci vengono più. L’Ecclesiam Suam presenta la Chiesa e la missione in una luce diversa da quanto noi immaginiamo:

1) Nella visione tradizionale la Chiesa ha il pieno possesso della Verità, i missionari sono mandati a tutti gli uomini per annunziare e convertire a Cristo. È una visione giusta ma statica, non dinamica.

2) Per Paolo VI la Chiesa è in cammino per raggiungere la pienezza della Verità, che noi uomini non conosciamo mai fino in fondo, perché Dio supera infinitamente la nostra mente e il nostro cuore. Nel corso dei secoli, lo Spirito Santo guida la Chiesa a fare passi in avanti verso la piena comprensione della Parola di Dio e del Vangelo.

3) Ecco il significato della “missione alle genti” e dell’annunzio, che non è una imposizione o una proclamazione, ma un dialogo con l’altro, per capirlo e farsi capire, per testimoniargli con la nostra vita e trasmettergli con la nostra povera parola la fede che salva; ma nel tempo stesso, ascoltarlo per conoscere i “semi del Verbo” che Dio ha messo in tutti gli uomini e conoscere i suoi valori religiosi e umani che il suo popolo e la sua civiltà hanno maturato. La missione non è solo un dare, ma un dare e un ricevere nel dialogo fraterno.

Tutto questo ha origine nella Trinità stessa, che salva l’umanità attraverso il “dialogo della salvezza” (“colloquium salutis”). Per Paolo VI il dialogo è un sinonimo di missione. Nel confronto e dialogo con i membri delle religioni non cristiane la Ecclesiam Suam afferma: «Noi non possiamo evidentemente condividere queste varie espressioni religiose», tuttavia non si può non avere per loro il «rispettoso riconoscimento dei valori spirituali e morali» che posseggono e occorre collaborare con esse «negli ideali che possono essere comuni nel campo della libertà religiosa, della fratellanza umana, della buona cultura».

Nell’enciclica il dialogo è lo strumento attraverso il quale giungere insieme tra i dialoganti ad una più profonda comprensione della Parola di Dio. Per Paolo VI, il dialogo della Chiesa significa una totale e continua apertura a chiunque sia disposto ad ascoltare il messaggio di Cristo; è la natura stessa della Chiesa, nata per evangelizzare tutti gli uomini e le culture, che deve entrare in dialogo, cioè nel “colloquium salutis” (dialogo della salvezza), con tutti gli uomini.

Ho riletto l’Ecclesiam Suam con crescente ammirazione per Paolo VI, che parla del dialogo con le grandi religioni, ma anche del «dialogo fra la Chiesa ed il mondo moderno» (n. 15), cioè con i non credenti, gli agnostici, gli atei, che sono soprattutto nell’Occidente un tempo “cristiano”; e poi delinea le virtù necessarie, le modalità, lo spirito del dialogo su temi religiosi. Leggendo l’Ecclesiam Suam, pensavo a Papa Francesco, che sta realizzando l’insegnamento di PaoloVI e del Concilio, finora poco recepiti nella Chiesa. Questa la provvidenziale novità di Francesco, che vuole “una Chiesa dialogante”. La Ecclesiam Suam scrive: «La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio» (n. 67). E il mondo, «ancor prima di convertirlo, anzi per convertirlo, bisogna accostarlo e parlargli. Dio non mandò il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma affinché sia salvato per mezzo di lui (Giov. 3,17)» (nn. 70, 71).

«La Chiesa può rapportarsi col mondo rilevando i suoi mali, anatematizzandoli e muovendo crociate contro di essi» (n. 80); ma oggi ci vuole il dialogo, «suggerito dall’abitudine ormai diffusa di così concepire le relazioni fra il sacro e il profano, dal dinamismo trasformatore della società moderna, dal pluralismo delle sue manifestazioni, nonché dalla maturità dell’uomo, sia religioso che non religioso, fatto abile dall’educazione civile a pensare, a parlare, a trattare con dignità di dialogo» (n. 80). «Questa forma di rapporto indica un proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà da parte di chi lo instaura; esclude la condanna aprioristica, la polemica offensiva ed abituale» (n. 81). «Nel dialogo si scopre come diverse sono le vie che conducono alla luce della fede, e come sia possibile farle convergere allo stesso fine. Anche se divergenti, possono diventare complementari, spingendo il nostro ragionamento fuori dei sentieri comuni e obbligandolo ad approfondire le sue ricerche, a rinnovare le sue espressioni. La dialettica di questo esercizio di pensiero e di pazienza ci farà scoprire elementi di verità anche nelle opinioni altrui, ci obbligherà ad esprimere con grande lealtà il nostro insegnamento e ci darà merito per la fatica d’averlo esposto all’altrui obiezione, all’altrui lenta assimilazione» (n. 86).

L’enciclica di Paolo VI è profonda e profetica. Ci sono passaggi significativi: «Non si salva il mondo dal di fuori», dice il Papa e cita Gesù che si è fatto uomo per salvarci, partecipando alla vita degli uomini del suo tempo; così chi evangelizza deve «condividere, senza porre distanza di privilegi o diaframma di linguaggio incomprensibile… Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell’uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo. Bisogna farsi fratelli degli uomini nell’atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e maestri. Il clima del dialogo è l’amicizia. Anzi il servizio. Tutto questo dovremo ricordare e studiarci di praticare secondo l’esempio e il precetto che Cristo ci lasciò» (n. 59).

piero-gheddo-dinajpur-santal-bangladeshE poi parla dei rischi del dialogo… «L’arte dell’apostolato è rischiosa. La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all’impegno verso la nostra fede. L’apostolato non può transigere con un compromesso ambiguo rispetto ai princìpi di pensiero e di azione che devono qualificare la nostra professione cristiana. L’irenismo e il sincretismo sono in fondo forme di scetticismo rispetto alla forza e al contenuto della Parola di Dio, che vogliamo predicare. Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo» (n. 91). «E solo chi vive in pienezza la vocazione cristiana può essere immunizzato dal contagio di errori con cui viene a contatto» (n. 92).

Oggi è tramontata «l’epoca della cristianità», quando fede e civiltà, Chiesa e Stato, mondo religioso e mondo laico erano strettamente collegati e collaboravano. Oggi la Chiesa vive in un mondo secolarizzato, con cristiani la cui fede è vacillante e quelli che si dichiarano senza religione: in Polonia sono il 9,3 per cento, in Italia il 14-15 per cento (circa 10 milioni!), in Spagna il 19,5 per cento, in Germania il 21, in Francia il 27, in Inghilterra il 31! Anch’essi sono creati da Dio e redenti da Cristo; anch’essi vanno evangelizzati e hanno dei valori morali e spirituali.

La pista per la Nuova Evangelizzazione è già aperta, ma il cammino per una “Chiesa dialogante” è ancora lungo. Il “dialogo della salvezza” vale anche per le diocesi e parrocchie della nostra Italia. Ma finora si va avanti col faticoso tran-tran tradizionale di scarsa apertura e dialogo con chi è fuori del gregge di Cristo, anche perché i preti, come diceva un parroco di Milano al cardinal Martini: «Ringrazio il cielo che vengono in chiesa solo il 15 per cento dei miei parrocchiani, perché se venissero tutti, mi sarebbe impossibile portare avanti la mia parrocchia». Ma la missione della Chiesa non riguarda solo i preti e le suore. Papa Francesco insiste nel dire che vuole “una Chiesa missionaria” e questo, come nelle missioni, riguarda tutti i battezzati credenti e praticanti! Ecco la “rivoluzione” che il Concilio e i Papi propongono e che Francesco porta alla ribalta nel suo modo simpatico ed esplosivo.

I nostri vescovi dicono e scrivono spesso che “abbiamo molto da imparare dalla Chiesa missionaria”, però sono dichiarazioni che non trovano applicazioni concrete nella pastorale ordinaria di diocesi e parrocchie. Adesso arriva dalle missioni Papa Francesco che in modo del tutto imprevisto spiazza tutti col suo modo di agire e di parlare e conquista i cuori, anche di molti non cristiani.  Non c’è alcuna rottura fra Francesco, Benedetto, Giovanni Paolo I e II, Paolo VI, eccetera, ma Francesco porta la novità del metodo missionario.  Nel nostro mondo post-cristiano dove, mi dicono parroci e viceparroci, che circa la metà dei giovani non sanno più nemmeno il Padre Nostro e l’Ave Maria, Papa Francesco è mandato dallo Spirito Santo, porta la Chiesa a livello della gente comune, parla a braccio (a rischio di dire anche cose poco esatte!) e provoca gli ascoltatori, dice che il Padre è misericordioso e perdona tutti, provoca gli ascoltatori, dice che vuole «una Chiesa povera per i poveri», spariglia le carte e conquista i cuori.

Insomma a me pare che sia all’inizio di un cammino che cambierà il volto della Chiesa, casa di tutti e per tutti. Non sappiamo come, non sappiamo dove andrà a finire, non sappiamo niente. Noi ci fidiamo dello Spirito Santo, che ha preso Jorge Mario Bergoglio «dalla fine del mondo» e l’ha mandato nelle nostre antiche Chiese d’Europa quasi come una sfida al nostro modo di concepire la parrocchia, la pastorale e la vita cristiana. 

Papa Francesco è davvero provvidenziale. Ho avuto grandi esperienze missionarie in ogni parte del mondo e ho toccato con mano quanto le vie di Dio sono diverse dalle nostre! A noi credenti spetta pregare, dare buon esempio, seguire con amore Papa Francesco e fidarci dello Spirito Santo. Certamente anche facendo le nostre osservazioni, ma senza accanimento critico, senza dividere il “Corpo mistico di Cristo”, senza diminuire l’ondata benefica  che questo Papa sta seminando anche nel mondo non cristiano: una cordiale attenzione e simpatia per Cristo e la sua Chiesa.

Papa Francesco è il vento nuovo dello Spirito che soffia forte, perché viene da Chiese giovani che noi visitiamo ma non comprendiamo. Ad esempio, quando Francesco parla di una «Chiesa povera tra i poveri», noi pensiamo ai nostri poveri, lui pensa a quelli del suo mondo: l’Argentina (estesa sette volte l’Italia con 40 milioni di abitanti) ha un Pil medio pro-capite di 11.000 dollari, l’Italia 37.000. In Africa e Asia, le differenze con noi diventano abissali. Quando parlo alla gente, dico sempre che noi siamo i privilegiati dell’umanità, perché abbiamo ricevuto il dono della fede e siamo nati in Italia dopo duemila anni di cristianesimo! Gran parte dell’umanità vive ancora nell’Antico Testamento, come il popolo ebraico prima di conoscere Gesù!

Tratto dal blog di padre Piero Gheddo




Caterina63
00martedì 8 marzo 2016 23:42

 

Card. Muller: “l’insegnamento della Chiesa non è mia proprietà, è qualcosa che ci è stato dato” “non ci può essere un secondo matrimonio. Come possiamo fare compromessi con la Parola di Dio”



 



In previsione della prossima pubblicazione dell'Esortazione Postsinodale sulla famiglia,  pubblichiamo alcuni forti dichiarazioni del Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede cardinale Müller recuperate dal vaticanista  da interviste tedesche.

L


Müller, Sinodo. Niente compromessi
di M. Tosatti

Nelle prossime settimane – forse per la festa di San Giuseppe – dovrebbe essere pubblicata l’Esortazione post-sinodale del Pontefice in relazione alla famiglia e ai problemi ad essa collegati. Il tema è stato oggetto di due Sinodi dei vescovi, uno straordinario e uno ordinario, nel 2014 e nel 2015; ed è stato il campo di battaglia di visioni opposte sulla possibilità, e come, di ammettere i divorziati risposati ai sacramenti. 

L’impianto del testo, in cui ha giocato un ruolo importante il rettore dell’Università Cattolica di Buenos Aires, oltre a suoi consiglieri romani e a un teologo del Nord Italia, è stato preparato secondo alcuni già nell’estate del 2015, prima della seconda tornata sinodale. E naturalmente è stato aggiornato dopo ottobre. 


Informazioni confidenziali provenienti da ambienti vicini alla Segreteria del Sinodo parlano di una grande quantità di osservazioni pervenute ai curatori del documento prima da parte del Teologo della Casa Pontificia, il domenicano polacco Wojciech Giertych, e poi dalla Congregazione della Dottrina della Fede. Questa da sola avrebbe presentato più di duecento osservazioni e correzioni. Sarebbe interessante vedere quanto di questa opera di limatura abbia trovato posto nell’Esortazione. In particolare in relazione al problema dei sacraenti per i divorziati risposati. 



Ė significativo però che proprio in questi giorni il Prefetto della Congregazione della Fede, il cardinale Müller in due distinte interviste abbia trattato l’argomento in termini che sembrano di appoggio alla tradizione, più che alle teorie del card. Kasper e dei vescovi tedeschi. In un’intervista del 27 febbraio a Domradio.de, la stazione radio della diocesi di Colonia, ha detto che “l’insegnamento della Chiesa non è mia proprietà, è qualcosa che ci è stato dato”, e che il nostro compito “è parlare chiaramente dell’insegnamento della Chiesa, del dogma che Dio ci ha rivelato”


L’indissolubilità del matrimonio, ha detto, è un dogma, e “non ci può essere un secondo matrimonio. Come possiamo fare compromessi con la Parola di Dio”. Il giorno seguente al Kölner Stadt-Anzeiger ha detto che “non possiamo fare compromessi con i quali noi uomini trasformeremmo la chiara parola di Dio in qualche cosa di vago”.  


A un’altra domanda del giornale, ha ricordato la Familiaris Consortio, di Giovanni Paolo II, secondo cui i divorziati risposati possono accedere ai sacramenti se vivono come fratello e sorella. L’intervistatore gli ha ricordato che secondo il card. Marx questa soluzione pare impossibile. Müller ha risposto che sembrava impossibile anche agli apostoli, quando Gesù ne parlò; ma “quello che appare impossibile agli uomini è possibile con la grazia di Dio”.



Solo un vero Sacerdote può e sa parlare così.....deve parlare così! Grande Don
Alfredo Maria Morselli
Io che vivo dall'altra parte della famosa grata - quella che davvero ti santificava perchè ti faceva anche sentire protetto e al sicuro -, comprendo bene quel che dice Don Alfredo, il vero imbarazzo, ci aggiungo, non sta nel dire il peccato ma il dover tenere a freno il prete modernista che sentendosi lui in imbarazzo, cerca la conversazione amichevole iniziando con un: "ciao, come stai?" senza neppure conoscerti  o in alcuni casi ti mettono in imbarazzo magari per aver giudicato troppo severamente un peccato. Non poche volte mi è toccato dove dire a qualche sacerdote: "no guardi, si sbaglia, questo è un peccato...."
Ma è certo che questa novità papale davvero non ci voleva e non ne sentivamo alcun bisogno.....


La confessione a gesti...

 
di don Alfredo Morselli
 
Ieri sera, seduto in poltrona guardando il SS. Sacramento dalla porta aperta della cappellina invernale (l'artrosi mi impedisce di inginocchiarmi) avevo iniziato Compieta, l'ultima ora del breviario.
Come spesso mi capita, mi sono involontariamente appisolato, e... ho fatto uno dei miei soliti sogni…

Sento il bip di Whatsapp, e vedo una notizia sconvolgente… Magister punito con scomunica riservata al Sommo Pontefice. Clicco sul link e mi appare la pagina dove l'impenitente e recidivo giornalista, non pago di avere anticipato l'enciclica ecologica, aveva reso noto l'istruzione Gestis et misericordia ancora in embargo, ovvero le indicazioni per ricevere la confessione -  con gesti o con silenzi eloquenti - di coloro che si vergognano di accusare i peccati, giacché ad impossibilia nemo tenetur.
Ecco qua una sintesi delle nuove rubriche: 
Il penitente entra in confessionale e fa l'occhiolino sl confessore, pronunciando "nc"; il confessore risponde "ah va bene", e fa l'occhiolino anche lui.
 
I peccati di gola vanno accusati leccandosi le dita e di dicendo "mmmmm, slurp"

Il confessore fa un cenno che ha capito (e così tutte le volte)

Per il furto si apre la mano destra facendola roteare e chiudendo le dita sulle punte.

Se ha ecceduto in auto con la velocità, il penitente dice "Broom, broom".

Ma adesso arriva il sesto comandamento; le rubriche qui sono in latino, nel caso capitassero in mano a rudi immaturi.
 

Riassumo: il penitente, se uomo, dice "Sa Padre, siamo tutti uomini"; se donna canticchia "Sono una donna non sono una santa" di Rossana Fratello.
Il confessore risponde "Ehh cosa vuoi che sia..." ammiccando e strizzsndo l'occhiolino, facendo vedere che ha capito.
 
Assolutamente vietato mimare ogni atto impuro etc.
A quel punto il breviario, scivolando fino a terra, mi sveglia; mi vennero allora in mente alcune considerazioni:


1. Come l'ha inventata bene il Padre eterno! Nella Confessione, il perdono è gratuito e senza condizione, ma l'umiliazione e la vergogna ce lo fanno meritare un po'.
Si realizza il con me del versetto paolino "non io ma la grazia di Dio che è con me" (1 Cor 15,10).
Il buon Dio non ci tira dietro il perdono sola gratia, ma ce lo fa meritare un po'.
 
2) Come era utile la grata dei vecchi confessionali, che davano bene l'idea che la confessione non è una chiacchietata col parroco, ma un immergersi nel Sangue di Cristo; e il confessore non è don Tizio o don Caio, ma Gesù stesso; e chi si vergognava, non vedendo e non visto dal confessore, era facilitato a vuotare il sacco.
 
3) Il penitente non è un deficiente che non ce la fa, ma un fratello da condurre in vetta, proponendogli grandi cose con l'aiuto della grazia.
 
4) Ad impossibilia nemo tenetur non esiste nella morale (cioè considerando ciò che Gesù ci chiede con l'aiuto della sua grazia), perché Tutto posso in colui che mi conforta (Filip 4,13). Il confessore poi ha le grazie di stato per capire la difficoltà del penitente: potrebbe esserci una difficoltà psicologica oggettiva. Ad impossibilia può applicarsi a un nevrotico, a un malato, a casi particolarissimi di persone molto timide, ma non come norma per persone normali
 
5) Come diceva S. Carlo Borromeo, meglio arrossire un po' di qua che di là in eterno.
 
6) La confessione senza l'accusa, ovvero senza rendere comprensibili al confessore i peccati mortali commessi, è invalida. Macherebbe una pars integralis della materia della Confessione
 
7) Diceva S. Giovanni Paolo II, nell'esortazione Reconciliatio et poenitentia:
"L'accusa dei peccati appare così rilevante, che da secoli il nome usuale del sacramento è stato ed è tuttorag quello di confessione. Accusare i propri peccati è, anzitutto, richiesto dalla necessità che il peccatore sia conosciuto da colui che nel sacramento esercita il ruolo di giudice, il quale deve valutare sia la gravità dei peccati, sia il pentimento del penitente, e insieme il ruolo di medico, il quale deve conoscere lo stato dell'infermo per curarlo e guarirlo. […] Ogni peccato grave deve quindi essere sempre dichiarato, con le sue circostanze determinanti, in una confessione individuale. [...] Con questo richiamo alla dottrina e alla legge della Chiesa intendo inculcare in tutti il vivo senso di responsabilità, che deve guidarci nel trattare le cose sacre, le quali non sono di nostra proprietà, come i sacramenti, o hanno diritto a non essere lasciate nell'incertezza e nella confusione"
Conclusione: carissimo Papa, come confessore accolgo i Vostri paterni richiami a rendere il sacramento un vero incontro con la Misericordia, ma non amministrerò mai una confessione invalida.
 
 



La Confessione in Quaresima: obblighi e auspici

 
 
<header class="entry-header">
Alleghiamo di seguito le utilissime prescrizioni e  consigli per assolvere il precetto della Confessione e della S. Comunione in Quaresima e Pasqua da parte dell'esperto di liturgia di Zenit, Padre McNamara.
L
</header>
The sacrament of Confession or PenanceA proposito di Quaresima, ho sentito dire di recente che si commette un peccato mortale quando non ci si confessa durante la Quaresima. E’ vero? — J.B., Ocala, Florida (USA).
 
La risposta immediata sarebbe un semplice “no”. Una risposta più approfondita tuttavia non è così semplice, e bisogna fare alcune considerazioni.
Ecco cosa dice il diritto canonico:
“Can. 987 – Il fedele per ricevere il salutare rimedio del sacramento della penitenza, deve essere disposto in modo tale che, ripudiando i peccati che ha commesso e avendo il proposito di emendarsi, si converta a Dio.

“Can. 988 – §1. Il fedele è tenuto all’obbligo di confessare secondo la specie e il numero tutti i peccati gravi commessi dopo il battesimo e non ancora direttamente rimessi mediante il potere delle chiavi della Chiesa, né accusati nella confessione individuale, dei quali abbia coscienza dopo un diligente esame.
Ҥ2. Si raccomanda ai fedeli di confessare anche i peccati veniali.

“Can. 989 – Ogni fedele, raggiunta l’età della discrezione, e tenuto all’obbligo di confessare fedelmente i propri peccati gravi, almeno una volta nell’anno.”

Tuttavia, lo stesso Codice di diritto canonico dice anche quanto segue circa la comunione:
“Can. 920 – §1. Ogni fedele, dopo che è stato iniziato alla santissima Eucaristia, è tenuto all’obbligo di ricevere almeno una volta all’anno la sacra comunione.
“§2. Questo precetto deve essere adempiuto durante il tempo pasquale, a meno che per una giusta causa non venga compiuto in altro tempo entro l’anno.”

Queste norme trovano la loro origine nella Costituzione 21 del Quarto Concilio Lateranense tenutosi nel 1215. Il testo dice:

“Qualsiasi fedele dell’uno o dell’altro sesso, giunto all’età di ragione, confessi fedelmente, da solo, tutti i suoi peccati al proprio parroco almeno una volta l’anno, ed esegua la penitenza che gli è stata imposta secondo le sue possibilità; riceva anche con riverenza, almeno a Pasqua, il sacramento dell’Eucarestia, a meno che per consiglio del proprio parroco non creda opportuno per un motivo ragionevole di doversene astenere per un certo tempo. Altrimenti finché vive gli sia proibito l’ingresso in chiesa, e – alla sua morte – la sepoltura cristiana.

Questa salutare disposizione sia pubblicata frequentemente nelle chiese, perché nessuno nasconda la propria cecità con la scusa dell’ignoranza. Se poi qualcuno per un giusto motivo volesse confessare i suoi peccati ad un altro sacerdote, prima chieda e ottenga la licenza dal proprio parroco, poiché diversamente l’altro non avrebbe il potere di assolverlo o di legarlo. Il sacerdote, poi, sia discreto e prudente; come un esperto medico versi vino e olio sulle piaghe del ferito, informandosi diligentemente sulle circostanze del peccatore e del peccato, da cui prudentemente possa capire quale consiglio dare e quale rimedio apprestare, diversi essendo i mezzi per sanare l’ammalato.

Si guardi, poi, assolutamente dal rivelare con parole, segni o in qualsiasi modo l’identità del peccatore; se avesse bisogno del consiglio di persona più prudente, glielo chieda con cautela senza alcun accenno alla persona: poiché chi osasse rivelare un peccato a lui manifestato nel tribunale della penitenza, decretiamo che non solo venga deposto dall’ufficio sacerdotale, ma che sia rinchiuso sotto rigida custodia in un monastero, a fare penitenza per sempre.”

(Fonte: The IntraText Digital Library, CC BY-NC-SA)

Questi principi vengono menzionati anche nel Catechismo:

“1389. La Chiesa fa obbligo ai fedeli di « partecipare alla divina liturgia la domenica e le feste » e di ricevere almeno una volta all’anno l’Eucaristia, possibilmente nel tempo pasquale, preparati dal sacramento della Riconciliazione. La Chiesa tuttavia raccomanda vivamente ai fedeli di ricevere la santa Eucaristia la domenica e i giorni festivi, o ancora più spesso, anche tutti i giorni.”
E in seguito:
“2041. I precetti della Chiesa si collocano in questa linea di una vita morale che si aggancia alla vita liturgica e di essa si nutre. Il carattere obbligatorio di tali leggi positive promulgate dalle autorità pastorali, ha come fine di garantire ai fedeli il minimo indispensabile nello spirito di preghiera e nell’impegno morale, nella crescita del l’amore di Dio e del prossimo.

“2042. Il primo precetto (« Partecipa alla Messa la domenica e le altre feste comandate e rimani libero dalle occupazioni del lavoro ») esige dai fedeli che santifichino il giorno in cui si ricorda la risurrezione del Signore e le particolari festività liturgiche in onore dei misteri del Signore, della beata Vergine Maria e dei santi, in primo luogo partecipando alla celebrazione eucaristica in cui si riunisce la comunità cristiana, e che riposino da quei lavori e da quelle attività che potrebbero impedire una tale santificazione di questi giorni.
Il secondo precetto (« Confessa i tuoi peccati almeno una volta all’anno ») assicura la preparazione all’Eucaristia attraverso la recezione del sacramento della Riconciliazione, che continua l’opera di conversione e di perdono del Battesimo. 
Il terzo precetto (« Ricevi il sacramento dell’Eucaristia almeno a Pasqua ») garantisce un minimo in ordine alla recezione del Corpo e del Sangue del Signore in collegamento con le feste pasquali, origine e centro della liturgia cristiana.

“2043. Il quarto precetto (« In giorni stabiliti dalla Chiesa astieniti dal mangiare carne e osserva il digiuno ») assicura i tempi di ascesi e di penitenza, che ci preparano alle feste liturgiche e a farci acquisire il dominio sui nostri istinti e la libertà di cuore. Il quinto precetto (« Sovvieni alle necessità della Chiesa ») enuncia che i fedeli sono tenuti a venire incontro alle necessità materiali della Chiesa, ciascuno secondo le proprie possibilità.”

Da questi documenti possiamo dedurre che l’obbligo primario è di ricevere la santa comnione almeno una volta all’anno, in particolare durante il periodo pasquale. L’obbligo di confessarsi prima di ricevere la Comunione è collegato a questa pratica pasquale, in modo da essere certi di trovarsi in stato di grazia. Nonostante questa sia una deduzione logica dal punto di vista spirituale, va osservato, tuttavia, che il canone 920§2 specifica solamente una volta all’anno e non dice nulla circa un periodo in particolare.
Rispetto alla norma precedente, l’attuale Codice di Diritto Canonico facilita la prassi della confessione, rimuovendo, per esempio, la necessità di confessarsi col sacerdote della propria parrocchia per poter adempiere all’obbligo.

Il periodo per adempiere all’obbligo pasquale, come viene talvolta chiamato, può variare a seconda dei Paesi. Negli Stati Uniti va dalla prima Domenica di Quaresima alla Domenica della Trinità inclusa; in altri Paesi il periodo può iniziare con il Mercoledì delle Ceneri e terminare la Domenica dopo Pasqua o il Giovedì dell’Ascensione.

Ovviamente, l’obbligo pasquale è un requisito minimo per stimolare le persone a ricevere i sacramenti. Idealmente, un cattolico riceve la Comunione ad ogni Messa alla quale partecipa. Un cattolico dovrebbe inoltre andare a confessarsi ogni qual volta è cosciente di aver commesso un peccato grave, e una confessione regolare è altamente raccomandabile anche in caso di soli peccati veniali. Come ci ricorda il testo riportato del Catechismo, in questo precetto: “assicura la preparazione all’Eucaristia attraverso la recezione del sacramento della Riconciliazione, che continua l’opera di conversione e di perdono del Battesimo” .
Se vengono rispettate queste raccomandazioni allora, nonostante se rimane l’obbligo di ricevere la Comunione durante il periodo pasquale, la necessità di andare a confessarsi durante la Quaresima o come minimo un certo tempo prima di riceverla a Pasqua non sussisterebbe più, a meno che non ci sia presenza di un grave peccato.
[Traduzione dall’inglese a cura di Maria Irene De Maeyer]




La melassa di Melloni

di don Alfredo Morselli

 
 
Come è noto il prof. Melloni è l'esponente di spicco dell'"officina bolognese", ovvero del laboratorio teologico-alchemico del cosiddetto "evento concilio": il Vaticano II non si deve interpretare - questa è la tesi di fondo - come un insieme di testi al pari del Magistero passato, ma come un "evento", un inizio di una età dell'oro ecclesiale proiettata verso un "cambiamento epocale". Lo spartiacque di questa nuova era non è più l'ormai obsoleta antinomia "prima-dopo il Concilio", ma "prima-dopo Bergoglio".
L'evento-concilio, a cui furono tarpate le ali dal Paolo VI dell'Humanae Vitae, da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI, ora, con Papa Francesco, torna a volare...
Il prof. Melloni, informato a dovere dagli "amici", novello Buonaiuti, detta ora la linea di condotta della setta neo-modernista in Italia e nel mondo.
 
Le sue idee sono espresse in un articolo che potremmo definire "di portata storica", tanto quanto esso sintetizza brevemente e genialmente (nel male) la to do list del progressismo.
 
Potremmo redigere il seguente indice dell'articolo  preso in esame:

 
1) Come neutralizzare la reazione
2) Come demonizzarla
3) Che fare ora?
 
1) Come neutralizzare la reazione
 
Perché si possa confutare l'errore bisogna che questo sia ben fissato; per mirare ci vuole il bersaglio. Allora è sufficiente nascondere la prassi eretica senza rivestirla ufficialmente di eresia.
"Trovate nell'esortazione - cari oppositori - una frase sola contraria al CCC! E se la trovate noi diremo, come abbiamo fatto al tempo di S. Pio X, che in realtà non diciamo ciò di cui ci accusate, ma che vogliamo solo "la misericordia". Ecco la nostra arma, un documento melassa dico-non dicovedo-non vedo, dove non si danno espliciti permessi condannabili, ma un'imprecisata carta bianca".

Così ho tradotto le ipsissima verba di Melloni:
"[il Papa] Ha allora superato lo scoglio chiamando a responsabilità i vescovi a cui restituisce poteri effettivi, segnando, come ha detto il cardinale Kasper, una vera e propria «rivoluzione» (...) Perché il problema è legittimare una prassi (quasi tutti i parroci comunicano coppie nate per grazia dopo esperienze devastanti) e non fondarla teologicamente. Nella "misericordia", appunto".
2) Come demonizzare la reazione
Il buon Papa Luciani insegna che non è bene fare i conti senza l'oste; non si sa mai che i progressisti non facciano in tempo a preparare il prossimo conclave immune da imprevisti. Bruciato ormai il Card. Scola, la personalità ecclesiale che potrebbe impensierire i progressisti è il  Cardinale Robert Sarah.
Bisogna allora creare un nuovo Lefébvre, etichettare il nemico e attraverso di lui tutti gli oppositori. Scrive Melloni:
"Chi gli è stato vicino [al Papa] (Francesco ironizza sullo stuolo di amici che gli sono vicinissimi che ha scoperto di avere diventando Papa) ha riferito che sarebbe rimasto impressionato dalla linea di contrarietà esplicita e plateale assunta su questo punto dal cardinale africano Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti. Sarah - esattamente come nella comunione anglicana - è punto di riferimento del conservatorismo africano e il raccordo naturale di molti dei padri sinodali di quel continente: cioè dei vescovi che rappresentano la futura quota maggiore del cattolicesimo della metà del secolo XXI". 
Come aggirare l'ostacolo? Mentre "gli amici" demonizzano il pericolo n. 1, andiamo avanti imperterriti con la strategia sopra descritta:
"Il Papa ha perciò deciso di non provocare, e non arretrare: non vuole correre alcun tipo di pericolo per quanto riguarda l'unità della Chiesa e sa che essa è stata storicamente minacciata da diatribe dottrinarie politicamente rilevanti come sono queste. Ma non è disposto a compromettere quella "misericordia" che nella sua teologia è il cuore stesso del vangelo".
3) Che fare?
 
Proseguono le indicazioni di Melloni: da qui alla vittoria finale continuiamo a erodere quote all'episcopato, bypassando i prefetto all'uopo e lasciando le briciole ai conservatori:
"Nelle ultime nomine italiane si sono seguiti criteri diversi da quelli che avevano ispirato le procedure e le scelte, da ultimo affidate al cardinale canadese, Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi (…) eppure Ouellet su alcune delle scelte recenti per l'Italia o non è stato consultato o ha dovuto far buon viso a scelte come quelle di Bologna, Cassano, Lodi, Matera, Modena, Padova, Palermo, Pescia (…) Ouellet, che dicono abbia minacciato le dimissioni sentendosi scavalcato, ha forse avuto peso o ha fatto valere vecchi criteri nelle nomine dei vescovi di Pavia, Corrado Sanguineti che viene dalle fila della Cl di Chiavari, e di Cremona, Antonio Napoleone. In più si profila vicino il biennio che segnerà i 75 anni dei cardinali Scola e Bagnasco. L'obiettivo del Papa resta comunque quello di trovare vescovi che in Curia o nella Cei capiscano che "non siamo in un epoca di cambiamenti, ma in un cambio di epoca" e che sentano l'attesa di rinnovamento di cui ha bisogno una nuova primavera missionaria".
Nel frattempo - continua la dettatura dell'agenda - promuoviamo alla presidenza il nostro fedelissimo agente alla CEI, Mons. Bruno forte, e così piantiamo nella mappa strategica un'altra bandierina importante:
"Bruno Forte, arcivescovo di Chieti, il teologo di punta del Sinodo che gode della stima di Francesco e che potrebbe rappresentare se non un nome, un modello. Uno che era già vescovo prima del 2013, che ha una diocesi abbastanza piccola per potersi occupare della Cei, e che possa saldare la diffidenza del Papa per tutto ciò che è "italiano"".
Conclusione
 
Se l'articolo di Melloni dica il vero, o solamente quello che lui vorrebbe fosse vero, non lo so. E fino all'uscita del documento non mi fascio la testa prima che sia rotta.
Certamente siamo nel cuore di una guerra epocale, una fase apocalittica dove bisogna chiedere all'Immacolata che i tempi siano abbreviati in virtù degli eletti:
"Se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessun uomo si salverebbe. Ma a motivo degli eletti che si è scelto ha abbreviato quei giorni" (Mc 13,20). 
Che cosa è la risicata opposizione al modernismo, di fronte a tanto sovrastanti bocche da fuoco?
 
Facciamoci santi, facciamo la nostra parte; in primis ci consolano le promesse del Salvatore "Non praevalebunt": e alla luce di queste promesse, ancora più credibili sono le parole di Giuda Maccabeo: "Non è impossibile che molti cadano in mano a pochi e non c’è differenza per il Cielo tra il salvare per mezzo di molti e il salvare per mezzo di pochi" (1Mac. 3,18).
 


 

 
In un'intervista a "Deutsche Welle" mons. Gaenswein ha detto sull'esortazione apostolica post-sinodale: “Sono convinto che (il Papa) continuerà sulla strada tracciata dai suoi predecessori, e cioè secondo il Magistero della Chiesa, e che di conseguenza nel suo scritto magisteriale si troveranno dichiarazioni in questo senso”.

141021_Gaenswein_Franziskus_imago
 
MARCO TOSATTI
21/03/2016

La radio tedesca “Deutsche Welle” ha reso pubblica un’intervista di circa venti minuti con l’arcivescovo Georg Gaenswein, segretario particolare di Benedetto XVI e Prefetto della Casa Pontificia con l’attuale Pontefice. L’intervista è andata in onda il giorno in cui il Papa firmava l’esortazione apostolica post-sinodale sulla famiglia.  

Quando l’intervistatore ha chiesto a Gaenswein se ci saranno, nel documento, dei cambiamenti per quanto riguarda i cattolici divorziati e risposati civilmente, il prelato ha risposto: “Sono convinto che (il Papa) continuerà sulla strada tracciata dai suoi predecessori, e cioè secondo il Magistero della Chiesa, e che di conseguenza nel suo scritto magisteriale si troveranno dichiarazioni in questo senso”.  

 Egualmente alla domanda se pensa che nell’immediato futuro ci saranno modifiche alla legge del celibato sacerdotale per i preti di rito latino, il Prefetto della Casa Pontificia ha detto: “Non so se questo tema interessa così tanta gente, adesso.” Vivere il celibato, secondo lui, “è altrettanto difficile che vivere un buon matrimonio, e avere una buona famiglia”. Ha ricordato che il celibato non è qualche cosa che riguarda solo i preti cattolici, ma che al di fuori del cristianesimo ci sono persone che percorrono questa strada. Gaenswein ha detto che il Papa è fortemente ispirato da S. Ignazio di Loyola, che il Papa è “Un gesuita della vecchia scuola”. Per il Papa, il celibato “non è un ostacolo – ha detto – è una sfida, ma anche una fonte di forza”.  

E ha concluso: “Non credo che sotto papa Francesco ci sarà adesso un cambiamento nella questione del celibato”.  

Per leggere l’intero articolo relativo, nella traduzione inglese e con il commento di Maike Hickson, cliccate QUI.  



Caterina63
00martedì 29 marzo 2016 20:51

LUNEDÌ 28 MARZO 2016

La rivoluzione pastorale

A quanto è stato riferito, il 19 marzo scorso il Papa avrebbe firmato l’esortazione apostolica post-sinodale contenente i risultati degli ultimi due Sinodi dei Vescovi: la III assemblea generale straordinaria su “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione” (5-19 ottobre 2014) e la XIV assemblea generale ordinaria su “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo” (4-25 ottobre 2015). La pubblicazione è attesa per la metà di aprile.

 

Il 14 marzo il Card. Walter Kasper, nel corso di una conferenza tenuta a Lucca, ha annunciato: «Tra pochi giorni uscirà un documento di circa duecento pagine in cui Papa Francesco si esprimerà definitivamente sui temi della famiglia affrontati durante lo scorso sinodo e in particolare sulla partecipazione dei fedeli divorziati e risposati alla vita attiva della comunità cattolica. Questo sarà il primo passo di una riforma che farà voltare pagina alla Chiesa dopo 1700 anni». A leggere questo annuncio bomba del Cardinale tedesco, sembrerebbe di capire che l’esortazione apostolica costituirà uno “strappo” alla tradizione in materia di matrimonio e famiglia.
 
 
Il 19 marzo, vale a dire il giorno stesso della presunta firma del documento, il Prof. Alberto Melloni ha pubblicato su Repubblica un editorialesull’argomento. L’esponente della “Scuola di Bologna” sembrerebbe rassicurarci: «Nessuna spaccatura. Ma una sintesi, tra rigoristi e progressisti. Francesco disorienta ancora una volta chi sperava di “incastrarlo” nel dibattito sinodale sulla famiglia e sulla comunione ai divorziati. O chi pensava di mettere in contraddizione, dentro il sinodo e nella platea dei fedeli, la supposta rigidità di una “dottrina” con una “apertura” che il Papa sintetizza nell’espressione “misericordia”. L’Esortazione post-sinodale su cui oggi Francesco apporrà la sua firma, conterrà proprio questa combinazione di elementi. E l’operazione di chi puntava su uno strappo è clamorosamente fallita». 
Si potrebbe eccepire: ma il Prof. Melloni che ne sa? Ma lasciamo perdere: da che mondo è mondo, c’è sempre stato qualcuno che, senza averne i titoli, risulta piú informato degli altri. Limitiamoci alle sue affermazioni, che sembrano fondarsi su una conoscenza non approssimativa del documento papale: non ci sarà alcuna rottura, ma ci troveremo di fronte a una superiore sintesi fra le diverse posizioni. Ah, beh, beh! Possiamo tirare un sospiro di sollievo: la rivoluzione è rimandata.
 
Se però proseguiamo nella lettura, il Professore aggiunge: «Il Pontefice, coerentemente con la riforma del linguaggio del pastorale e del dottrinale che è al cuore del concilio Vaticano II, pensa che una dottrina che non includa la misericordia sia solo una ideologia. E che una “apertura” che non abbia la pretesa di dire la verità che è la persona di Gesú Cristo, sia solo una operazione di marketing. Ha allora superato lo scoglio chiamando a responsabilità i vescovi a cui restituisce poteri effettivi, segnando, come ha detto il cardinale Kasper, una vera e propria “rivoluzione”». 
Sembrava che Melloni prendesse le distanze dalle anticipazioni di Kasper, e invece ecco che le conferma, arrivando al punto di parlare di una vera e propria “rivoluzione”. Sembrerebbe di capire che la rivoluzione consista nel restituire ai Vescovi “poteri effettivi”. Che significa? Che sulla questione dell’ammissione dei divorziati risposati alla comunione saranno i singoli Vescovi a decidere? 
È possibile; ma ciò non giustifica la frase del Cardinale: «Questo sarà il primo passo di una riforma che farà voltare pagina alla Chiesa dopo 1700 anni». 
Perché proprio millesettecento anni? Forse che millesettecento anni fa erano stati tolti ai Vescovi “poteri effettivi”? Non mi risulta. Se sottraiamo a 2016 millesettecento, otterremo 316, una data non particolarmente significativa. Nel 313 c’era stato l’Editto di Milano. Ma allora che voleva dire Kasper? Che finalmente è terminata l’era costantiniana? Non vedo che cosa c’entri. O non sarà forse un riferimento al 325, anno in cui si svolse il primo concilio ecumenico, quello di Nicea? Sí, ma che c’entra?
 
Rileggiamo con attenzione l’inizio del secondo paragrafo dell’editoriale del Prof. Melloni: «Il Pontefice, coerentemente con la riforma del linguaggio del pastorale e del dottrinale che è al cuore del concilio Vaticano II...». Ah, ecco, abbiamo forse trovato il bandolo della matassa: il Professore fa riferimento al Concilio e alla sua pretesa “riforma del linguaggio del pastorale e del dottrinale”. 
Il Vaticano II è stato il primo concilio pastorale della Chiesa; fino ad allora i concili erano stati o dottrinali o disciplinari. Certamente il primo di essi, il Concilio di Nicea, fu un concilio dottrinale. Ecco allora che si incomincia a capire perché dopo millesettecento anni la Chiesa volterà pagina: perché finalmente abbandonerà l’attitudine dottrinale, assunta a Nicea, per assumerne una nuova, completamente pastorale. Sí, ma questa svolta non era già avvenuta cinquanta anni fa, appunto con la celebrazione del primo concilio pastorale? No, perché quello fu solo un tentativo. Fallito. Si voleva fare un nuovo tipo di concilio, pastorale appunto, per rompere con la tradizione plurisecolare della Chiesa; Papa Giovanni, ingenuamente, senza rendersi conto della manovra, abboccò; ma provvidenza volle che non potesse portare a termine il Concilio; il testimone passò a Paolo VI, il quale, senza sconfessarne l’iniziale fisionomia pastorale, diede al Concilio una chiara impronta dottrinale, seppure un po’ sui generis
 
La svolta, che doveva avvenire — ma non avvenne — cinquant’anni fa, a quanto pare, si realizzerà con l’esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco: al centro di essa evidentemente non saranno piú le questioni dottrinali, come era avvenuto finora, ma esclusivamente l’attenzione, tutta pastorale, per la situazione concreta in cui si trovano gli uomini del nostro tempo. Se cosí è, si può parlare di una vera e propria “rivoluzione”? Sarebbe una rivoluzione se si manomettesse la dottrina; ma, visto che la dottrina non viene toccata, che male c’è a fissare l’attenzione sui problemi concreti della vita di ogni giorno?
 
E invece si tratta proprio di una rivoluzione, perché non tocca questo o quel punto della dottrina (in tal caso sarebbe, semplicemente, un’eresia), ma consiste in un cambio radicale di atteggiamento, di prospettiva: una vera e propria “rivoluzione copernicana”. È vero che la dottrina non viene toccata; ma semplicemente perché non interessa piú: è inutile; peggio, dannosa. 
Avete sentito il Prof. Melloni: «Il Pontefice … pensa che una dottrina che non includa la misericordia sia solo una ideologia». La dottrina è tendenzialmente ideologica; la dottrina divide, provoca le guerre di religione; la dottrina è l’arma di cui si servono i dottori della legge, gli scribi e i farisei per giudicare e condannare. Meglio dunque preoccuparsi della vita concreta, incontrare le persone nella loro condizione reale, cercare ciò che unisce, collaborare con tutti, a prescindere dalle differenze che ci distinguono. Questo atteggiamento può essere definito, appunto, “pastorale”. 
 
Bisognerebbe che qualcuno, prima o poi, si decidesse a fare la storia di questo nuovo orientamento della Chiesa. Giustamente Mons. Brunero Gherardini, nella sua conferenza al convegno sul Vaticano II (16-18 dicembre 2010), paragona la pastorale all’Araba Fenice (“che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”), ma poi non ricostruisce l’origine e il successivo sviluppo storico del nuovo approccio pastorale della Chiesa. A me sembra, ma potrei sbagliarmi, che esso sia in qualche modo connesso con l’influsso della filosofia moderna sulla teologia cattolica, in modo particolare da parte dell’idealismo e del marxismo. 

Questo è particolarmente evidente nella teologia della liberazione e nella teologia politica, dove viene chiaramente dichiarato il primato dell’ortoprassi sull’ortodossia (su tale contrapposizione si vedano l’istruzione della CDF su alcuni aspetti della “teologia della liberazione” Libertatis nuntius del 6 agosto 1984, parte X, n. 3, e la conferenza del Card. Joseph Ratzinger tenuta in Messico nel maggio 1996, in particolare il quinto paragrafo); ma potrebbe aver determinato anche il nuovo orientamento pastorale. L’argomento, ovviamente, andrebbe approfondito. In ogni caso, un dato è certo: non ci troviamo di fronte a un atteggiamento ideologicamente neutro e spiritualmente innocuo; esso è portatore di una carica fortemente ideologica. La dottrina può, certo, trasformarsi in ideologia (quando, da descrizione oggettiva della realtà, quale dovrebbe essere, si risolve in teoria astratta che tenta di imporsi alla realtà); il primato dell’ortoprassi sull’ortodossia è, in sé, ideologia allo stato puro.
 
Non sta a me emettere giudizi, ma ho l’impressione che ci troviamo di fronte all’ultimo tentativo di assalto alla Chiesa da parte del modernismo. Finora il modernismo non era riuscito a imporsi, perché si era sempre mosso su un piano dottrinale, e su questo piano risultava relativamente facile alla Chiesa individuare le eresie e condannarle. Ecco allora che, nel corso del Novecento, il modernismo ha cambiato strategia (evolvendosi cosí in “neomodernismo”): se continuiamo ad attaccare la dottrina, non andremo da nessuna parte; la dottrina lasciamola cosí com’è; semplicemente, ignoriamola; perseguiamo i nostri obiettivi percorrendo un’altra strada, la via pastorale. Per motivi pastorali, è possibile fare tutto ciò che la dottrina proibisce. Una volta ammesso ciò che finora era proibito, a poco a poco, diventerà scontato e pacificamente accettato da tutti; la dottrina rimarrà un’anticaglia del passato, da conservare in museo, sotto una campana di vetro. E la rivoluzione è fatta. Senza spargimento di sangue.
 

 


Paolo VI e le suore violentate in Congo. Ciò che quel papa non disse mai

Prima Francesco e poi padre Lombardi hanno ridetto per l'ennesima volta che papa Montini permise a quelle suore di prendere la pillola anticoncezionale. Ma è falso. Ecco come è nata quella leggenda metropolitana. E qual è il vero stato della questione....


di Sandro Magister




ROMA, 24 febbraio 2016 – Nella pirotecnica conferenza stampa sul volo di ritorno dal Messico a Roma, papa Francesco ha tra l'altro ritirato fuori la storia che "Paolo VI – il grande! – in una situazione difficile, in Africa, ha permesso alle suore di usare gli anticoncezionali per i casi di violenza".

Ed ha aggiunto che "evitare la gravidanza non è un male assoluto, e in certi casi, come in quello che ho menzionato del beato Paolo VI, [ciò] era chiaro":

Due giorni dopo, anche padre Federico Lombardi ha ritirato fuori la stessa storia, in un'intervista alla Radio Vaticana fatta con l'intento di raddrizzare ciò che era andato storto nelle dichiarazioni del papa riprese dai media, che sul via libera agli anticoncezionali avevano già cantato vittoria:

"Il contraccettivo o il preservativo, in casi di particolare emergenza e gravità, possono anche essere oggetto di un discernimento di coscienza serio. Questo dice il papa. […] L’esempio che [Francesco] ha fatto di Paolo VI e della autorizzazione all’uso della pillola per delle religiose che erano a rischio gravissimo e continuo di violenza da parte dei ribelli nel Congo, ai tempi delle tragedie della guerra del Congo, fa capire che non è che fosse una situazione normale in cui questo veniva preso in considerazione".

Ora, che Paolo VI abbia esplicitamente dato quel permesso non risulta per niente. Nessuno è mai stato in grado di citare una sola sua parola in proposito.

Eppure questa leggenda metropolitana continua a stare in piedi da decenni, e puntualmente ci sono cascati anche Francesco e il suo portavoce.

Per ricostruire come è nata questa storia bisogna riandare non al pontificato di Paolo VI ma a quello del suo predecessore Giovanni XXIII.

Era il 1961, e la questione se fosse lecito che delle suore in pericolo d'essere violentate ricorressero a degli anticoncezionali, in una situazione di guerra come quella che imperversava allora in Congo, fu sottoposta a tre autorevoli teologi moralisti:

- Pietro Palazzini, all'epoca segretario della sacra congregazione del concilio e in seguito fatto cardinale;
- Francesco Hürth, gesuita, professore alla Pontificia Università Gregoriana;
- Ferdinando Lambruschini, professore alla Pontificia Università del Laterano, in seguito arcivescovo di Perugia.

I tre formularono assieme i rispettivi pareri in un articolo sulla rivista di area Opus Dei "Studi Cattolici", numero 27, 1961, pp. 62-72, sotto il titolo: "Una donna domanda: come negarsi alla violenza? Morale esemplificata. Un dibattito".

I tre erano tutti favorevoli ad ammettere la liceità di quell'atto, sia pure con argomenti tra loro diversi. E questo parere favorevole non solo passò indenne al vaglio tutt'altro che remissivo del Sant'Uffizio, ma divenne dottrina comune tra i moralisti cattolici di ogni scuola.

Nel 1968 Paolo VI pubblicò l'enciclica "Humanae vitae", che condannò come "intrinsecamente cattiva ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione".

E questa condanna sarebbe poi entrata nel 1997, con le stesse parole, nel Catechismo della Chiesa cattolica.

Ma anche dopo la "Humanae vitae" la liceità del comportamento delle suore congolesi continuò ad essere pacificamente ammessa, senza che Paolo VI e i suoi successori dicessero alcunché.

Anzi, nel 1993, regnante Giovanni Paolo II, la questione tornò di nuovo sotto i riflettori, questa volta a motivo della guerra non in Congo ma in Bosnia.

Il teologo moralista che quell'anno si fece autorevole portavoce della dottrina comune favorevole alla liceità fu il gesuita Giacomo Perico, con un articolo sulla rivista "La Civiltà Cattolica" stampata con l'imprimatur delle autorità vaticane, col titolo: "Stupro, aborto e anticoncezionali".

In realtà la controversia tra i moralisti, da allora fino a oggi, non riguarda la liceità dell'atto in questione, ma i fondamenti di tale liceità.

C'è chi ritiene la liceità di questo atto una "eccezione", alla quale se ne potrebbero quindi affiancare altre, valutate caso per caso, invalidando con ciò la qualifica di "intrinsecamente cattiva" – e quindi senza eccezione alcuna – applicata dalla "Humanae vitae" alla contraccezione.

E c'è invece chi ritiene l'atto delle suore congolesi o bosniache un atto di legittima difesa dagli effetti di un atto di violenza che non ha niente a che vedere con l'atto coniugale libero e volontario dal quale si voglia escludere la procreazione, sul quale e soltanto sul quale cade la condanna – senza eccezioni di sorta – della "Humanae vitae".

Lo studioso che più nitidamente ha ricostruito lo scontro tra queste due correnti è Martin Rhonheimer, professore di etica e filosofia politica alla Pontificia Università della Santa Croce, nel volume "Ethics of Procreation and the Defense of Human Life", The Catholic University of America Press, Washington, 2010, alle pagine 133-150, che a loro volta riproducono un suo precedente saggio pubblicato nel 1995 su "La Scuola Cattolica", la rivista della facoltà teologica di Milano, e nel 2007 sul "Josephinum Journal of Theology":

> The Use of Contraceptives Under Threat of Rape: An Exception?

A giudizio di Rhonheimer è la seconda tesi la più fedele al magistero della Chiesa, mentre la prima, tipicamente casuistica e "proporzionalista", offre il fianco alle critiche della "Veritatis splendor", l'enciclica di Giovanni Paolo II sulla teologia morale.

Ma curiosamente, è proprio verso questa prima tesi che sembrano pendere – con il presunto conforto di Paolo VI – sia papa Francesco nella conferenza stampa volante del 17 febbraio, sia ancor di più padre Lombardi nell'intervista del 19 alla Radio Vaticana.

L'uno e l'altro, infatti, distinguono tra l'aborto, male assoluto che non ammette eccezione alcuna, e la contraccezione, che invece – dicono – "non è un male assoluto" ma "un male minore" e quindi può essere consentita in "casi di emergenza o situazioni particolari".

Padre Lombardi cita come un altro di questi casi ammessi l'uso del preservativo in situazioni di rischio di contagio, preso in esame da Benedetto XVI nel suo libro-intervista "Luce del mondo" del 2010.

Ma appunto, riduce anche questo a un caso d'eccezione. Ignorando la nota chiarificatrice – di tutt'altro segno – che la congregazione per la dottrina della fede, dando voce a papa Benedetto, diffuse il 22 dicembre 2010 riguardo alle polemiche esplose a seguito di quel libro.

__________


La conferenza stampa di papa Francesco sul volo di ritorno dal Messico a Roma:

> Conferenza stampa del Santo Padre, 17 febbraio 2016

L'intervista di padre Federico Lombardi alla Radio Vaticana del 19 febbraio 2016:

> P. Lombardi commenta i temi affrontati dal papa con i giornalisti

La nota della congregazione per la dottrina della fede del 22 dicembre 2010, a proposito delle polemiche sull'uso del preservativo seguite al libro-intervista di Benedetto XVI "Luce del mondo":

> Nota sulla banalizzazione della sessualità

Le battute finali di quella polemica, con i rimandi a tutti i suoi precedenti momenti:

> Il professor Rhonheimer scrive. E il Sant'Uffizio gli dà ragione (22.12.2010)

__________


La presente nota è uscita inizialmente, nella sola lingua italiana, sul blog "Settimo Cielo":

> Paolo VI e le suore violentate in Congo. Ciò che quel papa non disse mai

__________





Caterina63
00martedì 12 aprile 2016 09:21

  Una strana telefonata a papa Francesco (esclusiva)






papa


Un po’ smarrito per quanto accade nella Chiesa, ho immaginato un dialogo tra un personaggio del passato e Francesco I. Il dialogo può apparire irriverente, ma è terribilmente serio. Dante Alighieri e Iacopone da Todi con Bonifacio VIII, Erasmo da Rotterdam con Giulio II, si permisero ben altra libertà, senza scandalizzare i cattolici del loro tempo.


Pronto santità, sono Enrico!


Enrico chi?


Enrico VIII, il re d’ Inghilterra.


Oh, quale onore. Metta giù, la richiamo io. Ho l’abbonamento.

Va bene Santità… ha circa 500 anni di ritardo…

Driiin

Sono Francesco, da Roma!

Santità, che piacere. Come mai mi chiama?

Ho dato una occhiata a quella lunga lettera

che lei inviò qui in Vaticano nel 1532, o giù di lì, se non erro. Devo dirle che il mio predecessore è stato un po’ poco gentile. Era un uomo un po’ attaccato alla legge. Un dottore della legge, duro inflessibile, un po’ wojtiliano e un po’ ratzingeriano. Un po’ fissato con il matrimonio e contro il relativismo. Ma ora le cose sono cambiate. Ci sono io con tanti cardinali tedeschi, tutti simpatizzanti di Lutero e degli scismi in genere: Kasper, Marx… Li conosce? Sono quelli che hanno svuotato le chiese dei loro paesi e ora danno consigli agli altri per fare altrettanto.

Ecco, volevo rivalutare il suo caso. Vediamo un po’, avrei in mente due strade possibili: la prima è vedere se il suo matrimonio è nullo. Ha qualche elemento in tal senso?

Santità mi dispiace, ma non credo sia nullo, abbiamo avuto una figlia, Mary, e molti altri bimbi, concepiti ma non nati. Ma nullo per lei cosa significa?

Beh, ho fatto un testo, ma è un po’ confuso. Lo ho dovuto fare in fretta, quasi da solo. Non mi è chiaro neppure a me, in verità. Ma non si preoccupi. C’è un’altra soluzione, fresca fresca. Si chiama “valutazione caso per caso”. Ha sentito mons. Galantino in tv che la spiegava? Galantino è un filosofo, parla così bene… Lui è un vero cattolico aperto, a quelli del Family day, a quelli che pregano davanti agli ospedali contro l’aborto, le dà di santa ragione. E’ il suo impegno primario, insieme alle trivelle, e all’immigrazione.

In verità, io vedo solo la tv inglese. Conosco mister Bean, ma non Galantino.

Scusi, ha ragione. Beh, la faccenda sta in questi termini. Non siamo più drastici come nell’Antico Testamento. Lì si andava giù un po’ duri: “Non commettere adulterio!”. Le pare che oggi si possa essere così categorici? Abbiamo aggiornato il Vecchio Testamento. Ed anche il Nuovo. Ci pensi, era nuovo 2000 anni fa, ma ora… Per cui quella frase di Gesù “non separi l’uomo ciò che Dio ha unito“, va interpretata… Non separi, a meno che...Ha letto la prolusione di Kasper al Sinodo? Diceva già tutto, poi abbiamo fatto quella lungaggine del Sinodo, sperando che i padri capissero. Ma i padri sinodali non hanno capito, si sono opposti a Kasper. Allora ho deciso che la sinodalità va benone, è una bella cosa, una bella parola, piace a Melloni e  Scalfari, però ci vuole qualcuno che decida. Renzi direbbe che ci vuole “governabilità”!

Santità, chi è Renzi?

Scusi, Lei cita mister Bean, e io non posso citare Renzi?

No, no, faccia pure… è una telefonata tra amici…ma a me interessa di più la frase che ha lasciato a metà: “…a meno che…” cosa?

Ma sì, non c’è una regola fissa. Valutiamo caso per caso. Mi dica un po’ il suo caso.

Il mio caso è che mia moglie è una vera rompiballe; in più è spagnola; in più non mi vuole dare figli maschi. In più Anna Bolena è assai bella, e cosa vuole, mettendo tutto insieme… Capisce bene, che senza eredi è un casino. Può persino scoppiare una guerra, alla mia morte. Capisce? Ricorda che anche Lutero, la prima cosa che fece fu permettere al principe  Filippo d’Assia di essere bigamo? Lui sapeva farci con i principi, il papa suo predecessore no! Un vero rozzo!

Capisco, capisco… Guardi per me si fa subito. Lei va da un prete e gli dice che ha parlato con me, e tutto si risolve.

E se quel prete è cattivo come tutti i papi del passato? Metti che sia un polacco, o un negro come Sarah, o che mi capiti un tedesco, non di quelli buoni e pasciuti, come Marx, ma di quelli secchi secchi e teologi, come Ratzinger?

Ne cerca un altro. Vedrà che con la nuova regola del “caso per caso”, uno che la assolve si trova, e tutto si sistema. Ogni prete ha carta bianca. Deve solo fare la sue valutazioni. La valutazione la fa il singolo prete; oppure, in foro interno, se lei ritiene proprio… non serve neppure quella. Basta che lei si senta a posto con la coscienza. Abbiamo introdotto il libero esame nel campo morale.

Ha ragione, non ci pensavo. Ora capisco la notizia del suo viaggio in Svezia.  Mi dica un po’, però; Lei come la mette con Giovanni Battista, quello che si fece tagliare la testa perchè disse ad Erode: “Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello”? Con san Paolo che dice che gli adulteri non si devono illudere quanto alla loro salvezza eterna?

Guardi, Battista era un tipo focoso, un po’ ingenuo, un po’ duretto… Anche Paolo, dopo la caduta da cavallo…

Bene bene, vedo che lì a Roma siete rinsaviti. Sono contento. Meglio tardi che mai.

Bene, caro Enrico, adesso la saluto perchè sto preparando una predica contro i dottori della legge. E’ la 345esima in un anno, che faccio, ma è il punto chiave. E’ così che ho riempito chiese e seminari, in Argentina (almeno mi sembra…). Giù botte secche agli ipocriti fedeli alla moglie e ai propri figli, per il gusto di poter accusare gli altri! Lo fanno per quello, sa, per sentirsi bravi. Ipocriti, sepolcri imbiancati. Trasformano i confessionali in “camera di tortura”! Sa quanti preti torturano i loro fedeli. Ci sono alcuni, come padre Pio, santificati, benchè a volte si rifiutassero di assolvere! Fortuna che ormai si confessano in pochi! Lei invece è proprio un bel tipo…

Bene bene, però le chiedo un piacere, me lo deve. Il suo predecessore Pio XI ha canonizzato Tommaso Moro, e Giovanni Paolo II lo ha nominato patrono dei politici. In verità Moro era un ottuso dottore della legge, faceva il magistrato, e si rifiutò di dirmi che avevo tutto il diritto di ripudiare mia moglie (chissà che direbbe se avesse visto che poi ne ho avute altre 5). Ecco, una cosa semplicissima: lo faccia scendere dagli altari.

Va bene, caro Enrico, del resto ho dei politici di riferimento, veramente ottimi (li ho elogiati in publico):  Emma Bonino, Giorgio Napolitano… Ne metterò uno, quando crepa, al posto di Moro. Se non ricordo male, il secondo si è rifiutato di fare qualcosa, proprio come Moro…

Sì santità. Chieda a Galantino, a Tornielli, a Spadaro, i suoi consiglieri italiani. Le ricorderanno che Napolitano si rifiutò di firmare la legge che strappava alla morte Eluana Englaro. Obiezione di coscienza, proprio come Moro. E’ proprio il tipo giusto!

Vedo che sa alcune cose dell’Italia, però!

Sì, e anche la Bonino va benone: faceva obiezione di coscienza contro la legge che criminalizzava l’aborto. Vanno bene sia Bonino che Napolitano. No Moro, no Mueller, mi raccomando.

Bene così, l’importante è andare d’accordo. Un caro saluto a sua moglie!

A Caterina?

A quella che è…

Intanto lavoro a sistemare meglio le cose, per chiarezza. Farò una modifica sinodale (io, Spadaro e Melloni) nel giuramento del matrimonio. Al posto di “giuro di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia..”che è parecchio datato, metterò: “Giuro di esserti fedele, caso per caso, a seconda delle circostanze della vita“. Così allineiamo la dottrina alla pastorale. Saluti Enrico!





Caterina63
00venerdì 15 aprile 2016 17:08

  Su il sipario. Va in scena il teatro del papa

Lesbo e Lampedusa. Porta santa e lavanda dei piedi. La borsa in mano sulla scaletta dell'aereo. Ecco come Francesco attualizza il teatro pedagogico dei gesuiti del Seicento 

di Sandro Magister




ROMA, 15 aprile 2016 – Va riconosciuta a papa Francesco una straordinaria genialità teatrale, da vero gesuita dei secoli d'oro.

La sua apparizione sabato 16 aprile sull'isola di Lesbo, sulle spiagge di approdo dei migranti del Mar Egeo, avrà da sola un impatto formidabile sulla platea del mondo. Il programma della giornata è scarno ma non ci sarà nulla da spiegare e teorizzare, basterà la scena.

Come già a Lampedusa all'alba del suo pontificato, Jorge Mario Bergoglio sta reinventando per l'odierno villaggio globale il teatro pedagogico della Compagnia di Gesù del Cinquecento e Seicento.

Quel sacro teatro barocco aveva le sue regole di spettacolarità. Esigeva molta applicazione negli attori e nel pubblico. Con Bergoglio è diverso. Le sue rappresentazioni sono di semplicità estrema, capaci di conquistare lo schermo, di arrivare a tutti.

L'imponente liturgia cattolica della settimana santa lui ormai la concentra in un solo gesto, la lavanda dei piedi. Che con lui diventa la video-notizia del giorno, condensata nell'immagine del papa con catino e grembiule, chino a terra, che lava e bacia i piedi a malviventi in prigione, a profughi nei campi di raccolta, a cattolici e miscredenti, musulmani e induisti, prostitute, transessuali. Già quattro volte l'ha fatto, e ogni volta con personaggi e in luoghi diversi, che fanno di ogni replica una novità.

Anche l'anno giubilare ha con Francesco la sua scena madre: la porta santa. Le indulgenze e il purgatorio sono spariti, un moderno Lutero non ha più nulla contro cui protestare. La prima porta santa il papa l'ha aperta non a Roma ma nel profondo del continente nero, nella capitale della Repubblica Centrafricana in piena guerra civile. Un palcoscenico scelto per mostrare che cos'è quella misericordia di Dio che lava tutti i peccati del mondo. E solo dopo Francesco ha aperto la porta santa della basilica di San Pietro. E poi ancora quella dell'ostello dei poveri, presso la stazione ferroviaria di Roma.

Un venerdì al mese il papa compare inoltre a sorpresa in un ospizio per vecchi abbandonati o in un centro di ricupero per tossicodipendenti, in luoghi ogni volta accuratamente studiati.

Sono questi i gesti di Francesco che fanno il giro del mondo, virali. All'aeroporto di Fiumicino, in partenza per Cuba lo scorso settembre, ha tenuto a farsi salutare dalla famiglia siriana che ha ospitato in una casa del Vaticano, poco fuori le mura. Poi si è fatto dare la sua vecchia cartella e con questa in mano ha salito la scaletta dell'aereo, come fa sempre. Perché tutti imparino che non ha portaborse, che fa e decide da sé, e infatti non c'è una volta che gli compaia accanto l'uno o l'altro dei suoi due segretari personali.

La teatralità di Francesco è fatta anche della capacità di occultare ciò che gli può danneggiare l'immagine. Lo scorso 21 marzo, il lunedì della settimana santa, ha ricevuto in Vaticano Nicolas Sarkozy e Carla Bruni. E miracolosamente è riuscito a non far trapelare la notizia e le foto.

Con i capi di Stato e di governo, nelle foto in posa, è attentissimo a graduare i sorrisi, assegnando a ciascuno il punteggio che merita.

Faccia scura con François Hollande, ricevuto poco dopo la legalizzazione in Francia del matrimonio per lesbiche e gay.

Faccia tetra col neopresidente argentino Mauricio Macri, laico e liberale, la cui vittoria è stata per Bergoglio una bruciante sconfitta.

In Argentina tutti lo ricordano come tipo riservato, sempre serio in volto. Ma da papa, a contatto diretto con le folle, è tutto l'opposto. È un'esplosione di giovialità, talmente ben recitata da apparire spontanea.

Anche a parole ama improvvisare ed è un fiorire di aneddoti e di battute, che trae da un suo repertorio non ricco ma ben assortito. Ama interagire con il pubblico. Dice una frase e la fa ripetere in coro dalla folla una, due, tre volte di seguito, per ben fissargliela in testa.

Appena eletto papa ha subito sostituito il suo palcoscenico quotidiano. Non più il Palazzo Apostolico, così adatto ai classici del teatro, ma Casa Santa Marta, perfetta per la sua commedia dell'arte.

__________


Alle rappresentazioni teatrali messe in scena dai gesuiti del Cinquecento e Seicento è dedicato un capitolo del volume "Diego Laínez (1512-1565) and His Generalate", pubblicato a Roma nel 2015 nella "Bibliotheca Instituti Historici Societatis Iesu".

Ne ha riprodotto un estratto "L'Osservatore Romano" del 14 gennaio 2016:

> Teatro pedagogico


__________


Questa nota è uscita su "L'Espresso" n. 16 del 2016, in edicola dal 15 aprile, nella pagina d'opinione dal titolo "Settimo cielo" affidata a Sandro Magister.

Ecco l'indice di tutte le precedenti note:

> "L'Espresso" al settimo cielo

__________



Teatro pedagogico

Estratto del volume: "Diego Laínez (1512-1565) and his Generalate", Institutum Historicum Societatis Iesu, Roma, 2015. Da "L'Osservatore Romano" del 14 gennaio 2016 

di Mirella Saulini




La settimana di festeggiamenti che fece seguito all’elezione del primo successore di Ignazio di Loyola, Diego Laínez, fu chiusa da "un’appropriata rappresentazione teatrale".

Non poteva essere altrimenti: da qualche anno infatti nei collegi della Compagnia di Gesù venivano composte, per lo più dai maestri di retorica, e recitate, dagli allievi, opere teatrali; occasione per la messinscena erano sia i momenti significativi del calendario scolastico, sia eventi che, come quello suddetto, meritassero una celebrazione particolare.

Era nato così il teatro dei Gesuiti, il quale si distingue tra quelli dei diversi ordini religiosi tanto per la sua strutturazione e organizzazione, quanto per la ricchezza del repertorio. Nel corso del tempo, alla pratica scenica si affiancarono problemi e discussioni di poetica che completano il valore culturale della produzione e la inseriscono a pieno diritto nella storia del teatro, non soltanto di quello sacro: la produzione raccolse infatti tanto l’eredità delle rappresentazioni sacre medioevali che quella del dramma classico, anticipando al contempo la spettacolarità del teatro barocco.

La tragedia "Ecerinis" (1314), di Albertino Mussato, segnò l’inizio del teatro neolatino che rimase vivo per lungo tempo in Europa, anche nei Paesi protestanti. Esso attinse per i propri soggetti all’Antico Testamento, ma anche al mito e alla storia. Va ricordato altresì che in Francia, e in tutta Europa, maturò, tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, una significativa esperienza di teatro universitario.

E in Francia, a Parigi, giunse, il 2 febbraio 1528, Ignazio di Loyola, che là incontrò i primi compagni e conseguì, nel 1535, anno in cui ripartì dalla città, il titolo di maestro in Arti. I drammi recitati nei collegi universitari mostravano esempi di costanza e coraggio, volevano ispirare il disgusto per i vizi e rinsaldare la fede, avevano un valore edificante che il teatro dei Gesuiti farà proprio.

Durante il soggiorno parigino, Ignazio, e con lui Laínez, appresero altresì il valore pedagogico delle celebrazioni accademiche e in particolare delle rappresentazioni teatrali, che costituivano per gli allievi un’utile forma di esercizio.

All’arrivo in Italia, i primi Gesuiti applicarono la lezione parigina: per esempio nel 1552 a Ferrara all’apertura dell’anno scolastico si recitarono poemi e orazioni; si passò poi a forme più elaborate e i dialoghi vennero intermediati da versi messi in musica; nel 1556, a Bologna, si tennero rappresentazioni sacre in occasione del Natale e della Pasqua.

Nel 1554 al Collegio Romano, gli otto giorni di dispute accademiche inaugurali si conclusero probabilmente con un poema dialogico di Andrea Frusius, "De scientiarum honestate ac utilitate dialogus". Nel medesimo collegio, il 5 novembre 1564 iniziò con un dialogo la prima premiazione degli studenti meritevoli delle classi di grammatica, umanità e retorica.

Poemi, orazioni e dialoghi sono parte integrante del programma didattico e formativo e in occasioni solenni divengono atto pubblico; essi rappresentano la primissima fase del teatro dei Gesuiti, ma già nel 1555 in più di un collegio si rappresentavano drammi a soggetto edificante.

Bisognerà arrivare alla fine del Cinquecento e ai primi decenni del Seicento, i secoli del massimo splendore, perché lo sviluppo di quel teatro si consolidi, anche grazie all’emergere di autori di grande spicco.

Gli storici hanno ormai ampiamente dimostrato che la Compagnia non nacque come ordine insegnante e che soltanto le circostanze, non ultima la necessità di formare i membri dell’ordine stesso, spinsero Ignazio nella nuova direzione. Si può dire che il cammino del teatro dei Gesuiti vada di pari passo con l’ampliamento della rete dei loro collegi e come il numero di questi aumentò presto in tutto il mondo.

Così si diffuse l’attività teatrale, significativa componente della didattica. Proprio in forza del suo essere intrinseca al "curriculum studiorum", sarà la stessa "Ratio atque institutio studiorum Societatis Iesu" a stabilirne lo statuto, considerandola mezzo atto a stimolare l’impegno degli allievi. La "Ratio" le riconosce altresì un modesto valore propagandistico, in quanto "i fanciulli possono mostrare in teatro un qualche esempio del proprio studio, azione e memoria".

L’uomo che s’intende formare nelle scuole deve unire alla fede e all’integrità morale una solida cultura; il programma "includeva la teologia e i casi di coscienza che non erano discipline proprie di un curriculum umanistico. L’insegnamento di queste discipline [umanistiche] e lingue [latino, greco, ebraico] verso la metà del XVI secolo era inseparabile da una sorta di fede nel potere formativo del programma educativo di cui erano espressione. Il programma gesuitico era una specie all’interno del genere".

Ma l’allievo, non sempre destinato alla vita ecclesiastica, doveva entrare nel mondo possedendo gli strumenti necessari, primo tra tutti l’uso attento della parola; da qui l’importanza attribuita alla retorica. Il teatro è un esercizio scolastico atto a soddisfare lo scopo, a mostrare al pubblico, per la gloria del collegio, come quello scopo sia stato raggiunto e a elevare spiritualmente, dal momento che si sceglie un soggetto sacro e onesto, l’allievo attore ancor prima che lo spettatore.

Il nucleo di significato del teatro dei Gesuiti è chiaro sin dall’inizio e rimarrà immutato nel tempo: le vicende portate sulla scena sono manifestazioni dello scontro tra il Bene e il Male, le due forze che si combattono nell’animo dell’uomo e nel mondo come due eserciti in guerra: comandanti ne sono Dio e Satana, il Cristo e l’Anticristo. Sul palcoscenico l’azione premia il Bene, perché sia dimostrata la necessità di seguirlo per conquistare la vita eterna e perché allievi e pubblico imparino a praticarlo.

Va detto che la metafora dei due eserciti nemici non è nuova; dalla Lettera di san Paolo agli Efesini fino alla meditazione ignaziana dei due vessilli nel quarto giorno della seconda settimana degli Esercizi spirituali, essa può considerarsi un "topos" della letteratura ascetica.

Non è questo l’unico collegamento che si è individuato tra l’opera di sant’Ignazio e il teatro: dalla "compositio loci" alla suddivisione delle contemplazioni che spingono l’esercitante a vedere e sentire le persone in una sorta di teatro sacro interiore, fino alla teatrabilità di singoli esercizi, molto nel testo ignaziano rimanda alla scena teatrale.



__________







Chiedo scusa, ma non capisco

di Rino Cammilleri
20-04-2016

Caro direttore
,

Tutti mi sono testimoni che finora, su questo Papa, sono stato zitto. Molte erano le cose che, onestamente, non mi quadravano nel suo agire, ma mi sono sempre detto: il Papa è lui, e chi sono io per giudicare? Ma sabato al telegiornale ho visto la scena straziante di un cattolico pachistano in lacrime, col cuore spezzato e la schiena pure a furia di stare genuflesso ai piedi del papa: un poveraccio che non sapeva se ridere per la gioia inaspettata o piangere per la disperazione. Ripeto: un cattolico, e pachistano. 

Ed è inutile qui ribadire quel che sanno tutti sulla situazione del posto da cui scappa. Poi lo stesso tiggì mi comunica che il Papa, sul suo aereo, s’è imbarcato tre famiglie musulmane, in nome e per conto della solita Sant’Egidio. Musulmane. A chi gli ha fatto notare l’incongruenza (e non ci voleva certo un kattolico come me per accorgersene) ha risposto che: a) è stato lo Spirito Santo a ispirarlo, b) quei dodici musulmani avevano le carte in regola. Gli unici, a quanto pare, su decine di migliaia di «profughi». Uno dei quali, lungamente intervistato dallo stesso tiggì, era un nero della Sierra Leone. Profugo pure lui? E da quale guerra scappava, da quella all’Ebola? 

Bene, spenta la tivù, mi sono arrampicato sugli specchi per cercare una pezza di giustificazione. Mi sono detto: vorrà apparire imparziale, far vedere che il papa è padre di tutti; magari, se avesse imbarcato solo cattolici, gli altri cristiani e pure i musulmani avrebbero potuto accusarlo di faziosità. Ma poi mi sono replicato: il papa è padre non di tutti ma dei cattolici. E se un cattolico viene posposto dal Papa a un musulmano, allora chiunque può pensare che per il papa una religione vale l’altra (questo è il «messaggio» che parte, non un altro), meglio essere musulmani che cattolici, perché Maometto difende i suoi figli, Cristo (di cui il Papa è vicario) no. 

Nella stessa linea del «messaggio» lanciato con le contorsioni sinodali sulla comunione ai divorziati: non vale la pena di rispettare le regole, basta aspettare la prima sanatoria (come nell’edilizia abusiva). Siamo in una società liquida, perciò anche la religione si adegua. 

Perdono, ma ciò è quanto, a questo punto, ho capito io. E, poiché faccio il saggista e giornalista cattolico da trent’anni, se questo è quel che ho capito io figuriamoci gli altri. Ora, è vero che il Papa è lui e chi sono io per giudicare, ma poiché non ci capisco più niente non so a chi altro chiedere. Chiedo scusa se il mio tono è franco e poco reverente, ma papa Bergoglio, mi pare, non ama i salamelecchi reverenziali né il bacio alla sacra pantofola, perciò ne approfitto e mi adeguo. Detto questo, ritorno nel mio guscio. 

Auguri ai dodici musulmani che, al posto del gommone, hanno avuto la fortuna dell’aereo pontificio. Altri dodici musulmani in Italia. A Roma troveranno pure la più grande moschea d’Europa. Nel Pater noi cristiani preghiamo «non ci indurre in tentazione», ebbene, vedendo quanto siano rispettati, coccolati, temuti, riveriti e favoriti, pure dal Papa, i musulmani, e quanto siano sputati, derisi e vessati i cattolici, uno potrebbe cominciare a pensare che, in fondo, se «il nome di Dio è misericordia», guarda un po’, si tratta di uno dei novantanove nomi di Allah. Dunque… 




Caterina63
00giovedì 21 aprile 2016 21:42

Non dobbiamo fuggire dalla Croce

San Pelagiberg

(di Maike Hickson) A San Pelagiberg, un piccolo sito di pellegrinaggio mariano vicino a San Gallo in Svizzera, e un pò oltre sul sentiero della collina verso la Chiesa, c’è una croce di campo modestamente adornata, proprio all’incrocio fra due sentieri di montagna. Sotto la croce riparata del Cristo Crocifisso una placca con queste parole penetranti: «Das tat ich für DichWas tust Du für Mich?» (Questo è ciò che ho fatto per te. Cosa fai tu per me?) Da quando ho visto quest’iscrizione in gotico, non ho più smesso di pensarci. Ora, nell’attuale situazione storica della Chiesa, potremmo voler considerare e riflettere su quest’iscrizione antica e profondamente toccante. Cosa vuole Dio che facciamo per Lui ora? E come vorrebbe che lo facessimo?

Scrivo quest’articolo ispirata ed incoraggiata dalle recenti parole del professor de Mattei: «Se il testo Amoris Lætitia è catastrofico, più catastrofico ancora è il fatto che sia stato firmato dal Vicario di Cristo. Ma per chi ama Cristo e la sua Chiesa, questa è una buona ragione per parlare, non per tacere». Alla data storica dell’8 aprile 2016 è come se l’intera Verità di Cristo fosse stata inchiodata sulla Croce.

Il nostro stesso Salvatore potrebbe ora, in modo mistico, venir nuovamente crocifisso nella Sua Chiesa. Proprio come Erode, che cercò di far tacere la Verità di Dio decapitando il Suo Messaggero san Giovanni Battista, adesso è il Suo proprio Vicario in terra, il Papa Francesco, che cerca di far tacere o glissare ambiguamente su quella stessa Verità, insinuando in un documento papale ufficiale che la Verità di Cristo non è più interamente applicabile nelle mutate circostanze dell’oggi e che poiché la situazione è mutata, quella dottrina può in effetti essere ignorata.

Se il Suo Vicario sulla terra permette ora – anche se all’inizio solo in pochi casi – l’accesso ai Sacramenti per i divorziati “risposati” che vivono oggettivamente in una situazione che contraddice l’insegnamento di Cristo, allora quel documento attenua e pregiudica dall’interno quell’insegnamento e quella Verità.

L’assoluto morale è stato infranto, come il professor de Mattei ha sinteticamente affermato. E con probabili gravi conseguenze per la salvezza delle anime. Come de Mattei ha ancora detto: il dato di fatto è questo: la proibizione di accostarsi alla comunione per i divorziati risposati non è più assoluta. Il Papa non autorizza, come regola generale, la comunione ai divorziati, ma neanche la proibisce. Poco prima della pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Amoris Lætitia, il cardinale Gerhard Müller, capo della Congregazione della Dottrina della Fede, ha precisato che la Comunione per i divorziati “risposati” è possibile solo se essi vivono «come fratello e sorella».

Il cardinale Walter Brandmüller ha fatto una dichiarazione simile, due giorni prima della pubblicazione ufficiale del documento papale. Ecco le parole chiare del cardinale Brandmüller (nella mia versione e con le citazioni originali): «colui che, nonostante il legame matrimoniale esistente, contrae una nuova unione civile dopo un divorzio, commette un adulterio» – e che finché quella persona non intende porre fine a tale situazione – essa «non può ricevere l’assoluzione in Confessione né l’Eucarestia (la Santa Comunione)». Ogni altra via è «destinata a fallire» a causa della sua intrinseca mancanza di Verità. E prosegue: «Ciò vale anche per quanto riguarda il tentativo di integrare nella Chiesa coloro che vivono un “secondo matrimonio” non valido ammettendoli alle funzioni liturgiche, catechetiche ed altre. Un cammino che secondo lui condurrebbe a “conflitti” ed “imbarazzi”, compromettendo il sacro dettato della Chiesa».

Eppure, quanti di noi cattolici ci allontaniamo da questa Verità Crocifissa, fingendo persino che non esista? Quanti di noi cattolici – sia laici che del clero – avremo il coraggio di resistere a questa tentazione, così ben nota a san Pietro ed agli Apostoli (tranne che a san Giovanni, forse) e poi sopportare la sofferenza che viene di sicuro se si è leali a Cristo? È possibile solo immaginare come sia stato stare davanti alla Croce, con la folla intorno che esultava e bestemmiava, con solo i pochi fedeli discepoli rimasti, guardare Cristo venir crocifisso, sanguinare e morire? Almeno Maria era lì, con quei pochi discepoli ancora rimasti. E lei è sempre con noi, cercando la nostra difesa di Suo Figlio, ed una lealtà che perduri. Sappiamo che la Sua piena Verità nella Sua Chiesa risorgerà di nuovo. La Sua Verità ed il Suo insegnamento saranno ristabiliti, nel Suo tempo, nel Suo momento più opportuno.

Papa Francesco non avrebbe potuto fare niente di quest’opera che pregiudica e indebolisce la Sua Verità, se non fosse stata alla fine consentita da Lui. Gesù aveva detto: «Tu non avresti su di me alcun potere, se non ti fosse stato dato dall’alto». Come mi ha detto di recente un prelato d’Europa: «Dio trarrà un bene più grande da questa situazione».

Tuttavia siamo tutti chiamati alla fedeltà, in modo cooperativo. L’atteggiamento passivo non ha posto qui, e ancor meno l’indifferentismo o l’accidia. Siamo chiamati a resistere, ciascuno a modo nostro, al nostro posto, con la nostra propria vocazione. Non dobbiamo ignorare questa specifica vocazione sacrificale, altrimenti lo rimpiangeremo poi amaramente, come san Pietro. Sono tedesca.

La storia della Germania del ventesimo secolo è un racconto di crudeli perfidie e rivoluzioni, e non una sola. La mia famiglia, da parte di entrambi i genitori, ha patito per restare con Cristo e contro Hitler. Uno dei miei parenti ne ha dato testimonianza ed è morto. Quanto sono grata alla mia famiglia per aver fatto la giusta scelta. Sono rimasti leali a Cristo, a costo della possibile perdita della sicurezza, dei mezzi di sussistenza, ed anche della vita! La nostra famiglia non ha sfuggito per vergogna alla domanda: «Perché hai dovuto sottoporti ad un così vile compromesso allora? Perché invece non hai resistito?» Non fu una cosa facile.

Dobbiamo ricordarci, nel giudicare i tedeschi di quell’epoca, che rischiavano l’arresto, e peggio, se avessero alzato la voce. Ma oggi? Saremmo forse arrestati se parlassimo in modo educato ma deciso contro Papa Francesco ed il suo ambiguo insegnamento di una Misericordia più conciliante contro la Verità? Siamo di fronte ad una colpevolezza potenziale molto maggiore che presto potrà incombere su di noi, perché non abbiamo neanche da temere per la nostra sicurezza o la vita. Avevo anche dei parenti nella Germania orientale comunista. Studiando quell’epoca terribile di 40 anni di terrore comunista, ho capito che la realizzazione della rivoluzione comunista nella Germania orientale è avvenuta grazie alla molle acquiescenza ed al silenzio di tanti socialdemocratici e cristiani conservatori in buona fede.

Molti di loro credettero che ciò che era rudimentale non si sarebbe rivelato dopo tutto così cattivo. Tanti credettero alla propaganda e non resistettero in tempo alle manipolazioni e distorsioni. Aspettarono troppo a lungo, pensando di poter ancora fare qualcosa di buono nel nuovo sistema. E poi si svegliarono, ma troppo tardi il più delle volte. Quanti prelati adesso pensano nello stesso modo, e si dicono: «Posso far meglio se resto nella mia posizione d’influenza, senza che mi venga chiesto di andarmene, o andando via da me per protesta». Ma così facendo aiutano il consolidamento della rivoluzione progressiva, perché non la considerano in modo adeguato e non le resistono.

Per il fatto di non parlare forte, sottoscrivono ed sostengono implicitamente la rivoluzione. Anche loro potrebbero svegliarsi e guardare il cielo con occhi trafitti e addolorati dicendo: «Dio mio, perdonami perché ti ho dimenticato! ». Potrebbero svegliarsi rimossi, isolati, ignorati, malgrado i tentativi di restare leali al Papa. È giunto il momento di alzarsi e resistere. La Rivoluzione di Francesco è ormai andata avanti per tre anni. Una goccia dopo l’altra, questo Papa ha di fatto negato o silenziosamente emarginato degli elementi della Verità: no, non bisogna più fare proseliti; sì, anche gli atei vanno in cielo; i Protestanti possono fare la Comunione se la coscienza glielo dice; potete usare i contraccettivi a certe condizioni; e così via. Un altro chiodo è stato confitto nella Verità di Cristo sulla Croce.

Il punto critico della nostra tolleranza è stato raggiunto. O la rana salta fuori dalla pentola sempre più bollente, oppure morirà presto. La rivoluzione dell’occupazione è ufficiale, è compiuta. Ciononostante continuo a dire i miei Ave Maria ed il Rosario – specialmente per i preti veramente cattolici – affinché noi, nel Corpo Mistico di Cristo in tutti i suoi umani elementi, possiamo mostrarci degni dei tanti doni e grazie che abbiamo con misericordia e cumulativamente ricevuti. «Questo è ciò che ho fatto per te. Cosa fai tu per Me?», «Das tat ich für Dich. Was tust Du für mich?» (Maike Hickson)


E GESÙ RIMPROVERÒ PIETRO: MI SEI DI SCANDALO, PERCHÉ NON PENSI SECONDO DIO MA SECONDO GLI UOMINI

E Gesù rimproverò Pietro: mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini

di padre Basilio Martin

 

[...] nel brano evangelico di Matteo (16,21-27) si narra del rimprovero che l’apostolo Pietro fece a Gesù, a causa della sua decisione di voler “andare a Gerusalemme e lì soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso per poi risorgere il terzo giorno”. “Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai”. Nello stesso tempo l’Evangelista descrive la reazione di Gesù nei confronti di Pietro e di quanti nel corso dei secoli si comportano in egual maniera, cercando di deviare e mistificare le scelte per gli uomini. “Pietro, va' dietro a me”; cammina dietro di me. Non sei tu che devi indicarmi la strada che devo percorrere per realizzare la volontà del Padre mio. Cerca piuttosto tu di metterti in sintonia con i pensieri di Dio che non sempre corrispondono a quelli degli uomini.

A questo punto è lecito chiedersi: i cristiani hanno sempre tenuto in considerazione questo rimprovero di Gesù a Pietro, cioè di seguire i suoi passi e non di ostacolare il percorso previsto da Dio? Di osservare i suoi insegnamenti e non di stravolgerli per accondiscendere alle mode del tempo?

1) Gesù ci ha insegnato che esiste il paradiso, quello che ha promesso al buon ladrone: “Oggi sarai con me in paradiso” (Lc 23,43), luogo dove le anime vivranno beate alla presenza di Dio; ma ci ha insegnato anche che esiste l’inferno, luogo creato “per il diavolo e i suoi seguaci” (Mt 25,41). Come mai oggi nella predicazione non si parla mai della possibilità per gli uomini che rifiutano consapevolmente Dio e le sue direttive, di divenire dannati per l’eternità ed espiare le pene dell’inferno? A cosa serve addolcire gli ammonimenti del Vangelo se non per ingannare e illudere quanti potrebbero invece prendere sul serio gli insegnamenti di Gesù?

2) Oggi nella predicazione si parla, con molta enfasi, solo della Misericordia di Dio, ignorando quasi volutamente la Giustizia con cui renderà a ciascuno il premio o il castigo secondo le proprie opere: “Il Figlio dell’uomo, verrà nella gloria del Padre suo con i suoi araldi e allora renderà a ciascuno secondo le sue opere” (Mt 16,27; Rom. 2,6; 2Tm 4,14; Ap 22,12). Nella parabola del figlio prodigo (Lc. 15,11-24), non risulta che il padre sia uscito di casa a rincorrere il figlio ridotto in miseria per trascinarlo con la forza verso la casa paterna, ma che si mise in paziente attesa affinché il figlio si decidesse di ritornarvi. Non si capisce perché Dio debba obbligare gli uomini ad andare a vivere da Lui, dato che sono stati creati liberi di decidere il loro destino eterno. Tutti siamo chiamati alla vita eterna, ma tocca ad ognuno di noi aderirvi.

3) Gesù è venuto al mondo per indicarci, attraverso i suoi insegnamenti e la sua testimonianza, la strada da percorrere per riavere quell’immagine di Dio deturpata dalle scelte errate dei nostri progenitori all’origine dell’umanità. Il suo invito è: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48); “E siccome Colui che vi ha chiamati è santo - esorta san Pietro nella sua prima lettera - voi pure dovete essere santi in tutta la vostra condotta, come sta scritto: Sarete santi, perché io, il Signore, sono santo (1Pt 1,15). Non si capisce perché, oggi, nei confronti di una cultura omosessuale imperante e ossessionante la predicazione non solo tace, ma sembra quasi, che con quel “chi sono io per giudicare un gay…”, la giustifichi, quando invece san Paolo, di fronte a tale problema presente nella sua società non lascia spazio ad ambiguità: “Quelle donne che hanno cambiato il rapporto naturale in quello che è contro natura… e gli uomini pure che hanno abbandonato l’uso naturale della donna, commettendo turpitudini maschi con maschi, ricevendo in se stessi la mercede meritata del loro pervertimento, Dio li ha abbandonati.” (Rom 2,26-27). Il cardinale G. Biffi si domanda a proposito:
Questa lettera di san Paolo “è una pagina del libro ispirato, che nessuna autorità terrena può costringere a censurare.
E neppure ci è consentita, se vogliamo essere fedeli alla parola di Dio, la pusillanimità di passarla sotto silenzio per la preoccupazione di apparire non “politicamente corretti”. Domando in particolare ai teologi, ai biblisti e ai pastoralisti. Perché mai in questo clima di esaltazione quasi ossessiva della Sacra Scrittura il passo paolino Rom 1,21-32 non è mai citato da nessuno? Come mai non ci si preoccupa un po’ di più di farlo conoscere e ai credenti e ai non credenti, nonostante la sua evidente attualità? (“Memorie e disgressioni di un italiano cardinale”, di Giacomo Biffi Ed. Cantagalli p.610-612). Che sia chiaro. Gesù non ha giudicato la peccatrice adultera, però l’ha ammonita: “Va', e d’ora in poi non peccare più” (Giov 8,11). È vero che nessuno di noi ha il diritto di giudicare un fratello gay, ma ha il dovere di ricordargli che è tenuto anche lui ad adeguarsi alla statura di Cristo, se intende vivere la fede cristiana (Ef 4,13). Se non lo si fa, gli si manca di carità.

4) Nel vangelo di Matteo si viene a conoscenza della disputa avvenuta tra Gesù e i farisei. Quest’ultimi sostenevano la validità del divorzio concesso da Mosè su richiesta del popolo, mentre Gesù ribadiva con forza che quella concessione fatta da Mosè fu semplicemente un abuso, concesso senza il volere divino. “Perciò io vi dico - ribadì -: chi rimanda la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio, e chi sposa la ripudiata commette adulterio. L’uomo non può dividere ciò che Dio ha unito” (Mt 19,1-9). Va fatto presente che Gesù si rivolgeva a una società che aveva legalizzato da tempo il divorzio, ritenuto quasi una concessione divina. Si rimane perplessi sentire ai nostri giorni un alto prelato dichiarare a un giornale tedesco che “È vero che Gesù ha dichiarato il dovere di non dividere quel che Dio ha unito, però è sempre possibile interpretare” (cfr. “Questo papa piace troppo” di Gnocchi & Palmaro,  Piemme. pag. 27). Cioè, secondo questo prelato, ai nostri giorni è possibile correggere una direttiva divina solo perché la gente manifesta con i fatti l’incapacità di osservarla. Lui, come Pietro ieri, si sente autorizzato a consigliare al Maestro divino quale strada si debba percorrere. Va ricordato a questo prelato che purtroppo, oggi, forse a causa della scarsa testimonianza data dai discepoli di Cristo, molti fedeli hanno preferito adeguarsi alla mentalità del mondo piuttosto che a quella di Dio. Pietro, forse per eccesso di amore, cercò di dissuadere il Signore dal compiere la sua vocazione, ma Gesù non tenne conto di questo sentimento e lo ammonì severamente, ordinandogli di mettersi dietro di Lui, cioè di attenersi alla volontà divina, a pensare secondo la mente di Dio e non secondo quella degli uomini.

A Dio non interessano le piazze ripiene di gente esaltata che grida unanime: “Osanna al figlio di David!” (cfr Mt 21,9). A Lui interessano dei figli che lo riconoscano come loro Padre divino e si rendano disponibili a compiere la sua volontà: “Non chi mi dice: “Signore, Signore!” entrerà nel regno dei cieli; ma solo colui che compirà la volontà del Padre mio, che è nei cieli” (Mt 7,21). Dopo aver rimproverato Pietro, Gesù disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. La dottrina di Cristo non la si interpreta, caro prelato, ma la si carica sulle proprie spalle e, con essa, ci si incammina dietro a Cristo, nostro Signore. 

 






<header class="entry-header">

Si può commettere adulterio in alcuni circostanze?

</header>

La rete televisiva cattolica EWTN pone importanti interrogativi sull’Amoris laetitia a cui nessuno ha voluto rispondere.

Venerdì 22 aprile 2016 — La scorsa settimana Raymond Arroyo, direttore di EWTN, il potente network fondato da Madre Angelica, in una delle trasmissioni live più seguite del canale televisivo cattolico americano, ha affrontato il tema dell’esortazione Amoris laetitia. Per l’occasione ha convocato in studio un affermato canonista, P. Gerlard Murray, e Robert Reale, presidente del Faith and Reason Institute e noto opinionista. La discussione in studio, pur rispettosa, non ha esitato ad affrontare gli aspetti più problematici del testo post-sinodale.

youtu.be-E5Avd7bCiV0Sul paragrafo 3, quello che parla di soluzioni non preconfezionate ma da cercare “in ogni paese o regione” in modo da inculturarle con attenzione alle diverse “tradizioni e alle sfide locali”, Murray ha detto: “È un’affermazione pericolosa, soprattutto perché si sta parlando della legge universale della Chiesa sull’amministrazione dei Sacramenti”. Pensare che l’inculturazione fatta in Germania possa essere diversa da quella fatta in Polonia o in Africa “è veramente inquietante, perché i Sacramenti non sono un possesso di alcuna cultura”.

Raymond Arroyo fa notare che il linguaggio dell’Esortazione Apostolica è piuttosto impreciso e questo può generare problemi. P. Murray riconosce che questo è certamente un problema; occorre perciò precisare che “la ragione per cui la Chiesa non permette che si dia la Comunione a coloro che vivono un secondo matrimonio illegittimo è perché il secondo matrimonio implica atti di adulterio; il problema sta nella natura pubblica della questione”. Chi si trova in questa situazione “vive pubblicamente in un modo che offende l’insegnamento di Nostro Signore. Perciò non c’è un giudizio sulla coscienza delle persone, ma ciò che possiamo dire alle persone è che le tue azioni contraddicono l’insegnamento del Signore e la Chiesa non vuole contribuire ulteriormente a farti del male spiritualmente permettendoti di ricevere la Comunione o scandalizzando i fedeli lasciando che tu riceva la Comunione mentre stai vivendo un secondo matrimonio invalido. Ciò è molto serio e di questo sono molto preoccupato”.

Di seguito altri passaggi importanti della discussione in studio su alcuni passaggi importanti di Amoris laetitia.

Sul paragrafo 298: “Il Papa utilizza l’espressione ‘le persone che vivono in un secondo matrimonio si trovano in questa situazione’. No, esse si mettono in questa situazione e continuano a vivere in questa situazione”. La Chiesa riconosce tutte le situazioni che rendono sconveniente la separazione, “ma occorre interrompere gli atti di adulterio e vivere come fratello e sorella. Questo è presente nella prima parte del documento, ma qui non è riportato. E non si può dire: ‘Non posso smettere di commettere adulterio perché andrei a commettere un altro peccato. No. Smetti di commettere adulterio e poi cerca di porre rimedio alle altre situazioni”. Secondo Murray il linguaggio finisce per deresponsabilizzare le persone nelle loro scelte, mentre il linguaggio della Chiesa è sempre stato questo: “tu stai agendo liberamente, tu sei responsabile delle tue decisioni morali e le scelte hanno un impatto pubblico e sono regolate dal Diritto Canonico perché è implicato anche il bene degli altri”.

Sul paragrafo 308: Anche in questo caso “il linguaggio è molto problematico. Per me il matrimonio cristiano non è un ideale; è una norma, una realtà, un sacramento, un modo di vivere…” che Dio ha voluto fin dalle origini e che rende possibile per tutti. Su altri temi, quali la povertà e l’immigrazione, il Papa usa un linguaggio molto forte “per scuotere le coscienze” e fare in modo che ciascuno assuma la responsabilità delle proprie azioni. Per le persone divorziate risposate, il meglio che la Chiesa può dire è: “smettete di peccare, ponete fine ad un modo di vivere che dispiace al Signore e per questo siate disposti ad ogni sacrificio”. L’affermazione del Papa che non bisogna più presumere che coloro che vivono in situazioni irregolari vivano in peccato “è problematica”. La Chiesa presume che quando si conosce il Vangelo e lo si accetta “allorché lo si contraddice liberamente, questo è uno stato di peccato”. Anche in questo contesto di liberalizzazione e rivoluzione sessuale “le parole del Signore hanno un significato e quando Egli dice che quando desideri una donna nel tuo cuore, commetti adulterio contro di lei” non possiamo cercare scuse o diminuzioni di responsabilità

Sui paragrafi 304-305: Secondo Murray, è vero che molto spesso occorre andar piano con le persone per cercare di persuaderle, “ma alla fine le persone devono ascoltare l’insegnamento non perché sono state convinte dalla mia spiegazione, ma perché credono in ciò che Cristo ha detto”. Le indicazioni di Cristo nel Vangelo sull’adulterio “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei” non sono riduttive “e chi non è d’accordo con questo, chi lo rifiuto è in un a situazione problematica e dev’essere scosso”.

Sulle note a piè di pagina che aprono ai sacramenti: il riferimento all’apertura ai sacramenti ritorna due volte nelle note. “Il fatto è che il Papa desidera che le persone, in casi particolari… abbiano l’opportunità di ricevere la Comunione e ciò è in diretta contraddizione con ciò che Giovanni Paolo affermava in Familiaris Consortio ed altri documenti, come il Catechismo della Chiesa Cattolica”. Questo è il vero problema: “Qui abbiamo qualcosa che non è in accordo con quanto la Chiesa ha insegnato fino ad ora”. Questa apertura, secondo P. Murray, sarebbe una “falsa misericordia”, perché non si possono illudere le persone di poter ricevere l’Eucaristia mentre commettono adulterio: “occorre smettere di commettere adulterio, entrare in sintonia con l’insegnamento del Signore e quindi ricevere la Comunione”.

Sebbene questa Esortazione Apostolica non cambi la dottrina, “perché la dottrina non può essere cambiata, resta però il problema “degli effetti sociali del cambiamento di questa prassi”. “È tutto molto allarmante. Non si può cambiare l’insegnamento della Chiesa ma si può causare una prassi problematica”. (L.S.)

FONTE: sinodo2015.lanuovabq.it







Caterina63
00giovedì 28 aprile 2016 22:23
<header class="post-header">

  Spaemann: "È il caos eretto a principio con un tratto di penna"



</header>

spaemann
Il professor Robert Spaemann, 89 anni, coetaneo e amico di Joseph Ratzinger, è professore emerito di filosofia presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. È uno dei maggiori filosofi e teologi cattolici tedeschi. Vive a Stoccarda. Il suo ultimo libro uscito in Italia è: "Dio e il mondo. Un'autobiografia in forma di dialogo", edito da Cantagalli nel 2014.

Questa che segue è la traduzione dell'intervista sulla “Amoris lætitia” che egli ha dato in esclusiva ad Anian Christoph Wimmer per l'edizione tedesca di Catholic News Agency del 28 aprile:

> "Ein Bruch mit der Lehrtradition" – Robert Spaemann über "Amoris lætitia"

*

D. – Professor Spaemann, lei ha accompagnato con la sua filosofia i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Molti fedeli oggi si chiedono se l’esortazione postsinodale “Amoris lætitia” di papa Francesco possa essere letta in continuità con l’insegnamento della Chiesa e di questi papi.

R. – Per la maggior parte  del testo ciò è possibile, anche se la sua linea lascia spazio a delle conclusioni che non possono essere rese compatibili con l’insegnamento della Chiesa. In ogni caso l’articolo 305, insieme con la nota 351, in cui si afferma che i fedeli "entro una situazione oggettiva di peccato" possono essere ammessi ai sacramenti "a causa dei fattori attenuanti", contraddice direttamente l’articolo 84 della "Familiaris consortio" di Giovanni Paolo II.

D. – Che cosa stava a cuore a Giovanni Paolo II?

R. – Giovanni Paolo II dichiara la sessualità umana "simbolo reale della donazione di tutta la persona" e, più precisamente, "un’unione non temporanea o ad esperimento". Nell’articolo 84 afferma, dunque, in tutta chiarezza che i divorziati risposati, se desiderano accedere alla comunione,  devono rinunciare agli atti sessuali. Un cambiamento nella prassi dell’amministrazione dei sacramenti non sarebbe quindi "uno sviluppo" della "Familiaris consortio", come ritiene il cardinal Kasper, ma una rottura con il suo insegnamento essenziale, sul piano antropologico e teologico, riguardo al matrimonio e alla sessualità umana.

La Chiesa non ha il potere, senza che vi sia una conversione antecedente, di valutare positivamente delle relazioni sessuali, mediante l’amministrazione dei sacramenti, disponendo in anticipo della misericordia di Dio. E questo rimane vero a prescindere da quale sia il giudizio su queste situazioni sia sul piano morale che su quello umano. In questo caso, come per il sacerdozio femminile, la porta qui è chiusa.

D. – Non si potrebbe obiettare che le considerazioni antropologiche e teologiche da lei citate siano magari anche vere, ma che la misericordia di Dio non è legata a tali limiti, ma si collega alla situazione concreta di ogni singola persona?

R. – La misericordia di Dio riguarda il cuore della fede cristiana nell’incarnazione e nella redenzione. Certamente lo sguardo di Dio investe ogni singola persona nella sua situazione concreta. Egli  conosce ogni singola persona meglio di quanto essa conosca se stessa.  La vita cristiana, però, non è un allestimento pedagogico in cui ci si muove verso il matrimonio come verso un ideale, così come pare presentata in molti passi della "Amoris lætitia". L’intero ambito delle relazioni, particolarmente quelle di carattere sessuale, ha a che fare con la dignità della persona umana, con la sua personalità e libertà. Ha a che fare con il corpo come "tempio di Dio" (1 Cor 6, 19). Ogni violazione di questo ambito, per quanto possa essere divenuta frequente, è quindi una violazione della relazione con Dio, a cui i cristiani si sanno chiamati; è un peccato contro la sua santità, e ha sempre e continuamente bisogno di purificazione e conversione.

La misericordia di Dio consiste proprio nel fatto che questa conversione è resa continuamente e di nuovo possibile. Essa, certamente, non è legata a determinati limiti, ma la Chiesa, per parte sua, è obbligata a predicare la conversione e non ha il potere di superare i limiti esistenti mediante l’amministrazione dei sacramenti, facendo, in tal modo, violenza alla misericordia di Dio. Questa sarebbe orgogliosa protervia.

Pertanto, i chierici che si attengono all’ordine esistente non condannano nessuno, ma tengono in considerazione e annunciano questo limite verso la santità di Dio. È un annuncio salutare. Accusarli ingiustamente, per questo, di "nascondersi dietro gli insegnamenti della Chiesa" e di "sedere sulla cattedra di Mosè… per gettare pietre contro la vita delle persone" (art. 305), è qualcosa che nemmeno voglio commentare.  Si noti, solo per inciso, che qui ci si serve, giocando su un fraintendimento intenzionale, del passo evangelico citato. Gesù dice, infatti, sì, che i farisei e gli scribi siedono sulla cattedra di Mosè, ma sottolinea espressamente che i discepoli devono praticare e osservare tutto quello che essi dicono, ma non devono vivere come loro (Mt 23, 2).

D. – Il papa vuole che non ci si concentri su delle singole frasi della sua esortazione, ma che si tenga conto di tutta l’opera nel suo insieme.

R. – Dal mio punto di vista, concentrarsi sui passi citati è del tutto giustificato.  Davanti a un testo del magistero papale non ci si può attendere che la gente si rallegri per un bel testo e faccia finta di niente davanti a frasi decisive, che cambiano in maniera sostanziale l’insegnamento della Chiesa. In questo caso c’è solo una chiara decisione tra il sì e il no. Dare o non dare la comunione: non c’è una via media.

D. – Papa Francesco nel suo scritto ripete che nessuno può essere condannato per sempre.

R. – Mi risulta difficile capire che cosa intenda. Che alla Chiesa non sia lecito condannare personalmente nessuno, men che meno eternamente – cosa che, grazie a Dio, nemmeno può fare – è qualcosa di chiaro. Ma, se si tratta di relazioni sessuali che contraddicono oggettivamente l’ordinamento di vita cristiano, allora vorrei davvero sapere dal papa dopo quanto tempo e in quali circostanze una condotta oggettivamente peccaminosa si muta in una condotta gradita a Dio.

D. – Qui, dunque, si tratta davvero di una rottura con la tradizione dell’insegnamento della Chiesa?

R. – Che si tratti di una rottura è qualcosa che risulta evidente a qualunque persona capace di pensare che legga i testi in questione.

D. – Come si è potuti giungere a questa rottura?

R. – Che Francesco si ponga in una distanza critica rispetto al suo predecessore Giovanni Paolo II lo si era già visto quando lo ha canonizzato insieme con Giovanni XXIII, nel momento in cui ha ritenuto superfluo per quest’ultimo il secondo miracolo che, invece, è canonicamente richiesto. Molti a ragione hanno percepito questa scelta come manipolativa. Sembrava che il papa volesse relativizzare l’importanza di Giovanni Paolo II.

Il vero problema, però, è un'influente corrente di teologia morale, già presente tra i gesuiti nel secolo XVII, che sostiene una mera etica situazionale. Le citazioni di Tommaso d’Aquino prodotte dal papa nella "Amoris lætitia" sembrano sostenere questo indirizzo di pensiero. Qui, però, si trascura il fatto che Tommaso d’Aquino conosce atti oggettivamente peccaminosi, per i quali non ammette alcuna eccezione legata alle situazioni. Tra queste rientrano anche le condotte sessuali disordinate. Come già aveva fatto negli anni Cinquanta con il gesuita Karl Rahner, in un suo intervento che contiene tutti gli argomenti essenziali, ancor oggi validi, Giovanni Paolo II ha ricusato l’etica della situazione e l’ha condannata nella sua enciclica "Veritatis splendor".

"Amoris Laetitia" rompe anche con questo documento magisteriale.  A questo proposito, poi, non si dimentichi che fu Giovanni Paolo II a mettere a tema del proprio pontificato la misericordia divina, a dedicarle la sua seconda enciclica, a scoprire  a Cracovia il diario di suor Faustina e, in seguito, a canonizzare quest’ultima. È lui il suo interprete autentico.

D. – Che conseguenze vede per la Chiesa?

R. – Le conseguenze si possono vedere già adesso. Crescono incertezza, insicurezza e confusione: dalle conferenze episcopali fino all’ultimo parroco nella giungla. Proprio pochi giorni fa un sacerdote dal Congo mi ha espresso tutto il suo sconforto davanti a questo testo e alla mancanza di indicazioni chiare. Stando ai passaggi corrispondenti di "Amoris lætitia", in presenza di non meglio definite "circostanze attenuanti", possono essere ammessi alla assoluzione dei peccati e alla comunione non solo i divorziati risposati, ma tutti coloro che vivono in qualsivoglia "situazione irregolare", senza che debbano sforzarsi di abbandonare la loro condotta sessuale, e, dunque, senza piena confessione e senza conversione.

Ogni sacerdote che si attenga all’ordinamento sacramentale sinora in vigore potrebbe subire forme di mobbing dai propri fedeli ed essere messo sotto pressione dal proprio vescovo. Roma può ora imporre la direttiva per cui saranno nominati solo vescovi “misericordiosi”, che sono disposti ad ammorbidire l’ordine esistente. Il caos è stato eretto a principio con un tratto di penna. Il papa avrebbe dovuto sapere che con un tale passo spacca la Chiesa e la porta verso uno scisma. Questo scisma non risiederebbe alla periferia, ma nel cuore stesso della Chiesa. Che Dio ce ne scampi.

Una cosa, però, mi sembra sicura: quel che sembrava essere l’aspirazione di questo pontificato – che la Chiesa superi la propria autoreferenzialità, per andare incontro con cuore libero alle persone – con questo documento papale è stato annichilito per un tempo imprevedibile. Ci si deve aspettare una spinta secolarizzatrice e un ulteriore regresso del numero dei sacerdoti in ampie parti del mondo. Si può facilmente verificare, da parecchio tempo, che i vescovi e le diocesi con un atteggiamento non equivoco in materia di fede e di morale hanno il numero maggiore di vocazioni sacerdotali. Si deve qui rammentare quel che scrive san Paolo nella lettera ai Corinti: "Se la tromba emette un suono confuso, chi si preparerà alla battaglia?" (1 Cor 14, 8).

D. – Che cosa succederà ora?

R. – Ogni singolo cardinale, ma anche ogni vescovo e sacerdote è chiamato a difendere nel proprio ambito di competenza l’ordinamento sacramentale cattolico e a professarlo pubblicamente. Se il papa non è disposto a introdurre delle correzioni, toccherà al pontificato successivo rimettere le cose a posto ufficialmente.

<<<  >>>

NOTA BENE !

Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Gli ultimi tre servizi di "www.chiesa":

28.4.2016
> L'opzione tedesca del papa argentino
Il cardinale Kasper e l'ala progressista della Chiesa di Germania hanno ottenuto ciò che volevano. Sulla comunione ai divorziati risposati Francesco è dalla loro parte. L'aveva deciso da tempo e così ha fatto

25.4.2016
> Matrimonio indissolubile? Sì, ma per pochi eletti
Non solo la dottrina della Chiesa, ma le stesse parole di Gesù sul matrimonio sono ormai reinterpretate nei modi più diversi. Secondo il biblista Silvio Barbaglia, nei Vangeli l'indissolubilità assoluta vale solo per le coppie che vivono come fratello e sorella "per il regno dei cieli"

20.4.2016
> "Il popolo, categoria mistica". La visione politica del papa sudamericano
È uscito in Argentina e in Italia un saggio del professor Zanatta sul "populismo" di Francesco. Il filo rosso che unisce la sua visita a Lesbo alla simpatia per i "movimenti popolari" anticapitalisti e no global







“Progetto Kasper” e attacco alla divina costituzione della Chiesa


Verso una “Nuova Chiesa”, passando dal matrimonio? 

17 ottobre 2015, Santa Margherita Maria Alacoque



Fra la nozione di matrimonio e quella di Chiesa intercorre un nesso profondo che la Scrittura sancisce a chiare lettere. Osservando quindi attentamente le tesi “kasperiane” si scopre che esse non hanno solo una dimensione di destrutturazione della morale, ma comportano un aspetto - ancora non sufficientemente messo in luce - che finisce per corrompere più o meno indirettamente la stessa nozione di Chiesa cattolica. Walter Kasper non per nulla è un ecclesiologo[1].

Il Matrimonio è anzitutto un istituto di diritto naturale, voluto espressamente dal Creatore “fin dal principio” e iscritto in perpetuo nel cuore degli uomini come tutta la legge naturale. Basterebbe questo per rendere sacra per sempre l’unione familiare tra un uomo e una donna in vista della procreazione. E tale “sacralità naturale” che deriva dall’onore dovuto alla legge eterna, è non solo comprensibile con la sola ragione, ma anche contenuta nel Decalogo, oltre ad essere il modello che San Paolo utilizza per parlarci della società soprannaturale voluta da Cristo.

L’importantissima battaglia per la famiglia e per il matrimonio, già in corso al Sinodo e i cui prolungamenti futuri sono ormai evidenti, comporta quindi la difesa del “diritto naturale” ed implica un altro aspetto strettamente ad essa connesso: la difesa del dogma della divina costituzione della Chiesa, eterno bersaglio dei modernisti.

Non a caso è di questi giorni la notizia di proposte sinodali di allargamento indiscriminato della comunione eucaristica non solo ai pubblici concubini, ma anche agli eretici e agli scismatici, in coerente logica con la liquefazione della stessa nozione di “Chiesa cattolica”. 
Non esiste infatti una pastorale indipendente dalle verità rivelate, ancor meno una teologia morale avulsa dalla dogmatica. Tutte le verità sono connesse in quella che è scientia Dei, siano esse di carattere più propriamente rivolto alla contemplazione di Dio o siano esse maggiormente rivolte a descrivere la giusta via che a Dio conduce[2]. Sempre di Dio si tratta e un’unità profonda le pervade tutte, al punto che ogni mutamento sostanziale nel campo morale sottende un’altra teologia dogmatica: simul stabunt aut simul cadent.

L’impressione fondata è che ci troviamo davanti ad un unico grandioso progetto di Antichiesa di cui non si è reso visibile per ora che un solo aspetto, seppur importantissimo.
Analizzeremo in questo articolo come le cosiddette “tesi Kasper” (e il correlativo, anche se più sfuggente, “progetto Tagle”) comportino di fatto, non solo una contraddizione flagrante con la legge naturale e le parole di Cristo sul matrimonio, ma anche il germe di un attacco alla dottrina tradizionale sulla natura della Chiesa cattolica. 


Matrimonio e Chiesa: una significativa connessione mistica  

Per capire cos’è la Chiesa bisogna capire cos’è il matrimonio cristiano, per capire cos’è il matrimonio cristiano bisogna conoscere la Chiesa. Dice San Paolo agli Efesini (5, 25-28):  “E voi o mariti amate le vostre mogli, così come Cristo amò la Chiesa e diede se stesso per lei nel fine di santificarla, purificandola col lavacro dell’acqua mediante la parola di vita, per far comparire egli stesso davanti a sé gloriosa la Chiesa, affinché sia senza macchia, senza ruga o altra cosa siffatta, ma anzi santa e immacolata”. Ne scaturisce un parallelismo fra la santità, che deve avere il vero matrimonio cristiano, e la santità con cui il Verbo incarnato ha santificato e amato la Chiesa, che è “santa e immacolata” perché divina; così come a sua volta - analogicamente - deve essere santa l’unione di un uomo e una donna sotto lo sguardo di Cristo. E l’Apostolo continua poco righe dopo (5, 32-33): “Grande è questo sacramento ; io dico a riguardo di Cristo e della Chiesa. Pertanto anche ciascuno di voi ami la sua sposa come se stesso, la sposa poi abbia in riverenza il marito”. Per San Paolo il matrimonio è talmente importante per l’ecclesiologia da esserne un segno sacro, e ciò addirittura fin dai tempi dell’Antico Testamento in cui esso era già “annuncio” della Chiesa che Cristo avrebbe fondato. 

Il Concilio di Trento riprende questo legame inscindibile fra la grazia che Cristo meritò nella Sua Passione, la grazia sponsale della Chiesa e l’indissolubile unità del matrimonio che la rappresenta[3]. Mons. Piolanti così sintetizza questa sublime verità: “si deve pertanto ritenere che nel Vecchio Testamento il Matrimonio fu un simbolo ordinato da Dio a significare la futura unione di Cristo con la Chiesa (signum prognosticum, senza alcuna efficacia santificatrice), e che nel Nuovo Testamento rimane, per volere divino, come segno di una realtà compiutasi sulla Croce, le mistiche nozze di Cristo con la Chiesa; è pertanto un signum rememorativum, che appartenendo alla Nuova Legge possiede la prerogativa di santificare interiormente (signum demonstrativum gratiae)”[4].

Non solo quindi il matrimonio è elevato alla dignità di Sacramento dal Sacrificio di Cristo che effonde sugli sposi la grazia matrimoniale, ma il matrimonio rimane nei secoli come un “segno della realtà compiutasi sulla Croce”, come un segno perenne delle “mistiche nozze di Cristo con la Chiesa” e, così come per gli altri Sacramenti, dello stesso disegno dell’Incarnazione del Verbo. Ogni Sacramento infatti, nella sua natura come nel rito e negli obblighi che lo accompagnano, è un riflesso dell’Incarnazione del Verbo - dice San Tommaso - e a un tale mistero, in quanto causa universale di salvezza, necessariamente deve essere conforme[5]. Ecco il progetto divino che affonda le radici nel Vecchio Testamento e che vuol fare del matrimonio cristiano un’immagine della santità salvatrice dell’unica immacolata Sposa di Cristo, e un segno dello stesso mistero dell’Incarnazione. Ed ecco del pari schiudersi pian piano la gravità di quel disegno che, aggredendo il matrimonio cristiano, implica di fatto anche un’idea di Chiesa che non è quella voluta da Cristo.


Dal “divorzio cattolico” al divorzio della Chiesa da Cristo

 Dall’approvazione del concubinaggio - ed anche peggio - come via che comporterebbe in sé aspetti positivi in merito all’eterna salvezza quindi alla grazia stessa (!), all’idea di una Chiesa senza confini visibili, senza regole irreformabili, indipendente dalle immutabili verità di Cristo e in fondo non più divina, il passo è breve. Anzi brevissimo. Senza contare che se il modello - e quindi il segno ecclesiale, come visto - può anche diventare quello del pubblico adulterio, vuol dire che ci si sta avviando verso la ricercata immagine di una chiesa non solo lontanissima dalla santità di Dio, non solo in continua instabile “evoluzione sponsale” a seconda dei tempi nuovi, ma anche interprete e quasi propagatrice del “culto dell’uomo” e persino dei peggiori vizi dell’umanità. Una Chiesa che, se si vuol restare conseguenti, permanendo nell’immagine biblica, potrebbe passare (ci scusi il lettore, ma l’errore va denunciato nella sua crudezza) da uno sposo all’altro, abbandonando il suo vero ed unico marito: Nostro Signore Gesù Cristo (la cui divinità i modernisti hanno sempre - di fatto, anche se non sempre in teoria - misconosciuto). 

Quei “teologi” che imboccano la via dell’imbrattamento della santità matrimoniale, finiscono - volenti o nolenti - per teorizzare di fatto una certa possibilità (con risvolti persino connessi all’economia di salvezza!) del tradimento matrimoniale, e ciò anche quando lo Sposo tradito è Gesù Cristo. Se si prosegue il discorso con logica, dunque, è anche l’unicità salvifica di Gesù Cristo a farne le spese in ultima analisi, come del resto è già avvenuto. In un nostro articolo su “L’interessata riesumazione del Père Dupuis, Prove generali del Vaticano III contro la Dominus Jesus” [6] cui rinviamo, facevamo notare che nel contesto del dibattito sinodale è anche in atto un tentativo, velato ma organizzato, di riabilitazione di quelle teorie - condannate - che sostenne anche il noto gesuita belga. 

Tale tentativo, che si scaglia persino contro le definizioni della Dominus Jesus, viene da quegli stessi ambienti che sono i più convinti fautori anche della comunione ai concubini pubblici. E il dato non è casuale. Quanti non riconoscono infatti l’unicità salvifica di Cristo e forse - benché s’ammantino di vernice cristiana - nemmeno la Sua divinità, sono in coerente sintonia con i sovvertitori dell’indissolubilità matrimoniale. E ciò anche per quei descritti motivi, connessi ad una certa perversa coerenza del loro discorso “teologico”. Infatti, da un punto di vista speculativo, per così dire, se il “divorzio cattolico” diventa lecito è perché anche la Chiesa può in certo senso divorziare da Cristo o peggio vivere una sorta di concubinaggio salvifico per cui tutte le vie più o meno religiose ( e anche più o meno naturali…) sono buone per andare in Paradiso. Omosessualità compresa. Anzi, siamo già tutti più o meno in Paradiso fin da quaggiù, immersi in una sorta di pervadente panteismo che, dopo aver rinunciato alla sana metafisica e aver svuotato ogni verità d’ordine naturale (matrimonio compreso), ha falsificato il senso della stessa dottrina dell’Incarnazione del Verbo[7], snaturando al contempo la divina costituzione della Chiesa, che dell’Incarnazione è il prolungamento nella storia. 

E quando si afferma ripetutamente che bisogna andare “oltre le parole di Gesù Cristo” - forse troppo chiare per certe orecchie - si sta spesso celando che il vero disegno soggiacente è quello di andare semplicemente “oltre Gesù Cristo” (che quasi diventa solo uomo) ed oltre la Sua Chiesa (che “coerentemente” diventa società solo umana). 

Aggiungiamo che un tale “divorzio da Cristo” comporta anche il divorzio da quell’altra difficile verità: il sacrificio. Come le mistiche nozze fra Cristo e la Chiesa si consumarono sul Golgota, e da quell’acqua e quel sangue nacque quella società santa per la fede e i sacramenti ch’è la Chiesa, ebbene così anche il matrimonio cristiano si nutre certo della gioia della prole e del mutuo scambio d’amore, ma anche del pane del sacrificio. Sacrificio. Questa parola cui l’udito contemporaneo - compreso quello di certi “teologi” - è ormai allergico. Sacrificio soprannaturalmente fecondo “nella gioia e nel dolore”, “nella salute e nella malattia” e che è scaturigine di grazia anche nella società matrimoniale, ad immagine della vita di Cristo che si offre per la Sua Santa Chiesa. Ma per capire questo discorso bisogna accettare che esiste un ordine soprannaturale.

Il naturalismo contemporaneo invece, che si ben si sposa (“indissolubilmente” stavolta, oseremmo dire…) all’edonismo sfrenato, soffoca nell’antropocentrismo le nozioni di soprannaturalità, di sacrificio, di grazia meritata nella fedeltà al disegno di Dio. E ciò anche perché rifiuta la divinità della Chiesa, come ha già rifiutato la divinità di Cristo ed anche perché, in quell’accecamento dello spirito di cui parla la Bibbia (altro che “Chiesa dello Spirito”…), non riesce più a percepire non solo l’aspetto soprannaturale e l’inviolabilità di un Sacramento, ma nemmeno la semplice legge naturale.


Conclusioni

In dottrina cattolica c’è un’osmosi mistica e densa di significato che, dall’immagine della santità del matrimonio (addirittura di quello vetero-testamentario, non ancora sacramentale) va alla Chiesa; e questo stesso scambio va dall’intima natura della Chiesa al matrimonio cristiano, che è “immagine vivente” del mistero dell’unione di Cristo con la Chiesa. Il matrimonio cristiano “non è soltanto un esemplare che rimane fuori, ai margini delle mistiche nozze di Cristo, ma una copia, una riproduzione germogliata da quell’unione, impregnata della medesima essenza, che non solo raffigura, ma riproduce, attivo efficiente dentro di sé, il mistero dei rapporti di Cristo con la Chiesa”[8].

Teologia della Chiesa e teologia del matrimonio - per così dire - s’abbracciano. E ciò vale per i pensatori cattolici, ma anche per gli eretici. O le verità stanno insieme in piedi o insieme crollano, simul stabunt aut simul cadent. Unità, indissolubilità e santità sono le irrinunciabili caratteristiche del matrimonio cristiano che dell’unità, indissolubilità e santità della Chiesa è “immagine vivente”. Non c’è una via di mezzo.

Ecco perché pressoché tutti gli eretici, che hanno attentato alla santità della Chiesa e alla sua indissolubile unità con il Suo Sposo, hanno contemporaneamente attentato alla santità matrimoniale. Vi è certo una squallido calcolo politico, volto a procacciarsi facili consensi allentando le redini della morale, ma c’è anche qualcosa di più profondamente dottrinale. Si vedano le contraddizioni di Lutero, l’incoerente sistema della grazia dei giansenisti, la piaggeria statalista dei gallicani e dei regalisti o il naturalismo massonico degli illuministi; tutti hanno tentato di scardinare il matrimonio cristiano e con esso la divina costituzione della Chiesa. Persino gli scismatici greci associano la loro distorta teologia della Chiesa alla facoltà di rompere l’unità matrimoniale in alcuni casi, seppur più limitatamente che tra i protestanti. In ultimo, e non per importanza, citiamo il pensiero dei modernisti di ieri e di oggi, sfuggente, anguillesco ma sempre - pur tra le sue ambiguità - nemico giurato della divina costituzione della Chiesa ed insieme del vero matrimonio cristiano. La ragione ce l’ha detta San Paolo.

Compreso quindi questo nesso necessario si comprende anche perché la battaglia per la verità in ambito ecclesiologico, anche se talvolta è apparsa ad occhi poco attenti una disputa tra specialisti, è di importanza primaria, al fianco di quella per il matrimonio. Dalla corretta “teologia della Chiesa” deriva un corretto pensiero anche su verità basilari come quelle della famiglia, e lo scambio è vicendevole. E’ l’unità della fede.



                                                                                                  Don Stefano Carusi



[1] Il dato è stato già messo in valore da Mons. Livi commentando le teorie eucaristiche del prelato tedesco, A. Livi,L’Eucarestia secondo Kasper, in Disputationes Theologicae (2015), 31 luglio 2015.
[2] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia Pars, q. 1, a.4.
[3] Denz. 1799.
[4] A. Piolanti, I Sacramenti, Roma 1990, p. 554.
[5] S. Tommaso d’Aquino, Contra Gentes, 4, 56.
[6] L’interessata riesumazione del Père Dupuis, in Disputationes Theologicae (2015), 29 gennaio 2015.
[7] Cfr. B. Gherardini, Il Dio di Gesù Cristo, in Disputationes Theologicae (2010), 29 gennaio 2010, in cui si analizzano le posizioni di Bruno Forte in merito alla teologia dell’Incarnazione. Sulla posizione di Walter Kasper in materia rimandiamo al riferimento di cui alla nota n.1 del presente scritto.




<header class="entry-header">

Mons. Forte svela un retroscena: “Questi non sai che casino ci combinano”

</header>

forte“Non giudicare, ma raggiungere tutti con lo sguardo della misericordia, ma senza rinunciare alla Verità di Dio. E’ facile dire “quella famiglia è fallita”, più difficile aiutarla a non fallire. Nessuno deve sentirsi escluso dalla Chiesa”. Questo il senso dell’esortazione Amoris laetitia secondo Mons. Bruno Forte, vescovo di Chieti-Vasto e segretario speciale del sinodo.

Ne ha parlato in recente un incontro pubblico presso il Testro Rossetti di Vasto, dove ha sottolineato che Amoris laetitia “non è una nuova dottrina, ma l’applicazione misericordiosa di quel “vino vecchio” che, come si sa, è sempre il più buono”.

Insomma, secondo mons. Forte, l’esortazione apostolica tiene insieme tutto, misericordia e verità, pastorale e dottrina, anche se lo sguardo di fondo è quello per cui “nessuno deve sentirsi escluso.”

Però mons. Forte ha svelato anche un retroscena dei lavori sinodali che, forse, aiuta a superare un linguaggio politicamente correttissimo per arrivare a comprendere meglio il documento. Almeno per quanto riguarda il tema mediaticamente più rilevante, ovvero la disciplina dei sacramenti per le coppie di divorziati risposati.

“Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati risposati – ha riportato Mons. Forte riferendo una battuta di Papa Francesco – questi non sai che casino che ci combinano. Allora non ne parliamo in modo diretto, fa in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io.” Dopo aver riportato questa battuta lo stesso Forte ha scherzato dicendo: “Tipico di un gesuita.”



  non c'è che dire..... il Papa che fa del popolino un mare di idioti   




Un problema analogo all'affermazione (gravissima) di mons. Forte, ci viene da un articoletto di questo stesso periodo, che aiuta a far comprendere la drammaticità di questa situazione.....

Citarsi non è fine, lo so. Però…

di Marco Tosatti

Pubblicato il 28 aprile 2016 sul blog dell'Autore, San Pietro e dintorni
in calce riportiamo la nota pubblicata da Tosatti il 20 settembre 2014: 
Sinodo; come lo lavoro…
 




Citarsi non è fine, lo so. Però in certi casi è utile a capire come si siano formate certe situazioni. Mi riferisco all’esortazione post-sinodale del Pontefice, e delle controversie che sta – giustamente – sollevando su un punto che il Pontefice stesso non considera centrale, rispetto al tema più ampio della famiglia e del matrimonio; ma tant’è continua a monopolizzare l’interesse e le polemiche.  

 
La cosa abbastanza interessante e straordinaria, di questo documento, e che lo rende anomalo rispetto ai testi, magisteriali, dei precedenti pontefici in tema, è la sua possibilità di essere interpretato in maniera totalmente opposta. C’è chi sostiene che si tratta di una conferma della dottrina bimillenaria della Chiesa in tema di matrimonio, adulterio e divorzio. E chi invece sostiene che siamo di fronte a un qualche cosa che cambia tutto; un partito che accomuna alcuni dei più accesi sostenitori delle innovazioni e le ali più conservatrici della Chiesa.  

 
Per questo un vescovo, mons. Schneider, ha giustamente chiesto un’interpretazione autentica del documento [«Amoris Laetitia»: chiarire per evitare una confusione generale]; che sgombri il campo da ambiguità e confusioni. Speriamo che avvenga; ma siamo molto pessimisti. Perché nelle sue risposte sull’aereo di ritorno dal Messico il Pontefice non è stato chiaro; e ha rimandato alla conferenza stampa di un cardinale, per avere una lettura corretta del documento.   

 
Il che è una novità, e non da poco: cioè il rimando a una conferenza stampa, non a un testo ponderato e studiato, per risolvere i dubbi dei fedeli in punta di dottrina.  

 
Ma forse c’è un motivo; e qui veniamo alla citazione. In una cena dell’estate 2014, il personaggio principale di entrambi i Sinodi sulla Famiglia, quello dell’ottobre 2014 e dell’ottobre 2015, rivelava, conversando, in una cena elegante e alla presenza di laici e prelati, quale sarebbe stata la strategia per condurre i lavori dove si voleva. Vedete il testo completo: Sinodo; come lo lavoro….    

 
Ma per quanto riguardava il documento finale, il succo delle sue esternazioni, due anni e mezzo prima che Amoris Laetitia vedesse la luce erano: “E in effetti non tanto il Sinodo, sarà importante, ma la sintesi che ne verrà preparata, e che porterà la firma del Papa come “Esortazione post-sinodale”. E’ molto probabile che non sarà un testo chiaro e definitivo, ma basato su un’interpretazione “fluttuante”. In modo che ciascuno leggendolo, possa tirarselo dalla parte che più gli fa comodo. Cioè un testo diretto non a fare chiarezza, ma ad alimentare confusione. 
Il tutto annunciato con un largo anticipo. 

Sinodo; come lo manovro…


Il Sinodo sulla Famiglia parlerà di tante cose, ma i mass media parleranno probabilmente di una cosa sola, e cioè della possibilità per persone sposate, in chiesa, divorziate (senza riconoscimento di nullità del precedente legame) e risposate di poter avere la comunione.  

 
Succede già in una quantità di casi, in cui i sacerdoti, anche quelli “conservatori”, esaminano la situazione personale e prendono su di sé la responsabilità di dire: fai la comunione, ma in maniera discreta. Così è dai tempi di Giovanni Paolo II.  

 
Ma tant’è! Il cardinale Kasper, che già vent’anni fa aveva una sua idea in proposito, non accettata in quei due regni, ha visto con l’avvento di Bergoglio l’opportunità di riproporla. A dispetto del fatto che da Manila a Berlino, da New York all’Africa la grande maggioranza dei suoi colleghi abbiano, ancora una volta, riaffermato la Dottrina della Chiesa, basata, ahimé, sulle parole di Gesù; uno dei pochi casi in cui l’enunciazione appare netta, chiara, definitiva, e neanche messa in dubbio dai tagliuzzatori professionisti di pericopi…  

 
Insomma, le cose per Kasper & C. non hanno l’aria di mettersi molto bene. Ma forse c’è un modo, per aiutarlo. E per cercare di impedire che le voci fastidiose lo siano troppo rumorose. 

 
Il primo punto consiste nel chiedere che gli interventi scritti siano consegnati con largo anticipo. Il che è stato fatto. Entro l’8 settembre chi voleva intervenire al Sinodo dove far pervenire il suo temino.  

 
Secondo: leggere attentamente tutti gli interventi, e nel caso che alcuni di essi fossero particolarmente pepati, dare la parola a un oratore che prima dell’intervento spinoso, cercasse già di rispondere, in tutto o in parte, ai problemi sollevati dall’intervento stesso.  

 
Terzo: se qualche intervento appare proprio problematico, dire che purtroppo non c’è il tempo necessario per dare la parola a tutti, ma comunque il testo è stato acquisito, e resta agli atti e di sicuro se ne terrà conto nell’elaborazione finale.  
E in effetti non tanto il Sinodo, sarà importante, ma la sintesi che n verrà preparata, e che porterà la firma del Papa come “Esortazione post-sinodale”. E’ molto probabile che non sarà un testo chiaro e definitivo, ma basato su un’interpretazione “fluttuante”. In modo che ciascuno leggendolo, possa tirarselo dalla parte che più gli fa comodo.  

 
Umile osservazione di un povero cronista: ma se uno ha un piano così elaborato e astuto, perché parlarne di fronte a perfetti estranei durante una cena sontuosa? 



Caterina63
00martedì 17 maggio 2016 00:32
<header>

  ESCLUSIVA – Monsignor Antonio Livi:
“La Amoris Laetitia mette a rischio la dottrina sull’indissolubilità del matrimonio”

</header>

antonio-liviIl noto teologo professor Monsignor Antonio Livi, curatore dell’ autorevole sito Fides et Ratio, “ demolisce” l’esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia di Papa Francesco con parole chiare e taglienti. Ma lasciamo parlare lui.

Professor Livi, che idea si è fatto dell’ Amoris Laetitia?

“ Un documento molto atteso per conoscere le indicazioni della Chiesa dopo i due Sinodi dei vescovi sulla famiglia e la ridda di interpretazioni da parte dei vescovi favorevoli al mantenimento della disciplina attuale (i cardinali Mueller, Caffarra, Burke, Salah) e di quelli che chiedevano un cambiamento radicale (i cardinali Schoenborg, Marx  e Kasper, l’arcivescovo Forte). Ma l’attesa di un chiarimento è stata delusa. Alcune parti del documento papale sono caratterizzate dall’ambiguità,  che genera gravissimi equivoci di interpretazione. Lo giudico, dunque, scarsamente  lineare e pertanto ha bisogno di successivi chiarimenti. Penso che questa situazione non sia casuale, ma cercata”.

Perchè?

“ Prima di tutto, si corre il rischio, anzi già lo abbiamo corso, di mettere a repentaglio  la dottrina cristiana circa l’ indissolubilità del matrimonio. In quanto alla scarsa chiarezza è vero, come viene detto nel documento, che la dottrina non cambia, ma questo è un dato solo apparente”.

 

Che cosa vuole dire?       

“ Che il Papa è stato scaltro. Non ha voluto, né ha potuto alterare la dottrina, pena l’accusa di eresia, ma ha cambiato la prassi pastorale, suggerendo ai vescovi di decidere liberamente “caso per caso” e dunque in modo diverso da diocesi a diocesi, da Paese a Paese. Se in vescovi di tutto il mondo facessero come  il Papa ha suggerito, perverremmo ad un relativismo  di fatto, quello del “caso per caso”: e infatti già qualche vescovo (nelle Filippine, in Germania, ma anche in Italia, a Bergamo)  afferma che si può dare la comunione al divorziato risposato civilmente, e   sostiene che lo fa già da tempo. In sostanza, dice che ora, grazie a Papa Francesco,  tutto cambia, mentre lo stesso Papa Francesco ha scritto  che non è cambiato niente. E’ una furbata”.

Da che cosa dipende?

“ Papa Francesco è riuscito nel suo intento, che è sempre stato molto evidente:  basti vedere come erano stati preparati in questa direzione (con la relazione del cardinale Walter Kasper) e poi come sono stati pilotati i due successivi sinodi dei vescovi sulla famiglia. Questo risultato è la dimostrazione di una Chiesa cattolica che sul terreno dottrinale è allo sbando, con il crescente predominio dello storicismo, dell’umanesimo ateo e della teologia della liberazione. Penso al tenore di tanti documenti e al fatto che   i consiglieri maggiormente ascoltati  sono l’ eretico Kasper (un cardinale tedesco) e l’ altro eretico Enzo Bianchi  (un  laico italiano), entrambi favorevoli a un ecumenismo che in pratica è la riabilitazione di Lutero e l’accoglimento delle istanza della sua riforma”.

E allora?

“ La Chiesa ha vissuto tante pagine buie, e la storia ecclesiastica narra di diverse epoche di confusione e di scisma, persino  di pontefici che con la loro condotta di vita hanno scandalizzato. Papa Francesco certamente non lo fa con la sua condotta personale, ma la dottrina teologica che egli favorisce, questa sì che scandalizza, nel senso biblico del temine, nel senso che è una “pietra di inciampo”  per la fede  dei semplici e disorienta le coscienze di tanti”.

Davvero?

“ Vuole un esempio? Il fatto che oggi si parla poco o niente del peccato, che di fatto è stato sdoganato nel nome di una misericordia senza limiti. E’ arrivato il momento che qualche voce si levi, i cattolici non possono stare più zitti,  devono denunciare. Questa Chiesa parla sempre  e solo di misericordia, ma la dissocia dal peccato. Certamente questo rende popolari, perchè il lassismo paga, nel senso che segue lo spirito del mondo, quello che la gente vuol sentirsi dire”.

Immigrazione, che cosa ne pensa?

“  Se le autorità politiche europee continueranno a seguire la linea di una accoglienza senza limiti e  priva di prudenza, rischiamo la totale islamizzazione del Continente. E’ una grave responsabilità dell’Unione europea, che già è nata male, perché non ha voluto riconoscere ufficialmente nel trattato istitutivo le “radici cristiane ”. Ora sembra voler favorire l’islamizzazione del Continente , e questo non può essere certamente favorito dalla Chiesa cattolica. Nemmeno è giusto che le autorità ecclesiastiche critichino le autorità civili se queste ritengono di dover proteggere la popolazione italiana dal terrorismo islamico, magari anche chiudendo i  luoghi di culto islamici dove si predica la violenza contro i “crociati”, cioè noi cristiani. Bisogna che le organizzazioni ufficialmente cattoliche abbiano l’ onestà intellettuale e la serietà pastorale di finirla con il mito del “dialogo con l’ Islam”, se con questa formula vogliono intendere l’esaltazione acritica di una religione che considera “infedeli”  i cristiani. Oggi si ha la sensazione di una Chiesa cattolica che difende maggiormente gli islamici rispetto ai credenti. La carità è una virtù se – come tutte le virtù – rispetta l’ordine stabilito da Dio. La carità, come insegna la Scrittura, si fa prima di tutto aiutando le persone della  propria famiglia e i propri concittadini, che per noi sono gli italiani:  altrimenti la carità con i “lontani” rischia di trasformarsi in demagogia ed esibizionismo”.




Caterina63
00martedì 17 maggio 2016 12:37

  2 CHIESE? L'OMBRA DELLO SCISMA



 



    La chiesa del futuro di Enzo Bianchi è quella gnostico-massonica di papa Scalfari. Ormai esistono 2 chiese cattoliche è molto triste fare questa constatazione ma le constatazioni equivalgono a una presa d’atto di ciò che esiste Francesco Lamendola  

 


 


 


 


La chiesa del futuro di Enzo Bianchi è quella gnostico-massonica di papa Scalfari


 


di


 


Francesco Lamendola


 



 


 


Ormai esistono due chiese cattoliche.


È molto triste fare questa constatazione: ma le constatazioni equivalgono a una presa d’atto di ciò che esiste; e ciò che esiste non ha a niente a che fare con ciò che si vorrebbe.


È molto triste, perché equivale ad ammettere che, di fatto, è in corso uno scisma: la peggiore sciagura che mai possa colpire la Chiesa cattolica; ossia l’equivalente, per la società profana, di una guerra civile, e sia pure strisciante e non apertamente combattuta. Combattuta, però, con le armi spirituali e intellettuali: questo sì. E le conseguenza, sul piano morale e soprattutto sul piano della fede, sono immense, e semplicemente catastrofiche. Tremenda è la responsabilità di coloro i quali ne portano il peso, davanti a Dio e davanti agli uomini.


C’è una chiesa modernista, progressista, laicista, razionalista, edonista; una chiesa gnostico-massonica che piace ai poteri forti della finanza e dell’economia, i quali, infatti, hanno puntato su di essa e incessantemente, senza ritegno, la finanziano, la incoraggiano, le concedono tutto lo spazio mediatico possibile e immaginabile (e questo mentre in Medio Oriente e in Nordafrica è in corso un sistematico genocidio dei cristiani, del quale praticamente non si parla, nonostante le disperate invocazioni di aiuto di quei vescovi, ai quali i giornalisti della lobby politicamente corretta non concedono interviste né programmi televisivi). È una chiesa che, in tema di questioni etiche, va decisamente nella direzione auspicata dalla cultura profana oggi imperante, quella liberal-radicale; che strizza l’occhio agli “umanesimi” che pretendono sempre più diritti per tutti, calpestando sia la legge religiosa, sia la legge morale naturale; e che, al proprio interno, vorrebbe sempre meno autorità per il pontefice, sempre meno soprannaturalità, sempre meno dogmi, sempre meno identità e specificità cristiana, a favore di un “ecumenismo” che è, in effetti, una maschera per diffondere un indifferentismo religioso a tutto campo, preludio alla distruzione delle singole religioni in vista della ricostruzione di una nuova religione globale, conforme ai disegni del Nuovo Ordine Mondiale, i quali vogliono porre gli uomini e le culture sotto la dittatura onnipotente del capitale finanziario, e annientare la dignità e la libertà autentica di ciascun essere umano.


Questa è la chiesa, o piuttosto l’antichiesa, che piace tanto al suo grande ispiratore, nonché suo papa ideale, Eugenio Scalfari, il quale a ciò si adopera da decenni, e che ha avuto l’improntitudine di “salutare” l’ascesa al soglio pontificio di papa Francesco con una tristemente celebre intervista, nella quale è riuscito a fargli dire tutto quel che voleva sentirsi dire, giusto nel senso del relativismo e dell’indifferentismo, ad esempio strappandogli la dichiarazione che basta seguire la propria coscienza per essere a posto col mondo e con Dio, come se la Rivelazione cristiana contasse zero. Ed è la chiesa, o piuttosto l’antichiesa, nella quale la fanno da protagonisti sedicenti teologi e perfino vescovi e cardinali, da quell’Enzo Bianchi, falso prete del monastero di Bose, il più perfetto esempio di anti-teologia cattolica che sia dato immaginare, o quel Walter Kasper che, purtroppo, dalla sua posizione eminente di alto prelato, non si stanca, da più di mezzo secolo, di seminare confusione e disorientamento nel gregge dei fedeli, certo di avere la verità in tasca, e convinto che la chiesa del futuro, la sua chiesa, sia ormai a portata di mano, dietro l’angolo: quella chiesa che avrebbe voluto vedere edificata fin dagli anni ’60 del Novecento, dopo il Concilio Vaticano II (ma, per lui e quelli come lui, basta dire: il Concilio; perché è l’unico che, per loro, conti, mentre gli altri, e specialmente il Vaticano I e quello di Trento, sono, press’a poco, il simbolo stesso del male,  dell’oscurantismo e della reazione clericale).


Ai Bianchi, ai Kasper e a tutti i loro consimili non viene mai in mente, evidentemente, che l’attenzione e la simpatia riservate loro dai media laicisti, e specialmente da quelli progressisti e di sinistra, stanno proprio a significare che essi sono, di fatto se non nelle intenzioni, gli utili idioti della auto-demolizione della cultura e della spiritualità cattoliche; il loro narcisismo è talmente sconfinato che, mentre si pavoneggiano davanti ai microfoni e mentre rilasciano interviste, tengono conferenze, scrivono saggi ed articoli, sono convinti di servire la buona causa, mentre stanno facendo il lavoro sporco che il mondo profano non è riuscito a fare, neppure al culmine delle tenebre della modernità  (altro che le supposte tenebre del Medioevo!): demolire l’ultimo bastione della visione spirituale della vita, tenere a freno le forze sataniche del consumismo feroce, del materialismo selvaggio, dell’egoismo aggressivo e scatenato.


I loro numi tutelari e padri ispiratori si chiamano Karl Rahner, Edward Schillebeeckx, Hans Küng: gente che non ha fatto altro che criticare la Chiesa e i papi (tutti, sino a Benedetto XVI) perché troppo conservatori e troppo autoritari; che proporre una serie di riforme radicali, dalle donne prete al riconoscimento delle unioni omosessuali, dall’eutanasia all’aborto – sia pure con i debiti distinguo e con le sottili, ipocrite riserve di gesuitica memoria; che mettere in dubbio, ma senza dirlo apertamente, la soprannaturalità della Rivelazione, la divinità di Cristo, l’efficacia e la stessa legittimità del culto mariano e di quello degli Angeli e dei Santi; che non vuol sentir neanche parlare del Diavolo e dei preti esorcisti; che ha smesso di parlare del peccato e della Grazia, per magnificare sempre la grandezza dell’uomo e la “misericordia” di Dio, indipendentemente dal pentimento del peccatore (e perciò negando, di fatto, lo stesso significato del libero arbitrio: quasi che l’uomo fosse destinati alla salvezza anche contro sua voglia); che pone tutte le religioni sullo stesso piano, nega al cristianesimo qualunque priorità, nega, anzi, lo stesso concetto di Verità, con la lettera maiuscola; e che vorrebbe ridurre il cristianesimo a una specie di offerta spirituale da accogliere secondo i gusti e le preferenze di ciascuno, perciò disponibile a qualsiasi adattamento, a qualsiasi revisione, correzione e modifica, pur che nessuno resti escluso: perché, per loro, la grande parola d’ordine è:inclusione, una specie di mantra che non si stancano mai di ripetere ad ogni pie’ sospinto, mostrando di non aver capito nulla, assolutamente nulla, del discorso tenuto da Gesù ai suoi discepoli durante l’Ultima cena, e riferito per esteso nel Vangelo di Giovanni, e che è, poi, la sintesi e la summa di tutta la Buona Novella.


Questa antichiesa di stampo gnostico e massonico si è impadronita anche della maggior parte della stampa e dell’editoria all’interno della stessa Chiesa cattolica: dal quotidiano L’Avvenire, al settimanale Famiglia cristiana, alle già gloriose e benemerite Edizioni Paoline e alla Casa Editrice San Paolo, divenute irriconoscibili rispetto a ciò che erano un tempo e del tutto degenerate rispetto alla nobile funzione di informazione e di elevazione spirituale e culturale che avevano svolto fino all’inizio degli anni ’60 del Novecento; sicché, sfogliando libri e giornali cattolici a grande tiratura, il credente potrebbe anche avere l’impressione che la Chiesa cattolica sia questa, che il Magistero sia questo, che le verità eterne siano state silenziosamente modificate a sua insaputa, e che altro non gli rimanga da fare se non “aggiornarsi” ai tempi nuovi, annunciatori delle “magnifiche sorti e progressive” della cristianità moderna, e dell’umanità tutta.


Per fortuna, esiste anche un’altra Chiesa, quella vera, che viene spesso chiamata, con più o meno malcelato disprezzo, “tradizionalista”, mentre è la Chiesa cattolica di ieri, di oggi e di sempre, perché resta fedele al Vangelo, alla dottrina, al Magistero, così come esso si è venuto configurando nel corso di quassi duemila anni di storia, sorretto dalla buona volontà degli uomini e tenuto sulla retta via dall’azione soprannaturale dello Spirito Santo, così come Gesù stesso, nel lasciare questo mondo, aveva promesso ai suoi discepoli. Esistono ancora dei teologi i quali, incuranti delle critiche e delle insinuazioni con cui si cerca di zittirli, di intimidirli, di emarginarli, continuano a studiare, approfondire e trasmettere la vera dottrina cattolica: e, fra essi, un posto speciale spetta a monsignor Antonio Livi, allievo di Étienne Gilson e collaboratore di Cornelio Fabro: uno studioso che onora la cultura cattolica e che si oppone alla rovinosa deriva demagogica, relativista e laicizzante.


Ci piace, a questo punto, riportare alcuni passaggi di un articolo, apparso su La Nuova Bussola quotidiana del 14/09/2015, e intitolato: «Enzo Bianchi, l"'umanista ateo" getta la maschera», scritto in risposta all'intervista rilasciata da Bianchi alla giornalista de La Repubblica Silvia Ronchey, e pubblicata su quel giornale il 09/09/2015 sotto il titolo «La Chiesa del futuro»:


 


La prima critica di Bianchi colpisce la cristianità del quarto e quinto secolo: «Quando con Teodosio il cristianesimo è diventato religione dello stato imperiale la furia dei monaci – lo dico con dolore, mi strappa il cuore – ha distrutto i templi pagani, fatto uno scempio di opere d'arte non diverso da quello dell'Is, ma ben piùvasto. È il motivo per cui san Basilio non ha mai usato nei suoi scritti la parola "monaco": designava integralisti violenti, i talebani del momento. Guardando i secoli mi permetto di dire, pur con tutte le differenze: vediamo che altri rifanno a noi quello che abbiamo fatto». [Qui, partendo dal caso di Ipazia, Bianchi elenca] una serie eterogenea di personaggi che avrebbero testimoniato una non precisata «posizione di umanità». Insomma, si tratta di un’altra esplicita professione di fede nella “religione dell’uomo”. La cosa strana, peraltro, è che Bianchi nomina […] anche il frate domenicano Girolamo Savonarola, che per quanto vittima di lotte politiche tra Firenze e il Papa, non ha nulla a che vedere con l’umanesimo ateo, anzi è stato un uomo di autentica fede e di grande rigore morale, tanto che a Firenze si oppose energicamente ai costumi e anche alle arti dell’Umanesimo paganeggiante, tanto da far bruciare libri e quadri sconvenienti, proprio come avevano fatto i «monaci integralisti» contro i quali Bianchi  si era scagliato qualche riga più sopra. [...]


Più avanti egli si mostra entusiasta di papa Francesco, non perché sia, come tutti i suoi predecessori, il Vicario di Cristo (figuriamoci!), ma solo perché in qualche caso le sue direttive pastorali sembrano in sintonia con le direttive politiche emanate dalle lobbies installate negli organismi internazionali, dall’ONU all’UE, delle quali sono zelanti propagandisti La Repubblica e gli altri media di orientamento laicista, cioè massonico. Ad esempio, parlando delle direttive pastorali di papa Francesco riguardo all’accoglienza dei profughi in Italia, Bianchi va all’attacco di ogni opinione e di ogni prassi che a lui sembrano “disobbedienza” al Papa: «Il papa ha lanciato l'allarme già due anni fa, dopo la visita a Lampedusa. È rimasto inascoltato e credo che anche questo suo nuovo appello lo sarà. Il fastidio di un certo clero verrà magari dissimulato dall'ipocrisia religiosa, che è la più bieca e spaventosa di tutte». E poi: «Un mese fa il vescovo di Crema ha chiesto di ospitare i rifugiati in locali adiacenti una scuola cattolica, è stato contestato dalle famiglie. La situazione italiana è una vergogna, soprattutto nelle regioni tradizionalmente più cattoliche, il Veneto e la Lombardia». [...] La dottrina morale cristiana – che si estende anche agli orientamenti socio-politici che costituiscono la “dottrina sociale della Chiesa” – non è stata affatto rivoluzionata dal Concilio, come peraltro ebbe a chiarire definitivamente san Giovanni Paolo II con la sua enciclica Veritatis splendor.[...]


Dove l’incoerenza del discorso raggiunge i vertici della più volgare dialettica ideologica è quando Bianchi tesse le lodi della «tolleranza islamica», da contrapporre all’intolleranza dei cristiani, sia di Oriente che di Occidente. Senza preoccuparsi di distinguere l’espansione militare degli Arabi da quella dei Turchi, senza accennare alle persecuzioni di cristiani e di ebrei iniziate già con Maometto, Bianchi racconta questa favola: «Al tempo della conquista musulmana i cristiani del Medio Oriente hanno aperto le porte delle loro città agli arabi che portavano libertà di culto e affrancavano dalle angherie economiche del governo imperiale cristiano. La convivenza di cristiani, ebrei e musulmani nel corso del medioevo islamico ha fatto fiorire momenti di cultura straordinari, come nel mondo sufita, che conosco bene». Allargando il discorso, aggiunge: «L'islam è una religione di pace e mitezza con una mistica di forza pari a quella cristiana». […]


Passando poi dalla  mistica alla violenza, e volendo ripartirne equamente la colpa a cristiani e islamici, Bianchi espone la teoria aberrante della pari verità e della pari falsità di tutti i cosiddetti “libri sacri”, che andrebbero interpretati alla luce – guarda un po’ – della morale umanistico-atea: «Se nel Corano ci sono testi di violenza, non sono molto diversi da quelli che troviamo nella Bibbia e che ci fanno inorridire. […]


Insomma, nel cristianesimo non ancora riformato da Bianchi c’è solo violenza, ipocrisia e/o ignoranza. E la colpa dell’ignoranza va attribuita all'«autorità ecclesiastica» (san Pio X?) che avrebbe ostacolato con «terribili condanne» la lotta dei teologi illuminati (i modernisti?) per liberare i fedeli dall’interpretazione integralistica della Scrittura. Così Bianchi conferma il suo progetto di graduale eliminazione di tutti quegli aspetti di verità soprannaturale che sono propri della Chiesa cattolica, a cominciare dall’ispirazione divina della Scrittura e dal carisma dell’infallibilità conferito da Cristo al Magistero, che della retta interpretazione della Scrittura è garante (contrariamente a quanto pretende Lutero con la dottrina del “libero esame”)...  [...]


Eliminata la verità di Dio creatore e autore della legge naturale; eliminata la verità di Cristo, unico «Salvatore dell’uomo», e quindi la verità di Dio uno e trino; resta da eliminare – per finire di togliere al cristianesimo la sua dimensione soprannaturale - la verità di Maria «Madre del Redentore». E Bianchi, per denigrare il culto mariano (inviso ai protestanti e quindi considerato da Bianchi un ostacolo sulla via dell’ecumenismo), non esita a tirare in ballo il vecchio tema della misoginia nella Chiesa cattolica. [… ]


Indubbiamente Bianchi sogna (assieme a Hans Küng) una riforma della Chiesa cattolica che la porti ad assomigliare alle comunità protestanti, con donne-sacerdoti e donne-vescovi. Ma per i cattolici dotati di buon senso e di autentico sensus fidei questo non è un bel sogno, anzi è un incubo. Come i lettori della Nuova Bussola Quotidiana sanno bene, sono anni che io denuncio inutilmente le assurdità teologiche di Enzo Bianchi. Ho detto e ripeto che materialmente sono indubbiamente eresie, anche se formalmente non hanno la dignità di un discorso eretico, perché sono solo strumenti dialettici di una politica ecclesiastica a favore della lobby umanistico-atea. Lui, imperterrito, continua a pontificare, forte dell’appoggio istituzionale di chi è a capo di quella lobby e dell’appoggio mediatico della cultura “laica” (così si suole dire per non dire “massonica”). Il bello è che nemmeno lo stesso Bianchi è stato capace di contraddire le mie critiche alla sua falsa teologia, ad esempio quando gli facevo notare che parlava di Cristo come di una creatura, negandone esplicitamente la divinità (del resto lo ha imparato dal suo maestro Walter Kasper, il quale lo ha imparato a sua volta da Karl Rahner). Ogni volta che ha replicato alle mie critiche teologiche, Bianchi non ha saputo dire altro che in Vaticano lo stimano e lo nominano consulente di questo o di quello, e che i vescovi italiani lo chiamano continuamente a parlare ai fedeli delle loro diocesi, eccetera. Cose che sono vere (purtroppo!) ma nulla hanno a che vedere con le mie critiche, che non sono rivolte alla persona ma alle sue dottrine, e sono teologicamente ineccepibili, perché fondate sulla fede e sulla logica (l'una e l'altra cosa insieme).


Bianchi si è sempre comportato come Bruno Forte, Gianfranco Ravasi e tanti altri che di fronte alle mie critiche teologiche (cfr il mio trattato su “Vera e falsa teologia”) non tentano nemmeno di confutarle ma si accontentano di mostrarmi orgogliosamente le loro insegne episcopali o cardinalizie. A me non resta che pregare, mentre continuo a consigliare tutti di non prendere per magistero quello che Magistero assolutamente non è.


Non vale nemmeno la pena di riprendere, punto per punto, le affermazioni di Enzo Bianchi, già lucidamente analizzate e confutate da Antonio Livi: si tratta del più becero pattume politically correct, nel quale non manca proprio nulla perché possa piacere all’antipapa Eugenio Scalfari: dalla glorificazione dell’islamismo e della sua “mitezza”, alla reprimenda contro le violenze dei cristiani (di milleseicento anni fa!), alla totale incomprensione e all’aperto disprezzo nei confronti dei sentimenti di popolazioni cristiane di antichissima data, come quelle della Lombardia e del Veneto, abbandonate, dalla Stato e dalla Chiesa, alla mercé di una invasione islamica che porta con sé, oltretutto, un evidente peggioramento della qualità della vita, a cominciare dalle cose più semplici, come la libertà di andare in giro, e perfino di restare in casa propria, con un minimo di sicurezza. Dal suo monastero di Bose, il falso prete Enzo Bianchi può pontificare quanto gli pare: ma la realtà quotidiana che i cristiani d’Italia, d’Europa, e soprattutto dell’Asia e dell’Africa, stanno vivendo, nell’indifferenza del mondo e di una parte dei loro stessi pastori, è completamente diversa. Essi hanno compreso quel che già il cardinale Giacomo Biffi aveva ben visto, e andava dicendo, da molto tempo: che aprire le porte all’immigrazione islamica incontrollata è un errore fatale, e che non solo la Chiesa e i cristiani, ma l’intera Europa si sta giocando, su ciò, la propria identità e il proprio futuro.


E questo, del rapporto con l’islamismo - che, secondo Bianchi, sarebbe tutto da reimpostare, ovviamente cospargendosi il capo di cenere per tutte le violenze commesse dai cristiani malvagi nei secoli passati, ma senza troppo intenerirsi per la tragedia epocale che i cristiani, oggi, stanno vivendo sotto il terrore del fondamentalismo islamico - è solo uno dei cavalli di battaglia che Enzo Bianchi, e tutti i cantori della chiesa nuova da essi invocata, non desistono dal lanciare all’assalto della radio, della televisione, della stampa e ovunque si offra loro il benché minimo spazio per diffondere le loro idee. Spazio che si allarga ogni giorno di più, e per ovvie ragioni: potrebbero desiderare, quei poteri gnostico-massonici bramosi di assestare il colpo finale alla Chiesa cattolica e al  Vangelo, degli alleati più utili e più volonterosi, di tutti costoro?


 


 


Francesco Lamendola


 



Francesco Lamendola è nato a Udine nel 1956. Laureato in Materie Letterarie e in Filosofia, è abilitato in Lettere, in Filosofia e Storia, Filosofia e Pedagogia, Storia dell’Arte, Psicologia Sociale. Insegna nell’Istituto Superiore “Marco Casagrande” di Pieve di Soligo e ha pubblicato una decina di volumi tra saggi storici, musicali, filosofici, di poesia e di narrativa, di cui ricordiamo “Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C.”, “Il genocidio dimenticato. La soluzione finale del problema herero nel sud-ovest africano”, “Metafisica del Terzo Mondo”, “L’unità dell’Essere”, “La bambina dei sogni e altri racconti”, “Voci di libertà dei popoli oppressi.” Fogli Sparsi (E-Book). Collabora con numerose riviste scientifiche (tra cui “Il Polo” dell’Istituto Geografico Polare e “L’Universo” dell’Ist. Geogr. Militare) e letterarie, su cui ha pubblicato diverse centinaia di articoli e a siti internet “Arianna Editrice”, “Edicola Web” ,”Libera Opinione” e “il Corriere delle Regioni” Quaderni culturali: Giornale Web animato aggiornato sui suoi ultimi scritti. Tiene conferenze per la Società “Dante Alighieri” di Treviso, per l’”Alliance Française”, per l’Associazione Italiana di Cultura Classica, per l’Associazione Eco-Filosofica, per l’Istituto per la Storia del Risorgimento, “Alfa e Omega”, “Il pensiero mazziniano” e per varie Amministrazioni Comunali, oltre alla presentazione di mostre di pittura e scultura.


 


Archivio sinottico di tutti gli articoli di Francesco Lamendola clicca: 


Archivio sinottico “Francesco Lamendola”



Altre notizie su: www.ariannaeditrice.it


 


In redazione il 23 Marzo 2016


 


Clicca per scaricare il formato pdf


Enzo Bianchi e la Chiesa del futuro.pdf


   

Caterina63
00giovedì 26 maggio 2016 12:16
 premettiamo che quanto segue è uno SFOGO di Blondet.... uno sfogo lecito ma che non condividiamo nei toni e in alcune conclusioni che mettono in discussioni l'uomo Bergoglio nella sua vocazione.... tuttavia non possiamo non condividere IL DOLORE E LA DENUNCIA DI FATTI REALI, di atti e di gesti e di parole che fanno, di questo pontificato, il più strano di tutti, L'UNICO, AMBIGUO E CONFUSO.... in duemila anni di storia....

<header class="entry-header">

Fatelo smettere di insultare Gesù!

</header>

papa aereoChe “Francesco” detesti noi cattolici, è evidente. Ama i protestanti  e dice che sono stati i cattolici a perseguitarli, celebra Lutero come un santo,  gli piacciono i laicisti miliardari come Eugenio Scalfari, è pieno di benevolenza e carità per Pannella e Bonino – ma i cattolici  proprio non li sopporta.  Rifiuta di dare il suo appoggio a quelli che difendono la famiglia. Per  i cattolici ha solo rimproveri  duri. “Fanno figli come conigli”. Sono “farisei”.  Quelli di noi   sgomenti davanti alle sue iniziative più estemporanee, ci accusa di fondamentalismi antistorico, eticismo senza bontà, intellettualismo senza saggezza» (EG 231).  Infinita misericordia per “gli immigrati” purché  musulmani, nessuna per gli immigrati cristiani. Nessuna pietà per i Francescani dell’Immacolata che sta schiacciando e annullando.

Rimprovera i vescovi italiani di essere attaccati al denaro, anche quelli che in realtà vivono poveramente – accusa che i media sono ben lieti di amplificare, perché  mostrare il Papa  “buono” ostacolato dalla Chiesa “cattiva”  fa’ parte del gioco anti-cristiano.

Orbene, ci possiamo adattare e rassegnare ad essere detestati dal nostro Pontefice. Quello che non gli permettiamo, però, è che attacchi e insulti Gesù. Lo ha  fatto più volte, in modo implicito;  ma per farla breve, mi limito alla sua intervista  che “Francesco”  ha rilasciato a La Croix, e che ha voluto fosse riportata integralmente su L’Osservatore Romano. Qui pronuncia  un vero e proprio oltraggio, esplicito, al Cristo.

Quando dice: “ L’idea di conquista è inerente all’anima dell’Islam, è vero. Ma si potrebbe interpretare, con la stessa idea di conquista, la fine del Vangelo di Matteo, dove Gesù invia i suoi discepoli in tutte le nazioni».

Ora, è  una menzogna e peggio –  una calunnia contro il Salvatore – attribuirgli un qualunque proposito di “conquista”  nel senso bellico che fu di Maometto.  Questi  fu   un condottiero, di  fatto il solo fondatore di religioni che abbia brandito una spada e guidato eserciti.  E Gesù? Ecco con  quali  parole invia i suoi discepoli alla “conquista”: “Vi mando come  pecore in mezzo ai lupi”  (Matteo 10, 6).  Assolutamente inermi. Per cui “Siate prudenti come serpenti e  candidi come colombe”.

Sì,  c’è un momento, nella terribile notte che precedette il suo arresto,   in cui Egli  ammaestra concitatamente i   discepoli: “…chi non  ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine“.

Ma quando  i discepoli gli dicono: “Signore, ecco qui due spade”., Egli rispnde “Basta!“. E  poco dopo a Pietro: “Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada periranno»

shahada-spada

Ancora una volta non han capito: la spada di cui parla  il Maestro,  è quella cui già alluse altrove: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera, e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa”.  E’ la ‘spada’   che  bisogna procurarsi per  dividersi dai  familiari e dai parenti se si  segue Cristo, è la spada che ciascuno deve usare contro sé stesso per decidere se è per o contro di Lui, fino al martirio.  E fiumi di sangue sono costate le “conquiste”   cattoliche: sangue cattolico, che  migliaia di martiri accettarono di versare, non facendo violenza  ad altri che a sé stessi.

Ma ora, queste spiegazioni possono servire ad uno completamente digiuno di  cultura religiosa.   Già  a un dodicenne che abbia seguito il Catechismo per la prima Comunione, quando  gli si parla di Gesù  che alla fine di Matteo invia  discepoli “in tutte le nazioni”,  non viene in mente il jihad maomettano, ma il “vi mando come pecore in mezzo ai lupi”.  A maggior ragione un prete che ha studiato in seminario, un vescovo, un cardinale, un Papa:  deve far parte della   loro “cultura” per così dire professionale.  Quindi, se  Francesco attribuisce a Gesù  gli intenti conquistatori di Maometto,  sa di diffamare il Salvatore, è  cosciente di calunniarlo.

 

Come è riuscito a diventare prete?

Questo, non glielo permetto. Io non sono nessuno, ma come laico cristiano ho diritto a non veder  vilipendere il Figlio di Dio incarnato; specie da un prete. Invito i vescovi e i cardinali che hanno eletto questo tomo a non permettergli di calunniare Gesù. Restano domande senza risposta:   da quale seminario  è venuto fuori uno che travisa così malevolmente e rozzamente le parole del Vangelo? Sembra un  attore che recita male una parte che non ha studiato.  Da quale  foresta amazzonica dell’ignoranza modernista e del pressapochismo, da quale residuo solido di teologia della liberazione  è uscito  questo Tupac Amaru, e come mai è riuscito a diventare prete, e salendo tutti i gradini della carriera ecclesiastica,  vescovo, cardinale, Papa? E sapevate, cardinali elettori, quali vuoti  e falle di semplice istruzione aveva costui, quando lo avete scelto nel Conclave? Non posso credere che anche   voi siate ormai altrettanto analfabeti in cultura cristiana; o devo considerarlo un altro dei pregiati frutti del Concilio?

Nella sopracitata intervista, “Francesco”   ci tiene a negare   le  radici cristiane dell’Europa, e mostrare la sua ostilità a  chi le rivendica (a cominciare dal  suo predecessore, Giovanni Paolo II), forse perché  ciò gli sembra d’ostacolo al prezioso ecumenismo.   «Bisogna parlare – sostiene  – di radici al plurale, perché ce ne sono tante. In tal senso, quando sento parlare delle radici cristiane d’Europa a volte temo il tono, che può essere trionfalista e vendicativo. Allora diventa colonialismo. Giovanni Paolo II ne parlava con tono tranquillo».

La Chiesa per lui è “colonialismo”?

S’intravvede qui  il fondo (di magazzino) ideologico da cui ha tratto quest’asserzione:  ridurre l’affermazione delle “radici cristiane” al “colonialismo”- in Europa! –  è una  meccanica e zotica trasposizione   al continente europeo dei  più vieti elementi della propaganda terzomondista, “rossa”, latino-americana. Là si usa dire, negli ambienti del   progressismo retrogrado andino e del Mato Grosso, che  il cattolicesimo è stato importato da fuori, dunque è colonialismo – implicando che i conquistadores hanno soppresso la bella spiritualità delle religioni del sacrificio umano, a cui quelle popolazioni avrebbero dovuto essere felicemente   lasciate;  e insultando, ancora una volta, la fede cattolica sparsa là dai martiri col loro sangue, e consacrata dall’apparizione della Virgen Morena,  la  Madonna di fattezze indie e vesti azteche che ha adottato da quelle popolazioni e ne è stata adottata  con fede forte, commovente, combattiva fino al sangue. Ora, se  questo è un   elemento polemico  grossolano già  nel Terzo Mondo, è completamente assurdo in Europa. Qui, com’ebbe a dire Woytila,  «La fede cristiana ha plasmato la cultura dell’Europa facendo un tutt’uno con la sua storia   (…) il cristianesimo è diventato “la religione degli Europei stessi” […]”.

E  trionfalismo vendicativo qui è stato espresso  non certo dai cattolici, ma dai negatori di queste radici cristiane per imporre il loro ateismo,  l’ordine giacobino e massonico o   leninista, con la violenza e la persecuzione, dal Terrore alla guerra di Spagna  fino alla repressione   rossa nell’Est, sanguinoso massacro.

Come si può essere tanto ignoranti?

Quando “Francesco” dice che “non bisogna parlare di radici cristiane perché ce ne sono tante”, lo fa’ palesemente per svalutare e sminuire –  dunque offendere – la nostra civiltà; nel contesto dell’intervista, ci ha voluto dire: non fate tanto  gli snob,   accogliete i milioni della “invasione  araba” (parole sue),  mica siete meglio voi. Anzi: “Quante invasioni l’Europa ha conosciuto nel corso della sua storia! E ha saputo sempre superarsi e andare avanti per trovarsi infine come ingrandita dallo scambio tra le culture.”   La “cultura” islamica è stata precisamente quella che l’Europa cristiana “non”  ha integrato e la cui invasione ha respinto  sempre, da Poitiers (732) a Lepanto (1500) fino all’assedio turco di Vienna del 1683. E sempre come “cristianità”, trovando le nazioni e i re una unità estrema e miracolosa al disopra delle loro discordie; e  sempre con una costante ostinazione  che mostra come quella è stata sempre sentita  come una cultura radicalmente “altra”,  irriducibilmente eterogenea, insolubile nella nostra come l’acqua nell’olio –  e la sua entrata nel continente, è stata vissuta come la pura e semplice mortedella nostra identità  collettiva,  del nostro essere europei.

Piaccia o non piaccia, a torto o a ragione. E’ un senso   misterioso di diversitàinassimilabile che precede il Cristianesimo e l’Islam. La Persia di Ciro e Serse non era meno alta di quella greca; eppure Atene si unì a Sparta per sbarrarle il passo alle Termopili, a Salamina.   La civiltà fenicia non era priva di tesori “culturali”; ma Roma visse Cartagine come il nemico assoluto, non-integrabile, da sradicare  per non esserne sradicata.

Per contro, il cristianesimo  può  rivendicare non due, ma tre millenni di civiltà, perché   Roma vincitrice “andò a scuola di Atene”, e i cristiani vincitori adottarono “Roma”, la sua architettura, il suo diritto, la sua idea di impero come cordiale unione di genti diverse,  la  metafisica   ellenica, Platone e Aristotile.  Sappiamo anche perché, lo ha spiegato magistralmente  Brague: l’Islam si vive come la religione-civiltà primaria;  i tempi precedenti a Maometto, li sente come un vuoto  di oscurità e barbarie da cui non c’è nulla da apprendere; tutto ciò che serve alla vita e all’anima è nel Libro rivelato, il Corano, e dunque i libri degli altri sono inutili, anzi dannosi.  I cristiani non poterono; sanno di derivare da un’altra fede – l’ebraismo – e non possono  amputare quella radice.  Analogamente, Roma vincitrice del mondo non  pretese mai che “prima  di lei” non ci fosse civiltà: Omero, Socrate, Platone, scienza e filosofia, poesia, tutto  un mondo (altro, ma affine)  c’era da far proprio e imparare nella lingua originale. L’Islam tradusse testi greci? Sì, per lo più scientifici; ma visto che li aveva trasferiti nella lingua araba, la lingua sacra di Dio,   buttò gli originali;  mai più ebbe la  curiosità di  tornare a rileggere “cosa aveva veramente detto Aristotile”.  Questo è  il profondo motivo per cui l’Islam,  per quanto ammirevole, non può avere un Umanesimo, un Rinascimento e un’apertura mentale verso le altre culture.

Cristo  per contro non diede una Shariah,  e riconobbe il laico diritto romano (“date a Cesare”). I monaci amanuensi non osarono bruciare i libri licenziosi di Catullo ma li ricopiarono, tanto era il prestigio dell’arte latina, ed è grazie a loro che li abbiamo ancor oggi.  La distinzione fra sacro e profano, l’autonomia della ragione dalla fede,   la scienza sperimentale  –  quindi  persino la  laicità europea  (piaccia o non piaccia, buona o cattiva  che sia: è europea) nascono dalle radici cristiane;  se i cistercensi  avessero bruciato i libri di Catullo, Orazio e Cicerone, se avessero creduto che il Vangelo – essendo ispirato da Dio – ha dentro tutto il sapere che serve all’uomo, e  basta   –  oggi l’europeo sarebbe quello che è l’islamico: fondamentalista.

Ora, invece, ecco a cosa si riduce per Francesco questo straordinario edificio trimillenario,  oggi  tragicamente prossimo all’auto-estinzione per nichilismo anticristico: a una forma di “colonialismo”. Ha paura, El Papa, che ci sia nel cristianesimo ‘troppa’ cultura,   che sia oppressivo e  d’ostacolo a portare la fede “ai poveri”.  Gli sembra urgente una  sola cosa: che il cristianesimo come “cultura” scompaia, si tolga di mezzo. Lo dice in una frase incredibile nella suddetta  intervista:

«L’apporto del cristianesimo a una cultura è quello di Cristo con la lavanda dei piedi, ossia il servizio e il dono della vita. Non deve essere un apporto colonialista».

Lavi i piedi e poi si ritiri nelle stanze della servitù, ecco l’apporto unico che il cristianesimo deve portare a “una” cultura (qualunque? Yanomani, Lacandona? Azteca?  Wahabita?).  Nemmeno si rende conto che questo sì è fondamentalismo; la forma comica  del fondamentalismo “spirituale”  del catto-modernismo, per cui –siccome il Vangelo prescrive di dar da mangiare agli affamati e vestire gli ignudi –  tutti gli stati, i governi, la UE devono accogliere tutti i rifugiati, senza limiti:  quindi direttamente  obbedire al Vangelo e non alle norme del diritto   secolare e alle valutazioni realistiche – politiche –   delle  compatibilità. Il Vangelo diventa così il Corano della nuovashariah  caricaturale.

E poi no: l’apporto centrale di Cristo non si riduce nella “lavanda dei piedi”.  Sul “dono della vita” attendiamo chiarimenti, data la vaghezza del concetto: vita è maiuscolo o minuscolo? Ma sulla “lavanda dei piedi” abbiamo visto Francesco travisare completamente il gesto.  Cristo non ha lavato, né tantomeno baciato e biascicato  come ha fatto lui, i pedi di  “immigrati, carcerati, islamici, donne”. Ha lavato i piedi dei suoi discepoli. Nella notte tremenda dell’Ultima Cena,  ha dato lezione di umiltà, anzi di umiliazione e di servizio a coloro  cui avrebbe ordinato di lì a poco: “Fate questo in memoria di me”.  Ha lavato i piedi ai futuri  sacerdoti, le cui mani sarebbero state consacrate.  E infatti, anche oggi  sono i vescovi che lavano liturgicamente i piedi a  12  seminaristi nel giorno della loro ordinazione sacerdotale.  Bergoglio, lavando i piedi senza  discriminazione  a  gente d’altra religione  e anche a donne, ha completamente distorto e falsificato il significato del gesto.

E questo travisamento è anch’esso –visto che è volontario – una ingiuria a Cristo.  Quanto il gesto di El Papa  sia  stato oltraggioso per i preti che ancora credono e restano fedeli alla vocazione, l’ha spiegato don Ariel Levi di Gualdo, a cui rimando.  Mi limito ad estrarne due  concetti:

“Da alcuni anni  [è]  in fase avanzata un processo di veloce e massiccio svuotamento sia del senso vero, evangelico e teologico delle parole; sia dei simboli o dei segni esteriori che finiscono — una volta svuotati — riempiti di altri significati. Fatto questo si può correre il serio rischio di andare a incidere sulle sostanze eterne immutabili”.

E sul significato sostitutivo di cui Francesco ha voluto  riempire quel gesto svuotato del suo senso originario:  “Durante l’ultima cena, Cristo Signore non ha preso ed esibito agli Apostoli un povero dicendo loro: “Costui è il mio corpo e il mio sangue”, quindi “adoratelo”, “in memoria di me”.  E tutti siamo membra di questo Corpo Santissimo, a prescindere dal reddito dichiarato e dal ceto sociale di appartenenza”.

http://isoladipatmos.com/dalla-lavanda-dei-piedi-alla-lavata-di-testa/

Ecco cos’è la religione di Francesco: una adorazione del “povero”  (quello mediatico, finto, l’immigrato)   messo al posto di Cristo.  Ma   nessuno riesce a fargli smettere di bestemmiare?



EDITORIALE del sito LaNuovaBussolaQuotidiana
Papa Francesco
 

Dalla Civiltà Cattolica al cardinale Schönborn, in molti sostengono che la grande novità della Amoris Laetitia sia il linguaggio, che si vuole più aderente alla concretezza esistenziale. Ma ciò pone anche un problema: finora i Papi intervenivano per chiarire e definire, qui invece si vuole porre problemi, aprire processi su cui deciderà la storia. È una nuova concezione del Papato.

di Stefano Fontana

Il Linguaggio dell’Esortazione apostolica Amoris Laetitiaha fin da subito attirato l’attenzione su di sé, prima e forse più dei contenuti. Su La Civiltà Cattolica del 14 maggio si parla di «rinnovamento del linguaggio ecclesiale». Il cardinale Schönborn, in occasione della conferenza stampa di presentazione in Vaticano, aveva detto che laAmoris Laetitia è un «avvenimento linguistico». Forse, il cardinale Kasper si riferiva proprio a questo aspetto quando anticipò che l’Esortazione sarebbe stata una «rivoluzione».

Padre Antonio Spadaro, presentando l’Esortazione sul quindicinale dei Gesuiti da lui diretto, il 23 aprile scorso aveva detto che «il Pontefice insiste sulla concretezza, è una cifra fondamentale dell’Esortazione». Viene richiamato, infatti, quanto scritto proprio da Papa Francesco nell’Esortazione: fare in modo che l’annuncio del Vangelo non sia «meramente teorico e sganciato dai problemi reali delle persone».  Anche il linguaggio, quindi, dovrebbe cambiare, per favorire la vicinanza pastorale, l’accompagnamento, il discernimento.

Mi sembra però che queste buone intenzioni si scontrino con un problema oggettivo: la concretezza esistenziale è sempre per sua natura ricca di sfumature, sfuggente, articolata, dato che ha a che fare con la complessità della vita e la varietà delle situazioni. Parole ed espressioni che volessero adeguarsi ad essa dovrebbero perdere di nitidezza e aumentare invece le proprie sfumature. Una parola polisemica, evocativa ed allusiva, una espressione metaforica o perfino un artificio retorico potrebbero essere più utili di espressioni dal contorno preciso. Ma sarebbero ugualmente in grado di orientarla, l’esistenza? 

Esaminando il linguaggio dell’Esortazione Amoris Laetitia, si incontrano parole, espressioni ed immagini che possono aprire squarci sulla complessità dell’esistenza, ma che proprio per questo sono anche ambigue, e non poteva essere diversamente. Chiamare il peccato «fragilità» e «inadeguatezza» qualche precisazione la richiede. Cosa sia una «morale fredda da scrivania» non è facile a capirsi con precisione, qui il linguaggio è metaforico ed allusivo. Non è nemmeno chiaro cosa significhi l’invito a non adoperare i principi dottrinali come se fossero pietre, scagliandole contro gli altri. Siccome la dottrina della fede non può essere considerata come l’astratto contrapposto al concreto dell’esistenza personale, ma va considerata come l’umano reale visto alla luce del suo ultimo bene, espressioni come quelle appena riportate se da un lato invitano ad una maggiore disponibilità ad avvicinarsi alla vita, dall’altro producono confusione su ciò che questo possa significare. 

La scelta di avvicinarsi alla concretezza esistenziale (ricordiamo però che “concreto” e “reale” non sono sinonimi e che avvicinarsi all’esistenza non significa automaticamente avvicinarsi al reale) produce per forza una comunicazione dai contorni fluidi. Nell’esistenza spesso noi ci esprimiamo nella forma del «sì… ma», e anche la Amoris Laetitia lo fa, come per esempio nel paragrafo 3. Nell’esistenza spesso noi ci facciamo delle domande senza risposte, e anche la Amoris Laetitia lo fa. Spesso ci esprimiamo enfatizzando retoricamente qualche termine adoperato non nel suo significato tecnico, e infatti anche la Amoris Laetitia dice per esempio che non bisogna «scomunicare» i divorziati risposati né tanto mento «condannarli per l’eternità».  In queste espressioni è evidente che i termini «scomunicato» e «condannato per l’eternità» sono delle forzature espressive che vogliono esprimere in forma non letterale concetti come «esclusione» o «trascuratezza» o «abbandono» (pastorale).

Non ho qui lo spazio per fare riferimento ad altri esempi tratti dal testo dell’Amoris Laetitia. Siccome però molti confermano la novità del linguaggio, come dicevo all’inizio, mi trovo confortato nella mia analisi. Questo linguaggio è stata una scelta e rappresenta veramente una caratteristica portante del documento.

Ecco perché dobbiamo porci un problema, che qui mi limito ad enunciare. I fedeli della Chiesa cattolica sono stati finora abituati (ma è ovvio che si tratta di più di un’opinione)  ad attendersi dal magistero, e soprattutto dal magistero petrino, definizioni e precisazioni in termini di dottrina e di morale. E questo non solo nella forma solenne delle definizioni dogmatiche, ma anche nell’ambito del magistero ordinario autentico, a cui appartiene per esempio una Esortazione apostolica. 

L’intento di precisare i termini di una questione – come fece per esempio Giovanni Paolo II col paragrafo 84 della Familiaris consortio a proposito dell’accesso all’Eucarestia dei divorziati risposati – richiede una volontà di precisare e un linguaggio adeguato, ossia preciso. L’uso di un linguaggio diverso potrebbe quindi esprimere una diversa volontà, non più di precisare quanto di suscitare questioni, indurre a farsi domande e a mettersi in discussione, oppure aprire percorsi di prassi pastorale nuovi, processi di vita dentro le comunità ecclesiali in grado di affrontare il nuovo. 

Nel paragrafo 3 dell’Esortazione Apostolica si legge che «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero». La Amoris Laetitia, per esempio, non ha chiarito e precisato una questione sulla quale per due anni i vescovi sinodali, e non solo, avevano discusso: appunto la Comunione ai divorziati risposati. Non è stato chiarito questo punto e, per molti versi, è stato reso più confuso. La domanda che mi faccio è quindi: devo aspettarmi un nuovo ruolo del magistero petrino, non tanto di definizione e precisazione, ma di apertura di processi, su cui deciderà in seguito la storia e la prassi? Sarebbe una nuova concezione del Papato.

- MATRIMONIO E FAMIGLIA LA CHIESA AL BIVIO, di Stefano Fontana (I libri della Bussola)

   







Caterina63
00mercoledì 1 giugno 2016 23:53

Lecito e anzi doveroso criticare il Papa: parola di Benedetto XVI!


 


Clicca per acquistarlo

Benedetto XVI: possibile e necessaria la critica a pronunciamenti papali senza copertura nella Scrittura e nel Credo.

«La fede si norma sui dati oggettivi della Scrittura e del dogma, che in tempi oscuri possono anche spaventosamente scomparire dalla coscienza della (statisticamente) maggior parte della cristianità, senza perdere peraltro in nulla il loro carattere impegnante e vincolante.

In questo caso la parola del papa può e deve senz’altro porsi contro la statistica e contro la potenza di un’opinione, che pretende fortemente di essere la sola valida; e ciò dovrà avvenire con tanta più decisione quanto più chiara sarà (come nel caso ipotizzato) la testimonianza della tradizione.

Al contrario, sarà possibile e necessaria una critica a pronunciamenti papali, nella misura in cui manca a essi la copertura nella Scrittura e nel Credo, nella fede della Chiesa universale.

Dove non esiste né l'unanimità della Chiesa universale né una chiara testimonianza delle fonti, là non è possibile una decisione impegnante e vincolante; se essa avvenisse formalmente, le mancherebbero le condizioni indispensabili e si dovrebbe perciò sollevare il problema circa la sua legittimità».
Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Fede, ragione, verità e amore, p. 400 (Lindau 2009)


Come sopravvivere ad un papa disastroso e rimanere cattolici

 
Ripresentiamo a distanza di un anno e mezzo questo articolo che ogni giorno e ogni ora dimostra sempre di più la sua drammatica attualità. Le ormai insanabili e gravissime perplessità di fronte a esternazioni improvvisate ma - soprattutto - a documenti che sono formalmente magisteriali di Papa Francesco spaccano la coscienza del buon cattolico che è costituzionalmente papista, ma è anche costituzionalmente ragionevole e razionale e non può né deve mai andare contro ragione e contro coscienza. Queste lacerazioni dolorose della coscienza e della ragione devono trovare una medicina e noi la troviamo, su di un piano razionale, in questo scritto chiaro ed equilibrato.

di Francisco José Soler Gil
Clicca per leggere
Può un cattolico pensare che un papa sia disastroso? Certo che sì. Può un buon cattolico credere che dietro la scelta del papa ci sia lo Spirito Santo? Evidentemente no.
 
Sarebbe sufficiente ricordare la risposta, al riguardo, che l’allora cardinale Ratzinger diede al suo intervistatore, il prof. August Everding, in una famosa intervista del 1997. Il prof. Everding chiese all’allora “custode della fede” se fosse veramente lo Spirito Santo il responsabile diretto dell’elezione del papa.
 
La risposta di Ratzinger fu, come sempre, semplice ed illuminante:
 
«Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo. Direi che lo Spirito Santo non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito Santo dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto».
 
Tuttavia, anche se un cattolico sa bene che nessuno papa può distruggere la Chiesa completamente, la storia dimostra che ci sono stati papi di tutti i tipi: quelli buoni, quelli normali, quelli scarsi, quelli veramente cattivi e quelli disastrosi. Quando si può affermare che un papa è disastroso? Ovviamente non è sufficiente il fatto che il pontefice abbia delle opinioni sbagliate su questo e quell’argomento. Anche un papa, come ogni altro uomo, non conosce molte questioni, e può avere convinzioni errate. Dunque, potrebbe essere un dilettante per quanto riguarda la filatelia e la numismatica ed errare sul valore e sulla datazione di alcuni francobolli e di alcune monete. Parlando di questioni che non sono di sua competenza, un papa ha più probabilità di sbagliare di un esperto in materia. Proprio come io e te, caro lettore.
 
Liberio, il papa che non combatté adeguatamente, per vari motivi, l’eresia ariana.
 
Pertanto, se un papa decidesse di rendere pubbliche le sue opinioni, per esempio, sull’arte dell’allevamento dei piccioni, sull’economia, sull’ecologia, sull’astronomia, l’esperto cattolico deve sopportare con pazienza le stravaganti esternazioni del romano pontefice su questioni che, naturalmente, sono estranee alla sua Cathedra. L’esperto in materia certamente sarà sconcertato da questi eventuali errori, più in generale sulla mancanza di prudenza nel rilasciare certe dichiarazioni. Ma l’imprudenza, né la loquacità, non rendono automaticamente un papa disastroso. Lo è quando, con le parole e con le opere, danneggia il depositum fidei della Chiesa, oscurando temporaneamente il messaggio di Dio all’uomo che la Chiesa ha il dovere di custodire, trasmettere e approfondire.
 
Può esserci un caso come questo? Beh, in realtà, più volte nella storia si sono già verificati casi simili.
 
Quando, per esempio, papa Libero (IV secolo) – il primo pontefice non canonizzato – cedette alle forti pressioni degli ariani, tenendo una posizione ambigua riguardo tale eresia, lasciando soli i difensori del dogma trinitario, come Sant’Atanasio. Quando papa Anastasio II (V secolo) ha “flirtato” con i fautori dello scisma acaciano. Quando papa Giovanni XXII (XIV secolo) ha affermato che la visione di Dio dei giusti ci sarà solo dopo il giudizio universale. Quando i papi – e gli antipapi – del periodo conosciuto come il “Grande Scisma d’Occidente” (XIV-XV secoli) si scomunicavano l’un l’altro. Quando papa Leone X (XVI secolo) – colui che osò vendere le indulgenze per continuare a vivere nel lusso – col suo malgoverno, fatto di opere e omissioni, ha creato momenti di grande tensione nella Chiesa, attaccando una parte del depositum fidei. I papi responsabili di questi danni devono essere correttamente definiti “disastrosi”.
 
La domanda è: che cosa possiamo fare durante il regno di un papa disastroso? qual è l’atteggiamento corretto che un cattolico deve avere?
 
Dato che, ultimamente, c'è la moda di dare consigli, per esempio, per raggiungere la felicità, per controllare il colesterolo, per smettere di fumare, per perdere peso, ho intenzione di proporre al lettore una decina di consigli per sopravvivere ad un papa disastroso e rimanere cattolico. Ovviamente non sono esaustivi, ma saranno utili comunque.
 
Leone X, il papa che, per avidità, vendette le indulgenze.
 
Cominciamo:
 
(1) Mantenere la calma
Nei momenti di angoscia, la tendenza a perdere la calma è fin troppo umana, ma non risolve nulla. Perché solo con la calma interiore si possono prendere le decisioni giuste per ogni circostanza ed evitare parole e azioni che spesso rimpiangiamo poi amaramente.
 
(2) Leggere buoni libri sulla storia della Chiesa e del papato
Per chi è abituato ad avere vissuto sotto una serie di grandi pontefici, l’esperienza di un papa disastroso sarà traumatica, se non riesce a metterlo in un determinato contesto. Leggere la storia della Chiesa, in particolare del papato, aiuta a valutare meglio la situazione presente. Nella storia della Chiesa ci sono moltissimi – troppi – casi (per disgrazia o semplicemente per debolezza umana) di papi disastrosi, eppure la barca di Pietro, pur soffrendo a causa di tali debolezze, non è affondata. Essendo successo questo in passato, possiamo aspettarci lo stesso per il presente e il futuro.
 
(3) Non arrendersi al profetismo apocalittico
Vedere le devastazioni di un papa disastroso, può far pensare che sia imminente la fine del mondo. È un’idea che, in tali circostanze, arriva puntualmente: pensare che i disastri di certi papi siano segni dell’apocalisse era comune anche a molti autori medievali. Questo fatto ci dovrebbe servire proprio come un avvertimento. Non ha senso cercare di interpretare ogni tempesta, come se si trattasse della Grande Tribolazione. Il mondo finirà quando dovrà finire: non sappiamo né il giorno, né l’ora. Noi possiamo solo combattere la battaglia del nostro tempo, ma la visione globale dei tempi non ci appartiene.
 
(4) Non tacere, né distogliere lo sguardo
Durante un pontificato disastroso, l’opposto del “profetismo apocalittico” è il menefreghismo, oppure minimizzare la portata del danno procurato, tacendo di fronte ad un abuso, guardando dall’altra parte. Alcuni giustificano questo atteggiamento ricordando che Set, da bravo figlio, coprì la nudità del padre Noè. Ma non si può correggere la rotta di una nave senza denunciarne il dirottamento. Inoltre, la Sacra Scrittura ci dà un esempio più appropriato di quello di Noè: il duro, ma giusto e leale, rimprovero da parte dell’apostolo Paolo al primo papa, Pietro, quando questi stava per cedere al rispetto umano. Questo c’insegna a distinguere l’obbedienza leale dal silenzio complice. La Chiesa non è un partito il cui presidente deve sempre ricevere un applauso incondizionato. Non è neppure una setta il cui leader viene acclamato continuamente. Il papa non è leader di una setta, ma il primo dei servitori del Vangelo e della Chiesa; un servitore libero e umano che, come tale, può prendere decisioni e atteggiamenti riprovevoli che non devono essere nascosti.
 
(5) Non generalizzare
Il cattivo esempio di alcuni vescovi vili e carrieristi, durante un pontificato disastroso, non deve farci squalificare tutto il collegio episcopale, né il clero nel suo insieme. Ciascuno è responsabile delle proprie parole, opere e omissioni. La struttura gerarchica della Chiesa è stata istituita dal suo Fondatore, per cui deve essere rispettata, nonostante le critiche. Non si deve neppure protestare contro ogni parola o azione del papa cosiddetto disastroso. La voce si deve alzare solamente quando egli si discosta nettamente daldepositum fidei della Chiesa, oppure quando potrebbe intraprendere un percorso che ne comprometterebbe alcuni aspetti. E il giudizio su questi punti non deve essere basato su opinioni personali o gusti particolari: la dottrina della Chiesa è riassunta nel suo Catechismo. Solamente quando un papa si allontana dal catechismo può e deve essere criticato. Mai in nessun’altra questione.
 
Papa Giovanni XXII sostenne l'opinione che le anime dei defunti dimoranti "sotto l'altare di Dio" ( Apocalisse 6,9 ) non ricevessero il Giudizio subito dopo la morte ma venissero ammesse alla piena beatitudine o fossero condannate all'Inferno unicamente dopo il Giudizio Universale: ritrattò in punto di morte.
 
(6) Non collaborare a iniziative che possono glorificare ancora di più il papa disastroso
Se un papa disastroso chiede aiuto per sostenere le buone opere, dev’essere ascoltato. Ma non si possono sostenere iniziative – per esempio certi raduni di massa – che servono a dimostrare la popolarità mediatica del pontefice. Nel caso di un papa disastroso, inoltre, gli applausi già abbondano. Tra l’altro, “accecato” dalle acclamazioni, il papa disastroso potrebbe deviare ancora di più la rotta della nave. Non si potrà neppure dire che gli applausi andranno non al papa in questione, ma allo stesso Pietro, perché la popolarità sarà usata dal papa disastroso non per Pietro, ma per i propri scopi.
 
(7) Non seguire le direttive del papa disastroso quando si discosta dall’immutabile dottrina della Chiesa
Se un papa insegnasse concetti o provasse ad imporre pratiche che non corrispondono (parzialmente o totalmente) al perenne insegnamento della Chiesa – riassunte nel Catechismo – non può essere sostenuto, né obbedito. Questo significa che i vescovi, i loro presbiteri e i consacrati devono insistere sulla dottrina e la pratica tradizionale – radicata nel depositum fidei – anche a costo di essere puniti. Anche i fedeli laici devono fare la propria parte, nella vita quotidiana e temporale, insistendo sul Catechismo. In nessun caso – per vile servilismo mascherato da obbedienza cieca oppure per paura di ingiuste rappresaglie – è permesso contribuire, direttamente o indirettamente, alla diffusione di eterodossia e di eteroprassi.
 
(8) Non si devono sostenere economicamente le diocesi collaborazioniste del papa disastroso
Se un papa introducesse dottrine e pratiche che minano la Tradizione della Chiesa – riassunte nel Catechismo – i vescovi diocesani dovrebbero divenire come un muro di contenimento. La storia, però, ancora una volta dimostra che non sempre i vescovi solo solerti a reagire energicamente ai pericoli di un papa disastroso. Addirittura, fin troppo spesso, per vari motivi, appoggiano le parole e le azioni del papa disastroso. I fedeli laici che vivono in una diocesi governata da un vescovo “collaborazionista” debbono rimuovere il proprio sostegno economico non solo diocesano, ma pure quello parrocchiale, finché la situazione collaborazionista non termina. Questo, ovviamente, vale per il superfluo, non certamente per i meno abbienti della parrocchia e della diocesi. Si deve rimuovere qualsiasi tipo di sostegno alle iniziative del vescovo collaborazionista, anche a quelle che sono (apparentemente) buone e giuste.
 
«Salva e santifica la tua Chiesa, o Signore. Salva e santifica tutti noi».
 
(9) Non appoggiare alcuno scisma
Di fronte ad un papa disastroso, può giungere la tentazione di rompere radicalmente: dobbiamo resistere a questa tentazione a tutti i costi. Il dovere di ogni cattolico, all’interno della Chiesa, è quello di ridurre al minino il danno e gli effetti negativi di un papato disastroso, senza però dividere la Chiesa o dividersi dalla Chiesa. Questo comporta, per esempio, sopportare con pazienza le eventuali ingiuste punizioni (interdizione o scomunica) che potrebbero arrivare, dal papa disastroso o dai suoi collaboratori, a colui che non ha altra colpa se non quella di difendere fedelmente il Vangelo. Il cattolico fedele resta nella Chiesa in ogni circostanza – anche quando viene scacciato –: non può sostenere spaccature, né tanto meno scismi, perché altrimenti non sarebbe più “fedele”.
 
(10) Pregare
La permanenza e la salvezza della Chiesa non dipendono, in ultima analisi, da noi, ma soltanto ed esclusivamente da Colui che l’ama e l’ha fondata per il nostro bene. Durante la tempesta, dobbiamo pregare, pregare, pregare e pregare affinché il Maestro si svegli e ordini al vento e alla pioggia di placarsi. Pur essendo questo l’ultimo consiglio, non è il meno importante di tutti. Anzi, è il primo in ordine d’importanza. Perché, alla fine, ciò che conta davvero è credere fermamente che la Chiesa è sostenuta da uno Sposo che la ama, Cristo, e che non ne permetterà la distruzione. Dobbiamo dunque pregare per la conversione del papa disastroso e perché gli succeda un papa santo. Molti rami secchi vengono recisi, durante la tempesta, ma quelli rimasti uniti a Cristo fioriranno di nuovo. Possa Dio concedere che ciò venga detto per ognuno di noi.

Ovviamente tutto quanto scritto qui sopra vale anche riguardo a un vescovo, a un parroco, a un prete, a una conferenza episcopale... Per attenermi al punto 8 io ormai da 5 anni non firmo più do più l'8 per mille alla Conferenza Episcopale Italiana, ma firmo per un'altra entità (non per lo Stato ladrone, ovviamente!). G.Z.



Caterina63
00sabato 18 giugno 2016 22:35
<header class="post-header">

Spaemann: "Anche nella Chiesa c’è un limite di sopportabilità"



</header>

spaemann


Il professor Robert Spaemann, 89 anni, coetaneo e amico di Joseph Ratzinger, è professore emerito di filosofia presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. È uno dei maggiori filosofi e teologi cattolici tedeschi. Vive a Stoccarda. Il suo ultimo libro uscito in Italia è: "Dio e il mondo. Un'autobiografia in forma di dialogo", edito da Cantagalli nel 2014.


Lo scorso 28 aprile fece colpo in tutto il mondo l'intervista sulla "Amoris laetitia" che egli diede a Catholic News Agency, rilanciata lo stesso giorno in italiano da Settimo Cielo:


> Spaemann: "È il caos eretto a principio con un tratto di penna"


Questo che segue è un ulteriore intervento del filosofo sulla "Amoris laetitia", questa volta pubblicato il 17 giugno sul giornale tedesco "Die Tagespost" e rilanciato lo stesso giorno sull'edizione tedesca di Catholic News Agency:


> "Die Kirche ist nicht grenzenlos belastbar"


*


"ANCHE NELLA CHIESA C'È UN LIMITE DI SOPPORTABILITÀ"


 


di Robert Spaemann


Le mie osservazioni critiche nel colloquio con la Catholic News Agency sull’esortazione apostolica "Amoris laetitia" hanno suscitato delle vivaci reazioni, in parte di assenso entusiastico, in parte di rifiuto.


Il rifiuto riguarda in primo luogo la frase secondo cui la nota 351 rappresenta una "rottura nella tradizione del magistero della Chiesa cattolica". Quel che volevo dire era che alcune affermazioni del Santo Padre si trovano in una chiara contraddizione con le parole di Gesù, con le parole degli apostoli e con la dottrina tradizionale della Chiesa.


Di rottura, in realtà, si deve parlare solo quando un papa, richiamandosi in maniera univoca ed esplicita alla sua potestà apostolica – dunque non incidentalmente  in una nota a piè di pagina –, insegni qualcosa che è in contraddizione con la citata tradizione magisteriale.


Il caso qui non si verifica, anche solo per il fatto che papa Francesco non ama la chiarezza univoca. Quando, poco tempo or sono, ha dichiarato che il cristianesimo non conosce alcun "aut aut", evidentemente non lo disturba affatto che Cristo dica: "Il vostro parlare sia sì, sì, no, no. Il di più viene dal maligno" (Mt 5, 37). Le lettere dell’apostolo Paolo sono piene di "aut aut". E, infine: "Chi non è per me, è contro di me! (Mt 12, 30).


Papa Francesco, però, vuole solo "fare proposte". Contraddire delle proposte non è vietato. E, a mio parere, lo si deve contraddire con energia, quando in "Amoris laetitia" ritiene che anche Gesù avrebbe "proposto un ideale esigente". No, Gesù ha comandato "come uno che ha autorità, e non come gli scribi e i farisei" (Mt 7, 29). Lui stesso, ad esempio quando parla con il giovane ricco, rinvia all’intima unità della sequela con l’osservanza dei dieci comandamenti (Lc 18, 18-23). Gesù non predica un ideale, ma fonda una nuova realtà, il regno di Dio sulla terra. Gesù non propone, ma invita e comanda: "Vi do un comandamento nuovo". Questa nuova realtà e questo comandamento si trovano in stretta relazione con la natura della persona umana, conoscibile attraverso la ragione.


Se ciò che asserisce il Santo Padre si adatta così poco a quello che io leggo nella Scrittura e mi arriva dai Vangeli, questo non è ancora un motivo sufficiente per parlare di una "rottura" e non è neppure un motivo per fare del papa oggetto di polemica e di ironia, come purtroppo ha fatto Alexander Kissler [1]. Quando san Paolo si trovò davanti al sinedrio per difendersi e il sommo sacerdote ordinò di percuoterlo sul viso, Paolo reagì con le parole: "Dio percuoterà te, muro imbiancato!". Quando i presenti gli dissero che quello era il sommo sacerdote, Paolo disse: "Fratelli, non sapevo che fosse il sommo sacerdote. Infatti sta scritto: 'Tu non insulterai il capo del tuo popolo'" (At 23, 3-5). Kissler, quando ha scritto del papa, avrebbe dovuto moderare il tono, anche se il contenuto della sua critica in gran parte è giustificato. A causa della polemica sarcastica, il suo intervento ne è uscito limitato quanto ad efficacia.


Il papa si è lamentato del fatto che, incitati dai media, si finisca più o meno per non cogliere le sue numerose esortazioni sull’allarmante situazione della famiglia, per fissarsi su una nota a piè di pagina sul tema dell’ammissione alla comunione. Ma il dibattito pubblico presinodale girava tutto attorno a questo tema, perché su questo punto, di fatto, va detto un sì o un no.


Il dibattito continuerà ancora, e non meno controverso di prima, poiché il papa si rifiuta di citare su questo argomento le dichiarazioni chiarissime dei suoi predecessori e poiché il suo responso è manifestamente così ambiguo che ciascuno può interpretarlo, e lo interpreta, a favore della propria opinione. "Se la tromba emette un suono confuso, chi si preparerà al combattimento?" (1 Cor 14, 8). Se nel frattempo il prefetto della congregazione per la dottrina della fede si è visto costretto ad accusare apertamente di eresia il più stretto consigliere e ghostwriter del papa, vuol dire che la situazione è davvero andata sin troppo oltre. Anche nella Chiesa cattolica romana c’è un limite di sopportabilità.


A papa Francesco piace paragonare chi è critico con la sua politica con coloro che "si sono seduti sulla cattedra di Mosè". Ma anche in questo caso il colpo ritorna su chi l’ha tirato. Erano proprio gli scribi quelli che difendevano il divorzio e tramandavano delle regole su di esso. I discepoli di Gesù erano, invece, sconcertati per il severo divieto del divorzio da parte del Maestro: "Chi vorrà ancora sposarsi?" (Mt 19, 10). Come la gente che se ne andò via quando il Signore annunciò che Lui diveniva il loro cibo: "Questo linguaggio è duro. Chi può intenderlo?" (Gv 6, 60).


Il Signore "aveva pietà del popolo" ma non era un populista. "Volete andarvene anche voi?" (Gv 6, 67). Questa domanda rivolta agli apostoli era la sua unica reazione al fatto che chi lo ascoltava se ne andava via.


*


[1] Alexander Kissler, intellettuale tedesco, saggista, è capo redattore del principale periodico politico-culturale di Germania, "Cicero".


<<<  >>>


NOTA BENE !


Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.


Gli ultimi tre servizi di "www.chiesa":


17.6.2016
> Non un papa ma due, uno "attivo" e uno "contemplativo"
È la novità senza precedenti che Ratzinger sembra voler mettere in pratica. L'ha annunciata il suo segretario Georg Gänswein. Raddoppiando le già tante ambiguità del pontificato di Francesco

13.6.2016
> Il papa non è infallibile. Eccone otto prove
Equivoci, gaffe, vuoti di memoria, leggende metropolitane. Un elenco degli errori nei discorsi di Francesco. Il più disastroso in Paraguay

9.6.2016
> O tutti o nessuno. La sinodalità che fa naufragare il Concilio
A pochi giorni dalla sua apertura, il Concilio panortodosso rischia di fallire. I patriarcati di Bulgaria, di Georgia e di Antiochia annunciano il ritiro, e Mosca dà loro man forte. A seminare discordia l'abbraccio tra Kirill e papa Francesco

<header class="entry-header">

Lutero una “medicina” per la Chiesa?

</header>

Prepariamoci alla “canonizzazione” ufficiale di Martin Lutero (anche se, in verità, è stato più una purga che una medicina) nel prossimo 1° novembre da parte di papa Francesco.

Il titolo a questo editoriale è stato ispirato da papa Francesco nell’intervista sull’aereo che lo riportava dall’Armenia: il punto di domanda, naturalmente, è nostro e di tutta la cattolicità dato che, ancora una volta, non è ben chiaro cosa intenda il Vescovo di Roma per “medicina”.

E pensare che Sant'Ignazio di Loyola fondò la Compagnia di Gesù proprio per combattere l'eresia protestante!
(E pensare che Sant’Ignazio di Loyola fondò la Compagnia di Gesù proprio per combattere l’eresia protestante!)

La domanda del giornalista è stata molto provocatoria: «Visto che Lei andrà – fra quattro mesi – a Lund per commemorare il 500° anniversario della Riforma, io penso che forse questo è il momento giusto anche per non ricordare solo le ferite da entrambe le parti, ma anche per riconoscere i doni della Riforma, e forse anche – e questa è una domanda eretica – per annullare o ritirare la scomunica di Martin Lutero o di una qualsiasi riabilitazione. Grazie».

Riportiamo un passo della risposta, il resto lo trovate qui, nel testo ufficiale:

«Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate: era un riformatore. Forse alcuni metodi non erano giusti, ma in quel tempo, se leggiamo la storia del Pastor, per esempio – un tedesco luterano che poi si è convertito quando ha visto la realtà di quel tempo, e si è fatto cattolico – vediamo che la Chiesa non era proprio un modello da imitare: c’era corruzione nella Chiesa, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere. E per questo lui ha protestato. Poi era intelligente, e ha fatto un passo avanti giustificando il perché faceva questo. E oggi luterani e cattolici, con tutti i protestanti, siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato. Lui ha fatto una “medicina” per la Chiesa, poi questa medicina si è consolidata in uno stato di cose, in una disciplina, in un modo di credere, in un modo di fare, in modo liturgico.  Ma non era lui solo: c’era Zwingli, c’era Calvino…».

Innanzitutto, non è vero che “con tutti i protestanti” siamo d’accordo con la rivisitazione sulla Giustificazione. Il mondo protestante è frastagliato, è diviso al suo interno, e non vige assolutamente un “magistero” comune a tutte le comunità. Secondo aspetto non è affatto vero che Lutero “protestò” per la corruzione interna alla Chiesa, questa fu semplicemente la manna per Lutero, per attaccare la Chiesa gerarchica. Il Santo Padre Francesco non può ridurre quella “protesta” ad una colpa della corruzione nella Chiesa. Senza dubbio l’immoralità era alta, e se nella Chiesa il Clero viveva nella corruzione, Lutero studiava il modo di uscire dal convento perché non accettava più la castità e il celibato.

«È molto importante sottolineare che il lusso e lo sfarzo, come pure anche la corruzione di buona parte della Curia Romana, non scandalizzarono più di tanto Lutero (come oggi si vuol far credere) — ha scritto il padre domenicano Roberto Coggi –, il quale, a quanto ci risulta, non trasse da ciò alcun turbamento nella sua fede cattolica e nella sua fedeltà nel Romano Pontefice. È quindi falso attribuire la ribellione di Lutero all’autorità ecclesiastica, quale si verificò pochi anni più tardi, a una sua indignazione contro i costumi corrotti del clero» [1].

Papa Francesco esprime alcune opinioni personali (“io credo”, dice), e sbaglia, forse perché è malamente informato, o forse perché vuole arrivare ad una canonizzazione di Lutero per fare unità con alcune frange protestanti. La qualcosa ci andrebbe anche bene, ma non a discapito della verità, non certo dipingendo Lutero per ciò che non era.

La giustificazione, per Lutero, non consiste come insegna la dottrina cattolica nella purificazione, rigenerazione-conversione e santificazione interiore dell’anima, ma in una “non imputazione” del peccato; l’anima quindi resta passiva perché la grazia non agisce sull’anima, ma solo il “favore di Dio” che non condanna (se proclami la fede in Lui), che “fa grazia”… Ogni opera che l’uomo compie è, in sostanza, ammalata, è peccato! La concupiscenza è per Lutero il vero tarlo insuperabile, insanabile(motivo per cui non crederà più nella grazia del celibato), invincibile che perdura per sempre allo stato di vero peccato personale anche dopo il Battesimo. Quindi ogni azione dell’uomo è per lui inutile in rapporto alla salvezza. Siamo alle fondamenta del Sola Scriptura del Sola Fidei del Solo Christo.

Per Lutero l’uomo, corrotto dal Peccato Originale, non ha in verità alcun modo di riscattarsi, nessuna azione che potrà compiere, per quanto egli si sforzi di fare il bene, potrà meritargli la redenzione, siamo di fronte alla filosofia del pessimismo che da questo momento impernierà gran parte della stessa teologia protestante.

La Chiesa, nel pontificato di Giovanni Paolo II, si prodigò per fare il Documento sulla Giustificazione, ma il testo non fu affatto accolto da tutta la comunità protestante, ancora oggi c’è chi lo rigetta e chi, da parte cattolica, sostiene che quel testo è un grave passo verso il sincretismo dottrinale. Nei vari racconti biografici e storici, si evincono due periodi di Lutero durante la sua permanenza da monaco agostiniano: la prima parte molto regolare e serena, ma sopraggiunta una certa rilassatezza e a causa di un temperamento eccitabile e nervoso, cominciò a non sopportare più le privazioni soprattutto quelle legate al celibato e dunque alla continenza e piuttosto che ammettere di non essere magari portato alla vita monastica, tentò di trovare nella Scrittura una sorta di “nuova giustificazione” ai suoi tormenti e tentazioni legate sempre alla concupiscenza, alla carne.

Lutero era tormentato dal sentimento di trovarsi sempre in uno stato di peccato e fatte le dovute confessioni,  penitenze,  digiuni ripetuti con ansia sempre più inquieta, cede davanti al dubbio atroce di non poter resistere davanti all’inesorabile maestà di Dio; di qui inizia l’atroce dubbio, l’ossessione, di ritrovarsi nel numero dei dannati. Questa tensione crebbe a livelli davvero esasperati da farlo diventare davvero morbosamente angoscioso ed inquieto.

Da qui inizia — ma solo qualche anno più avanti dando il via alla seconda parte della complessa figura di Lutero — la sua critica aspra e amara contro gli abusi veri o presunti degli uomini di Chiesa, da qui la sua autoaffermazione di “riformatore”. Lutero userà la corruzione nella Chiesa per portare avanti la sua propaganda.

Con queste basi dunque, Lutero inizia le sue prediche contro la dottrina cattolica sulla santificazione mediante atti di volontà, contro l’efficacia delle opere buone mettendo da parte, diceva, in secondo piano la fede e la grazia.

Lutero voleva ritornare alla purezza originale di Sant’Agostino, ma di fatto finì con l’esasperare la dottrina anti-pelagiana di Agostino circa il peccato, la grazia e la predestinazione. Di fatto la teologia di Lutero fu uno specchio fedele alla sua personale battaglia interiore per la salvezza della sua anima: la sua nuova concezione teologica fu per lui, di fatto, un atto di vera liberazione dai tormenti che viveva dando origine, così, ad una nuova forma di fede.

Seguendo ciò, tre sono i punti fondamentali della nuova dottrina luterana:

  1. la giustificazione mediante la sola fede;
  2. la negazione del libero arbitrio;
  3. la certezza di essere salvati solo per chi crede con fiducia, indipendentemente dalle opere e dalle azioni che si compiono, dunque “abolizione” del senso del peccato.

Oggi molti onesti studiosi di Lutero concordano nel dire che probabilmente egli non si rese conto, nell’immediato, della portata delle sue affermazioni, come pure non ebbe probabilmente chiaro le conseguenze che questo pensiero avrebbe avuto sul piano soggettivo, così come su altri aspetti.

Le sue tesi comportavano già alla radice il ripudio ai Sacramenti, al Sacerdozio Ordinato, alle indulgenze contenute persino nella Messa, in sostanza a tutto il sistema dell’unica Chiesa di Cristo della quale egli stesso faceva parte, fondata sul diritto divino, affidata a Pietro e al collegio degli Apostoli.

Martin Lutero (1483-1546). La beata Suor Serafini Micheli (1849-1911) vide la sua anima all'inferno, durante una visione mistica del 1883, mentre in Prussia festeggiavano festeggiano il 400° della nascita.
(Martin Lutero (1483-1546). La beata Suor Serafini Micheli (1849-1911) vide la sua anima all’inferno, durante una visione mistica del 1883, mentre in Prussia festeggiavano festeggiano il 400° della nascita.)

L’iniziativa, poi, delle famose 95 Tesi di Lutero spostarono la discussione per le strade e nella politica, il successo che egli raccolse non è che avveniva perché chi le accoglieva volesse abbandonare la Chiesa, ma perché attraverso queste “Tesi” la Chiesa si attivasse per una autentica e sospirata Riforma.

Lutero divenne senza dubbio l’eroe del giorno contro gli abusi e l’immoralità interna alla Chiesa, forse è in tal senso che Papa Francesco lo definisce una “medicina”, ma non è così. Senza dubbio è invece il fatto che Nostro Signore Gesù Cristo si servì degli attacchi di Lutero per una Riforma che la Chiesa fece, infatti, con il Concilio di Trento dal quale, e in poi, la Chiesa vide e visse una grande fioritura di Santi. Più che medicina, perciò, Lutero fu un “castigo”.

Fu chiesto, nel 1985, all’allora cardinale Ratzinger: «Ma perché proprio il protestantesimo – la cui crisi non è certo minore di quella cattolica – dovrebbe oggi attirare teologi e fedeli che sino al Concilio erano restati fedeli alla Chiesa di Roma?».

Il cardinale rispose: «Non è certamente una cosa facile da chiarire. Si impone tuttavia la seguente considerazione: il protestantesimo è nato all’inizio dell’epoca moderna ed è pertanto molto più apparentato che non il cattolicesimo con le idee-forza che hanno dato origine al mondo moderno. La sua attuale configurazione l’ha trovata in gran parte proprio nell’incontro con le grandi correnti filosofiche del XIX secolo. È la sua chance ed insieme la sua fragilità questo suo essere molto aperto al pensiero moderno. Così può nascere l’opinione — proprio presso teologi cattolici che non sanno più che fare della teologia tradizionale — che nel “protestantesimo” si possano trovare già tracciate le vie giuste per l’intesa fra la fede e il mondo moderno». [2]

Torniamo a ripeterlo, forse alla nausea, ma il problema di questo pontificato e di certe risposte come queste, sta alla base dell’eresia di Karl Rahner, il gesuita che ha influenzato tutta la discussione teologica, etica e morale del nostro tempo moderno. I Gesuiti sono, dagli anni sessanta, i maggiori responsabili di questa “nuova teologia” –insieme anche ad alcuni domenicani e francescani — non solo aperta al pensiero moderno, ma che ha fatto proprio il Modernismo trasformandolo nella nuova teologia.

Per Lutero ciò che conta non è tanto conoscere “chi è” Dio o “che cosa” Egli ha fatto per noi, quanto sapere semplicemente “in che modo io posso raggiungere la salvezza”. Ed è quanto sostiene Rahner, e molti gesuiti oggi, in forma diversa, eliminando il senso del peccato. Poiché, in definitiva, l’uomo basta a se stesso e può salvarsi da solo.

La prospettiva luterana è apparentemente la via più pratica, forse anche più facile… ma anche la più pericolosa perché in sostanza Lutero dice: “che Gesù sia o non sia il Figlio di Dio non è importante; importa solo che Egli sia il Salvatore”.

È una affermazione gravida di conseguenze nocive per l’identità stessa del Cristo, per l’identità stessa del Cristianesimo, per l’affermazione stessa della Santissima Trinità e che segna, al di la delle intenzioni stesse di Lutero, un decisivo distacco dalla Tradizione cristiana dei secoli precedenti: si pensi solo ai cristiani del tempo del Concilio di Nicea, disposti a dare la propria vita pur di difendere la divinità ed insieme l’umanità acquisita di Gesù Cristo, Figlio di Dio, ma anche Dio; si pensi ai Padri della Chiesa quanto hanno lottato contro l’eresia ariana e di altre eresie che mettevano a rischio l’identità del Cristo.

Per Lutero non è importante il dogma, non conta la conoscenza della realtà obiettiva, della realtà in se stessa, e neppure di Dio (o di Gesù Cristo) in se stesso, ma conta solo ciò che Dio (o Gesù Cristo) è “per me”. Anche in questo, Rahner è molto più vicino a Lutero, anziché alla dottrina cattolica.

Per il gesuita tedesco, il dogma è relativo ad un determinato periodo storico — relativismo storico o storicismo — che non può avere nessun tipo di relazione con la coscienza individuale. Ciò che conta davvero è quello che il mio IO — spiega Rahner — pensa di Dio.

Non a caso la Chiesa Cattolica ha messo nel Catechismo le tre virtù teologali di cui una è il famoso Atto di fede: «Mio Dio, poiché sei Verità infallibile, credo fermamente tutto quello che Tu hai rivelato, e la Santa Chiesa ci propone a credere. Ed espressamente credo in Te, unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte…», per Lutero invece la fede non è tanto l’adesione  a delle “verità rivelate” e quindi ai dogmi o dottrine, ma semplice abbandono fiducioso in Dio.

Intendiamoci: il concetto di fede in se di Lutero non è del tutto sbagliato perché si possono conoscere a memoria le formulette, ma non essere in grado (per difetto o per dolo) di metterle in pratica… il problema suscitato da lui, però, è quello di una fede affettiva contro quella conoscitiva mentre la Chiesa ha sempre insegnato l’equilibrio di entrambe le sfere: affettiva (ti amo mio Dio, ti dono me stesso) e conoscitiva (ti cerco mio Dio, Dio mio perché mi hai abbandonato?). Questo fa comprendere anche perché, oggi, si ha la tendenza ad abbandonare i testi di grandi Santi come sant’Alfonso de Liguori che di questo “Ti amo, o mio Dio”, hanno scritto pagine immense, preferendo testi moderni imbevuti di frasi che non convertono.

Nel saggio Lutero e la salvezza dell’anima — riporta sempre P. Coggi nel suo Ripensando Lutero, dopo aver ribadito che “Il vero motivo dell’abbandono della Chiesa cattolica da parte di Lutero non sta […] nella grave crisi morale e anche, se vogliamo, dottrinale, che travagliava il cattolicesimo dell’epoca del Rinascimento, e neppure nella scarsa conoscenza che Lutero avrebbe avuto della genuina dottrina cattolica”, — l’autore sottolinea come molto spesso non sia stato tenuto nella dovuta considerazione l’aspetto del temperamento e della costituzione psichica dell’eretico di Eisleben.

Così, molto opportunamente, riporta questo giudizio del teologo luterano Gerhard Ebeling: «Lutero appare una personalità prevalentemente ciclotimica, di costituzione picnica e di una scala alternante nell’umore fra gli stadi iper e ipotimici, combinata in pari tempo con una costituzione stenica degli impulsi».

Commenta padre Coggi: «Questo referto medico, per chi sa leggerlo, è notevolmente preoccupante» (pag 66). E aggiunge: «Lutero è irremovibile nella sua idea. Egli scrive nel 1522: “Io non ammetto che la mia dottrina possa venire giudicata da alcuno, neanche dagli angeli. Chi non riceve la mia dottrina non può giungere alla salvezza”» (pag. 73).

Non è necessario commentare ulteriormente quella frase. Ce ne sono moltissime altre del sedicente “riformatore” contro la Messa, contro il Papato, contro i Sacramenti. Come del resto ha già fatto rilevare la storica Angela Pellicciari in un suo recente articolo, a conferma di ciò che scriviamo.

Comunque la pensiate, noi alziamo, come si suol dire, la “posta in gioco” e sosteniamo che, il 1° novembre 2016, Lutero sarà in qualche modo “canonizzato” da parte di papa Francesco (vedi qui). Nella cover dell’articolo, vi riproponiamo un’immagine che spiega come – quanto a queste previsioni di “canonizzazione” – non siamo affatto lontani.


Note

  1. Ripensando Lutero, di Padre Roberto Coggi O.P.
  2. Rapporto sulla fede, Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger





EDITORIALE
Papa in aereo
 

Ieri sui giornali di tutto il mondo titoli sulle dichiarazioni del Papa sui gay nella conferenza stampa al ritorno dall'Armenia. Una risposta approssimativa a una domanda tendenziosa e il gioco è fatto. Ancora una volta all'opinione pubblica viene data l'immagine del "Papa rivoluzionario" e ai fedeli motivo per disorientarsi. 

di Riccardo Cascioli

Adesso appare proprio inutile cercare di rileggere la risposta del Papa, provare a spiegare che dalla risposta – per quanto confusa - si capisce che parla delle persone con tendenza omosessuale e non del movimento gay, che parla di pastorale e di accompagnamento e non di rivendicazioni politiche; che nel fare riferimento al catechismo si può immaginare che intenda tutto quello che il catechismo dice in materia. È assolutamente inutile, perché il messaggio - frutto dellaconferenza stampa sull'aereo di ritorno dall'Armenia - è già passato su tutti i media internazionali: «Il Papa: la Chiesa si scusi con i gay». 

Potremmo stare qui a discutere giorni, non cambierebbe la storia: anche chi solo si è distrattamente imbattuto in un giornale, in un sito web di informazione, in un notiziario radio e tv, ha già recepito e digerito il messaggio: la Chiesa si è sempre comportata male con i gay e ora deve chiedere scusa (il che, tradotto nel linguaggio mondano, significa assecondare tutte le richieste del movimento gay). 

Purtroppo siamo davanti al solito corto circuito comunicativo frutto di conferenze stampa “senza rete”, ovvero senza avere le domande in anticipo in modo da preparare le risposte. Anche questo sembra inutile ripeterlo, visto che ormai è successo tante volte che non si può onestamente attribuire questi incidenti al caso. Fatalmente in conferenze stampa di questo genere, a domande impegnative che magari richiederebbero risposte ponderate e precise nei termini, arrivano invece risposte approssimative e spesso confuse, tipiche di una chiacchierata colloquiale: gioia per i giornali che hanno assicurato un titolo ad effetto, motivo di disorientamento e confusione per i normali fedeli. 

Non solo le scuse ai gay, nel viaggio di ritorno dall’Armenia un altro punto fortemente critico è venuto dalla risposta su Lutero, presentato come «un riformatore» che forse ha sbagliato un po’ nei modi ma che in fondo aveva anche ragione su tante cose. In particolare, ha detto il Papa, «oggi luterani e cattolici, con tutti i protestanti, siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato». In realtà la questione è più complessa, la dichiarazione comune luterani-cattolici del 1999 non ha affatto risolto tutti i problemi legati alla dottrina della giustificazione. Ma certo sono questioni difficili da spiegare in due battute rispondendo a un giornalista che chiede se non sia arrivata l’ora di riabilitare Martin Lutero (clicca qui per un primo affronto dei problemi legati alla dottrina della giustificazione).

Stessa cosa per quel che riguarda la storia delle scuse ai gay. La giornalista americana chiede se ha ragione il cardinale Marx (uno dei 9 cardinali che affianca il papa nella riforma della Curia) a dire che «la Chiesa cattolica deve chiedere scusa alla comunità gay per aver marginalizzato queste persone» e se la strage di Orlando non sia da attribuire anche all’odio alimentato dalla comunità cristiana. 

Avrà letto il Papa ciò che il cardinale Marx ha detto la scorsa settimana a Dublino in occasione di una conferenza? Probabilmente no, così pare dalla risposta che infatti parte con il ricordare la prima conferenza stampa, quella del famoso “chi sono io per giudicare?”. Non c’entrava molto con le dichiarazioni di Marx che non solo ha detto che la Chiesa deve chiedere scusa, ma che è parte delle scuse riconoscere la positività delle unioni omosessuali, discorso già fatto nel Sinodo 2014 scandalizzando – lo ha detto lui – diversi confratelli (clicca qui). Né si può dire che il cardinale Marx sia isolato in questa visione, anche in Italia abbiamo visto sostenere posizioni analoghe ai massimi livelli ecclesiastici, come più volte abbiamo scritto. 

Non possiamo certo pensare che il Papa condivida questo approccio, che sarebbe l’esatto opposto non solo del catechismo ma anche di quanto diverse volte detto dallo stesso papa Francesco a proposito dell’ideologia gender. 

Bisogna dire invece una volta per tutte che a questi monsignori non sta tanto a cuore il destino delle persone con tali tendenze quanto la legittimazione dell’omosessualità. Altrimenti penserebbero a chiedere scusa, casomai, per le persone omosessuali che vengono ignorate nel loro bisogno di sanare la ferita all’origine della loro tendenza, e vengono invece spinte a persistere in comportamenti contro natura.

Sta di fatto che, a prescindere dalle intenzioni di papa Francesco, in un momento in cui tanti vescovi e sacerdoti sono sotto tiro per annunciare con chiarezza la verità sulla sessualità umana e sui rapporti uomo-donna, l’opinione pubblica è portata a pensare che il Papa sia contro di loro. Non c'è dubbio che ad alcuni in Vaticano questo faccia comodo, ma se c’è qualcuno tra i suoi collaboratori che vuole davvero bene a papa Francesco, che almeno lo renda consapevole.



IL CARD. SIRI: IN CONCILIO CI FU IL PERICOLO DI UNA CANONIZZAZIONE DI LUTERO, PAOLO VI NE EBBE PAURA

Il card. Siri: in Concilio ci fu il pericolo di una canonizzazione di Lutero, Paolo VI ne ebbe paura

«Che qualcuno sia venuto in Concilio con l’intenzione di portarlo a Lutero, cioè via la Tradizione divina e via il primato di Pietro, questo è verissimo, tanto che ad un certo punto si è avuto il pericolo, con quanta base non so, che qualcuno potesse proporre la canonizzazione di Lutero. E dicono che Paolo VI abbia avuto paura di questo». 

Testimonianza del cardinale Giuseppe Siri in Il Papa non eletto, di Benny Lai, p.233




Caterina63
00venerdì 1 luglio 2016 12:19

Comunione per tutti, anche per i protestanti


Oltre che per i divorziati risposati, anche per i seguaci di Lutero c'è chi dà il via libera all'eucaristia. Ecco come "La Civiltà Cattolica" interpreta le enigmatiche parole del papa in materia di intercomunione 

di Sandro Magister



ROMA, 1 luglio 2016 – A modo suo, dopo aver incoraggiato per i divorziati risposati la comunione, in quanto "non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli", papa Francesco incoraggia ora anche i protestanti e i cattolici a fare la comunione insieme nelle rispettive messe.

Lo fa, come sempre, in modo discorsivo, allusivo, non definitorio, rimettendo la decisione ultima alla coscienza dei singoli.

Resta emblematica la risposta che diede il 15 novembre 2015, in visita nella Christuskirche, la chiesa dei luterani di Roma (vedi foto), a una protestante che gli chiedeva se poteva fare la comunione assieme al marito cattolico.

La risposta di Francesco fu una stupefacente girandola di sì, no, non so, fate voi. Che è indispensabile rileggere per intero, nella trascrizione ufficiale:

"Grazie, Signora. Alla domanda sul condividere la Cena del Signore non è facile per me risponderLe, soprattutto davanti a un teologo come il cardinale Kasper! Ho paura! Io penso che il Signore ci ha detto quando ha dato questo mandato: 'Fate questo in memoria di me'. E quando condividiamo la Cena del Signore, ricordiamo e imitiamo, facciamo la stessa cosa che ha fatto il Signore Gesù. E la Cena del Signore ci sarà, il banchetto finale nella Nuova Gerusalemme ci sarà, ma questa sarà l’ultima. Invece nel cammino, mi domando – e non so come rispondere, ma la sua domanda la faccio mia - io mi domando: condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme? Lascio la domanda ai teologi, a quelli che capiscono. È vero che in un certo senso condividere è dire che non ci sono differenze fra noi, che abbiamo la stessa dottrina – sottolineo la parola, parola difficile da capire – ma io mi domando: ma non abbiamo lo stesso Battesimo? E se abbiamo lo stesso Battesimo dobbiamo camminare insieme. Lei è una testimonianza di un cammino anche profondo perché è un cammino coniugale, un cammino proprio di famiglia, di amore umano e di fede condivisa. Abbiamo lo stesso Battesimo. Quando Lei si sente peccatrice – anche io mi sento tanto peccatore – quando suo marito si sente peccatore, Lei va davanti al Signore e chiede perdono; Suo marito fa lo stesso e va dal sacerdote e chiede l’assoluzione. Sono rimedi per mantenere vivo il Battesimo. Quando voi pregate insieme, quel Battesimo cresce, diventa forte; quando voi insegnate ai vostri figli chi è Gesù, perché è venuto Gesù, cosa ci ha fatto Gesù, fate lo stesso, sia in lingua luterana che in lingua cattolica, ma è lo stesso. La domanda: e la Cena? Ci sono domande alle quali soltanto se uno è sincero con sé stesso e con le poche luci teologiche che io ho, si deve rispondere lo stesso, vedete voi. 'Questo è il mio Corpo, questo è il mio sangue', ha detto il Signore, 'fate questo in memoria di me', e questo è un viatico che ci aiuta a camminare. Io ho avuto una grande amicizia con un vescovo episcopaliano, 48enne, sposato, due figli e lui aveva questa inquietudine: la moglie cattolica, i figli cattolici, lui vescovo. Lui accompagnava la domenica sua moglie e i suoi figli alla Messa e poi andava a fare il culto con la sua comunità. Era un passo di partecipazione alla Cena del Signore. Poi lui è andato avanti, il Signore lo ha chiamato, un uomo giusto. Alla sua domanda Le rispondo soltanto con una domanda: come posso fare con mio marito, perché la Cena del Signore mi accompagni nella mia strada? È un problema a cui ognuno deve rispondere. Ma mi diceva un pastore amico: 'Noi crediamo che il Signore è presente lì. È presente. Voi credete che il Signore è presente. E qual è la differenza?' – 'Eh, sono le spiegazioni, le interpretazioni…'. La vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni. Sempre fate riferimento al Battesimo: 'Una fede, un battesimo, un Signore', così ci dice Paolo, e di là prendete le conseguenze. Io non oserò mai dare permesso di fare questo perché non è mia competenza. Un Battesimo, un Signore, una fede. Parlate col Signore e andate avanti. Non oso dire di più".

Impossibile ricavare da queste parole un'indicazione chiara. Di certo, però, parlando in forma così "liquida", papa Francesco ha rimesso tutto in discussione, riguardo all'intercomunione tra cattolici e protestanti. Ha reso qualsiasi posizione opinabile e quindi praticabile.

Infatti, in campo luterano le parole del papa furono subito prese come un via libera all'intercomunione.

Ma ora anche in campo cattolico è arrivata una presa di posizione analoga, che soprattutto si presenta come interpretazione autentica delle parole dette da Francesco nella chiesa luterana di Roma.

A far da interprete autorizzato del papa è il gesuita Giancarlo Pani, sull'ultimo numero de "La Civiltà Cattolica", la rivista diretta da padre Antonio Spadaro che è ormai diventata la voce ufficiale di Casa Santa Marta, cioè di Jorge Mario Bergoglio in persona, che rivede e concorda gli articoli che più gli interessano, prima della loro pubblicazione.

Prendendo spunto da una recente dichiarazione congiunta della conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti e della Chiesa evangelica luterana d'America, padre Pani dedica l'intera seconda parte del suo articolo all'esegesi delle parole di Francesco nella Christuskirche di Roma, accortamente selezionate tra le più funzionali allo scopo.

E ne trae la conclusione che esse hanno segnato "un cambiamento"  e "un progresso nella prassi pastorale", analogo a quello prodotto da "Amoris laetitia" per i divorziati risposati.

Sono solo "piccoli passi avanti", scrive Pani nel paragrafo finale. Ma la direzione è segnata.

Ed è la stessa che Francesco percorre quando dichiara – come ha fatto durante il volo di ritorno dall'Armenia – che Lutero "era un riformatore" benintenzionato e la sua riforma fu "una medicina per la Chiesa", sorvolando sulle divergenze dogmatiche essenziali tra protestanti e cattolici riguardo al sacramento dell'eucaristia, perché – parola di Francesco nella Christuskirche di Roma – "la vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni".

Ecco dunque qui di seguito i passaggi principali dell'articolo di padre Pani su "La Civiltà Cattolica".

__________



Sull'intercomunione tra cattolici e protestanti

di Giancarlo Pani S.I.


Il 31 ottobre 2015, festa della Riforma, la Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti e la Chiesa evangelica luterana in America hanno pubblicato una dichiarazione congiunta che fa il punto sulla storia dell’ecumenismo nell’ultimo mezzo secolo. […] Il testo è stato reso noto dopo la chiusura del Sinodo dei vescovi sulla famiglia e in vista della commemorazione comune dei 500 anni della Riforma nel 2017. […]

Il documento si conclude con una rilevante proposta positiva: "La possibilità di un’ammissione, sia pure sporadica, dei membri delle nostre Chiese alla comunione eucaristica con l’altra parte (cioè la 'communicatio in sacris') potrebbe essere offerta più chiaramente e regolata in modo più misericordioso (compassionately)". […]


La visita di papa Francesco alla Christuskirche di Roma


Due settimane dopo la promulgazione della dichiarazione, il 15 novembre scorso, papa Francesco ha visitato la Christuskirche, la Chiesa evangelica luterana di Roma. […]

Durante l’incontro, c’è stata anche una conversazione fra il papa e i fedeli. Tra i vari interventi, quello di una signora luterana, sposata con un cattolico, la quale ha chiesto che cosa possa fare perché lei partecipi insieme con il marito alla comunione eucaristica. E ha specificato: "Viviamo felicemente insieme da molti anni condividendo gioie e dolori. E quindi ci duole assai l’essere divisi nella fede e non poter partecipare insieme alla Cena del Signore".

Rispondendo, papa Francesco ha posto una domanda: "Condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme?".

La risposta a questa domanda l’ha data il Vaticano II, nel decreto "Unitatis redintegratio": "Non è lecito considerare la 'communicatio in sacris' come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per ristabilire l’unità dei cristiani. Tale 'communicatio in sacris' è regolata soprattutto da due princìpi: dalla manifestazione dell’unità della Chiesa, e dalla partecipazione ai mezzi della grazia. Essa è per lo più impedita dal punto di vista dell’espressione dell’unità; la necessità di partecipare la grazia talvolta la raccomanda. Circa il modo concreto di agire, avuto riguardo a tutte le circostanze di tempo, di luogo, di persone, decida prudentemente l’autorità episcopale del luogo".

Questa posizione è ribadita e ampliata dal direttorio per l’applicazione dei princìpi e delle norme sull’ecumenismo del 1993, approvato da papa Giovanni Paolo II, là dove si dice: "La condivisione delle attività e delle risorse spirituali deve riflettere questa duplice realtà: 1) la reale comunione nella vita dello Spirito che già esiste tra i cristiani e che si esprime nella loro preghiera e nel culto liturgico; 2) il carattere incompleto di tale comunione a motivo di differenze di fede e a causa di modi di pensare che sono inconciliabili con una condivisione piena dei doni spirituali".

Il direttorio pone dunque l’accento sul "carattere incompleto della comunione" delle Chiese, da cui segue la limitazione dell’accesso al sacramento eucaristico. Ma se le Chiese si riconoscono nella successione apostolica e ammettono i reciproci ministeri e sacramenti, godono di un maggior accesso ai sacramenti stessi, che, in ogni caso, secondo il documento, non deve essere massivo e indiscriminato. La condivisione sacramentale rimane invece limitata per le Chiese che non hanno una comunione e unità di fede sulla Chiesa, l’apostolicità, i ministeri e i sacramenti.

Tuttavia la teologia cattolica mantiene con sapienza direttive di ampio respiro, in modo da considerare caso per caso – come ricorda il decreto "Unitatis redintegratio" – con un discernimento che compete all’ordinario del luogo. In tal senso, almeno dopo la promulgazione del direttorio, non si può più dire che "i non cattolici non possono mai ricevere la comunione in una celebrazione eucaristica cattolica". È interessante notare come la stessa logica di "discernimento pastorale" sia stata applicata da papa Francesco nella sua esortazione apostolica "Amoris laetitia" (nn. 304-306).


Si può partecipare insieme alla Cena del Signore?


A questo punto si ricollega papa Francesco, il quale prosegue: "Ma non abbiamo lo stesso battesimo? E se abbiamo lo stesso battesimo, dobbiamo camminare insieme. Lei [il papa si riferisce alla signora che aveva posto la domanda] è una testimonianza di un cammino anche profondo, perché è un cammino coniugale, un cammino proprio di famiglia, di amore umano e di fede condivisa. [...] Quando lei si sente peccatrice – anch’io mi sento tanto peccatore –, quando suo marito si sente peccatore, lei va davanti al Signore e chiede perdono; Suo marito fa lo stesso e va dal sacerdote e chiede l’assoluzione. Sono rimedi per mantenere vivo il battesimo. Quando voi pregate insieme, quel battesimo cresce, diventa forte. [...] La domanda: e la Cena? Ci sono domande alle quali, soltanto se uno è sincero con se stesso e con le poche luci teologiche che io ho, si deve rispondere lo stesso [...]. 'Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue', ha detto il Signore; 'fate questo in memoria di me', e questo è un viatico che ci aiuta a camminare".

Ma allora si può partecipare insieme alla Cena del Signore? A questo proposito il papa ha fatto una distinzione: "Io non oserò mai dare il permesso di fare questo, perché non è mia competenza". Poi ha aggiunto, ricordando le parole dell’apostolo Paolo: "Un battesimo, un Signore, una fede" (Ef 4, 5), e ha esortato, continuando: "È un problema a cui ognuno deve rispondere. [...] Parlate col Signore e andate avanti".

Qui entra in gioco la missione principale della Chiesa, formulata anche nel Codice di diritto canonico come "salus animarum, quae in Ecclesia suprema lex esse debet" (cfr. 1752). La necessità di una valutazione concreta su ciascun singolo caso è assolutamente ribadita da quella che è la missione precipua della Chiesa, la "salus animarum". In forza di ciò, di fronte a casi estremi, l’accesso alla vita di grazia che i sacramenti garantiscono, soprattutto nel caso dell’amministrazione della eucaristia e della riconciliazione, diviene imperativo pastorale e morale.


La pastorale di papa Francesco


La presa di posizione del papa sembra una riaffermazione delle direttive del Vaticano II. Ma non sfugge che un cambiamento c’è, e anzi può essere inteso come un progresso nella prassi pastorale. Di fatto Francesco, come vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale, ribadendo quanto affermato dal Concilio inserisce quella prassi nel cammino storico che il dialogo luterano-cattolico ha compiuto nei confronti del sacramento della riconciliazione e dell’eucaristia. Il direttorio del 1993 già notava che "in certe circostanze, in via eccezionale e a determinate condizioni, l’ammissione a questi sacramenti può essere autorizzata e perfino raccomandata a cristiani di altre Chiese e comunità ecclesiali".

Del resto, dieci anni prima, il Codice di diritto canonico dettava le condizioni in cui i fedeli delle Chiese nate dalla Riforma (luterani, anglicani ecc.) possono ricevere i sacramenti in particolari circostanze: per esempio, "se non possono accedere al ministro della propria comunità e li chiedano spontaneamente, purché manifestino, circa questi sacramenti, la fede cattolica e siano ben disposti" (can. 844 § 4).

Papa Giovanni Paolo II, nella lettera enciclica "Ecclesia de eucharistia", del 2003, ha precisato alcuni punti al riguardo, asserendo che "occorre badare bene a queste condizioni, che sono inderogabili, pur trattandosi di casi particolari determinati", come quella del "pericolo di morte o altra grave necessità". L’intento di queste precisazioni è sempre la cura pastorale delle persone, con una specifica attenzione a che questo non porti all’indifferentismo.

Qui occorre mettere in chiaro che, se da un lato le misure prudenziali e restrittive che la Chiesa ha posto in passato si basavano sulla teologia sacramentale, dall’altro la sua missione pastorale e la salvezza delle anime che essa ha a cuore rivelano il valore della grazia del Signore e la condivisione dei beni spirituali. Papa Francesco ha espresso particolare attenzione ai problemi della persona nella "communicatio in sacris", alla luce degli sviluppi dell’insegnamento della Chiesa dal Concilio al direttorio del 1993 sui princìpi e norme dell’ecumenismo, dalla dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione del 1999 al testo "Dal conflitto alla comunione" del 2013, fino all’ultima dichiarazione del 2015.

Si tratta di piccoli passi avanti nella prassi pastorale. La norma e la dottrina devono essere sempre più guidate dalla logica evangelica e dalla misericordia, dalla cura pastorale dei fedeli, dall’attenzione ai problemi della persona e dalla valorizzazione della coscienza illuminata dal Vangelo e dallo Spirito di Dio.

__________


Il link all'articolo di padre Giancarlo Pani su "La Civiltà Cattolica" del 9 luglio 2016:

> Cattolici e luterani. L’ecumenismo nell’"Ecclesia semper reformanda"

La dichiarazione comune della conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti e della Chiesa evangelica luterana d'America citata da Pani:

> Declaration on the Way: Church, Ministry and Eucharist

__________


Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

28.6.2016
> Joseph Ratzinger 65 anni dopo
"E così sul sacerdozio cattolico si abbatté la furia della critica protestante". Nell'anniversario dell'ordinazione sacerdotale del futuro Benedetto XVI, il cardinale Müller racconta la sua indomita resistenza all'offensiva dei seguaci di Lutero

24.6.2016
> "Genocidio", la parola che Francesco ha voluto ridire. In Armenia
L'ha ridetta, a sorpresa, nel palazzo presidenziale di Yerevan, nel primo dei discorsi del suo viaggio. Distaccandosi dal testo scritto, che la taceva

24.6.2016
> "Genocidio", la parola che Francesco non vuole più dire
L'ha tolta dal suo vocabolario alla vigilia del viaggio in Armenia. Eppure in passato l'ha usata più volte, anche per lo sterminio compiuto dai turchi un secolo fa. Ecco perché ha deciso di cancellarla

__________


Per altre notizie e commenti vedi il blog che Sandro Magister cura per i lettori di lingua italiana:

> SETTIMO CIELO

Ultimi tre titoli:

"Opera omnia" del papa emerito. L'ultima delle sue. Anzi, la penultima

Francesco con l'Armenia contro la Turchia. Ma non è mai detta l'ultima parola

Soccorso armato in Libia. La proposta de "L'Osservatore Romano"

 



__________
1.7.2016

e si dica ADDIO anche l'enciclica Ecclesia de Eucharistia di Giovanni Paolo II dove vietava proprio decisioni come queste: 

45. Se in nessun caso è legittima la concelebrazione in mancanza della piena comunione, non accade lo stesso rispetto all'amministrazione dell'Eucaristia, in circostanze speciali, a singole persone appartenenti a Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica. In questo caso, infatti, l'obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l'eterna salvezza di singoli fedeli, non di realizzare una intercomunione, impossibile fintanto che non siano appieno annodati i legami visibili della comunione ecclesiale



_____________________________________

<header class="entry-header">

Comunione per tutti, profanazione senza vergogna

</header>

I gesuiti vogliano dare la Comunione a tutti perché sono convinti che Gesù e la sua Chiesa appartengano a loro.

L’inquietante articolo di Sandro Magister (vedi qui) ci offre l’occasione per riflettere su questa grave situazione, di cui parlammo in questi editoriali:

Questa volta ad imbrigliare ancora di più la matassa, non è direttamente il Papa, ma i suoi collaboratori – tutto in famiglia! –, cioè i gesuiti de La Civiltà Cattolica.

Per chi fosse digiuno di storia, ricordiamo che La Civiltà Cattolica è la più antica delle riviste cattoliche esistente, fondata a Napoli nel 1850 e diretta interamente dai gesuiti. Divenuta da subito organo ufficiale della “voce del Papa” prima che nascesseL’Osservatore Romano, è sempre stata la rivista che spiegava i documenti papali e la politica del Vaticano. Tutti i Pontefici si sono serviti di questa rivista per le proprie pubblicazioni, supervisionando tutto ciò che veniva proposto alla pubblicazione e, dopo attente letture e valutazioni, stabilivano cosa e come andasse stampato.

P. Pedro Arrupe (destra) con il giovane P. Jorge Bergoglio.
Padre Pedro Arrupe (destra) con il giovane padre Jorge Mario Bergoglio (sinistra).

Oggi, inutile negarlo, la Chiesa è sottoposta ad una revisione-dittatoriale gesuitica. Non soltanto gli organi ufficiali di radio, stampa, comunicazioni, sono in mano ai gesuiti, ma lo è anche il Papa il quale non fa eccezione alla regola di Pedro Arrupe: nessun gesuita può fare a meno del confratello. Una mano lava l’altra, e tutte e due lavano il viso.

In passato abbiamo avuto Pontefici francescani, domenicani, carmelitani, benedettini, ma nessuno di loro, come in questo oggi, ha mai piegato la Chiesa al proprio Ordine.

Non stiamo assistendo ad una sagra cinematografica: ci troviamo davanti ad un problema serio nel quale, è bene chiarirlo subito, l’Eucaristia non è affatto un diritto.

Per dimostrare che l’Eucaristia sarebbe un “diritto-uguaglianza”, Papa Francesco disse: “Quando, tanti anni fa – cento anni fa, o di più – il Papa Pio X disse che si doveva dare la comunione ai bambini, tanti si sono scandalizzati. «Ma quel bambino non capisce, è diverso, non capisce bene…». «Date la comunione ai bambini», ha detto il Papa, e ha fatto di una diversità una uguaglianza, perché lui sapeva che il bambino capisce in un altro modo. Quando ci sono diversità fra noi, si capisce in un altro modo” (vedi qui).

Questo è ciò si vuole passare, storpiando grossolanamente i fatti, perché le cose non stanno così. San Pio X non intendeva fare “di una diversità un’uguaglianza”. Con il Decreto Quam singulari Christus amore si spiegava perché, la SS. Eucaristia, che fin dai primi secoli veniva data ai bambini, poi fu vietata al IV Concilio Lateranense ed oggi, con Pio X ridata ai bambini. Così spiega il Decreto:

“Tal costume in appresso venne a cessare nella Chiesa latina, e si cominciò a non ammettere i fanciulli alla sacra mensa se non quando avessero qualche uso incipiente di ragione e una proporzionata cognizione dell’augusto Sacramento. La qual nuova disciplina, già ammessa da alcuni Sinodi particolari, fu confermato solennemente dal Concilio Lateranense IV, l’anno 1215, col celebre canone XXI, che prescrive ai fedeli, non appena giunti all’età della ragione, la Confessione sacramentale e la Santa Comunione, con queste parole: «Ogni fedele dell’uno e dell’altro sesso, giunto all’età della discrezione, confessi da solo e fedelmente tutti i suoi peccati, almeno una volta l’anno, al suo sacerdote, e procuri di adempiere secondo le forze la penitenza ingiuntagli, ricevendo riverentemente, almeno alla Pasqua, il sacramento dell’Eucaristia, salvo che per consiglio del suo sacerdote o per qualche ragionevole motivo credesse doversene temporaneamente astenere».

Il Concilio di Trento (Sess. XXI, De Communione, cap.4), senza punto riprovare l’antica disciplina di amministrare l’Eucaristia ai bambini prima che abbian raggiunto l’uso della ragione, confermò il decreto Lateranense e pronunciò anatema contro chiunque la pensasse altrimenti: «Chi negasse che tutti e singoli i cristiani fedeli dell’uno e dell’altro sesso, giunti all’età della discrezione, siano obbligati ogni anno, almeno nella Pasqua a comunicarsi, secondo il precetto della Santa Madre Chiesa, sia “anatema”» (Sess. XIII, De Eucharistia, cap.8, can.9)”.

Questo excursus ci è utile per comprendere che è un falso parlare di diritto e diuguaglianze; la preoccupazione dei Padri della Chiesa era quello di aiutare – uomini e donne, eccola la vera uguaglianza dei diritti, dell’uno e dell’altro sesso – a comprendere che per ricevere l’Eucaristia bisogna essere in stato di grazia, ossia confessati e liberati, in quel momento, da ogni grave peccato. Punto!

Immaginetta di San Pio X
Immaginetta di San Pio X

Non ci sono divieti o imposizioni; il divieto accompagnato dall’anatema anche al concilio di Trento riguarda non l’età in sé ma la comprensione dello stato di peccato. San Pio X superò questo ostacolo ricorrendo semplicemente al fatto che i bambini non hanno ancora maturato la malizia che è già, piuttosto, in crescita in età adolescenziale e sono più docili, quando ben preparati, ad accogliere il Mistero.

Il punto era “quale è l’età giusta della discrezione”? San Pio X, che era stato per anni parroco, conosceva bene la situazione dei bambini e ben sapeva che, seppure nell’innocenza del loro stato, essi parevano comprendere l’importanza dell’amare Dio e il desiderio di riceverlo nell’Eucaristia. Non si può comprendere l’Eucaristia “in altro modo” che quello insegnato dalla Chiesae non si può riceverla se non con le stesse intenzioni insegnate dalla Chiesa. Diversamente a ciò si parlerebbe di “profanazione”, di abuso.

La motivazione di San Pio X era questa:

«E sebbene la prima Comunione suole esser preceduta da più diligente istruzione e da un’accurata confessione sacramentale, ciò che veramente non si pratica da per tutto, è sempre tuttavia dolorosa la perdita della prima innocenza, perdita che forse sarebbe potuta evitarsi, se si fosse in età più tenera ricevuta l’Eucaristia… Son questi i danni recati da coloro che insistono oltre il dovere nell’esigere preparazioni straordinarie alla prima Comunione senza accorgersi forse che siffatte cautele provengono dagli errori dei Giansenisti, i quali sostengono essere la SS.ma Eucaristia un premio, non un farmaco all’umana fralezza. Ma ben altrimenti la intese il Concilio di Trento, quando insegnò che essa “è un antidoto per liberarci dalle colpe quotidiane e preservarci dai peccati mortali”».

E non senza le clausole. Eccone due imponenti:

  1. L’età della discrezione tanto per la Confessione quanto per la Comunione è quella in cui il fanciullo comincia a ragionare, cioè verso il settimo anno, sia al di sopra di esso, sia anche al di sotto. Da questo momento comincia l’obbligo di soddisfare all’uno e all’altro precetto della Confessione e della Comunione.
  2. Per la prima Confessione e per la prima Comunione non è necessaria una piena e perfetta cognizione della dottrina cristiana. Però il fanciullo dovrà in seguito venire imparando il catechismo intero, in modo proporzionato alle forze della sua intelligenza.

Orbene, l’Eucaristia non è un premio, ma farmaco che prevede la medicina della Confessione e dell’assoluzione dei peccati, dunque il riconoscimento del proprio peccato e abbandonarlo. E poiché si ricade spesso, quest’Eucaristia è il farmaco che solo un malato, intento a debellare il proprio male – confessione, pentimento e la dovuta penitenza –, può ricevere.

Veniamo così alla questione dell’inter-comunione con i protestanti. Essi non accettano la Confessione, non riconoscono gli altri Sacramenti, non riconoscono il sacerdozio ordinato ma solo comune dei fedeli; soprattutto sostengono che non c’è la Transustanziazione nella Consacrazione, ma una presenza “spirituale” di Gesù. Dunque, di cosa stiamo parlando? Di quali diritti? Questa è profanazione senza pudore, senza vergogna.

Sono almeno quarant’anni che, da frange sincretiste protestanti e cattoliche, si pretende l’inter-comunione, ossia, la pretesa di ricevere l’Eucaristia almeno negli incontri ecumenici. Fu proprio san Giovanni Paolo II a sbarrare questa strada, proprio nella sua ultima enciclica, dedicata all’Eucaristia. Denunciò duramente questi abusi, scrivendo:

«Se in nessun caso è legittima la concelebrazione in mancanza della piena comunione, non accade lo stesso rispetto all’amministrazione dell’Eucaristia, in circostanze speciali, a singole persone appartenenti a Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica. In questo caso, infatti,l’obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza di singoli fedeli, non di realizzare una inter-comunione, impossibile fintanto che non siano appieno annodati i legami visibili della comunione ecclesiale» (Ecclesia de Eucharistia, n. 45).

La Comunione ai protestanti – e con loro – è perciò impossibile e il motivo non è un’intollerabile o dittatoriale disuguaglianza! Ma è un diritto divino che, nella situazione in cui sono i protestanti, questo diritto è stato rigettato e rinnegato con la loro apostasia ed eresia.

Giovanni Paolo II e Pedro Arrupe.
Giovanni Paolo II e Pedro Arrupe.

Pochi conoscono la battaglia che Giovanni Paolo II, novello romano pontefice, dovette affrontare con il generale dei gesuiti, il già menzionato Pedro Arrupe, proprio riguardo la disobbedienza – l’insubordinazione, per usare un termine militare – dei soldati della Compagnia.

«Voi create confusione nel popolo cristiano», si lamentò il Pontefice in un messaggio del settembre del 1979 al “papa nero” dell’epoca. «E ansia alla Chiesa e anche personalmente al papa che vi sta parlando». Elencò poi le pecche dei gesuiti, parlò della loro «eterodossia dottrinale» e chiese loro di «ritornare al magistero supremo della Chiesa e del pontefice romano». Non avrebbe potuto tollerare oltre, disse, le loro deviazioni… (1)

Purtroppo Giovanni Paolo II dovette subire e tollerare, suo malgrado, per altre questioni di politica pastorale o, se preferite la verità, di politically correct, il politicamente corretto, la prepotenza gesuitica che avanzava inesorabilmente coi suoi dottori quali il francese Pierre Teilhard de Chardin, il tedesco Karl Rahner ed altri, con la loro “chiesa del popolo”, sviluppo autocefalo della teologia della liberazione.

Una rara foto dellallora padre Bergoglio.
Una rara foto dell’allora padre Bergoglio.

Ecco, l’allora padre Bergoglio si caratterizzava per questa differenza: lui era contro la teologia della liberazione, ma per incarnare quella del popolo; qui sta questa deviazione dell’uguaglianza anche dei Sacramenti, e dei Sacramenti intesi come dei diritti che chiunque può ricevere, indipendentemente dallo stato di peccato in cui ci si trova.

Giovanni Paolo II era ben lontano dal comprendere la gravità di queste ulteriori derive, ma almeno mise questi paletti anche se oggi, come stiamo assistendo, le sue encicliche vengono fatte a brandelli e, nella Chiesa, si fa quello che viene scritto ne La Civiltà Cattolica, organo non più “voce del papa”, ma gazzettino dei gesuiti modernisti che hanno preso il potere nella Gerarchia.




Segnalo che sulla mia pagina di Facebook mi hanno fatto notare che nel sito Vaticano c'è il testo del settembre 1979 in cui Giovanni Paolo II dice espressioni diverse dalla didascalia dell'immagine, ve lo segnalo per correttezza:

"Dalle informazioni che da ogni parte del mondo mi pervengono, conosco il grande bene che operano tanti religiosi gesuiti con la loro vita esemplare, col loro zelo apostolico, con la loro sincera e incondizionata fedeltà al Romano Pontefice. Certamente non ignoro – e così rilevo anche da non poche altre informazioni – che la crisi, la quale in questi ultimi tempi ha travagliato e travaglia la vita religiosa, non ha risparmiato la vostra Compagnia, causando disorientamento nel popolo cristiano, e preoccupazioni alla Chiesa, alla Gerarchia ed anche personalmente al Papa che vi parla...."

http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1979/september/documents/hf_jp-ii_spe_19790921_compagnia-gesu.html 

secondo me la sostanza non cambia, ma è bene avere sempre il testo ufficiale


  sulla questione della Giustificazione cliccate qui al messaggio n.21



<header>

Padre Cavalcoli: “Quando parla a braccio, papa Francesco crea pasticci”....

</header>

cavalcoli

” Perchè la Chiesa dovrebbe chiedere scusa ai gay?  Certe dichiarazioni del Papa sono imprudenti”. Lo afferma in questa intervista a Lafedequotidiana il noto teologo domenicano padre Giovanni Cavalcoli.

Padre Cavalcoli, il Papa dice che la  Chiesa deve chiedere perdono anche ai gay, è d’accordo?

” No, non vedo perché. Il problema è complesso. Il Papa è il Vicario di Cristo sulla terra per  i cattolici, progressisti e conservatori,  va rispettato. Però, con altrettanta franchezza dico che sta perdendo colpi, ha delle uscite, come questa sui gay,  poco spiegabili, che turbano o per lo meno sconcertano”.

E allora?

” Penso che il Papa volesse dire un’altra cosa, ammonire dal rischio di una condotta anche verbale troppo dura e senza misericordia verso i gay e questo è giusto, qualche volta è accaduto. Però avrebbe dovuto e potuto associare a quella affermazione una seconda parte nella quale ricordava la gravità morale del peccato di sodomia, vale a dire completare il discorso. Penso che egli sia carente nella virtù della prudenza, spesso ambiguo nelle sue affermazioni che possono essere interpretate in vari modi, parla troppo e a braccio, un male specialmente per uno che è non è padrone di  un ‘altra lingua. In certi casi è rozzo”.

 

Perché imprudente?

” Perché quando parla lui è impegnativo, le sue dichiarazioni non appartengono all’ uomo della strada o al parroco di campagna. A certi livelli è bene evitare la faciloneria, argomenti tanto delicati non si affrontano in cinque minuti di conferenza sull’ aereo che  non è Magistero e dunque è criticabile. Non vorrei essere nei panni del povero Padre Lombardi. Io ho lavorato nella Segreteria di Stato ed è una ricchezza stare a contatto col Papa. Le dico che Giovanni Paolo II faceva rivedere i discorsi, era umile e prudente. Bergoglio vuole fare tutto da solo, parla spesso a braccio fa e disfa come vuole e crea problemi, oltre alla difficoltà di interpretazione. Occorre  umiltà”.

E il successo mediatico?

” Anche qui  è complicato ed è un guaio per molti aspetti. Se gli atei, i comunisti e i massoni ti elogiano, mentre tanti cattolici, progressisti e non, hanno dubbi, qualche cosa non funziona, ma lui, Bergoglio, non se ne da per inteso. Tanti cattolici  sono preoccupati , ci sta del disorientamento. E qui non esiste il paragone ardito che spesso egli fa di Gesù che mangiava coi peccatori, Gesù parlava chiaro e diceva sì quando è sì, non quando è no. Indubbiamente non possiamo togliere a questo Papa il buono che ha, specie nella pastorale sociale, e non condivido le accuse di eresia, però  ci sono cose che non vanno e penso al linguaggio, alla imprudenza e alla faciloneria anche teologica in alcune circostanze. Non dovrebbe parlare a braccio e troppo, crea pasticci”.

Sodomia è peccato?

” Lo è. San Paolo  è chiaro. E’ un peccato mortale, roba da Catechismo  e chi è in peccato mortale se muore senza pentimento,  va all’ Inferno, è bene che anche preti e vescovi se lo mettano in testa e  noi sacerdoti dobbiamo dirlo costi quel che costi”.

Lutero fu davvero medicina per la Chiesa cattolica?

” Anche qui vale lo steso discorso. Poteva risparmiarsela, lo dico con filiale devozione e affetto”.

Chiede scusa ai gay?

” Perchè mai?”

Bruno Volpe






Caterina63
00martedì 12 luglio 2016 20:00
GRAZIE CARDINALE CAFFARRA  


<header id="testata">

Settimo Cielo di Sandro Magister

</header>
<header class="post-header">

Caffarra: "Schönborn sbaglia, e questo è ciò che vorrei dire al Santo Padre"

</header>

caffarra

Così inizia la folgorante intervista sulla "Amoris laetitia" del cardinale Carlo Caffarra alla studiosa tedesco-americana Maike Hickson, pubblicata l'11 luglio sul blog OnePeter5:

*

D. – Lei ha già parlato, in una recente intervista, dell'esortazione papale "Amoris laetitia" e ha detto che specialmente il capitolo 8 non è chiaro e ha già causato confusione anche tra i vescovi. Se lei avesse la possibilità di parlare di questo con papa Francesco, che cosa gli direbbe? Quale sarebbe il suo suggerimento su ciò che papa Francesco potrebbe e dovrebbe ora fare, visto che c'è tanta confusione?

R. – In "Amoris laetitia" [308] il Santo Padre Francesco scrive: “Capisco coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione”. Da queste parole deduco che anche Sua Santità si rendeva conto che l’insegnamento dell’esortazione poteva dare origine a confusioni nella Chiesa. Personalmente, e così pensano tanti miei fratelli in Cristo cardinali, vescovi, e fedeli laici, desidero che la confusione sia tolta, ma non perché preferisco una pastorale più rigida, ma perché semplicemente preferisco una pastorale più chiara, meno ambigua.

Ciò premesso, con tutto il rispetto, l’affetto, e la devozione che sento il bisogno di nutrire verso il Santo Padre, gli direi: Santità, chiarisca, per favore, questi punti:

a) Quanto Vostra Santità dice alla nota 351 ["In certi casi… anche l'aiuto dei sacramenti] del n. 305 è applicabile anche ai divorziati-risposati che intendono comunque continuare a vivere "more uxorio"? E pertanto quanto insegnato da "Familiaris consortio" n. 84, da "Reconciliatio et poenitentia" n. 34, da "Sacramenttum unitati" n. 29, dal Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1650 e dalla comune dottrina teologica, è da ritenersi abrogato?

b) L’insegnamento costante nella Chiesa ed ultimamente rinnovato da "Veritatis splendor" n. 79, che esistono norme morali negative che non ammettono eccezioni, in quanto proibiscono atti, quale per esempio l’adulterio, intrinsecamente disonesti, è da ritenersi vero anche dopo "Amoris laetitia"?

Questo direi al Santo Padre. E se poi il Santo Padre, nel suo sovrano giudizio, avesse intenzione di intervenire pubblicamente per togliere la confusione, ha a disposizione molti modi.

*

Ma naturalmente anche il seguito dell'intervista è tutto da leggere.

Ad esempio dove il cardinale Caffarra dice che si rivolgerebbe così a un fedele cattolico confuso sulla dottrina del matrimonio:

"Io semplicemente gli direi: Leggi e rifletti sul Catechismo della dottrina cattolica, ai numeri 1601-1666. E quando senti dei discorsi sul matrimonio – anche da parte di preti, vescovi, cardinali – e tu verifichi che non sono in conformità con il Catechismo, non dare ascolto ad essi. Sono dei ciechi che guidano dei ciechi".

Oppure dove definisce l'esercizio dell'omosessualità "intrinsecamente irrazionale e quindi disonesto", argomentando poi con cura questo giudizio tagliente, specie alla luce della "profetica" enciclica di Paolo VI "Humanae vitae".

Ma di grande interesse è anche la confutazione che Caffarra fa di un passaggio chiave della recente intervista a "La Civiltà Cattolica" del cardinale Christoph Schönborn, l'esegeta della "Amoris laetitia" prediletto da papa Francesco:

*

D.– Come commenterebbe la recente asserzione del cardinale Christoph Schönborn secondo cui la "Amoris laetitia" è una dottrina obbligante e tutti i precedenti documenti del magistero su matrimonio e famiglia devono ora essere letti alla luce di "Amoris laetitia"?

R. – Rispondo con due semplici osservazioni. La prima. Non si deve solo leggere il precedente magistero sul matrimonio alla luce di "Amoris laetitia", ma si deve leggere anche "Amoris laetitia" alla luce del magistero precedente. La logica della vivente tradizione della Chiesa è bipolare. Ha due direzioni, non una. La seconda è più importante. Il mio caro amico cardinale Schönborn nell’intervista a "La Civiltà Cattolica" non tiene conto di un fatto che sta accadendo nella Chiesa dopo la pubblicazione di "Amoris laetitia". Vescovi e molti teologi fedeli alla Chiesa e al magistero sostengono che su un punto specifico ma molto importante non esiste continuità, ma contrarietà tra "Amoris laetitia" e il precedente magistero. Questi teologi e filosofi non dicono questo con spirito di contestazione al Santo Padre. Ed il punto è questo: "Amoris laetitia" dice che, date alcune circostanze, il rapporto sessuale fra divorziati-risposati è lecito. Anzi applica a questi, a riguardo delle intimità sessuali, ciò che il Concilio Vaticano II dice degli sposi [cfr. nota 329]. Pertanto o è lecito un rapporto sessuale fuori del matrimonio: affermazione contraria alla dottrina della Chiesa sulla sessualità; o l’adulterio non è un atto intrinsecamente disonesto, e quindi possono darsi delle circostanze a causa delle quali esso non è disonesto: affermazione contraria alla tradizione e dottrina della Chiesa. E quindi in una situazione come questa il Santo Padre, come già scrissi, deve secondo me chiarire. Se dico “S è P” e poi dico “S non è P”, la seconda proposizione non è uno sviluppo della prima, ma la sua negazione. Nè si risponda: la dottrina resta, si tratta di prendersi cura di alcuni casi. Rispondo: la norma morale “non commettere adulterio” è una norma negativa assoluta, che non ammette eccezioni. Ci sono molti modi fare il bene, ma c’è un solo modo di non fare il male: non fare il male.

<<<  >>>

NOTA BENE !

Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Gli ultimi tre servizi di "www.chiesa":

11.7.2016
> La povertà secondo Francesco. Virtù e vizio insieme
È caposaldo del magistero del papa. Che la esalta come valore salvifico ma nello stesso tempo la condanna come nemico da combattere. Un filosofo analizza questa non risolta contraddizione del pontificato

 



 Correggere i superiori?






Cattura


Dopo il cardinal Burke, il cardinal Napier, altri cardinali che lo hanno fatto personalmente, anche il cardinal Caffarra ha “ripreso” pubblicamente, con rispetto profondo ed amore, papa Francesco, in particolare sul documento Amoris Laetitia.


Cosa succede? Accade che nella Chiesa vi è un dibattito,


che non toglie a Pietro il suo ruolo e il suo compito. Caffarra è un cardinale che è stato vicinisismo a Giovanni Paolo II, che lo stimava immensamente, e a Benedetto XVI. Anche Francesco ha avuto modo di esprimergli la sua stima in varie occasioni.


E allora? Ritornare sull’argomento è importante, per evitare di smarrirsi. Il papa, del resto, non può che essere contento: ha chiesto più volte il dibattito, che certo non può limitarsi al parere di un Alberto Melloni, di un Eugenio Scalfari, o di un Antonio Spadaro.


Lo facciamo riportando un vecchio articolo, del padre domenicano Raimondo Spiazzi, su una rivista, 30 Giorni, su cui allora scrivevano Andrea Tornielli, Luigi Giussani, Antonio Socci…e che l’allora cardinal Bergoglio leggeva  e apprezzava.


Vi si spiega quando e come è lecito riprendere i propri superiori, compreso il papa, rimamendo nel rispetto della fede e della Tradizione di Agostino, Tommaso….


 
Cattura


 

“Correggere” il Papa? Sì, si può. Lo spiega il padre domenicano Spiazzi


Abbiamo trascritto per voi quest’articolo (ne manca solo un parte) del teologo domenicano P. Raimondo Spiazzi — riportato oggi dal sito Libertà&Persona — riguardo la correzione dei superiori da parte dei sudditi. La Chiesa non solo lo permette, ma in certi casi, addirittura lo raccomanda.

Correggere i superiori? A volte è carità

di Padre Raimondo Spiazzi, O.P.

D’altra parte, se esclude il timore servile, afferma anche in questo caso la necessità del timore reverenziale, che ispira anche il “debito modo” nel fare la correzione fraterna (che anzi si direbbe filiale) a chi è costituito in autorità: “Essa cioè non va fatta con insolenza né con durezza, ma con mansuetudine e con rispetto”. San Paolo diceva: “Come a un padre” (1Tim 5,3). Paolo VI raccomandava: “Con amore, senza amarezza”.

La critica nella Chiesa e alla Chiesa ha preso negli ultimi decenni toni di amarezza e di arroganza che difficilmente sono conciliabili con la legge della carità che comanda la correzione fraterna (e filiale). Oltre la conformazione allo spirito e alle mode del secolo, denunciata a suo tempo, da padre Henri de Lubac, in molti casi — anche ben noti — era ed è presente un fattore di patologia psicologica che porta ben oltre l’esercizio dell’opera di misericordia e può comportare errori teologici e falli di ordine spirituale oggettivamente gravi.

In particolare occorre riflettere sulla necessità dell’amore filiale e del timore reverenziale nei confronti del “prelato” – Papa, vicario di Cristo nella Chiesa che è tutta “sub uno”, come dice San Tommaso (cfr.II-II, q.39,a1) e commenta il Gaetano: ” Sono scismatici coloro che vogliono costituire per conto proprio una Chiesa particolare” (cfr. San Tommaso in IV Sent. D.13, q.2, a.1, ad 2); oggi si potrebbe dire una Chiesa parallela, o dei gruppi cristiani a sé stanti contestativi per principio. C’è da chiedersi se persone e gruppi del dissenso non si muovano su questa linea, che non è quella della carità.

Certo, non vi è uomo di Chiesa che già in terra possegga la perfezione. Forse nemmeno i Santi riconosciuti dalla Chiesa hanno superato tutti i difetti, tutte le imperfezioni derivanti dalla natura, mentre erano in terra, nemmeno San Pio X!

Il nostro maestro di noviziato ci spiegava che l’importante era che non ci fosse in loro (e in noi tutti) il peccato veniale deliberato, mentre poteva ancora esserci quellosemideliberato, ossia dovuto a una non pronta resistenza a un moto della natura (per esempio in un atto di impazienza o di golosità). Lasciamo stare.

Il Gaetano pone una questione ben più ardua: quella di un papa che, come persona, è in conflitto col suo ufficio, col suo dovere di papa (cfr. in II-II, q.39, a,1, n.6).

Charles Journet, in quel monumento di sapienza teologica, di ecclesiologia, di spiritualità che è la sua opera L’Eglise du Verbe Incarnè, esamina le ipotesi di un “papa cattivo, ma ancora credente” (vol. I, pag. 547 ss.), di un “papa eretico” (pag. 625), di un “papa scismatico” (vol. II, pag. 839 ss.). Ed applica a questi casi la dottrina del Gaetano, secondo il quale è lecito correggere anche in pubblico i superiori in due casi: quando errano nella fede e insegnano i propri errori agli altri; e quando scandalizzano gravemente il popolo con i loro costumi. “E a questo sono tenuti sia i prìncipi della Chiesa sia quelli del mondo civile, quando il papa scandalizzasse la Chiesa, e ammonito privatamente con rispetto, non desse segni di resipiscenza” (in II-II, q.33, a.4).

In caso, dunque, di pervicacia.

Oggi si tratta di ipotesi teoriche, delle quali nemmeno i più accaniti antipapisti e antiromani oserebbero seriamente asserire l’attuazione nella Chiesa contemporanea. Le critiche odierne sembrano aver di mira l’abbondanza o sovrabbondanza del Magistero centrale, che porterebbe alla riduzione dei limiti nel campo della ricerca e, come si diceva ai tempi di San Tommaso, della disputa teologica.

Forse sarebbe utile ricordare, con lo stesso Aquinate, che esistono due tipi di dispute. Una è quelle che tende a rimuovere i dubbi circa l’esistenza di una verità (an sit verum); e in tale disputa teologica bisogna servirsi al massimo delle autorità ammesse dalla controparte (Bibbia, Padri e Dottori della Chiesa). È chiaro che il Magistero centrale e locale ha una funzione essenziale soprattutto in questo campo, dove è sempre più intervenuto per l’insorgenza dei problemi di fede e di morale e il disorientamento prodotto spesso nei fedeli da maestri inidonei o ambigui.

“L’altro tipo di disputa è quello magistrale, volto non tanto a rimuovere l’errore, ma ad istruire gli uditori (o lettori) e portarli alla penetrazione della verità che si intende spiegare, per far capire la ragionevolezza di ciò che si dà (quomodo sit verum): altrimenti, se il maestro determina la questione con la sua autorità, l’uditore (o il lettore) verrà a sapere che quella è la verità (secondo la Chiesa) ma non acquisterà nulla dal punto di vista scientifico e se ne tornerà vuoto (vacuus abscedet)…”(Quodlibetum IV, q.9, n.3).

Qui è l’immenso campo di lavoro per il teologo, il quale però, come ogni credente, non potrà non tener conto “dell’autorità della Chiesa universale (…) la quale autorità risiede principalmente nel Pontefice” (II-II. q.11, a.2, ad 3).

Se poi si desse il caso di una correzione fraterna (o filiale) nei confronti dell’autorità della Chiesa, l’atto di carità non potrà non essere accompagnato dall’umiltà (cfr. II-II q.33, a.4, ad 3).

San Paolo nel “resistere in faccia a Pietro davanti a tutti” (Gal 2,14), non si presentava con presuntuosa superbia, ma con lealtà, tanto più che “in qualche modo era pari di Pietro in difesa della fede. E pur essendo anche suo suddito, lo rimproverò pubblicamente per il pericolo di scandalo nella fede. Sicché Sant’Agostino commenta: “Pietro stesso diede l’esempio ai superiori di non sdegnare di essere corretti dai sudditi, quando capita di allontanarsi dalla giusta via” (in Gal 2,14)” (II-II q,33, a.4, ad 2).

In questa linea di Sant’Agostino anche l’Aquinate conduce la sua analisi e spiegazione del comportamento di Paolo nel commento alla Lettera ai Galati (cfr Lectio III, vv. 11,14).

© 30Giorni – giugno 1992 n.6



 
Caterina63
00venerdì 22 luglio 2016 14:15



Signori vescovi e cardinali, guai a sfuggire al martirio!



Supplichiamo i signori Vescovi e Cardinali a dare testimonianza di vero martirio, prima di ritrovarci a dover festeggiare “san Lutero, martire della Chiesa — brutta e cattiva — del passato”.

In una drammatica ed attenta ricostruzione degli ultimi fatti, Sandro Magister mette – nero su bianco, vedi qui – una escalation inquietante che vede anche in difficoltà gli alti prelati della Chiesa, incapaci o impossibilitati a far fronte alla deriva dottrinale che questo pontificato, alla fine della fiera, sta trascinando tutta la Chiesa, con il supporto delle maggiori testate giornalistiche e mediatiche. E’ chiaro quanto emerge: i Vescovi e Cardinali, in un primo momento incoraggiati ad intervenire, finiscono (o ne sono costretti) per scegliere l’anonimato, oppure per ritrattare, oppure a mitigare. Diamo atto al coraggioso recente intervento del cardinale Caffarra, ora emerito, ma che non crediamo possa avere buon esito, soprattutto se lasciato solo… vedi qui.

Magister fa osservare che nella famosa Lettera consegnata al Papa all’ultimo Sinodo c’era una frase che poi è stata cancellata: essi lo mettevano in guardia dal portare anche la Chiesa cattolica al “collasso delle chiese protestanti liberali nell’epoca moderna, accelerato dal loro abbandono di elementi chiave della fede e della pratica cristiana, in nome dell’adattamento pastorale“. E, specifica anche : “in extremis i tredici cancellarono queste due righe dalla lettera effettivamente messa nelle mani del papa. Ma oggi le riscriverebbero pari pari, visto l’idillio sempre più marcato che si sta sviluppando tra Francesco e i seguaci di Lutero…”

Così non può funzionare! Perché avendola tolta ieri, oggi la dovrebbero “riscrivere pari, pari”? Ciò che ieri era “idillio”, oggi non è altro che l’affermazione di una Chiesa sempre più sincretista, che sta rinunciando ai sacrifici contro il peccato, che ha trasformato il peccato soltanto nell’omissione della carità materiale, che ha tolto il peccato contro Dio, ed è sempre più piegata ad una nuova dottrina fangosa sostenuta da un Pontefice che pretende di imporre, ogni giorno che passa, la sua visione gesuitica di Chiesa. E chi non fosse d’accordo con lui, viene candidamente defenestrato, vedi qui: Chi non è d’accordo col “papa-re” può ritirarsi sul monte… profetizzando una vera “canonizzazione” di Lutero da parte di questa chiesa modernista.

L’uomo come “vitello d’oro” è una conseguenza dell’eresia di Lutero, eresia abilmente sfruttata poi da Karl Rahner e dai gesuiti degli anni 60-70, noi abbiamo trattato qui l’argomento, ma è anche una “dottrina” Pentecostale sostenuta da un certo “spirito” carismatico di cui Bergoglio fu “investito”, di cui egli è amico e difensore, ma nessuno ne parla. Forse in troppi hanno dimenticato la sua amicizia con il mondo pentecostale che, per certi versi, è anche più inquietante del luteranesimo storico di cui essi hanno tratto la nuova tradizione dei tre Sola e della Giustificazione, condannata esplicitamente dal concilio di Trento, di cui suggeriamo la profonda Lectio del teologo domenicano Padre Giovanni Cavalcoli,vedi qui.


_0045 pentecostali 2Mio fratello il pastore Giovanni ha incominciato parlando del centro della nostra vita: stare alla presenza di Gesù….” così esordiva nel saluto Papa Francesco in visita privata alla comunità pentecostale di Caserta, il28 luglio 2014, dopo aver umiliato e mortificato la comunità cattolica. Giovanni Traettino è un ex cattolico, ex militante comunista di Lotta Continua che ben comprese la fonte redditizia senza lavorare, nel fondare una comunità tutta sua, che si ponesse contro la dottrina cattolica. Non è un “convertito” a Cristo, ma è un cristiano che ha RINNEGATO LA CHIESA, la Presenza reale di Gesù nel Sacramento e la maternità divina di Maria.

Sarà certamente “suo fratello”, ma non certo “fratello” per molti cattolici e soprattutto è Traettino, che dalle pagine del suo sito, rifiuta e rinnega di essere “figlio di Maria Santissima”, nega che Maria sia la “Madre di Dio” (la Theotokos), definendola “solo” la Madre di Gesù Cristo. E questo è ovvio, la loro dottrina sulla Santissima Trinità non è quella Cattolica e non è quella dei concili di Efeso e di Nicea. Ma tutto questo a Papa Francesco non interessa, basta che l’amico e fratello Traettino, abbia “incominciato parlando del centro della nostra vita: stare alla presenza di Gesù….”, e poco importa se questa “presenza” sia per loro reale o spirituale, basta che se ne parli!


_0045 pentecostali 3Eppure, il 28 giugno 2014, un mese prima di incontrare il fratello Traettino, Papa Francesco ammoniva ai Catechisti e ai giovani con parole, oseremo dire, stupende e meravigliose:  Quando un cristiano mi dice, non che non ama la Madonna, ma che non gli viene di cercare la Madonna o di pregare la Madonna, io mi sento triste. Ricordo una volta, quasi 40 anni fa, ero in Belgio, in un convegno, e c’era una coppia di catechisti, professori universitari ambedue, con figli, una bella famiglia, e parlavano di Gesù Cristo tanto bene. E ad un certo punto ho detto: “E la devozione alla Madonna?” “Ma noi abbiamo superato questa tappa. Noi conosciamo tanto Gesù Cristo che non abbiamo bisogno della Madonna”. E quello che mi è venuto in mente e nel cuore è stato: “Mah… poveri orfani!”. E’ così, no? Perché un cristiano senza la Madonna è orfano. Anche un cristiano senza Chiesa è un orfano. Un cristiano ha bisogno di queste due donne, due donne madri, due donne vergini: la Chiesa e la Madonna. E per fare il “test” di una vocazione cristiana giusta, bisogna domandarsi: “Come va il mio rapporto con queste due Madri che ho?”, con la madre Chiesa e con la madre Maria. Questo non è un pensiero di “pietà”, no, è teologia pura. Questa è teologia. Come va il mio rapporto con la Chiesa, con la mia madre Chiesa, con la santa madre Chiesa gerarchica? E come va il mio rapporto con la Madonna, che è la mia Mamma, mia Madre?”

Perché queste cose, il Papa, non le ha dette al suo amico e fratello pentecostale? L’evangelizzazione non è forse “per tutti” o solo per alcuni? Non vale più il monito del Signore? Rinfreschiamoci la memoria: «Figlio dell’uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d’Israele.  Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia.  Se io dico al malvagio: Tu morirai! e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te.  Ma se tu ammonisci il malvagio ed egli non si allontana dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per il suo peccato, ma tu ti sarai salvato. Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l’iniquità, io porrò un ostacolo davanti a lui ed egli morirà; poiché tu non l’avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate; ma della morte di lui domanderò conto a te. Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato» (Ezech. 3,16-21)

Ma se andate a leggere il Discorso del Papa all’amico e fratello Traettino, nel parlare dell’Incarnazione di Dio, TACE SU MARIA, tace su Colei che l’ha generato per opera dello Spirito Santo, tace su “la Vergine”, in compenso ammonisce: ” non si capisce l’amore per il prossimo, non si capisce l’amore per il fratello, se non si capisce questo mistero dell’Incarnazione. Io amo il fratello perché anche lui è Cristo, è come Cristo, è la carne di Cristo…” Un mistero dell’Incarnazione SENZA LA MADRE. Interessante, per non dire catastrofico! Perché, e soprattutto, ci troviamo davanti alla nuova teologia dell’Incarnazione professata da Karl Rahner, un capovolgimento dell’antropologia nella quale è Dio ad essere l’immagine dell’uomo povero, carcerato, malato, ecc… lì si troverebbe il mistero dell’Incarnazione di Dio.


_0045 pentecostali 4In questo sito abbiamo trovato una interessantissima “Lettera di sant’Agostino ai Pentecostali” che vale la pena di riflettere. La Lettera originale, naturalmente, è indirizzata ai donatisti, ma come tutti gli scritti dei Padri, essi sono intramontabili e valgono davvero per ogni situazione e circostanza, perché la Parola di Dio non si adegua al mondo, è proprio il contrario.


Cari vescovi e cardinali, va di moda oggi dire che è più importante ciò che ci unisce e che non bisogna avanzare con le dispute dottrinali mentre, è proprio questa disputa, l’opera grandiosa dei Padri e grazie alla quale noi oggi possiamo dare davvero “la speranza che è in noi” (1Pt.3,15), con dolcezza, ma anche fermezza, come diceva sant’Agostino in questa Lettera ai donatisti, pentecostali oggi: ” Noi, invece, dobbiamo prima trovare e dimostrare le nostre accuse, per non essere accusati noi stessi, piuttosto, del gravissimo crimine di folle temerarietà. Certo, se essi per primi ci dimostrano che gli ipocriti siamo noi, noi non dobbiamo assolutamente rifiutarci di essere rimproverati e colpiti da queste parole delle sante Scritture; analogamente, se noi dimostriamo che lo sono loro, avremo eguale diritto di ferire, con questi rimproveri del Signore, quanti sono stati confutati e convinti… “

E non è grave ipocrisia – e grave eresia – deturpare, come fa Traettino – l’amico e fratello di Bergoglio – il volto della Santissima Madre di Dio, il suo ruolo e della Presenza reale del Signore nostro Gesù Cristo nella Eucaristia che lui rinnega e sconfessa? Una gravità che Papa Francesco non intende assolutamente correggere, all’amico e fratello errante. E sia ben chiaro che quando sant’Agostino usa il termine “ferire” non intende certo colpire la persona, ma umiliarne il pensiero eretico, umiliarne l’ipocrisia, la falsità dottrinale.


_0045 pentecostali 5Non era forse Gesù Cristo a dire «Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19,40)? Che cosa temete, cari vescovi e cardinali? Siete già stati tagliati fuori in questo Pontificato, cos’altro temete? Le carriere, un trasferimento, una lavata di testa? E cosa ve ne importa? Il colore del vostro abito parla chiaro, dovete darci testimonianza del martirio in difesa del Cristo vivo e vero, in difesa alla Sua Santissima Madre.

Vi ricordiamo la profezia di San Luigi M. Grignon de Montfort: « 114. Prevedo molte belve arrabbiate, che arriveranno con furia per strappare con i loro denti diabolici questo piccolo scritto e colui del quale lo Spirito Santo si è servito per scriverlo, o almeno per avvolgerlo nelle tenebre e nel silenzio di un baule, affinché non venga Lui conosciuto; costoro anzi attaccheranno e perseguiteranno quelli e quelle che lo leggeranno e cercheranno di metterlo in pratica. Ma non importa! Anzi, tanto meglio! Questa previsione mi incoraggia e mi fa sperare un grande successo, cioè una grande schiera di valorosi e coraggiosi soldati di Gesù e di Maria, dell’uno e dell’altro sesso, per combattere il mondo, il demonio e la natura corrotta, nei tempi difficili che sempre più si avvicinano! “Chi legge comprenda”. “Chi può capire, capisca”». (Trattato della Vera Devozione a Maria)

Di recente, il cardinale  Gerhard Ludwig Müller – Prefetto e forse ancora per poco, della CdF – ha detto: «Noi cattolici non abbiamo alcun motivo per festeggiare il 31 ottobre 1517, la data considerata l’inizio della Riforma che portò allo scisma della cristianità occidentale», ecco, cerchiamo allora di testimoniare, anche a costo del sangue e delle carriere, o delle comode scrivanie, che noi cattolici, proprio da questo ottobre 2016, festeggiamo il Centenario della Apparizioni di Fatima e supplichiamo la promessa del trionfo del Cuore Immacolato di Maria.






Un papa che non s'era mai visto. Un po' protestante

L'idillio tra Francesco e i seguaci di Lutero. L'allarme di cardinali e vescovi contro la "protestantizzazione" della Chiesa cattolica. Ma anche la diffidenza di autorevoli teologi luterani 

di Sandro Magister




ROMA, 22 luglio 2016 – Nell'allarmata lettera che tredici cardinali di cinque continenti si apprestavano a consegnare a papa Francesco all'inizio dell'ultimo sinodo, essi lo mettevano in guardia dal portare anche la Chiesa cattolica al "collasso delle chiese protestanti liberali nell’epoca moderna, accelerato dal loro abbandono di elementi chiave della fede e della pratica cristiana, in nome dell'adattamento pastorale":

> Tredici cardinali hanno scritto al papa. Ecco la lettera (12.10.2015)

Poi in extremis i tredici cancellarono queste due righe dalla lettera effettivamente messa nelle mani del papa. Ma oggi le riscriverebbero pari pari, visto l'idillio sempre più marcato che si sta sviluppando tra Francesco e i seguaci di Lutero.

Il 31 ottobre Jorge Mario Bergoglio volerà in Svezia, a Lund, accolto dalla locale vescovo donna, per festeggiare assieme alla Federazione luterana mondiale i cinquecento anni della Riforma protestante. E più s'avvicina quella data, più il papa manifesta simpatia per il grande eretico.

Nell'ultima delle sue conferenze stampa volanti, di ritorno dall'Armenia, ha tessuto l'elogio di Lutero. Ha detto che era animato dalle migliori intenzioni e che la sua riforma fu "una medicina per la Chiesa", sorvolando sulle divergenze dogmatiche essenziali che da cinque secoli contrappongono protestanti e cattolici, perché – sono sempre parole sue, questa volta dette nel tempio luterano di Roma – "la vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni":

> Conferenza stampa…

L'ecumenismo di Francesco è fatto così. Il primato è ai gesti, agli abbracci, a qualche atto caritatevole fatto assieme. I contrasti di dottrina, anche abissali, li lascia alle discussioni dei teologi, che confinerebbe volentieri "su un'isola deserta", come ama dire neanche troppo per scherzo.

La prova finora insuperata di questo suo approccio è stata, lo scorso 15 novembre durante la visita ai luterani di Roma, la risposta che diede a una protestante che gli chiedeva se poteva fare la comunione a messa, assieme al marito cattolico.

La risposta di Francesco fu una fantasmagorica girandola di sì, no, non so, fate voi. Ma non perché il papa non sapesse cosa dire. La "liquidità" espressiva era voluta. Era la sua maniera di rimettere tutto in discussione, rendendo tutto opinabile e quindi praticabile:

> Risposte del Santo Padre…

Puntualmente, è arrivata infatti "La Civiltà Cattolica", la rivista dei gesuiti di Roma che è ormai la passaparola di Casa Santa Marta, a confermare che sì, Francesco voleva far capire proprio questo: che anche i protestanti possono fare la comunione nella messa cattolica:

> Comunione per tutti, anche per i protestanti (1.7.2016)

Ha un bel dire il cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, che "noi cattolici non abbiamo alcun motivo per festeggiare il 31 ottobre 1517, cioè l'inizio della Riforma che portò alla rottura della cristianità occidentale".

Papa Francesco neanche lo ascolta e la festa la fa, incurante che Müller – che era appunto uno dei tredici cardinali della memorabile lettera – la veda come un altro passo verso la "protestantizzazione" della Chiesa cattolica:

> Come il cardinale Müller rilegge il papa (29.3.2016)

Un papa come Bergoglio, in realtà, a un moderno Lutero non dispiacerebbe. Niente più indulgenze né purgatorio, che cinque secoli fa furono la scintilla della rottura. E invece una superlativa esaltazione della divina misericordia, che lava via gratis i peccati di tutti:

> Le indulgenze e il purgatorio? Francesco li ha messi in soffitta (19.12.2015)

Non è detto, però, che l'idillio sia ricambiato da tutti i protestanti. In Italia, il loro ceppo storico è costituito dalla minuscola ma vivace Chiesa valdese. E i suoi due più insigni teologi, Giorgio Tourn e Paolo Ricca – entrambi della stessa generazione di Bergoglio ed entrambi formati alla scuola del maggior teologo protestante del Novecento, Karl Barth –, sono molto critici della deriva secolarizzante sia della loro Chiesa, sia della Chiesa di papa Francesco.

"La malattia – ha detto Ricca in un recente dibattito a due su "Riforma" – è che siamo tutti volti al sociale, cosa sacrosanta, ma nel sociale esauriamo il discorso cristiano, e fuori da lì siamo muti".

E Tourn: "La politica di papa Bergoglio è un fare la carità. Ma è chiaro che la sola testimonianza dell'amore fraterno non porta automaticamente a conoscere Cristo. Non c'è oggi un silenzio di Dio, ma il silenzio nostro su Dio":

> Una Chiesa in torpore

Francesco però va avanti imperterrito e pochi giorni fa ha perfino nominato un teologo protestante suo amico, Marcelo Figueroa, direttore della nuova edizione argentina de "L'Osservatore Romano":

> Pope Francis and His Unofficial Spokespeople

__________

Questa nota è uscita su "L'Espresso" n. 30 del 2016, in edicola dal 22 luglio, nella pagina d'opinione dal titolo "Settimo cielo" affidata a Sandro Magister.

Ecco l'indice di tutte le precedenti note:

> "L'Espresso" al settimo cielo
___________

Qui di seguito, i rimandi a tre recenti commenti particolarmente acuti nell'individuare i caratteri essenziali del protestantesimo luterano e i loro effetti nella storia.

Il primo è di Antonio Livi, professore emerito di filosofia della conoscenza nella Pontificia Università Lateranense, studioso di fama internazionale:

> La giustificazione, Lutero, il sinodo sulla famiglia

Il secondo è di Ermanno Pavesi, segretario generale della federazione internazionale dei medici cattolici:

> Martin Lutero e il divorzio tra fede e ragione

Il terzo è del professor Rocco Pezzimenti, direttore del dipartimento di scienze economiche, politiche e delle lingue moderne alla Libera Università di Maria Santissima Assunta di Roma:

> I “semi” luterani nell'assolutismo e nel totalitarismo

__________


Malachi Martin - Il Concistoro - ROMANZO cattolico

Estratto del libro “Keys of This Blood” o “Las llaves de esta sangre”, anno 1991.

Novella? Fiction? Profezia?

Il capitolo finale di questo libro racconta un immaginario concistoro dei cardinali, in cui il Santo Padre (chiamato ora Papa Waleska) riunisce ai suoi 153 cardinali e fa un tremendo “mea culpa” per gli errori del suo governo, dopo aver descritto lo stato catastrofico della Chiesa Universale.

Immediatamente realizza l'annuncio di un "Piano Papale” di salvezza della Chiesa, per mezzo del quale destituisce tutta la Curia romana, dissolve le conferenze episcopali, espelle senza appello possibile a un numero di ecclesiastici dal seno della Chiesa Cattolica e ripristina la validità del rito tridentino insieme con il Novus Ordo in latino, convenientemente depurato dai suoi orientamenti luterani.

Annuncia la revisione dei testi conciliari e dà per invalide tutte le sanzioni ai movimenti tradizionalisti mentre chiede l'adesione del suo Collegio Cardinalizio all’impresa.

Poi si dirige verso l'altare maggiore della Basilica e aspetta in orazione. L’hanno seguito tutti i Cardinali, pero non con la stessa predisposizione. Lì, dopo lunghi minuti, un vecchio Cardinale cileno si avvicina al Papa, gli parla all'orecchio e crolla ai suoi piedi e gli bacia le scarpe e poi l’anello. Il gesto è così impressionante che un terzo dei cardinali lo imitano. Il resto si ritira senza prestare omaggio al Papa.

Le posizioni sono state definitivamente assolte. E i bandi chiaramente definiti. Ora arriva il compito della restaurazione….

 

Maggiori Informazioni in http://fidesetforma.blogspot.com





Caterina63
00venerdì 26 agosto 2016 15:59

Anche Bergoglio ha i suoi principi non negoziabili


Sono i quattro postulati ai quali egli continuamente ispira il suo governo della Chiesa, il primo dei quali dice che "il tempo è superiore allo spazio". Il guaio è che non stanno in piedi. Un colto monaco benedettino spiega perché 

di Sandro Magister




ROMA, 23 agosto 2016 – Che "Amoris laetitia" non abbia risolto "tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali" sulla comunione ai divorziati risposati è sotto gli occhi di tutti. Anzi, le ha rinfocolate più che mai.

Ma questo è proprio ciò che Francesco voleva, stando a quanto lui stesso ha scritto, all'inizio dell'esortazione postsinodale:

"Ricordando che 'il tempo è superiore allo spazio', desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero".

Più avanti, nella stessa esortazione, Francesco ha tradotto così tale suo asserto: "Si tratta di generare processi più che dominare spazi".

E con ciò ha rimandato per l'ennesima volta a quello che è un caposaldo del suo pensiero: al primo dei quattro postulati che gli fanno da bussola, da lui elencati nel documento programmatico del suo pontificato, l'esortazione apostolica "Evangelii gaudium".

È il postulato che appunto dice che il tempo è superiore allo spazio. Mentre gli altri tre sono l’unità che prevale sul conflitto, la realtà che è più importante dell’idea, il tutto che è superiore alla parte.

È da una vita che Jorge Mario Bergoglio si attacca a questi quattro pensieri-guida e soprattutto al primo:

> I quattro chiodi a cui Bergoglio appende il suo pensiero

E continua ad ispirarsi ad essi anche da papa, nel suo magistero. Senza mai sforzarsi di spiegare la loro ragionevolezza – che a un occhio esperto appare subito fragilissima – ma piuttosto insistendo ogni volta sulla loro finalità pratica, che è principalmente quella di "avviare processi".

Non sorprende quindi che tali postulati siano oggetto di analisi critica, anche perché non derivano affatto dalla divina rivelazione né hanno alcun fondamento nelle Sacre Scritture, ma sono semplice prodotto di mente umana, che però papa Francesco audacemente eleva a principi motori della vita della Chiesa.

Una prima approfondita analisi critica, di tipo filosofico, dei quattro postulati bergogliani è stata formulata la scorsa primavera da padre Giovanni Scalese, 61 anni, barnabita, dal 2014 capo della missione "sui iuris" dell'Afghanistan, unico avamposto della Chiesa cattolica in quel paese, e in precedenza insegnante di filosofia e rettore del Collegio alla Querce di Firenze:

> I postulati di papa Francesco

Ma ora ecco una seconda analisi non meno acuta. Ad opera questa volta di padre Giulio Meiattini, dell'ordine di san Benedetto, monaco dell'Abbazia Madonna della Scala, a Noci, e docente alla Facoltà teologica pugliese e al Pontificio ateneo Sant'Anselmo di Roma.

Il testo integrale dell'analisi, chiara e ben scritta, è in quest'altra pagina web:

> Il tempo è superiore allo spazio? Intorno a una tesi di papa Bergoglio

In essa padre Meiattini mette anzitutto a nudo l'inconsistenza del postulato "il tempo è superiore allo spazio" dal punto di vista non solo filosofico ma anche linguistico, essendo lo spazio sistematicamente inteso da Bergoglio come "spazio di potere".

E poi prende di petto la finalità a cui il papa piega il suo postulato: quella di "generare processi". Evidenziandone le contraddizioni, comprese quelle inerenti ad "Amoris laetitia".

Che sicuramente di "processi" ne ha avviati: "dibattiti, controversie, interpretazioni diametralmente opposte, polarizzazioni, perplessità di fedeli e sacerdoti, incertezze nelle conferenze episcopali". 

Ma "che si tratti di processi virtuosi nessuno per ora può dirlo".

Qui di seguito è riprodotto appunto un estratto di questa parte seconda e conclusiva dell'analisi.

__________



"Che si tratti di processi virtuosi nessuno per ora può dirlo"

di Giulio Meiattini OSB


Si ha l’impressione che l’affermazione della superiorità del tempo sullo spazio obbedisca a un interesse: quello di avviare processi. […] Ma pur apprezzando lo stimolo di papa Francesco, davvero l’avviare processi è così vitale oggi, tanto da diventare una priorità? Davvero puntare a questo obiettivo e richiamarlo in modo pressante è ciò di cui hanno più bisogno l’uomo o la società attuali, in specie i cattolici? È questo ciò che serve maggiormente in questa congiuntura globale della vita della Chiesa?

Mi sia lecito esprimere un forte dubbio in proposito. Oggi è già in atto un grandissimo numero di processi, per giunta addirittura travolgenti e di proporzioni spesso gigantesche. La tanto citata “liquidità” della nostra società e delle nostre culture, le migrazioni dal sud al nord del mondo, lo spostamento degli equilibri geopolitici, i mutamenti valoriali e le trasformazioni apportate dalla tecnica nella sfera dell’etica, giustificano appieno la felice espressione dello stesso pontefice: “Non stiamo vivendo un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca”.

I mutamenti sono già in atto, sono numerosi, di portata enorme e dall’estensione planetaria. […] Tanto che mi sembra di poter dire che il problema principale dell’uomo odierno non è quello dell’immobilismo, quanto il non aver più dei marcatori e dei misuratori dei processi in atto. I movimenti in corso sono altamente autoreferenziali: cioè non hanno delle esternalità relativamente stabili che li possano in qualche modo misurare od orientare. Non hanno delle finalità o un senso. […]. Se tutto si muove, e se il “cambiamento” fine a se stesso sembra essere l’unica cosa che rimane, tutto è reso equipollente. […] La parola stessa “processo”, che il papa usa, appare così neutra che di per sé qualunque cambiamento è definibile come processo. Anche il degrado è un processo. Ma se l’importante è processualizzare e cambiare, e non mi si dice il dove e il come a cui deve portare il processo-cambiamento né il suo perché, allora, nella moltiplicazione dei cambiamenti, tutto si equivale. […]

La mia opinione è che oggi, da parte della Chiesa, la parola che ci si aspetterebbe non è: avviare processi. Questi, come ho detto, già sono in atto a dismisura, sia positivi sia negativi, e non aspettano noi cristiani per continuare la loro corsa o per autoalimentarsi.

I processi avviati al tempo della caduta dell’impero romano e delle invasioni dei nuovi popoli euroasiatici, non furono avviati dal cristianesimo: ma questo seppe renderli meno devastanti e gradualmente incanalarli grazie a una visione orientata del mondo.

Anche oggi ci si aspetterebbe che nella labilità e provvisorietà delle configurazioni sociali e culturali, economiche, politiche ed etiche, si offrissero dei criteri di valutazione e discernimento, dei riferimenti, delle topografie che servissero per comprendere all’incirca dove siamo e dove forse andiamo. Insomma, delle bussole e delle carte per orientare i fedeli e gli uomini del nostro tempo.

L’umanità attuale, soprattutto nei paesi riconducibili alla cultura occidentale e al suo influsso, non soffre di immobilismo, ma di disorientamento per eccessiva mobilità. Si tratta di guidare e governare, per quanto possibile, le energie già in moto, perché non confluiscano in un pericoloso caos, ma diventino costruttive di nuovi assetti vivibili. Anche le grandi lobby di potere, non di rado, si servono della strategia della destabilizzazione – avviando processi, guarda un po’! – per ottenere determinate reazioni a loro favorevoli. Avviare processi non è per principio innocente, farlo può essere anche nell’interesse del potere da cui il papa giustamente ci mette in guardia. […]

La conclusione alla quale personalmente approdo è che dai pronunciamenti magisteriali sarebbe da attendersi un linguaggio più sorvegliato e una maggiore lucidità di pensiero. Per il bene di tutti, dal momento che un esercizio corretto della ragione è un buon servizio non solo per la teologia e la vita della Chiesa, ma anche per una comunicazione virtuosa col mondo della cultura. Perché più che una maggiore importanza della realtà sull’idea, andrebbe ricordato che l’idea fa parte della realtà, essendo il pensiero un modo dell’essere e il "medium" attraverso cui l’essere per noi è conoscibile e diventa "verum".

Non curare l’idea e il processo di ideazione (anch’essa un processo!), cioè il pensiero, rischierebbe di estraniarci dall’essere che viene all’idea. L’imprecisione nell’uso dei concetti e nell’esercizio del pensiero non crea intesa, ma equivoci e confusione. La costituzione conciliare "Dei Verbum", espressione di una ricca teologia della storia della salvezza e in piena conformità alla natura sacramentale della Chiesa, ci ricorda l’inseparabilità dei gesti e delle parole, dei fatti e del linguaggio. Non esiste una superiorità dei gesti sulle parole né viceversa.

Mi preoccupa constatare che del principio-postulato qui esaminato viene fatto un uso enigmatico anche nel contesto di un documento come "Amoris laetitia":

“Ricordando che il tempo è superiore allo spazio, desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali e pastorali devono essere risolte con interventi del magistero” (n. 3).

Mi chiedo: quale nesso c’è fra il principio richiamato e la conseguenza tratta? Forse si intende dire che i pronunciamenti del magistero (anche di "Amoris laetitia"?) sono un sintomo di fissazione immobilista o conservazione di “spazi di potere”? L’implicito sinceramente mi sfugge.

In ogni caso possiamo dire che, all’insegna di questo principio, l’effetto c’è stato: si è avviata, a seguito dell’esortazione postsinodale sulla famiglia, una serie di “processi”: dibattiti, controversie, interpretazioni diametralmente opposte, polarizzazioni, perplessità di fedeli e sacerdoti, incertezze nelle conferenze episcopali. 

Che si tratti di processi virtuosi questo nessuno per ora può dirlo. Personalmente oso dire che forse non è questo che sul tema della famiglia oggi maggiormente serviva. 

Perché, dopo ben due sinodi, neanche una pagina è stata spesa in questa esortazione sulla preparazione e formazione al matrimonio cristiano? E dire che la "relatio finalis" del secondo sinodo vi aveva dedicato un’attenzione significativa, anche se ancora non del tutto sufficiente, a mio parere. Siamo proprio sicuri che oggi i sacramenti vengano dati a dei “cristiani”?

Sono convinto che questo sia il vero processo che la Chiesa ha urgente bisogno di avviare: generare alla fede e alla vita cristiana degli autentici credenti attraverso il battesimo e l’iniziazione cristiana. Poi viene il resto, anche il matrimonio, anche la costruzione della pace sociale e del bene comune.

Ma al battesimo e al catecumenato c’è ancora qualcuno che pensa sul serio? Il battesimo non è un postulato, né un’idea astratta. Battezzare e rendere discepoli i popoli è il cuore della missione della Chiesa, è il mandato di Gesù.

__________



Caterina63
00giovedì 15 settembre 2016 12:01

La vera origine delle divisioni nella Chiesa



vaticano

(di Roberto de Mattei,Il Tempo, 14 settembre 2016) Informazioni, disinformazioni, verità, mezze verità, menzogne, sembrano mescolarsi nella strategia di comunicazione della Santa Sede. La storia della Chiesa viene scritta da interviste, discorsi improvvisati, articoli su blog paraufficiali, indiscrezioni mediatiche, lasciando il libero campo a tutte le interpretazioni possibili e facendo sorgere il sospetto che la confusione sia pianificata.


Due esempi recenti. Il primo riguarda il caso dell’estromissione, nel 2012, del presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi. Nell’ultimo libro di Benedetto XVI, leUltime conversazioni con Peter Seewald, il “Papa emerito” assume su sé stesso la responsabilità dell’allontanamento di Gotti Tedeschi, dovuto, a quanto egli afferma, alla necessità di «rinnovare i vertici» della Banca Vaticana. Ma il segretario del dimissionario Pontefice, mons. Georg Gänswein, ha a suo tempo dichiarato che lo stesso Benedetto XVI era all’oscuro di questa estromissione e «restò sorpreso, molto sorpreso per l’atto di sfiducia al professore». Andrea Tornielli, il 22 ottobre del 2013, ne riferì con un articolo dal titolo Benedetto XVI fu molto sorpreso della cacciata di Gotti Tedeschi.


Il 9 settembre del 2016 stesso vaticanista, senza rilevare alcuna contradditorietà, presenta la nuova versione, con il titolo Ratzinger: fu mia l’idea di cambiare i vertici dello Ior nel 2012. Qual è la verità? Di sicuro qualcuno mente e la confusione resta.


Più grave è il secondo caso. Il 5 settembre è stata pubblicata dal sito Infocatolicauna lettera che Papa Francesco ha inviato ai vescovi della regione pastorale diBuenos Aires – in risposta al documento Criterios básicos para la aplicación del capítulo VIII de Amoris laetitia (Criteri fondamentali per l’applicazione del capitolo VIII di Amoris laetitia).


Nel documento, che intende fornire al clero alcuni criteri in relazione all’ottavo capitolo dell’esortazione, i vescovi argentini affermano che, in base alla Amoris laetitia, i divorziati risposati, possono accedere alla Comunione sacramentale anche quando convivono more uxorio, senza l’intenzione di praticare la castità. Papa Francesco ha espresso il suo apprezzamento per questa indicazione, scrivendo ai presuli che «il testo è molto buono e spiega in modo eccellente il capitolo VIII diAmoris laetitia. Non c’è altra interpretazione. E sono sicuro che farà molto bene». Si sono immediatamente aperte le polemiche e la lettera pontificia è misteriosamente scomparsa dal sito, tanto che molti ne hanno messo in dubbio l’esistenza, finché l’Osservatore Romano ne ha confermato l’autenticità. «Non c’è altra interpretazione».


La posizione di Papa Francesco sui divorziati risposati, già espressa nel volo di ritorno dall’isola di Lesbo, a questo punto sembra definitivamente chiara. Ma se questo è il suo pensiero, perché affidarlo a una nota a piè di pagina nell’Amoris laetitia e ad una lettera privata destinata a non essere pubblicata, invece di affermarlo in maniera chiara ed esplicita? Forse perché in questo modo la contraddizione con il Magistero perenne della Chiesa sarebbe pubblica e formale, mentre si vuole arrivare a mutare la dottrina della Chiesa in maniera ambigua e surrettizia?


L’impressione è di trovarci di fronte ad una manipolazione delle informazioni che produce all’interno della Chiesa proprio quelle tensioni e divisioni che il Papa ha lamentato nel suo discorso a Santa Marta del 12 settembre: «Divisioni ideologiche, teologiche, che lacerano la Chiesa. Il diavolo semina gelosie, ambizioni, idee, ma per dividere (…) Le divisioni fanno sì che si veda questa parte, quest’altra parte contro di questa e contro di… Sempre contro! Non c’è l’olio dell’unità, il balsamo dell’unità».


Le divisioni però nascono dal linguaggio biforcuto del demonio e sono vinte innanzitutto dalla verità; la verità della fede e della morale, ma anche quella verità del linguaggio e dei comportamenti, che significa rinuncia ad ogni bugia, falsificazione, reticenza, seguendo l’insegnamento del Vangelo «Sia la vostra parola sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5, 37). (Roberto de Mattei)



<header>

Il cardinale Burke: “Non mi separerò mai dal Papa, vicario di Cristo”

</header>

cardinal-raymond-burke
Il cardinale americano Raymond Burke, un alto prelato che ha un grande e devoto seguito tra i cattolici fedeli alla Tradizione bimillenaria della Chiesa, in una recentissima intervista telefonica concessa a RNS (Religion News Service) insiste nel dire che è un servitore di Papa Francesco e non un suo oppositore, come ingiustamente lo accusano di essere.

Il Patrono del Sovrano Ordine Militare di Malta, rileva che “la gente mi chiama ‘il nemico del papa’, e così via. Non sono mai stato né sono il nemico del papa” (“People call me ‘the enemy of the pope’ and so forth. I have never been and I am not presently the enemy of the pope”). Burke, che sta trascorrendo qualche giorno di vacanza in Wisconsin (USA), aggiunge: “Non ho mai, in tutto quello che ho detto, mostrato mancanza di rispetto alla sede pontificia, perché la Chiesa cattolica non esiste senza l’ufficio di Pietro” (“I have never, in anything I’ve said, shown disrespect to the papal office, because the Catholic Church doesn’t exist without the office of Peter”).

Sottolinea che al Papa stesso, in conversazioni amichevoli avute con Lui, ha detto: “Santo Padre, l’unico modo in cui posso servirvi è quello di dire la verità nel modo migliore e più chiaramente possibile”. La risposta del Papa è stata: “questo è quello che voglio”. Relativamente al criticatissimo punto del documento papale Amoris Laetitia che affronta il problema dei cattolici divorziati risposati, dopo aver rilevato che in questo testo sono mescolati “i pensieri e gli approcci personali del Papa” e le “questioni di dottrina”, il card. Burke ricorda che molte persone “serious-minded” della gerarchia ecclesiastica hanno chiesto a Papa Francesco di emettere un documento di chiarimento e si dice fiducioso di una risposta papale sull’argomento e questo semplicemente “per il bene delle anime perché le persone sono sempre più confuse” perché “dalla confusione nasce la divisione e si ottiene il risultato che la gente accusa altra gente”, sia in faccia che alle spalle.

Il Cardinale conclude dicendo: “Credo fermamente che abbiamo bisogno di avere una direzione chiara, una enunciazione più chiara della fede e della sua pratica” e promette: “Io non lascerò mai la Chiesa cattolica. Non importa cosa succede. Intendo morire cattolico romano. Non potrò mai far parte di una scissione. Mi limiterò a mantenere la fede come la conosco e rispondere nel miglior modo possibile. Questo è ciò che il Signore si aspetta da me. Non mi troverete come parte di qualsiasi movimento scismatico o, Dio non voglia, che porta le persone a staccarsi dalla Chiesa cattolica. Per quanto mi riguarda, faccio parte della chiesa di nostro Signore Gesù Cristo e il papa è il suo Vicario sulla terra e io non ho intenzione di essere separato da Lui.”

Matteo Orlando




Con viva preoccupazione: Noi accusiamo Papa Francesco

matt-ferrara-vennari

Di Michael Matt, Christopher Ferrara e John Vennari
su http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/ 

Dichiarazione congiunta da parte di The Remnant e di Catholic Family News
(Pubblicata in tre parti: quella che segue è la prima parte.)

19 settembre 2016
Festività di San Gennaro nel mese della Madonna Addolorata
Santità,

Il seguente discorso, ispirato dalla nostra viva preoccupazione di semplici membri del laicato, potrebbe essere definito un’accusa contro il Suo pontificato, che è stato una calamità per la Chiesa e la delizia dei poteri di questo mondo. L’evento cruciale che ci ha indotti a fare questo passo è stata la rivelazione della Sua lettera ‘confidenziale’ ai vescovi di Buenos Aires, che li autorizza – unicamente in base al Suo punto di vista individuale espresso nell’Amoris Laetitia – ad ammettere determinati pubblici adùlteri che si sono uniti in ‘seconde nozze’ ai sacramenti della Confessione e della Santa Comunione, senza che essi abbiano alcun serio proposito di riformare le loro vite, ponendo fine alle loro relazioni sessuali adultere.

Lei si è spinto fino al punto di sfidare nientemeno che le parole di Nostro Signore – che condannano il divorzio e il “risposarsi” in quanto adulterio per se e senza eccezioni –; l’ammonizione di San Paolo sui castighi divini per la ricezione indegna del Santo Sacramento; l’insegnamento dei Suoi due predecessori immediati, che è in linea con la dottrina bimillenaria e con la disciplina eucaristica della Chiesa, la quale è radicata nella rivelazione divina; il Codice di Diritto Canonico e tutta la Tradizione.

In questo modo Lei ha già provocato una frattura all’interno della disciplina universale della Chiesa: infatti, alcuni vescovi continuano a mantenerla nonostante l’Amoris Laetitia, mentre altri – ivi compresi quelli di Buenos Aires – annunciano un cambiamento basato meramente sull’autorità della Sua scandalosa “esortazione apostolica”. Nella storia della Chiesa non era mai successo niente di simile.

Eppure, i membri conservatori della gerarchia seguono quasi senza eccezioni una politica di silenzio, mentre i progressisti esultano pubblicamente per il trionfo che a Lei devono. Quasi nessun membro della gerarchia si schiera contro la Sua impudente profanazione della sana dottrina e della sana pratica, anche se molti di loro mormorano in privato contro i Suoi abusi. Così, come era successo durante la crisi ariana, tocca ai laici difendere la Fede di fronte a una defezione quasi universale dal proprio dovere da parte delle gerarchie.

Ovviamente noi siamo ben poca cosa, eppure come membri battezzati laici del Corpo Mistico siamo dotati del diritto conferito da Dio e del corrispondente dovere prescritto dalle norme ecclesiastiche (cfr. CIC can. 212) di affrontare con Lei e coi nostri confratelli cattolici l’argomento della crisi acuta che il Suo governo della Chiesa ha provocato all’interno di uno stato già cronico di crisi ecclesiastica che perdura dal Concilio Vaticano Secondo.

Dato che i colloqui privati si sono dimostrati del tutto inutili – come facciamo notare più in basso –, abbiamo pubblicato questo documento per liberarci dal fardello che grava sulla nostra coscienza di fronte al grave danno che Lei ha inflitto, e che minaccia di infliggere, alle anime e al bene della Chiesa, e per esortare i nostri confratelli cattolici a schierarsi in opposizione di principio al Suo continuo abuso dell’officio papale, in particolare per quanto riguarda l’insegnamento infallibile della Chiesa contro l’adulterio e contro la profanazione della Santa Eucarestia.

La decisione di pubblicare questo documento è stata accompagnata dall’insegnamento del Dottore Angelico in materia di giustizia naturale all’interno della Chiesa:

“Va tuttavia notato che, nel caso in cui possa essere pregiudicata la fede, un soggetto può ammonire il suo prelato anche pubblicamente. Per questo Paolo, che era soggetto a Pietro, lo ha rimproverato pubblicamente per via del pericolo immediato di uno scandalo che avrebbe potuto pregiudicare la fede, e, come afferma la glossa di Agostino a Galati 2, 11: ‘Pietro diede un esempio ai superiori di tutti i tempi, vale a dire che se dovesse mai succedere loro di allontanarsi dalla retta via, essi non dovranno disdegnare di essere rimproverati da quanti sono loro soggetti’” [Summa Theologiae, II-II, Q. 33, Art. 4].

Nell’intraprendere questa azione siamo stati guidati anche dall’insegnamento di San Roberto Bellarmino, Dottore della Chiesa, sulla resistenza lecita a un Romano Pontefice sviato:

“Pertanto, com’è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, così pure è lecito resistere a quello che aggredisce le anime o perturba l’ordine civile, o, soprattutto, a quello che tenta di distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli non facendo quello che ordina ed impedendo la esecuzione della sua volontà…” [De Controversiis sul Romano Pontefice, Libro 2, Cap. 29].

Cattolici di tutto il mondo – e non solamente i cosiddetti “tradizionalisti” – sono convinti del fatto che la situazione che Bellarmino ha descritto in via ipotetica sia oggi una realtà. Questo è quanto ci ha indotto a redigere questo documento.

Che Dio sia giudice della rettitudine delle nostre intenzioni.

Michael J. Matt
Direttore di The Remnant

Christopher A. Ferrara
Editorialista di The Remnant e di Catholic Family News

John Vennari
Direttore di Catholic Family News

LIBELLO DI ACCUSA

Per grazia di Dio e in conformità con le norme della Chiesa, presentiamo la nostra rimostranza contro Francesco, Romano Pontefice, a causa dei danni da lui arrecati alla Fede, alle anime dei fedeli e al bene comune della Santa Chiesa Cattolica.

Che razza di umiltà è questa?

La sera in cui Lei fu eletto, parlando dalla balconata della Basilica di San Pietro, Lei dichiarò: “il compito del conclave è quello di dare un vescovo a Roma”. Anche se le folle che si trovavano di fronte a Lei erano costituite da persone provenienti da tutte le parti del mondo, membri della Chiesa universale, Lei ha espresso la Sua gratitudine solamente “per l’accoglienza ricevuta dalla comunità diocesana di Roma”, e ha inoltre manifestato la speranza che “questo viaggio della Chiesa che cominciamo oggi” fosse “fruttuoso per l’evangelizzazione di questa bella città”. Lei chiese ai fedeli che si trovavano in Piazza San Pietro di pregare, non per il Papa, ma “per i loro vescovi”, e disse che il giorno successivo sarebbe andato “a pregare la Madonna, affinché protegga Roma”.

Le Sue strane affermazioni in quell’occasione storica cominciarono con la banale esclamazione: “Fratelli e sorelle, buonasera” e terminarono con un’intenzione altrettanto banale: “Buonanotte e dormite bene!”. In nessun momento, durante il Suo primo discorso, Lei si è mai riferito a se stesso definendosi Papa, né ha fatto alcun riferimento alla dignità dell’officio a cui era stato eletto: quello di Vicario di Cristo, il cui divino mandato è quello di educare, governare e santificare la Chiesa universale e guidare la sua missione di fare discepoli in tutte le nazioni.

Quasi sin dal primo momento della Sua elezione è cominciata una sorta di interminabile campagna di pubbliche relazioni il cui tema di fondo era la Sua singolare umiltà rispetto agli altri Papi, un semplice “Vescovo di Roma”, in contrapposizione con le presunte pretese monarchiche dei Suoi predecessori e dei loro elaborati paramenti e delle loro scarpe rosse, che Lei ha disdegnato. Lei ha manifestato molto presto la Sua volontà di decentrare radicalmente l’autorità papale in favore di una “Chiesa sinodale” che prendesse esempio dalla visione della Chiesa ortodossa del “significato della collegialità episcopale e dalla sua esperienza della sinodalità”. I mass media esultanti hanno immediatamente salutato con entusiasmo “la rivoluzione di Francesco”.

Eppure questa ostentazione di umiltà è stata accompagnata da un abuso del potere legato all’officio papale che non ha precedenti nella storia della Chiesa. Negli ultimi tre anni e mezzo Lei ha promosso incessantemente le Sue opinioni e i Suoi desideri privati senza il benché minimo riguardo nei confronti degli insegnamenti dei Suoi predecessori, della bimillenaria tradizione della Chiesa e senza preoccuparsi affatto degli immensi scandali che Lei ha provocato. In numerosissime occasioni Lei ha turbato e confuso i fedeli e deliziato i nemici della Chiesa pronunciando affermazioni contraddittorie o addirittura eterodosse, accumulando insulto su insulto contro i cattolici osservanti, che Lei deride costantemente definendoli farisei dell’ultima ora e “rigoristi”. Il Suo comportamento personale si è poi spesso abbassato ad atti di buffoneria miranti a compiacere le folle.

Lei ha costantemente ignorato le ammonizioni salutari del Suo predecessore immediato, che si è dimesso dal papato in circostanze misteriose otto anni dopo aver chiesto ai vescovi riuniti di fronte a lui, all’inizio del suo pontificato: “Pregate per me, affinché io non fugga per paura dei lupi”. Per citare la prima omelia in qualità di Papa del Suo predecessore:

“Il Papa non è un monarca assoluto i cui pensieri e i cui desideri sono legge. Al contrario: il ministero pontificale è una garanzia di obbedienza a Cristo e alla Sua Parola. Il Papa non deve proclamare le proprie idee, bensì attenersi ed educare la Chiesa sempre all’obbedienza alla Parola di Dio, contro ogni tentativo di adattarla o di annacquarla e contro ogni forma di opportunismo”.

Un’intromissione selettiva negli affari della politica, ma sempre in modo politicamente corretto

Durante il Suo mandato come “Vescovo di Roma” Lei ha mostrato un riguardo molto scarso alle limitazioni all’autorità e alle competenze papali. Lei si è immischiato in argomenti di politica come per esempio l’immigrazione, il codice penale, l’ambiente, il riallacciamento di relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e Cuba (ignorando le suppliche dei cattolici che si trovano sotto la dittatura di Castro) e persino opponendosi al movimento indipendentista scozzese. Eppure Lei si è rifiutato di opporsi a governi secolari che sfidano la legge divina e la legge naturale adottando misure come la legalizzazione delle “unioni omosessuali”, un tema di legge divina e naturale sul quale un Papa può e deve intervenire.

In realtà, le Sue varie condanne dei mali sociali – prendendo di mira bersagli politicamente inoffensivi – sono tradite ripetutamente dalle Sue azioni, che compromettono la testimonianza della Chiesa contro i multiformi errori della modernità:
Contrariamente all’insegnamento perenne della Chiesa basato sulla Rivelazione, Lei ha chiesto l’abolizione totale, in tutto il mondo, della pena di morte, indipendentemente dalla gravità del crimine, e persino l’abolizione dell’ergastolo; eppure Lei non ha mai chiesto l’abolizione dell’aborto, che la Chiesa ha sempre condannato in quanto sterminio di massa di vite innocenti.

Lei ha dichiarato che i fedeli peccano gravemente se non riciclano i loro rifiuti e non limitano il consumo innecessario di energia, eppure non esita a spendere milioni di dollari in volgari riunioni di massa che si concentrano sulla Sua persona in varie nazioni del mondo, in cui si reca con un vasto entourage su jet privati che immettono nell’atmosfera vaste quantità di emissioni di anidride carbonica.

Lei chiede che l’Europa apra le frontiere ai “rifugiati” musulmani in Europa, che sono in maggioranza uomini in età militare, mentre vive tranquillo dietro le mura dello Stato della Città del Vaticano, che preclude rigidamente l’accesso a chi non vi è residente – mura peraltro erette da Leone IV per prevenire un secondo sacco islamico di Roma.
Lei parla incessantemente dei poveri e delle “periferie” della società ma si allea con la ricca e corrotta gerarchia tedesca e con le celebrità e i potentati del globalismo pro-abortista, pro-contraccezione e pro-omosessuale.

Lei deride il corporativismo avido che cerca solo il profitto e “l’economia che uccide” ma concede udienze private ai più ricchi tecnocrati e ai dirigenti delle corporazioni – da cui riceve sostanziose donazioni – permettendo persino alla Porsche di prendere in affitto la Cappella Sistina per un “grandioso concerto… preparato esclusivamente per partecipanti” che hanno pagato circa 6.000 dollari a testa per un tour romano: si è trattata della prima volta che un Papa ha permesso che questo spazio sacro venisse utilizzato per un evento corporativo.

Lei chiede la fine della “disuguaglianza” e abbraccia dittatori comunisti e socialisti che vivono nel lusso mentre le masse soffrono sotto il loro giogo.
Lei condanna un candidato alla presidenza degli Stati Uniti definendolo “non cristiano” solamente perché vuole prevenire l’immigrazione illegale, ma non dice nulla contro i dittatori atei che Lei abbraccia e che hanno commesso stermini di massa, che hanno perseguitato la Chiesa e che hanno imprigionato cristiani all’interno dei loro regimi polizieschi.

Promovendo le Sue opinioni personali sulla politica in generale e sulle politiche pubbliche in particolare, spacciandole per dottrina cattolica, Lei non ha esitato ad abusare persino della dignità di un’enciclica papale per utilizzarla difendendo teorie scientifiche discutibili e persino dimostrabilmente fraudolente sui “cambiamenti climatici”, sul “ciclo del carbonio”, sull’“inquinamento provocato dall’anidride carbonica” e sull’“acidificazione degli oceani”. Nello stesso documento Lei chiede ai fedeli di reagire a una presunta “crisi ecologica” supportando programmi ambientalisti secolari come gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, che Lei ha elogiato anche se rivendicano l’“accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva”, ossia alla contraccezione e all’aborto.

Un’indifferenza rampante

Pur non essendo affatto un pioniere nell’ambito delle distruttive innovazioni post-conciliari relative all’“ecumenismo” e al “dialogo interreligioso”, Lei ha promosso fino a un grado mai visto, nemmeno durante i peggiori anni della crisi post-conciliare, un’indifferenza nei confronti delle specificità delle religioni che praticamente spazza via la missione della Chiesa come arca della salvezza.

Per quanto riguarda i protestanti, Lei dichiara che sono tutti membri della stessa “Chiesa di Cristo” cui appartengono i cattolici, indipendentemente da quello in cui credono, e che quella delle differenze dottrinali tra cattolici e protestanti è una questione piuttosto banale che può essere risolta tramite un accordo tra i teologi.

Basandosi su questa Sua opinione, Lei ha scoraggiato attivamente le conversioni di protestanti, compresa quella del “Vescovo” Tony Palmer, il quale apparteneva a una setta scismatica anglicana che si propone di ordinare al sacerdozio delle donne.
Come ha raccontato Palmer, quando egli Le ha menzionato il “tornare a casa all’interno della Chiesa cattolica”, Lei le ha dato questa terrificante risposta: “Nessuno torna a casa. Voi venite verso di noi e noi veniamo a voi: alla fine ci incontreremo a metà strada”. Ma a metà che cosa? Palmer morì poco dopo in un incidente di motocicletta. Dietro la Sua insistenza, tuttavia, l’uomo la cui conversione Lei ha materialmente impedito è stato sepolto come un vescovo cattolico: si tratta di un’autentico affronto, contrario all’insegnamento infallibile del Suo predecessore, secondo il quale “le ordinazioni celebrate secondo il rito anglicano sono state e sono assolutamente nulle e completamente non valide” [Leone XIII, Apostolicae curae (1896), DZ 3315].

Per quanto riguarda le religioni in generale, Lei ha adottato come programma virtuale lo stesso errore condannato da Papa Pio XI appena 34 anni prima del Vaticano II: “quella falsa opinione che considera tutte le religioni essere più o meno buone e degne di elogio, dato che manifesterebbero ed esprimerebbero tutte in diversi modi quel senso religioso che è innato in tutti noi e tramite il quale noi saremmo condotti a Dio e al riconoscimento obbediente delle Sue leggi”. Lei ha ignorato completamente l’ammonizione secondo la quale “chiunque difenda quanti sostengono queste teorie e cerchi di metterle in pratica sta abbandonando del tutto la religione divinamente rivelata”. A questo proposito, Lei ha insinuato che persino gli atei possono salvarsi semplicemente facendo il bene, mietendo così gli elogi estasiati dei media.

Sembra che dal Suo punto di vista le tesi eretiche di Rahner sul “cristiano anonimo” che comprenderebbe virtualmente l’intera umanità implicando la salvezza universale abbiano alla fine rimpiazzato l’insegnamento di Nostro Signore, Che afferma il contrario: “Chi crede ed è battezzato sarà salvato, chi non crede sarà condannato” (Mc 16, 16).

(Seguiranno la II e III Parte)
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]




Caterina63
00lunedì 17 ottobre 2016 16:13

Le risposte integrali di don Nicola nell'intervento pubblicato da "La Stampa"

Quest’oggi, il quotidiano La Stampa ha pubblicato, occupando ben due pagine del giornale, un articolo a firma dei dott.ri Giacomo Galeazzi ed Andrea Tornielli, dal titolo Quei cattolici contro Francesco che adorano Putin (vqui). Nello stesso era menzionato anche don Nicola Bux.Il dott. Galeazzi, in effetti, giorni fa, aveva posto a don Nicola cinque domande, di cui riportiamo la trascrizione delle risposte originali.

La prima concerneva le ragioni dell’opposizione, interna alla Chiesa cattolica, così vasta verso il Vescovo di Roma attualmente regnante; la seconda, in continuazione con la prima, riguardava i «singoli casi» contemplati dall’esortazione «Amoris laetitia» per l’accesso dei c.d. divorziati risposati alla Comunione; la terza il dialogo aperto da Francesco con i musulmani; la quarta la libertà di esprimere la propria posizione, anche dissenziente, all’interno della Chiesa; l’ultima, la funzione del papa nella Chiesa.Riteniamo, perciò, cosa utile, in nome del pluralismo ecclesiale e della libertà cristiana, riportare, in esclusiva, per intero la trascrizione delle risposte, volendo in tal modo fornire il contesto delle frasi pubblicate (evidenziate in neretto), al fine di favorire in tal modo anche una più completa comprensione dell’intero pensiero di don Nicola.

1. Un punto di debolezza del pontificato di Francesco mi sembra il venir meno dell’unità cattolica, se si considerano i recenti interventi individuali e collettivi di vescovi: gli argentini della zona di Buenos Aires e i canadesi della regione Alberta, che sull’ammissione dei divorziati risposati alla Comunione, hanno dato interpretazioni opposte. Ciò significa che è finita appunto l’unità cattolica? Il documento che ha provocato questo è l’«Amoris laetitia», l’Esortazione apostolica uscita dai Sinodi sulla famiglia, nei quali erano già emerse le contrapposizioni. Poiché stanno delineandosi prassi opposte, inevitabilmente si porrà la questione al Pontefice: se la morale sia una per tutta la Chiesa cattolica, o a ‘geometria variabile’ in Argentina, in Polonia, etc… Questo causerebbe gravi conseguenze per l’unità della Chiesa. Inoltre, da pastori e teologi autorevoli, è stato detto che parti consistenti dell’Esortazione apostolica, sono in contrasto con l’enciclica di Giovanni Paolo II, «Veritatis splendor», l’ultimo documento del magistero che si è pronunciato in modo sistematico sulla morale cattolica. Quindi, si approfondirà il divario tra chi sostiene la linea della continuità nel magistero e chi vuole voltare pagina fornendo una lettura relativistica della morale? L’«Amoris laetitia», presenta una teologia morale ‘in situazione’ - negli anni ‘70 ne era fautore il gesuita della Gregoriana, Joseph Fuchs - secondo cui l’etica oggettiva deve lasciarsi modulare a seconda delle latitudini e dei casi.

2. I singoli casi, la Chiesa li ha sempre considerati alla luce di una norma oggettiva. Invece adesso si vorrebbe fare il contrario: la norma morale oggettiva viene relativizzata, piegandosi alla mentalità che il mondo vuole oggi imporre alla Chiesa, come appunto per i divorziati risposati civilmente.

3. Il gesuita Samir Khalil Samir ha detto che il Papa è male informato sui cristiani che vengono perseguitati nei paesi a maggioranza islamica: è strano però, che con gli strumenti di informazione attuali, il Pontefice non debba sapere cosa stanno subendo i cristiani nel mondo. In Vaticano giungono ordinariamente i rapporti dalle Nunziature apostoliche.

4. Nella Chiesa cattolica c’è sempre stata la possibilità di esprimere la propria posizione rispettosamente dissenziente verso l’autorità ecclesiastica, anche se si trattasse del Papa. Il cardinale Carlo Maria Martini, notoriamente esprimeva frequentemente, anche per iscritto, il suo dissenso dal pontefice regnante, ma quegli non l’ha destituito da arcivescovo di Milano, o ritenuto un cospiratore.Eppure, per il  fatto che dicesse cose o lanciasse proposte "di rottura", i mass media lo definivano anti-Papa. Oggi, non pochi laici, sacerdoti e vescovi si chiedono: dove stiamo andando? C’è confusione nella Chiesa, che porta a domandarsi, come ha scritto paradossalmente Times lo scorso anno, se il Papa sia cattolico. Ora, specialmente i vescovi, non possono non interrogarsi in merito.

5. Il cattolico sa che il Papa non è un autocrate, ma esprime e conferma la fede della Chiesa fondata da Gesù Cristo: se così non fosse, non sarebbe più in comunione con essa. Insomma, egli deve tutelare la comunione ecclesiale e non favorire la divisione e la contrapposizione, magari mettendosi a capo dei ‘progressisti’ contro i ‘conservatori’; queste categorie politiche, non s’attagliano alla Chiesa: semmai la distinzione è quella tra i cattolici, che sostengono la fede di sempre, e i modernisti che ritengono che questa debba conformarsi alle mode del tempo. Se un pontefice sostenesse una dottrina eterodossa, potrebbe essere dichiarato - per esempio, dai cardinali presenti a Roma -  decaduto ipso iure dal suo ufficio. Ciò è previsto dalla dottrina canonica, ma, grazie a Dio, finora non è accaduto.

Perciò Benedetto XVI ha voluto tenere distinti dal magistero pontificio, i suoi interventi come ‘dottore privato’ - per esempio gli scritti su Gesù di Nazaret - per non impegnare l’assenso dei fedeli. Si deve auspicare dunque che il Papa operi per mantenere la comunione della Chiesa, preservando il deposito della fede, ascoltando, rispettando e valorizzando quanti sono preoccupati di ciò. Se si manifesta simpatia con chi è all’esterno della Chiesa, ancor prima bisogna farlo con i membri del Corpo mistico, come insegnano sant’Agostino e san Tommaso.





RIFLESSIONI DI 23 ANNI FA

e profeticamente pubblicate 

GIOVEDÌ 19 SETTEMBRE 2013

 
Papa Benedetto XVI: parentesi obliterata della storia del Papato o strumento funzionale alla rivoluzione in atto?

leggete:

"E' in maniera che per certi versi ricorda - ed è agghiacciante - l'errore commesso da Giuda, che alcuni vescovi e prelati assieme ai loro assistenti hanno elevato se stessi ad anti-Chiesa all'interno della Chiesa. Essi non vogliono abbandonare la Chiesa. Non intendono separarsi. Non intendono scuotere l'unità della Chiesa. Non intendono obliterare la Chiesa, ma cambiarla in base ai loro piani; ed è ad oggi banale nelle loro teste che i loro piani siano inconciliabili con il piano di Dio rivelato fino ai giorni nostri dal successore di Pietro [Giovanni Paolo II] e dalla sua autorità magisteriale. [...] Essi sono convinti di poter riconciliare questa Chiesa e i suoi nemici attraverso un "decente compromesso", di essere i soli a capire cosa sta accadendo, e di essere i soli a poter assicurare il successo della Chiesa di Cristo compattandola con quella dei leaders mondiali. Ma nella loro devota creazione dell'anti-Chiesa dentro la Chiesa - a partire dal Vaticano fino al livello della vita parrocchiale - hanno alfine minato l'unità della Chiesa [...]." (p.662)
 
"Una indagine degli ultimi 50 anni della storia cattolica conduce alla conclusione che il più grande singolo misfatto nell'ambito dell'alto e del basso clero è stata la tolleranza e la propagazione della confusione sugli elementi chiave della fede cattolica fra tutti i cattolici; questa tollerata confusione è stata un diretto risultato della dissidenza tollerata di teologi e vescovi riguardo gli stessi elementi chiave. Perché tollerare la confusione significa propagare la confusione. Un dovere primario e fondamentale di ogni ufficio ecclesiastico e la responsabilità ecclesiale legata a tutti gli uffici nella Chiesa comprendono il chiarimento, l'inconfondibile insegnamento e l'applicazione delle regole basilari e delle credenze fondamentali che la Chiesa sostiene e dichiara esser necessarie alla salvezza. Se i cattolici hanno qualche diritto nella Chiesa, loro diritto primario è quello di ricevere tale insegnamento inequivocabile e di essere soggetti alla sua schietta e non esitante applicazione. E' d'altro canto relativamente facile identificare i quattro elementi chiave nelle quali ecclesiastici e membri ecclesiali hanno tollerato e propagato la malvagia confusione che colpisce i Cattolici oggi. Questi elementi sono: l'Eucaristia, l'unicità e la verità della Chiesa Cattolica Romana, l'Ufficio Petrino del Vescovo di Roma, e la moralità relativa all'attività riproduttiva umana.  [...]" (p.666-667).
 
"Incontrollato e non ostacolato lo sviluppo sarà il seguente: con il lento lievitare dei vescovi ovunque nello "spirito del Vaticano II", senza alcuna posizione di contrasto adottata dalla Roma papale, è inevitabile che quel che noi possiamo vedere ora chiaramente in un ristretto numero di cardinali ne permeerà un numero sempre maggiore. Ci sono davvero pochi dubbi nella mente di ognuno che cardinali come Bernardine di Chicago, Hume di Westminster, Danneels di Bruxelles, Arns di San Paolo ed Etchegaray siano partigiani dello "spirito del Vaticano II". 
Ci sono di certo cardinali vivi oggi che, assieme a molti altri che ne verranno creati, eleggeranno il successore di Giovanni Paolo. Tutto sarà messo in atto nel prossimo Conclave da una struttura ecclesiale nella quale hanno lavorato per almeno 25 anni e non hanno fatto nulla per piegare, combattere o solo correggere le aberrazioni dello "spirito del Vaticano II", ma lo hanno fomentato passivamente (non facendo nulla) o attivamente (perché sposavano lo stesso "spirito del Vaticano II"). Questi cardinali verranno da diocesi nelle quali la vasta maggioranza dei vescovi non conoscerà e non vorrà conoscere nulla di ciò che non gli sembrerà coerente con lo "spirito del Vaticano II". Le parrocchie e le diocesi dietro di loro saranno già completamente lievitate nello stesso "spirito". [...]" (p.683)
 
"La riduzione del Papa nel suo alto ufficio sarà il risultato della convinzione che l'originale Ufficio Petrino e Papale come praticato dai Papi Romani fino all'ultimo terzo del XX secolo non sia stato in realtà nient'altro che il risultato condizionato dal tempo di mode culturali che si estendono all'indietro per secoli; e che ora è tempo di degradarne l'importanza per poter liberare lo "spirito del Vaticano II" per modellare la Chiesa in una immagine che sia adeguata alla concezione progressista di un'epoca nuova e molto diversa da quella precedente. 
I Cattolici vedranno allora lo spettacolo di un Papa validamente eletto che separerà l'intero corpo della Chiesa, sciolto dalla sua unità tradizionale e la struttura apostolica orientata al papato che la Chiesa aveva finora creduto di istituzione divina. 
Il brivido che scuoterà il corpo della Chiesa Cattolica in quei giorni sarà il brivido della sua agonia. Perché le sue pene verranno dal suo interno, orchestrate dai suoi leaders e dai suoi membri. Nessun nemico esterno avrà portato a questa situazione. Molti accetteranno il nuovo regime. Molti resisteranno. Tutti saranno frammentati. Nessuno potrà più contenere insieme sulla terra i membri sparsi del visibile corpo della Chiesa Cattolica come fosse una compatta organizzazione vivente." (p.684)
 
Malachi Martin, The Keys of This Blood, Simon and Schuster, 1990. 
 




qui, attenzione, NON è Socci che parla   Socci non dice una parola.... ci sono solo PAPI AL CONFRONTO con l'uso di stessi termini e concetti.... tutti gli altri Papi non temono di condannare ciò che vi è da condannare, uno solo impone un cambiamento di rotta del pensiero cattolico...... non è un caso se San Paolo ci ammonisce a fare attenzione alle NOVITA' attraverso le quali, "stanchi della solita dottrina" avverrà l'apostasia 



<header class="page-header">

DA UNA PARTE BERGOGLIO; DALL’ALTRA PARTE TUTTI I PAPI DELLA CHIESA CATTOLICA, APOSTOLICA ROMANA

SCRITTO IL 

</header><header class="entry-header">
 
</header>
Papa Francesco Gli altri Papi
È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari.

 

Francesco, Amoris Laetia

Ci si chiederà come la legge morale , che è universale , può bastare , e nello stesso tempo essere vincolante in un caso singolare, il quale nella sua situazione concreta è sempre unico e di “ una volta” . Lo può e lo fa , perché giustamente a causa della sua universalità la legge morale comprende necessariamente ed “intenzionalmente”   tutti i casi particolari , all’interno dei quali si verificano i suoi concetti. E in questi casi numerosissimi lo fa con una logica così concludente , che la stessa coscienza del semplice fedele vede immediatamente e con piena certezza la decisione da prendere .. . Non c’è da esaminare. Qualunque sia la situazione individuale, non c’è altro esito che obbedire.

 

Pio XII , discorso 18 Aprile 1952

 

 

Papa Francesco Gli altri Papi
E – aldilà delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa – abbiamo visto anche che quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo – quasi! – per il vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra; ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere solo confusione. In realtà, le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale – come ho detto, le questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa – ogni principio generale ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato.

 

(Discorso di chiusura del Sinodo sulla famiglia , 24 Ottobre 2015)

Così, riteniamo necessaria una parola circa la necessità di trovare una migliore espressione della fede, in corrispondenza con l’ambiente razziale, sociale, culturale. È questa, certo, un’esigenza necessaria all’autenticità e all’efficacia dell’evangelizzazione: tuttavia, sarebbe pericoloso parlare di teologie diversificate, secondo i continenti e le culture. Il contenuto della fede o è cattolico, o non è tale. Noi tutti, d’altra parte, abbiamo ricevuto la fede da una tradizione ininterrotta e costante: Pietro e Paolo non l’hanno travestita per adattarla all’antico mondo giudaico, greco o romano, ma hanno vegliato sulla sua autenticità, sulla verità dell’unito messaggio, presentato nella diversità dei linguaggi (Act. 2, 8).

 

Paolo VI Discorso di chiusura Sinodo 26 Ottobre 1974)

 

Papa Francesco Altri Papi
Il fondamentalismo è una malattia che c’è in tutte le religioni. Noi cattolici ne abbiamo alcuni, non alcuni, tanti, che credono di avere la verità assoluta e vanno avanti sporcando gli altri con la calunnia, con la diffamazione, e fanno male, fanno male .

 

(Intervista di ritorno dall’Africa 30 Novembre 2015)

Atteggiamento che non ci insuperbisce, come detentori fortunati ed esclusivi della verità, ma ci fa però forti e coraggiosi nel difenderla, amorosi nel diffonderla. Ancora. Sant’Agostino ce lo ricorda: «Sine superbia de veritate praesumite», senza superbia siate fieri della verità (Contra litteras Petiliani, 1, 29, 31. – P.L. 43, 259).

 

Paolo VI Udienza Generale 11 Agosto 1965

 

 

Papa Francesco Altri papi
Non ho mai compreso l’espressione valori non negoziabili. I valori sono valori e basta, non posso dire che tra le dita di una mano ve ne sia una meno utile di un’altra. Per cui non capisco in che senso vi possano esser valori negoziabili.

 

Intervista Corriere della Sera 5 Marzo 2014

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, l’interesse principale dei suoi interventi nell’arena pubblica è la tutela e la promozione della dignità della persona e quindi essa richiama consapevolmente una particolare attenzione su principi che non sono negoziabili. Fra questi ultimi, oggi emergono particolarmente i seguenti:

 

– tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale;

– riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, e sua difesa dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale;

– tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli.

Benedetto XVI discorso ai partecipanti convegno promosso dal Partito Popolare Europeo 30 Marzo 2006

 

Papa Francesco Altri papi
Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza: «I giovani battezzati vanno incoraggiati a non esitare dinanzi alla ricchezza che ai loro progetti di amore procura il sacramento del matrimonio, forti del sostegno che ricevono dalla grazia di Cristo e dalla possibilità di partecipare pienamente alla vita della Chiesa». La tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo, o un eccessivo rispetto al momento di proporlo, sarebbero una mancanza di fedeltà al Vangelo e anche una mancanza di amore della Chiesa verso i giovani stessi. Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano.Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture.

 

Amoris Laetitia 307

Considerare l’indissolubilità non come una norma giuridica naturale, ma come un semplice ideale, svuota il senso dell’inequivocabile dichiarazione di Gesù Cristo, che ha rifiutato assolutamente il divorzio perché “da principio non fu così” (Mt 19,8).

 

San Giovanni Paolo II , discorso Rota Romana 28 Gennaio 2002

 

Una sinossi analoga si può fare per molti altri temi fondamentali, con gli stessi risultati





Caterina63
00mercoledì 19 ottobre 2016 23:44
EDITORIALE  Tutti gli editoriali 

Risultati immagini per faccia papa francesco

In una lunga intervista pubblicata ieri dalla Civiltà Cattolica, papa Francesco parla del suo prossimo viaggio a Lund, per la commemorazione del 500esimo anniversario della nascita della riforma luterana. Alcune affermazioni su Lutero non mancheranno di creare dibattito. Ecco perché....

di Riccardo Cascioli

«Papa Francesco: Riforma e Scrittura, i cattolici imparino da Lutero»: così titolava ieri sera Repubblica.it, riproponendo il solito giochino del forzare le parole del Papa per far passare il messaggio voluto. L’oggetto dell’articolo in questo caso è la lunga intervista (clicca qui) a Papa Francesco pubblicata ieri da La Civiltà Cattolica online in vista della visita del 31 ottobre a Lund (Svezia) dove commemorerà con le autorità luterane il 500esimo anniversario della Riforma protestante. In realtà papa Francesco fa un ragionamento articolato -  che non viene rispecchiato affatto dal titolo di Repubblica - per rispondere alla domanda su cosa «la Chiesa cattolica potrebbe imparare dalla Riforma luterana».

Ma detto questo, non c’è però dubbio che nell’intervista alla Civiltà Cattolica ci sono diverse affermazioni del Papa che quanto meno sollevano delle domande, richiedono chiarimenti. Ne cito solo alcune.

La prima questione riguarda il Lutero “riformatore”. Il Papa lo aveva definito tale già lo scorso giugno nella conferenza stampa in aereo di ritorno dall’Armenia, e nell’intervista lo ribadisce: Lutero voleva riformare la Chiesa – una Chiesa che è sempre da riformare - «voleva porre rimedio a una situazione complessa», voleva iniziare un «processo» di riforma. Questioni politiche hanno fatto sì però che quelle intenzioni buone si trasformassero in uno «stato» di separazione.

Tale lettura però ci fa chiedere cosa si debba intendere per riforma nella Chiesa. Pur senza addentrarci in discorsi teologici che sono fuori dalla nostra portata, è evidente che non ogni desiderio di «porre rimedio» a storture può essere considerato una buona riforma. Del resto sappiamo che nella storia, anche recente, in nome della giustizia si sono consumati i peggiori bagni di sangue, ovvero ingiustizie ancora più grandi. 

Non si può invece dimenticare che parallelamente alla Riforma luterana si sviluppò una Riforma cattolica, che non può essere considerata una semplice reazione (Controriforma) al movimento luterano. La Riforma cattolica produsse un grande rinnovamento e una fioritura di santità nel XVI secolo (Sant’Ignazio di Loyola, san Filippo Neri, San Francesco di Sales, Santa Teresa d’Avila, San Camillo de Lellis, San Carlo Borromeo, solo per citarne alcuni) che condizionarono la vita della Chiesa per i secoli successivi. Non è stato proprio Francesco ad affermare più volte che i veri riformatori sono i santi?

In ogni caso le due riforme non possono essere considerate alla stessa stregua: se è dai frutti che si riconosce l’albero, bisogna dire che hanno dato frutti opposti, basta ripercorrere la storia.

A questo proposito c’è la seconda questione: il “Lutero delle buone intenzioni” a un certo punto dovrà fare i conti con il “Lutero della storia”. Il “contenuto” della Riforma di Lutero ben difficilmente può essere circoscritto alla correzione di alcune ingiustizie che venivano perpetrate nella Chiesa allora. Egli predica una dottrina ben diversa, vale a dire che crede in cose diverse: abolisce i sacramenti, elimina alcuni libri canonici, attacca violentemente il Papato, cambia la concezione della Grazia. A questo si aggiunga poi il Lutero “politico” (vedi intervista al professor Castellano che abbiamo pubblicato ieri) e anche il suo acceso antisemitismo, al punto che sono in molti a sostenere che l’Olocausto abbia delle radici luterane.

Non sono differenze di poco conto; è comprensibile che nella prospettiva di un cammino verso l’unità si parta da ciò che unisce – e qui il Papa parla di “ecumenismo del sangue” e di comune impegno per i poveri -, ma allo stesso tempo è ben difficile costruire un’unità che non sia fondata sulla verità.

Sulla “Scrittura”, papa Francesco dice che «Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo». Pur riconoscendo il positivo che da questo è venuto, non si può fare a meno di valutare anche la storia successiva, fino ai nostri giorni. La lettura “personale” della Bibbia – con conseguente differenza di interpretazioni -, unita alla mancanza di un’autorità riconosciuta da tutti, ha avuto come esito il moltiplicarsi di denominazioni protestanti, al punto che oggi sono alcune migliaia. Sicuro che questo possa essere un modello virtuoso?

 

 

  Quanti errori, Santità. E qualcuno da matita blu

A Francesco piace parlare a ruota libera, con tutti i rischi del caso. Ecco una rassegna dei suoi ultimi infortuni, una dozzina in quattro mesi. Il più clamoroso con la Cina 

di Sandro Magister




ROMA, 19 ottobre 2016 – Lo scorso giugno www.chiesa ha registrato e analizzato un certo numero di equivoci, gaffe, vuoti di memoria, errori nei discorsi di papa Francesco:

> Il papa non è infallibile. Eccone otto prove (13.6.2016)



Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

14.10.2016
> A Roma sì, a Firenze no. Ecco come "Amoris laetitia" divide la Chiesa
Nella diocesi del papa i divorziati risposati possono fare la comunione, in altre diocesi italiane no. Perché ogni vescovo decide come vuole. Un vademecum del cardinale Antonelli per i confessori che vogliono restare fedeli alla dottrina di sempre

11.10.2016
> Altro che buon esempio per il mondo. La Chiesa tedesca è un buco nero
Soldi, burocrazia, mondanità, scomuniche per chi non paga. Il tagliente atto d'accusa di Joseph Ratzinger contro il cattolicesimo di Germania. Lo stesso che gode dei favori di papa Francesco

6.10.2016
> La riforma della riforma "si farà". La vuole anche il papa
È ciò che Francesco ha detto in privato al cardinale Sarah, salvo poi sconfessare tutto con un comunicato. Ma il prefetto della liturgia la promette di nuovo, in un suo libro da oggi in vendita, dal titolo: "La forza del silenzio"

__________


Per altre notizie e commenti vedi il blog che Sandro Magister cura per i lettori di lingua italiana:

> SETTIMO CIELO





Ma a quale chiesa appartiene papa Bergoglio?

lutero-e-papa-francesco

(di Roberto de Mattei) Due ricorrenze si sovrappongono nel 2017: i 100 anni delle apparizioni di Fatima, avvenute tra il 13 maggio e il 13 ottobre 1917, e i 500 anni della rivolta di Lutero, iniziata a Wittenberg, in Germania, il 31 ottobre 1517. Ma cadono il prossimo anno anche altri due anniversari, di cui meno si parla: i trecento anni della fondazione ufficiale della massoneria (Londra, 24 giugno 1717) e i cento anni della Rivoluzione russa del 26 ottobre 1917 (calendario giuliano in uso nell’Impero russo: 8 novembre secondo il calendario gregoriano).

Eppure tra la Rivoluzione protestante e quella comunista, passando per la Rivoluzione francese, figlia della massoneria, corre un indissolubile filo rosso che Pio XII, nel celebre discorso Nel contemplare del 12 ottobre 1952, ha riassunto in tre fasi storiche, corrispondenti al protestantesimo, all’illuminismo e all’ateismo marxista: «Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto; anzi: Dio non è mai stato». Nelle prime negazioni del protestantesimo – ha osservato Plinio Corrêa de Oliveira – erano già impliciti gli aneliti anarchici del comunismo: «Se dal punto di vista della formazione esplicita Lutero era soltanto Lutero, tutte le tendenze, tutto lo stato d’animo, tutti gli elementi imponderabili dell’esplosione luterana portavano già in sé, in modo autentico e pieno, sebbene implicito, lo spirito di Voltaire e di Robespierre, di Marx e di Lenin» (Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Sugarco, Milano 2009, pp. 61-62).

Sotto questo aspetto gli errori che la Russia sovietica diffuse a partire dal 1917 furono una catena di aberrazioni ideologiche che da Marx e da Lenin risalivano ai primi eresiarchi protestanti. La Rivoluzione luterana del 1517 può essere dunque considerata uno degli eventi più nefasti della storia dell’umanità, al pari di quella massonica del 1789, e di quella comunista del 1917. E il messaggio di Fatima, che ha previsto la diffusione degli errori comunisti nel mondo, contiene implicitamente in sé il rifiuto degli errori del protestantesimo e della Rivoluzione francese.

L’inizio del centenario delle apparizioni di Fatima, il 13 ottobre 2016, è stato seppellito da una coltre di silenzio. Quello stesso giorno Papa Francesco ha ricevuto nell’aula Paolo VI un migliaio di “pellegrini” luterani e in Vaticano è stata onorata una statua di Martin Lutero, come appare dalle immagini che Antonio Socci, tra i primi, ha diffuso sulla sua pagina facebook.

Il prossimo 31 ottobre, inoltre, papa Francesco si recherà a Lund, in Svezia, dove parteciperà alla cerimonia congiunta luterano-cattolica per commemorare il 500° anniversario del protestantesimo. Come si legge nel comunicato redatto dalla Federazione Luterana Mondiale e dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, l’obiettivo dell’evento è «di esprimere i doni della Riforma e chiedere perdono per la divisione perpetuata dai cristiani delle due tradizioni».

Il teologo e pastore valdese Paolo Ricca, impegnato da decenni nel dialogo ecumenico, ha espresso la sua soddisfazione «perché è la prima volta che un papa commemora la Riforma. Ciò a mio avviso costituisce un passo avanti rispetto ai traguardi significativi che si sono raggiunti con il Concilio Vaticano II, il quale – includendo nei suoi testi e così valorizzando alcuni principi e temi fondamentali della Riforma – segnò una svolta decisiva nei rapporti tra cattolici e protestanti. Partecipare alla commemorazione, come si appresta a fare il sommo rappresentante della Chiesa cattolica, significa, a mio parere, considerare la Riforma un evento positivo nella storia della Chiesa che ha fatto bene anche al cattolicesimo. La partecipazione alla commemorazione è un gesto di grande rilevanza anche perché il papa si reca a Lund, in casa dei luterani; come fosse uno di famiglia. La mia impressione è che lui, in un modo che non saprei definire, si senta parte anche di quella porzione di cristianità che è nata dalla Riforma».

Secondo lo stesso Ricca, il principale contributo offerto da Papa Francesco è «il suo sforzo di reinventare il papato, ossia la ricerca di un modo nuovo e diverso di intendere e vivere il ministero del vescovo di Roma. Questa ricerca – supposto che la mia lettura colga almeno un poco nel segno – potrebbe portare molto lontano perché il papato – per il modo in cui è stato inteso e vissuto negli ultimi 1000 anni – è uno dei grandi ostacoli all’unità dei cristiani. Mi sembra che papa Francesco si stia muovendo verso un modello di papato diverso da quello tradizionale, rispetto al quale le altre Chiese cristiane potrebbero assumere posizioni nuove. Se così fosse, questo tema potrebbe essere completamente ripensato in ambito ecumenico». Il fatto che l’intervista sia stata pubblicata, il 9 ottobre da Vatican Insider, considerato un sito semi-ufficioso del Vaticano, fa ritenere che questa interpretazioni del viaggio di Lund e delle intenzioni pontificie, sia autorizzata e gradita a papa Francesco.

Nel corso dell’udienza ai luterani del 13 ottobre, papa Bergoglio ha anche detto che il proselitismo, è «il veleno più forte» contro l’ecumenismo. «I più grandi riformatori sono i santi – ha aggiunto – e la Chiesa va sempre riformata». Queste parole contengono allo stesso tempo, come è frequente nei suoi discorsi, una verità e un inganno. La verità è che i santi, da san Gregorio VII a san Pio X, sono stati i più grandi riformatori.

L’inganno consiste nell’insinuare che gli pseudo-riformatori, come Lutero, siano da considerarsi santi. L’affermazione secondo cui il proselitismo, ovvero lo spirito missionario, è «il veleno più forte contro l’ecumenismo» deve essere invece capovolta: l’ecumenismo, come oggi lo si intende, è il veleno più forte contro lo spirito missionario della Chiesa. I santi sono sempre stati mossi da questo spirito, a cominciare da quei gesuiti che nel XVI secolo approdavano in Brasile, in Congo e nelle Indie, mentre i loro confratelli Diego Lainez, Alfonso Salmeron e Pietro Canisio, riuniti nel Concilio di Trento combattevano gli errori del luteranesimo e del calvinismo. Ma per papa Francesco chi è al di fuori della Chiesa cattolica non deve essere convertito. Nell’udienza del 13 ottobre, rispondendo a braccio alle domande di alcuni giovani ha detto: «A me piacciono tanto i luterani buoni, i luterani che seguono veramente la fede di Gesù Cristo. Invece non mi piacciono i cattolici tiepidi e i luterani tiepidi». Con un’altra deformazione del linguaggio papa Bergoglio definisce “luterani buoni” quei protestanti che non seguono la fede di Gesù Cristo, ma una sua deformazione e “cattolici tiepidi” quei figli della Chiesa ferventi che rifiutano l’equiparazione tra la verità della religione cattolica e l’errore del luteranesimo

Tutto questo porta a chiedersi che cosa accadrà a Lund il 31 ottobre. Sappiamo che la commemorazione comprenderà una celebrazione comune fondata sulla guida liturgica cattolico-luterana Common Prayer (Preghiera Comune), elaborata sulla base del documento Dal conflitto alla comunione. Commemorazione comune luterano-cattolica della Riforma nel 2017, redatto dalla Commissione cattolico-luterana romana per l’unità dei cristiani. C’è chi giustamente paventa una “intercomunione” tra cattolici e luterani, che sarebbe sacrilega, perché i luterani non credono nella  transustansazione. Ma soprattutto si dirà che Lutero non è un eresiarca, ma un riformatore ingiustamente perseguitato, e che la Chiesa deve recuperare i “doni della riforma”. Chi si ostina a considerare giusta la condanna di Lutero e a considerare eretici e scismatici i suoi seguaci deve essere duramente riprovato e escluso dalla chiesa di papa Francesco. Ma a quale chiesa appartiene dunque Jorge Mario Bergoglio? (Roberto de Mattei)





Paolo VI: Lutero fu un falso riformatore

 Montini: Lutero falso riformatore;
la sua è la religiosità dell’uomo cieco sui misteri di Dio

 Dalla prefazione di mons. Giovanni Battista Montini al libro di Jacques Maritain Tre Riformatori. Lutero, Cartesio, Rousseau(Morcelliana, 1928)

 

«Il libro […] rintraccia le origini del soggettivismo contemporaneo, in cui si vuole dai più ravvisare quel peculiare carattere che costituisce la modernità del pensiero, e che una esperienza altrettanto dolorosamente moderna denuncia come causa delle tre grandi rivoluzioni, eufemisticamente chiamate riforme – religiosa con Lutero, filosofica con Cartesio, sociale con Rousseau –, di cui soffre l’anima e il secolo nostro, e di cui, infatuata com’è di quei dogmi riformatori, l’età nostra non riesce a scoprire né rimedio, né scampo.

Così che se coloro i quali della modernità si gloriano, come della propria ragione di vivere e di pensare, potessero persuadersi non essere tale modernità svincolata da una esorbitante influenza del passato, […] sarebbero indotti a riconoscere nel relativismo individualista, prodotto dal soggettivismo, non già una fonte ed una veste di libera personalità, ma un abbandono inavvertito e spesso servile all’opprimente gioco delle condizioni esteriori in cui essi hanno cominciato a studiare e a pensare.

[…] la triplice riforma, la quale voleva non solo mutare, ma addirittura abbattere il principio della tradizione con il principio individualista, non [ha] fatto altro che inaugurare un’altra tradizione, a cui non il dogma del vero oggettivo è sostegno, ma il dogma arbitrario e asseverante del riformatore.

[…] quando il seguace dei riformatori, ch’è il figlio del nostro mondo attuale, dopo d’essersi riconosciuto discepolo, passi a riconoscere il valore dei maestri suoi, e possa accorgersi che ad essi una sola cosa mancò – quella propria ch’è da tutti invece loro attribuita come eminentemente illustrata e vissuta, e per la quale divennero celebri -, da quale stupore, da quale disillusione e forse da quale umile e benefico desiderio di novità antica, non dovrà sentirsi sorpreso?

Poiché a Lutero mancò la religione, a Cartesio la ragione, a Rousseau la moralità sociale, non già perché rispettivamente essi abbiano verbalmente negato tale campo di loro competenza, o in esso non abbiano prodotto grandissime opere e causato durevolissime conseguenze, ma perché, riformatori volendo essere, e radicali, in realtà o in genere, negarono il principio delle cose prese a riformare; così che da Lutero ai nostri giorni, la religione piegò in religiosità, rimanendo senza altro contenuto che l’emozione dell’uomo rifatto cieco sui misteri di Dio; dopo Cartesio la filosofia si umiliò nel dubbio, fino a disperare del vero, e restar paga delle proprie esperienze immanentistiche; e la società, che in Rousseau vide il sistematore nuovo, tumultuò e perdette il primitivo amore che l’unificava, e decadde così, lottando e soccombendo travagliata da furori sovversivi e anarchici.

Perciò se la sapienza di queste limpide pagine potesse convincere qualche giovane che s’ha da esser cauti a parlar di riforme, cioè ad inventare sistemi nuovi e mai prima scoperti, e a procedere nel pensiero e nella vita con la spavalda e avventurosa libertà degli egoisti e dei rivoluzionari, credo che sarebbe raggiunto scopo sufficiente e opportuno anche per i nostri tempi e per il nostro paese».

 

Da: http://www.iltimone.org/35222,News.html 



<header class="entry-header">

LUTERO MON AMOUR. FEBBRE ECUMENICA, MA I CATTOLICI HANNO DOVUTO SUDARE PER AVERE LA MESSA COL PAPA.

</header>

arborelius

Marco Tosatti

Hanno dovuto strillare un po’, i cattolici scandinavi per ottenere una messa con il Papa. Inizialmente infatti nel viaggio ecumenico a Lund, che ha sollevato – e continuerà a sollevare – un dibattito di grande ampiezza, per la celebrazione dei 500 anni dalla riforma luterana, un incontro di qualsiasi tipo con i cattolici non era previsto.

E c’è voluto non poco tempo, e non pochi sforzi e insistenza da parte dei vescovi del piccolo gregge (circa 115mila fedeli, in gran parte immigrati; ma ci sono molte conversioni “locali” ogni anno) presso la Segreteria di Stato per ottenere quella che sembrava una cosa naturale, e cioè l’incontro del Vicario di Cristo con il suo gregge. Un gregge che vive da secoli in condizioni di discriminazione. Forse attenuate oggi, ma comunque sempre presenti.

E alla fine c’è scappata una messa. In uno stadio, concesso senza troppo entusiasmo, a quello che ci si dice, anzi, in una parte di stadio. Infatti bisogna stare attenti a non guastare il tappeto verde, e alla messa è riservato un settore sul quale è stato possibile adottare misure di protezione e copertura.

Di questa messa “strappata” il Pontefice parla in una lunga intervista concessa a padre Ulf Jonsson S.J., direttore della gesuita svedese “Signum”.

Il Pontefice dice: “Non si può essere cattolici e settari. Bisogna tendere a stare insieme agli altri. ‘Cattolico’ e ‘settario’ sono due parole in contraddizione. Per questo all’inizio non prevedevo di celebrare una Messa per i cattolici in questo viaggio: volevo insistere su una testimonianza ecumenica. Poi ho riflettuto bene sul mio ruolo di pastore di un gregge cattolico che arriverà anche da altri Paesi vicini, come la Norvegia e la Danimarca. Allora, rispondendo alla fervida richiesta della comunità cattolica, ho deciso di celebrare una Messa, allungando il viaggio di un giorno.

Infatti volevo che la Messa fosse celebrata non nello stesso giorno e non nello stesso luogo dell’incontro ecumenico per evitare di confondere i piani. L’incontro ecumenico va preservato nel suo significato profondo secondo uno spirito di unità, che è il mio. Questo ha creato problemi organizzativi, lo so, perché sarò in Svezia anche nel giorno dei Santi, che qui a Roma è importante. Ma pur di evitare fraintendimenti, ho voluto che fosse così”.

Il presule di Stoccolma mons. Anders Arborelius, (nella foto) primo presule di etnia svedese dall’inizio della Riforma luterana, parla delle conversioni:

“Ogni anno si registrano nuove conversioni dalla Chiesa di Svezia, e alcuni di questi nuovi cattolici sono ex ministri del culto, maschi o femmine. Ultimamente, però, un buon numero di convertiti provengono dalle Chiese libere. Sono spinti da diversi motivi. Alcuni sono attratti dalla spiritualità cattolica, dalla fedeltà alla tradizione, dalla dottrina sociale, dal carattere universale della Chiesa. Sono un centinaio, più o meno, le conversioni ogni anno”.

L’intervista è stata pubblicata da Zenit.



Scalfari portavoce del Papa, ormai è un fatto
di Riccardo Cascioli

12-11-2016
Eugenio Scalfari

Questo vale anche per le ultime uscite, le conferenze stampa in aereo e i colloqui con il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, l’ultimo dei quali ieri veniva riportato in due paginoni del quotidiano romano. 

Eppure è difficile sfuggire a una sensazione di disagio, perfino di amarezza, nel leggere il resoconto di questi colloqui trasformati in intervista. Quando a pochi mesi dall’inizio del pontificato uscì la prima (clicca qui), fu facile prendersela con uno “scorretto” Scalfari che pubblicò come intervista quello che era stato un lungo colloquio privato. Lo stesso anziano giornalista fu poi costretto ad ammettere che aveva trascritto a memoria, non avendo né registrato né preso appunti: più o meno quelli erano gli argomenti, più o meno era il senso, ma magari le parole non erano proprio quelle.

Il “fattaccio” si ripeté qualche mese più tardi, un colloquio privato con Scalfari trasformato in intervista da vendere su Repubblica (clicca qui). Da allora ogni tanto Scalfari ci spiega che il Papa lo chiama al telefono per spiegargli questo o quello. Ora, dopo tre anni, bisogna ammettere – pur restando le scorrettezze di Scalfari – che quello di papa Francesco è un modus operandi. Come ha dimostrato in queste settimane - prima con l’incontro con i luterani a Lund e poi ora con i movimenti popolari in Vaticano – ha preso l’abitudine di telefonare o incontrare Scalfari in occasioni di incontri importanti del suo pontificato per spiegargli il significato dell’evento e il suo progetto globale, ben cosciente che il fondatore di Repubblica lo riporterà sul suo giornale.

Il disagio non sta nella familiarità che il Papa ha instaurato con uno dei campioni italiani del laicismo, anzi: in sé è bella questa capacità di instaurare rapporti umani con chi è lontano. Ma è quantomeno curioso, per non dire fastidioso, che i fedeli debbano leggere da Scalfari ciò che il Papa pensa della Chiesa e quale sia la sua visione del cristianesimo. 

A questo si aggiunge poi il contenuto di queste “spiegazioni”, a dir poco problematico. Nell’articolo del 30 ottobre, alla vigilia della cerimonia di Lund (clicca qui), Scalfari riferiva di una telefonata ricevuta tre giorni prima in cui papa Francesco gli spiegava che il suo obiettivo è l’affratellamento di tutte le religioni visto che tutte credono in un unico Dio; e l’unificazione delle chiese cristiane. Quanto alla misericordia poi, riferisce sempre Scalfari, papa Francesco «adotta il punto centrale della Riforma luterana quando supera l’intermediazione dei sacerdoti tra i fedeli e Dio». 

Nell’intervista di ieri (clicca qui) scopriamo invece che «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere», per non parlare di teorie già note come il denaro radice di tutti i mali e la disuguglianza «il male maggiore che esiste al mondo».

Quanto è citato alla lettera da Francesco, quanto è una approssimazione di Scalfari non è dato sapere, ma ciò che lascia a disagio è il fatto che il moltiplicarsi di interviste, dichiarazioni, conferenze stampa sta creando un Magistero di fatto che si afferma grazie alla grancassa offerta dalla grande stampa.

E questo diventa motivo di scandalo, nel senso letterale del termine: disorienta e confonde molti cattolici, anche perché spesso si tratta di frasi che vengono poi usate e abusate da chi se ne serve per i sui scopi di distruzione della Chiesa. Basti pensare cosa Scalfari deduce dalle parole del Papa e come la stessa Repubblica tratta le vicende ecclesiali.




Caterina63
00mercoledì 14 dicembre 2016 23:30

  Verità, giustizia, misericordia. Per un’analisi del “metodo Francesco"

scritto da 

«Io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio.» Parola di papa Francesco. Il concetto non è nuovo, perché già espresso, più compiutamente, dal cardinale Carlo Maria Martini nell’intervista al confratello gesuita Georg Sporschill. Il problema è che adesso qualcuno si pone una domanda analoga, ma con un soggetto diverso. Al posto di Dio c’è il papa: Francesco è cattolico?

Settembre 2015, vigilia del viaggio di Francesco negli Stati Uniti. Su uno sfondo nero come la pece, il volto di papa Francesco appare in penombra. È la copertina di «Newsweek», e l’espediente è noto: quando si vuol mettere in discussione il romano pontefice lo si dipinge sempre così, oppure di spalle. Ma è il titolo a colpire di più: «Is the Pope Catholic?». Il papa è cattolico?

Il settimanale americano, espressione di ambienti culturali, religiosi e politici certamente non favorevoli alla Chiesa cattolica, mette in bella evidenza la domanda provocatoria, che nasce dalle famose parole di Francesco, «chi sono io per giudicare un gay?» e, più in generale, dalla linea pastorale di papa Bergoglio, improntata non alla condanna ma alla misericordia, non al conflitto con la modernità ma al dialogo.

L’operazione del settimanale è trasparente. Ponendo la domanda, prende, come si suol dire, due piccioni con una fava: accusa implicitamente la Chiesa pre-Bergoglio di essere sempre stata retrograda e nello stesso tempo mette il dito nella piaga delle divisioni che il papa argentino, con le sue scelte e la sua linea, sta provocando in campo cattolico.

Il settimanale, infatti, si premura di spiegare che nei sondaggi americani Francesco è in caduta libera, perché molti cattolici conservatori lo vedono come una quinta colonna della sinistra e dell’ecologismo, però riconosce che il papa è un «superbo comunicatore» e spiega che è anche «uno scaltro custode dell’immagine del cattolicesimo», in quanto «rende superflua la necessità di ricordare ciò in cui crede» e si affida a gesti eloquenti come la rinuncia a vesti principesche, l’utilizzo di un’utilitaria per gli spostamenti e la scelta di vivere in una piccola stanza a Santa Marta.

Il titolo del settimanale americano fa riflettere: se a qualcuno è venuta in mente quella domanda, vuol dire che Francesco, in qualche maniera, la sta legittimando? Nelle parole, nell’insegnamento e nei gesti di questo papa c’è davvero qualcosa che si scontra con la fede cattolica o, per lo meno, non la rispecchia pienamente?

8 dicembre 2015. Con un appello, il quindicinale americano «The Remnant», espressione di gruppi cattolici tradizionalisti, chiede a papa Bergoglio di farsi da parte perché «un numero crescente di Cattolici, tra i quali anche diversi cardinali e vescovi, cominciano a riconoscere che il suo pontificato […] è parimenti causa di grave danno per la Chiesa Cattolica. È diventato ormai impossibile negare il fatto – scrivono i promotori – che Lei, Santità, non è in possesso delle capacità o della volontà di compiere ciò che è invece dovere di ogni papa secondo le parole del suo stesso predecessore: “Egli deve vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo”».

A giudizio di «The Remnant», invece di centrare l’insegnamento della Chiesa sulla parola di Dio, Francesco sarebbe impegnato a proclamare le proprie idee e lo farebbe «durante molteplici omelie, conferenze stampa, dichiarazioni improvvisate, interviste a giornalisti, discorsi di varia specie e letture idiosincratiche della Scrittura. Queste idee, che spaziano dall’essere inquietanti fino alla palese eterodossia, sono perfettamente rappresentate da quel che è un po’ il suo manifesto personale, l’Evangelii gaudium, un documento contenente una serie di pronunciamenti incredibili e che mai prima d’ora un Pontefice Romano aveva osato affermare. Tra questi, annoveriamo il suo “sogno… di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione”. È inconcepibile che un Pontefice Romano possa anche solo ipotizzare un’inesistente contrapposizione tra l’autopreservazione della Santa Chiesa Cattolica e la sua missione nel mondo!»

I firmatari non perdonano a Francesco di aver parlato, nell’Evangelii gaudium, della tentazione, a cui i cattolici possono cedere, di rinchiudersi in «strutture» che offrono «una falsa protezione», in «norme» che trasformano i credenti in «giudici implacabili» e in «abitudini» che hanno il solo scopo di lasciare tranquilli. Quelle che il papa chiama strutture, norme e abitudini sono, dicono i promotori dell’appello, l’ossatura della dottrina che permette alla Chiesa di non sbandare. I richiami di Francesco, aggiungono, sono generici e producono sconcerto, mentre molto chiari sono gli epiteti, e a volte gli insulti, che il papa riserva a coloro che non la pensano come lui, definiti di volta in volta «fondamentalisti», «Farisei», «Pelagiani», «trionfalisti», «Gnostici», «nostalgici», «Cristiani superficiali», «banda degli scelti», «pavoni», «moralisti pedanti», «uniformisti», «orgogliosi, autosufficienti», «intellettuali aristocratici», «cristiani pipistrelli che preferiscono le ombre alla luce della presenza del Signore» e così via.

Molte altre sono le accuse mosse al papa nella lettera-appello. In primo piano la banalizzazione dell’idea di misericordia, che Francesco avrebbe operato in nome di una generica «tenerezza» che mette in ombra le vincolanti regole morali, mentre l’unica e vera «rivoluzione della tenerezza» avviene mediante il battesimo.

E ora un’altra copertina. Questa volta è del settimanale britannico «The Spectator», di orientamento conservatore, del novembre 2015. È una vignetta: Francesco, tutto giulivo, cavalca una gigantesca palla da demolizioni che si schianta su una chiesa riducendola a un cumulo di macerie. Il titolo dice: Pope vs Church. The Anatomy of a Catholic civil war, ovvero Il papa contro la Chiesa. Anatomia di una guerra civile cattolica. La tesi dell’autore, Damian Thompson, si può riassumere così: le riforme «disordinate» di Bergoglio e le sue dichiarazioni «selvagge» stanno suscitando apprensione tra i cattolici comuni, che lo giudicano ormai fuori controllo.

Allora: papa Francesco non è cattolico? O è troppo poco cattolico? Il 22 settembre 2015, mentre Bergoglio è in volo da Cuba verso gli Stati Uniti, l’inviato del «Corriere della sera» Gian Guido Vecchi pone la questione direttamente al pontefice: prima qualcuno ha detto che il papa è comunista, adesso altri arrivano a chiedersi se il papa sia o meno cattolico. Che ne pensa?

Ed ecco la risposta di Francesco: «Un Cardinale amico mi ha raccontato che è andata da lui una signora, molto preoccupata: molto cattolica, un po’ rigida, la signora, ma buona, buona cattolica, e gli ha chiesto se era vero che nella Bibbia si parlava di un anticristo. E lui le ha spiegato. È anche nell’Apocalisse, no? E poi, se era vero che si parlava di un antipapa… “Ma perché mi fa questa domanda?”, ha chiesto il Cardinale. “Perché io sono sicura che Papa Francesco è l’antipapa”. “E perché? – chiede quello – Perché ha questa idea?”. “Eh, perché non usa le scarpe rosse!”. È così, storico… I motivi per pensare se uno è comunista, non è comunista… Io sono certo che non ho detto una cosa in più che non sia nella dottrina sociale della Chiesa. Nell’altro volo [di ritorno dal viaggio in America Latina, nda], una sua collega […] m’ha detto, quando sono andato a parlare ai Movimenti popolari: “Lei ha teso la mano a questo Movimento popolare – più o meno era così la cosa –, ma la Chiesa La seguirà?”. E io ho detto: “Sono io a seguire la Chiesa”, e in questo credo di non sbagliare, credo di non avere detto una cosa che non sia nella Dottrina sociale della Chiesa. Le cose si possono spiegare. Forse una spiegazione ha dato un’impressione di essere un pochettino più “sinistrina”, ma sarebbe un errore di spiegazione. No. La mia dottrina, su tutto questo, sulla Laudato si’, sull’imperialismo economico e tutto questo, è quella della Dottrina sociale della Chiesa. E se è necessario che io reciti il Credo, sono disposto a farlo!».

La risposta di Bergoglio, per quanto formulata a braccio in un italiano approssimativo, permette di capire qual è l’atteggiamento del papa di fronte a certe critiche.

Prima di tutto, rispetto alla preoccupazione della «buona cattolica» che vede in lui addirittura un antipapa, Francesco fa ricorso all’espediente retorico di metterla in ridicolo. Sarei un antipapa perché non uso le scarpe rosse? Come dire: questi buoni cattolici, attaccati alla tradizione, sono soltanto dei formalisti. Poi arriva l’autodifesa sostanziale: io in realtà non ho mai detto niente che non sia già nella dottrina sociale della Chiesa.

Ma Francesco è troppo intelligente per non sapere che anche il modo in cui si dicono le cose ha una certa importanza. E infatti è il primo a riconoscere che qualche sua spiegazione può essere apparsa «sinistrina».

Un po’ ingenuo e un po’ furbo, come lui ha dipinto se stesso e come è sempre davanti ai giornalisti, per fugare ogni dubbio Francesco si dice anche disposto a recitare il Credo, e con quest’altra battuta fa capire di essere ben consapevole dello sconcerto che sta provocando in alcuni settori della comunità ecclesiale. Però procede dritto per la sua strada, perché convinto che oggi sia più importante intervenire sulle ingiustizie sociali, le povertà vecchie e nuove, i problemi ecologici e la «cultura dello scarto» piuttosto che battere su aspetti dottrinali e questioni morali (i famosi «valori non negoziabili» dei tempi di Benedetto XVI: aborto, eutanasia, omosessualità, procreazione artificiale) rispetto alle quali in un recente passato i pronunciamenti sono stati martellanti.

Ecco spiegata la sua strategia, che comunque, a onor del vero, in materia di aborto, eutanasia e procreazione artificiale, non gli ha impedito di ribadire la linea dei suoi predecessori.

Tuttavia, le copertine di «Newsweek» e dello «Spectator», così come la petizione di «The Remnant», ci dicono che c’è un disagio, e si tratta solo di tre casi fra i molti che si potrebbero citare. Un disagio ulteriormente lievitato dopo l’uscita di Amoris laetitia, l’esortazione apostolica postsinodale sull’amore nella famiglia.

Pur abituato alle discussioni e alle polemiche sull’operato dei papi (me ne occupo da più di vent’anni), devo ammettere di non aver mai assistito a un confronto così aspro. In Italia è un po’ sotto traccia, ma è in corso, soprattutto nel web. E al centro della discussione c’è lui: Francesco. Osannato da alcuni, criticato e avversato da altri. Qualcosa di analogo avvenne sotto il pontificato di Giovanni XXIII, specie dopo la sua decisione di indire il Concilio Vaticano II. Anche Roncalli, tanto amato da passare alla storia come il «papa buono», fu infatti accusato di modernismo e progressismo, anche a lui, come oggi succede a Francesco, qualcuno diede del «comunista» e ci fu chi gli imputò di essere troppo ecumenico e poco rispettoso della tradizione. Per certi ambienti, il suo richiamo all’aggiornamento fu un autentico tradimento e il dibattito sul suo operato si fece infuocato, ma forse non così duro come lo è oggi su Francesco, anche perché all’epoca i mass media non erano onnipresenti come adesso e non c’erano i social network, catalizzatori di estremismi.

In ogni caso, Bergoglio è ormai tra due fuochi: se la maggior parte delle critiche continuano ad arrivargli da «destra», anche gli ambienti più progressisti sono in fibrillazione e, dopo aver tanto sperato in lui, ora incominciano ad accusarlo di inconcludenza.

Dunque, c’è un «caso Francesco». Nel quale occorre entrare con alcune domande scomode ma inevitabili: perché, accanto agli osanna di molti, vanno aumentando nei suoi confronti le prese di posizione sempre più dure? Che cosa c’è che non va e non convince? Che cosa temono i suoi oppositori?

Molti sostengono che contro Francesco si schiera chi ha paura del futuro e di perdere i suoi privilegi. La tesi è nota, e probabilmente c’è del vero. Ma in quanto sta succedendo c’è anche di più.

Juan Carlos Scannone, il teologo argentino amico di Bergoglio e come lui gesuita (teorico, con Lucio Gera, di quella Teologia del pueblo che ha influenzato non poco papa Francesco), spiega che con Francesco la Chiesa ha fatto proprio il paradigma del Concilio Vaticano II. Dal paradigma precedente, che era a-storico, perché partiva dal «dover essere» senza fare i conti con la realtà del tempo, siamo approdati al paradigma storico voluto da Giovanni XXIII, con la richiesta di tenere più conto del personale e del soggettivo. Un cambiamento, spiega padre Scannone, evidente nella Gaudium et spes, radice e ispirazione di Evangelii gaudium, dove si mette in pratica il metodo «vedere, giudicare, agire» che fu al centro della Conferenza dell’episcopato latino-americano di Medellin (1968) e che la Chiesa del Sudamerica ha applicato fino alla Conferenza di Aparecida (2007), il cui documento finale, elaborato proprio sotto la guida di Bergoglio, è l’altra fonte di ispirazione di Francesco. Ecco perché, spiega Scannone, il papa è oggi impegnato nell’accompagnamento dei poveri, ecco perché denuncia la cultura dello scarto e chiede ai pastori attenzione e sollecitudine per ogni singola persona. La realtà è più importante dell’idea: Bergoglio lo diceva già nel 1974, quando era provinciale dei gesuiti.

Indagare sulle radici del pensiero del papa ci fa capire quanto Francesco sia legato a un certo clima – culturale, sociale e teologico – che continua a influenzarlo. Ma è legittima una domanda: quella stagione, per quanto entusiasmante, non è forse superata? O, per lo meno, non lo è in alcuni suoi aspetti?

Oggi, di fronte al dilagare di soggettivismo e relativismo, immersi come siamo nella cultura «liquida» della postmodernità, esposti al rischio di veder svanire tutti gli strumenti in grado di assicurare una valutazione morale, il paradigma storico mutuato dal Concilio Vaticano II può ancora costituire la chiave di lettura principale? Non occorre forse aggiornare e integrare il tutto con riflessioni successive? Il problema di oggi non è forse l’opposto di quello di mezzo secolo fa? Oggi, anche come Chiesa, non rischiamo forse, a differenza di allora, di essere troppo immersi nella storia e incapaci di dotarci di punti di riferimento stabili, in grado di orientare un’umanità moralmente sbandata?

Il teologo Inos Biffi, in un articolo in cui non cita mai papa Francesco ma che sembra parlare a nuora perché suocera intenda, mette in guardia da alcune derive della cultura contemporanea che possono essere assunte, fa capire, anche dalla Chiesa.

Quando la soggettività prevale su tutto, spiega Biffi, il soggetto resta in balìa delle impressioni e l’azione umana viene «a mancare di una ragione illuminata e solida», in grado di fare da fondamento delle scelte. È il grande problema del nostro tempo. Non abbiamo principi e nozioni di base per spiegare ciò che siamo e ciò che facciamo. O, per meglio dire, abbiamo principi e nozioni che fatalmente si riconducono «a istintività o a opinione non sindacabili», che è come dire all’arbitrio «allergico a qualsivoglia misurazione». Eccoci così all’«assolutizzazione del soggetto, divenuto radicalmente principio ingiudicabile di bene e di male, di valido e di invalido.» Questione che, nota Biffi, se sulle prime sembra solo antropologica e logica, diviene necessariamente teologica.

Rifiutare la «liquidità» della realtà e tornare a rivendicare per l’uomo la facoltà di «ritrovare l’intelligibilità, l’ordine, la luce delle cose, il loro essere riflesso del Verbo e perciò del Padre che le ha chiamate a vita». Ecco la sfida drammaticamente davanti a tutti noi, a maggior ragione al credente, nel tempo della società liquida. Tuttavia Francesco non sembra interessato a fare propria questa sfida. In alcune occasioni ha usato parole dure contro quello che ha chiamato il «pensiero unico», interpretandolo però in chiave sociale ed economica, non sotto il profilo filosofico e per le sue possibili implicazioni teologiche. La sua teologia, così, da un lato risulta piuttosto superata e dall’altro sembra ridursi a una teologia dei diritti che esclude, o lascia in secondo piano, i doveri.

«L’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile». Francesco lo dice nell’intervista a «La Civiltà Cattolica» e, fra tutte le sue dichiarazioni, è una delle più problematiche.

Qui Bergoglio sembra fare proprio, volontariamente o meno, un luogo comune tipico della postmodernità: la decisione individuale, se presa in coscienza, è sempre buona o almeno ha sempre valore, per cui nessuno la può giudicare da fuori, con una norma universale. Ma se la scelta individuale, per il solo fatto di essere stata presa in coscienza, è di per sé buona e insindacabile, non siamo in pieno relativismo? E non è forse vero che, lungo questa strada, è facile approdare all’idea, ormai diffusa anche nell’azione pastorale della Chiesa, secondo cui la sincerità e la spontaneità cancellano la natura del peccato?

È davvero così misericordioso rispettare la scelta di vita di ciascuno solo perché è una scelta fatta in libertà e sincerità? La Chiesa non dovrebbe forse portare alla luce la condotta di vita improntata al peccato? E non sta forse proprio in questo esercizio la forma più alta di misericordia? Se la Chiesa non mostra il peccato, se non consente al peccatore di fare chiarezza dentro di sé, secondo la legge di Gesù, non si condanna all’irrilevanza? Il primato della coscienza non può essere confuso con l’impossibilità o l’incapacità di giudicare. A rischio è l’autorevolezza stessa del papa oltre che il destino eterno delle anime.
Quando Francesco sostiene che «ciascuno ha una sua idea del bene e del male e deve scegliere di seguire il bene e combattere il male come lui li concepisce», che cosa dobbiamo pensare? Qui emerge una concezione soggettivistica e relativistica della coscienza morale che sicuramente non si sposa con quanto ha sempre insegnato la Chiesa. Per il cattolico non esiste forse il vero bene, oggettivo?

A parte le manipolazioni e le omissioni massmediatiche (che sono sempre da mettere nel conto), occorre tornare sul nodo più grande, che comprende tutti gli altri: in un contesto culturale e spirituale come il nostro, segnato profondamente dal soggettivismo (la realtà si risolve nell’esperienza particolare del soggetto, unico giudice di se stesso) e dall’emozionalismo (il criterio dell’agire morale non sta nella ragione ben formata, ma nell’emozione provata vivendo una data esperienza), il nuovo paradigma di Francesco non si risolve forse in un formidabile contributo, per non dire in un cedimento, allo spirito del tempo, già profondamente caratterizzato dal trionfo del contingente sull’assoluto, del transitorio sullo stabile, del possibile sul necessario?

Insomma, in Francesco emerge del relativismo? Domanda che ne porta con sé un’altra: sulla base di Amoris laetitia, il «metodo Francesco», precisamente, è concepito per portare alla salvezza dell’anima o semplicemente per il benessere della persona? Da una spiritualità fondata sui diritti di Dio e i doveri dell’uomo, siamo forse a una spiritualità centrata sui doveri di Dio e i diritti dell’uomo?

«Se per fondamentalista si intende qualcuno che insiste sulle cose fondamentali, sono un fondamentalista. Quale sacerdote, non insegno me stesso e non agisco per me stesso. Appartengo a Cristo.»  Così parlò il cardinale Raymond Burke, canonista. Un modo per dire che non è d’accordo con la linea Bergoglio.

Ma anche il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, è piuttosto esplicito: «Abbiamo la dottrina della Chiesa che è espressa anche nel catechismo, nel concilio di Trento, nel Concilio Vaticano, in altre dichiarazioni della nostra congregazione. La pastorale non può avere un altro concetto rispetto alla dottrina, la dottrina e la pastorale sono la stessa cosa. Gesù Cristo come pastore e Gesù Cristo come maestro con la sua parola non sono persone diverse. La misericordia di Dio non è contro la giustizia di Dio.»

E che dire del cardinale Robert Sarah, che nel suo best seller Dio o niente sostiene che la Chiesa va incontro all’autodissolvimento se dimentica di indicare una strada dottrinale e morale certa? «Sono la Via, la Verità, e la Vita. È questo che è stabile. È questo che io cerco di testimoniare», dice Sarah nell’aprile 2016 a «l’Occidentale». Dopo che Benedetto XVI ha messo in guardia dal pericolo della dittatura del relativismo, secondo Sarah ci troviamo effettivamente in un mondo in cui tutto è possibile: «Non abbiamo più radici. Niente di stabile. Eppure noi una Dottrina stabile l’abbiamo, abbiamo una Rivelazione. Far sì che la gente toni alle radici delle cose, della Rivelazione, è un dovere per noi Vescovi. Non possiamo lasciare la gente senza una strada sicura. Senza una roccia su cui appoggiarsi. Nella parrocchia la roccia su cui appoggiarsi è il parroco, nella diocesi è il Vescovo, nella Chiesa universale, è il Papa. E noi cerchiamo di aiutare il Santo Padre ad assicurare la gente che una stabilità esiste. Che c’è una strada. E la strada è Gesù Cristo». E quando poi gli chiedono se anche lui, come il cardinale Burke, è un fondamentalista, sorride e risponde: «Sì, sicuramente».

Un pastore come Sarah è troppo fedele al papa per entrare in polemica diretta, ma quando dice, per esempio, che l’ingiustizia più grande è dare ai bisognosi soltanto cibo, dimenticando che hanno bisogno di Dio, la contrapposizione con la linea Bergoglio non è poi tanto nascosta.

Secondo i critici come Sarah, inoltre, dietro la proposta di Bergoglio ci sarebbe un equivoco. Parliamo di povertà della Chiesa, ma in realtà vogliamo la sua desacralizzazione. Diciamo che la Chiesa deve accompagnare, ma neghiamo la percezione della grandezza e la maestà di Dio. Al suo posto mettiamo la nostra azione. Cristo ha detto che la Verità ci libererà, ma oggi la questione della Verità non è presa in considerazione. Ci occupiamo solo della libertà, e così sviluppiamo una riflessione monca, perché non c’è autentica libertà senza verità. E se non c’è la Chiesa a ricordare, sulla base della retta dottrina, il confine tra autentica libertà e schiavitù, chi mai può indicare la strada? Dice Sarah: «La vera libertà è quella che impegna a cercare il Vero, il Bello, la Giustizia […] Essere liberi è possibile solo in Cristo. Solo Lui ci libera. Non ha niente a che fare con ciò che mi piace. E la Chiesa deve mantenere questa strada.»

Non stupisce che, soprattutto dopo Amoris laetitia, molti osservatori abbiano annunciato la nascita di una Chiesa nuova, la «Chiesa di papa Francesco», una Chiesa non più giudicante ma dialogante nel senso in cui la cultura dominante intende il dialogo: cioè una Chiesa neutrale e neutra, priva della capacità e della volontà di distinguere, di valutare, di esprimere un giudizio. Ma inevitabile è una domanda: se la Chiesa non giudica, non distingue e non valuta, qual è la sua funzione? Francesco, con il suo paradigma pastorale della misericordia, sembra rispondere che lo scopo della Chiesa è quello di consolare e accompagnare, ma può esserci consolazione senza valutazione? Può esserci accompagnamento senza giudizio?

Il papa ha forse decretato che il modo soggettivo di vivere un’esperienza è l’unico metro in grado di valutare la qualità morale dell’esperienza stessa?

Se un dolente Paolo VI, nel lontano 1972, arrivò alla conclusione che «attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nella Chiesa», oggi possiamo chiederci: attraverso quelle fessure è entrato anche il relativismo?

Arrivati a questo punto della nostra indagine si potrebbe sostenere che, in fondo, non esiste un solo relativismo, ma ne esistono almeno due: uno «cattivo» e uno «buono». Quello «cattivo» sarebbe il relativismo che conduce dritti dritti al nichilismo e, per suo tramite, alla disperazione, all’impossibilità di nutrire qualunque tipo di speranza in qualcosa di stabile e assoluto. Il relativismo «buono» sarebbe invece quello che, pur riconoscendo la variabilità estrema delle situazioni umane, continua a credere in un Assoluto.

Secondo alcuni osservatori, con il suo paradigma del samaritano papa Bergoglio si inserisce nel secondo filone: annuncia la speranza cristiana, ma è relativista nel prendere atto che nella vita tutto è contingente.

Qui si apre però la grande questione: in che modo si annuncia la speranza cristiana? Nelle sue catechesi sulla misericordia, Francesco ribadisce: «Siamo tutti chiamati a percorrere lo stesso cammino del buon samaritano, che è figura di Cristo: Gesù si è chinato su di noi, si è fatto nostro servo, e così ci ha salvati, perché anche noi possiamo amarci come Lui ci ha amato, allo stesso modo». Ma che cosa significa, precisamente, «chinarsi»?

Si può rispondere: significa sostenere, incoraggiare, mostrare la propria compassione, aiutare concretamente. D’accordo, ma solo questo? Se parliamo di speranza cristiana, non significa anche «trasmettere» Gesù? E questa «trasmissione» di Gesù si esaurisce nel prestare soccorso o implica anche la trasmissione di norme morali imprescindibili, senza le quali abbiamo soltanto una prova di umana solidarietà ma non la testimonianza della Verità?

Tratto da:  Aldo Maria Valli, 266. Jorge Mario Bergoglio Franciscus P.P., Liberilibri, 2016


Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 10:18.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com