Rino Cammilleri e il diavolo custode (una parodia ma anche una profonda lezione)

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Caterina63
00mercoledì 2 dicembre 2009 15:50
Dal Blog Messainlatino segnaliamo:

Rino Cammilleri e il diavolo custode

Rino Cammilleri è fra i più noti (e benemeriti) protagonisti dell’apologetica italiana d’oggi. Nato nel 1950, attivissimo scrittore e giornalista, è autore di romanzi, biografie, saggi polemici e bene informati, corsivi brevi, efficacissimi e – diciamolo – spesso molto divertenti. Per un primo contatto vale intanto la pena frequentare il suo blog, all’indirizzo:
http://www.rinocammilleri.com/.

Fra le sue opere di narrativa mi piace suggerire in questa occasione il romanzo Nuovi consigli del diavolo custode (sottotitolo: “Per andare all’Inferno senza passare dal via”; il riferimento ironico è al gioco del “Monopoli” e ai suoi imprevisti e probabibilità, e anche la grafica della copertina – edizione Piemme, 2007 – richiama il notissimo gioco di società).

L’ispirazione deriva direttamente dal capolavoro di Clive Staples Lewis Lettere di Berlicche, ma l’inventiva di Cammilleri crea un’opera attualissima e ricca di trovate spiazzanti. Chi scrive è un’anima dannata, che si rivolge a un anonimo interlocutore (in definitiva, un uomo d’oggi, uno qualsiasi, me, te, uno qualunque di noi) non certo con l’intento di convertirlo e salvarlo, ma anzi con lo scopo conclamato di peggiorare la sua situazione: «Ti sembra che io ti stia facendo un favore nel dirti tutto questo? Allora sei proprio scemo.» (...) «L’ideale sarebbe che la lettura di queste pagine ti turbasse ma non scalfisse la tua pigrizia. Nulla di meglio (per noi) di una bella inquietudine esistenziale – perché no, di natura religiosa – che però rimanga permanente. (...) Quando poi sarai finito Qui, avrò anche la soddisfazione di poterti urlare in faccia che io te l’avevo detto».

Certo, da un’anima dannata (che svolge, stando a quello che egli stesso racconta, anche un po’ la funzione di “diavolo custode”) non ci si può aspettare la verità, è ovvio: ma il contrario della verità non è la menzogna, è invece una mescolanza disordinata di vero e di falso: «Rileggilo due volte, questo capitolo, e schiatta di rabbia, perché tutto quello che ho detto potrebbe essere anche vero.»

Una terribile verità, la più atroce fra tutte, percorre ogni capitolo di questo noir umoristico e amaro: l’inferno non solo esiste, ma è ben lontano dall’essere vuoto: «Caro mio, Questo Lato trabocca. Credi che le nostre Legioni siano continuamente rimpinguate dai grandi peccatori? Credi che Qui finiscano solo i sanguinari dittatori, gli squali economici, gli assassini, i sadici, gli schiavisti, i corruttori di bambini? Oh, certo, ci sono anche questi. Ma la strabocchevole maggioranza è composta da gentucola che si è giocata l’eternità per pochi soldi... Un mare di cattiveria è pur sempre composto da miliardi di gocce cattive». Dopo il sarcastico e agghiacciante commiato («E adesso ti lascio perché il mio tempo è scaduto. Arrivederci.») Cammilleri interviene in prima persona, in due pagine molto intense, chiudendo con una bella preghiera alla Vergine, commossa e letterariamente compiuta.



*



I riferimenti alla riforma liturgica postconciliare non mancano, man mano che il narratore rievoca impressioni e avvenimenti della sua permanenza in questo mondo.

«A onor del vero devo dire che qualche volta entravo in chiesa, quando avevo – emotivamente – bisogno di pace (lo fanno tutti, sai?). Solo che le prediche sul terzomondo, sui poveri, la pace... Che noia mortale! E poi i canti numerati, le chitarre, le mani sudaticce da stringere a segnale convenuto... Ricordavo la vecchia messa (ero bambino quando il nonno mi portava in chiesa): non mi entusiasmava di certo – dato che non me ne importava niente – ma almeno aveva una sua serietà. Adesso uno che col cuore spezzato si riavvicinava alla religione dei suoi padri, cosa trovava? Adulti che si tenevano per la mano come al girotondo per dire il Padre nostro?».

«A proposito, avete fatto bene a toglierci dai piedi il latino. Non solo era la lingua sacra della Chiesa ma aveva anche la capacità di far capire in due parole quel che nemmeno un complicato giro di frasi riesce a chiarire a sufficienza.»

«Il disgusto per il cattolicesimo l’avevo trangugiato a scuola, era cresciuto grazie alla mentalità corrente e si era aggravato in modo definitivo quella volta che ero entrato in chiesa ed ero stato assordato da canzonette mal strimpellate e senza neppure uno straccio di metrica.»

«Fu così che (...) mi ritrovai, ci crederesti? con un gruppo che faceva... come dicevano?... boh, esperienza ecclesiale o qualcosa del genere. (...) Mi toccava poi annoiarmi a morte in almeno un paio di messe alla settimana. La messa? Non era la messa ma “l’adesso celebriamo l’eucaristia”. E non di rado durava due ore. Ogni prete in visita (proveniente da “comunità” analoghe) si sentiva in dovere di fare aggiunte a un rituale già fantasioso di suo. “Adesso, fratelli, teniamoci tutti per mano”. “Stringiamoci attorno all’altare”. “Battiamo le mani per esprimere la nostra gioia”. E così via.»

«Io non sono morto in ospedale dopo lunga malattia. Nemmeno al volante della mia auto. Io sono morto, secondo quello che è un vostro pensiero corrente, “bene”: non me ne sono nemmeno accorto. E come mi hanno invidiato quelli che mi conoscevano! Beato lui, dicevano, potessi anch’io un giorno andarmene così, ci metterei la firma! Per secoli la Chiesa vi ha costretto a pregare in questi termini: “A morte improvisa libera nos Domine!”. Ma questo accadeva molto tempo fa, prima della “svolta”, e di certo non te lo ricordi.»

[La citazione nell’ultimo brano è tratta dalle Litanie dei Santi: per la precisione, il testo recitava “A subitanea et improvisa morte, libera nos Domine!”. Con la riforma liturgica postconciliare le Litanie dei Santi son rimaste, sia pure tradotte in vernacolo; ma, col pretesto di far posto a qualche santo canonizzato di recente, le invocazioni a Dio sono state gagliardamente sfrondate. E, incredibilmente, è sparita anche questa.]



Giuseppe


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