Sant'Antonio di Padova

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Caterina63
00mercoledì 10 febbraio 2010 19:28

All'udienza generale Benedetto XVI parla di sant'Antonio di Padova

L'importanza dell'umanesimo
nato dalla fede cristiana


Per l'economia un'etica amica della persona

Il Papa torna a chiedere per l'economia un'etica "amica della persona". Lo fa riproponendo il messaggio di sant'Antonio di Padova nella catechesi svolta durante l'udienza generale di mercoledì 10 febbraio, nell'Aula Paolo VI.


Cari fratelli e sorelle,
due settimane fa ho presentato la figura di san Francesco di Assisi. Questa mattina vorrei parlare di un altro santo appartenente alla prima generazione dei Frati Minori:  Antonio di Padova o, come viene anche chiamato, da Lisbona, riferendosi alla sua città natale. Si tratta di uno dei santi più popolari in tutta la Chiesa Cattolica, venerato non solo a Padova, dove è stata innalzata una splendida Basilica che raccoglie le sue spoglie mortali, ma in tutto il mondo. Sono care ai fedeli le immagini e le statue che lo rappresentano con il giglio, simbolo della sua purezza, o con il Bambino Gesù tra le braccia, a ricordo di una miracolosa apparizione menzionata da alcune fonti letterarie.
 
Antonio ha contribuito in modo significativo allo sviluppo della spiritualità francescana, con le sue spiccate doti di intelligenza, di equilibrio, di zelo apostolico e, principalmente, di fervore mistico.

Nacque a Lisbona da una nobile famiglia, intorno al 1195, e fu battezzato con il nome di Fernando. Entrò fra i Canonici che seguivano la regola monastica di sant'Agostino, dapprima nel monastero di San Vincenzo a Lisbona e, successivamente, in quello della Santa Croce a Coimbra, rinomato centro culturale del Portogallo. Si dedicò con interesse e sollecitudine allo studio della Bibbia e dei Padri della Chiesa, acquisendo quella scienza teologica che mise a frutto nell'attività di insegnamento e di predicazione.

A Coimbra avvenne l'episodio che impresse una svolta decisiva nella sua vita:  qui, nel 1220 furono esposte le reliquie dei primi cinque missionari francescani, che si erano recati in Marocco, dove avevano incontrato il martirio. La loro vicenda fece nascere nel giovane Fernando il desiderio di imitarli e di avanzare nel cammino della perfezione cristiana:  egli chiese allora di lasciare i Canonici agostiniani e di diventare Frate Minore.

La sua domanda fu accolta e, preso il nome di Antonio, anch'egli partì per il Marocco, ma la Provvidenza divina dispose altrimenti. In seguito a una malattia, fu costretto a rientrare in Italia e, nel 1221, partecipò al famoso "Capitolo delle stuoie" ad Assisi, dove incontrò anche san Francesco. Successivamente, visse per qualche tempo nel totale nascondimento in un convento presso Forlì, nel nord dell'Italia, dove il Signore lo chiamò a un'altra missione. Invitato, per circostanze del tutto casuali, a predicare in occasione di un'ordinazione sacerdotale, mostrò di essere dotato di tale scienza ed eloquenza, che i Superiori lo destinarono alla predicazione. Iniziò così in Italia e in Francia, un'attività apostolica tanto intensa ed efficace da indurre non poche persone che si erano staccate dalla Chiesa a ritornare sui propri passi.

Antonio fu anche tra i primi maestri di teologia dei Frati Minori, se non proprio il primo. Iniziò il suo insegnamento a Bologna, con la benedizione di san Francesco, il quale, riconoscendo le virtù di Antonio, gli inviò una breve lettera, che si apriva con queste parole:  "Mi piace che insegni teologia ai frati". Antonio pose le basi della teologia francescana che, coltivata da altre insigni figure di pensatori, avrebbe conosciuto il suo apice con san Bonaventura da Bagnoregio e il beato Duns Scoto.

Diventato Superiore provinciale dei Frati Minori dell'Italia settentrionale, continuò il ministero della predicazione, alternandolo con le mansioni di governo. Concluso l'incarico di Provinciale, si ritirò vicino a Padova, dove già altre volte si era recato. Dopo appena un anno, morì alle porte della Città, il 13 giugno 1231. Padova, che lo aveva accolto con affetto e venerazione in vita, gli tributò per sempre onore e devozione. Lo stesso Papa Gregorio ix, che dopo averlo ascoltato predicare lo aveva definito "Arca del Testamento", lo canonizzò solo un anno dopo la morte nel 1232, anche in seguito ai miracoli avvenuti per la sua intercessione.

Nell'ultimo periodo di vita, Antonio mise per iscritto due cicli di "Sermoni", intitolati rispettivamente "Sermoni domenicali" e "Sermoni sui Santi", destinati ai predicatori e agli insegnanti degli studi teologici dell'Ordine francescano. In questi Sermoni egli commenta i testi della Scrittura presentati dalla Liturgia, utilizzando l'interpretazione patristico-medievale dei quattro sensi, quello letterale o storico, quello allegorico o cristologico, quello tropologico o morale, e quello anagogico, che orienta verso la vita eterna.
 
Oggi si riscopre che questi sensi sono dimensioni dell'unico senso della Sacra Scrittura e che è giusto interpretare la Sacra Scrittura cercando le quattro dimensioni della sua parola. Questi Sermoni di sant'Antonio sono testi teologico-omiletici, che riecheggiano la predicazione viva, in cui Antonio propone un vero e proprio itinerario di vita cristiana. È tanta la ricchezza di insegnamenti spirituali contenuta nei "Sermoni", che il Venerabile Papa Pio xii, nel 1946, proclamò Antonio Dottore della Chiesa, attribuendogli il titolo di "Dottore evangelico", perché da tali scritti emerge la freschezza e la bellezza del Vangelo; ancora oggi li possiamo leggere con grande profitto spirituale.
In questi Sermoni sant'Antonio parla della preghiera come di un rapporto di amore, che spinge l'uomo a colloquiare dolcemente con il Signore, creando una gioia ineffabile, che soavemente avvolge l'anima in orazione.

Antonio ci ricorda che la preghiera ha bisogno di un'atmosfera di silenzio che non coincide con il distacco dal rumore esterno, ma è esperienza interiore, che mira a rimuovere le distrazioni provocate dalle preoccupazioni dell'anima, creando il silenzio nell'anima stessa. Secondo l'insegnamento di questo insigne Dottore francescano, la preghiera è articolata in quattro atteggiamenti, indispensabili, che, nel latino di Antonio, sono definiti così:  obsecratio, oratio, postulatio, gratiarum actio. Potremmo tradurli nel modo seguente:  aprire fiduciosamente il proprio cuore a Dio; questo è il primo passo del pregare, non semplicemente cogliere una parola, ma aprire il cuore alla presenza di Dio; poi colloquiare affettuosamente con Lui, vedendolo presente con me; e poi - cosa molto naturale - presentargli i nostri bisogni; infine lodarlo e ringraziarlo.

In questo insegnamento di sant'Antonio sulla preghiera cogliamo uno dei tratti specifici della teologia francescana, di cui egli è stato l'iniziatore, cioè il ruolo assegnato all'amore divino, che entra nella sfera degli affetti, della volontà, del cuore, e che è anche la sorgente da cui sgorga una conoscenza spirituale, che sorpassa ogni conoscenza. Infatti, amando, conosciamo.

Scrive ancora Antonio:  "La carità è l'anima della fede, la rende viva; senza l'amore, la fede muore" (Sermones Dominicales et Festivi ii, Messaggero, Padova 1979, p. 37).

Soltanto un'anima che prega può compiere progressi nella vita spirituale:  è questo l'oggetto privilegiato della predicazione di sant'Antonio. Egli conosce bene i difetti della natura umana, la nostra tendenza a cadere nel peccato, per cui esorta continuamente a combattere l'inclinazione all'avidità, all'orgoglio, all'impurità, e a praticare invece le virtù della povertà e della generosità, dell'umiltà e dell'obbedienza, della castità e della purezza. Agli inizi del XIII secolo, nel contesto della rinascita delle città e del fiorire del commercio, cresceva il numero di persone insensibili alle necessità dei poveri. Per tale motivo, Antonio più volte invita i fedeli a pensare alla vera ricchezza, quella del cuore, che rendendo buoni e misericordiosi, fa accumulare tesori per il Cielo. "O ricchi - così egli esorta - fatevi amici... i poveri, accoglieteli nelle vostre case:  saranno poi essi, i poveri, ad accogliervi negli eterni tabernacoli, dove c'è la bellezza della pace, la fiducia della sicurezza, e l'opulenta quiete dell'eterna sazietà" (Ibid., p. 29).

Non è forse questo, cari amici, un insegnamento molto importante anche oggi, quando la crisi finanziaria e i gravi squilibri economici impoveriscono non poche persone, e creano condizioni di miseria? Nella mia Enciclica Caritas in veritate ricordo:  "L'economia ha bisogno dell'etica per il suo corretto funzionamento, non di un'etica qualsiasi, bensì di un'etica amica della persona" (n. 45).

Antonio, alla scuola di Francesco, mette sempre Cristo al centro della vita e del pensiero, dell'azione e della predicazione. È questo un altro tratto tipico della teologia francescana:  il cristocentrismo. Volentieri essa contempla, e invita a contemplare, i misteri dell'umanità del Signore, l'uomo Gesù, in modo particolare, il mistero della Natività, Dio che si è fatto Bambino, si è dato nelle nostre mani:  un mistero che suscita sentimenti di amore e di gratitudine verso la bontà divina.

Da una parte la Natività, un punto centrale dell'amore di Cristo per l'umanità, ma anche la visione del Crocifisso ispira ad Antonio pensieri di riconoscenza verso Dio e di stima per la dignità della persona umana, così che tutti, credenti e non credenti, possano trovare nel Crocifisso e nella sua immagine un significato che arricchisce la vita. Scrive sant'Antonio:  "Cristo, che è la tua vita, sta appeso davanti a te, perché tu guardi nella croce come in uno specchio. Lì potrai conoscere quanto mortali furono le tue ferite, che nessuna medicina avrebbe potuto sanare, se non quella del sangue del Figlio di Dio.

Se guarderai bene, potrai renderti conto di quanto grandi siano la tua dignità umana e il tuo valore... In nessun altro luogo l'uomo può meglio rendersi conto di quanto egli valga, che guardandosi nello specchio della croce" (Sermones Dominicales et Festivi iii, pp. 213-214).
Meditando queste parole possiamo capire meglio l'importanza dell'immagine del Crocifisso per la nostra cultura, per il nostro umanesimo nato dalla fede cristiana. Proprio guardando il Crocifisso vediamo, come dice sant'Antonio, quanto grande è la dignità umana e il valore dell'uomo. In nessun altro punto si può capire quanto valga l'uomo, proprio perché Dio ci rende così importanti, ci vede così importanti, da essere, per Lui, degni della sua sofferenza; così tutta la dignità umana appare nello specchio del Crocifisso e lo sguardo verso di Lui è sempre fonte del riconoscimento della dignità umana.

Cari amici, possa Antonio di Padova, tanto venerato dai fedeli, intercedere per la Chiesa intera, e soprattutto per coloro che si dedicano alla predicazione; preghiamo il Signore affinché ci aiuti ad imparare un poco di questa arte da sant'Antonio. I predicatori, traendo ispirazione dal suo esempio, abbiano cura di unire solida e sana dottrina, pietà sincera e fervorosa, incisività nella comunicazione. In quest'anno sacerdotale, preghiamo perché i sacerdoti e i diaconi svolgano con sollecitudine questo ministero di annuncio e di attualizzazione della Parola di Dio ai fedeli, soprattutto attraverso le omelie liturgiche. Siano esse una presentazione efficace dell'eterna bellezza di Cristo, proprio come Antonio raccomandava:  "Se predichi Gesù, egli scioglie i cuori duri; se lo invochi, addolcisci le amare tentazioni; se lo pensi, ti illumina il cuore; se lo leggi, egli ti sazia la mente" (Sermones Dominicales et Festivi III, p. 59).



(©L'Osservatore Romano - 11 febbraio 2010)

Ricordiamo anche di cliccare qui:

Ottobre San Francesco d'Assisi Patrono d'Italia

Caterina63
00lunedì 15 febbraio 2010 20:44
A Padova la speciale ostensione del corpo del santo

Sant'Antonio e le folle



di Ugo Sartorio

"Perché a te tutto il mondo viene dietro, e ogni persona pare che desideri di vederti? Perché a te?". Questa domanda, formulata da frate Masseo (Fioretti, 10) e indirizzata a Francesco d'Assisi, può essere rivolta anche al santo di Padova. In questi giorni (fino al 20 febbraio) le spoglie mortali di Antonio, ricomposte in un'urna di vetro, potranno essere venerate dai fedeli nella Basilica padovana dove riposano da circa ottocento anni (Antonio muore nel 1231, e dopo undici mesi, a  Spoleto,  è  canonizzato  da  Gregorio IX).

Solo due, in tutti questi secoli, le ricognizioni:  quella effettuata da Bonaventura, generale dell'Ordine, nel 1263, quando fu rinvenuta la lingua incorrotta, evento interpretato come privilegio da Dio concesso al grande predicatore evangelico; e quella del 1981, corredata da importanti perizie medico-scientifiche, a cui seguirono quattro settimane di ostensione con 650 mila fedeli a sfilare e almeno un milione passati in Basilica.

Dopo 29 anni, pur senza che siano stati violati i sigilli apposti nel 1981, Antonio torna tra la sua gente che già da ieri è accorsa numerosa fin dalle prime ore del mattino, quando ancora era buio. Per i frati e i pochi devoti presenti che hanno avuto la fortuna di assistere allo spostamento del corpo di Antonio nel luogo dove sarà venerato in questi giorni, l'emozione è stata grande. Il silenzio della piccola folla diceva attesa e riconoscenza. Antonio di nuovo in mezzo a noi.

Dunque, "perché a te Antonio?". Domanda a cui siamo costretti a rispondere in modo collettivo e corale, raccogliendo e sintetizzando le molte voci. "Io sono qui perché sant'Antonio ha sempre voluto bene a me e alla mia famiglia, e mi ha guarita da un male imperdonabile", testimonia Adelina, una donna minuta e già in gran forma alle sei del mattino mentre aspetta il proprio turno per un incontro che le fa luccicare lo sguardo. "Vengo sempre in Basilica, ogni anno, il 13 giugno, per via di un voto fatto in gioventù. Non potevo mancare a questa ostensione", aggiunge un signore distinto sulla cinquantina.
Nella sua vita il santo ha incontrato le folle svolgendo un intenso ministero di predicazione e riconciliazione; da allora la gente lo riconosce come uno dei suoi e va a lui con fiducia, chiedendo grazie e favori, davvero di ogni genere.
 
David Maria Turoldo, ricordando come i santi non riposano mai, neppure nella tomba, perché sono "creature in stato di amore per sempre", interloquisce meravigliato con sant'Antonio e gli chiede:  come fai ad accontentarti di una candela, di un cuoricino ex voto, ad accettare di essere trattato da "ufficio oggetti-smarriti", da "trovarobe" (quasi fossi un "detective"!), oppure da combinatore di matrimoni quando un Papa ti ha riconosciuto come "arca del Testamento" per la tua profonda conoscenza della Scrittura e perfino san Francesco - ammirato e forse un po' intimorito dal tuo vasto sapere teologico - ti ha chiamato "mio vescovo"?

Il tragitto esistenziale di Antonio è descritto dallo storico Antonio Rigon come un passaggio "dal libro alla folla". Espressione indovinata che ci dice di un progresso interiore nel solco di una tenace fedeltà alla Parola di Dio e all'uomo che ne è il destinatario. Senza scostarsi dalla Parola anche quando è radicale, e senza mai allontanarsi dall'uomo anche quando sfigurato dai peccati. Per questa vicinanza alla gente, Antonio è stato fatto ufficialmente santo in meno di un anno e dottore della Chiesa dopo più di sette secoli (1946, con il titolo di dottore evangelico).

È però importante cogliere la sua figura in unità, poiché il passaggio dal Libro (la Scrittura) alla folla (predicazione, cura pastorale) significa, ieri come oggi, tenere unite santità e cultura. La prima non è una forma volontaristica di culturismo spirituale, e la seconda non si può ridurre a intellettualismi disincarnati. Se, come scrive Théophile Desbonnet, già san Francesco in parte e poi un certo francescanesimo avevano vissuto un passaggio "dalla fraternità verso l'Ordine" - quindi dall'intuizione all'istituzione, realtà che un po' cristallizza ma anche protegge l'intuizione - il santo portoghese, dopo una lunga sosta nell'istituzione (si pensi alla formazione e crescita intellettuale durata anni nei monasteri dei canonici agostiniani) approda all'intuizione:  tra le folle, annunciatore del vangelo sine glossa cioè senza spiegazioni, predicato dal carismatico di Assisi. E le folle ricambiano.


(©L'Osservatore Romano - 15-16 febbraio 2010)

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