Significativo esempio di apologetica cattolica e civile dialogo: l'importanza della Chiesa

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Caterina63
00giovedì 27 maggio 2010 19:49
 Sorriso vi condivido un breve scambio di battute su Facebook, ometto i nomi:

(primo interventi)
Giusto l'altra notte, *******, ti facevo notare questa cosa: che la libertà è nella stessa natura del cristianesimo. E' il mondo che scambia il libertinismo per libertà. Io mi sento liberissimo solo da quando ho rinunciato alle catene del libertinismo, e mi sono vincolato, liberandomi, a Cristo e alla sua Chiesa.

(la risposta)
Io****** penso che le differenze tra i cristiani siano molto meno marcate di quel che vorrebbero le teologie; al di là delle convinzioni di ciascuno, la questione è capire dove poi le energie debbano essere indirizzate e dove si pensa di dover cercare Dio. Ma questo attiene al rapporto che ognuno instaura con Dio e nessuno può giudicarlo.
La Libertà e la Felicità sono la medesima cosa e solo la consapevolezza di seguire la parola di Dio può fartene dono. Se per te la felicità è questa quindi io non posso essere che contento che tu possa seguirla liberamente, attiene al tuo Destino.
E con questo ti saluto

(secondo intervento, il mio)
Caro ********, perdonami se mi intrometto, ma il problema dell'ambigua libertà tradotta in libertinismo proviene prorpio dalla teologia protestante 500 anni fa ;-) la libertà autentica, infatti, che poi conduce alla vera felicità, sono dono di Dio all'uomo e non una conquista politica "liberale" avanzata con la teologia protestante che si volle liberare della Chiesa....la Chiesa è quel "giogo" leggero che Gesù ha ISTITUITO proprio perchè fossimo liberi dai condizionamenti liberali ideologici e invece sia con la Francia illuminista (libertè, legalitè e fraternitè) ci siamo cascati in pieno ^__^ da qui nasce il vero anticlericalismo, nasce il vero razzismo (si rammenti l'odio di Voltaire per gli Ebrei e i Cristiani)...Non esistono pertanto "diverse teologie" esse non potrebbero MAI andare d'accordo, da qui nasce la divisione... la teo.logia (ossia parlare-conoscere-Dio) è UNA SOLA ed è quella della Chiesa Cattolica, ogni altro tentativo di fare teo-logia contraria a quella della Chiesa, porta inevitabilmente alla divisione...
un abbraccio ^__^

(la risposta)
Signora ******, io dico solo che l'uomo non debba accettare una Verità solo perchè qualcuno dice che di tal cosa si tratta; l'uomo innanzitutto deve cercare di essere felice, e non c'è nulla che generi infelicità della necessità di una fede imposta o di una religione sentita come prigione da cui non si può fuggire nepure quando Dio ti porta su strade diverse.
Dopodichè c'è una Rivelazione che ci dice che non abbiamo motivi di soffrire perchè la Creazione è frutto di un amore e più ci avviciniamo a quella fonte più la nostra felicità cresce: si tratta di accettarlo tramite la comprensione e la liberalità dell'Incontro e non tramite l'imposizione da parte del potere.
Per il resto rispetto il fatto che lei mi esprima la sua opinione, che è comunque gradita, però non cerchi di desumere ciò che io penso sia teologicamente che politicamente da un messaggio: teologicamete io sono vicino ad Agostino e politicamente a Michel Foucault e a Tocqueville; non sono un reazionario ma un liberale che ritiene sacrosanto il principio della separazione dei poteri (e ciò non perchè ritenga il libertinismo una strada per avvicinarsi a Cristo).
Grazie comunque, e buona giornata.


(la mia risposta)
Infatti la felecità non vive di vita propria, essa è l'emanazione della Verità (in maiuscolo infatti): Gesù stesso cominciò la sua missione dicendo: io SONO la Verità, non disse "io dico la verità" e aggiunse che seguendo questa Verità, ossia Lui, si trovava la felicità... di fatto c'è già una sorta di IMPOSIZIONE "chi non crederà sarà condannato" dice Gesù, quindi per essere veramente felici è indispensabile seguire Cristo...Ma non un Cristo qualsiasi creato dalla nostra immagine compiacente ^__^ la vera imposizione nasce proprio quando noi imponiamo una immagine di Cristo compiacente alle mode dei tempi o in funzione di teologie personalizzate a questo o a quest'altro gruppo...
Il motivo di soffrire ci sarà sempre!

Una errata teologia protestante (sono migliaia le correnti che si dipartono da essa) sosterrebbe infatti che "non abbiamo motivo di soffrire perchè basta GESU' SOLO rinnovatore di una Creazione che è puro amore"...ciò che lei dice è anche teologicamente corretto, ma occorre fare attenzione a queste infiltrazioni che, tanto per farle un esempio concreto, hanno portato ad una devastazione dottrinale nella Messa definendola non più un Sacrificio, ma un banchetto festoso...
La sofferenza è indispensabile, invece, non solo nella teologia, ma anche nella vita del vero credente perchè seguire Cristo, il cui giogo è leggero, CONDUCE ALLA CROCE ^__^ chi non sale su quella Croce, chi non subisce e non vive quella Passione, non si conformerà mai pienamente al Cristo...è ovvio che poi ognuno vive la sofferenza in base ed in proporzione alla croce che può portare, ma la croce tocca a tutti...gli Apostoli moriranno tutti martiri, tranne qualcuno le cui pene comunque non sono mancate...Infine, non sto giudicandola come un reazionario, ma approfitto delle sue dotte riflessioni per aggiungerne di altre da condividere con tutti...^__^ Buona giornata anche se qui diluvia ;-)


***********************
l'interlocutore mi risponde:

Queste sono precisamente le ragioni per le quali io polemizzo con i cattolici che si rifanno al tomismo: è lo stesso Benedetto XVI a sostenere che la Chiesa appartiene a Cristo e non il contrario: il mio modello di tradizionalismo è quello.
Lei poi scrive:

"io SONO la Verità, non disse "io dico la verità" e aggiunse che seguendo questa Verità, ossia Lui, si trovava la felicità... di fatto c'è già una sorta di IMPOSIZIONE "chi non crederà sarà condannato" dice Gesù, quindi per essere veramente felici è indispensabile seguire Cristo...Ma non un Cristo qualsiasi creato dalla nostra immagine compiacente".

Questa è sì un'imposizione, ma un'imposizione che nasce con l'incontro di Cristo e non con la Chiesa; personalmente non posso pensare che la Chiesa sia più infallibile di Gesù Cristo, il primato appartiene a Dio in tutti i casi e l'esperienza di vita di taluni Santi, Beati e Dottori sta a dimostrarlo.
Per la Via Crucis poi sono totalmente d'accordo, anche se devo aggiungere che per me c'è una differenza notevole tra l'agostinismo e il tomismo su questo punto, come su ciò che riguarda la Salvezza e la Resurrezione: il Destino che vuole Dio per l'uomo lo porta alla morte in croce e poi alla Resurrezione in Lui; ciò attiene al cammino estetico attraverso cui la Divina Volontà conduce l'uomo a rendersi qualcosa che non sia uomo, visto e considerato che esso non è una creazione di Dio ma un prodotto di sè stesso, che perseverando nel peccato che lo ha strappato all'Eden pensa di poter manipolare Dio a partire dalla professione di fede (solo in questo abbastanza meschina) in una Chiesa, pensando di poter dominare (dominare) una creazione che egli stesso ha costretto alla temporalità e alla dannazione, andando contro il comandamento di Dio e cercandolo al di fuori della propria interiorità, quindi all'esterno, nella storia e nelle astrusità della metafisica. Si tratta di comprendere le Scritture e capire cosa Dio voglia da noi: se la Chiesa invece dai propri fedeli pretende solo sottomissione e fedeltà quella può richiederla ad altri: per me le autorità sono Cristo e i Padri della Chiesa, sia greci che latini, del resto non m'importa. Neppure delle sorti di una comunità a cui non sento di appartenere. E tutto ciò lo dico da cristiano che non pratica il libertinismo, non abusa di sè o degli altri e che è profondamente anti-islamico (dunque l'amore di cui parlo non degenera affatto nel in me nel buonismo).
Mi scuso qualora il mio tono potrebbe apparire violento, non è mia intenzione esserlo.


(la mia risposta)

Ma lei non può dividere la Chiesa (Sposa e Corpo) dal Cristo, lo spiega san Paolo stesso e lo ripetono i Padri e lo sottolineava Pio XII: senza Chiesa NON si segue il Cristo autentico, ma una sua immagine!
Guardi che Benedetto XVI non sostiene affatto una fede in Cristo senza la Chiesa... anzi, è proprio attaccato dai teologici modernisti proprio perchè difende la fede in Cristo ancorata nella Chiesa attraverso i Sacramenti specialmente la Confessione e l'Eucarestia vera.... non è un caso che abbia indetto l'Anno Sacerdotale portando come modello il santo Curato d'Ars il quale ebbe a dire:
Un giorno un protestante chiese al santo Curato cosa pensasse del Paradiso e se ci fosse stata la possibilità di condividerlo con i protestanti, risposte il Santo Vianney: " Ahimè amico mio! Noi NON saremo uniti lassù se non in quanto avremo incominciato ad essere uniti sulla terra. La morte non cambierà nulla. Dove ...cade l'albero, lì rimane. A meno che non venga rinnescato nella Chiesa..."
^__^

Senza la Chiesa nessuno potrebbe parlare di Cristo, questo è il punto fondamentale...la Chiesa è Mater et Magistra scrive il beato Giovanni XXIII nell'enciclica asserendo che:
1. Madre e maestra di tutte le genti, la Chiesa universale è stata istituita da Gesù Cristo perché tutti, lungo il corso dei secoli, venendo al suo seno ed al suo amplesso, trovassero pienezza di più alta vita e garanzia di salvezza. A questa Chiesa, colonna e fondamento di verità, (Cf. 1Tm 3,15) il suo santissimo Fondatore ha affidato un duplice compito: di generare figli, di educarli e reggerli, guidando con materna provvidenza la vita dei singoli come dei popoli, la cui grande dignità essa sempre ebbe nel massimo rispetto e tutelò con sollecitudine.

*****
come vede lo stesso Papa detto "buono" e beatificato ribadiva il concetto della Chiesa quale punto fondamentale dell'incontro con il Cristo!
Certo, ognuno può incontrare Cristo ovunque ma sempre per essere ricondotto nell'Ovile del Buon Pastore... e non per esserne allontanato! ^__^

L'incontro con il Cristo necessita poi dei SACRAMENTI: dal Battesimo alla Comunione, alla Confessione, alla Consacrazione, al dolce Viatico...senza Sacramenti la vita di uno che vuole definirsi Cristiano è incompleta e finisce per seguire una immagine di Cristo modellata a sua propria immagine mentre siamo chiamati a seguire la PERSONA di Cristo il quale vive ed opera nella Chiesa... Cristo o la stessa Trinità Santissima possono certamente operare anche esternamente alla Chiesa, ma dalla Chiesa Essi partono per ricomporre il Gregge disperso... La Chiesa NON domina affatto è una "Societas" nella società, fondata da Dio...ergo essa SEGNO DI CONTRADDIZIONE vive ed opera per portare il Cristo VIVO E VERO e proprio per evitare di attaccarci ad immagini varie seppur "buone" ma prive o private del CORPO(=Chiesa) o peggio, togliendo a Cristo la sua Sposa(=Chiesa)...

La ringrazio per questi approfondimenti e non ritengo gravoso il suo tono, anzi, molto rispettoso, tuttavia la prego di non attribuire a Benedetto XVI una apologetica dissociata dalla Chiesa, perchè sarebbe ed è un errore...lo stesso Concilio Vaticano II ha riportato l'aquinate quale sostegno ai propri documenti sull'uomo e sull'ortodossia dell'uomo e della sua fede in Cristo, leggere come un nemico alla fede di oggi, il tomismo, significa essersi incamminati per un sentiero che usa il Cristo ma ne disconosce IL CORPO...
;-)


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la sua risposta:

Ma in effetti io non sono per nulla contrario all'esistenza della Chiesa, come se fosse contraria al Verbo di Dio; tuttavia i sacerdoti non dovrebbero dimenticare di essere uomini e di essere parte di un'istituzione di uomini, quindi di dimostrare carità. Ciò non significa cedere al progressismo (che fra l'altro rifiuto) ma semplicemente riconoscere che il libero arbitrio è un dono di Dio e che reprimerlo è ingiusto, infatti dovrebbe solo essere orientato, con le buone ragioni e alla luce della fede, verso la Verità di Cristo.
Un'istituzione poi, quella della Chiesa, che nel corso dei secoli ha subito dei cambiamenti troppo radicali per essere definita la stessa di quella dei tempi di San Paolo. Ad esempio io mi assoggetterei senza esitazioni a Papi come Benedetto XVI o Giovanni Paolo II, perchè baciati dalla Grazia divina; ma non potrei mai pensare di farlo nei confronti di altri pontefici come Pio XII o Giovanni XXIII, poichè a mio parere rappresentano un tipo di Cristianesimo che non è quello dei Padri e di Agostino. Comunque io sono cristiano soprattutto, e cattolico solo di riflesso, dunque non polemizzo con i cattolici su questo. Però su Benedetto XVI mi preme far chiarezza: non ho detto che il Papa rifiuta la Chiesa ma solo che riconosce il primato di Dio; dice di ascendere innanzitutto e di non legarsi al pane terreno più una serie di altri principi che sono più vicini ad Agostino che non a Tommaso.

***

la mia controrisposta:

No! i preti NON sono affatto una "istituzione di uomini"....^__^ i preti sono una istituzione divina... proprio per questo non è in potere della Chiesa, per esempio, modificarne i contenuti o peggio ricorrere alle pretesse per coprirne la carenza... e per questo anche quando un sacerdote viene ridotto allo stato laicale per qualche ragione, il Sacramento ricevuto resta in eterno! Dimostrare la vera Carità è compito di tutti, ma la vera carità, la prima vera forma è la Verità, dirla, proteggerla delle ambiguità, dalle menzogne del nostro tempo, evitare di accomodarla alle mode del nostro tempo....

Che il libero arbitrio sia un dono di Dio non preclude il ricorso alla Verità..
I cambiamenti subiti dalla Chiesa NON toccano mai la dottrina ;-) lei non riuscirebbe ad "assoggettarsi" agli altri Papi semplicemente perchè non li ha conosciuti, oppure non sa cosa hanno scritto, oppure ne segue una immagine deformata...
ad ogni modo il Papa NON DEVE PIACERCI ^__^

Senza dubbio Ratzinger, essendo un teologo, esprime al meglio questo "primato di Dio", ma non bisogna fare troppi paragoni fra Papi, ognuno ha avuto il suo ruolo nel suo tempo...Giovanni Paolo II per esempio era un filosofo, Paolo VI era "pastorale", Giovanni XXIII, scrive il card. Biffi: "un buon pastore, ma un pessimo maestro"....Pio XII fu definito il Pastore angelico per la sua raffinata teologia nella dottrina, si legga la Mediator Dei per comprenderne il carattere... san Pio X è il Papa che ha portato l'Eucarestia ai bambini e ci ha donato il Catechismo unificato, valido per tutta la Chiesa, un capolavoro di sintesi dottrinale e dogmatica... mi viene in mente anche il grande Leone XIII, il primo Papa a scrivere un enciclica sulla questione Sociale, pietra fondamentale per la Dottrina sociale della Chiesa, ma fu anche un Papa mariano, scrisse 13 encicliche sul Rosario e diede il via al Santuario di Pompei...
Insomma, la lista è lunga, ogni Pontefice ha impresso senza dubbio il proprio carattere e francamente è fuorviante ridurne il ministero ad una sorta di tifoseria ^__^ a noi deve interessare cosa hanno insegnato, come hanno condotto la Chiesa pellegrina sulla terra e cosa ci hanno lasciato...
E' bene citare però anche Benedetto XV che nell'enciclica "AD BEATISSIMI APOSTOLORUM"....scrisse questo citando a sua volta un Padre della Chiesa:

«Questa è la fede cattolica; chi non la crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo»(28); o si professa intero, o non si professa assolutamente. Non vi è dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicesimo; a ciascuno basti dire così: «Cristiano è il mio nome, e cattolico il mio cognome»; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina.

Benedetto XVI, nel suo primo incontro con i vescovi dell'Austria ribadì l'attuale crisi di identità dei cristiani in generale, ma sopratutto dei Cattolici e disse che per sconfiggere questa scristianizzazione nell'Europa era diventato necessario riscoprire la nostra identità perduta...
Neppure io polemizzo, anzi, la ringrazio davvero per l'opportunità che mi ha dato di fare questi approfondimenti ;-)
Fraternamente la saluto!


segue ancora....

Caterina63
00giovedì 27 maggio 2010 19:50
[SM=g1740722] ottimo intervento dell'amico Daniele di Sorco


Al di là delle differenze sistemiche (i medievali avevano un metodo organico o scolastico, i padri speculativo o positivo), non esiste una differenza di fondo tra come questi e quelli concepivano l'esistente. Entrambe le scuole di pensiero erano realiste, ossia ritenevano che l'intelletto umano fosse capace di conoscere con certezza la realtà (nell'ambito, ovviamente delle sue capacità) mediante l'esperienza prima e la ragione astrattiva poi. La divina rivelazione costituisce una fonte ulteriore della conoscenza, ma non ne altera il meccanismo di fondo, anzi lo presuppone, perché, se la conoscenza non avvenisse in modo certo e dimostrabile, la rivelazione non avrebbe alcun senso, restando confinata, come tutto il resto, nell'ambito dell'opinabile.

Certo, la filosofia dei padri e dei medievali differisce in molti aspetti: si pensi soltanto alle prove metafisiche circa l'esistenza dell'Essere increato. Ma la concezione di fondo resta la medesima, checché né dicano gli studiosi di matrice hegeliana (ai quali si debbono la maggior parte dei nostri testi scolastici), che, nella loro mania storicizzatrice, fanno di S. Agostino un platonico, di S. Tommaso un tomista, e con questo credono di aver individuato una opposizione insolubile tra le due principali correnti del pensiero cattolico.

Se essi avevano, come in effetti ebbero, una concezione della reatà del tutto analoga, perché aderire alla rivelazione cristiana implica aderire anche a un certo tipo di pensiero filosofico, ne segue che la loro idea di Chiesa non poteva essere radicalmente differente.

E in effetti, come potremmo noi pensare, non dico di professare la dottrina di Cristo, ma anche solo di conoscere la figura di Cristo, se non attraverso la Chiesa? È la Chiesa che ha scritto le memorie relative alla sua vita. È alla Chiesa che da Lui fu assicurata la prerogativa di custodire il suo messaggio in modo infallibile per ciò che riguarda la fede e la morale ("portae inferi non prevalebunt": e che cosa c'è di più infernale dell'errore?). È la Chiesa che, di fatto, ha conservato e trasmesso questo messaggio alle generazioni future. Così che, rifiutando la Chiesa, rifiutando la sua divina costituzione, si arriva a rifiutare anche Cristo.

Storicamente questo fenomeno si mostra con evidenza nella parabola del protestantesimo. Partiti dal rifiuto dell'autorità della Chiesa, i riformatori approdarono prima al libero esame e, quindi, ad una pluralità potenzialmente infinita di dottrine. Passarono poi a rifiutare l'autorità dei Padri, perché contraria alle loro eresie. Infine, giunsero a rigettare persino l'autorità del testo sacro, considerato frutto di fantasie e rielaborazioni, piuttosto che di testimonianze verosimili. Il protestantesimo liberale, al quale è approdata la maggior parte delle confessioni riformate storiche, si può definire una sorta di agnosticismo cristianizzato. I suoi fautori riconoscono che nella Sacra Scrittura la storia non è discernibile dal mito. Bisogna quindi riconoscere che Gesù fu certamente una gran figura, ma di lui sappiamo molto poco. Di fatto, credere in un Gesù del genere o essere agnostici è la medesima cosa. E non caso, questi protestanti fanno causa comune con i laicisti nella battaglia per la dissoluzione della morale.

L'ispirazione stessa della Bibbia può esserci garantita soltanto dalla Chiesa. Si dovette aspettare il III secolo perché il Canone delle Scritture fosse ufficialmente definito. Inoltre che gli Apostoli fossero testimoni ispirati e attendibili, lo desumiamo pure dagli scrittori ecclesiastici del tempo. Il fatto che la Bibbia contenga, in qualche passo, l'affermazione della sua ispirazione è un argomento inconsistente, poiché tutti i testi religiosi dicono di essere di origine divina, ma non tutti di fatto lo sono: il Corano, pur dicendo di essere ispirato, non lo è.

Quanto alla purezza del messaggio cristiano, è evidente che esso non può essere lasciato alla libera interpretazione di ciascuno. Sarebbe come se la rivelazione non ci fosse stata affatto. Nel Vangelo stesso, l'agiografo ci dimostra come il demonio stesso utilizzi la Scrittura per ingannare. La molteplicità e la varietà di dottrine che caratterizzano il protestantesimo, dottrine, è bene ricordarlo, opposte l'una con l'altra, è la prova più chiara di come il libero esame sia molto distante dalla verità divina, che, per definizione, non può che essere una.

Non si anteponga l'esperienza con la conoscenza. Si sperimenta solo ciò che si conosce e dopo averlo conosciuto. "Nihil volitum, quin cognitum", dicevano gli antichi. E del resto, l'esperienza scollegata dalla conoscenza razionale, si riduce a sentimentalismo, soggetto, come tale, agli sbandamenti dell'umore. Si assiste, allora, al cristiano che, di fronte a qualche sventura esistenziale, passa senza difficoltà all'agnosticismo. Il fatto è che la vita consiste sì nel conoscere Gesù, ma conoscere Gesù significa conoscere il suo messaggio. Che cos'ha fatto Gesù, per i tre anni della sua vita pubblica? Ha insegnato. Che cos'ha fatto prima di lasciare i discepoli e ascendere al Padre? Ha detto agli apostoli di divulgare in tutto il mondo i suoi insegnamenti. Non ha detto di farlo conoscere, perché credere in Gesù sic et simpliciter, prescindendo dai suoi insegnamenti, è inutile. Nel Vangelo troviamo ripetuti ammonimenti verso coloro che dicono di credere in Gesù ma non credono ciò che insegna o non si comportano secondo il suo volere.

San Paolo dedica la maggior parte delle sue lettere alla battaglia contro le eresie. A che scopo, se il credere in Cristo fosse superiore al credere nella verità da lui predicata?

I santi Padri hanno fatto lo stesso. Anzi, è da lì che ha cominciato a svilupparsi una conoscenza sempre più approfondita della dottrina: dalla lotta contro gli errori.

Non possiamo dire che la dottrina oggi professata dalla Chiesa cattolica sia diversa da quella insegnata dagli Apostoli. Questa sta a quella come le equazioni di primo grado agli integrali (per usare un paragone matematico), ma si tratta pur sempre della stessa scienza, degli stessi principii. Del resto, esisterebbero gli integrali senza equazioni di primo grado? Niente affatto. I Padri, fin dagli inizi, non ebbero nulla in contrario a questo organico e non contraddittorio sviluppo della dottrina. San Vincenzo da Lerino, nel V secolo, poteva scrivere che la Chiesa, in ambito di dottrina, non diceva mai "nova", ma tutt'al più "nove".

D'altra parte, se pensiamo alla causa della fede, dobbiamo riconoscere che credere nella Chiesa è in necessario presupposto per riconoscere il primato di Dio. La Sacra Scrittura, infatti, non è che la fonte remota della fede. "Remota" perché la sua interpretazione non è univoca e immediatamente conoscibile. Di fronte a un passo che mi crea dubbi, di fronte a una apparente contraddizione, di fronte alla difficoltà di estrarre la dottrina da libri così numerosi e disparati, quale criterio devo adottare? Quello del lume privato della mia ragione? Ma in questo caso, la fonte prossima della fede non è più qualcosa di origine divina. Sono io, è la mia ragione. E alla ragione dei singoli Dio non ha mai promesso infallibilità alcuna, come del resto dimostra l'infinità variabilità delle interpretazioni bibliche dei riformati. Posso aggiungere, alla Bibbia, la sacra Tradizione. Ma resta pur sempre una fonte remota. Anzitutto, quali sono i testi della Tradizione? Come interpretarli? Come armonizzarli? Ci si presentano, a ben vedere, le stesse difficoltà che avevamo ravvisato nell'uso della Bibbia sola.

Il cattolico, invece, adotta come fonte prossima della sua fede non lam propria privata ragione, ma il Magistero vivo della Chiesa, nella persona del suo Capo, al quale Gesù ha fatto numerose promesse relative alla sua infallibilità in docendo ("Conferma i tuoi fratelli", "Pasci le mie pecorelle", "Su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa"). Al cattolico, ma in generale al realista, non interessa ciò che egli ritiene vero, ma ciò che è vero.

Se si nega l'esistenza di un'autorità infallibile in grado, su questa terra, di conservare e tramandare non solo il deposito della fede, ma anche, in molti casi, quello della conoscenza naturale, l'unica alternativa possibile è lo scetticismo, il dire, cioè, che non siamo in grado di conoscere la verità e non lo saremo mai: ignoramus et ignorabimus.

Il conseguimento della vera libertà è relativo a quello della verità. Gesù dice infatti: "La verità vi farà liberi". Liberi da che cosa, se non dall'errore e dalle sue conseguenze? E dalla libertà dipende, in ultima analisi, anche la felicità. La vera libertà non è dunque il mero esercizio del libero arbitrio, ma l'esercizio del libero arbitrio secondo verità. Questo concetto, spesso negato nella speculazione, è da tutti riconosciuto nella vita pratica. Il mio libero arbitrio mi consente di gettarmi sotto a un treno o di non farlo. Ma chi direbbe che il gettarsi sotto al treno è un atto di libertà?

Ceto, non che l'uomo debba essere sollecito in primo luogo della sua felicità. Questo non è che un fine secondario della sua esistenza. Il fine primario per il quale è stato creato è rendere gloria a Dio, ed è in questo che si ravvisa, in primo luogo, il primato del divino sull'umano. L'aspirazione alla felicità è subordinata e ordinata a questo primo fine. Ma anche qui bisogna badare a non confondere piacere con felicità, e felicità immanente o imperfetta con felicità trascendente o perfetta. La vera felicità, quella che appaga tutte le aspirazioni dell'uomo, è l'eterna beatitudine del Paradiso, beatitudine derivante dalla contemplazione di Dio e dalla conformazione perfetta della nostra alla Sua mente. Tutto ciò che non è finalizzato, direttamente o indirettamente, a questo, è felicità apparente, destinata ad essere cancellata dal tempo o dai rovesci della fortuna. Tutto ciò che, oltre a non essere finalizzato, è un ostacolo al Paradiso, perché costituisce peccato, non deriva da libertà, ma da mancanza di libertà. Quella mancanza per cui noi siamo essere imperfetti, visto che l'imperfezione consiste in primo luogo nella capacità di compiere il male.

Vediamo, dunque, come una chiara percezione del nostro fine ultimo ci illumina circa il concetto che dobbiamo avere di verità. Non si tratta di una percezione, di un sentimento, di una esperienza che è tale solo di nome (solo i mistici hanno esperienza di Dio, perché lo percepiscono attraverso i sensi; le persone normali, no, poiché una sensazione non è un'esperienza), ma della conoscenza intellettiva del messaggio rivelato. Conoscenza che non può avvenire direttamente, perché Dio non si manifesta a ciascuno di noi, ma attraverso l'autorità da Lui stesso designata per la conservazione della sua dottrina. Chi non crede nella Chiesa, in ultima analisi, non crede in Dio, ma in se stesso, perché fa della propria coscienza privata la causa prossima della propria fede. Non è fede, dunque, come giustamente dice san Tommaso, ma un'opinione.

Sant'Agostino, come ogni cattolico, era della stessa idea, tanto che poteva scrivere: "Non crederei al Vangelo, se non me lo dicesse la santa Chiesa". Perché? Perché credere al Vangelo per autorità propria non è diverso dal credere a qualunque altro libro. Anche l'irreligioso crede in certi valori, ma certamente non si può dire che abbia la fede. La fede, infatti, è l'atto con cui si crede a qualcosa non per autorità nostra, ma per autorità di qualcun altro. E poiché l'autorità di Dio, si manifesta attraverso la Chiesa, sant'Agostino diceva di credere ai Vangeli per l'autorità della Chiesa.

Gli altri Padri, con parole ed espressioni diverse, attestano tutti la medesima fede. Nessuno avrebbe pensato di derivare la propria fede direttamente e immediatamente da Dio, salvo fenomeni mistici specialissimi e singolari.


[SM=g1740722] [SM=g1740721] [SM=g1740733]
Caterina63
00venerdì 28 maggio 2010 11:03
La risposta dell'interlocutore:

Daniele, ho letto tutto quel che hai scritto e lo rispetto molto.
Tuttavia non condivido l'impostazione di fondo soprattutto alla luce di due elementi:

I) La condizione della Chiesa e del Cristianesimo nella modernità;
II) La filosofia analitica contemporanea e ciò che concettualmente delinea.

Io voglio solo ricordare che tra qualche decennio il Cristianesimo sarà minoranza in Occidente; stando a questo un problema si pone: chi è il responsabile di ciò? Se il tomismo fosse stato così perfetto non ci troveremmo in questa condizione, al di là di ciò che ciascuno possa pensare filosoficamente delle sue strutture razionalistiche.
Un dato però è sicuro: la filosofia cristiana è sorta dalla fusione con le filosofie di un periodo storico; questa è la genesi che ha riguardato l'agostinismo, il tomismo, la teologia della liberazione e nella contemporaneità le teologie che si potrebbero definire estetiche. La teologia della bellezza di Von Balthasar ad esempio si ricollega perfettamente non solo al De Trinitate di Agostino ma anche ai pensieri di Nietzsche e di Freud, i quali sono alla base del pensiero contemporaneo. A questo punto potrebbe incominciare un lungo ragionamento che riguarda proprio le ragioni della Libertà come ho scritto in uno dei primi post e questa mondanizzazione della Chiesa e della fede (fra l'altro io penso che hegelismo e tomismo siano in realtà molto legati fra loro e trovino un punto d'incontro nel Logos hegeliano e nell'etica tomistica).
Onestamente però le speculazioni metafisiche o ontologiche non mi appassionano granchè. Il fatto però che sia bastato il libero arbitrio dell'uomo per mettere in discussione una Verità così come concepita dal tomismo è un dato che almeno dovrebbe far riflettere se si crede nella Divina Provvidenza; qui infatti nascerebbero delle contraddizioni degne di essere analizzate in profondità.
Adesso mi fermo però, qui ho trattato troppo di argomenti non inerenti alle motivazioni del tag. Comunque Daniele il discorso se Dio vorrà lo riprenderemo.
Buona serata a tutti.

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la mia ultima:


Vorrei solo ricordare che il Cristianesimo all'inizio della sua avventura era giudicato una sètta ed era la minoranza della minoranza, per 300 anni perseguitati ininterrottamente tranne qualche periodo di leggera pace... ^__^ il Cristianesimo non si fonda sulle maggioranze, il ritorno del Cristo verrà quando "il Vangelo sarà predicato in ogni confine della terra" e non quando "tutti" diventeranno cattolici, questo è impossibile, nè Gesù l'ha mai detto...anzi, è il "piccolo gregge" che porterà avanti la Verità...quando avremo toccato il fondo, il Cristo tornerà...
Il libero arbitrio, correttamente inteso, non mette in discussione la Verità al contrario la fa emergere e ciò che viene in discussione è soprattutto nella sua applicazione, Lutero infatti non mise in discussione la Verità in quanto tale, ma l'applicazione e di fatto si fece una chiesa che rispondesse alle sue necessità interpretative....
Ringrazio anch'io per l'ospitalità ad uno spazio extra per una discussione davvero appassionante e lascio a Daniele la sua replica ^__^


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Daniele Di Sorco 28 maggio alle ore 9.09 Risponde

******, ma la storia degli ultimi cinquant'anni non l'hai presente? È da quando nella Chiesa si è insinuato, fino ai suoi più alti vertici, il progressisimo, ossia il tentativo di conciliare la dottrina cristiana col pensiero contemporaneo (che è, per definizione, scettico, storicista e relativista), che il cattolicesimo è in crisi.

Prima esso godeva di una splendida prosperità, che si può dimostrare anche statisticamente. Il tomismo è un termine che abbiamo inventato noi moderni per designare la filosofia scolastica medievale. Ma san Tommaso non intendeva affatto esprimere un pensiero originale. Egli, anzi, al principio della "Summa" scrive che il suo intento è quello di redigere un compendio sistematico delle dottrine dei Padri e dei filosofi a lui precedenti. Otto secoli di tomismo hanno portato la Chiesa non solo ad espandersi in tutto il mondo, ma anche ad essero l'unica confessione cristiana ad opportsi efficacemente ai tentativi di laicizzazione di Stato, con l'illuminismo prima e la massoneria poi.

Nel XIX secolo e nella prima metà del XX, di fronte alla crisi profondissima delle Chiese protestanti (si pensi alla storia della Chiesa d'Inghilterra), la Chiesa cattolica, come scriveva giustamente Pio XII, appariva a tutti come un monolite compatto, che godeva di perfetta salute e si poneva come un soggetto credibile di fronte al pensiero contemporaneo.

Fu la smania di novità, da cui mette in guardia san Paolo nell'Epistola a Timoteo, a provocare la crisi. Ossia il tentativo di mettere d'accordo il cattolicesimo da una parte ed il pensiero contemporaneo (anticristiano, perché antirealista) dall'altra. Esperimenti di questo genere non sono nuovi nella Chiesa. Già ai tempi dell'Apostolo vi fu chi propose l'apparentamento tra il cristianesimo e le dottrine gnostiche ellenistiche od altre forme di pensiero: di qui il gran diffondersi delle eresie e il mirabile impegno che i Padri profusero nel confutarle.

Ai tempi di Pio XII i novatori erano ancora una stretta minoranza. Essi, però, riuscirono ad assumere il controllo del Concilio Vaticano II, il quale peraltro, non avendo definito alcuna dottrina, ha prodotto documenti esclusivamente pastorali, non vincolanti per il dogma. Al di là del contenuto specifico, il magistero del Vaticano II ebbe una sola nota distintiva: aggiornarsi, aprirsi al mondo, senza però dire come. Di fatto questa esortazione si risolse in un inconsulto accesso nella Chiesa di dottrine, sistemi di pensiero, atteggiamenti morali incompatibili con la sua dottrina. E ciò sotto lo sguardo impotente di una Santa Sede che era stata schiacciata dalle sue stesse concessioni. Del resto, come ancora dice san Paolo, quale accordo ci può essere tra Cristo e Beliar?

C'è una differenza di fondo nel rapporto tra cristianesimo e filosofie precristiane da un lato e filosofie contemporanee dall'altro. Le prime, infatti, sono state elaborate a prescindere dalla rivelazione, quindi nulla esclude che contengano molti elementi di verità naturale. Possono quindi essere assimilate senza difficoltà dai filosofi cristiani, come del resto è stato fatto. Le seconde, invece, sono state elaborate in contrapposizione al cristianesimo, cioè conoscendo la divina rivelazione e rigettandola oppure accettandola solo in parte. Sono quindi sistemi che, pur contentendo (come tutte le cose) alcuni elementi di verità, sono complessivamente erronei e quindi non assimilabili dalla filosofia cristiana. Non si possono conciliare, ad esempio, cristianesimo e kantismo, perché la stessa fede nella divina rivelazione implica la conoscibilità del reale in sé (come noumeno). Né cristianesimo ed hegelismo, perché il discepolo di Cristo crede nella distinzione tra soggetto ed oggetto e nella verità come adeguazione dell'intelletto alla cosa, non come libera creazione del soggetto. E così via.

Orbene, che si è fatto, dopo il Concilio? Si son create delle teologie (dette sagacemente da qualcuno "teologie del genitivo", perché aggiungono al loro nome una specifica, cosa già di per sé squalificante, visto che oggetto della teologia è Dio e non qualcos'altro) finalizzate ad apparentare il cristianesimo col pensiero contemporaneo: nella fattispecie, con lo storicismo hegelista (modernismo), con l'umanesimo di Sartre (esistenzialismo cristiano), col marxismo (teologia della liberazione), col pensiero di Nietzche (teologia della morte di Dio), ecc. I sistemi filosofici con cui dovrebbe avvenire il matrimonio, come si vede, sono tutti atei, agnostici o caratterizzati dal ridimensionamento della religione a pura emanazione del divenire storico. Questo spiega il pauroso allontanamento delle teologie da essi derivati, non dico dalla Tradizione della Chiesa, ma dal dettato stesso delle sante Scritture. Basti pensare che i teologi della liberazione, per scrollarsi di dosso il fardello del Vangelo (che parlava sì di liberazione, ma soprannaturale), sono stati tra i più accaniti contestatori della sua storicità: bisgnava sottrarre a Gesù le vesti del predicatore per mettergli quelle del rivoluzionario.

Che cosa ha prodotto tutto questo nel popolo di Dio? Un senso di sbandamento. Quei sacerdoti, quei vescovi, spesso quei cardinali, che prima dicevano loro di resistere alle seduzioni del mondo e di perseverare nella fede anche quando erano scherniti, ora dicono loro che il mondo è buono, che bisogna imparare da esso. Ma se il cristianesimo e il pensiero mondano dicono, sostanzialmente la cosa, anzi se la Chiesa si mette al traino della società secolare, che bisogno c'è della Chiesa? Che bisogno c'è di preti? Che bisogno c'è di sacramenti? Ecco spiegato il grande esodo. .


Ma storicamente esso si colloca in un periodo ben preciso: dal 1965 (fine del Concilio Vaticano II) in poi. C'è un grafico interessante sulla situazione degli Stati Uniti. Laggiù, in un paese protestante e pieno di benessere economico, le vocazioni sacerdotali cattoliche sono, fino al 1965, in costante aumento, nell'ordine di 500 seminaristi in più ogni quinquennio. Dal 1965 al 1970 il dato crolla e si mantiene in tendenza negativa. Lo stesso dicasi della frequenza alla Messa.

Conosco l'obiezione: di mezzo c'è stato il '68. Non è stata colpa di un mutamento interno alla Chiesa, ma di un nuovo indirizzo nella società. Rispondo: senza la rivoluzione di velluto operata dal Concilio e dalla sua scorretta interpretazione, ci sarebbe stato il '68? Probabilmente no, o almeno non in queste forme. Inoltre il confronto tra il dato cattolico e un campione di controllo conferma che l'influenza della società è stata minima.

Se infatti compariamo la frequenza dei cattolici alla Messa con la frequenza dei protestanti alle loro funzioni, notiamo che mentre la prima è molto alta fino alla metà degli anni 60 e poi decresce in modo impressionante, la seconda, che è più bassa, si mantiene costante dal 1950 al 1980, senza sbalzi in corrispondenza della rivolzione culturale. Ora, se i mutamenti della società fossero stati così larghi e profondi, avrebbero dovuto toccare anche il protestantesimo, che, allora, professava dottrine morali non radicalmente diverse da quella cattolica.

A riporva di quanto ho detto, si può menzionare il fatto che oggi il cattolicesimo è vitale e attivo solo nella sua componente "tradizionalista", in coloro, cioè, che rigettano gli ibridismi postconciliari e l'annacquamento della verità cristiana nel relativismo a favore della dottrina di sempre, la cui base filosofico-teologica è il tomismo. Sono i seminari "tradizionalisti" ad avere le vocazioni in crescita, ed è il pensiero "tradizionalista" a porsi come alternativa credibile, e non semplicemente come ripetizione in salsa buonista, al pensiero contemporaneo.

Certo, resta la grande questione sul perché la Santa Sede, fino a Benedetto XVI, sia rimasta a guardare di fronte ad una situazione che si sgretolava, col moltiplicarsi di opinioni e di modi di fare erronei. Non dimentichiamo che al Papa è stata garantita l'infallibilità in docendo, ma non l'infallibilità in gubernando. La grande lotta contro le eresie, fin dai primi secoli, lo ha dimostrato. Ci sono fasi storiche in cui la verità, pur non venendo meno, si oscura nella percezione non solo delle masse, ma anche del clero. Sono periodi in cui si cerca quell'accoppiamento tra Cristo e Beliar dal quale l'Apostolo mette in guardia. Da queste fasi non si esce che in un modo: col ritorno, chiaro e deciso, alla dottrina di sempre, a ciò che la Chiesa a sempre creduto.

Quindi i termini della questione, a ben vedere, sono invertiti: non è il tomismo che ha provocato il naufragio (temporaneo) della Chiesa, ma il suo abbandono a favore delle "novità".

Se l'islam rappresenta oggi un pericolo per l'occidente, è perché esso, nel magma del relativismo contemporaneo, rappresenta un sistema di pensiero relatista, che propone una verità unica ed oggettiva. Poco importa, poi, se questa verità sia tale o meno. Una persona che muore di sete farà poco caso se ne suo bicchiere c'è acqua pura o acqua mescolata a fango o addirittura urina: gli basta di bere. Ecco perché l'unica soluzione al problema islamico è il ritorno al pensiero classico cristiano. Siamo talmente imbevuti di storicismo (non dimentichiamo che il sistema scolastico italiano fu organizzato dall'idealista Gentile) che riusciamo a fatica a concepire la filosofia, non come una serie di sistemi che si avvicendano, ma come la scienza della verità naturale che si consegue per via dimostrativa. Il filosofo realista non ha timore di mettersi contro il pensiero contemporaneo, perché è convinto che la verità naturale, una volta trovata e dimostrata, non muta; certo, alcuni aspetti del sistema sono soggetti a precisazioni, ad evoluzioni, a sviluppi. Ma il fondo è quello, pena condannare il pensiero umano ad un perpetuo errare ed eliminare, in questo modo, il concetto stesso di verità, a favore di quello di opinione.

Paradossalmente l'islam ha affrontato un percorso analogo a quello del cattolicesimo. Imbevuto progressivamente di scetticismo e di edonismo, esso era, nel XIX secolo, sul punto di crollare. Il risveglio c'è stato nell'ultimo trentennio, col ritorno alla dottrina islamica autentica e ad un sistema politico ad esso conseguente. Certo, si tratta di una dottrina erronea, e come tale va combattuta. Ma l'arma per farlo non è certamente il principio secondo cui tutte le dottrine sono uguali e non abbiamo strumenti intellettivi per discernere il vero dal falso. È proprio appoggiandosi su questo pensiero debole, di origine soggettivista (quindi antirealista, quindi antitomista), che l'islam ha la possibilità di distruggerci. E buona parte dei membri della Chiesa, oggi, fa esattamente il gioco dei suoi nemici.

 Sorriso

Caterina63
00venerdì 28 maggio 2010 17:52
 Ghigno
la discussione si sta facendo MOOOOLTO interessante.... siamo giunti alla metafisica e a san Tommaso.... un grazie a Daniele per come si sta prodigando...

l'interlocutore incalza a Daniele sul testo sopra:

Mah, io Daniele ho l'impressione che qui si stia parlando di qualcosa di molto preciso, cioè l'uomo.
Io mi chiedo se l'uomo però sia Creazione di Dio oppure della metafisica o, se vogliamo metterla in altri termini, dell'episteme.
Intendiamoci, seguendo te nel tuo modo di esporre non taccio nessuno di eresia o di blasfemia, come fanno altri, dunque leggo con piacere tutto quanto quello che scrivi e prendo atto del tuo punto di vista.
Ma mi chiedo: il modello a cui l'essere umano deve ispirarsi è l'uomo oppure Dio?
Ricorderai Holderlin cosa diceva degli dèi; in questo io ci ritrovo il senso di tanti pensieri, quello di Padre Agostino in primis e anche il nocciolo delle filosofie di svariati filosofi. Ad esempio, sul piano della logica, nella storia della filosofia coloro che contrastarono il principio hegeliano a cui tu facevi riferimento circa l'identità tra soggetto e oggetto, furono Kierkegaard e Schopenhauer, non i cattolici; chi contrastò Marx con la sua profezia ed esaltazione dello spirito abbietto del proletariato fu Nietzsche, non un filosofo cattolico; chi contrastò il potere lesivo della dignità della persona che si serviva e si serve della stessa tecnica che l'uomo ha prodotto sono stati Deleuze, Foucault e tutti gli altri filosofi analitici francesi, non filosofi cattolici.
Si manifesta in questi casi ciò che vi è da un lato nel De Civitate Dei, dall'altro nel De Trinitate: stabilire cosa è giusto a partire dalla cultura di un epoca, senza esprimere opinioni personali o giudizi di sorta, quindi rifacendosi ad un principio di verità oggettiva, e il tentativo di ostacolare tramite la diffusione delle idee l'invasione di un potere microfisico nella vita della persona.

Trattare quindi la questione relativa alla secolarizzazione della dottrina ponendo al centro la Chiesa è per queste ragioni alquanto improprio, uno, perchè si rischia così facendo di perdere il valore assoluto del rapporto individuale con l'immagine umana della Trinità Divina, e due, perchè si privilegia alla speculazione intorno a Dio, la speculazione intorno agli uomini, ma non certamente per fornirli la strada per ascendere e rientrare nella Creazione, ma quasi suggerendo loro che la strada da seguire sia quella di mantenersi nel peccato per il quale l'essere umano è stato cacciato dall'Eden, quindi l'orgoglio e la vanità di ritenersi superiori ontologicamente al resto delle creature.
Ci tengo a precisare che non sono attacchi personali.

Tuttavia procedo nella critica al tomismo e dico che l'errore di fondo a cui esso riduce il Cristianesimo è questo: far sì che l'uomo accetti sè stesso e dato che mi pare di essere stato messo in stato d'accusa (da altri) in quanto vicino a qualche setta protestante aggiungo un altro dato, cioè che il nucleo del Protestantesimo è proprio quello di ritenere che l'uomo debba restare uomo, poichè Cristo era solo quello, e non quindi cercare di divenare un dio (e anche qui la filosofia contemporanea si avvicina al Cristianesimo tramite Agostino), assoggettando il Cristianesimo all'episteme e svuotandolo della sua ragione originaria, cioè quella di riscattare l'essere umano dalla miseria del suo spirito.
Quello che voglio dire quindi è questo e non che la Chiesa sia eretica o ispirata dal demonio (anche perchè contro Dio il demonio non può nulla). Se poi lo si vuol comunque affermare per eludere il problema questo è un altro discorso.
Grazie e tante care cose.

***********************************************************

Risposta di Daniele:

Veramente la critica di fondo all'hegelismo e agli altri sistemi che ho citato venne proprio ed esclusivamente da filosofi cattolici. Nei libri di scuola essi non sono citati, perché ritenuti espressione di quella neoscolastica che, in quanto riproposizione della filosofia cristiana medievale, non era originale e quindi non era degna neppure di menzione (Gilson ricorda che, ai suoi tempi, nelle università il medioevo filosofico veniva saltato a piè pari: io, al liceo, ho fatto lo stesso). Gli altri filosofi fecero una critica alla buccia del sistema, non al nocciolo, tant'è vero che persino nei libri edulcorati di scuola si parla di Marx e Schopenauer come di sinistra hegeliana, di Kierkegaard come di destra hegeliana, a voler indicare l'identità di fondo di tutti questi sistemi. Resta poi invariato il presupposto: lo scetticismo, che accomuna tutti questi filosofi e li distingue dal realismo propugnato dai cristiani, non dai tomisti soltanto, ma anche dagli agostiniani.

Quanto al mettere al centro l'uomo piuttosto che Dio, io ho una visione delle cose diametralmente opposta alla tua. È il realismo che consente di mettere al centro Dio e di far stare al suo posto l'uomo nel suo ruolo di creatura. L'uomo, infatti, può riconoscere la propria subordinazione a Dio solo se si ritiene in grado di conoscerlo, e di conoscerlo con certezza. Se invece Dio, la rivelazione e la realtà stessa restano qualche cosa di vago, di inconoscibile nella loro essenza, di indimostrato, di variabile, è evidente che il primato non viene riconosciuto a Dio, ma al soggetto conoscente. Se la realtà non può essere conosciuta in modo obiettivo, essa diventa creazione del soggetto, sottoposta, come ogni creazione, all'incessante variabilità del divenire.

La filosofia cristiana classica è efficace perché si conforma perfettamente al buon senso: esiste il soggetto, il soggetto può conoscere con certezza la realtà, la realtà mi consente la conoscenza di Dio, Dio è causa e fine di tutte le cose, l'uomo è ordinato a Dio. Il risultato di questo processo è il teocentrismo, che ha caratterizzato la società europea fino alla riforma protestante e alla rivoluzione liberale del 1789.

Per contro i sistemi scettici, qualunque sia il loro modo di declinarsi, finiscono tutti per fare questo procedimento: esiste il soggetto, il soggetto non conosce la realtà o la conosce soltanto secondo l'apparenza, quindi la realtà - e Dio con essa - può esistere o meno, ma noi non lo sapremo mai, spetta all'uomo, dunque, regolare il proprio destino con i mezzi che egli trova essere più opportuni. Il risultato di questo processo è l'antropocentrismo, ossia la secolarizzazione. Non è un caso che, per designare il tentativo di adeguare il cattolicesimo al pensiero contemporaneo, si sia parlato di "svolta antropologica".

E certamente, sul piano puramente storico, non si può negare che i medievali avessero una mentalità eminentemente teocentrica, mentre i moderni ce l'hanno eminentemente antropocentrica. Ma la ragione è proprio l'abbandono del realismo, ossia di una concezione naturale, ragionevole, direi quasi spontanea dei rapporti tra Dio e l'uomo.

Circa la dignità dell'uomo, mi è sempre rimasta impressa quella frase di Pascal: "non bisogna mostrare all'uomo la sua bassezza senza mostrargli, al contempo, la sua grandezza, e viceversa". L'uomo è, di fatto, la più nobile delle creature, poiché creato "ad immagine e somiglianza di Dio", laddove per somiglianza si deve intendere il possesso dell'intelletto razionale, partecipazione del Logos divino. Ora, dire che il rischio è che l'uomo resti uomo, significa utilizzare un'espressione fortemente ambigua, che a seconda di come viene interpretata ci porta fuori dal cristianesimo.

Una delle verità di fondo del cristianesimo è l'esistenza del peccato originale. Perché? Per due motivi. Primo, perché senza peccato originale faremo di Dio l'autore diretto del nostro attuale stato di imperfezione, di fatto aderendo allo gnosticismo ellenizzante secondo cui Dio, nella creazione, è ostacolato dalla materia. La dottrina cristiana, e S. Agostino in particolar modo, ha invece sempre insistito sulla responsabilità dell'uomo quanto alla caduta dal primitivo stato di innocenza e di grazia. Secondo, perché, tolto il peccato originale, togliamo la necessità della Redenzione, e svuotiamo di qualunque senso l'incarnazione del Verbo. Se non c'era nulla da riparare, perché Cristo si sarebbe fatto uomo e sarebbe morto in croce? Per dare il buon esempio? Ma per questo era sufficiente un profeta, come nei secoli passati.

Quindi, i due lati della natura umana: nobiltà, innocenza, grazia alla sua origine e nella sua intima costituzione (perché l'anima resta razionale ed immortale, quindi desiderosa di Dio); imperfezione, miseria, peccato in seguito al peccato originale. Esiste quindi, come dice san Paolo, una lotta all'interno dell'uomo, tra la componente materiale e la componente spirituale, tra desideri della carne e aspirazioni dell'anima, tra ciò che deriva dal demonio e ciò che deriva da Dio. (Non che il corpo in sé sia cattivo: è il suo uso disordinato (ossia avulso dal fine ultimo) che lo è). Ma prima di poterla combattere, l'uomo ha bisogno di sapere due cose: che la battaglia c'è e che la parte da sconfiggere è una piuttosto che un'altra. Ecco l'importanza, sul piano morale, del realismo: solo attraverso esso posso sapere con certezza in che modo devo comportarmi per essere nel giusto, cioè per essere nella grazia di Dio, con Dio. L'elevazione dell'uomo parte dalla consapevolezza della propria natura, miserie comprese.

Viceversa, il pensiero contemporaneo, riducendo la religione a spiritualismo, ha eliminato Dio dagli orizzonti dell'uomo. Il primo passo consiste nel fare della rivelazione, cioè del modo con cui Dio si manifesta all'uomo, qualcosa che, al pari di tutto il resto, è conoscibile solo secondo le apparenze: quindi è un'opinione. Il secondo nel sostituire l'uomo a Dio. C'è una radicale differenza tra la divinizzazione cristiana e quella propugnata dal pensiero contemporaneo. Nel cristianesimo l'uomo si divinizza nel senso che, senza mai perdere il proprio status di creatura, si conforma sempre più perfettamente alla sua Verità e alla sua Volontà (non a caso nel Pater noster si prega: "venga il tuo regno (= la tua verità), sia fatta la tua volontà". Quindi si può parlare di divinizzazione solo in senso lato, perché non è che l'uomo diventi Dio. Nel pensiero contemporaneo, nelle sue manifestazioni più estreme (Nietzsche) ma anche in quelle apparentemente più moderate (Marx, Sartre), l'uomo si divinizza nel senso che prende il posto del Dio trascendente e diventa lui stesso artefice del vero e del falso, del bene e del male. Non è un caso che nel mondo d'oggi, permeato e fondato su questo pensiero, Dio non abbia praticamente più posto. E se c'è l'ha, è un Dio privo di identità, di contorni, di contenuti. Un grande architetto dell'universo, del quale l'uomo può tranquillamente non curarsi.

Io sono dunque dell'idea - e la storia lo dimostra - che sia il realismo ontologico la causa diretta del teocentrismo, laddove per teocentrismo si intenda la conformazione dell'uomo a un Dio personale e alla sua rivelazione. Lo scetticismo (con le sue varie declinazioni: storicismo, spiritualismo, nichilismo, esistenzialismo, ecc.) invece, ponendo al centro, nel migliore dei casi, un Dio spersonalizzato e una dottrina inconoscibile e transeunte, finisce per mettere al centro l'uomo, che riempie il vuoto lasciato dalla divinità con i propri contenuti.

Il rapporto individuale con la divinità è certamente essenziale. Non dobbiamo però trasformarlo in un rapporto individualista. Non dobbiamo, cioè, farci una divinità a nostro uso e consumo, che sia conforme alle nostre opinioni, a ciò che noi riteniamo giusto, ma non alla realtà oggettiva. Ecco perché è necessaria un'autorità divina e umana ad un tempo, la Chiesa, che mi garantisca l'oggetto della fede. Al soggetto spetta il grave compito di mettersi in rapporto con esso. Per spiegarmi con termini concreti, possiamo paragonare il rapporto tra soggetto e Dio ad una persona seduta davanti a un libro. Egli può usare bene la ragione, dire "questo è un libro" e poi mettersi in relazione con esso come più gli piace: leggerlo, usarlo come soprammobile, bruciarlo, ecc. Ma egli può anche usar male la ragione e dire "questa è una mela" (intendendo il concetto di mela): in questo è evidente che, qualunque rapporto la persona intrattenga con l'oggetto, esso è viziato da un errore di fondo: la mancata conoscenza della vera natura dell'oggetto.

Quindi il ricorso all'autorità della Chiesa, in quanto autorità di origine divina, è in ultima analisi un atto di umiltà. Rinuncio a conoscere Dio con le mie proprie forze, perché sono consapevole della loro debolezza, e mi affido all'istituzione che Dio stesso a fondato per conservare la sua dottrina. Sottometto ad essa il mio intelletto e la mia volontà, ma così facendo compio l'atto di intelletto più libero e più alto che si possa immaginare, ossia il riconoscimento dei suoi limiti e l'affidamento ad un istanza più alta. Il cattolico è come un bambino che, per arrivare ad uno scaffale molto elevato, si serve di una sedia: questa sedia è la Chiesa. Viceversa, gli spiritualisti di impostazione scettica (ovviamente nel mio discorso si intendono sempre esclusi gli interlocutori) vuole arrivare a quello scaffale senza alcun aiuto: salta, salta, magari si convince pure di essere cresciuto in altezza e di toccarlo, ma in realtà non si è mosso di un centimetro dal punto di partenza.

Sarebbe piacevole continuare questa discussione, ma purtroppo sono oberato di lavoro nell'organizzare un pellegrinaggio che avrà luogo domani. Quindi ringrazio tutti gli interlocutori, in particolare Michelangelo, per la loro attenzione e il loro tempo, e mi ritiro in buon ordine. Dominus providebit!

***************************************

la mia risposta....

Gentile ********, mi attengo ai margini degli approfondimenti perchè conosco i miei limiti, tuttavia attenzione, parlare di metafisica non significa mai anteporre l'Uomo dall'essere creato da Dio, anzi, ne studia, dell'uomo, gli aspetti reali e concreti....compresa l'anima....

Noi sappiamo che l'immagine, la figura, la spiegazione se vogliamo dell'autentico umanesimo è Cristo-Dio, la metafisica non lo scavalca affatto infatti lei di certo sa meglio di me che l'etimologia del termine ci dice che esso è composto da due termini Metà ossia "dopo" e Phisichè ossia "fisica" da Phisis ossia "natura"...
La nostra natura al momento non è "Dio" ma siamo destinati a diventare "come Cristo" nell'eternità... quindi è corretto usare la "metafisica" per capire e comprendere (pur con i nostri limiti) che cosa è l'Uomo e a cosa è destinato...
Nell'Uomo è contenuta la scintilla di Dio, siamo creati a Sua Immagine ma il Peccato Originale ne deturpò l'essenza, l'immagine che il Verbo fatto Carne venne a ricomporre....
Si evince infatti dalla sua brillante riflessione la mancanza di riferimento al Peccato Originale... che nella metafisica ha il suo buon peso...comprendo pertanto che lei possa elogiare la schiera di pensatori non cattolici attribuendo loro dei meriti ad di sopra di quanto meritano
....

E' san Tommaso che giunge a concepire la separazione dell'anima dal corpo dopo la morte... e quindi la sua sussistenza...con tutto ciò che questo comporta, compresa l'importanza della metafisica... ed è sempre l'aquinate ad associare la "fede alla ragione" parlando anche della "ragionevolezza della fede".... e mentre i pensatori classici ricercavano con la metafisica la "natura dell'essere" partendo dall'essenza, la genialità di san Tommaso D'aquino che non tramonterà mai sta in quella ricerca dell'Essere partendo però da ciò che già è! Per dirla con un pensiero assai elementare ma abbordabile per chiunque, l'aquinate parte dallo STUPORE!!! ;-) si dallo STUPORE...in sostanza mentre lo stupore del passato si rifaceva all'essere, san Tommaso vede lo stupore, e da qui parte, per il fatto che le "cose" ci sono....è lo stupore del BAMBINO, dell'innocente, del vero puro di cuore...quello stupore che anche davanti ad un tramonto, o davanti alla nascita di un bambino, ci stupiamo ed esclamiamo: OH! ^__^

Non a caso è solo l'aquinate che è in grado di suffragare e provare l'esistenza di Dio nelle sue così dette "5 prove"... poi chiunque può rifiutarle, ma per farlo deve ragionarci su e come Nietzsche deve avere il coraggio di negare Dio pur avendolo trovato...qui sta il libero arbitrio che come dice il Siracide: ti sarà dato ciò che avrai scelto!

Mi permetto di suggerire un libro molto interessante: "Metafisica della sostanza" di padre Tomas Tyn o.p. edito da Fede&Cultura ....
poichè lei mi cita pensatori non cattolici come scopritori di chissà cosa... mi conceda questo breve riassunto (di presentazione al libro citato) per farle comprendere l'attuale problema che siamo chiamati ad analizzare:
" ...dopo san Tommaso la sua scuola ha avuto, oltre a vari approfondimenti teoretici e nuove sintesi interpretative (si pensi al cardinal Gaetano, o ai nostri tempi a Billuart e a padre Garrigou-Lagrange), una sua storia fatta di sviluppi, arretramenti, nuove conquiste e recentissimamente anche non poche globali “riletture”. Nel corso del XX secolo infatti – sull’onda mai sopita del modernismo, cioè di quel fenomeno eversivo ma interno al mondo cattolico che era nato per adattare, in fin dei conti, la Rivelazione al pensiero del tempo (e non il contrario…) – una scuola nuova di tomisti decise di allontanarsi dai fondamenti del Maestro per cercare un dialogo, altrimenti impossibile, con Kant, Hegel, Feuerbach, Nietsche e Heidegger. Un sistema complesso e articolato come quello di san Tommaso è certamente un sistema aperto alla “novità”, ma è chiuso alla contraddizione, e dunque non permette sconfinamenti in proposte ideologiche segnate dal fideismo, dal razionalismo, dall’evoluzionismo o dal freudismo.

Eppure nel corso del ’900, importanti tomisti o comunque profondi conoscitori di san Tommaso da Congar a Chenu, da Rahner a Schillebeecks, da Lonergan a von Balthasar, da Maritain a Metz, si allontanarono, a volte in nome del rinnovamento conciliare, ma solitamente già prima, dall’immensa eredità del Maestro, ora divenuto un peso per le loro ultime acquisizioni, e come tale giudicato “fissista”, “statico”, “materialista”, “dualista”, “aristotelico”, “non biblico”… Una scuola di pensiero, al contrario, fedele al cuore del tomismo e più in generale alla integra tradizione cattolica si ebbe con pensatori meno celebrati perché più antitetici al relativismo dominante: si pensi, per limitarci agli italiani, a Siri, a Ottaviani, a Fabro, a Piolanti, a Parente, a Palazzini, a Mondin, a Barzaghi, etc. etc. "

Fraternamente saluto

 Sorriso

Caterina63
00sabato 29 maggio 2010 13:30
La discussione sopra è terminata....i lettori SI SONO STUFATI di leggere e l'interlocutore si è stufato di rispondere.... Ghigno

mi piace segnalare questa degna conclusione di Elvis.... si il coautore del libro "Introibo ad altare Dei"...
che così scrive:


Ho letto solo in parte questa discussione. Da scrivere vi sarebbe tanto e forse troppo. Mi limito ad una battuta.
La filosofia è 'scienza', cioè un sapere. "Scire simpliciter est cognoscere causam propter suam quam res est et non potest aliter se habere". Il sapere per eccellenza, il vero sapere, lo si ha solo:
a. quando si conosce il 'propter quid' della realtà constatata;
b. quando si veda alla luce della evidenza che la spiegazione non può essere diversa da quella che è. La filosofia ricerca non il 'quia' o il 'quomodo' ma le ragioni ultime (per ultimas rationes). Le ragioni ultime non sono la spiegazione prossima dello scienziato, nè la spiegazione genetica dello storico. La filosofia o è quindi spiegazione del reale nelle sue ultime ragioni, o non è.

Anche chi in nome di un relativismo soggettivistico, di una forma qualsiasi di irrazionalismo, di pensiero debole, dichiara l'irragiungibilità d'un sapere di valore assoluto (da non confondere con le pretese contraddittorie di stampo hegeliano), ammette che il concetto di filosofia sia quello classico poco fa rammentato. Non si può negare la filosofia senza presupporre il suo concetto e senza filosofare. Nonostante molti siano successori di Aristofane, nonostante le risate ironiche di costoro all'indirizzo della filosofia, pure ai giorni nostri Socrate si alza in piedi: la filosofia si afferma e si impone, il riso della stoltezza si spegne.


 Occhiolino
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